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Senato della Repubblica – 46 – XV LEGISLATURA 281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico 26 febbraio 2008 carsi è per alcune forze che hanno sostenuto l’impegno contro questi provvedimenti un obbligo di carattere politico. Il mio è un invito pertanto a rivedere le posizioni, a pensare che dietro questo sforzo vi è un grande impegno umanitario, la necessità del Paese di rinnovare la sua credibilità internazionale, del Parlamento di fare la sua parte a favore dei tanti uomini in divisa, impegnati nelle missioni a prezzo del sacrificio della vita. (Applausi del senatore Biondi). PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione generale. È iscritto a parlare il senatore Martone. Ne ha facoltà. MARTONE (RC-SE). Signor Presidente, ci apprestiamo a chiudere la discussione su questo decreto-legge che ci ha sempre accompagnato nel corso di questi anni in una discussione articolata sulla politica estera del nostro Paese. Anche questa volta, purtroppo, non abbiamo avuto occasione di svolgere una disamina approfondita rispetto alla filosofia di fondo che ispira le missioni internazionali del nostro Paese ma anche rispetto alla situazione contingente sul terreno. Vorrei ricordare che in questo decreto-legge aumenta in maniera esponenziale il numero delle operazioni nelle quali l’Italia direttamente o indirettamente partecipa. Abbiamo, anche questa volta, chiesto di poter svolgere una disamina più obiettiva e accurata, una discussione articolata, punto per punto, missione per missione, perché ognuna di queste ha una sua specificità particolare. Per ognuna di queste avremmo voluto anche noi proporre una serie di raccomandazioni e di analisi, seppur critiche, che potessero comunque contribuire ad un miglioramento della presenza, del profilo del nostro Paese a livello internazionale. Questo non è stato possibile: non è stato possibile il cosiddetto spacchettamento, ovverosia discutere in maniera articolata e concreta la questione dell’Afghanistan rispetto alle altre missioni, sulle quali in buona parte abbiamo una posizione critica, ma non necessariamente di opposizione netta. Presidenza del vice presidente ANGIUS (ore 18,27) (Segue MARTONE). Sull’Afghanistan, invece, dobbiamo sottolineare appunto la grande difficoltà nel poter contribuire ad un salto di qualità e ad una riconfigurazione della presenza italiana e internazionale del Paese. Ma a questo verrò dopo. La questione che più ci tocca di questo decreto-legge è che per la prima volta, nell’articolato e nel titolo, si osserva una simmetria tra gli interventi di cooperazione allo sviluppo e quelli militari, comunque sia di missioni internazionali che hanno a prevalenza l’uso dello strumento militare. Questo, a mio parere, è sintomo di un preoccupante cambiamento di
Senato della Repubblica – 47 – XV LEGISLATURA 281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico 26 febbraio 2008 cultura, nel quale si pratica, e purtroppo, a nostro parere, una fusione tra la cooperazione civile e le operazione militari. Di fatto, viene consolidata dal punto di vista normativo una prassi finora seguita, in particolare in Iraq o in Afghanistan, nel caso ad esempio delle PRT, Provincial Reconstruction Team. Il primo punto, quindi, sul quale vorrei condividere una riflessione riguarda proprio la confusione che ci si trova a dover osservare tra attività di ricostruzione, aiuto umanitario e lotta alla povertà, da una parte, e attività di controinsurgenza o di controllo militare sul territorio. Per quanto riguarda l’Afghanistan, il tragico recente caso dell’uccisione di un soldato italiano, che stava distribuendo aiuti umanitari in una regione martoriata dalla guerra e dal conflitto ed anche dall’insurgenza talebana, ci dimostra che, se non si fa chiarezza sulla distinzione dei ruoli, sulla necessità di assicurare la neutralità fondamentale degli interventi di ricostruzione umanitaria rispetto alla presenza di contingenti militari, alla fine le due cose vengono percepite come uguali. Quindi, anche chi vuole andare a fare cooperazione allo sviluppo viene visto come parte di un’occupazione militare, a torto o a ragione, e pertanto come un avversario, non come qualcuno che cerca di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni. Ciò ha a che vedere con i princìpi dell’aiuto umanitario, consolidati dal diritto internazionale, di neutralità, rispetto delle parti militari presenti in un teatro di guerra o, comunque sia, di conflitto e, in linea generale, anche con una sorta di riconfigurazione del mandato istituzionale e politico delle grandi istituzioni internazionali dedicate alla sicurezza, NATO in primis, che vorrebbe oggi in Afghanistan, e non solo, proporsi come l’unico ed esclusivo agente globale per la sicurezza internazionale. Ora, tali questioni, che riguardano la governance, la prevenzione diplomatica e non violenta dei conflitti, gli strumenti a disposizione della comunità internazionale, statuale e non, per la prevenzione e la gestione dei conflitti e gli elementi politici di ricostruzione, cooperazione civile e anche di sicurezza, non possono essere esauriti nella discussione che oggi dobbiamo svolgere in tempi fin troppo ristretti. In merito, credo che anche chi oggi parli di missioni di pace debba interrogarsi, perché non possiamo pensare che intervenire in aree di conflitto, inviando esclusivamente contingenti militari ONU o NATO quale modalità unica per risolvere le tensioni, sia lo strumento migliore a disposizione della comunità internazionale. Ora, tali questioni le abbiamo già sollevate in passato e le abbiamo anche cercate di rielaborare nel corso di quest’anno e mezzo di legislatura, in particolare per quanto riguarda l’Afghanistan. La nostra posizione puramente e certamente pacifista non è però di abbandono della responsabilità. Abbiamo voluto cercare di praticare un percorso diverso da quello che vedeva una polarizzazione tra chi chiedeva il ritiro delle truppe sic et simpliciter, ispirato a princìpi anche antichi di antiimperialismo o di pacifismo formale, di maniera, e chi invece voleva e vede ancora in Afghanistan il più importante banco di prova per la sopravvivenza della NATO
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XV LEGISLATURA<br />
281ª Seduta Assemblea - Resoconto stenografico<br />
26 febbraio 2008<br />
cultura, nel quale si pratica, e purtroppo, a nostro parere, una fusione tra la<br />
cooperazione civile e le operazione militari. Di fatto, viene consolidata dal<br />
punto di vista normativo una prassi finora seguita, in particolare in Iraq o<br />
in Afghanistan, nel caso ad esempio delle PRT, Provincial Reconstruction<br />
Team.<br />
Il primo punto, quindi, sul quale vorrei condividere una riflessione<br />
riguarda proprio la confusione che ci si trova a dover osservare tra attività<br />
di ricostruzione, aiuto umanitario e lotta alla povertà, da una parte, e attività<br />
di controinsurgenza o di controllo militare sul territorio.<br />
Per quanto riguarda l’Afghanistan, il tragico recente caso dell’uccisione<br />
di un soldato italiano, che stava distribuendo aiuti umanitari in<br />
una regione martoriata dalla guerra e dal conflitto ed anche dall’insurgenza<br />
talebana, ci dimostra che, se non si fa chiarezza sulla distinzione<br />
dei ruoli, sulla necessità di assicurare la neutralità fondamentale degli interventi<br />
di ricostruzione umanitaria rispetto alla presenza di contingenti<br />
militari, alla fine le due cose vengono percepite come uguali.<br />
Quindi, anche chi vuole andare a fare cooperazione allo sviluppo<br />
viene visto come parte di un’occupazione militare, a torto o a ragione,<br />
e pertanto come un avversario, non come qualcuno che cerca di contribuire<br />
al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni.<br />
Ciò ha a che vedere con i princìpi dell’aiuto umanitario, consolidati<br />
dal diritto internazionale, di neutralità, rispetto delle parti militari presenti<br />
in un teatro di guerra o, comunque sia, di conflitto e, in linea generale,<br />
anche con una sorta di riconfigurazione del mandato istituzionale e politico<br />
delle grandi istituzioni internazionali dedicate alla sicurezza, NATO<br />
in primis, che vorrebbe oggi in Afghanistan, e non solo, proporsi come<br />
l’unico ed esclusivo agente globale per la sicurezza internazionale.<br />
Ora, tali questioni, che riguardano la governance, la prevenzione diplomatica<br />
e non violenta dei conflitti, gli strumenti a disposizione <strong>della</strong><br />
comunità internazionale, statuale e non, per la prevenzione e la gestione<br />
dei conflitti e gli elementi politici di ricostruzione, cooperazione civile e<br />
anche di sicurezza, non possono essere esauriti nella discussione che<br />
oggi dobbiamo svolgere in tempi fin troppo ristretti. In merito, credo<br />
che anche chi oggi parli di missioni di pace debba interrogarsi, perché<br />
non possiamo pensare che intervenire in aree di conflitto, inviando esclusivamente<br />
contingenti militari ONU o NATO quale modalità unica per risolvere<br />
le tensioni, sia lo strumento migliore a disposizione <strong>della</strong> comunità<br />
internazionale.<br />
Ora, tali questioni le abbiamo già sollevate in passato e le abbiamo<br />
anche cercate di rielaborare nel corso di quest’anno e mezzo di legislatura,<br />
in particolare per quanto riguarda l’Afghanistan. La nostra posizione puramente<br />
e certamente pacifista non è però di abbandono <strong>della</strong> responsabilità.<br />
Abbiamo voluto cercare di praticare un percorso diverso da quello che vedeva<br />
una polarizzazione tra chi chiedeva il ritiro delle truppe sic et simpliciter,<br />
ispirato a princìpi anche antichi di antiimperialismo o di pacifismo<br />
formale, di maniera, e chi invece voleva e vede ancora in Afghanistan<br />
il più importante banco di prova per la sopravvivenza <strong>della</strong> NATO