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banchetto federico II annamaria - ACIT Siracusa

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Annamaria Grasso<br />

Il <strong>banchetto</strong> alla corte di Federico <strong>II</strong>, un esempio di<br />

‘plurilinguismo’ alimentare.<br />

È certo, come gli studi di etnologia, antropologia, sociologia, ma anche di storia e di<br />

economia hanno dimostrato, che il cibo costituisce in ogni sua manifestazione −<br />

parlarne, scriverne, elaborarlo, manipolarlo, consumarlo − un 'fatto' culturale, e che ogni<br />

società esprime una propria cultura alimentare che la identifica e la distingue da ogni<br />

altra.<br />

Vi propongo quindi una passeggiata ai tempi dell’imperatore Federico <strong>II</strong> di<br />

Hohenstaufen, in cui inevitabilmente storia, cibo e cultura avranno una loro parte, e<br />

potranno indurci a qualche riflessione su noi, il nostro passato e il nostro presente.<br />

Passando, naturalmente, attraverso il cibo.<br />

Federico nasce nel 1194 dall’unione dell’ultima regina normanna, Costanza<br />

d’Altavilla, con l’imperatore del Sacro Romano Impero, il tedesco Enrico I<br />

Hohenstaufen. Rimasto presto orfano, fu educato nella splendida Palermo arabonormanna<br />

da precettori siciliani, romani e tedeschi che se ne contendevano il controllo,<br />

ma senza riuscire a estinguere la sua inesauribile sete di nuove conoscenze e di nuove<br />

esperienze.<br />

Tra le quali, naturalmente, e non ultima, quelle alimentari e gastronomiche, in cui<br />

riesce a fondere la tradizione latino-germanico con quella siculo-musulmana, senza<br />

dimenticare una rilevante presenza ebraica. Alla sua corte il <strong>banchetto</strong> (che prende il<br />

nome dai piccoli banchi dove era consumato il pasto) diventa simbolo e sistema di<br />

comunicazione, occasione per ostentare ricchezze e potenza del signore. All’uso degli<br />

‘umidi della cucina greco-romana s’aggiunge la quantità di germanica tradizione.<br />

Se, infatti, ancor oggi la cucina siciliana è caratterizzata dai contrasti, dalle<br />

differenziazioni, da una grande varietà di aromi e di sapori, ciò hauna spiegazione<br />

storica: il continuo e plurimillenario transito per motivi militari e commerciali di navi,<br />

merci, uomini provenienti da tutto il Mediterraneo, chehanno lasciato tra isegni della<br />

loro presenza, anche le abitudini gastronomiche.Non a caso un illustre studioso di storia<br />

dell’alimentazione ha definito la cucina “luogo d’identità e di scambio”.<br />

Il “mangiare siciliano” non è dunque − come può accadere in altre regioni d’Italia −<br />

uno solo. Qualcuno, con espressione felice, ha detto che la Sicilia “non è un’isola ma<br />

mille isole”; qualcun altro l'ha definita un continente. Già nei territori dell’isola, dove<br />

erano ambienti marini, pianeggianti, collinari, montani, grandi boschi con ricca<br />

cacciagione e coste abbondanti di ogni tipo di pesci, si poteva riscontrare una grande<br />

varietà di produzioni e di modi di cucinare.<br />

Nella Sicilia federiciana si coltivavano− introdotti dai musulmani − riso, cetrioli,<br />

melanzane, zucchine, cavolfiori, spinaci, asparagi, porri, rape, fagioli, agrumi, oltre alla<br />

triade mediterranea grano-ulivo-vite. A proposito dei fagioli: capita spesso di leggere<br />

che arrivarono dall’America, ma in realtà una varietà di fagiolo nero proveniente


dall’Asia minore era coltivatain Sicilia già nel X secolo, ed era destinato alla cucina di<br />

corte come cibo di lusso.<br />

Il gusto gastronomico allora vigente prediligeva grandi quantità di carne, soprattutto<br />

cacciagione: cervo al pepe, polli al lardo, pavoni, cigni e airone in salse molto speziate,<br />

oggi stucchevoli al nostro palato; anatre, fagiani, capponi, colombi … sempre ricchi di<br />

spezie e di salse per nascondere gli odori di un’eccessiva frollatura (le tecniche di<br />

conservazione di allora erano piuttosto carenti…).<br />

Il dessert prevedeva pane speziato e dolci al miele; fichi e melagrane (ma la frutta –<br />

come vedremo più avanti - spesso era servita all’inizio del pasto).<br />

Con l’arrivo di Federico <strong>II</strong>, però, la cucina di corte fu rivoluzionata: le carni furono<br />

assolutamente fresche per cui alle spezie si sostituirono le erbe aromatiche, basilico,<br />

salvia, prezzemolo, timo, menta. La frutta di ogni specie, di cui l’isola abbondava,<br />

divenne alimento base su ogni mensa. Un’ultima curiosa notazione: al suo rientro a casa<br />

l’imperatore voleva trovare sempre le violette candite che reputava ricche di poteri<br />

terapeutici e che piluccava mentre accarezzava i suoi falconi.<br />

A tavola, il menù tipico della cucina federiciana, preparato con rara perizia culinaria<br />

da Berardo, il suo cuoco di fiducia dai tempi della Crociata, era servito da flessuose<br />

inservienti arabe.<br />

La cena iniziava con una serie di portate a base d’insalate e frutta, soprattutto agrumi<br />

e uva.<br />

Quindi zuppe di verdura oppure di farro, e creme di cereali, oppure il<br />

"biancomangiare" un pollo ripieno di mandorle, latte e spezie varie.<br />

E ancora, per i ghiotti buongustai del sapore all’agrodolce, selvaggina condita con le<br />

salse ricercate della cucina federiciana, a base di vino, olio, aglio, mollica di pane, uva<br />

acerba e cipolle.<br />

In un angolo del grande tavolo faceva bella mostra di sé il pollo servito con<br />

"l’agliata", e poco distante una grande cesta di vimini con pesce fresco appena pescato,<br />

arricchito con una salsa verde condita con salvia, prezzemolo, timo, aglio e pepe.Infine,<br />

il piatto grosso con cui i commensali si avviavano al termine della ricca cena, l'arrosto<br />

trionfale, il cinghiale catturato il giorno prima nel bosco dell'Incoronata.<br />

E per finire torte salate e dolci, fra i quali molto gustose e apprezzate le frittelle<br />

imperiali a base di formaggio di mucca, chiaro d’uovo, farina, pinoli e uva passa.<br />

Le salse più utilizzate erano quindi l’agresto a base di uva acerba (corrispondente al<br />

nostro salmoriglio) e la camellina: una salsa d’aceto di vino con cannella, zenzero, pepe<br />

e chiodi di garofano.Una salsa tipica della cucina federiciana, fatta in casa, era la<br />

"saracena", a base di uvetta passa, mandorle, aceto e spezie varie, mentre "l’agliata" era<br />

una salsa d’aglio diluita con vino e aceto, innaffiato da un corposo rosso di Troia.<br />

Tra una degustazione e l’altra, piacevole scorreva la conversazione che toccava gli<br />

argomenti più disparati, soprattutto relativi alle vicende imperiali, alle ultime notizie<br />

portate a corte, alle visite compiute dall’Imperatore, agli aggiornamenti sulle guerre in<br />

corso per proteggere i confini. Non era però infrequente che la presenza di musici e<br />

cantori, accompagnati dall’abile vena poetica di poeti di corte, concludesse la serata con<br />

una spensierata serenata.<br />

Queste innovazioni “siciliane” ebbero grande importanza perla nuova civiltà<br />

alimentare dell'Europa tardomedievale che –come afferma Massimo Montanari, uno dei<br />

maggiori studiosi di Storia dell’alimentazione–sotto il profilo più squisitamente<br />

gastronomico aggiunse alle due componenti latina e germanica la tradizione araba, che


aveva trovato fertile terreno in Sicilia, dove era stato sperimentato un proficuo<br />

'bilinguismo alimentare', poi facilmente trasmesso dalle popolazioni autoctone ai<br />

normanni, assai inclini all'epoca alle mode orientali.<br />

Per il tramite arabo erano giunti infatti in Europa, nuovi prodotti (come lo zucchero,<br />

il riso, gli agrumi, alcuni ortaggi e inusitate miscele di spezie), ma sarà sotto Federico <strong>II</strong><br />

che la coltivazione e il consumo diqueste materie prime saranno avviati evedremo<br />

attuarsi una koinè sintetica e coerente dei diversi elementi, con un'indiscutibile presenza<br />

di ricette arabe rivisitate secondo i gusti occidentali, con un occhio agli arrosti<br />

germanici, senza rinunziare alla tradizione latina nella predilezione per i farinacei e le<br />

verdure.<br />

Questa cucina, che ha l'ambizione di presentarsi come genuinamente europea, trova<br />

la sua più perfetta codificazione nel Liber de coquina, redatto certamente nell'ambito<br />

della corte federiciana, in cui tutte le preparazioni sono classificate secondo le materie<br />

prime, suddivise in cinque capitoli sul modello della trattatistica medica: verdure, carne,<br />

uova e latte, pesci, cibi composti.<br />

È interessare notare come nelle ricette di questo testo si riflettano i diversi aspetti<br />

della multiforme personalità dell'Imperatore: da una parte abbiamo il gaudente<br />

filoislamico, condannato da Dante tra gli epicurei, che viaggia accompagnato da una<br />

carovana variopinta di animali esotici e schiavi arabi, che mantiene più di un harem e<br />

indulge ai piaceri amorosi; dall’altra il dotto letterato che ricrea nella sua corte i<br />

cenacoli colti e sfarzosi dei califfi di Baghdad, centri di poesia e di discorsi sulla<br />

letteratura, e dove anche il cibo diviene oggetto di erudite disquisizioni e di garbate<br />

narrazioni.<br />

Federico ostenta, tra l’altro, sul modello arabo una conoscenza di prima mano dei<br />

procedimenti culinari e firma addirittura una ricetta di cavoli, dal titolo caules secundum<br />

usum imperatoris. Ancora una volta l'atteggiamento scientifico della mentalità di<br />

Federico si riflette nell'attenzione per la dietetica e la conseguente scelta di seguire uno<br />

stretto regime alimentare, con grande scandalo dei suoi detrattori, che lo accusavano di<br />

rinunziare al cibo solo per motivi di salute e non per conquistarsi il paradiso: non intuitu<br />

divine retribucionis sed corporalis conservande causa sanitatis, come precisa Giovanni<br />

di Winterthur. Agli interessi dietetico-sanitari si ricollega l'idea di trasformare<br />

un'ostentatoria raccolta di leccornie e di piatti speciali, particolarmente sbilanciata<br />

nell'imitazione della gastronomia araba, in questo Liber de coquina, un manuale di<br />

cucina d’impostazione scientifica che riflette le caratteristiche della nuova cucina<br />

europea, redatto in latino e rivolto non più al Regno, ma all'Impero, o forse a tutto<br />

l'Occidente.<br />

Alla volontà di dotare la corte e tutto il Regno di una raccolta di ricette in volgare<br />

come prosecuzione delle ricette normanne, si collega il ricettario conosciuto come<br />

Meridionale A, redatto probabilmente in siciliano 'illustre' (un linguaggio conciso e<br />

perspicuo, con qualche inflessione notarile: 'il suddetto recipiente', 'il menzionato<br />

ingrediente'), forse ad opera degli stessi funzionari che poetano in siciliano, ma<br />

conservato in una versione assai tarda in un generico dialetto meridionale, il cui<br />

materiale andò poi a confluire nella redazione finale del Liber de coquina.<br />

Attraverso questi ricettari ci si spalanca il mondo gastronomico della Sicilia<br />

federiciana. È evidente in esso che la componente araba resta sempre preponderante, in<br />

primo luogo con gli spezzatini di carne brodettati che rivelano già nella denominazione<br />

la loro provenienza: brodo saraceno e scapece (dall'arabo sikbāǧ, agrodolce all'aceto),<br />

gelatina, lemonia, sommachia, romania (con il brodetto verde), biancomangiare,


festiggia; il battuto di carne speziato (batutum, calco dell'arabo mudaqqaqa) con cui si<br />

preparano ravioli e polpettine, la spalla rivestita, il ripieno per le torte; la pasta fresca<br />

(lasagna) e secca (tria). Gli arabi sono spesso il tramite per il recupero di ricette più<br />

antiche, come avviene nel caso dell'amorosa che si riconduce all'ambrosia, un miscuglio<br />

per le libagioni a Zeus descritto da Ateneo; o della torta parmigiana, che giunge<br />

attraverso l'Egitto, ma che risale addirittura a modelli babilonesi, già noti al mondo<br />

greco alessandrino; o del pollo e porcellino ripieno già presenti in Apicio, che ritornano<br />

insieme al battuto arabo.<br />

Non manca però l'apporto occidentale, rilevabile in primo luogo nelle basilari<br />

modifiche che i piatti arabi subiscono nel processo di adeguamento alle abitudini<br />

alimentari europee, nella semplificazione dei procedimenti di cottura, sostituzione del<br />

lardo e strutto di maiale al grasso di coda di montone, predilezione del vino nelle salse,<br />

ecc.: così i brodetti arabi si trasformano in sapori in cui completare la cottura di carni<br />

già avviata, o addirittura in salse da accompagnare ai prediletti arrosti; la stessa sorte<br />

spetta anche alle paste che da ingredienti in preparazioni di carne diventano contorni per<br />

arrosti (la tria genovese). Del resto il Liber preferisce eliminare le indicazioni di<br />

provenienza esotica ('di Siria', 'di Gerusalemme') che costellano i ricettari inglesi e<br />

tedeschi, quasi a stabilire che ormai si tratta di piatti europei, e si contrappone<br />

volutamente alla preponderanza araba, chiamando a raccolta nell'attribuzione dei piatti<br />

non solo regioni vicine (Puglia e Campania), ma anche lontane (come la Marca<br />

trevigiana, dominata dal crudele alleato Ezzelino) e, fuori d'Italia, tutto il mondo<br />

occidentale, dalla Francia all'Inghilterra alla Germania.<br />

In particolare le impressionanti analogie con l'Inghilterra, specialmente in presenza<br />

di prestiti arabi, ci permettono di ricostruire una cucina normanna; mentre le<br />

coincidenze con ricette tedesche indicano senza ambiguità il periodo svevo, ad esempio<br />

per la 'testa di Turco', un'artificiosa preparazione in pasta ripiena che imita una testa<br />

mozza (mentre la coloritura scura e i capelli neri ne indicano la razza orientale), che<br />

ritroviamo nei libri di cucina inglesi e in quelli tedeschi e che sopravvive tuttora nella<br />

pasticceria siciliana.<br />

Ciò che si è voluto rilevare con questa conversazione è l’immagine della Sicilia<br />

come crocevia di esperienze diverse ma armoniosamente fuse tra loro in un unicum<br />

originalissimo. Da qui la consapevolezza che in cucina non inventiamo nulla o quasi:<br />

gran parte dei prodotti gastronomici di cui grandi chef vantano la paternità, in realtà<br />

hanno secoli di vita non essendosi mai spezzato il legame tra noi e i nostri antenati.<br />

Uno di questi legami, come bene la vostra associazione ci ricorda, è quello che ci<br />

conduce agli uomini provenienti dai vari territori germanici.<br />

Vorrei quindi dedicare non più di un paio di minuti per visualizzare rapidamente<br />

alcuni di questi incontri, a cominciare dai Vandali, che dal 477 al 533 circa costituirono<br />

un grande impero mediterraneo dallo stretto di Gibilterra alla Tripolitania, sino alle<br />

grandi isole mediterranee: la Corsica, la Sardegna e la Sicilia.<br />

Nel 1061 giunsero i Normannidi origine germanica, ma nel tempo insediatisi nel<br />

Nord Europa, Francia e Italia meridionale. Essi governarono l’isola per 130 anni sino al<br />

1194, cui si aggiunsero altri 70 di governo degli Hoestaufen di Svezia, da Enrico VI agli<br />

eredi di Federico, sino all’arrivo degli angioini nel 1266.<br />

Arrivano i Crociati da tutta Europa, che fanno scalo obbligato a Messina, e gli ordini<br />

monastico-cavallereschi, come l’Ordine teutonico originato in Prussia, che stabilirono in<br />

Sicilia ricche e potenti commende,fondarono chiese, ospedali, hospitia per i pellegrini<br />

in transito.


Un intenso traffico commerciale collegava Venezia, Messina, la Spagna,<br />

l’Inghilterra, le Fiandre e le città tedesche anseatiche, con ogni anno flotte di numerose<br />

navi che portavano uomini e merci in un senso e nell’altro.<br />

Anche il periodo spagnolo vide delle connessioni tra i due popoli: non<br />

dimentichiamo che i re di Spagna, da Carlo I a Carlo <strong>II</strong>, erano degli Asburgo e venivano<br />

chiamati in Spagna Austrias, e che in Sicilia, componente del vasto impero, arrivavano<br />

soldati, tecnici (soprattutto ingegneri, tecnici e operai delle miniere), religiosi secolari e<br />

regolari, commercianti dalle varie parti della Germania.<br />

Infine, e ci fermeremo qui, ricordo il periodo di governo austro-imperiale della<br />

Sicilia dal 1720 al 1734.<br />

Dopo questo excursus storico, potremmo continuare con molte altre storie, esempi e<br />

citazioni dall’affollato e affascinante mondo della cultura gastronomica siciliana, ma<br />

sicuramente, a questo punto preferirete verificare la teoria “nella pratica".<br />

Il menu che oggi ci propone la nostra squisita ospite, professoressa Nora Chimirri, è<br />

un viaggio nel tempo, per il quale le ho fornito soltanto gli strumenti (gli ingredienti)<br />

che lei ha magistralmente composto in una sinfonia di sapori e profumi, oltre che colori.<br />

Tra gli antipasti troviamo gli ‘arancini’ che pare siano stati il primo cibo ‘di strada’,<br />

creato dalla fantasia dei cuochi di corte proprio per Federico <strong>II</strong> che richiedeva un cibo<br />

sostanzioso ma facile da consumare per le sue lunghe battute di caccia. Ci saranno<br />

offerti poi impanate di verdure, eredi dei ‘pasticci’ e delle torte salate, tanto in uso tra i<br />

piatti di mezzo dei banchetti di corte. La zucca rossa e il coniglio in agrodolce ci<br />

riportano al connubio agro-dolce, uno dei tratti distintivi della ricerca gastronomica<br />

medioevale. Inoltre la grande quantità di verdure e ortaggi si sposa perfettamente con le<br />

considerazioni svolte a proposito delle innovazioni apportate da Federico <strong>II</strong>: fave,<br />

piselli, biete, zucca: l’orto era allora, come oggi, a tavola. Non ci deve stupire tra i primi<br />

la presenza delle lasagne, perché la pasta secca era utilizzata in quel periodo, mentre<br />

ovvia è la presenza di un succulento arrosto. Per finire i dolci: le crispelle di riso<br />

traggono sicuramente ispirazione dal riso al latte di medioevale memoria, e il gelo di<br />

mandorle, un dolce semplice, ci ricorda che la mandorla aveva nella mensa di Federico<br />

un posto d’onore.

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