Italia e Germania: due modelli sindacali a confronto - Uil

Italia e Germania: due modelli sindacali a confronto - Uil Italia e Germania: due modelli sindacali a confronto - Uil

di ENZO CANETTIERI


di ENZO CANETTIERI<br />

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PRESENTAZIONE<br />

L’origine del lavoro qui presente va ricercata nella discussione dei<br />

giorni nostri sulla modifica dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.<br />

Da più parti veniva invocato il modello tedesco, ma veniva rimandato<br />

esclusivamente intorno alla specifica questione dei licenziamenti e<br />

delle eventuali reintegrazioni sul posto di lavoro. Allora, ci siamo<br />

domandati semplicemente se fosse possibile rivendicare il modello<br />

tedesco soltanto su di una circoscritta e limitata tematica, per quanto<br />

importante. Confessiamo che abbiamo avuto il sospetto che non si<br />

chiedesse l’applicazione integrale del cosiddetto modello tedesco per<br />

cattiva coscienza politica e sindacale. Vale a dire, il modello tedesco<br />

diveniva un alibi dialettico, un escamotage per uscire dalle secche del<br />

negoziato. Tuttavia, senza fare fino in fondo i conti con il modello<br />

sindacale, pure richiamato ed evocato. Quindi, perché non esporre<br />

nella sua interezza questo modello sindacale? Premettiamo, a quanti<br />

avranno la pazienza e la compiacenza di leggere le pagine a seguire,<br />

che non troveranno inedite rivelazioni o punti di vista dirompenti. Ci<br />

siamo limitati ad esporre quanto avviene altrove, a nord delle alpi, in<br />

terra di <strong>Germania</strong>. Molte delle tematiche affrontate qui sono parte viva<br />

del dibattito italiano. Ci siamo permessi di frenare, per quanto ci fosse<br />

possibile, le nostre considerazioni. Le abbiamo rimandate<br />

organicamente alla parte finale, alle conclusioni.<br />

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ITALIA E GERMANIA:<br />

DUE MODELLI SOCIALI E SINDACALI A CONFRONTO.<br />

INTRODUZIONE<br />

Per certi versi appare surreale la discussione che si sta svolgendo nel nostro<br />

paese sui temi della riforma del lavoro. Per quanto possa apparire<br />

illogica,addirittura si può dire fuori dal tempo contemporaneo delle<br />

relazioni <strong>sindacali</strong> la discussione in atto, sia perché essa è carica di valori<br />

simbolici sia perché nel merito il licenziamento potenziale e teorico( a<br />

meno di modifiche ad oggi non presenti) è accompagnato da una<br />

estensione delle forme di sostegno e tutela e da un onore finanziario<br />

considerevole a carico delle imprese che dovessero scegliere di licenziare<br />

un proprio dipendente, la trattativa si è bloccata sulla questione dei<br />

licenziamenti illegittimi.<br />

Da più parti si è invocato il cosiddetto modello tedesco.<br />

Anzi, sta sempre più divenendo la rivendicazione principale che CGIL<br />

CISL UIL avanzano nelle discussioni con l’attuale governo,soprattutto<br />

sulla materia spinosa e controversa dei licenziamenti.<br />

La posizione di CGIL CISL UIL ha trovato sensibilità e sponde politiche<br />

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pronte a farla propria.<br />

Quello che stupisce, ed è materia di riflessione politica, che spesso siano<br />

incondizionate e senza contropartite in cambio.<br />

Quasi fossero le organizzazioni <strong>sindacali</strong> sulle questioni del lavoro a<br />

dettare i tempi dell’agenda politica del paese e le condizioni di adesione<br />

alle loro piattaforme rivendicative, che essendo perentorie e stringenti non<br />

ammettono una grande possibilità di scelta.<br />

Come si usa dire in simili frangenti sono senza se e senza ma. Tuttavia, né<br />

CGIL CILS UIL né in generale i loro interlocutori politici, traggono le<br />

necessarie e doverose conclusioni.<br />

A partire da una condizione preliminare. Vale a dire una riflessione che<br />

potrebbe essere riassunta in questo modo: prendiamo il modello di<br />

relazioni <strong>sindacali</strong> vigente in <strong>Germania</strong>, analizziamolo e se c’è<br />

disponibilità e consapevolezza delle implicazioni politiche e sociale che<br />

una scelta simile comporta, adottiamolo per intero nel nostro paese, qui in<br />

<strong>Italia</strong>.<br />

La discussione sembra procedere invece in modo difficilmente<br />

comprensibile e in direzioni confuse.<br />

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Quasi che fosse possibile realizzare una sorta di sincretismo<br />

sindacale,tentare una impossibile operazione di conciliazione di diverse<br />

filosofie <strong>sindacali</strong>, una sintesi di teorie e pratiche agli antipodi e fortemente<br />

caratterizzate da specifici <strong>modelli</strong> <strong>sindacali</strong>.<br />

Cioè, tenere in piedi un pezzo di sistema sindacale tedesco, accogliendone<br />

specifiche e circoscritte integrazioni, facendole convivere con una opposta<br />

visione sindacale.<br />

A nostro giudizio, è la mancanza di una chiarezza di fondo nel dibattito<br />

attualmente in corso che impedisce e oscura una compiuta riflessione su<br />

cosa sono state, cosa hanno rappresentato nel nostro paese le<br />

organizzazioni <strong>sindacali</strong> presenti nel nostro paese.<br />

In <strong>Italia</strong>, C’è sempre stata una divisione netta tra <strong>sindacali</strong>smo riformista,<br />

che guarda caso aveva uno dei maggiori riferimenti teorici nel<br />

<strong>sindacali</strong>smo tedesco del secondo dopoguerra, e <strong>sindacali</strong>smo antagonista<br />

e/o conflittuale. Schematizzando e per farci intendere nel modo più ampio,<br />

il primo orientamento ha fatto riferimento alla UIL e alla CISL, l’altro alla<br />

CGIL, appunto, che storicamente ha maturato e sviluppato una opposta<br />

visione sindacale rispetto al modello tedesco.<br />

Certamente, è comprensibile che questa ultima organizzazione sindacale<br />

non<br />

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aderisca a questo impostazione e tenti di farla dimenticare o occultare nella<br />

coscienza collettiva. Ed è altrettanto comprensibile che lo faccia per<br />

evitare di fare i conti con la propria esperienza, diametralmente opposta a<br />

quella maturata in Europa fuori delle Alpi.<br />

Come spiegare che i propri orizzonti ideali e le proprie strategie non<br />

hanno riscontri altrove?<br />

Ed è proprio da questa mancanza di chiarezza e di coerenza, dalla<br />

mancanza di riferimenti e riscontri che partono gran parte degli errori di<br />

impostazione culturale e sindacale riscontrabili nella discussione in atto in<br />

questi giorni. Si invoca, come già detto, l’ormai famigerato e abusato<br />

modello tedesco, senza mai dire fino in fondo cosa sia in realtà e quali<br />

siano le sue caratteristiche essenziali.<br />

A nostro modesto avviso, non si può estrapolare una fattispecie specifica,<br />

quella appunto dei licenziamenti e della cosiddetta flessibilità in uscita,<br />

senza considerare il più generale modello di relazioni <strong>sindacali</strong>, di cui la<br />

norma sui licenziamenti è soltanto un semplice tassello di una complessa<br />

architettura relazionale tra le parti sociali.<br />

La norma che si vorrebbe estendere anche al nostro ordinamento e alla<br />

prassi negoziale sui licenziamenti, non è avulsa da un contesto generale e<br />

da una prassi di rapporti consolidati tra le parti. Non è una norma isolata<br />

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caduta accidentalmente dal cielo sulla terra delle relazioni e dei rapporti<br />

<strong>sindacali</strong>, come fosse un meteorite senza storia.<br />

E’il frutto di una complessa e lontana vicenda che risale alla liberazione<br />

dal nazismo. Infatti, in <strong>Germania</strong> a partire dall’immediato dopoguerra, che<br />

fu caratterizzato da una immane opera di ricostruzione economica e di<br />

rilancio produttivo, parallelamente si diede vita ad una fitta ed estesa rete<br />

di partecipazione e coinvolgimento paritetico di imprese e sindacato.<br />

Il fine e il perché di una tale scelta era ed è evidente. La <strong>Germania</strong>, uscita<br />

sconfitta e distrutta dal secondo conflitto mondiale, intendeva togliere<br />

qualsiasi forma di contrasto e conflitto sociale.<br />

Soltanto così era possibile controllare ed indirizzare le dinamiche sociali su<br />

un terreno di reciproco riconoscimento, con generale beneficio per tutto il<br />

processo democratico interno e con la possibilità di inserirsi in un quadro<br />

tutto da costruire di scambi internazionali.<br />

Precedentemente in <strong>Germania</strong>, il processo democratico era deragliato<br />

proprio a causa dei conflitti sociali interni,con parti che miravano alla<br />

distruzione degli interlocutori, visti come nemici da abbattere.<br />

La <strong>Germania</strong>, accanto alla ricostruzione post bellica, aveva deciso di<br />

cambiare pagina nel suo sistema sociale e di togliere tutte le cause e le<br />

motivazioni che avrebbero potuto tracimare in uno scontro di classe.<br />

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Crescita economica, economia partecipativa, con la conseguente riduzione<br />

delle forme di conflittualità, divenivano aspetti della stessa medaglia.<br />

Servivano, per l’affermazione di questo modello sociale, organizzazioni di<br />

rappresentanza degli interessi che fossero assolutamente disponibili ad<br />

accettare le ragioni degli altri. Senza demonizzazioni,circoscrivendo e<br />

limitando al minimo le forme di conflittualità e che avessero sedi comuni<br />

in cui scambiarsi opinioni e valutazioni.<br />

In <strong>Italia</strong>, la vicenda sindacale e politica, come abbiamo già detto in<br />

precedenza, non andò esattamente verso questa direzione.<br />

Anzi, per certi aspetti fu esattamente antitetica al sistema di relazioni<br />

industriali e <strong>sindacali</strong> che si veniva instaurando e rafforzando in <strong>Germania</strong>.<br />

Per una lunga fase nel nostro dopoguerra prevalsero e furono maggioritari<br />

nel modo del lavoro italiano quei <strong>modelli</strong> associativi che predicavano e<br />

praticavano la non contaminazione con le tematiche aziendali e che<br />

rifiutavano ogni soluzione che non fosse affidata ai rapporti di forza.<br />

Come se si trattasse di una moderna legge del contrappasso a questa<br />

chiusura settaria e identitaria corrispose un atteggiamento speculare delle<br />

controparti. Anche l’imprenditoria italiana, tranne rare eccezioni pubbliche<br />

e private, non brillò per lungimiranza e per tensione partecipativa verso i<br />

propri dipendenti. Anzi…<br />

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I lavoratori e i loro rappresentanti, per la maggioranza degli imprenditori<br />

italiani, erano da non far entrare nei supposti santuari del capitalismo<br />

nostrano e nelle aziende, più o meno efficienti, più o meno competitive,<br />

più o meno protette dal mercato. E’ soprattutto la persistenza di <strong>due</strong><br />

opposti integralismi che ha impedito una pacifica evoluzione verso il tanto<br />

decantato-oggi, prima vituperato senza ritegno- modello tedesco.<br />

L’esatto contrario è avvenuto in <strong>Germania</strong>. Qui il sistema di relazioni<br />

industriali e <strong>sindacali</strong> partecipative e collaborative è sempre stato uno dei<br />

pilastri su cui poggia l’economia tedesca: gran parte delle performance<br />

economiche e della crescita costante della produttività di questo paese sono<br />

riconducibili al sistema di relazioni <strong>sindacali</strong>. Forse sarebbe bene non<br />

dimenticarlo mai e tenerlo ben presente. Per queste ragioni, forse sarebbe il<br />

caso di conoscere bene in dettaglio il funzionamento del sistema sociale<br />

tedesco, dove ogni aspetto specifico non è a se stante, ma da inserire in un<br />

contesto generale.<br />

Quello che ci proponiamo è di esporre, nei limiti delle nostre conoscenze e<br />

capacità, i punti più rilavanti del modello tedesco, di cui spesso si parla a<br />

vanvera.<br />

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Per almeno una volta così eviteremo che sorgano <strong>due</strong> fazioni contrapposte<br />

che si lanciano anatemi senza conoscere fino in fondo non solo le opinioni<br />

altrui, ma neanche le proprie.<br />

Essere divisi soltanto per partito per partito preso. Se raggiungeremo<br />

l’obiettivo che ci siamo prefissi, forse avremo qualche possibilità di uscire<br />

dall’incantesimo descritto una volta da Cesare Zavattini “ In <strong>Italia</strong> è più<br />

facile raccontare favole che la realtà “. Ed è quanto sta avvenendo.<br />

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CONCERTAZIONE O CONSULTAZIONE?<br />

Non c’è dubbio, e su questo aspetto vi una pressoché unanimità degli<br />

studiosi di scienze sociali, che le politiche di concertazione si siano<br />

sviluppate e realizzate in <strong>Germania</strong> a partire dagli anni settanta. Da più<br />

parti, soprattutto nel mondo anglo sassone, si parlò con un certo scandalo a<br />

riguardo delle politiche di concertazione, di ripresa dei patti<br />

neocorporativi.<br />

La pratica della concertazione ha rappresentato per le forze riformiste del<br />

sindacato italiano un obiettivo da raggiungere.<br />

Non va dimenticato che la concertazione nel nostro paese è stata introdotta<br />

con circa un ventennio di ritardo rispetto alla <strong>Germania</strong> e sulla spinta di<br />

situazioni che definire straordinarie non è un cedimento a forme di retorica<br />

enfatica.<br />

La stagione della concertazione è stata sepolta in entrambi i paesi, sia pure<br />

con motivazioni e modalità diverse.<br />

Ma guardiamo da vicino la parabola seguita, partendo dai giorni a noi più<br />

prossimi.<br />

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Attualmente, il modello di relazioni tra le parti viene definito di<br />

consultazione aperta. Funziona così: i governi in carica con l’aiuto di<br />

organismi tecnici, elaborano linee guida di progetti di riforma.<br />

Successivamente vengono coinvolti i soggetti collettivi di rappresentanza<br />

sociale, ai quali si chiedono contributi coerenti e dettagliati con l’interesse<br />

generale enucleato nei documenti tecnici proposti dai tecnici governativi.<br />

Di certo, la cosiddetta consultazione aperta, che ha sostituito la<br />

concertazione, non è un seminario di studi né una trattativa, esposta come<br />

lo sono tutte le trattative a veti incrociati, a tentativi di segnalare ed<br />

evidenziare le proprie posizioni, finalizzate a mediazioni al ribasso che ne<br />

snaturano l’ispirazione e la volontà originaria.<br />

Come mai la <strong>Germania</strong>, riferimento indiscusso del modello sociale europeo<br />

e patria di quel capitalismo renano citato spesso come contrappeso di<br />

quello anglo sassone, ha deciso ad un certo punto della sua storia di<br />

abbandonare la vecchia e sperimentata prassi della concertazione, definita<br />

nella lingua originale KOZETIERTE AKTION? La vicenda, per sommi<br />

capi, merita di essere raccontata.<br />

Sulla scia della riunificazione tedesca, fortemente voluta dal cancelliere<br />

KOHL, la <strong>Germania</strong> si era fatta carico di oneri finanziari notevolissimi.<br />

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Nel contempo, la crescita costante della sua economia si era interrotta, il<br />

disagio sociale colpiva vaste aree e il paese appena riunificato, dopo che la<br />

dottrina di YALTA si era esaurita, sembrava destinato fatalmente alla<br />

recessione. Il nuovo governo succeduto a KOHL e presieduto dal<br />

socialdemocratico SCHROEDER aveva promosso per uscire dallo stato di<br />

impasse l’alleanza per l’occupazione; conferendo l’incarico di elaborare<br />

un progetto di riforma della concertazione ad un comitato di tecnici ed<br />

esperti.<br />

L’idea di fondo di SCHROEDER è quella di togliere la diagnosi dei<br />

problemi al <strong>confronto</strong> delle parti, probabilmente per evitare estenuanti<br />

mediazioni.<br />

La proposta non va avanti e l’esperimento fallisce.<br />

Allora SCHROEDER cambia radicalmente approccio e dichiara<br />

ufficialmente esaurita la fase delle politiche di concertazione.<br />

Nomina <strong>due</strong> commissioni, una sul mercato del lavoro, l’altra sulla<br />

previdenza. Entrambe sono presiedute dai tecnici e alle organizzazioni di<br />

rappresentanza vengono chiesti soltanto pareri esterni.<br />

Il governo allora in carica adotta e attua le proposte sostenute dalle<br />

commissioni tecniche nel contesto di una più ampia strategia di<br />

modernizzazione del modello tedesco e nota come Agenda 2010.<br />

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Le riforme contenute in questo documento sono state fatte proprie anche<br />

dai governi presieduti da ANGELA MERKEL.<br />

Nel contesto delle cosiddette consultazioni aperte si è profondamente<br />

modificato il ruolo del sindacato.<br />

Innanzitutto, è diventato più centrale ed importante la capacità di analisi e<br />

proposta: si può dire che la mobilitazione delle idee diventa ben più<br />

importante di quella delle piazze.<br />

Un cambiamento percepibile, visibile, sul quale sarebbe opportuno aprire<br />

una seria riflessione anche nel nostro paese.<br />

Quello che colpisce è che quanto avvenuto alla fine degli anni novanta del<br />

novecento sia passato quasi sotto silenzio nel nostro paese.<br />

Eppure si trattava di un cambiamento epocale.<br />

La <strong>Germania</strong>, motore economico dell’Europa, modello di riferimento per<br />

una parte rilevante del riformismo italiano, patria della cogestione e prima<br />

nazione sviluppata a praticare politiche di concertazione riteneva chiuso<br />

definitivamente un ciclo, che pure nel recente passato era stato individuato<br />

come chiave del successo economico e produttivo della nazione tedesca.<br />

L’altra considerazione da svolgere è che a dichiarare chiuso il ciclo delle<br />

politiche di concertazione non è un esponente del mondo della reazione e<br />

della conservazione economica.<br />

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E’ il progressista e socialdemocratico SCHROEDER.<br />

Perché? Una delle ipotesi più probabili, almeno per quanto ci riguarda, è la<br />

seguente. I costi economici e sociali della riunificazione tedesca sono<br />

enormi e comportano sacrifici che le parti sociali tendono ovviamente ad<br />

allontanare dai soggetti da loro rappresentati, quindi soltanto un governo<br />

nella pienezza dei propri poteri era in grado di realizzare.<br />

Semmai si può imputare alle parti sociali tedesche, una forte dose di<br />

conservatorismo che non ha permesso loro di comprendere il cambiamento<br />

in atto nella politica nazionale.<br />

Il metodo di <strong>confronto</strong> avviato dal Governo Monti, in particolare dalla<br />

Ministro Fornero a ben guardare, ricalca notevolmente la prassi delle<br />

relazioni governo- parti sociali già instaurata dal governo tedesco sul finire<br />

degli anni novanta. Anche in questo caso, le parti sociali, in particolare le<br />

organizzazioni <strong>sindacali</strong>, sono state colte di sorpresa.<br />

Hanno continuato a denunciare la rottura della concertazione, ma la<br />

questione si pone in altri termini e non esclusivamente in termini di si<br />

incondizionato alla concertazione.<br />

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Vale a dire, sulle proposte di merito. Il che presuppone un sindacato attento<br />

ad elaborare esso stesso progetti di cambiamento e capace di interpretare<br />

quanto di nuovo si sta muovendo nella società.<br />

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LA SICUREZZA SOCIALE<br />

La sicurezza sociale in <strong>Germania</strong>, come in tutti i paesi occidentali di antica<br />

industrializzazione, si trova ad affrontare sfide fino a poco tempo fa inedite<br />

ed incerte.<br />

Da un lato, la persistenza della crisi economica e finanziaria che continua<br />

ad avvolgere gran parte dell’occidente con i suoi inevitabili riflessi<br />

sull’economia tedesca e che richiede la nuova definizione delle politiche<br />

attive del lavoro; dall’altro lato la caduta verticale dei livelli demografici<br />

che pone seri problemi sulla sostenibilità finanziaria del Welfare teutonico.<br />

Problemi comuni a tutti i paesi avanzati, alle prese con la crisi economica<br />

più profonda e lacerante del secondo dopoguerra e con il preoccupante<br />

rallentamento della natalità.<br />

Sono questioni non marginali, che si intrecciano con quelle sui processi di<br />

integrazione delle comunità straniere.<br />

Tuttavia, le risposte attuate dallo stato sociale tedesco presentano una<br />

sicura innovazione e meritano di essere conosciute e analizzate.<br />

Il sistema di sicurezza sociale in <strong>Germania</strong> si poggia su <strong>due</strong> capisaldi. Il<br />

primo consiste sul sussidio di disoccupazione per chi perde il lavoro.<br />

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Il secondo caposaldo è basato sulla disciplina recepita dalla cosiddetta<br />

legge HARTZ IV, dal nome del relatore della legge.<br />

E’ bene tener presente che entrambe le norme disciplinate per legge sono<br />

parte integrante della generale riforma del mercato del lavoro e sono<br />

collegate da un identico principio: chi fruisce di sostegni pubblici non può<br />

rimanere passivo ed inerte. Deve dimostrare di essere alla ricerca di<br />

occupazione e viene continuamente sollecitato con proposte di lavoro da<br />

parte degli uffici pubblici.<br />

Se rifiuta la ricerca di lavoro e non tiene conto delle sollecitazioni rivolte<br />

per indirizzarlo al lavoro viene sanzionato con tagli crescenti al sussidio di<br />

disoccupazione che possono arrivare anche all’interruzione degli assegni<br />

sociali di sussidio.<br />

Attualmente, il sussidio di disoccupazione rappresenta un primo intervento<br />

di sostegno al reddito per chi perde il lavoro.<br />

Può arrivare al 60% dell’ultimo stipendio netto, che può raggiungere il<br />

67% dell’ultima retribuzione netta per chi ha figli a carico.<br />

Questo trattamento economico ha una durata massima di 12 mesi.<br />

Al termine del sussidio di disoccupazione, subentra la già ricordata<br />

HARTZ IV. Dopo un anno di disoccupazione, per i senza lavoro è previsto<br />

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un contributo di 374 euro mensili a cui vanno aggiunti i contributi di<br />

sostegno per il disoccupato affittuario di case pubbliche.<br />

Il sostegno alle spese degli affitti varia a seconda dei lander territoriali.<br />

Anche in questo caso, ogni sei mesi chi percepisce il sostegno economico e<br />

chiede di prolungarlo deve tenere colloqui regolari che dimostrino la sua<br />

attiva ricerca di nuova occupazione.<br />

Questo, nelle sue linee generali e in estrema sintesi, il modello di<br />

funzionamento della sicurezza sociale in <strong>Germania</strong>.<br />

Quali riflessioni ci suggerisce una simile architettura sociale?<br />

E’ possibile, se ha dei lati e degli aspetti positivi, cercare di introdurlo<br />

anche in <strong>Italia</strong>, sia pure con tutte le cautele del caso e con una invitabile<br />

fase transitoria?<br />

In via preliminare, ci viene spontanea e naturale una riflessione.<br />

Il modello, attualmente in vigore in <strong>Germania</strong>, riformato con i<br />

provvedimenti assunti nel 2005 dal governo allora presieduto da<br />

SCHROEDER e successivamente confermato dal governo guidato dalla<br />

MERKEL vuole mantenere un equilibrio e una conciliazione tra<br />

responsabilità del singolo e più in generale della società.<br />

All’interno di questo equilibrio, che comunque significa assunzione diretta<br />

di responsabilità sociali da parte delle istituzioni pubbliche e, allo stesso<br />

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tempo, attenzione alle necessarie coperture economiche, va cercata la<br />

caratteristica essenziale del modello tedesco.<br />

Vale a dire, il sistema sociale tedesco non è tollerante verso le forme di<br />

apatia dei singoli, che sono i protagonisti principali della loro esistenza.<br />

Per queste ragioni, i singoli senza occupazione vengono continuamente<br />

sollecitati dagli uffici pubblici a dare prova del loro personale<br />

interessamento alla ricerca di soluzioni occupazionali adeguate.<br />

Le istituzioni pubbliche si fanno carico di garantire un’ esistenza decorosa<br />

a chi perde lavoro, ma sono ben attente ad evitare le degenerazioni di cui lo<br />

stato sociale si è reso protagonista.<br />

A nostro giudizio, altra importante considerazione da sviluppare è che il<br />

sistema di sicurezza sociale in vigore in <strong>Germania</strong> è un sistema di<br />

copertura universale.<br />

Tutti i lavoratori, a prescindere dalla dimensione aziendale e dai settori<br />

produttivi dove hanno svolto la loro attività sono garantiti da forme di<br />

sostegno al reddito. Come già detto in precedenza, il sostegno al reddito<br />

non è di durata illimitata, ma soggetto a progressive penalizzazioni.<br />

Dovendo fare una valutazione comparata tra il modello tedesco e il nostro<br />

quali sono le conclusioni da trarre?<br />

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Innanzitutto, balza agli occhi la palese ingiustizia del nostro sistema di<br />

sicurezza sociale.<br />

La fruizione delle forme di sostegno al reddito sono legate alle dimensioni<br />

aziendali e ai settori produttivi.<br />

Negli ultimi tempi, in concomitanza dell’aggravarsi della crisi globale, si è<br />

usata lo strumento delle cosiddette casse integrazioni in deroga, che<br />

comunque hanno dato la possibilità di percepire forme di sostegno al<br />

reddito a chi a normativa costante non ne avrebbe avuto diritto.<br />

Detto ciò e reso atto al governo precedente e alle regioni di aver garantito<br />

coperture di reddito a lavoratori che sarebbero stati esclusi, è<br />

concettualmente inaccettabile il meccanismo delle deroghe.<br />

Rimanda alle mente le gentili elargizioni concesse dal sovrano illuminato<br />

verso i propri sudditi e rinvia a data da destinarsi un progetto compito di<br />

riforma.<br />

Potrà essere un’affermazione che risulterà sgradita, ma abbiamo la<br />

sensazione che la strada imboccata dal Governo Monti e in particolare<br />

dalla ministro Foriero si muovano nel solco della sicurezza sociale tedesca.<br />

Indubbiamente, la situazione italiana è complessa e sconta decenni di<br />

riforme non realizzate, che rendono inevitabile un regime transitorio, però<br />

allo stesso tempo vanno notate le similitudini con il modello tedesco.<br />

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LA COGESTIONE E LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA<br />

Per molti analisti e osservatori delle dinamiche economiche e sociali, la<br />

chiave di volta del successo tedesco, capace di fronteggiare efficacemente<br />

la crisi globale delle economie occidentali, di trascinare impetuosamente le<br />

esportazioni del settore manifatturiero e di far crescere in un periodo di<br />

crisi i tassi di occupazione, è da individuarsi nella diffusione della<br />

cogestione.<br />

Se ne parla molto, anche in <strong>Italia</strong> e spesso ci si divide in aperti sostenitori<br />

e altrettanti irremovibili detrattori, che, a loro dire, snaturerebbe il ruolo e<br />

la funzione del sindacato.<br />

Ma in concreto come funziona questo modello di organizzazione sociale?<br />

Per chi sostiene che l’obbiettivo del sindacato non può essere riconducibile<br />

alla conflittualità, può rappresentare un modello, visto che riconosce pari<br />

dignità e uguali diritti nella conduzione delle aziende alla proprietà<br />

imprenditoriale e al sindacato?<br />

Per rispondere compiutamente e in modo esauriente a questa domanda,<br />

dobbiamo risalire a pochi anni dal termine del secondo conflitto mondiale<br />

e precisamente al 1951.<br />

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In questo anno ormai lontano, venne istituita per legge la<br />

MITBESTIMMUNG.<br />

Il termine può essere tradotto allo stesso tempo come democrazia<br />

industriale o partecipazione.<br />

Inizialmente era circoscritta ai soli settori del carbone, dell’acciaio e delle<br />

miniere. Ancora oggi è in vita la norma che stabilisce che, se sono occupati<br />

più di mille lavoratori in questi specifici settori spettano ai rappresentanti<br />

dei lavoratori gli stessi seggi degli azionisti .<br />

Nel caso di controversie che dovessero insorgere, le dispute sono risolte<br />

da un presidente del consiglio neutrale.<br />

Altra caratteristica significativa, è rappresentata dal fatto che in siderurgia<br />

e nelle miniere il responsabile delle risorse umane viene nominato con il<br />

consenso dei rappresentanti dei lavoratori.<br />

Nel 1952, l’anno successivo alla emanazione della MITBESTIMMUNG,<br />

venne promulgato il GERMAN WORKS CONSTITUTION ACT.<br />

Successivamente è stato emendato prima nel 2001 e poi nel 2004.<br />

L’ordinamento del 1952, che ancora oggi è la base su cui viene praticato il<br />

diritto di informazione, consultazione e cogestione, sottolinea in primo<br />

luogo l’assoluta indipendenza dei comitati aziendali. Inoltre, stabilisce che<br />

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nelle aziende con più di 500 dipendenti un terzo del consiglio di vigilanza<br />

sia composto dai rappresentanti dei lavoratori.<br />

Nel 1976, la legge sulla cogestione ha stabilito che i rappresentanti dei<br />

lavoratori e gli azionisti siano presenti in modo paritetico nelle imprese con<br />

più di <strong>due</strong>mila addetti.<br />

Nel caso che dovesse verificarsi la parità dei voti in consiglio, il voto<br />

decisivo spetta agli azionisti. In questo contesto, il sindacato esercita una<br />

influenza diretta sulle condizioni di lavoro, a partire dalle aziende con<br />

almeno 5 dipendenti a tempo indeterminato.<br />

Va precisato che la cogestione non è obbligatoria, ma è una libera scelta<br />

dei lavoratori.<br />

Adesso analizziamo, in via schematica e brevemente, le modalità di<br />

funzionamento dei consigli di fabbrica o comitati aziendali.<br />

Sono eletti a scrutinio segreto e durano in carica 4 anni, rappresentando<br />

tutti i lavoratori e non solo gli iscritti al sindacato.<br />

Pur essendo, come già detto, organismi indipendenti dal sindacato, in<br />

pratica sono strutture che conservano e sviluppano con il sindacato un<br />

stretto legame: tradizionalmente gli organismi di rappresentanza aziendale<br />

sono la piattaforma di reclutamento e di proselitismo sindacale.<br />

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Attualmente, i consigli di fabbrica o comitati aziendali sono presenti in<br />

circa il 10% delle aziende, soprattutto in quelle medio - grandi.<br />

Il loro ruolo è principalmente quello di essere informati e consultati nei<br />

processi di gestione delle imprese, ma il loro ruolo non si esaurisce nell’<br />

informazione e consultazione dovute dalle aziende.<br />

Il consiglio di fabbrica o comitato di azienda rimanda direttamente alle<br />

questioni di gestione del personale dipendente di una azienda.<br />

Infatti, si interessano direttamente di assunzioni, di licenziamenti, di<br />

utilizzo delle forme della flessibilità, soprattutto attraverso il lavoro atipico<br />

(prevalentemente interinale) e provvedono a modulare i regimi di orari, a<br />

seconda di specifiche esigenze.<br />

La cogestione delle aziende, soprattutto negli aspetti direttamente attinenti<br />

alla forza lavoro, ha consentito di reagire rapidamente alle variazioni del<br />

ciclo economico senza eccessivi traumi.<br />

La cogestione, che si traduce in una coesione ed in una intesa di fondo<br />

delle parti sociali, è sostenuta dalla legislazione tedesca.<br />

Particolare non marginale ai fini del nostro ragionamento e da tener ben<br />

presente, che la legislazione tedesca, oltre ad auspicare la cooperazione<br />

costruttiva, vieta esplicitamente di iniziare gli scioperi per singoli impianti.<br />

27


Per quanto riguarda l’arbitrato, invece, esso non è fissato in modo rigido e<br />

prescrittivo, tanto è vero che in molti settori produttivi si ricorre a soluzioni<br />

congiunte e condivise delle eventuali controversie.<br />

Inoltre, a proposito di cogestione, è importante sottolineare che i governi<br />

tradizionalmente non si intromettono nelle materie che riguardano le<br />

condizioni di lavoro.<br />

Questa prassi, consolidata dei governi tedeschi e sempre rispettata a<br />

prescindere dagli schieramenti, permette che le intese raggiunte siano<br />

vincolanti per le parti che le hanno sottoscritte, cioè le associazioni<br />

imprenditoriali e il sindacato.<br />

Comunque, bisogna dire che il sistema tedesco basato sulla cogestione è il<br />

riflesso della forza organizzativa e dell’autorevolezza delle parti sociali.<br />

Se così non fosse, risulterebbe una sovrastruttura teorica che difficilmente<br />

avrebbe esiti pratici. Inoltre, a differenza di quanto avviene nel resto di<br />

Europa, la maggioranza dei lavoratori aderisce a sindacati di categoria, che<br />

a loro volta aderiscono ad un solo grande sindacato confederale, la DGB.<br />

La DGB si occupa di coordinare i vari settori produttivi e di formulare<br />

proposte di politica economica.<br />

Al termine di questa sintetica disamina del modello tedesco, dove ci siamo<br />

interessati di cogestione e di contrattazione collettiva, possiamo affermare<br />

28


che sia esente da problemi e criticità, tanto rappresentare una sorta di<br />

Eden sindacale?<br />

A nostro giudizio, si tratta di intendersi bene.<br />

Indubbiamente, rispetto alle altre esperienze sociali e <strong>sindacali</strong> europee, il<br />

modello tedesco è un importante punto di riferimento per chiunque abbia<br />

sposato la causa del riformismo e della collaborazione tra le parti sociali,<br />

ma ciò non significa che il modello sociale tedesco sia esente da problemi<br />

irrisolti e da criticità di varia natura.<br />

Ad esempio,il processo di riunificazione ha messo in rilievo<br />

immediatamente un forte dualismo economico al quale corrispondeva<br />

anche ad un dualismo sindacale. Alla precedente <strong>Germania</strong> Ovest con un<br />

alto tasso di <strong>sindacali</strong>zzazione corrispondeva il basso ed incerto tasso di<br />

iscrizione al sindacato nella ex DDR.<br />

Inevitabilmente questa situazione di dualismo economico e sindacale ha<br />

finito per riflettersi negativamente sulle iscrizioni dei lavoratori al<br />

sindacato.<br />

Non è un caso che una percentuale notevole di lavoratori tedeschi non è<br />

coperta dalla contrattazione collettiva, però il problema della proliferazione<br />

della diminuzione della contrattazione collettiva e del parallelo sviluppo<br />

29


della contrattazione aziendale non va semplicemente enunciato, ma deve<br />

essere analizzato in profondità in tutte le sue sfaccettature.<br />

Il fenomeno sopra denunciato comincia a manifestarsi a partire dalla<br />

seconda metà degli anni novanta. Sono anni che vedono una forte<br />

impennata degli accordi a livello di singolo impianto.<br />

Molto spesso, sono accordi frutto di deroghe concordate dagli accordi di<br />

settore. Sono effettuati per rispondere in maniera più stringente alle<br />

necessità delle imprese e per conservare l’occupazione.<br />

Magari sacrificando e riducendo gli orari di lavoro, piuttosto che gli operai.<br />

Tuttavia, può anche capitare che possa contestualmente sorgere la<br />

tentazione di fuggire dalla regolamentazione sindacale.<br />

Ciò si evidenzia con la tendenza in crescita a stipulare accordi individuali.<br />

Gli accordi individuali sono anche favoriti da una economia alle prese con<br />

l’invecchiamento della popolazione e con la loro parallela fuoriuscita dal<br />

mercato del lavoro.<br />

I lavoratori qualificati che continuano a permanere attivi sul mercato del<br />

lavoro si trovano in una condizione che vede i rapporti di forza a loro<br />

vantaggio, in quanto si è in grado di negoziare individualmente le<br />

condizioni della loro prestazione lavorativa.<br />

30


Proprio partendo da questo inedito e non previsto scenario, il sindacato in<br />

<strong>Germania</strong> deve essere in grado di elaborare una strategia complessiva che<br />

gli consenta di agganciare i segmenti ad alta professionalità presenti nel<br />

mondo del lavoro, in modo da continuare a rappresentarlo nella sua<br />

interezza.<br />

Per riepilogare in maniera semplice il modello tedesco della cogestione,<br />

precisiamo ancora una volta che i lavoratori partecipano alle decisioni delle<br />

società attraverso <strong>due</strong> oraganismi.<br />

Uno il BETRIEBSRAT (consiglio di fabbrica o comitato aziendale), l’altro<br />

l’ AUFSICHTSRAT, il consiglio di sorveglianza.<br />

Il primo viene nominato dai lavoratori dipendenti della società. Il consiglio<br />

di sorveglianza, invece, è un organismo paritetico che rappresenta quelle<br />

società che abbiano almeno 500 dipendenti.<br />

La dizione consiglio di sorveglianza non è casuale, ma si tratta di una<br />

scelta deliberata che sta appunto ad indicare che le scelte imprenditoriali<br />

sono valutate con estrema attenzione dalle rappresentanze dei lavoratori.<br />

31


IL DIRITTO DI SCIOPERO<br />

In <strong>Germania</strong> lo sciopero non è sottoposto ad una specifica<br />

regolamentazione, quindi non è vietato ed è consentito a tutti i lavoratori.<br />

Tutto ciò premesso, questo diritto viene regolato da precisi limiti e da<br />

procedure rigorose.<br />

I limiti nell’esercizio dello sciopero vanno individuati nelle forme di<br />

autoregolazione e dalle disposizioni previste negli statuti <strong>sindacali</strong>, che<br />

contemplano il diritto di sciopero inserito nella cornice della contrattazione<br />

collettiva.<br />

Analogamente, la giurisprudenza ha posto ulteriori vincoli. Infatti, sono<br />

esclusi dalla proclamazione degli scioperi, le unità <strong>sindacali</strong> che non<br />

facciano parte dei contratti collettivi.<br />

Inoltre, lo sciopero deve avere obiettivi e finalità chiare, facilmente<br />

valutabili dai lavoratori: l’astensione della prestazione lavorativa deve<br />

riguardare solamente il miglioramento delle condizioni di vita e il rinnovo<br />

dei contratti di lavoro.<br />

Dunque, in <strong>Germania</strong> non sono consentite astensioni dal lavoro con finalità<br />

politiche.<br />

Un’altra peculiarità dell’esercizio del diritto di sciopero, è che viene visto<br />

come risorsa finale e ultima nelle mani del movimento sindacale per<br />

32


definire le eventuali controversie tra le parti sociali in contrasto, alle quali<br />

va comunque garantita la libertà di associazione.<br />

Per quanto riguarda il diritto di sciopero nell’ambito della Pubblica<br />

Amministrazione, è necessario distinguere fra la posizione relativa ai<br />

dipendenti diretti dello stato e i dipendenti subordinati a enti che erogano<br />

servizi pubblici essenziali.<br />

Nel primo caso, trattandosi di lavoratori con stabilità occupazionali<br />

garantite, sono soggetti alla giurisdizione dei tribunali amministrativi.<br />

Lo sciopero nei servizi essenziali e la stessa serrata(consentita dalla legge)<br />

non possono prescindere dai diritti di cittadinanza, universali e inalienabili<br />

delle persone. Ad esempio, il diritto alla salute, alla mobilità, alla<br />

sicurezza, alla comunicazione, ecc., diritti che non possono essere violati o<br />

subordinati ad altri.<br />

Lo sciopero, come d’altronde in <strong>Italia</strong>, è una sospensione delle<br />

obbligazione contrattuali a cui è tenuto un lavoratore. Più precisamente,<br />

secondo la definizione della legislazione tedesca, esso è “ Una<br />

sospensione dal lavoro decisa ed esercitata collettivamente”.<br />

Nel ribadire nuovamente che in <strong>Germania</strong> non è previsto la proclamazione<br />

di scioperi politici, l’attenzione degli osservatori <strong>sindacali</strong>, in particolare<br />

italiani, si dovrebbe concentrare sulle procedure che precedono la<br />

33


proclamazione degli scioperi. Innanzitutto, va rilevato che esiste un duplice<br />

meccanismo di coinvolgimento dei lavoratori.<br />

Infatti, nel caso di indizione di uno sciopero generale di categoria lo<br />

sciopero per essere considerato valido da un punto di vista sindacale e<br />

formalmente ineccepibile, deve coinvolgere almeno il 51% degli addetti<br />

del settore interessato alle azioni di lotta.<br />

Successivamente, una volta accertata la legittimità della pronuncia degli<br />

aventi diritto ad esprimersi, lo sciopero deve essere convalidato da una<br />

maggioranza del 75% dei votanti.<br />

Una delle critiche più frequenti al sindacato tedesco, è quella di una scarsa<br />

capacità di mobilitazione e una eccessiva cautela nelle azioni di sciopero,<br />

perché sottoposte ad una procedura particolarmente laboriosa.<br />

Ci limitiamo semplicemente a dar conto degli sviluppi recenti della<br />

situazione sociale in <strong>Germania</strong>.<br />

A partire dai primi mesi di marzo, un ondata impressionante si scioperi<br />

nazionali di categoria ha investito il settore pubblico nelle sue diverse<br />

diramazioni.<br />

Dai trasporti pubblici, alle scuole di ogni ordine e grado, ai netturbini, agli<br />

impiegati amministrativi.<br />

34


L’ondata di scioperi non ha riguardato soltanto il pubblico impiego, alle<br />

prese con le politiche restrittive dei bilanci pubblici, ma ha ampiamente<br />

coinvolto il settore privato con eguale intensità.<br />

Ad esempio, il settore metalmeccanico ha richiesto aumenti salariali del<br />

6,5% e di aumentare il potere di controllo dei comitati aziendali sulle<br />

questioni di impiego dei lavoratori assunti con contratti atipici.<br />

La IG METALL ha gia fatto sapere che è pronta a proclamare, ovviamente<br />

con le procedure che abbiamo precedentemente descritto, azioni di<br />

sciopero in tutto il settore metalmeccanico.<br />

A questo punto, ci è sorta spontanea una riflessione.<br />

Non sarà che il sindacato tedesco proclama gli scioperi soltanto quando<br />

sono strettamente necessari?<br />

Non sarà che la proclamazione dello sciopero è stata sottratta alle supposte<br />

avanguardie del movimento operaio e che questo importante strumento di<br />

lotta è stato restituito ai legittimi detentori, cioè i lavoratori?<br />

35


IL LICENZIAMENTO E LA POSSIBILITÀ DI REINTEGRO<br />

In materia di licenziamenti in <strong>Germania</strong> ci sono <strong>due</strong> riferimenti giuridici<br />

disciplinati per legge, che abbiamo già incontrato nel corso della nostra<br />

carrellata sul sistema tedesco. Uno è la MITBESTIMMUNG, che prevede<br />

la cogestione dei lavoratori alla gestione delle imprese negli organismi di<br />

rappresentanza. L’altro riferimento giuridico è la KUNDIGUGSSCHUT<br />

che si applica nelle aziende con almeno 10 dipendenti. Nel merito dei<br />

licenziamenti, la legge in questione li distingue in tre fattispecie. La prima<br />

concerne i licenziamenti per malattia, da quelli brevi e frequenti alle<br />

malattie di lunga durata. L’altra fattispecie è riferita ai licenziamenti<br />

disciplinari.<br />

Per attivarli, occorre circostanziare e specificare gli episodi contestati al<br />

lavoratore, altrimenti il provvedimento è nullo e il giudice ordina la<br />

reintegrazione nel posto di lavoro. Infine, vi è il licenziamento per motivi<br />

aziendali, quasi sempre riconducibili a situazioni di difficoltà e crisi<br />

aziendali che poi sfociano in licenziamenti collettivi. I licenziamenti<br />

collettivi devono rispettare alcuni criteri sociali oggettivi, ad esempio<br />

l’anzianità lavorativa e i carichi familiari. Il sindacato esercita il suo ruolo<br />

di agente contrattuale e di soggetto attivo della cogestione tramite le<br />

36


commissioni interne ( BETRIEBSRAT) elette dai lavoratori, che vigilano<br />

sulla corretta applicazione della gestione degli esuberi.<br />

Se non dovesse essere raggiunto l’accordo tra la commissione interna e<br />

l’azienda, il lavoratore può ricorrere all’arbitrato, con un giudice scelto<br />

dalle parti Nelle sue linee generali, così funziona il modello tedesco in<br />

materia di licenziamenti. Alcune considerazioni si impongono.<br />

Il sistema della cogestione implica il totale coinvolgimento del sindacato<br />

nelle tematiche aziendali, ivi compreso il licenziamento nelle sue<br />

molteplici declinazioni, con uno specifico binario per i licenziamenti<br />

disciplinari.<br />

I licenziamenti per motivi disciplinari in <strong>Germania</strong> costituiscono<br />

l’eccezione e non la regola delle casuali di interruzione del rapporto di<br />

lavoro, tanto è vero che soltanto il 7% di esse si concludono con il<br />

reintegro.<br />

La questione del reintegro nel posto di lavoro non assume i caratteri di<br />

enfasi drammatica che ha altrove, per almeno <strong>due</strong> buone ragioni.<br />

La prima ragione è che quando si è logorata un rapporto di fiducia tra<br />

azienda e lavoratore, soprattutto in un sistema basato sulla cogestione,<br />

diventa poi abbastanza difficile ripristinarlo.<br />

37


L’altra ragione è individuabile nella assoluta certezza dei meccanismi degli<br />

ammortizzatori sociali, che il lavoratore sa che comunque per un<br />

determinato e limitato periodo avrà la possibilità di fruirne.<br />

38


CONSIDERAZIONI FINALI<br />

A nostro giudizio, il sistema o modello tedesco non è possibile recepirlo<br />

soltanto per singoli e specifici aspetti del suo ordinamento istituzionale,<br />

giuridico e sindacale. Ogni aspetto è parte integrante di una complessa<br />

architettura, il cui baricentro è costituito dalla prassi della cogestione delle<br />

imprese.<br />

Un sistema sociale, che non è il frutto di una imposizione autoritaria, ma di<br />

una libera scelta di relazioni industriali.<br />

In esso, come abbiamo visto, non scompaiono i conflitti tra i diversi<br />

soggetti economici, le tensioni per una migliore distribuzione della<br />

ricchezza, e gli scioperi anche particolarmente combattivi.<br />

Sono regolati da procedure e metodi trasparenti e democratici, che<br />

permettono di non affidarsi nella composizione delle controversie<br />

esclusivamente sui rapporti di forza esistenti.<br />

Il modello tedesco, un sistema ampiamente sperimentato e consolidato da<br />

decenni, ha permesso alla <strong>Germania</strong> di riunire il suo popolo dopo la<br />

divisione decretata alla fine della seconda guerra mondiale, di realizzare<br />

straordinarie performance economiche e di aumentare costantemente la sua<br />

produttività.<br />

39


In questo contesto generale, si inseriscono le tematiche sui licenziamenti<br />

individuali. Come abbiamo visto in precedenza, i licenziamenti disciplinari<br />

sono estremamente rari e si concludono soltanto in casi eccezionali con il<br />

reintegro del lavoratore in azienda, perché segnalano l’anomalia rispetto ad<br />

un modello basato sulla responsabilità sociale non soltanto delle imprese,<br />

ma anche dei lavoratori.<br />

In questo senso, deve far riflettere il fatto che tra le motivazioni del recesso<br />

del rapporto di lavoro, vi è anche il licenziamento per le malattie brevi.<br />

Apparentemente una norma dura.<br />

La si può spiegare soltanto con il massimo grado di responsabilità richiesto<br />

al singolo lavoratore, responsabilità che non ammette deroghe o forme di<br />

comprensione. Quindi, richiamare il modello tedesco soltanto nella parte<br />

finale di un complesso e articolato sistema, è un’operazione<br />

intellettualmente scorretta.<br />

Perché allora non applicarlo nei rapporti con le aziende, perché non<br />

estenderlo anche alle modalità di proclamazione degli scioperi?<br />

Sbaglieremo, ma temiamo che il tanto celebrato modello tedesco vedrebbe<br />

in <strong>Italia</strong> diminuire i minori consensi.<br />

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Le pubblicazioni della collana editoriale<br />

“Per saperne di più...”<br />

sono consultabili e disponibili all’indirizzo:<br />

www.uil.it/contrattazione/persapernedipiu.html<br />

a cura del Servizio Politiche Contrattuali

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