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una forte mareggiata di grecale.<br />
Le onde erano entrate<br />
nella cala e con il loro movimento<br />
vorticoso avevano<br />
spostato tonnellate di sabbia,<br />
che si erano accumulate in<br />
un versante lasciando allo<br />
scoperto l’altro. Ed è stato<br />
fra le rocce messe a nudo<br />
dalla corrente che abbiamo<br />
visto i resti di una piccola nave<br />
di legno, fino allora rimasti<br />
sepolti nel fondo: un albero<br />
spezzato, diverse ordinate,<br />
qualche coccio, giunti e lastre<br />
di rame trafitti da chiodi a testa<br />
quadra.<br />
Dunque c’era stato un naufragio,<br />
che i reperti recuperati<br />
indicavano avvenuto intorno<br />
al diciannovesimo secolo.<br />
Ma non era eccessivo<br />
tutto quel carbone per una<br />
piccola unità che probabilmente<br />
aveva affidato la maggior<br />
parte della sua propulsione<br />
alla vela? Le ricerche<br />
storiche che avevamo da poco<br />
terminato per dare un<br />
contorno e un senso ai resti<br />
di una nave erariale romana<br />
carica di bronzo individuata<br />
a non molta distanza da Cala<br />
Morell (SUB n. 210 del mese<br />
di marzo 2003) ci avevano<br />
già messo a conoscenza del<br />
fatto che fino a pochi decenni<br />
prima in tutta questa parte<br />
dell’isola si produceva carbone<br />
di legna. C ’era un nesso<br />
fra il materiale sparso sul fondo<br />
e il relitto? Probabilmente<br />
sì, ma bisognava indagare più<br />
a fondo.<br />
Dopo aver consultato gli archivi<br />
comunali di Ciudadela,<br />
i registri della Capitaneria di<br />
Porto e la biblioteca, abbiamo<br />
coinvolto nelle ricerche<br />
anche il massimo esperto di<br />
naufragi di Minorca, il giornalista<br />
e scrittore Alfonso Buenaventura,<br />
con il quale avevamo<br />
già collaborato in passato.<br />
Alfonso aveva la casa<br />
piena di appunti e di vecchie<br />
scritture riguardanti gli affondamenti<br />
avvenuti intorno all’isola<br />
negli ultimi duecento<br />
anni e così, facendo confron-<br />
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ti di date e di nomi, piano<br />
piano siamo riusciti a risalire<br />
a una storia attendibile.<br />
“Margaret” era un’imbarcazione<br />
inglese con la matricola<br />
di Sunderland e trecentoquattordici<br />
tonnellate di dislocamento.<br />
Era stata varata<br />
nel 1860 ed era stata costruita<br />
particolarmente robusta<br />
per consentirle di fare<br />
molta navigazione costiera<br />
anche nei luoghi più fuori<br />
mano, dove sarebbe dovuta<br />
entrare in baie e insenature<br />
anguste, magari irte di scogli<br />
affioranti, per caricare il carbone<br />
di legna comprato a<br />
buon mercato direttamente<br />
dagli artigiani sparsi nei piccoli<br />
centri. Lo scafo era di legno,<br />
ma solido. P er proteggerla<br />
dai bassi fondali in cui si<br />
sarebbe spinta, la chiglia era<br />
stata completamente ricoperta<br />
con spesse lastre di rame<br />
inchiodate in modo da<br />
formare una corazza nella<br />
parte più vulnerabile dello<br />
scafo.<br />
Il 3 giugno 1867, “Margaret”<br />
era ancorata a Cala Morell.<br />
Nonostante il tempo minacciasse<br />
di cambiare, si era fermata<br />
per caricare una partita<br />
di carbone, che, una volta<br />
venduto in Inghilterra, sarebbe<br />
servito per la produzione<br />
di gas. Le operazioni di carico,<br />
fatte a mano passando i<br />
sacchi colmi e pesanti dagli<br />
scogli alla barca appoggio e<br />
da questa alla nave, portarono<br />
via più tempo del previsto<br />
e quando arrivò impetuoso<br />
il nordest il capitano<br />
William Smart, che era al comando,<br />
si rese conto che era<br />
ormai troppo tardi per uscire<br />
dal ridosso.<br />
Il mare continuava ad aumentare<br />
e dopo qualche ora<br />
era diventato pericoloso.<br />
Smart fece mettere due ancore<br />
a V di prua e fece legare<br />
la poppa agli scogli subito<br />
sotto la Punta dell’Elefante.<br />
Poi sperò nella buona sorte.<br />
Ma non fu abbastanza. Le<br />
creste delle onde superaro-<br />
no l’Elefante e piombarono<br />
sulla nave che, presa sul fianco,<br />
cominciò a tirare sulle cime<br />
e a urtare con la poppa<br />
gli scogli affioranti della riva.<br />
Prima di sera, affondò in poco<br />
più di 10 metri d’acqua,<br />
ma, grazie al carico pesante<br />
che aveva a bordo, rimase in<br />
assetto di navigazione, senza<br />
rovesciarsi.<br />
La nave aveva solamente sette<br />
anni di vita, era piena di<br />
carbone, che poteva essere<br />
asciugato e venduto ugualmente<br />
come se niente fosse<br />
avvenuto, e la profondità era<br />
irrisoria. Così, i suoi armatori<br />
decisero di tentarne il recupero<br />
e mandarono a Cala<br />
Morell, allora selvaggia, deserta<br />
e fuori mano, un esperto<br />
sommozzatore, il quale visitò<br />
lo scafo, si rese conto<br />
che i danni erano riparabili e<br />
sovrintese ai lavori per riportare<br />
tutto a galla. Nella cala,<br />
approfittando delle calme<br />
estive, venne ancorata una<br />
piattaforma galleggiante su<br />
cui si avvicendarono molte<br />
squadre di operai.<br />
Nei primi giorni di settembre<br />
“Margaret” galleggiava con il<br />
carbone ancora nella stiva,<br />
ma il destino delle navi è un<br />
po’ come quello degli uomini:<br />
è già scritto, e non si può<br />
cambiare. Qualche giorno<br />
dopo, mentre i carpentieri<br />
stavano finendo gli ultimi lavori<br />
di allestimento per permetterle<br />
di riprendere la na-<br />
vigazione, “Margaret” venne<br />
investita da un’altra burrasca<br />
che flagellò la costa nord di<br />
Minorca. Erano le prime avvisaglie<br />
delle intemperie autunnali,<br />
ma il piccolo bastimento<br />
da trasporto, non ancora<br />
in grado di rimettersi in<br />
mare, fu nuovamente sopraffatto<br />
dai marosi. Affondò<br />
per la seconda volta quasi<br />
nello stesso punto della prima.<br />
E lì rimase disfacendosi<br />
lentamente e sparpagliando<br />
il suo carico nella cala.<br />
<br />
Sembrava che il mistero del<br />
carbone di Cala Morell fosse<br />
risolto quando un giorno,<br />
esaminando i pezzi recuperati<br />
e lasciati ad asciugare al<br />
sole nella sede minorchina<br />
della PDD, a Maurizio Macori<br />
è venuto un dubbio: il carbone<br />
non era tutto della medesima<br />
qualità. Alcuni reperti<br />
erano grezzi e si vedeva<br />
chiaramente che provenivano<br />
dal legno consunto, di cui<br />
si notavano ancora i cerchi<br />
concentrici, mentre altri, più<br />
grandi e squadrati, avevano<br />
un aspetto compatto e una<br />
Teia Macori<br />
mostra i pezzi<br />
di carbone che<br />
ancora si<br />
trovano sui<br />
fondali di Cala<br />
Morell e hanno<br />
messo i sub<br />
sulle tracce<br />
della Torre del<br />
Oro. Le lunghe<br />
esplorazioni<br />
sono state<br />
fatte con il Ccr<br />
Buddy<br />
Inspiration.<br />
consistenza notevolmente<br />
superiore. Uno di questi era<br />
addirittura tondo come una<br />
boccia e levigato come una<br />
lastra di marmo passata sotto<br />
una mola. Doveva aver<br />
fatto un sacco di strada per<br />
ridursi così. Data la sua peculiarità,<br />
ci ricordavamo che<br />
non l’avevamo trovato dentro<br />
la cala, bensì fuori, sulla<br />
punta, a una ventina di metri<br />
di profondità. Certamente<br />
questo carbone non era stato<br />
fatto bruciando empiricamente<br />
i tronchi di pino e di<br />
leccio, ma era un carbone di<br />
ottima qualità e più raffinato,<br />
che doveva produrre molte<br />
calorie durante la combustione.<br />
Da dove proveniva se<br />
non era di Cala Morell?<br />
Una domanda tira l’altra e alla<br />
fine ci siamo convinti che<br />
le nostre indagini non erano<br />
ancora terminate. Un carbone<br />
di quel tipo poteva stare<br />
bene nella fornace di una<br />
grande fabbrica metallurgica<br />
del continente, su una locomotiva<br />
a vapore, oppure nella<br />
caldaia di una grande nave.<br />
Visto che eravamo su un’isola<br />
priva di industrie e di ferrovie,<br />
abbiamo tutti concordato<br />
che l’ipotesi della nave<br />
fosse la più verosimile. Ma<br />
come poteva finire fuori bordo<br />
un pezzo di carbone che<br />
normalmente sta nella sala<br />
macchine, e quindi ben sottocoperta?<br />
Certo, qualcuno<br />
avrebbe potuto gettarlo in<br />
mare per una ragione o l’altra,<br />
ma la sfera non era unica.<br />
Nei paraggi c’erano altri<br />
blocchi della stessa qualità,<br />
sebbene di forme diverse. E<br />
non riuscivamo a immaginarcelo<br />
un marinaio che si divertisse<br />
a trasportare i pezzi<br />
di carbone uno per uno dalla<br />
stiva al ponte per poi buttarli<br />
in acqua. Era più facile<br />
pensare che il carbone fosse<br />
finito sul fondo con tutta la<br />
nave.<br />
Di naufragi importanti nella<br />
zona ce n’erano stati parecchi<br />
in passato. A Ciudadela la<br />
gente si ricordava ancora bene<br />
della terribile tragedia del<br />
“General Chanzy”, un postale<br />
francese lungo centonove<br />
metri e dislocanteduemilanovecentoventi<br />
tonnellate<br />
che il 9 febbraio<br />
1910<br />
si schiantò<br />
contro la<br />
scogliera del<br />
Codolar de<br />
Sa T orre<br />
Nova. Vi erano imbarcati ottantasette<br />
marinai e settanta<br />
passeggeri. Uno soltanto si<br />
salvò miracolosamente, centocinquantasei<br />
furono i morti<br />
e i dispersi. Il posto della<br />
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