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F. TERRANOVA, Osservazioni su Gai 2.108 pp. 281 - Università di ...

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moni i loro futuri ere<strong>di</strong>, recependo così il consilium antiquorum. 89 Ciò<br />

non toglie che quest’ultimo potesse essersi già sostanziato in affermazioni<br />

e considerazioni del tipo <strong>di</strong> quelle accennate in D. 28.1.20 pr. e<br />

D. 22.5.10. Giustiniano, a nostro modo <strong>di</strong> vedere, portò a compimento<br />

e rese esplicite le soluzioni <strong>di</strong> alcuni giuristi, fra cui Ulpiano<br />

(forse anche Pomponio), che, <strong>su</strong>l punto, si erano già fatti portavoce in<br />

maniera decisa dell’o<strong>pp</strong>ortunità <strong>di</strong> non impiegare nel proprio testamento<br />

l’erede come testimone. 90<br />

Mentre, però, nel Digesto la selezione dei frammenti, operata dai<br />

compilatori, non consente più <strong>di</strong> cogliere il <strong>di</strong>battito giurisprudenziale,<br />

che, <strong>su</strong>l punto, come abbiamo argomentato, doveva verosimilmente<br />

<strong>su</strong>ssistere, il manuale imperiale e la Parafrasi <strong>di</strong> Teofilo – nonché <strong>Gai</strong><br />

<strong>2.108</strong> dal quale siamo partiti – conservano chiare tracce del <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o e<br />

del conseguente stato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne e incertezza che da esso derivava.<br />

5.1. Ci sembra o<strong>pp</strong>ortuno esaminare adesso la posizione del legatario,<br />

che abbiamo lasciato in sospeso. <strong>Gai</strong>o attesta che questi (nonché<br />

is... qui in potestate ...legatarii est, cuiu<strong>su</strong>e... legatarius in potestate est,<br />

quique in eiusdem potestate est), allo stesso modo dell’erede, poteva essere<br />

iure adhibitus come testimone nel testamento librale. Per il primo<br />

89 Di <strong>di</strong>verso avviso G. LUCHETTI, La legislazione imperiale, cit., 219, il quale evidenzia<br />

che l’uso del presente conce<strong>di</strong>mus, che sembrerebbe far riferimento a un’innovazione introdotta<br />

dai compilatori giustinianei, è smentito dall’inciso conclusivo: ideoque nec eiusmo<strong>di</strong><br />

veterem constitutionem nostro co<strong>di</strong>ci inseri permisimus. Secondo l’autore non vi era, quin<strong>di</strong>,<br />

stata alcuna «a<strong>pp</strong>osita costituzione imperiale <strong>di</strong> riforma», in quanto l’abrogazione della vetus<br />

constitutio era «avvenuta attraverso l’attività dei compilatori che si erano limitati ad escluderla<br />

dalla raccolta <strong>di</strong> leges» (così op. cit., 219 nt. 131). A nostro modo <strong>di</strong> vedere, invece, la frase<br />

‘...licentiam conce<strong>di</strong>mus sibi quodammodo testimonia praestare’ si riferisce al fatto che Giustiniano,<br />

com’è detto più <strong>su</strong> nel testo, intervenne trasferendo in legis necessitatem, quod ab illis<br />

(ovvero dai veteres) <strong>su</strong>a<strong>su</strong>m est. Ciò non ci sembra, inoltre, in contrad<strong>di</strong>zione con l’inciso finale,<br />

non a caso introdotto dalla locuzione ideoque (a motivo <strong>di</strong> ciò), che in<strong>di</strong>cherebbe dunque<br />

un’ulteriore conseguenza, <strong>di</strong>scendente dall’accoglimento del principio <strong>su</strong>ggerito dai veteres<br />

e reso vincolante da Giustiniano: l’esclusione, cioè, <strong>di</strong> una costituzione imperiale precedente,<br />

che, riprendendo il risalente regime in<strong>di</strong>cato in <strong>Gai</strong> <strong>2.108</strong>, concedeva al testatore la<br />

facoltà <strong>di</strong> adhibere l’erede come testimone nello stesso testamento librale.<br />

90 V., in argomento, F. GLÜCK, Commentario alle Pandette. Libro XXVIII, cit., 332,<br />

con altra letteratura. Sul punto è stato, inoltre, ipotizzato che già lo stesso Sabino «probabilmente<br />

riteneva incapace <strong>di</strong> testimoniare... l’erede, chi avesse in potestà l’erede o fosse in<br />

<strong>su</strong>a potestà». Così R. ASTOLFI, I libri tres iuris civilis <strong>di</strong> Sabino, cit., 194.<br />

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