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SUB241@68-81 TORRE DEL ORO

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lasciava qualche secondo di<br />

tregua tra una raffica e l’altra,<br />

ma non diminuiva la sua forza.<br />

Pioveva, ma meno intensamente<br />

di prima. Ed ecco<br />

ancora il suono disperato, lamentoso,<br />

della sirena. Questa<br />

volta più distinto, più vicino.<br />

Fuori albeggiava, Ernesto<br />

si coprì di nuovo e fece<br />

per uscire, perché non capiva<br />

che cosa stesse succedendo.<br />

Il giovane Miguel questa<br />

volta insistette per accompagnarlo<br />

e così padre e figlio si<br />

diressero verso la scogliera<br />

che sovrastava la cala a nord<br />

est. In basso il mare ribolliva<br />

e l’aria era satura di schiuma.<br />

Le onde superavano la Punta<br />

dell’Elefante, passavano sopra<br />

la spiaggia di sassi che<br />

c’era sul fondo, dove una volta<br />

sfociava un fiumiciattolo, e<br />

lambivano una folta macchia<br />

di canne stretta in una gola di<br />

roccia. La sirena era continua,<br />

insistente e struggente<br />

come un grido di dolore. Ernesto<br />

e Miguel Borràs si arrampicarono<br />

quasi correndo<br />

e quando furono in alto, al di<br />

sopra delle piante, la videro:<br />

a qualche decina di metri dal-<br />

l’Elefante, tra l’imboccatura<br />

della cala e Sa Punta de s’Escullar,<br />

che chiudeva a ponente<br />

l’ampio anfiteatro della<br />

Baia Morell, c’era una<br />

grande nave in balia delle onde.<br />

Lo scafo, senza governo,<br />

appariva malconcio ed era inclinato<br />

su un lato, probabilmente<br />

per lo sbandamento<br />

del carico, mentre la prua<br />

era rivolta verso la scogliera,<br />

una parete verticale alta più<br />

di ottanta metri resa quasi invisibile<br />

dal salino in sospensione<br />

nell’aria, tanto fitto e<br />

denso da essere scambiato<br />

per nebbia. Un uomo gesticolava<br />

sulle alette di plancia;<br />

in coperta, tenendosi saldamente<br />

ai corrimano per non<br />

cadere in mare mentre le<br />

ondate la spazzavano, si<br />

muovevano convulsamente<br />

parecchi marinai, che correvano<br />

da una fiancata all’altra<br />

senza sapere che cosa fare<br />

per mettersi in salvo. Istanti<br />

terribili. Le onde di ritorno,<br />

dopo essersi schiantate contro<br />

le rocce, rallentarono la<br />

corsa del piroscafo, che a<br />

quel punto sembrava in bilico<br />

tra due forze contrastanti.<br />

Pareva che il tempo si fosse<br />

fermato. Ma dal largo arrivò<br />

una montagna d’acqua spumeggiante<br />

più alta e possente<br />

delle altre che sollevò la<br />

poppa e la scagliò in avanti<br />

come se non pesasse niente.<br />

Si udì un tremendo clangore<br />

di lamiere spezzate, la prua<br />

finì dritta sugli scogli mentre<br />

la poppa cadde di schianto<br />

nell’incavo dell’onda. Lo<br />

scafo, lungo più di ottanta<br />

metri, si torse e si ruppe in<br />

due tronconi. La metà poppiera<br />

affondò subito, travolta<br />

dai frangenti, quella prodiera<br />

la seguì poco dopo, scivolò<br />

all’indietro e scomparve a<br />

sua volta nei flutti. Quella nave<br />

si chiamava “ Torre del<br />

Oro”, batteva bandiera spagnola,<br />

era adibita al trasporto<br />

delle merci e aveva trenta<br />

uomini di equipaggio. Soltanto<br />

due di loro si salvarono.<br />

<br />

Cala Morell oggi ha meno alberi<br />

di una volta, abbattuti<br />

per far posto alle bianche casette<br />

di una urbanizzazione<br />

turistica che si riempie di<br />

gente soltanto in luglio e agosto.<br />

Per il resto dell’anno non<br />

c’è anima viva e il suo basso<br />

Il fondo sabbioso di Cala Morell, che<br />

nasconde ancora i resti di una nave<br />

carbonera affondata nel 1897. A destra,<br />

alcune ordinate della Torre del Oro.<br />

fondale, un misto di sabbia,<br />

posidonie e sassi, diventa un<br />

grande acquario dove si possono<br />

incontrare i rappresentanti<br />

di quasi tutte le forme<br />

di vita minuta del Mediterraneo<br />

occidentale. Si entra in<br />

acqua da un comodo scivolo<br />

un tempo adoperato dai pescatori<br />

per varare e salpare<br />

le barche e ora fuori uso, ci<br />

si allontana qualche metro da<br />

riva e si vaga per ore fra i 3 e<br />

i 15 metri di profondità in<br />

cerca di animaletti strani da<br />

fotografare. Sono immersioni<br />

divertenti e rilassanti, che<br />

noi del PDD (Pfeiffer’s Deep<br />

Divers), il gruppo di subacquei<br />

tecnici di SUB, facciamo<br />

soprattutto quando il mare è<br />

troppo mosso per spingerci<br />

al largo o quando ci imponiamo<br />

di fare una pausa tra una<br />

discesa impegnativa e l’altra.<br />

Ed è stato così, frugando con<br />

la macchina fotografica fra le<br />

alghe e le pietre, che ci siamo<br />

accorti che un po’ da per<br />

tutto, sul fondo, c’erano<br />

grossi sassi neri con gli spigoli<br />

arrotondati e levigati dalla<br />

risacca. In principio abbiamo<br />

pensato che si trattasse addirittura<br />

di bitume, perché, nonostante<br />

i divieti e le multe<br />

salate, molte petroliere lavano<br />

ancora in alto mare i serbatoi<br />

vuoti e le scorie vengono<br />

trasportate ovunque dalle<br />

correnti. Poi ci siamo resi<br />

conto che quei sassi dalle forme<br />

diverse pesavano meno<br />

di quanto ci saremmo aspettati<br />

dalla loro mole. Ne abbiamo<br />

recuperati alcuni e a<br />

Maurizio Macori, il geologo<br />

del team, è bastata un’occhiata<br />

per capire che avevamo<br />

tra le mani semplici pezzi<br />

di carbone lisciati e scolpiti<br />

dal mare.<br />

Ma che cosa ci faceva lì tutto<br />

quel carbone? Se ne trovava<br />

ovunque: nella sabbia, fra le<br />

radici delle posidonie, sugli<br />

scogli. E persino fuori dalla<br />

cala, sotto la Punta dell’Elefante<br />

e sotto la punta più a<br />

nord, dove, ormai saldata<br />

nella roccia, c’era anche<br />

un’ancora ammiragliato, che<br />

però, in considerazione dell’età<br />

presunta, dovrebbe appartenere<br />

all’epoca dei grandi<br />

velieri e non a quella delle<br />

navi a vapore. Il quesito cominciava<br />

a diventare appassionante<br />

e assieme a Maurizio,<br />

Enrico Guidi, Alejandro<br />

Fernandez e Jordi Moya, tutti<br />

validi membri del PDD, abbiamo<br />

fatto molte immersioni<br />

invernali nella speranza di<br />

trovare la soluzione.<br />

Il primo indizio serio lo abbiamo<br />

avuto al termine di

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