Museo-grafare le culture locali - Antrocom, Online Journal of ...

Antrocom Online Journal of Anthropology 2011, vol. 7. suppl. al n. 1 M. A. Bertolino - Museografare
Abstract
Antropologia culturale 17-25
Museo-grafare le culture locali
Un caso di studio: la sezione del legno del museo etnografico di Pinerolo
Maria Anna Bertolino *
L’interesse per la tematica museale ha da sempre accompagnato lo sviluppo delle discipline demoetnoantropologiche. Oggi,
con i cambiamenti che tale istituzione sta affrontando, si aprono nuovi stimolanti campi d’indagine antropologica,
etnografica e sociologica, in particolar modo per quanto riguarda i “musei etnografici” (anche denominati “di Arti e
Tradizioni popolari” o “della Civiltà contadina”). Il lavoro condotto all’interno del Museo di Arti e Tradizioni popolari
della città di Pinerolo (Torino) ha voluto quindi essere un esempio pratico di museologia applicata ai beni
demoetnoantropologici.
Parole chiave: antropologia culturale, patrimonio demoetnoantropologico, musei etnografici,
catalogazione, museologia.
1. Introduzione
Il patrimonio culturale materiale e immateriale fa parte della cultura nel senso antropologico del termine
in quanto questa espressione si riferisce a due tipologie di bene: la prima, composta dai beni mobili o
immobili, comprende i prodotti materiali delle attività dell’uomo in società costruiti secondo le
conoscenze, i saper fare e le tecniche in vigore; la seconda ingloba invece le espressioni intangibili che
caratterizzano la vita rituale, sociale e professionale delle società come i canti, le danze, le feste e le
lingue.
L’antropologia ha dunque come oggetto di studio tale patrimonialistica, che può appartenere a culture
non europee o fare parte della tradizione rurale della società occidentale. L’interesse nei confronti di
quest’ultima ha dominato la tradizione italiana di studi antropologici, specialmente in risposta a quei
fenomeni sociali legati alla rivitalizzazione, rifunzionalizzazione e musealizzazione dei suoi prodotti.
In questo caso, si è proceduto studiando la cultura delle classi popolari, caratterizzata da una forte
componente orale e storicamente determinata da una struttura sociale con un’accentuata disparità
interna di cultura, ovvero da dislivelli e da divergenze economiche, politiche e culturali per cui tali
forme d’espressione sono state etichettate come “folklore” o “tradizione popolare” (Cirese 1977).
Tuttavia, se l’interesse del mondo accademico per i beni demoetnoantropologici 1 è stato rapido, così
non si può dire del loro riconoscimento a livello statale, avvenuto solo nel 1998 in seguito alla
ristrutturazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D.L.gs 20 ottobre 1998, n.368) e con la
creazione della Soprintendenza per il patrimonio antropologico che trova rappresentazione nel Museo
* dottoranda in Scienze Psicologiche, Antropologiche e dell’Educazione presso la Scuola di Dottorato in Scienze Umane e
Sociali dell’Università degli Studi di Torino (XXVI ciclo) con un progetto di ricerca riguardante la tutela, la
valorizzazione e il consumo delle tradizioni nell’arco alpino occidentale. Collabora con il Centro Arti e Tradizioni
popolari del Pinerolese dal 2009. mariaanna.bertolino@unito.it
1 Conosciuti nell’acronimo beni DEA.
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Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e nel Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi
Pigorini”, entrambi siti in Roma.
Oggigiorno un impegno importante deriva dalle Regioni, che hanno favorito l’emergere di Centri di
documentazione e collaborano con le Università.
I due aspetti legati alla patrimonializzazione della cultura delle classi popolari sono la nascita di musei
locali, luoghi per eccellenza della conservazione e dell’esposizione della cultura materiale, e la rinascita
di un apparato festivo, religioso e non, anche in risposta ad una crescente domanda di turismo culturale.
Nel primo caso ci troviamo di fronte ad una museografia che è stata qualificata come “spontanea”
(Bravo & Tucci 2006, 60- 67) in quanto è stata sovente legata alle attività di gruppi e di comunità
animati da un “desiderio del ritorno” (Clemente & Rossi 1999, 20) e impegnati in un'etnografia di
recupero che hanno originato musei fortemente ancorati ad un territorio.
Negli ultimi anni si è assistito al sorgere di numerose realtà museali locali con lo sviluppo di alcune
tipologie particolari quali i musei etnografici e gli ecomusei, che svolgono un ruolo primario nel mettere
in risalto il significato antropologico che una comunità attribuisce alla patrimonializzazione delle
proprie espressioni materiali e immateriali e alla propria rappresentazione e musealizzazione 2 . Questo
campo è particolarmente propizio per l'antropologia, in quanto permette di analizzare il museo quale
organizzatore di cultura radicato nella società civile dal punto di vista della sua “cultura implicita”
(Cirese 1977).
L'antropologia museale nasce in Italia come specializzazione del discorso antropologico e dalla
necessità di aprire uno spazio di dibattito e di riflessione sul museo etnografico quale fenomeno nella
sua complessità storica e culturale, interrogandosi sulla natura sostanziale dell'impresa museale, della
demo-etnoantropologia quale dimensione disciplinare capace di esprimersi in forma museale e del
museo di antropologia quale luogo di espressione, in termini didattici e dell'azione socio-culturale, delle
categorie degli sguardi dell'antropologia (Turci 1999). La legittimità dell'apertura nella comunità degli
antropologi al museo è stata sancita, come nota Mariotti, dal costituirsi della sezione di Antropologia
Museale in seno all’Associazione Italiana per le Scienze Etnoantropologiche (A.I.S.E.A.), mentre un
contributo molto importante alla promozione e allo sviluppo di professionalità legate alla museografia
antropologica deriva dalla Società Italiana per la Museologia e i Beni Demoetnoantropologici
(SIMBDEA).
2. Il museo etnografico di Pinerolo: un caso di studio
2.1 Il luogo e la localizzazione
Il Museo etnografico di Pinerolo (TO) è situato nelle cantine di Palazzo Vittone, edificio settecentesco
che sorge nel centro della città, ed è nato nel 1980 per volere del Centro Arti e Tradizioni Popolari del
Pinerolese, un’associazione che dal 1967 si propone di studiare, recuperare e conservare le
testimonianze della società e della cultura contadina sia della pianura pinerolese sia delle Valli che la
circondano.
Attualmente la collezione copre uno spazio di 500 mq e offre una ricca documentazione della cultura
materiale e delle tradizioni popolari, dei costumi, degli ambienti e dei lavori tradizionali. Di particolare
interesse è la Sezione del Legno, che occupa tre delle dodici sale di cui si compone il museo.
La città di Pinerolo conta 35.143 abitanti. Situata ai piedi delle Alpi Cozie, è stata da sempre considerata
luogo strategico di collegamento tra montagna e pianura, nonché centro redistributivo per quanto
riguarda le attività economiche che hanno legato le due zone, quali gli importanti commerci legati alle
principali attività manifatturiera, cartacea, tessile e laniera.
Il ridimensionamento delle fabbriche a metà del Novecento è stato controbilanciato dalla crescita
dell'offerta di servizi, in particolar modo nel settore turistico e culturale.
2 Secondo i dati del MiBAC pubblicati nel 2009 nella terza edizione de Il patrimonio museale antropologico si contano ben 1300
realtà museali sul territorio italiano.
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Il Museo Etnografico di Pinerolo: la sezione del Legno.
La regione alpina è formata da tre Valli (Chisone, Pellice e Germanasca), caratterizzate per secoli da
un'economia di sussistenza quasi esclusivamente fondata sulle attività agro-silvo-pastorali, che hanno a
loro volta plasmato il territorio e il paesaggio. Le tre Valli, assieme alla Valle di Susa, sono l'estrema
propaggine occidentale della regione europea dell'Occitania, che prende il nome dalla lingua d'Oc, di
famiglia franco-provenzale, e si estende dalla Catalogna spagnola al Piemonte italiano passando per la
Provenza francese.
La stretta convivenza di tradizioni e culture differenti ha dato origine ad un plurilinguismo che vede la
coesistenza di quattro diversi codici linguistici: italiano, francese, piemontese e patois. Inoltre, sia la Valle
Pellice sia la Valle Germanasca sono note come Valli Valdesi: la loro storia è intrecciata con le vicende
dell'omonimo movimento religioso medievale (divenuto chiesa protestante con l'adesione alla Riforma
nel XVI secolo) che, per fuggire alle persecuzioni, si rifugiò in tali vallate, ricevendo tuttavia la libertà di
culto il 17 febbraio 1848 grazie alle Lettere Patenti concesse da Carlo Alberto di Savoia.
Il Museo Etnografico di Pinerolo: la sezione del Legno.
2.2 La metodologia della ricerca
La metodologia della ricerca è stata caratterizzata dalla circolarità: la possibilità di entrare nel museo
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etnografico ha portato ad analizzarne il contenuto e la forma. Ad una prima analisi teorica della figura
dell'antropologo nel museo è seguita la sperimentazione sul campo delle competenze pratiche e la
creazione di una cassetta degli attrezzi che racchiude e unisce un linguaggio proveniente dalla
museologia con quello proprio dell'antropologia.
Si è notato che, come ancora spesso avviene in molti allestimenti, si trova di fronte un contenitore
vuoto, riempito di soli oggetti che non riescono a trasformarsi in testimonianze.
Si è reso necessario uscire dalle mura del museo per indagare il territorio dal quale provengono gli
oggetti esposti, per poi rientrarvi con un bagaglio di conoscenze da spendere in particolar modo
riguardo alla comunicazione dell'istituzione.
La scelta dei soggetti coinvolti è ricaduta su tre attori: i portatori di cultura, le cui esistenze dovrebbero
essere rappresentate e per i quali si avverte il bisogno di un coinvolgimento nell'impresa museale, i
promotori di cultura, coloro i quali hanno dato vita alla realtà museale ed il pubblico museale.
Lo studio di caso ha quindi posto attenzione alle questioni riguardanti la conservazione, la tutela e
l’esposizione degli oggetti, la comunicazione del museo e i servizi offerti.
2.3 La catalogazione: un esempio di conservazione
Nella prima fase della ricerca ho avanzato una catalogazione degli oggetti più significativi della sezione
del legno.
Secondo il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la catalogazione “costituisce lo strumento conoscitivo per
il corretto ed efficace espletamento delle funzioni legate alla gestione del territorio ai fini del conseguimento di reali obiettivi
di tutela ed è lo strumento essenziale di supporto per la gestione e la valorizzazione del patrimonio immobile e mobile nel
territorio e nel museo, nonché per la promozione e la realizzazione delle attività di carattere didattico, divulgativo e di
ricerca” 3 . Negli anni l'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione (ente preposto alla
catalogazione del patrimonio culturale e operativo dal 1968) ha messo a punto diverse schede per la
catalogazione dei beni demoetnoantropologici 4 . La catalogazione del patrimonio culturale
etnoantropologico, in virtù del forte legame con il territorio di appartenenza, si è esplicitata anche in
azioni a livello regionale, con una forte collaborazione tra Assessorati alla Cultura, Centri di
Documentazione delle Regioni e Università, che hanno portato negli anni alla strutturazione di schede,
riconoscendo la necessità di una tutela comune di tali beni ma anche una certa indipendenza d'azione a
seconda delle specificità territoriali.
Considerando l'articolazione dei beni DEA lungo i due assi dicotomici dei beni in museo e in archivio/
beni sul territorio e beni materiali/beni immateriali (Bravo & Cafuri 2004, 91), la collezione museale
presa ad esame si inserisce nelle prime due categorie, trattandosi di beni materiali già oggetto di un
prelievo e di una selezione avvenuta sul territorio e conservati in un'istituzione quale il museo.
Il lavoro condotto ha portato alla raccolta di dati nei documenti già esistenti, come gli inventari del
museo, ma anche alla ricerca sul terreno per mettere in evidenza la memoria storica di quanti hanno
usato e poi conservato e collezionato tali oggetti.
Per questo si è utilizzata la scheda-oggetto per i musei in rete creata all’interno del CNR nell'ambito del
progetto finalizzato “Beni Culturali” (Bravo 1999, 94) che si caratterizza per l'elaborazione di campi
utili alla schedatura del materiale etnografico, quale il thesaurus di parole chiave etnoantropologiche, e si
compone di contributi multimediali, fotografici, sonori e in video per una futura immissione on-line. A
seguito della catalogazione si è notato che la maggior parte degli oggetti di cui si compone la collezione
riguarda gli strumenti per la lavorazione del legno, mentre un numero minore mostra i motivi
tradizionali dell'intarsio e dell'intaglio dell'artigianato ligneo. Si sono così prospettati sin dall'inizio due
campi di indagine: la figura dell'artigiano falegname e l’arte popolare legata all'iconografia
3 Art. 2 dell’Accordo tra il Ministero per i Beni e le Attività culturali e le Regioni per la catalogazione dei beni culturali e ambientali siglato
nel 2001 con l'intento di unificare le metodologie di catalogazione.
4 Tra queste occorre ricordare le più recenti schede BDM e BDI, rispettivamente per i beni demoetnoantroologici
materiali e per quelli immateriali.
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dell'artigianato ligneo tradizionale.
2.4 Dal museo al territorio: l’indagine sul terreno
Il lavoro di catalogazione mi ha portato a svolgere una ricerca sul terreno per ricostruire la storia degli
oggetti, indagando le trasformazioni di significato che nel tempo li hanno investiti e la storia sociale e
culturale del territorio mediante il ricorso alle biografie dei portatori di cultura, in questo caso gli
artigiani del legno.
Grazie alla loro memoria e tramite interviste libere basate su una griglia messa a punto per l'artigianato
del legno 5 , si è ricostruito il contesto storico di produzione, uso e consumo dei prodotti lignei, nonché i
rapporti sociali ed economici all'interno della comunità prima e dopo l'industrializzazione delle valli
negli anni '50 del secolo scorso.
Parlando inoltre di artigianato del legno, ho approfondito la tematica dell'arte popolare, indagando gli
aspetti simbolici e il linguaggio dell'iconografia dell'artigianato alpino, le situazioni storiche in cui si
sono prodotti e consumati tali manufatti e il problema dell'elaborazione e trasmissione delle concezioni,
delle tecniche e degli stili.
La possibilità di fare entrare questo tipo di fonte nel quadro del museo permette di conferire una
legittimità al discorso museografico, di storicizzare gli artefatti e le espressioni culturali e di volgersi alla
profondità diacronica del vissuto in vista di una comunicazione tra passato e presente che renda quindi
tangibile la memoria nella ricostruzione di micro-storie.
L'indagine riguardante il fenomeno iconografico dell'artigianato ligneo ha preso in considerazione il
territorio delle Valli pinerolesi ed è stata condotta presso il Centro di documentazione del mobile e della
cultura valligiana di Pinasca (TO), che raccoglie numerosi oggetti provenienti dalle diverse località
alpine, la cui datazione è compresa tra il XV e il XX secolo.
Il territorio della Valle Chisone, in particolare, è stato per secoli importante crocevia tra il confine
italiano e quello francese, originando così una commistione di stili e motivi non riconducibili ad una
tipicità esclusiva. Questo, tuttavia, non significa che non si possa rinvenire in numerosi oggetti della vita
quotidiana un'esigenza decorativa che si esprime in motivi ben definiti e ricorrenti, suddivisi inoltre per
area geografica: le contaminazioni dell'artigianato aristocratico sensibile alle influenze cittadine per la
Bassa Valle, la linearità per la Media Valle e l'intaglio per l'Alta Valle. L'artigianato del legno, che per
secoli ha prodotto una grande varietà di utensili con i quali si sono perpetuati gesti e pratiche, si esprime
attraverso un linguaggio simbolico, religioso e profano che si materializza in molteplici e originari
motivi ornamentali che coprono l'intero arco delle Alpi Occidentali. In esso alcune tipologie sono bene
localizzate mentre altre sembrano essere trasportate e utilizzate anche molto lontano dal loro luogo di
origine, rispondendo ad una tradizione del commercio e degli scambi interalpini.
I decori che maggiormente ricorrono nell'artigianato delle Alpi Occidentali sono il rosace (la stella a
quattro o sei raggi) e la torsade (la spirale).
Si riscontra poi una predominanza del geometrico e del lineare che permette una relativa facilità di
esecuzione e di riproduzione. La decorazione animale è scarsa, con preminenza di uccelli, galli e pesci
per l'Alta Valle e di animali domestici per la Bassa Valle, mentre la flora è sovente rappresentata nella
forma stilizzata. L'intaglio del decoro, a rilievo o a incavo rispetto alla superficie, può avvenire per punta
di coltello, in particolar modo per la scultura decorativa tradizionale degli oggetti di casa (cassapanche,
cofanetti, ecc.) o con attrezzi quali sgorbie e bulini per la decorazione di stampi, marche o tavolette.
5 La griglia per l'intervista audio ha previsto lo sviluppo di tre gruppi tematici che tengono in considerazione l'artigianato
ligneo come attività produttiva che si inserisce in maniera organica nel contesto della vita familiare e comunitaria delle
genti delle Valli.
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Dalle testimonianze raccolte è emersa in maniera rilevante una forte tensione avvertita tra l'attenersi alla
tradizione e il dare libero sfogo alla creatività: quella che è stata chiamata una “rusticità inventata” deve
rifarsi ad un passato più o meno legittimato e ad un uso più o meno codificato dei simboli. Sono quindi
pervenuti oggetti creati attraverso un uso invettivo della materia da parte non solo dell'artigiano ma di
chiunque, all'interno della comunità, si cimentasse un tempo nella lavorazione del legno. In tal modo,
pur essendo andata persa larga parte della conoscenza sul significato simbolico che accompagna tali
decori, è venuta a crearsi un'idea di tradizione che tutt'oggi conduce l'artigiano a rivolgersi al passato per
trovare una continuità che dia pregio al proprio prodotto.
Griglia per l'intervista
1. Tecniche ed oggetti
1.1 Esame dell'utensile: le parti componenti.
1.2 Modi di fabbricazione o acquisizione.
1.3 Materiali, usura, riparazione, scarto, riciclaggi.
1.4 Utilizzo nella lavorazione del legno.
2. Rapporti di lavoro, reddito, impresa
2.1 Legno: vendita e denaro liquido.
2.3 La divisione del lavoro e le generazioni; lavoro salariato e servile; l'entrata in
bottega: i garzoni.
2.4 Forme di cooperazione e concorrenza tra artigiani nella comunità;
imprenditorialità dei piccoli artigiani.
2.5 I rapporti di mercato: venditori e acquirenti.
2.6 Produzione e consumo di autosussistenza e scambi in natura.
3. Lavoro e vita contadina
3.1 Ciclo del legno: abbattimento e lavoro.
3.2 Proprietà privata e proprietà comunitaria delle terre: la gestione dei boschi.
3.3 Tipi di legno.
3.4 Scadenze, tecniche produttive e andamento climatico nei saperi tradizionali
Griglia per l'intervista audio
Nella foto a sinistra una Marca per il burro con motivo decorativo; nella foto a destra una scatola decorata con motivi floreali e “rosace”.
2.5 La comunicazione museale
Una volta ricostruiti i contesti e le storie di vita, si è rientrati nel museo per approfondire l'aspetto della
comunicazione museale. Lo studio di questa dimensione si fa sempre più strada nell'antropologia
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museale ed è stato definito come “un'antropologia dell'uomo nel museo e che fa musei” (Kezich 1994) in
quanto si compone di una triade che vede coinvolti l'antropologo-museografo, i promotori di cultura e
il pubblico.
L'indagine è stata condotta attraverso la compilazione del questionario per il censimento dei musei
demoetnoantropologici piemontesi 6 , tramite un paio di interviste orali agli operatori museali e
attraverso un questionario creato ad hoc, sottoposto al pubblico del museo durante l’ultimo trimestre
del 2009.
Grazie a questi strumenti ho analizzato come si articola il rapporto tra museo e territorio ed ho
osservato il carattere dei suoi promotori, le concezioni, i punti di vista, gli ideali e i pregiudizi che ne
hanno accompagnato gli intenti (ovvero quella cultura implicita che ha guidato i criteri di selezione degli
oggetti), vedendo nel museo una costruzione culturale che si inserisce nella dinamica territoriale e che
deve essere contestualizzata storicamente. Nell'attività passata di questi promotori si legge una forte
spinta ecologista, manifesta nella revisione critica degli anni della meccanizzazione e nella necessità di
recuperare una “civiltà al tramonto” 7 mentre attualmente si focalizza l'attenzione sulla finalità educativa
e informativa del museo, che non ripiega in una visione nostalgica ma si volge verso la concezione del
museo quale operazione culturale e centro di formazione, con un forte impegno per le generazioni più
giovani.
Il punto di vista degli organizzatori è stato poi confrontato con le valutazioni del pubblico museale
relative alla fruizione dell'istituzione. Si sono così avanzate alcune proposte per il futuro: tra queste si
nota la necessità di un nuovo allestimento che utilizzi le possibilità offerte dai mezzi multimediali e
informatici in vista di un'esperienza multisensoriale che permetta di superare la percezione del museo
quale luogo immobile in vista di una sua apertura strutturale e offra la possibilità al visitatore di
concorrere a plasmare l'istituzione stessa attraverso la propria esperienza di vita.
3. Conclusioni
L'antropologo che vuole dedicarsi alla ricostruzione delle culture locali si trova da qualche decennio a
questa parte di fronte al nascere di numerose realtà museali, più o meno istituzionalizzate, con le quali
inevitabilmente deve confrontarsi.
Analizzando la situazione contemporanea, si constata che l’antropologia culturale è occupata
nell’applicazione dei suoi diversi campi di competenza all’impresa di conservazione e comunicazione
propria del museo etnografico.
L’etnografia, d’altronde, si presenta oggigiorno come una tecnica centrale della riflessione antropologica
sull’organizzazione e la produzione dello specifico patrimonio della stessa istituzione museale.
Il museo diventa quindi l’osservatorio privilegiato dove guardare il cambiamento. Al suo interno
l’antropologia culturale interviene con la propria “cassetta degli attrezzi” che permette un approccio
unico: essa può favorire l’integrazione del museo sul territorio, lavorando per una comunicazione
efficace tra le forme sociali che vi figurano, quelle della comunità residente e quelle alle quali appartiene
il visitatore e mostrare, al di là di una visione idilliaca di un passato immaginario, i cambiamenti e i
conflitti sociali, che implicano un processo di interazione e di scambio tra le culture ma anche relazioni
di potere e di egemonia.
6 Il questionario è stato curato dal gruppo di ricerca dell’Unità operativa facente capo al Dipartimento di Scienze
Antropologiche, Archeologiche e Storico-territoriali dell’Università di Torino, su commissione della Regione Piemonte
(Bravo 2005, 135).
7 Questa espressione ha dato il titolo alla prima mostra realizzata dal Centro Arti e Tradizioni popolari del Pinerolese nel
1975.
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In questa prospettiva l’antropologo può colmare alcune lacune proprie dei musei cosiddetti spontanei
ricostruendo la rete di relazioni sociali in cui i beni sono stati prodotti, usati e poi abbandonati, nonché i
tratti di continuità di quelle comunità di cui il museo si fa rappresentante.
Inoltre oggi il museo si pone come uno strumento di comunicazione di massa e domanda
all’esperienza antropologica di tradurre i propri codici comunicativi nel linguaggio dell’allestimento
museale. Per giungere a questo l’antropologo ha bisogno di considerare il museo come un luogo di
rappresentazione. Si tratta di un'operazione non facile: la resa visibile delle forme di vita nel museo
include una serie di strategie di metodo che dovrebbero portare a riconoscere nella museografia
antropologica una chiave d’accesso ad un rinnovato modo di fare musei nel quale, come si è visto,
concorrono sempre più spesso le nuove tecnologie.
Per questo oggi è necessario lavorare su una rete virtuale che, legando diversi musei presenti sul
territorio, permetta una più grande diffusione della conoscenza della cultura materiale e delle tradizioni
popolari ma anche la possibilità di analizzare i beni in prospettiva comparativa.
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itinerari delle regioni italiane: riflessioni e prospettive. MiBAC - adnkronos, Roma.
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Appendice
Esempio di Scheda del CNR per i Musei in rete
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DATI CATALOGO
Numero inv.
Ente conservatore: Centro Arti e Tradizioni popolari-Museo Etnografico
Cognome e Nome rilevatore: Bertolino Maria Anna
Data schedatura: 9/10/2009
Stato di conservazione: discreto
OGGETTO
Codice
Definizione: utensile per lisciare, spianare, assottigliare
Parole chiave: lavoro-artigiano, strumenti
Altre indicazioni
Denominazione: pialla
Altra denominazione: verlepa
USO
Localizzazione geografica:
Regione Piemonte
Provincia Torino
Comune Pinerolo
Altra specificazione
Utente:
Mestiere o professione: falegname
Funzione: lisciare, spianare e assottigliare gli oggetti lignei
Modalità d'uso: nella parte centrale del ceppo di legno sporge un ferro a scalpello usato per lavorare
l'oggetto.
Occasione: lavoro in falegnameria
DATI TECNICI
Materia: legno, ferro.
Tecnica:
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