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Ernesto Borràs era un uomo<br />
forte, basso, ma con le<br />
spalle e la schiena larghe e<br />
muscolose di chi lavora all’aria<br />
aperta tagliando la legna.<br />
Viveva in una casetta nella<br />
campagna vicino a Ciudadela,<br />
nella costa nord ovest di Minorca.<br />
Ma la maggior parte<br />
del tempo la passava a Cala<br />
Morell, una baietta solitaria a<br />
una decina di chilometri di distanza,<br />
dove i pini marittimi<br />
e i lecci crescevano duri e<br />
contorti a causa del salino e<br />
del forte vento di tramontana<br />
che lì arrivava direttamente<br />
dal mare. Quel legno,<br />
una volta tagliato in misura,<br />
veniva poi accatastato a forza<br />
di braccia in una delle tante<br />
grotte naturali che si aprivano<br />
dietro i bassi cespugli della<br />
macchia mediterranea, in<br />
un barranco che a levante<br />
serpeggiava su, fino in cima<br />
alla scogliera. I rami e i tronchi<br />
venivano incendiati ancora<br />
freschi di resina e quindi<br />
Borràs chiudeva la cavità con<br />
pietre e terra, in modo che<br />
la fiamma, dopo aver consumato<br />
la maggior parte dell’ossigeno,<br />
non potesse divampare<br />
e consumasse il legno<br />
lentamente, trasforman-<br />
dolo in carbone. Quello, infatti,<br />
era il suo mestiere: faceva<br />
il carbonaio.<br />
Periodicamente, una piccola<br />
nave gettava l’ancora nella<br />
cala, caricava il carbone riposto<br />
in sacchi, che venivano<br />
portati a spalla fino alla riva, e<br />
salpava per fare rotta su Tarragona<br />
o Barcellona, dove<br />
aspettavano i compratori.<br />
Era da tempo immemore<br />
che a Cala Morell e nel circondario<br />
si produceva carbone.<br />
Pare che avessero cominciato<br />
a farlo, con i pini<br />
seccati dal sale, addirittura i<br />
romani quando colonizzarono<br />
l’isola. Ernesto Borràs non<br />
faceva altro che continuare<br />
una tradizione di famiglia. L’unico<br />
vero problema era che<br />
la cala non era affatto sicura<br />
come sembrava. Tranquilla e<br />
idilliaca quando c’era bel<br />
tempo, rappresentava un<br />
buon ridosso solo con i venti<br />
da sud e diventava una<br />
trappola infernale con quelli<br />
da nord. Un bastione alto e<br />
brullo la riparava a settentrione<br />
e una punta più piccola,<br />
con in cima una pietra bucata<br />
e intarsiata dalla salsedine,<br />
la chiudeva a ponente.<br />
Quella roccia, che assomi-<br />
gliava alla scultura di un pachiderma,<br />
aveva finito per<br />
dare il nome al posto, che infatti<br />
sulle mappe era indicato<br />
come Sa Punta de s’Elefant,<br />
la Punta dell’Elefante. Chi<br />
non era pratico del luogo<br />
avrebbe potuto pensare che<br />
quei due bracci naturali protesi<br />
verso il mare aperto come<br />
una tenaglia sarebbero<br />
stati sufficienti a fermare la<br />
furia degli elementi. Invece le<br />
grandi ondate del nord riuscivano<br />
a superarli e aggirarli<br />
trasformando uno specchio<br />
d’acqua solitamente placido<br />
in una impressionante bolgia<br />
di gorghi. La superficie diventava<br />
bianca di schiuma e<br />
qualsiasi barca fosse stata<br />
sorpresa al suo interno sarebbe<br />
sicuramente finita sugli<br />
scogli.<br />
Ernesto Borràs lo sapeva,<br />
perché era già successo, tanti<br />
anni prima. Glielo aveva<br />
raccontato suo padre: un<br />
motoveliero che si era fermato<br />
per caricare carbone<br />
non era scappato in tempo e<br />
una burrasca di tramontana<br />
lo aveva affondato proprio lì,<br />
in mezzo alla cala. E non era<br />
stata nemmeno la prima nave<br />
a fare quella fine, almeno a<br />
giudicare dai cocci di anfore<br />
che si intravedevano sul fondo<br />
quando l’acqua era trasparente<br />
e azzurra. Non per<br />
niente la costa settentrionale<br />
di Minorca era temutissima<br />
dai naviganti sin dall’antichità:<br />
bassa sul mare e immersa in<br />
una impenetrabile foschia,<br />
spesso si vedeva solo quando<br />
era ormai troppo tardi<br />
per correggere la rotta mentre<br />
le onde e il vento incalzavano<br />
da poppa.<br />
Il 25 ottobre 1921 era una di<br />
quelle giornate in cui si sarebbe<br />
fatto meglio a non<br />
uscire di casa. L’inverno era<br />
arrivato in anticipo e all’improvviso.<br />
Faceva freddo, pioveva<br />
a dirotto, la tramontana<br />
superava i cento chilometri<br />
all’ora e si scagliava sull’isola<br />
sibilando e portando con<br />
sé la spuma delle onde, alte<br />
più di dieci metri e lunghissime.<br />
Vere e proprie montagne<br />
d’acqua. I pini e i lecci di<br />
Cala Morell gemevano e si<br />
piegavano sotto la furia del<br />
vento. Il frastuono era esasperante<br />
e la visibilità quasi<br />
nulla. A renderla ancora più<br />
precaria ci si mettevano anche<br />
banchi di nebbia che a<br />
folate arrivavano turbinando<br />
dal mare.<br />
Ernesto era lì già da un paio<br />
di giorni assieme al figlio<br />
maggiore, Miguel, che aveva<br />
dodici anni. Quando aveva<br />
molto da fare, per risparmiare<br />
tempo non andava a casa,<br />
che si poteva raggiungere solo<br />
percorrendo un angusto<br />
sentiero tra i rovi e una tortuosa<br />
strada sterrata che univa<br />
la proprietà dei marchesi<br />
Hesquella di La Val a Ciudadela,<br />
ma si fermava a dormire<br />
in un rifugio fatto alla maniera<br />
delle vecchie capanne<br />
minorchine: una buca scavata<br />
sotto una roccia e ricoperta<br />
da una grossa lastra di<br />
pietra, con una sola apertura<br />
per entrare e uscire. Quelle<br />
abitazioni le facevano gli antichi<br />
abitanti di Minorca già<br />
nell’Età del Bronzo e ce n’erano<br />
ancora molte nella campagna.<br />
Venivano adoperate,<br />
per lo più, come magazzini<br />
dove riporre gli attrezzi agricoli,<br />
come stalle e, in certi casi,<br />
anche per dormire nelle<br />
situazioni di emergenza. Avevano<br />
il vantaggio che, essendo<br />
scavate nella terra, nel<br />
tufo o nell’arenaria, non potevano<br />
essere abbattute dall’impeto<br />
del vento.<br />
Borràs aveva letto nel cielo<br />
i segni premonitori della tramontana,<br />
ma, data la stagione,<br />
non poteva prevedere<br />
che sarebbe stata così forte<br />
e che sarebbe stata accompagnata<br />
da tutta quella piog-<br />
gia. Così aveva interrotto il<br />
lavoro e passato la giornata<br />
chiuso nel rifugio con suo figlio.<br />
All’imbrunire aveva acceso<br />
un fuoco, che saturava<br />
l’ambiente di fumo ma permetteva<br />
di stare al caldo nonostante<br />
l’umidità. Le ore<br />
della notte erano passate su<br />
un pagliericcio, tra il sonno<br />
e la veglia. Il ragazzo dormiva,<br />
ma lui non poteva fare a<br />
meno di sentire il sibilo<br />
del vento, che nelle raffiche<br />
sembrava quasi un fischio<br />
modulato. Di tanto<br />
in tanto si udiva qualche<br />
rumore più forte: un ramo<br />
spezzato, uno schianto<br />
misterioso, il battere<br />
furioso della pioggia sui<br />
sassi. E sotto, come la sinfonia<br />
di un’orchestra, il ruggito<br />
del mare.<br />
D’un tratto Ernesto Borràs<br />
ebbe la sensazione che in<br />
mezzo a quel frastuono assordante<br />
ci fosse qualcos’altro.<br />
Una sirena? Si raddrizzò<br />
a sedere, ascoltò con attenzione<br />
e... sì, sembrava che oltre<br />
all’urlo ossessionante della<br />
tramontana ci fosse il suo-<br />
Dall’alto,<br />
l’ampia<br />
insenatura<br />
della Baia<br />
Morell, a<br />
Minorca, e il<br />
Cul de Sa<br />
Ferrada. A<br />
sinistra, un<br />
pezzo della<br />
coperta della<br />
Torre del Oro.<br />
no lacerante di una sirena,<br />
che andava e veniva con il<br />
vento. Saranno state le cinque<br />
o al massimo le sei del<br />
mattino del 26 ottobre, fuori<br />
era ancora buio. R accomandò<br />
al figlio di non muoversi,<br />
prese una lampada e<br />
uscì sotto la pioggia. Il freddo<br />
lo paralizzava e si incuneava<br />
sotto la giacca di panno,<br />
l’acqua gelata gli colava<br />
giù per il collo. Sembrava<br />
proprio di sentire una sirena.<br />
Si diresse verso il mare,<br />
salì in cima a una roccia e<br />
cercò di scrutare nell’oscurità<br />
che si stava appena appena<br />
diradando. Non vide<br />
niente. Ma nemmeno la sirena<br />
si sentiva più. Sarà stata<br />
la tempesta, pensò, e<br />
tornò alla capanna.<br />
Era passata un’ora. Il vento<br />
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