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Approfondimento B – La Shoah nell'Europa dell'est - Sei

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<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong><br />

nell’Europa dell’Est<br />

Eccidi ed esecuzioni di massa<br />

Nella loro azione in URSS, esercito ed Einsatzgruppen furono assistiti da varie altre forze tedesche,<br />

tra cui reparti SS della Polizia di sicurezza e undici battaglioni (circa 5500 uomini) della cosiddetta<br />

Ordnungpolizei, (Polizia d’ordine) costituiti sia da elementi richiamati, ma troppo anziani<br />

per il servizio in prima linea, sia da giovani volontari. Molti di questi reparti si macchiarono<br />

di violenze efferate contro la popolazione civile sovietica e nei confronti degli ebrei. Tra il 24<br />

e il 27 giugno 1941, un reparto della Polizia di sicurezza di Tilsit (l’attuale Sovetsk, in Russia)<br />

attraversò il confine con la Lituania e uccise 526 ebrei (comprese 2 donne) nelle città di<br />

Garsden (Gargzdi), Krottingen (Kretinga) e Polangen (Palanga). Si trattò di uno dei primi<br />

crimini compiuti dai nazisti in territorio sovietico. L’azione non fu ordinata dall’alto, ma nacque<br />

spontaneamente <strong>–</strong> dopo che si era sparsa la voce che in quella zona operavano<br />

dei partigiani comunisti <strong>–</strong> e fu approvata a tutti i livelli: dapprima dal comandante<br />

dell’Einsatzgruppe A (Franz Stahlecker) e poi (il 30 giugno) da Himmler e Heydrich.<br />

A partire dal 29 giugno, si verificò una terribile serie di violenze anche a Leopoli (Lwów),<br />

nella porzione di Polonia aggregata all’Ucraina. Prima di fuggire in tutta fretta, la polizia<br />

politica comunista aveva ucciso circa 5000 elementi controrivoluzionari detenuti nelle<br />

carceri della città. All’arrivo dei tedeschi, questo massacro compiuto dai sovietici venne<br />

reso pubblico; per vendicare le vittime, in nome della consueta equiparazione tra ebrei<br />

israeliti e comunisti, una milizia nazionalista ucraina rapidamente costituitasi cominciò<br />

a dar la caccia agli ebrei per le strade, uccidendone 4000 in tre giorni.<br />

Il 27 giugno 1941, un altro eccidio particolarmente spietato fu compiuto dalla polizia, a<br />

Bialystock, città situata nella porzione di Polonia occupata dai sovietici. Il reparto uccise<br />

circa 2000 ebrei; 700 di essi furono ammassati in una delle sinagoghe della città, che ven-<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

POTERI<br />

E CONFLITTI<br />

Riferimento<br />

storiografico 1<br />

pag. 14<br />

Violenze nella<br />

Polonia orientale<br />

Soldati tedeschi<br />

osservano un villaggio<br />

sovietico devastato<br />

dalle fiamme,<br />

fotografia del 1941.<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

UNITÀ 9<br />

1<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

2<br />

Iniziative<br />

individuali e<br />

impulso dal centro<br />

Donne e bambini<br />

Odessa<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

ne incendiata. Chi tentava di fuggire era colpito con raffiche di mitra e bombe a mano. L’azione<br />

di Bialystock vide l’assassinio anche di numerose donne e bambini, che altri reparti,<br />

invece, per il momento risparmiavano. Si trattò di un’iniziativa personale di un subordinato,<br />

che agì senza ordini precisi, ma dettato da un preciso convincimento ideologico.<br />

Azione spontanea, dettata dall’iniziativa individuale o dal fanatismo ideologico, e impulso<br />

dal Centro, in questa prima fase caotica della <strong>Shoah</strong> non sono sempre facilmente distinguibili.<br />

In effetti è possibile che Himmler, in questo caso, non solo abbia a posteriori approvato<br />

l’azione, ma ne abbia addirittura tratto un insegnamento. Infatti, si rese conto che<br />

gli uomini ai suoi ordini (o per lo meno alcuni di essi) erano disponibili ad azioni sempre<br />

più radicali. Pertanto l’8 luglio, mentre era personalmente a Bialystock, ordinò l’uccisione<br />

di alcune migliaia di ebrei sia in quella città sia a Brest-Litovsk (situata più a sud).<br />

Le paludi del fiume Pripjat si trovano a est di Lublino e a sud-est di Brest-Litovsk, ai confini<br />

tra la Bielorussia e l’Ucraina. Fin dalle prime settimane di guerra, questi acquitrini,<br />

molto difficili da attraversare con veicoli motorizzati, divennero un rifugio privilegiato<br />

per i partigiani e per tutti coloro (soldati che non volevano cadere prigionieri, ebrei in<br />

fuga, civili terrorizzati ecc.) che cercavano di sfuggire agli occupanti tedeschi. Il 19 luglio<br />

1941, Himmler ordinò il trasferimento in quella regione di due reggimenti di cavalleria<br />

delle SS per rastrellarla a tappeto. Gli ordini iniziali prevedevano la fucilazione di tutti i<br />

maschi adulti e la deportazione delle donne e dei bambini; il 29 luglio, però, Himmler<br />

ordinò la deportazione nelle paludi delle ebree rastrellate. Ancora una volta, era una formula<br />

vaga, che tuttavia, di fatto, apriva la strada a un’importante escalation, cioè all’uccisione<br />

anche delle donne ebree.<br />

L’azione di rastrellamento (guidata sul campo dagli Sturmbannführer Gunther Lombard e<br />

Bruno Magill) ebbe inizio il 30 luglio e durò fino all’11 agosto. Col pretesto che si trattava<br />

comunque di partigiani pericolosi e che la zona andava pacificata definitivamente, si procedette<br />

in modo drastico, uccidendo anche moltissime donne e numerosi bambini. Secondo<br />

il rapporto steso dallo Standartenführer Hermann Fegelein (comandante in capo della Brigata<br />

di Cavalleria SS), vennero uccisi 1001 partigiani, 699 soldati dell’Armata rossa e 14 718<br />

saccheggiatori (cioè, di fatto, ebrei).<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> in Ucraina<br />

Ormai la politica di sterminio totale era iniziata: infatti, il 29-30 settembre, fu eseguita<br />

l’operazione più massiccia della prima fase della <strong>Shoah</strong>: 33 771 ebrei furono uccisi a<br />

Babij Jar, vicino a Kiev.<br />

<strong>La</strong> maggior parte dei reparti operativi degli Einsatzgruppen compiva le sue azioni in zone<br />

che dipendevano dall’esercito tedesco. Alcuni distaccamenti dei gruppi C e D, impegnati<br />

in Ucraina e nella Russia meridionale agivano però nei settori assegnati a ungheresi e rumeni,<br />

che dunque si trovarono ad affrontare un problema inatteso. Mentre gli ungheresi<br />

non collaborarono volentieri, i rumeni, al contrario, furono disponibili e intraprendenti.<br />

Gli eccidi più gravi si verificarono a Odessa, dove viveva la più importante comunità ebraica<br />

dell’Unione Sovietica. <strong>La</strong> città fu conquistata dalla quarta armata romena il 16 ottobre<br />

1941, dopo un lungo assedio.<br />

<strong>La</strong> sera del 22 ottobre, dei partigiani fecero saltare in aria il quartier generale rumeno in<br />

via Engels, uccidendo una quarantina di militari, tra cui il generale Glogojanu, comandante<br />

della ventesima divisione, e tutto il suo stato maggiore. Per rappresaglia, i rumeni<br />

fucilarono e impiccarono subito migliaia di ebrei e comunisti. Ma da Bucarest, il maresciallo<br />

Ion Antonescu, dittatore della Romania, ordinò di giustiziare 200 comunisti per<br />

ogni ufficiale, rumeno o tedesco, vittima dell’esplosione, e 100 per ogni soldato.<br />

Il 24 ottobre, 30-40 000 ebrei furono condotti alla fattoria collettiva di Dalnik, situata a una<br />

quindicina di chilometri a ovest della città, per essere fucilati ai bordi dei fossati anticarro.<br />

Inizialmente, l’operazione fu condotta per gruppi di 40-50 vittime. Un numero imprecisato<br />

di persone, però, venne ammassato in quattro fienili di grandi dimensioni: dapprima furono<br />

mitragliate attraverso le feritoie dei muri; infine, gli edifici vennero dati alle fiamme.


L’eccidio di Babij Jar, in una<br />

ricostruzione tedesca<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

DOCUMENTI<br />

In qualità di membro del Sonderkommando 4a (speciali gruppi di deportati costretti a collaborare<br />

con le autorità naziste nei campi di sterminio), dell’Einsatzgruppe C, Kurt Werner testimoniò dopo la guerra<br />

e descrisse in modo particolareggiato le modalità con cui fu condotto il massacro dei 33 771 ebrei<br />

a Babij Jar (vicino a Kiev, in Ucraina) il 29-30 settembre 1941.<br />

L’intero commando, ad eccezione di una sentinella, si mise in marcia quel giorno verso<br />

le 6 di mattina, diretto al luogo di queste esecuzioni. Io ero su un camion. Si doveva portar<br />

via tutto quello che era disponibile. Proseguimmo per venti minuti in direzione nord e ci fermammo<br />

su una strada lastricata fino in aperta campagna, dove terminava. Là era riunito un<br />

grandissimo numero di ebrei ed era stato anche disposto un luogo dove gli ebrei dovevano<br />

depositare gli abiti e il bagaglio. Dopo un chilometro vidi una grande voragine naturale. Il terreno<br />

era sabbioso. <strong>La</strong> voragine era profonda circa 10 metri, lunga circa 400, larga in alto<br />

circa 80 metri e in basso 10.<br />

Subito dopo il mio arrivo sul terreno delle esecuzioni dovetti scendere con altri camerati<br />

in questa conca. Non passò molto tempo che già i primi ebrei ci vennero condotti giù per<br />

le pareti della voragine lungo le quali dovettero sdraiarsi faccia a terra. Nella conca si trovavano<br />

tre gruppi di tiratori, in tutto 12. Gli ebrei venivano condotti di corsa, tutti assieme,<br />

dall’alto verso questi tiratori. Gli ebrei che seguivano dovevano sdraiarsi sui cadaveri di quelli<br />

precedentemente fucilati. I tiratori stavano di volta in volta dietro gli ebrei e li uccidevano con<br />

colpi alla nuca. Mi ricordo ancora oggi in quale stato di terrore cadevano gli ebrei che di lassù,<br />

sull’orlo della voragine, potevano per la prima volta scorgere i cadaveri sul fondo: molti gridavano<br />

forte per lo spavento.<br />

Non ci si può nemmeno immaginare quale forza nervosa richiedesse eseguire laggiù<br />

quella sporca attività. Era una cosa raccapricciante... Dovetti rimanere tutta la mattina giù<br />

nella voragine. Lì dovetti continuare a sparare per un certo tempo, poi fui impegnato a riempire<br />

di munizioni i caricatori della pistola mitragliatrice. Durante questo tempo furono impiegati<br />

altri camerati come tiratori. Verso mezzogiorno fummo fatti uscire dalla conca e nel pomeriggio<br />

io, con altri, dovetti condurre gli ebrei fino alla conca. In questo tempo altri camerati<br />

sparavano giù nella conca. Gli ebrei venivano condotti da noi fino all’orlo della conca e da<br />

lì correvano giù da soli lungo il pendio. Tutte le fucilazioni di quel giorno possono essere durate<br />

all’incirca fino... alle 5 o alle 6 di sera. In seguito fummo riportati nel nostro alloggiamento.<br />

Quella sera fu nuovamente distribuito del liquore (grappa).<br />

E. KLEE, W. DRESSEN, V. RIESS, «Bei tempi». Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito<br />

e da chi stava a guardare, <strong>La</strong> Giuntina, Firenze 1990, pp. 56-57, trad. it. P. BUSCAGLIONE CANDELA<br />

Quale tipo di disagio<br />

indica l’espressione<br />

«Non ci si può<br />

nemmeno<br />

immaginare quale<br />

forza nervosa<br />

richiedesse eseguire<br />

laggiù quella sporca<br />

attività»?<br />

In che modo le<br />

autorità cercano<br />

di attenuare nei<br />

poliziotti il «disagio<br />

di uccidere»?<br />

19 settembre 1941:<br />

la città di Kiev cade<br />

in mano alle truppe<br />

tedesche.<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

3


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

4<br />

Il trauma<br />

del 1939<br />

Fosse comuni<br />

Manifesto antisemita<br />

nazista del 1941 diretto<br />

a ottenere il sostegno<br />

della popolazione<br />

lituana. Le scritte più<br />

visibili recitano:<br />

«Gli ebrei <strong>–</strong> Il tuo<br />

eterno nemico» e «Stalin<br />

e gli ebrei <strong>–</strong> unica banda<br />

criminale».<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nei Paesi Baltici<br />

Al momento dell’attacco tedesco, la Lituania contava circa 2 milioni di lituani e 250 000<br />

ebrei. In Lettonia, invece, abitavano circa 1 600 000 lettoni e 95 000 israeliti. Lituani e<br />

lettoni avevano vissuto come un vero trauma l’invasione russa del 1939 e l’annessione all’URSS<br />

dell’anno seguente, accompagnate da massicce deportazioni in Siberia di intellettuali<br />

ed elementi giudicati nemici del nuovo regime. Lituani e lettoni, pertanto, accolsero<br />

i tedeschi come dei liberatori e collaborarono apertamente con loro nell’eliminazione<br />

di tutti i comunisti. Sollecitati dagli ufficiali degli Einsatzgruppen, nazionalisti lituani e<br />

lettoni organizzarono anche dei grandi massacri di ebrei. Stando ai rapporti inviati a Berlino,<br />

nella sola Kaunas (in Lituania), nella prima settimana di occupazione tedesca vennero<br />

uccisi 3800 ebrei; nei giorni seguenti, una sorte simile toccò ad altre 1200 persone<br />

in varie cittadine o villaggi del Paese, prima ancora che i nazisti si assumessero personalmente<br />

su vasta scala il ruolo di carnefici.<br />

A fine estate, i nazisti istituirono ghetti a Kaunas, a Vilnius, a Riga e in altre città. In<br />

apparenza, la procedura assomigliava a quella adottata in Polonia due anni prima. In<br />

realtà, in Lituania e in Lettonia, i nazisti decisero precocemente di eliminare tutti coloro<br />

che non ritenevano utili per lo sforzo bellico. Pertanto, fin dall’ottobre 1941 i ghetti<br />

furono oggetto di alcune brutali epurazioni. Gli inabili al lavoro di Vilnius furono<br />

condotti in una foresta, a una decina di chilometri dalla città, nei pressi di una località<br />

per villeggiatura chiamata in vari modi <strong>–</strong> Paneriai (in lituano) o Ponary (in tedesco)<br />

<strong>–</strong> e fucilati in grandi fosse comuni. Gli ebrei di Kaunas,<br />

invece, furono uccisi in massa nei pressi del Forte IX,<br />

una delle strutture militari che l’esercito zarista aveva costruito<br />

a difesa della città, prima della Grande Guerra.<br />

All’inizio di novembre, il comandante dell’Einsatzgruppen<br />

C Friedrich Jeckeln fu convocato a Berlino, ove Himmler<br />

gli comunicò che Riga era stata scelta come meta per un<br />

elevato numero di ebrei, che sarebbero stati deportati dal<br />

Reich; quindi, occorreva svuotare il ghetto della capitale<br />

lettone. Giunto a Riga il 13 novembre, Jeckeln si affrettò<br />

a trovare un luogo adatto alle fucilazioni e scelse la foresta<br />

di Rumbula, a sedici chilometri dalla capitale lettone.<br />

Il 30 novembre, 13 000 ebrei fecero a piedi, a gruppi<br />

di cinquanta, il tragitto che separava il ghetto dalla foresta.<br />

Qui erano state predisposte, da 300 prigionieri russi,<br />

sei grandi fosse, lunghe dieci metri e profonde tre metri<br />

circa. Le vittime furono costrette a stendersi prone sui<br />

cadaveri dei morti o degli agonizzanti, prima di essere<br />

uccise con un colpo alla nuca. Con modalità simili, in<br />

un’ulteriore violentissima azione compiuta tra l’8 e il 9<br />

dicembre, furono uccisi a Rumbula altri 25 000 ebrei<br />

di Riga.<br />

Jeckeln aveva già diretto numerose stragi in Ucraina occidentale:<br />

comandava uno speciale reparto di Waffen<br />

SS [SS combattenti, dotati di armi pesanti, n.d.r.] che<br />

rispondeva del suo operato direttamente a Himmler e<br />

che operò con particolare brutalità. Si ha l’impressione che Jeckeln sia stato utilizzato<br />

da Himmler come una specie di apripista, di sperimentatore di modalità sempre<br />

più estreme di intervento contro gli ebrei. Per questo motivo, probabilmente, fu scelto<br />

proprio lui quando si trattò di condurre la grande azione contro il ghetto di Riga.<br />

Tra il 15 e il 17 dicembre, circa 3000 ebrei furono uccisi anche a Liepaja, in Lettonia,<br />

sulla costa del Mar Baltico. Stranamente, di questo episodio della <strong>Shoah</strong> si è conservata<br />

un’ampia documentazione fotografica, che ritrae soprattutto donne, anziani<br />

e bambini.


<strong>La</strong> ricerca di nuove tecniche per lo sterminio<br />

Arthur Nebe era il comandante dell’Einsatzgruppe B, che operò in Bielorussia. Nel settembre<br />

1941, ormai consapevole del crescente disagio psicologico delle sue truppe, quando<br />

ricevette l’ordine di eliminare i malati dell’ospedale psichiatrico di Minsk, fece rinchiudere<br />

25 pazienti in due bunker predisposti nella foresta e ne ordinò la distruzione<br />

con l’esplosivo. L’esperimento fallì clamorosamente, in quanto solo una parte dei<br />

malati morì immediatamente; una seconda più massiccia dose di esplosivo, invece, provocò<br />

un orribile spargimento di resti umani sull’intera area. Nebe era assistito in questi<br />

esperimenti dal dottor Albert Widman, chimico delle SS in servizio presso la polizia<br />

criminale.<br />

Pare sia stata sua l’idea di usare il gas di scarico di un veicolo a motore (cioè, il monossido<br />

di carbonio) come strumento omicida, nell’esecuzione dei malati di mente del manicomio<br />

di Mogilev (città che si trova nell’attuale Bielorussia) che ebbe luogo, sempre nel<br />

settembre 1941, qualche giorno dopo il fallito esperimento di Minsk.<br />

A Mogilev, un gruppo di malati fu collocato in una stanza sigillata. Dall’esterno fu immesso<br />

il gas di due automobili e poi anche di un autocarro. I pazienti morirono nel<br />

giro di dieci minuti circa; quella di Mogilev può essere considerata la prima camera<br />

a gas, funzionante secondo le stesse modalità che saranno poi attivate nei grandi centri<br />

di sterminio di Belzec, Sobibor e Treblinka.<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

Un soldato<br />

tedesco durante<br />

un’operazione di<br />

rastrellamento in un<br />

villaggio russo.<br />

Riferimento<br />

storiografico 2<br />

pag. 16<br />

Monossido<br />

di carbonio<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

UNITÀ 9<br />

5<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

6<br />

Nel 1940, in Prussia orientale e in Pomerania (in quello che, prima della guerra, era chiamato<br />

il corridoio di Danzica) per uccidere i malati di mente era già stato utilizzato un furgone<br />

che, di fatto, era una camera a gas mobile. Il camion era mascherato da una scritta<br />

commerciale (Kaisers-Kaffee); in realtà, all’interno del cassone, era immesso del monossido<br />

di carbonio, prelevato da apposite bombole.<br />

L’esperimento di Mogilev dimostrò che il gas poteva essere introdotto direttamente dal<br />

tubo di scappamento del veicolo, risparmiando gli ingombranti contenitori. Nacquero<br />

così i cosiddetti Gaswagen (dei grandi autocarri) che vennero prodotti in vari modelli,<br />

adattati e migliorati sulla base dell’esperienza e delle esigenze.<br />

I camion-camera a gas (ufficialmente denominati Spezialwagen, cioè veicoli speciali, o S-<br />

Wagen) furono impiegati in Ucraina, in Bielorussia e in Serbia (per eliminare 5-6000 ebrei<br />

a Belgrado, marzo-maggio 1942). L’impiego più sistematico, tuttavia, si ebbe nel<br />

Esperimenti: verso le camere a gas<br />

Le uccisioni di Mogilev: la prima camera a gas<br />

DOCUMENTI<br />

I primi esperimenti con il monossido di carbonio furono compiuti a Mogilev (Bielorussia) da Arthur<br />

Nebe, comandante dell’Einsatzgruppe B, desideroso di trovare una tecnica omicida meno traumatica<br />

della fucilazione di massa. <strong>La</strong> testimonianza seguente fu rilasciata nel dopoguerra da Albert Widmann,<br />

un chimico della polizia criminale che fornì supporto tecnico a Nebe, nel settembre 1941. Le vittime, in<br />

questo caso, erano dei malati di mente ricoverati nell’ospedale di Mogilev.<br />

Nebe ordinò di murare la finestra di un locale destinato a essere riempito di persone<br />

da eliminare, e di lasciarvi solo due aperture per l’introduzione dei gas di scarico…<br />

Quando arrivammo sul posto, uno dei tubi che avevo sulla mia vettura fu collegato al tubo<br />

di scarico di un’automobile. Lo stesso fu fatto su un’altra vettura. Dai buchi lasciati aperti<br />

nella finestra murata sporgevano tubi metallici sui quali si poterono infilare comodamente<br />

le altre estremità dei tubi di gomma…<br />

Dopo 5 minuti Nebe uscì dicendo che<br />

non si vedeva ancora alcun effetto.<br />

Nemmeno dopo 8 minuti era successo<br />

niente, tant’è vero che Nebe cominciò<br />

ad avere dei dubbi. Fu a quel punto<br />

che a lui e a me venne contemporaneamente<br />

l’idea che i motori delle automobili<br />

potessero essere troppo deboli.<br />

Allora Nebe fece attaccare un<br />

secondo tubo allo scarico di un autocarro<br />

per il trasporto delle squadre di<br />

polizia. E a quel punto ci vollero solo<br />

pochi minuti perché la gente rinchiusa<br />

nel locale svenisse. Per completare l’opera,<br />

lasciammo accesi i motori dei<br />

due veicoli per un’altra decina di minuti<br />

circa.<br />

G. KNOPP, Olocausto,<br />

Corbaccio, Milano 2003,<br />

p. 111, trad. it. U. GANDINI<br />

Arthur Nebe in una fotografia degli anni<br />

Quaranta del Novecento.<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012


Chelmno: testimonianza di un autista di Gaswagen<br />

Warthegau, per eliminare gli ebrei del ghetto di Lodz (ai quali vanno aggiunti 19 827 ebrei<br />

tedeschi, deportati dal Reich tra il 15 ottobre e il 4 novembre 1941, con 25 trasporti).<br />

Per le esecuzioni di massa, tre S-Wagen furono inviati presso un castello disabitato lungo<br />

il fiume Ner, in una località distante 56 chilometri da Lodz, chiamata Chelmno (in<br />

polacco, mentre il nome tedesco era Kulmhof). Chelmno <strong>–</strong> con le sue 150 000 vittime<br />

<strong>–</strong> può essere considerato il primo vero centro di sterminio nazista. A partire dall’8<br />

dicembre 1941, gli ebrei vennero portati da Lodz con il treno; condotti al castello e<br />

obbligati a spogliarsi, dovevano salire sui Gaswagen, che li conducevano all’area delle<br />

fosse comuni, dopo un breve tragitto di circa 5 chilometri. <strong>La</strong> morte dei prigionieri<br />

avveniva in circa 15 minuti. Per il guidatore, lo stress psicologico era elevatissimo: le<br />

urla degli agonizzanti e lo spettacolo dei cadaveri estratti dal cassone (80, 100, 130,<br />

a seconda dei modelli) erano pesantissimi da sopportare.<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

DOCUMENTI<br />

Walter Burmeister prese servizio a Chelmno (qui chiamata con il suo nome tedesco, Kulmhof) nel<br />

tardo autunno del 1941 e fu uno degli autisti dei veicoli speciali che provocarono la morte, in quel luogo,<br />

di circa 150 000 persone. Processato dopo la guerra, fu condannato a 13 anni di carcere. <strong>La</strong> testimonianza<br />

seguente fu resa il 24 gennaio 1961.<br />

Dopo che il castello fu provvisto della rampa arrivavano a Kulmhof, su camion, persone<br />

da Litzmannstadt [nome tedesco di Lodz, n.d.r.]. […] Gli veniva spiegato che dovevano fare<br />

il bagno e che i loro vestiti andavano disinfestati, prima però dovevano depositare gli oggetti<br />

di valore che venivano registrati. Per ordine del capo del commando <strong>La</strong>nge [Herbert <strong>La</strong>nge,<br />

primo comandante di Chelmno, sostituito nel marzo/aprile 1942 da Hans Bothmann, n.d.r.]<br />

anche io qualche volta <strong>–</strong> non saprei dire quante <strong>–</strong> ho tenuto questo discorso alle persone che<br />

erano in attesa nel castello. In questo modo si doveva nascondergli quel che li aspettava.<br />

Quando si erano spogliati venivano condotti nella cantina del castello<br />

e da qui, attraverso un corridoio, fino alla rampa e poi ai Gaswagen.<br />

Nel castello c’erano dei cartelli con la scritta: «Ai bagni». I Gaswagen<br />

erano dei grandi autocarri con un cassone lungo 4 o 5 metri,<br />

largo circa 2 metri e 20 e alto 2 metri, rivestito all’interno di lamiera.<br />

Sul pavimento c’era una grata di legno. Nel fondo del cassone c’era<br />

un’apertura che poteva venir collegata allo scappamento con un<br />

tubo metallico mobile. Quando i camion erano al completo i battenti<br />

delle porte posteriori venivano chiusi e si stabiliva il collegamento tra<br />

lo scappamento e l’interno del camion…<br />

I membri del commando impiegati come autisti dei Gaswagen<br />

mettevano poi in moto il motore, cosicché le persone che si trovavano<br />

all’interno morivano soffocate dai gas di scarico, poi veniva<br />

tolto il tubo di collegamento e il camion si dirigeva al Waldlager [il<br />

campo nel bosco, dove si trovavano le fosse comuni, n.d.r.]. Qui venivano scaricati i cadaveri<br />

che in un primo tempo venivano sepolti in fosse comuni, più tardi invece bruciati… Poi<br />

riportavo il camion al castello e lo lasciavo lì. Qui veniva ripulito dalle deiezioni delle persone<br />

morte lì dentro. In seguito veniva nuovamente utilizzato per le gassazioni…<br />

Che cosa io abbia pensato allora o se addirittura io abbia pensato qualcosa, oggi non<br />

potrei dirlo. Non posso neanche dire se il motivo per cui non mi sono mai opposto agli ordini<br />

che mi venivano impartiti è che ero troppo influenzato dalla propaganda di allora.<br />

E. KLEE, W. DRESSEN, V. RIESS, «Bei tempi». Lo sterminio degli ebrei raccontato da chi l’ha eseguito<br />

e da chi stava a guardare, <strong>La</strong> Giuntina, Firenze 1990, p. 172, trad. it. P. BUSCAGLIONE CANDELA<br />

Che cosa hanno in comune le procedure descritte nei due brani?<br />

Come veniva risolto il problema dei cadaveri?<br />

Che ruolo ebbe, sugli assassini, la propaganda di regime?<br />

Un Gaswagen,<br />

il camion per le<br />

gassazioni utilizzato<br />

dai nazisti prima della<br />

costruzione delle<br />

camere a gas.<br />

Chelmno<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

UNITÀ 9<br />

7<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

8<br />

Un progetto<br />

globale<br />

Un gruppo di bambini<br />

ebrei tedeschi fuggiti<br />

dalla Germania e<br />

sbarcati nel porto di<br />

Harwich,<br />

nel Sud-Est<br />

dell’Inghilterra. In un<br />

primo momento<br />

la politica antisemita del<br />

Reich si proponeva<br />

l’emigrazione degli ebrei<br />

dalla terra tedesca: solo<br />

in seguito si deciderà di<br />

procedere con lo<br />

sterminio.<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

<strong>La</strong> conferenza di Wannsee<br />

Il 31 luglio 1941, Hermann Göring firmò un breve documento, in virtù del quale Heydrich<br />

venne incaricato di predisporre tutte le misure che ritenesse necessarie al fine di raggiungere<br />

la soluzione finale (o totale) della questione ebraica. Il documento in questione<br />

è senza dubbio importantissimo, nella storia del processo di distruzione degli ebrei d’Europa:<br />

basti pensare che, per la prima volta, non ci si riferisce solo agli Ostjuden, cioè agli ebrei<br />

orientali, della Polonia o dell’URSS, ma a tutta «la zona d’influenza tedesca in Europa».<br />

Alla data del 31 luglio 1941, non era affatto scontato che l’espressione soluzione finale fosse<br />

già un eufemismo coniato al fine di mascherare lo sterminio. In questa fase, pur essendo<br />

già iniziati massacri su vasta scala in URSS, pare più ragionevole ipotizzare che i vertici nazisti<br />

<strong>–</strong> ancora convinti dell’imminente successo della campagna militare contro l’URSS <strong>–</strong><br />

progettassero un’imponente deportazione di tutti gli ebrei in Siberia o in qualche altra regione<br />

orientale o nordica della Russia, eletta a riserva territoriale per l’ebraismo europeo.<br />

Non si deve mai dimenticare il clima di accesa rivalità esistente all’interno dei quadri più<br />

elevati del regime nazista. Grazie al documento del 31 luglio 1941, le SS (cioè Heydrich<br />

e, tramite lui, Himmler, suo diretto superiore) riuscirono a ottenere il controllo di una<br />

vasta operazione destinata a portare enormi vantaggi economici, insieme a prestigio e potere,<br />

all’istituzione che ne avesse ottenuto la direzione.<br />

Il 20 gennaio 1942, a Wannsee, un sobborgo elegante di Berlino, si tenne un’importante<br />

conferenza interministeriale, convocata e presieduta da Heydrich, a cui presero parte 14<br />

funzionari che a vario titolo rappresentavano i principali organismi del Terzo Reich.<br />

Insieme alla lettera di convocazione, i soggetti invitati ricevettero anche copia del documento<br />

firmato da Göring il 31 luglio. Era chiaro fin dall’inizio, dunque, che sarebbe stato<br />

un incontro puramente operativo. Le decisioni veramente importanti erano già state<br />

prese (da Hitler e da Himmler, probabilmente<br />

in ottobre), mentre Heydrich possedeva<br />

una delega di poteri che ne rendeva praticamente<br />

assoluta e incontrastabile l’autorità nel campo specifico<br />

della soluzione della questione ebraica.<br />

Heydrich si attendeva opposizioni, contrasti o resistenze,<br />

che però non ci furono per nulla. <strong>La</strong> conferenza<br />

procedette spedita e una vera discussione<br />

ci fu solo su alcune questioni marginali. Il verbale<br />

della seduta, pur essendo riservatissimo, fu<br />

redatto in trenta copie e spedito sia ai partecipanti<br />

sia ad altri soggetti di spicco del regime nazista.<br />

Il protocollo di Wannsee (così, a volte, viene chiamato<br />

il verbale della conferenza dei sottosegretari,<br />

tenutasi il 20 gennaio 1942) inizia sintetizzando<br />

il lungo discorso di Heydrich, che ricostruì per<br />

sommi capi le tappe della politica antisemita del<br />

Terzo Reich: in un primo tempo, lo scopo era stato<br />

l’emigrazione degli ebrei dalla Germania e<br />

dai territori annessi (Austria, Boemia e Moravia).<br />

Tale politica, secondo Heydrich, aveva provocato<br />

la partenza di 537 000 ebrei, tra il 30 gennaio<br />

1933 e il 31 ottobre 1941. Al momento attuale,<br />

però, l’emigrazione aveva ormai lasciato il posto<br />

all’evacuazione verso est. Heydrich ricordò<br />

che il nuovo orientamento <strong>–</strong> per raggiungere una<br />

soluzione veramente definitiva <strong>–</strong> avrebbe dovuto<br />

coinvolgere più di 11 milioni di ebrei, cifra nella<br />

quale vennero contati anche gli israeliti residenti<br />

in Inghilterra, in Irlanda, in Svezia e in Portogallo.


È chiaro dunque che, a quell’epoca, i vertici nazisti pensavano ancora di poter vincere la guerra<br />

e di imporre all’intera Europa i loro progetti di riorganizzazione razziale.<br />

Nel gennaio 1942, una formula come evacuazione verso est era già sinonimo di sterminio.<br />

Probabilmente, tutti i partecipanti alla riunione erano informati dell’escalation subita<br />

dai massacri in URSS e del fatto che, in Polonia, si stavano preparando dei nuovi campi<br />

di sterminio, specificamente destinati all’uccisione degli ebrei. A questi eventi, però,<br />

Heydrich non fece alcun esplicito riferimento, limitandosi a disegnare un quadro molto<br />

generico. Nella sua descrizione, gli ebrei abili al lavoro sarebbero stati adibiti alla costruzione<br />

di strade. Nulla fu detto circa la sorte degli individui inidonei; anzi, siamo di fronte<br />

a un linguaggio che, almeno in parte, cercava di nascondere la gravità di quanto veniva<br />

organizzato. Secondo lo storico americano R. Hilberg, si tratta del primo dei numerosi<br />

sforzi compiuti dai burocrati, ai vari livelli, per mascherare (a se stessi, prima che<br />

all’opinione pubblica o a chiunque altro) la reale natura dei loro atti: di qui l’uso di espressioni<br />

generiche o neutre come «azioni», «trattamento speciale», «reinsediamento», «attività<br />

di esecuzione degli ordini» ecc. Comunque, si lasciò intendere che l’attività lavorativa<br />

avrebbe comportato un elevatissimo numero di vittime e che gli eventuali superstiti<br />

sarebbero stati eliminati.<br />

L’Aktion T-4<br />

Dal punto di vista operativo, lo sterminio degli ebrei poté giovarsi dell’esperienza accumulata<br />

in un’altra campagna omicida, che i nazisti avevano appena concluso, e che era<br />

stata denominata Aktion T-4: un vasto programma di eutanasia nei confronti dei disabili<br />

ricoverati nei manicomi tedeschi, avviato dal principio della guerra.<br />

Hitler concesse a Philip Bouhler (Capo della Cancelleria del Führer) e Karl Brandt (medico<br />

della scorta, incaricato di accompagnare Hitler nei suoi spostamenti) l’incarico di organizzare<br />

questa campagna nell’autunno del 1939. Sicuramente, Hitler firmò questa autorizzazione/investitura<br />

in ottobre; il documento scritto, tuttavia, reca la data del 1 o settembre,<br />

data di inizio della guerra e, nell’ottica di Hitler, di un nuovo modo di affrontare<br />

i problemi sociali, politici e morali.<br />

L’inizio della seconda guerra mondiale aveva segnato l’apertura di una nuova era. Hitler<br />

concepì il nuovo conflitto come una specie di apocalittico scontro finale, da cui sarebbe<br />

uscito un mondo rigenerato, caratterizzato da una differente civiltà e da valori morali assolutamente<br />

diversi da quelli tradizionali. Dunque, diveniva lecito e possibile <strong>–</strong> in tempo<br />

di guerra <strong>–</strong> compiere azioni che la logica etica del passato avrebbe respinto, ma<br />

che erano invece indispensabili per raggiungere la meta ultima del Reich dei mille anni,cioè<br />

la duratura prosperità del popolo tedesco e della razza ariana, a spese delle razze inferiori.<br />

<strong>La</strong> gestione pratica del programma fu assunta ben presto da Viktor Brack, stretto collaboratore<br />

di Bouhler. Innanzi tutto, vennero individuati alcuni ospedali psichiatrici:<br />

Grafeneck (nel Württemberg, vicino a Ulm), Bernburg (a sud di Magdeburgo), Sonnenstein<br />

(presso Dresda), Hadamar (a ovest di Coblenza), Brandenburgo (a ovest di Berlino)<br />

e Hartheim (in Austria, nei dintorni di Linz). Questi luoghi vennero trasformati in<br />

centri di eliminazione che, tra l’inizio del 1940 e l’agosto 1941, uccisero almeno 70 000<br />

malati di mente.<br />

Per evitare equivoci linguistici e confusione, è bene chiarire che non si trattava di individui<br />

affetti da malattie incurabili allo stadio terminale; i nazisti non si proponevano affat-<br />

Eutanasia<br />

Il termine è di origine greca e significa, alla lettera, buona morte. L’ordine di eliminare i malati<br />

di mente tedeschi (ariani ed ebrei) venne firmato personamente da Hitler nell’ottobre 1939. Per<br />

attuare il programma di eutanasia, venne fondata un’Associazione degli ospedali psichiatrici del<br />

Reich, che aveva la propria sede a Berlino in Tiergartenstrasse 4. Per questo motivo, l’operazione<br />

fu poi chiamata in codice Aktion T-4.<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

le parole<br />

Un nuovo<br />

linguaggio<br />

per mascherare<br />

il crimine<br />

Guerra:<br />

una nuova era<br />

70 000 malati<br />

di mente<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

UNITÀ 9<br />

9<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

10<br />

<strong>La</strong> prima ipotesi di applicazione agli<br />

ebrei dei metodi collaudati nell’Aktion T-4<br />

DOCUMENTI<br />

Il 25 ottobre 1941, il dottor Ehrard Wetzel, del ministero dell’Est, scrisse una lettera a Heinrich<br />

Lohse, Reichskommissar a Riga. Wetzel comunicava che Viktor Brack, responsabile operativo dell’operazione<br />

di eutanasia, aveva offerto la collaborazione del suo personale, ormai esperto in uccisioni col gas,<br />

per l’eliminazione degli ebrei in Lituania e in Lettonia. Anche se l’ipotesi di costruire dei centri di sterminio<br />

attrezzati nei Paesi Baltici non si realizzò mai, questo documento rappresenta il più importante anello<br />

di congiunzione tra l’Aktion T-4 e l’Aktion Reinhard, che avrebbe fatto tesoro della lezione dell’eutanasia.<br />

Dopo la guerra, Wetzel è scomparso e non è mai stato processato.<br />

Il Signor Viktor Brack, Oberdienstleiter [capo dei gruppi di lavoro, n.d.r.] nella Cancelleria<br />

del Führer, è pronto a collaborare all’installazione degli impianti e delle apparecchiature per<br />

l’erogazione del gas che saranno necessari.<br />

Attualmente le apparecchiature in questione non sono disponibili in quantità sufficienti e<br />

debbono essere fabbricate. Poiché, secondo il Signor Brack, la fabbricazione crea problemi<br />

più complessi nel Reich che non sul posto, egli ritiene senz’altro preferibile inviare a Riga il<br />

suo personale specializzato, e in particolare il suo chimico, dott. Kallmeyer, che provvederà<br />

a tutto. L’Oberdienstleiter Brack fa osservare… che il procedimento non è senza pericoli cosicché<br />

saranno necessarie particolari misure protettive.<br />

Stando così le cose, <strong>La</strong> prego di mettersi in collegamento con l’Oberdienstleiter Brack…<br />

tramite il Suo Comandante in capo delle SS e della Polizia e di chiedergli di inviare il suo chimico<br />

e relativi aiutanti.<br />

Mi permetto di notare che lo Sturmbannführer Eichmann, referendario [referente, n.d.r.]<br />

per i problemi ebraici del RSHA [l’Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, diretto da Heydrich,<br />

n.d.r.], […] è d’accordo. Secondo comunicazioni di Eichmann […] a Minsk e a Riga saranno<br />

creati dei campi per ebrei, nei quali potranno<br />

eventualmente essere ammessi anche<br />

ebrei provenienti dal territorio del Vecchio Reich.<br />

Attualmente, da tale territorio si stanno evacuando<br />

degli ebrei, che dovrebbero essere trasferiti a Litzmannstadt<br />

(Lodz) ed in altri campi per essere<br />

poi, a seconda della loro idoneità al lavoro, impiegati<br />

nei territori orientali.<br />

Allo stato delle cose, non è il caso di farsi eccessivi<br />

scrupoli se gli ebrei non idonei al lavoro<br />

dovranno essere eliminati con i metodi del Signor<br />

Brack. In tal modo si dovrebbe evitare il ripetersi<br />

di fatti come quelli verificatisi a Vilna […], durante<br />

le fucilazioni di ebrei; fucilazioni che, anche per<br />

il fatto di essere state compiute in pubblico,<br />

non possono essere approvate. Invece gli ebrei<br />

idonei al lavoro saranno trasportati all’Est per<br />

essere immessi nelle organizzazioni di lavoro.<br />

Naturalmente, fra questi ultimi, si dovrà aver<br />

cura che gli uomini siano separati dalle donne.<br />

G. REITLINGER, <strong>La</strong> soluzione finale. Il tentativo<br />

di sterminio degli ebrei d’Europa 1939-1945,<br />

Il Saggiatore, Milano 1962, p. 162,<br />

trad. it. Q. MAFFI<br />

Quali problemi erano stati riscontrati nelle<br />

procedure di fucilazione attuate a Vilna<br />

(Vilnius), in Lituania?<br />

A tuo parere, in questo documento, è già<br />

prevista l’eliminazione di tutti gli ebrei,<br />

senza eccezioni?<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012


to di alleviare le sofferenze di soggetti cui restava<br />

poco da vivere, in preda a insopportabili<br />

dolori. Il loro obiettivo era di liberare<br />

dei posti letto d’ospedale, da destinare<br />

ai giovani soldati feriti al fronte; i malati<br />

mentali e gli handicappati, invece, erano<br />

considerati una zavorra inutile, scarti razziali<br />

di cui era possibile disfarsi, approfittando<br />

del nuovo clima creato dal conflitto<br />

mondiale.<br />

Dalla sede berlinese dell’Aktion T-4, tutti<br />

gli ospedali psichiatrici tedeschi ricevettero<br />

degli appositi moduli (uno per paziente)<br />

da compilare e rispedire in Tiergartenstrasse.<br />

Dopo aver ricevuto in tal<br />

modo informazioni su ogni singolo malato<br />

mentale del Reich, il centro operativo centrale<br />

del programma di eutanasia (sulla base<br />

solo dei formulari, cioè senza procedere a<br />

ulteriori verifiche) selezionava i casi che<br />

giudicava irrecuperabili. Con veicoli simili<br />

a furgoni postali, i pazienti a quel punto<br />

erano trasferiti nei centri di eliminazione<br />

e lì uccisi in camere a gas. Per quanto si<br />

facesse ampio uso di espressioni come eutanasia<br />

o morte pietosa, il decesso dei malati<br />

selezionati non risultò affatto indolore.<br />

Una lettera standard di conforto informava la famiglia che il soggetto era morto per cause<br />

naturali (polmonite o appendicite, ad esempio), e che il pericolo di epidemie aveva obbligato<br />

la struttura ospedaliera all’immediata cremazione del corpo. L’intera operazione<br />

avrebbe dovuto restare segretissima. Tuttavia, una serie di errori grossolani compiuti dal<br />

personale (per alcuni soggetti già operati da tempo, ad esempio, si indicò l’appendicite<br />

come causa del decesso), insieme al fumo e alle fiamme che uscivano incessantemente dai<br />

camini dei crematori dei centri, destò crescenti sospetti, dicerie e timori tra la popolazione.<br />

Infine, il 3 agosto 1941, il vescovo cattolico di Münster, cardinale Clemens August von<br />

Galen, denunciò apertamente dal pulpito l’intera operazione.<br />

Il trasferimento a Est delle tecniche omicide<br />

Il 24 agosto 1941, Hitler ordinò la fine ufficiale del programma di eutanasia (che tuttavia<br />

proseguì nei campi di concentramento, col nome in codice di Aktion 14 f 13). Nel momento<br />

in cui la campagna sul fronte orientale contro l’Unione Sovietica si faceva più impegnativa,<br />

il Führer, dopo la denuncia del vescovo di Münster, temette di perdere il consenso della<br />

popolazione e non ritenne opportuno intraprendere una battaglia contro la Chiesa.<br />

Il personale impiegato nell’Aktion T-4, però, poteva essere utilizzato diversamente visto<br />

che era esperto, politicamente affidabile e ormai assuefatto all’idea dell’uccisione di<br />

massa. Probabilmente, già nell’ottobre 1941, proprio nel momento in cui il disagio di<br />

uccidere degli uomini degli Einsatzgruppen si faceva più marcato, Viktor Brack propose<br />

di utilizzare i suoi uomini e le sue tecniche all’Est, per eliminare gli ebrei. Pare che la sua<br />

offerta, in un primo tempo, abbia riguardato Riga e il territorio denominato Ostland. Ma<br />

dal momento che, in queste regioni dell’URSS occupata, la costruzione di centri di sterminio<br />

dotati di camere a gas fisse, alimentate da monossido di carbonio, non risultò praticabile,<br />

l’idea venne allora recepita da Himmler per il Governatorato generale di Polonia.<br />

Quando i nazisti iniziarono l’eliminazione di massa degli ebrei polacchi (chiamata in<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

Posen<br />

Mar Baltico<br />

Kalisch<br />

Breslau<br />

Bratislava<br />

Kulmhof<br />

(Chelmno)<br />

Katovice<br />

I CAMPI DI STERMINIO IN POLONIA<br />

Lodz<br />

SLOVACCHIA<br />

Varsavia<br />

Radom<br />

Cracovia<br />

Lublino<br />

Kaunas<br />

Treblinka<br />

Sobibor<br />

GOVERNATORATO<br />

GENERALE<br />

UNGHERIA<br />

Direttrici della deportazione<br />

Bialystok<br />

Belzec<br />

Leopoli<br />

UCRAINA<br />

ROMANIA<br />

Minsk<br />

Errori e sbavature<br />

amministrative<br />

Personale esperto<br />

e fedele<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

UNITÀ 9<br />

11<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est


APPROFONDIMENTO B<br />

UNITÀ 9<br />

12<br />

LO STERMINIO DEGLI EBREI<br />

Belzec, Sobibor,<br />

Treblinka<br />

Il campo di Treblinka<br />

come appare oggi:<br />

numerose pietre di vari<br />

formati e colori<br />

riportano i nomi delle<br />

comunità ebraiche<br />

decimate nel lager.<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

codice Aktion Reinhard), procedettero per prove ed errori, in quanto non esisteva alcun<br />

precedente per l’operazione che stavano intraprendendo. Gli unici dati certi riguardavano<br />

le caratteristiche dei luoghi (che dovevano essere vicini a una ferrovia, ma<br />

nel contempo isolati, per mantenere la segretezza dell’azione) e la scelta del gas come<br />

strumento di uccisione. Per il resto, la prima struttura che venne attivata <strong>–</strong> Belzec <strong>–</strong><br />

fu una specie di centro sperimentale: Sobibor e Treblinka sarebbero stati costruiti, in<br />

seguito, tenendo conto di quella iniziale esperienza.<br />

<strong>La</strong> costruzione di Belzec iniziò il 1 o novembre 1941; Christian Wirth, un commissario<br />

della polizia criminale che aveva già lavorato all’Aktion T-4, arrivò intorno a Natale.<br />

Il regolare rifornimento di bombole di monossido di carbonio, in un luogo così<br />

lontano e isolato, avrebbe potuto costituire un grave problema logistico. Wirth pertanto,<br />

in questo dettaglio, non seguì più la procedura usata nei centri per l’eutanasia,<br />

ma piuttosto recepì la lezione dei Gaswagen, applicandola a una camera fissa. A Belzec,<br />

dunque, sarebbe stato un motore diesel a produrre il gas omicida.<br />

Belzec iniziò ad accogliere trasporti di notevole entità verso la metà di marzo del 1942.<br />

In luglio, la sua capacità omicida fu raddoppiata e le camere a gas passarono a sei (per<br />

un totale di 2000 vittime potenziali al giorno). L’esperienza mostrò che, per la riuscita<br />

dell’operazione, erano essenziali due elementi: l’inganno e la rapidità. Di qui lo stratagemma<br />

di mascherare da bagni le camere a gas, e i comandi concitati, che insieme<br />

alle percosse impedivano alle persone di riflettere, cioè di rendersi conto della vera natura<br />

del luogo in cui erano state portate. Il personale di guardia era composto da militi<br />

ucraini (in uniforme nera), prelevati tra i prigionieri di guerra sovietici catturati<br />

dall’esercito e addestrati al campo di Trawniki. In un primo momento, fu assegnato<br />

agli ucraini anche il lavoro di estrazione dei cadaveri dalle camere; col tempo, ci si accorse<br />

che era più efficace utilizzare prigionieri ebrei, periodicamente eliminati e sostituiti<br />

da nuovi deportati.<br />

<strong>La</strong> costruzione di Sobibor iniziò nel marzo 1942; potendo contare sull’esperienza acquisita<br />

a Belzec, i nazisti la completarono in tempi brevissimi: dopo un mese, iniziarono<br />

le prime uccisioni sperimentali; alla fine di aprile, il campo era pienamente operativo.<br />

A Belzec furono condotti ebrei provenienti soprattutto dai distretti di Lublino<br />

e di Cracovia; a Sobibor, invece, arrivarono ebrei anche dalla Slovacchia, dalla Francia<br />

e da altri paesi europei. Il campo di Treblinka, infine, fu completato in luglio, e<br />

avrebbe provveduto, in primo luogo, alla liquidazione del ghetto di Varsavia.


Il primo convoglio da Varsavia<br />

DOCUMENTI<br />

Il primo treno di ebrei provenienti da Varsavia arrivò a Treblinka il 23 luglio 1942. Il ferroviere polacco<br />

Franciszek Zabecki, capo-movimento alla stazione, lo vide arrivare. Da quel momento, tenne il conto<br />

preciso di tutti i convogli diretti al campo di sterminio. Secondo i suoi calcoli, le vittime di Treblinka<br />

potrebbero essere addirittura 1 200 000.<br />

Molti ucraini avevano degli amici, qui, nel villaggio più vicino a Treblinka, una frazioncina<br />

di duecento abitanti chiamata Wolga-Oknaglik. È un posto molto piccolo, non c’è nemmeno<br />

la scuola e la chiesa <strong>–</strong> i bambini devono andare a scuola a Kossov, a sei chilometri di distanza.<br />

Ma fu lì che cominciarono ad arrivare delle voci. Udimmo che una vasta zona di terreno<br />

boscoso era stata recintata, e una parte veniva disboscata; stavano costruendo una<br />

baracca, ci dissero, per la guarnigione tedesca, e un’altra per i lavoratori. Ed era anche stato<br />

scavato un pozzo per l’acqua. Entro pochissimo tempo venimmo a sapere che non soltanto<br />

il campo era stato costruito, ma vedemmo anche che stavano costruendo un binario che<br />

dalla nostra linea principale portava nella zona recintata. […]<br />

Il 23 luglio 1942 era di servizio il mio collega Josef Pogonzelski. Il giorno prima era arrivato<br />

un telegramma che annunciava l’arrivo di alcuni locali [treni regionali, che percorrono brevi distanze,<br />

n.d.r.] provenienti da Varsavia, con degli ebrei da reinsediare. Questo telegramma era<br />

stato seguito da un telegramma-lettera che comunicava l’orario giornaliero di arrivo di questi<br />

treni locali a partire dal giorno 23 luglio. Li stavamo aspettando fin dal mattino presto, chiedendoci<br />

di che si trattasse. A un certo momento, arrivarono due SS <strong>–</strong> dal campo, immagino <strong>–</strong><br />

e domandarono: «Dov’è il treno?». Da Varsavia erano stati informati che doveva essere già<br />

arrivato, ma in realtà non c’era ancora. Poi arrivò un tender <strong>–</strong> di quel tipo che chiamavano taxi<br />

ferroviario <strong>–</strong> con due macchinisti tedeschi, uno si chiamava Blechschmied, e l’altro, il suo aiutante,<br />

Teufel. Erano stati mandati avanti per guidare i primi treni sul nuovo tronco che entrava<br />

nel campo.<br />

Quando arrivò il primo treno <strong>–</strong> erano le nove e mezzo del mattino <strong>–</strong> lo udimmo quando<br />

era ancora a notevole distanza. Non già per il rumore del treno, ma per via delle grida della<br />

gente e delle sparatorie. C’erano delle guardie sedute sul tetto dei vagoni, con le maniche<br />

rimboccate, e col fucile in mano. Avevano l’aria di chi ha ucciso; come se avessero immerso<br />

le mani nel sangue, e poi se le fossero lavate prima dell’arrivo. Il treno era stipato <strong>–</strong> in maniera<br />

incredibile. Era una giornata calda, ma, con nostro sbalordimento, la differenza di temperatura<br />

tra l’esterno e l’interno dei carri era evidentemente tale che dal treno emanava una<br />

specie di nebbia che lo avvolgeva tutto.<br />

Su ogni vagone erano segnate delle cifre col gesso <strong>–</strong> sa come sono metodici i tedeschi<br />

<strong>–</strong> è per questo che so esattamente quante persone furono uccise a Treblinka. Le cifre<br />

su ogni vagone variavano tra i centocinquanta e i centottanta. Noi non sapevamo che<br />

cosa stesse succedendo, ma cominciammo ad annotare le cifre fin da quel primo giorno,<br />

e continuammo per un intero anno senza mai interromperci, finché non fu tutto finito. Il treno<br />

era partito da Varsavia la notte prima <strong>–</strong> aveva viaggiato per quasi dodici ore… o almeno,<br />

erano dodici ore che la gente stava dentro il treno <strong>–</strong> il viaggio, normalmente, dura soltanto<br />

un paio d’ore.<br />

<strong>La</strong> gente, dal treno, gridava che li stavano portando a lavorare nelle fattorie o nelle fabbriche,<br />

ma noi non lo credevamo. Traemmo le nostre conclusioni; un trasporto sorvegliato<br />

con tanta attenzione, con tutti quegli spari…<br />

Ci avevano detto che il binario che portava al campo poteva sopportare soltanto venti<br />

vagoni alla volta. Un treno, normalmente, aveva almeno venti vagoni, e a volte, nelle settimane<br />

e nei mesi successivi, arrivavano tre treni contemporaneamente. Così, tutto quanto<br />

superava i venti vagoni rimaneva in attesa nella nostra stazione, finché ogni gruppo di venti<br />

vagoni avviato nel tronco del campo non era tutto finito.<br />

G. SERENY, In quelle tenebre, Adelphi, Milano 1999, pp. 202-204, trad. it. A. BIANCHI<br />

A quale estrema speranza si attaccavano gli ebrei diretti a Treblinka?<br />

Per quanto tempo potevano rimanere in treno coloro che, da Varsavia, erano condotti a<br />

Treblinka?<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

13


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

14<br />

Unità mobili delle SS<br />

fucilano alcuni<br />

prigionieri appena<br />

catturati.<br />

Riferimenti storiografici<br />

1<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

Le unità mobili in URSS: procedure e problemi<br />

In URSS, furono uccisi circa 3 600 000 ebrei. <strong>La</strong> maggior parte fu eliminata da unità mobili delle SS<br />

denominate Einsatzgruppen. Moltissimi uomini di questi reparti operativi, tuttavia, dopo aver fucilato<br />

decine o centinaia di persone, cadevano in preda a fortissimi crolli nervosi, superabili solo con il ricorso<br />

a massicce dosi di alcol. Dopo la prime azioni, quasi tutti i poliziotti nazisti operavano in perenne stato<br />

di ubriachezza.<br />

Se i tedeschi portarono a termine il loro compito rapidamente e con efficacia, fu anche<br />

perché i massacri erano standardizzati. In ogni città, le unità mobili ripetevano la stessa procedura,<br />

con poche varianti minori. Sceglievano un luogo per l’esecuzione, generalmente lontano<br />

dalle città, e preparavano una fossa comune. Spesso, ampliavano e rendevano più<br />

profondo un fossato anticarro o una voragine di granata; alcune volte dovevano scavare una<br />

nuova fossa collettiva. Poi, a partire dal luogo di raccolta, le vittime venivano condotte alla<br />

fossa per infornate successive, cominciando dagli uomini. Il luogo, all’inizio, era vietato a tutte<br />

le persone estranee all’operazione, ma a volte fu impossibile rispettare la regola, e vedremo<br />

come ne seguirono gravi difficoltà. Prima di morire, i prigionieri consegnavano gli oggetti di<br />

qualche valore al capo dei loro uccisori. D’inverno si toglievano i cappotti; nelle stagioni calde<br />

dovevano consegnare tutti i vestiti, a volte anche gli indumenti intimi.<br />

A partire da questo modello, i metodi di esecuzione potevano variare. Taluni Einsatzkommandos<br />

allineavano i condannati sul bordo della fossa e li uccidevano con la mitragliatrice<br />

o altre armi leggere, sparando loro alla nuca; gli ebrei colpiti a morte cadevano<br />

nella tomba. Ma altri comandanti non gradivano questo procedimento, pensando, forse, che<br />

evocasse troppo l’NKVD (Narodnyj Kommissariat Vniutrennich Djel <strong>–</strong> Commissariato del popolo<br />

per gli Affari interni) sovietico. Blobel, comandante dell’Einsatzkommando 4a, dopo la<br />

guerra dichiarò che, personalmente, si era rifiutato di far uso di specialisti del tiro alla nuca<br />

(Genickschusspezialisten). Anche Ohlendorf scartò questa tecnica, poiché non voleva imporre<br />

ai suoi uomini «responsabilità personali». Come lui, Blobel e Haensch hanno dichiarato<br />

di aver preferito il tiro di squadra a distanza. Un terzo metodo consentiva di combinare<br />

l’efficacia e il carattere impersonale delle esecuzioni. Conosciuto come sistema delle sardine<br />

(Ölsardinenmanier), consisteva nel far distendere la prima infornata di vittime sul fondo


della fossa, poi nel fucilarle dall’alto con tiri incrociati; dopo di che la seconda infornata si<br />

distendeva a sua volta, con la testa dalla parte dei piedi dei morti. Alla quinta o alla sesta<br />

tornata si chiudeva la fossa. A Rovno, gli ebrei vennero fucilati in una gola con mitragliatrici<br />

e poi le sponde furono fatte saltare per coprire i corpi con i blocchi di terra staccatisi dalle<br />

pareti. In seguito dei cani dissotterrarono i cadaveri dalle fosse.<br />

È significativo il fatto che gli ebrei si siano lasciati uccidere senza resistenza. Tra tutti i<br />

rapporti degli Einsatzgruppen, ben pochi menzionano incidenti. Le esecuzioni non costarono<br />

una sola vittima agli uomini delle unità di massacro; essi subirono perdite solo a causa<br />

di malattie o incidenti, e in occasione di conflitti con i partigiani o di loro avvicinamenti al<br />

fronte. In uno dei rapporti dell’Einsatzgruppe C si legge: «È stupefacente la calma con la<br />

quale i delinquenti si lasciano uccidere, che siano ebrei o non ebrei. <strong>La</strong> paura della morte<br />

sembra essere rimossa da una sorta di usura (Abstumpfung) risultante dai vent’anni di regime<br />

sovietico». Questa annotazione è del settembre 1941. Gli anni seguenti avrebbero dimostrato<br />

che, in fin dei conti, i delinquenti non ebrei non erano poi così facili da eliminare;<br />

ma dopo essere stati sfiorati per la prima volta dalla morte, conoscendo in anticipo il loro<br />

destino, gli ebrei rimasero paralizzati.<br />

Anche uccidendo gli ebrei con poco clamore, i capi degli Einsatzgruppen si preoccuparono<br />

delle eventuali ripercussioni sulla popolazione, sull’esercito e sui loro uomini; ripercussioni<br />

e problemi che nascevano dalla loro azione <strong>–</strong> come per una pietra gettata in acque<br />

tranquille che, a partire dal suo punto di caduta, genera onde che si propagano molto<br />

lontano. […] Accadde, infatti, che taluni ebrei venissero uccisi da soldati che agivano senza<br />

ordini né direttive. Alcuni offrivano il loro aiuto alle unità mobili di massacro e partecipavano<br />

alle esecuzioni; se ne videro altri immischiarsi nei pogrom, o anche organizzare esecuzioni<br />

di propria iniziativa. Abbiamo già sottolineato come l’esercito avesse prestato un’assistenza<br />

considerevole alle unità mobili; in che cosa allora, nelle condizioni indicate, quegli atti,<br />

generalmente individuali, potevano inquietare i comandi?<br />

C’erano in proposito diverse ragioni di ordine amministrativo. Dal punto di vista statutario,<br />

era poco gradito lasciare che dei soldati svolgessero funzioni di polizia. Quanto ai<br />

pogrom, erano un vero incubo per gli esperti del governo di occupazione; i massacri improvvisati<br />

sulle strade o nei villaggi costituivano un pericolo, e non solo per via dei rischi<br />

di errori o di incidenti. Ma al di là di queste considerazioni di circostanza, si trattava di una<br />

reazione complessiva nella quale trovava espressione tutta la psicologia del processo di<br />

distruzione.<br />

Poiché l’assassinio degli ebrei era ammesso come una necessità storica, il soldato doveva<br />

capire; e se per un qualsiasi motivo gli veniva ordinato di aiutare le SS e la Polizia nel<br />

loro lavoro, si supponeva che obbedisse. Ma se un soldato uccideva spontaneamente un<br />

ebreo, di sua personale iniziativa, senza un ordine preciso e mosso solo dalla sua voglia di<br />

uccidere, allora commetteva un atto fuori dalla norma, degno forse di un europeo orientale<br />

<strong>–</strong> d’un rumeno, per fare un esempio <strong>–</strong> ma che comprometteva la disciplina e il prestigio dell’esercito<br />

tedesco. Qui veniva posta la differenza cruciale tra l’uomo che si dominava, anche<br />

per uccidere, e quello che si rendeva colpevole di atrocità gratuite. Il primo veniva giudicato<br />

un buon soldato e un nazista convinto, il secondo non sapeva essere padrone di se<br />

stesso e, dopo la guerra, di ritorno in patria, avrebbe rappresentato un pericolo per la comunità<br />

tedesca. Tutti gli ordini che mirarono a risolvere il problema degli eccessi, si ispirarono<br />

a questa morale. Il capo del XXX Corpo, associato all’11 a Armata, il 2 agosto 1941, diffuse<br />

il seguente ordine, fino al livello delle compagnie:<br />

«Partecipazione dei soldati ad azioni contro gli ebrei e i comunisti.<br />

<strong>La</strong> volontà fanatica dei membri del Partito comunista e degli ebrei di fermare a ogni costo<br />

l’avanzata dell’esercito tedesco deve essere spezzata in ogni circostanza. Al fine di assicurare<br />

condizioni di sicurezza nelle retrovie dell’esercito, si rende dunque necessario<br />

adottare provvedimenti draconiani [dass scharf durchgegriffen wird]. Questo compito viene<br />

affidato ai Sonderkommandos. Tuttavia, membri delle forze armate hanno partecipato in<br />

modo increscioso [in unerfreulicher Weise beteiligt] a un’azione di questo tipo in una località.<br />

Per cui, per il futuro, ordino quanto segue:<br />

Possono prendere parte a queste azioni soltanto quei soldati che ne hanno ricevuto l’ordine<br />

formale. Inoltre, faccio divieto a tutti gli uomini sottoposti ai miei ordini di parteciparvi<br />

anche come spettatori. Ogniqualvolta i membri delle forze armate vengano destinati a tali<br />

azioni [Aktionen], dovranno essere comandati da un ufficiale. L’ufficiale dovrà vigilare perché<br />

non si producano eccessi non graditi da parte delle truppe [dass jede unerfreuliche Ausschreitung<br />

seitens der Truppe unterbleibt]».<br />

R. HILBERG, <strong>La</strong> distruzione degli ebrei d’Europa, Einaudi, Torino 1999, pp. 335-337, 342-343,<br />

trad. it. F. SESSI, G. GUASTALLA<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

Che vantaggi<br />

provocava, agli<br />

assassini, la<br />

procedura<br />

denominata «tiro di<br />

squadra a distanza»?<br />

Quale resistenza<br />

opposero gli ebrei<br />

sovietici all’azione<br />

dei reparti operativi<br />

nazisti?<br />

Com’era giudicato un<br />

soldato dell’esercito<br />

che uccideva<br />

spontaneamente un<br />

ebreo di sua<br />

personale iniziativa?<br />

Quale punizione<br />

subiva?<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

15


LO STERMINIO DEGLI EBREI UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

16<br />

2<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

Hartheim: funzionamento e strategie di difesa<br />

psicologica del personale<br />

Dal 1940 al 1941, in sei centri specializzati, i nazisti uccisero circa 70 000 malati di mente e handicappati.<br />

Hartheim (in Austria, vicino a Linz) era uno di questi luoghi. Vi morirono 18 000 persone, e le<br />

uccisioni proseguirono anche dopo la fine ufficiale della campagna di eutanasia. In questa struttura, incontriamo<br />

tecniche di omicidio e personale che poi sarebbero stati impiegati a Belzec, Sobibor e Treblinka.<br />

Quanto alle infermiere o alle segretarie, alla fine della guerra cercarono di negare le loro responsabilità<br />

affermando che svolgevano un lavoro di ordine puramente amministrativo.<br />

Nel 1939 Vinzenz Nohel era solo un meccanico qualificato ma mal retribuito perché guadagnava<br />

solo 100 marchi al mese, appena sufficienti per sostentare la famiglia. Spinto dalla<br />

necessità di un lavoro con un migliore stipendio, egli si rivolse a suo fratello, un SA-Brigadenführer,<br />

tornato di recente che riuscì ad organizzargli un colloquio con i dirigenti del partito<br />

a Linz. Quando fu dinanzi a loro, questi sorrisero per quanto poco guadagnava. Lui e<br />

alcuni altri, poi, furono informati che sarebbero stati mandati a Hartheim, facendoli giurare<br />

di mantenere il segreto. Nohel cominciò a lavorare il 2 aprile 1940 e il suo salario aumentò<br />

rapidamente a 170 marchi al mese più vitto e alloggio. Egli riceveva anche 35 marchi come<br />

indennità per il servizio svolto come addetto al crematorio.<br />

Nohel divenne un esperto nel campo della distruzione di esseri umani. Secondo la sua<br />

testimonianza, la procedura era la seguente: le vittime, dopo essere state condotte all’interno<br />

del locale accettazione, venivano ispezionate superficialmente dal dottore e da tre o<br />

quattro assistenti. Ognuna veniva marcata con un numero di immatricolazione grande tre<br />

centimetri, condotta in uno studio fotografico dove veniva ripresa e rimandata nel locale accettazione.<br />

Quando tutte erano state marcate, fotografate ed era stato tracciato sulla<br />

schiena un segno che indicava la presenza di denti d’oro, venivano condotte attraverso una<br />

porta d’acciaio nella camera a gas che sorgeva a fianco del locale accettazione. <strong>La</strong> camera<br />

conteneva tre getti per la doccia; il pavimento, precedentemente in legno, venne successivamente<br />

cementato. I muri e il soffitto erano rivestiti di pittura a olio e col tempo vennero<br />

aggiunte delle piastrelle. Un’altra porta corazzata si trovava di fronte a un corridoio ed era<br />

dotata di uno spioncino rotondo attraverso il quale gli osservatori potevano seguire quanto<br />

accadeva all’interno. Una diversa porta di acciaio portava in una stanza dove si trovavano<br />

i contenitori del monossido di carbonio collegati a una tubazione d’acciaio attraverso una<br />

cannula di gomma. Quando un medico apriva il rubinetto del gas questo si diffondeva dal<br />

contenitore alla camera attraverso un tubo di ferro del diametro di poco più di un centimetro.<br />

Il gas riempiva la stanza in breve tempo, sottolineava Nohel, ma per ventilarla completamente<br />

occorrevano da un’ora a un’ora e mezza.<br />

A gruppi di quattro, con turni alternati di dodici ore, gli inservienti trascinavano via i morti<br />

dalla camera a gas in una stanza accanto dove i corpi venivano accatastati in attesa di sbarazzarsene<br />

nel forno a carbone. I cadaveri venivano sollevati dalla camera mortuaria e fatti<br />

scivolare in un forno vicino, dove bruciavano da due a otto per volta. «Il lavoro continuava,<br />

quando necessario, notte e giorno».<br />

Dopo la guerra Nohel volle descrivere agli investigatori qual era la pavimentazione più<br />

adatta per trascinare un corpo. Egli aveva scoperto, a questo proposito, che un pavimento<br />

in cemento era migliore di uno in legno. Le piastrelle poi, se bagnate con l’acqua, erano la<br />

migliore delle soluzioni. Aveva imparato che le donne bruciavano meglio degli uomini: lo scheletro<br />

più leggero e la più ampia massa di grasso favorivano l’incenerimento: sapeva come<br />

si doveva mettere la mano nella cavità orale di un cadavere; macabro cercatore d’oro, sondava<br />

la cavità orale con un dito alla ricerca di otturazioni. Scoprì che l’estrazione delle otturazioni<br />

si presentava estremamente difficoltosa per uno che, come lui, aveva perso sensibilità<br />

a una mano, tanto che fu esonerato da tale compito. Tuttavia Nohel toccava i<br />

cadaveri, conosceva la pesantezza dei corpi, sapeva quanto fosse duro districarli quando<br />

erano stipati in più di centocinquanta per volta nella camera a gas. Una razione giornaliera<br />

da un quarto di litro di grappa aiutava gli uomini a sopportare compiti che erano, come lui<br />

stesso dice, «estremamente snervanti».<br />

Dal maggio del 1940 fino al dicembre del 1944, per quattro anni e mezzo, Vinzenz<br />

Nohel fu un uomo vivo tra i morti. Con le mani nude li aiutava a spogliarsi della propria<br />

forma terrena: sue erano le mani con cui i cadaveri venivano separati, accatastati per l’immagazzinamento<br />

e poi spinti nel forno, carne bruciata fino a diventare cenere che egli vagliava<br />

alla ricerca dei pezzi di osso più grossi per sminuzzarli in un mulino elettrico. Occupati<br />

da migliaia di altre mansioni, gli altri collaboratori rimanevano incontaminati da resti<br />

o sangue, liberi dal contatto con quella carne senza vita. Essi avevano semplicemente fatto


sì che la morte passasse per altre mani, diverse dalle loro: quelle di Nohel e dei suoi sfortunati<br />

compagni. […]<br />

Gli addetti al castello [luogo dove si trovava il forno crematorio di Hartheim, n.d.r.] trovavano<br />

una difesa comune nella linea immaginaria tracciata tra quelli che adempivano a<br />

funzioni di routine e quelli che operavano nella camera a gas e nei forni. Era come se la<br />

responsabilità fosse più diretta, più facilmente riconoscibile nel punto di transizione, dove<br />

gli uomini diventavano cadaveri. In questo senso gli addetti del castello condividevano un’illusione<br />

comune, cioè che le loro azioni individuali non fossero funzionali all’intero processo.<br />

Perfino quelli che, regolarmente, ogni giorno, provvedevano a far giungere le vittime alla<br />

loro destinazione ultima, evitavano di guardarle e toccarle nel momento della morte. Essi<br />

credevano che questo stare alla larga potesse liberarli dalle responsabilità. <strong>La</strong> strage si localizzava<br />

così in un laboratorio di distruzione. Persino dentro il castello essa formava un<br />

regno isolato le cui frontiere erano segnate dalle pesanti porte d’acciaio che conducevano<br />

alla camera a gas e dalla bocca del forno dove le vittime diventavano cenere. Dopo che<br />

ciascun gruppo di visitatori ne attraversava la soglia, l’odore della carne bruciata cominciava<br />

a diffondersi per il castello. Tuttavia, ogni addetto era lasciato libero di negare che<br />

il suo viaggio alla guida del pullman, l’istantanea scattata dalla macchina fotografica, o il<br />

ticchettio della macchina da scrivere avessero qualcosa a che vedere con le sgradevoli<br />

condizioni dell’atmosfera.<br />

Essi rifiutavano di credere che quegli esseri viventi venissero trasformati in cadaveri e poi<br />

in cenere, in parte perché loro li aiutavano nello svolgimento delle procedure. Tutti, dal capitano<br />

Wirth, e dai dottori Lonauer e Renno che organizzavano i trasporti, effettuavano i controlli<br />

finali delle vittime, consegnandole alla camera a gas e sorvegliando l’immissione del gas<br />

letale, fino ai custodi, agli autisti di pullman, alle infermiere e alle segretarie, si tenevano a<br />

buona distanza dagli Stracci e dai fuochisti che maneggiavano quei corpi oltraggiati e senza<br />

vita. Il reale orrore dell’operazione era visibile solo alla fine; e il prodotto finale, che era la<br />

morte, era nelle mani di un gruppo di uomini ubriachi, addetti alla distruzione delle vittime.<br />

Solo lì, così almeno sembrava ai dipendenti del castello, era la vera contaminazione che ciascuno<br />

di loro aveva collaborato a rendere inevitabilmente evidente. Non c’è da sorprendersi,<br />

quindi, che il solo membro dello staff del castello a venir giustiziato, appena dopo la conclusione<br />

della guerra, per la sua partecipazione alle operazioni di sterminio a Hartheim fosse<br />

uno degli addetti al crematorio, Vinzenz Nohel.<br />

A questo riguardo l’insistenza dell’addetto alla manutenzione Buchberger sul fatto di aver<br />

rifiutato di assistere alle gassazioni dei pazienti e di prestare servizio come addetto alla cremazione<br />

è molto significativa. <strong>La</strong> diretta responsabilità personale nell’uccisione sembrava<br />

riferirsi solo al momento in cui si veniva a contatto dei morti o dei moribondi. Questo era il<br />

risultato logico e voluto di un sistema organizzato burocraticamente per lo sterminio di<br />

massa, che si componeva di una sequenza d’operazioni coordinate, separate e divisibili,<br />

compiute da individui con scarsa considerazione personale, per non dire indifferenti, verso<br />

le vittime che essi contribuivano a creare.<br />

G.J. HORWIZ, All’ombra della morte. <strong>La</strong> vita quotidiana attorno al campo di Mauthausen,<br />

Marsilio, Venezia 1994, pp. 89-91, 108-109, trad. it. G. GENOVESE<br />

Quale grave difetto tecnico presentavano le camere a gas di Hartheim?<br />

Qual era l’illusione comune, che aveva salda presa nella mentalità di chi lavorava a Hartheim?<br />

Per quale motivo Vinzenz Nohel fu il solo membro dello staff del castello a venir giustiziato, dopo<br />

la conclusione della guerra?<br />

F.M. Feltri, <strong>La</strong> torre e il pedone © SEI, 2012<br />

<strong>La</strong> <strong>Shoah</strong> nell’Europa dell’Est UNITÀ 9<br />

APPROFONDIMENTO B<br />

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