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SUB241@68-81 TORRE DEL ORO

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Ernesto Borràs era un uomo<br />

forte, basso, ma con le<br />

spalle e la schiena larghe e<br />

muscolose di chi lavora all’aria<br />

aperta tagliando la legna.<br />

Viveva in una casetta nella<br />

campagna vicino a Ciudadela,<br />

nella costa nord ovest di Minorca.<br />

Ma la maggior parte<br />

del tempo la passava a Cala<br />

Morell, una baietta solitaria a<br />

una decina di chilometri di distanza,<br />

dove i pini marittimi<br />

e i lecci crescevano duri e<br />

contorti a causa del salino e<br />

del forte vento di tramontana<br />

che lì arrivava direttamente<br />

dal mare. Quel legno,<br />

una volta tagliato in misura,<br />

veniva poi accatastato a forza<br />

di braccia in una delle tante<br />

grotte naturali che si aprivano<br />

dietro i bassi cespugli della<br />

macchia mediterranea, in<br />

un barranco che a levante<br />

serpeggiava su, fino in cima<br />

alla scogliera. I rami e i tronchi<br />

venivano incendiati ancora<br />

freschi di resina e quindi<br />

Borràs chiudeva la cavità con<br />

pietre e terra, in modo che<br />

la fiamma, dopo aver consumato<br />

la maggior parte dell’ossigeno,<br />

non potesse divampare<br />

e consumasse il legno<br />

lentamente, trasforman-<br />

dolo in carbone. Quello, infatti,<br />

era il suo mestiere: faceva<br />

il carbonaio.<br />

Periodicamente, una piccola<br />

nave gettava l’ancora nella<br />

cala, caricava il carbone riposto<br />

in sacchi, che venivano<br />

portati a spalla fino alla riva, e<br />

salpava per fare rotta su Tarragona<br />

o Barcellona, dove<br />

aspettavano i compratori.<br />

Era da tempo immemore<br />

che a Cala Morell e nel circondario<br />

si produceva carbone.<br />

Pare che avessero cominciato<br />

a farlo, con i pini<br />

seccati dal sale, addirittura i<br />

romani quando colonizzarono<br />

l’isola. Ernesto Borràs non<br />

faceva altro che continuare<br />

una tradizione di famiglia. L’unico<br />

vero problema era che<br />

la cala non era affatto sicura<br />

come sembrava. Tranquilla e<br />

idilliaca quando c’era bel<br />

tempo, rappresentava un<br />

buon ridosso solo con i venti<br />

da sud e diventava una<br />

trappola infernale con quelli<br />

da nord. Un bastione alto e<br />

brullo la riparava a settentrione<br />

e una punta più piccola,<br />

con in cima una pietra bucata<br />

e intarsiata dalla salsedine,<br />

la chiudeva a ponente.<br />

Quella roccia, che assomi-<br />

gliava alla scultura di un pachiderma,<br />

aveva finito per<br />

dare il nome al posto, che infatti<br />

sulle mappe era indicato<br />

come Sa Punta de s’Elefant,<br />

la Punta dell’Elefante. Chi<br />

non era pratico del luogo<br />

avrebbe potuto pensare che<br />

quei due bracci naturali protesi<br />

verso il mare aperto come<br />

una tenaglia sarebbero<br />

stati sufficienti a fermare la<br />

furia degli elementi. Invece le<br />

grandi ondate del nord riuscivano<br />

a superarli e aggirarli<br />

trasformando uno specchio<br />

d’acqua solitamente placido<br />

in una impressionante bolgia<br />

di gorghi. La superficie diventava<br />

bianca di schiuma e<br />

qualsiasi barca fosse stata<br />

sorpresa al suo interno sarebbe<br />

sicuramente finita sugli<br />

scogli.<br />

Ernesto Borràs lo sapeva,<br />

perché era già successo, tanti<br />

anni prima. Glielo aveva<br />

raccontato suo padre: un<br />

motoveliero che si era fermato<br />

per caricare carbone<br />

non era scappato in tempo e<br />

una burrasca di tramontana<br />

lo aveva affondato proprio lì,<br />

in mezzo alla cala. E non era<br />

stata nemmeno la prima nave<br />

a fare quella fine, almeno a<br />

giudicare dai cocci di anfore<br />

che si intravedevano sul fondo<br />

quando l’acqua era trasparente<br />

e azzurra. Non per<br />

niente la costa settentrionale<br />

di Minorca era temutissima<br />

dai naviganti sin dall’antichità:<br />

bassa sul mare e immersa in<br />

una impenetrabile foschia,<br />

spesso si vedeva solo quando<br />

era ormai troppo tardi<br />

per correggere la rotta mentre<br />

le onde e il vento incalzavano<br />

da poppa.<br />

Il 25 ottobre 1921 era una di<br />

quelle giornate in cui si sarebbe<br />

fatto meglio a non<br />

uscire di casa. L’inverno era<br />

arrivato in anticipo e all’improvviso.<br />

Faceva freddo, pioveva<br />

a dirotto, la tramontana<br />

superava i cento chilometri<br />

all’ora e si scagliava sull’isola<br />

sibilando e portando con<br />

sé la spuma delle onde, alte<br />

più di dieci metri e lunghissime.<br />

Vere e proprie montagne<br />

d’acqua. I pini e i lecci di<br />

Cala Morell gemevano e si<br />

piegavano sotto la furia del<br />

vento. Il frastuono era esasperante<br />

e la visibilità quasi<br />

nulla. A renderla ancora più<br />

precaria ci si mettevano anche<br />

banchi di nebbia che a<br />

folate arrivavano turbinando<br />

dal mare.<br />

Ernesto era lì già da un paio<br />

di giorni assieme al figlio<br />

maggiore, Miguel, che aveva<br />

dodici anni. Quando aveva<br />

molto da fare, per risparmiare<br />

tempo non andava a casa,<br />

che si poteva raggiungere solo<br />

percorrendo un angusto<br />

sentiero tra i rovi e una tortuosa<br />

strada sterrata che univa<br />

la proprietà dei marchesi<br />

Hesquella di La Val a Ciudadela,<br />

ma si fermava a dormire<br />

in un rifugio fatto alla maniera<br />

delle vecchie capanne<br />

minorchine: una buca scavata<br />

sotto una roccia e ricoperta<br />

da una grossa lastra di<br />

pietra, con una sola apertura<br />

per entrare e uscire. Quelle<br />

abitazioni le facevano gli antichi<br />

abitanti di Minorca già<br />

nell’Età del Bronzo e ce n’erano<br />

ancora molte nella campagna.<br />

Venivano adoperate,<br />

per lo più, come magazzini<br />

dove riporre gli attrezzi agricoli,<br />

come stalle e, in certi casi,<br />

anche per dormire nelle<br />

situazioni di emergenza. Avevano<br />

il vantaggio che, essendo<br />

scavate nella terra, nel<br />

tufo o nell’arenaria, non potevano<br />

essere abbattute dall’impeto<br />

del vento.<br />

Borràs aveva letto nel cielo<br />

i segni premonitori della tramontana,<br />

ma, data la stagione,<br />

non poteva prevedere<br />

che sarebbe stata così forte<br />

e che sarebbe stata accompagnata<br />

da tutta quella piog-<br />

gia. Così aveva interrotto il<br />

lavoro e passato la giornata<br />

chiuso nel rifugio con suo figlio.<br />

All’imbrunire aveva acceso<br />

un fuoco, che saturava<br />

l’ambiente di fumo ma permetteva<br />

di stare al caldo nonostante<br />

l’umidità. Le ore<br />

della notte erano passate su<br />

un pagliericcio, tra il sonno<br />

e la veglia. Il ragazzo dormiva,<br />

ma lui non poteva fare a<br />

meno di sentire il sibilo<br />

del vento, che nelle raffiche<br />

sembrava quasi un fischio<br />

modulato. Di tanto<br />

in tanto si udiva qualche<br />

rumore più forte: un ramo<br />

spezzato, uno schianto<br />

misterioso, il battere<br />

furioso della pioggia sui<br />

sassi. E sotto, come la sinfonia<br />

di un’orchestra, il ruggito<br />

del mare.<br />

D’un tratto Ernesto Borràs<br />

ebbe la sensazione che in<br />

mezzo a quel frastuono assordante<br />

ci fosse qualcos’altro.<br />

Una sirena? Si raddrizzò<br />

a sedere, ascoltò con attenzione<br />

e... sì, sembrava che oltre<br />

all’urlo ossessionante della<br />

tramontana ci fosse il suo-<br />

Dall’alto,<br />

l’ampia<br />

insenatura<br />

della Baia<br />

Morell, a<br />

Minorca, e il<br />

Cul de Sa<br />

Ferrada. A<br />

sinistra, un<br />

pezzo della<br />

coperta della<br />

Torre del Oro.<br />

no lacerante di una sirena,<br />

che andava e veniva con il<br />

vento. Saranno state le cinque<br />

o al massimo le sei del<br />

mattino del 26 ottobre, fuori<br />

era ancora buio. R accomandò<br />

al figlio di non muoversi,<br />

prese una lampada e<br />

uscì sotto la pioggia. Il freddo<br />

lo paralizzava e si incuneava<br />

sotto la giacca di panno,<br />

l’acqua gelata gli colava<br />

giù per il collo. Sembrava<br />

proprio di sentire una sirena.<br />

Si diresse verso il mare,<br />

salì in cima a una roccia e<br />

cercò di scrutare nell’oscurità<br />

che si stava appena appena<br />

diradando. Non vide<br />

niente. Ma nemmeno la sirena<br />

si sentiva più. Sarà stata<br />

la tempesta, pensò, e<br />

tornò alla capanna.<br />

Era passata un’ora. Il vento<br />

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