PDF - Senato della Repubblica

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Senato della Repubblica – 48 – XV LEGISLATURA 281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico 26 febbraio 2008 e dell’atlantismo e quindi oggi vuole combattere in Afghanistan una battaglia per far sopravvivere modelli antichi di prevenzione di conflitti e di sicurezza dura, che fanno leva fondamentalmente sullo strumento militare. Abbiamo voluto ascoltare anche le istanze e i bisogni del popolo afgano, che ci chiede certamente sicurezza, ma non quella assicurata oggi dalla NATO o da «Enduring Freedom»; chiede un intervento più forte e articolato per quanto riguarda la ricostruzione e il soddisfacimento dei bisogni primari; un impegno per un processo diplomatico e di pacificazione, non soltanto a livello nazionale ma anche regionale. Tutto questo oggi non c’è. Abbiamo invocato e chiesto un impegno del Governo italiano per costruire le premesse o un percorso verso una conferenza internazionale di pace che potesse sciogliere i nodi che oggi causano il conflitto ed essere anche aperta ad una trattativa con le parti insorgenti che decidono di deporre le armi e di essere parte in causa per un processo collettivo, di giustizia, verità e pacificazione a livello nazionale ed anche regionale in Afghanistan. Tutto questo oggi non c’è e ci troviamo di fronte ad una situazione nella quale anche il nostro sforzo per cercare di trovare una via alternativa che possa garantire l’incolumità fisica e i diritti della popolazione afgana rischia di esaurirsi in una replica, proposta oggi a noi dalla NATO e dai principali Governi che ne fanno parte, volta ad un rafforzamento della presenza militare a discapito degli altri pilastri che servono alla pacificazione in Afghanistan ed altrove. Vorrei soltanto fare un numero: oggi di un dollaro che arriva in Afghanistan da parte della comunità internazionale solo dieci centesimi vanno direttamente agli afgani. Ciò significa che la cooperazione internazionale oggi viene vista soltanto come parte di un’operazione militare che non si interroga rispetto ai bisogni effettivi delle comunità locali afgane. Lo dice in un rapporto recente un’organizzazione internazionale rinomata, Oxfam, che invita la comunità internazionale, i Paesi membri in Afghanistan Compact, ad ascoltare i bisogni delle comunità locali afgane, a valorizzare le capacità indigene (ossia le capacità locali), ad evitare la commistione che oggi viene praticata nei Provincial Reconstruction Team tra presenza militare di controinsurgenza e aiuto umanitario, anzi, Oxfam addirittura chiede una strategia di phase out, di uscita progressiva dei Paesi presenti in Afghanistan dalla formula del PRT. Altro punto: il Kosovo. Noi abbiamo sottolineato nel corso delle ultime settimane come l’accelerazione verso una dichiarazione unilaterale di indipendenza, avallata poi anche dal nostro Governo, rappresentasse un grave precedente e potesse (e può) essere fonte di gravi sconvolgimenti o conflitti nell’area balcanica e non solo. Crediamo che quella decisione di avallare una dichiarazione unilaterale di indipendenza (sia pure poi smorzata nei toni, perché si parla di un’indipendenza sotto il controllo internazionale, di una dichiarazione non unilaterale bensì concordata) vada al di fuori del mandato della risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza, che (vorrei ricordarlo) sanciva l’intangibilità dei confini sovrani della Serbia, e soprattutto rappresenti oggi una seria penalizzazione nei confronti di

Senato della Repubblica – 49 – XV LEGISLATURA 281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico 26 febbraio 2008 un Governo, quello serbo, che cerca faticosamente di costruirsi un percorso democratico di partecipazione e vuole creare gli anticorpi verso forme di nazionalismo retrogrado. Ma soprattutto la cosa che ci preoccupa è che oggi l’Unione Europea si presenta in Kosovo con la sua più importante missione PESD (la Eulex) con un fronte non compatto, perché molti Paesi dell’Unione Europea non concordano e non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, in una situazione in cui il mandato legale internazionale è molto vago, reinterpretabile in maniera soggettiva e che quindi non trova fondamento in una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Insomma, a nostro parere un precedente assolutamente preoccupante. Veniamo ora all’Iraq: un conflitto dimenticato, ci si dice, perché l’Italia si è ritirata. Ebbene, l’Italia non si è ritirata: ha ritirato i contingenti militari, ma mantiene una task force che a Nasiriya continua ad effettuare operazioni di ricostruzione ed è presente all’interno della base americana di Tallil. Anche lì, ci dobbiamo interrogare su come intervenire, su come essere presenti, con la ricostruzione e la cooperazione, in aree di conflitto: non certo affidandosi alla protezione di compagnie di sicurezza privata, come ad esempio la Aegis, da molti vista come di fatto una compagnia che opera né più né meno come una società mercenaria. Su questo avrei voluto discutere, perché non siamo assolutamente favorevoli ad un disimpegno del nostro Paese nelle aree di conflitto, ma anzi ad un maggiore impegno con gli strumenti della diplomazia preventiva, della diplomazia popolare, della ricostruzione, del rispetto e della promozione dei diritti umani. In Iraq c’è un luogo dimenticato: mi riferisco a Falluja, che è stata teatro di una delle più drammatiche e sanguinose operazioni militari della storia recente, che ha comportato l’uso di armi sofisticatissime, che probabilmente è stata anche utilizzata come campo di sperimentazione per nuovi sistemi d’arma. Oggi le informazioni che ci arrivano da quella città fantasma ci parlano di decine e decine di bambini morti in conseguenza dell’uso di queste armi letali. Ebbene, noi chiediamo con un ordine del giorno che l’Italia si impegni presso l’Organizzazione mondiale della sanità e le Nazioni Unite perché ci sia un intervento della comunità internazionale che possa rafforzare il settore sanitario ed ospedaliero, al fine di dare agli iracheni la possibilità di curare i propri figli e di comprendere come meglio assicurare il diritto all’accesso alla salute pubblica a Falluja e in Iraq. Quindi, spero, credo, sono convinto che l’ordine del giorno che abbiamo presentato verrà accolto. Per quanto riguarda il Darfur, non siamo tra quelli che pensano che lì sia in corso un genocidio. Il Darfur è teatro di un conflitto complesso, frutto di un intreccio tra competizione per risorse scarse, conflitti etnici, sociali e scontri tra centro e periferia, che necessita quindi di un intervento complesso e articolato che non può esaurirsi semplicemente nell’invio di un contingente ONU che la terminologia diplomatica oggi definisce ibrido. Infatti, crediamo che in Darfur sia invocata soprattutto una solu-

<strong>Senato</strong> <strong>della</strong> <strong>Repubblica</strong> – 49 –<br />

XV LEGISLATURA<br />

281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico<br />

26 febbraio 2008<br />

un Governo, quello serbo, che cerca faticosamente di costruirsi un percorso<br />

democratico di partecipazione e vuole creare gli anticorpi verso<br />

forme di nazionalismo retrogrado.<br />

Ma soprattutto la cosa che ci preoccupa è che oggi l’Unione Europea<br />

si presenta in Kosovo con la sua più importante missione PESD (la Eulex)<br />

con un fronte non compatto, perché molti Paesi dell’Unione Europea non<br />

concordano e non riconoscono l’indipendenza del Kosovo, in una situazione<br />

in cui il mandato legale internazionale è molto vago, reinterpretabile<br />

in maniera soggettiva e che quindi non trova fondamento in una risoluzione<br />

del Consiglio di Sicurezza. Insomma, a nostro parere un precedente<br />

assolutamente preoccupante.<br />

Veniamo ora all’Iraq: un conflitto dimenticato, ci si dice, perché l’Italia<br />

si è ritirata. Ebbene, l’Italia non si è ritirata: ha ritirato i contingenti<br />

militari, ma mantiene una task force che a Nasiriya continua ad effettuare<br />

operazioni di ricostruzione ed è presente all’interno <strong>della</strong> base americana<br />

di Tallil. Anche lì, ci dobbiamo interrogare su come intervenire, su come<br />

essere presenti, con la ricostruzione e la cooperazione, in aree di conflitto:<br />

non certo affidandosi alla protezione di compagnie di sicurezza privata,<br />

come ad esempio la Aegis, da molti vista come di fatto una compagnia<br />

che opera né più né meno come una società mercenaria. Su questo avrei<br />

voluto discutere, perché non siamo assolutamente favorevoli ad un disimpegno<br />

del nostro Paese nelle aree di conflitto, ma anzi ad un maggiore<br />

impegno con gli strumenti <strong>della</strong> diplomazia preventiva, <strong>della</strong> diplomazia<br />

popolare, <strong>della</strong> ricostruzione, del rispetto e <strong>della</strong> promozione dei diritti<br />

umani.<br />

In Iraq c’è un luogo dimenticato: mi riferisco a Falluja, che è stata<br />

teatro di una delle più drammatiche e sanguinose operazioni militari <strong>della</strong><br />

storia recente, che ha comportato l’uso di armi sofisticatissime, che probabilmente<br />

è stata anche utilizzata come campo di sperimentazione per<br />

nuovi sistemi d’arma. Oggi le informazioni che ci arrivano da quella città<br />

fantasma ci parlano di decine e decine di bambini morti in conseguenza<br />

dell’uso di queste armi letali.<br />

Ebbene, noi chiediamo con un ordine del giorno che l’Italia si impegni<br />

presso l’Organizzazione mondiale <strong>della</strong> sanità e le Nazioni Unite perché<br />

ci sia un intervento <strong>della</strong> comunità internazionale che possa rafforzare<br />

il settore sanitario ed ospedaliero, al fine di dare agli iracheni la possibilità<br />

di curare i propri figli e di comprendere come meglio assicurare il diritto<br />

all’accesso alla salute pubblica a Falluja e in Iraq. Quindi, spero, credo,<br />

sono convinto che l’ordine del giorno che abbiamo presentato verrà accolto.<br />

Per quanto riguarda il Darfur, non siamo tra quelli che pensano che lì<br />

sia in corso un genocidio. Il Darfur è teatro di un conflitto complesso,<br />

frutto di un intreccio tra competizione per risorse scarse, conflitti etnici,<br />

sociali e scontri tra centro e periferia, che necessita quindi di un intervento<br />

complesso e articolato che non può esaurirsi semplicemente nell’invio di<br />

un contingente ONU che la terminologia diplomatica oggi definisce<br />

ibrido. Infatti, crediamo che in Darfur sia invocata soprattutto una solu-

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