Nihil cogito ergo non sum - Liceo Foscarini

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PATRIK GIUSEPPE PENZO Nihil cogito ergo non sum Da quella camera e da quella casa io fuggii inorridito. L'uragano infuriava ancora in tutta la sua collera mentre io attraversavo l'antico sentiero selciato. A un tratto rifulse sul viottolo una luce abbagliante e io mi volsi a guardare donde poteva provenire un così insolito fulgore, poiché dietro di me avevo soltanto l'immensa casa e le sue ombre. Il chiarore proveniva dalla luna calante, al suo colmo, sanguigna, che ora splendeva vividamente attraverso l'unica fessura appena discernibile di cui ho già parlato e che si stendeva dal tetto dell'edificio in direzione irregolare, serpeggiante, sino alla sua base. Mentre guardavo, questa fessura rapidamente si allargò, il turbine di vento infuriò in un supremo anelito, tutta l'orbita del satellite si rivelò improvvisa alla mia vista, il mio cervello vacillò, mentre i miei occhi vedevano le possenti mura spalancarsi, s'intese un lungo tumultuante urlante rumore simile al frastuono di mille acque, e il profondo stagno ai miei piedi si chiuse cupo e silenzioso sui resti della casa. “Nihil” balbettai esterrefatto e poi innanzi ai miei occhi colori presero vita ed il volto di quella fanciulla che mi sorrideva. Foglie cadevano attorno alla sua sagoma eterea. Allungai la mano verso quella immagine, ma l’intangibile visione si dissolse e sospirai. I miei arti si rifiutavano di muoversi, la mia mente non operava ancora, quindi osservai quella tetra macchia dove poco prima sorgeva la casa. Chiusi gli occhi… Era lì, sembrava che mi attendesse. Ballava in modo innocente ed inconsapevole. Sembrava una ninfa languidamente avvolta da candide stoffe attorno al seno e al pube. I boccoli dorati le cadevano sulle spalle nude e dal mio nascondiglio non sapevo fare altro che mirare estasiato quella vista edenica. Iniziò a cantare e si volse verso il cespuglio, proprio quello che celava la mia bramosa figura, ero convinto che sapesse della mia presenza, ma quando Venere riuscì a strapparmi il canto dalle labbra ella si sconvolse alla vista della mia divisa da ufficiale e si volse in fuga. Il canto ormai era spento e si apriva la caccia. Urlai, isterico, e calciai un sasso in quelle profondità. Alcune onde concentriche, piccole, si susseguirono sulla superficie oscura in cui la luna si rifletteva vanitosa e io non riuscivo a staccare lo sguardo. Nel bianco del suo volto irrisorio notai nuove varietà cromatiche e poi l’acqua nera divenne un prato… L’avevo presa e lei si dibatteva impaurita tra gli alberi, era un’esile colomba tra le grinfie di un rapace e tutto attorno a noi piovevano foglie autunnali. “Ferma, dove scappi, non voglio farti niente” iniziai, ma la docile non voleva ascoltarmi e dovetti stringere un poco più forte i polsi e alzare la voce per farla tacere. S’immobilizzò, ma il fiato si agitava nel suo petto e il bianco degli occhi dominava sulle sue iridi. Mi sembrava una lepre in gabbia, impaurita, che non sa dove scappare, ma quando il mio tocco si fece più gentile e la lasciai andare si girò a guardarmi. “Chi sei?” mi chiese. In quella voce scorrevano mille ruscelli e cantavano altrettanti usignoli nel primo giorno di primavera. “Chi sei?” mi ripeté. Mi sembrava d’udire quelle parole per la prima volta ed estasiato la osservai, muto. “Beh, se non mi dici il tuo nome me ne vado” mi disse ed istintivamente mi allungai per fermarla e lei si ritrasse dal mio tocco. “Non andare! Mi chiamo Ecila, tenente nell’esercito di sua Maestà” esclamai esibendo il petto fieramente. Ella mi guardò un poco infelice. “Non mi piacciono i soldati, non mi piace la guerra” disse e mi disperai in quel momento, ma la sua voce tornò presto ad essere un balsamo per le mie orecchie ferite. “Tu, però, mi piaci”.

PATRIK GIUSEPPE PENZO<br />

<strong>Nihil</strong> <strong>cogito</strong> <strong>ergo</strong> <strong>non</strong> <strong>sum</strong><br />

Da quella camera e da quella casa io fuggii inorridito. L'uragano infuriava ancora in tutta la sua<br />

collera mentre io attraversavo l'antico sentiero selciato. A un tratto rifulse sul viottolo una luce<br />

abbagliante e io mi volsi a guardare donde poteva provenire un così insolito fulgore, poiché dietro<br />

di me avevo soltanto l'immensa casa e le sue ombre. Il chiarore proveniva dalla luna calante, al suo<br />

colmo, sanguigna, che ora splendeva vividamente attraverso l'unica fessura appena discernibile di<br />

cui ho già parlato e che si stendeva dal tetto dell'edificio in direzione irregolare, serpeggiante, sino<br />

alla sua base. Mentre guardavo, questa fessura rapidamente si allargò, il turbine di vento infuriò in<br />

un supremo anelito, tutta l'orbita del satellite si rivelò improvvisa alla mia vista, il mio cervello<br />

vacillò, mentre i miei occhi vedevano le possenti mura spalancarsi, s'intese un lungo tumultuante<br />

urlante rumore simile al frastuono di mille acque, e il profondo stagno ai miei piedi si chiuse cupo e<br />

silenzioso sui resti della casa.<br />

“<strong>Nihil</strong>” balbettai esterrefatto e poi innanzi ai miei occhi colori presero vita ed il volto di quella<br />

fanciulla che mi sorrideva.<br />

Foglie cadevano attorno alla sua sagoma eterea.<br />

Allungai la mano verso quella immagine, ma l’intangibile visione si dissolse e sospirai. I miei arti si<br />

rifiutavano di muoversi, la mia mente <strong>non</strong> operava ancora, quindi osservai quella tetra macchia<br />

dove poco prima sorgeva la casa. Chiusi gli occhi…<br />

Era lì, sembrava che mi attendesse. Ballava in modo innocente ed inconsapevole. Sembrava una<br />

ninfa languidamente avvolta da candide stoffe attorno al seno e al pube. I boccoli dorati le<br />

cadevano sulle spalle nude e dal mio nascondiglio <strong>non</strong> sapevo fare altro che mirare estasiato<br />

quella vista edenica. Iniziò a cantare e si volse verso il cespuglio, proprio quello che celava la mia<br />

bramosa figura, ero convinto che sapesse della mia presenza, ma quando Venere riuscì a<br />

strapparmi il canto dalle labbra ella si sconvolse alla vista della mia divisa da ufficiale e si volse in<br />

fuga. Il canto ormai era spento e si apriva la caccia.<br />

Urlai, isterico, e calciai un sasso in quelle profondità. Alcune onde concentriche, piccole, si<br />

susseguirono sulla superficie oscura in cui la luna si rifletteva vanitosa e io <strong>non</strong> riuscivo a staccare<br />

lo sguardo. Nel bianco del suo volto irrisorio notai nuove varietà cromatiche e poi l’acqua nera<br />

divenne un prato…<br />

L’avevo presa e lei si dibatteva impaurita tra gli alberi, era un’esile colomba tra le grinfie di un<br />

rapace e tutto attorno a noi piovevano foglie autunnali.<br />

“Ferma, dove scappi, <strong>non</strong> voglio farti niente” iniziai, ma la docile <strong>non</strong> voleva ascoltarmi e dovetti<br />

stringere un poco più forte i polsi e alzare la voce per farla tacere.<br />

S’immobilizzò, ma il fiato si agitava nel suo petto e il bianco degli occhi dominava sulle sue iridi.<br />

Mi sembrava una lepre in gabbia, impaurita, che <strong>non</strong> sa dove scappare, ma quando il mio tocco si<br />

fece più gentile e la lasciai andare si girò a guardarmi.<br />

“Chi sei?” mi chiese. In quella voce scorrevano mille ruscelli e cantavano altrettanti usignoli nel<br />

primo giorno di primavera.<br />

“Chi sei?” mi ripeté. Mi sembrava d’udire quelle parole per la prima volta ed estasiato la<br />

osservai, muto.<br />

“Beh, se <strong>non</strong> mi dici il tuo nome me ne vado” mi disse ed istintivamente mi allungai per fermarla e<br />

lei si ritrasse dal mio tocco.<br />

“Non andare! Mi chiamo Ecila, tenente nell’esercito di sua Maestà” esclamai esibendo il petto<br />

fieramente.<br />

Ella mi guardò un poco infelice. “Non mi piacciono i soldati, <strong>non</strong> mi piace la guerra” disse e mi<br />

disperai in quel momento, ma la sua voce tornò presto ad essere un balsamo per le mie orecchie<br />

ferite. “Tu, però, mi piaci”.


Mi sorrise e mi sentii girare la testa dalla gioia di quelle parole.<br />

Credei di sentire qualcosa alle mie spalle, quindi mi voltai, ma <strong>non</strong> vidi nulla. I miei piedi <strong>non</strong><br />

volevano ancora muoversi e nella loro indecisione stavano rigidamente esterrefatti, ed anche il mio<br />

volto era inorridito a quella catastrofe. Sospirai una volta, poi un’altra, ed un’altra ancora e presto<br />

mi resi conto che ero affannato. I sospiri echeggiarono improvvisamente forti nelle mie orecchie,<br />

l’uragano sembrò tacere e poi sentii anche i gemiti di lei, di <strong>Nihil</strong>…<br />

Eravamo distesi sul prato e la luce ci avvolgeva completamente. La tenevo stretta tra le mie<br />

braccia e le sorridevo e lei rispose con un riso. I nostri corpi ancora umidi sembravano muoversi<br />

in sintonia, le nostre menti si erano congiunte e <strong>non</strong> volevo più lasciarla.<br />

“Non devi andare?” mi chiese. I suoi occhi risplendevano di un lucore innaturale e mi<br />

supplicavano di restare.<br />

“Si” replicai, ma <strong>non</strong> mostravo segno di volermi distaccare, ero totalmente inebriato del suo odore<br />

paradisiaco.<br />

Passarono lunghi attimi di silenzio, un silenzio che <strong>non</strong> aveva nulla di opprimente, eppure privo di<br />

pace. Parole mute volteggiavano nell’aria e <strong>Nihil</strong> presto le scacciò e mi dimenticai del mio dovere.<br />

“Non mi vuoi lasciare?” chiese.<br />

“No” replicai. Così sigillai la mia sorte, e la sua. Una nuvola scorreva nel cielo e privò la radura<br />

di raggi per un po’ e quando superò l’astro, tutto splendeva nuovamente, di una luce diversa.<br />

Sentii nuovamente dei passi alle mie spalle, mi girai ancora, ma <strong>non</strong> c’era nulla. Tornai a guardare<br />

quel lago che occultava le conseguenze del mio errore.<br />

“Voglio mostrarti casa mia.” Mi disse, mentre camminavamo attraverso la foresta. Le mie armi<br />

erano in un angolo della radura, privo di luce, mentre io mi muovevo tra le fronde illuminare dal<br />

sole.<br />

“Casa tua?” chiesi sorpreso.<br />

“Dovrò avere una dimora anche io” rispose ridendo, ed in quel momento mi accorsi che nemmeno<br />

le sirene dei mari più sublimi hanno una voce così ammaliante.<br />

“Addio” sussurrai al vento e tentai di volgere le spalle a quel cimitero, ma <strong>non</strong> ce la feci.<br />

“Questa è casa mia” disse <strong>Nihil</strong> allegramente indicandomi una via selciata. Sembrava essere lì da<br />

secoli, eppure le lastre di pietra erano come nuove.<br />

“Vivi qui da molto?” chiesi, cercando di scoprire qualcosa su quella casa misteriosa. Aveva un<br />

aspetto invitante, accogliente, eppure c’era una piccolissima crepa in alto che mi suggeriva una<br />

negligenza nel suo mantenimento. Non lo notai allora, ma riuscivo a vedere il cielo dall’altra parte<br />

di quel piccolo buco. Era minuscolo, insignificante, ma l’azzurro del cielo era visibile.<br />

“L’hanno costruita i miei fratelli maggiori, mentre il mio fratello minore si cura il giardino con<br />

me” rispose avvicinandosi sempre più a quel selciato alla destra del quale c’era un laghetto. Era<br />

scuro, profondo, e soprattutto così nero da riflettere appena la luce del sole.<br />

“Hai fratelli?” chiesi sorpreso. Eravamo arrivati al cancello e <strong>non</strong> avevo alcuna intenzione di<br />

oltrepassare quel limite. Ero ancora in tempo per tornare indietro… Indietro dove? Non mi<br />

ricordavo bene da dove venissi e quando osservai il mio corpo con molta v<strong>ergo</strong>gna notai di essere<br />

nudo.<br />

“Si. CHIliete, MIsandro, Ratumo e RIpis. Dal più vecchio al più giovane. Dai, vieni che te li<br />

presento”<br />

Un certo orrore mi pervase. Come potevo presentarmi senza nascondere le mie membra ai fratelli<br />

di <strong>Nihil</strong>? “Ma… ma… così?” chiesi, immobile, statuario. Quella casa mi inquietava e mi<br />

accoglieva. La mia compagna sembrava <strong>non</strong> curarsi del mio stato.<br />

“Così come? Dai vieni, ti spiego come comportarti con ciascuno in modo da <strong>non</strong> offenderli”<br />

Mi prese per il polso e tirò forte, con una forza di cui <strong>non</strong> la credevo capace e fui dentro quel<br />

giardino. Mi dimenticai del mio stato e tornai a sorridere e ridemmo assieme, prima che lei<br />

iniziasse la sua breve lezione.<br />

“Chilete è il più anziano, ha tanti anni e li dimostra, ma tu <strong>non</strong> farglielo notare: è paziente ma<br />

quando si arrabbia sa come vendicarsi. Misandro… Forse è meglio evitarlo, <strong>non</strong> gli piacciono


molto gli stranieri, tu trattalo bene e lui si terrà in disparte. Ratumo probabilmente <strong>non</strong> si curerà<br />

molto di te. Non si cura di nessuno in effetti, se <strong>non</strong> ti risponde <strong>non</strong> ripeterti: è inutile, vuole dire<br />

che ha la testa da un’altra parte.” Intanto lei era giunta alla porta ed io vi fui trainato per nulla<br />

controvoglia. Ormai le sue parole mi avevano riempito la testa di aspettativa.<br />

“Ripis è il mio fratello più giovane, è il più divertente, ma si agita facilmente e si arrabbia con<br />

poco: tu sii te stesso e vedrai che <strong>non</strong> succederà nulla. Se ride va tutto bene”<br />

Arrivati sulla soglia, la porta si aprì e vidi <strong>Nihil</strong> entrare senza esitazioni. Mi voltai una sola volta e<br />

vidi solo foresta. Serrai le palpebre e riaprendole vidi nuovamente il sentiero arcano. Scossi la<br />

testa. “Troppo sole” sussurrai e poi m’addentrai nella sala.<br />

<strong>Nihil</strong> era lì e stava chiamando a raccolta i suoi fratelli.<br />

Improvvisamente si voltò sorridente.<br />

La sala era scura, grande e rettangolare. Al centro una scalinata di marmo saliva verso il piano<br />

superiore, mentre ai lati c’erano due porte per parte, tutte aperte, e sentii una lieve brezza. In<br />

simultanea tutte le porte sbatterono e silenzio calò, imbarazzante.<br />

“Allora… che te ne pare?” chiese, sbattendo le palpebre con intesa. “Questo è Ecila” annunciò<br />

verso le scale.<br />

Il silenzio proseguì e <strong>Nihil</strong> si voltò sorpresa. “Ecila, <strong>non</strong> saluti?” mi chiese.<br />

Io la osservai attonito. Non sapevo che dire, la mia testa era in preda all’oblio e qualche fumo da<br />

una lampada vicino alla porta d’ingresso mi faceva girare la testa.<br />

“Non vedo nessuno” sussurrai e poi tutto iniziò a rotearmi attorno e caddi al suolo.<br />

Il vento soffiò nella mia direzione e mi accorsi che sentivo freddo, il mio respiro era decelerato, ma<br />

ora sentivo dell’umido sul volto: lacrime rigavano le mie gote.<br />

Quelle lacrime mi ricordavano delle sue morbide mani, poggiavano sulle mie gote, leggere,<br />

inconsistenti, quasi spettrali, eppure c’erano, n’ero convinto.<br />

“Ecila, Ecila, svegliati!” mi sussurrò <strong>Nihil</strong>. Era lontana, così distante da me. Ecila? Chi era Ecila?<br />

Ecila era un soldato, si… Questo me lo ricordavo, era un ufficiale valoroso, rinomato per la sua<br />

mente molto razionale. Un uomo che tutti ammiravano e che nessuno invidiava… Ecila… Ma dove<br />

avevo sentito parlare di lui? Lo conoscevo? Non sapevo rispondermi.<br />

Sentii una brezza molto fredda, atavica, volteggiarmi attorno e aprii gli occhi immediatamente:<br />

<strong>non</strong> c’era niente.<br />

“Dove sono?” mormorai debolmente, mentre cercavo attorno per quella presenza ieratica, antica,<br />

ma <strong>non</strong> scorsi nessuno.<br />

“Come sarebbe a dire? Sei a casa” mi rispose <strong>Nihil</strong>. <strong>Nihil</strong>, quel nome me lo ricordavo bene, ma il<br />

resto era tutto così confuso, così vago.<br />

“Sei a casa mia, ci hai preoccupati tutti. Chiliete s’è preso cura di te, dovresti ringraziarlo” mi<br />

rispose la fanciulla, allegra, sorridente.<br />

“Grazie” mormorai, ma <strong>non</strong> vidi nessuno. Parlavo forse con i fantasmi ora? I fantasmi <strong>non</strong><br />

esistono. Allora con chi stavo parlando? Mi resi conto che ancora qualche filamento di ragione<br />

ancora si aggirava per la mia testa, ma stranamente n’ero quasi irritato.<br />

Quella presenza arcana svanì e <strong>non</strong> sentii più quell’aria così estranea, così lontana, sulla mia<br />

pelle. Mi resi conto che <strong>Nihil</strong> aveva appena chiuso la finestra.<br />

Sospirai e portai una mano alla testa.<br />

“Il capo mi scoppia” mormorai tra me. <strong>Nihil</strong> era distante, ma si mise a ridere.<br />

“Ti sei preso una bella botta quando sei caduto” mi rispose.<br />

“Quei fumi… Mi hanno confuso” risposi come in mia difesa.<br />

“Che fumi? Ma di che stai parlando?” mi chiese con solare cura.<br />

Non risposi, forse mi sbagliavo.<br />

<strong>Nihil</strong> arrossì un poco e mi guardò imbarazzata. “In effetti è stato Misandro, ti ha colpito alla testa,<br />

come ti ho detto <strong>non</strong> gli piacciono molto gli estranei”.<br />

La osservai molto confuso. Misandro? Ma alle mie spalle <strong>non</strong> avevo nessuno, quando sono<br />

svenuto.


“Dai vieni a rinfrescarti. Hai bisogno di un po’ d’acqua. Ti mostro il nostro bagno.”<br />

m’incoraggiò, prendendomi per mano. Mi lasciai condurre come una docile bestia finché <strong>non</strong><br />

giungemmo in una sala piena di vapore.<br />

Era una sala rotonda in cui c’erano tre pozze. Una conteneva acqua calda, una acqua fredda e<br />

quella al centro acqua tiepida. Così diceva <strong>Nihil</strong>, ma vapore usciva da tutte e tre.<br />

Ero già nudo, ma <strong>non</strong> ci pensai, seguendo la mia duchessa, fluttuante ed eterea. Ci immergemmo e<br />

mi sussurrò ad un orecchio. “Questo qui è Ratumo, <strong>non</strong> parlarci, è impegnato a <strong>non</strong> pensare a<br />

niente”.<br />

Vedevo solo nebbia, vapori che si concentravano e diluivano. Ero incerto se vi fosse movimento tra<br />

quelle nubi, ma era meglio ignorare tutto.<br />

Ecco che tutto cominciava ad avere un senso: <strong>non</strong> era importante se Ratumo fosse lì o no,<br />

l’importante era che ci fossi io.<br />

Un brivido mi risalì la schiena e mi risvegliai da quel sentiero verso l’oblio: <strong>Nihil</strong> mi stava<br />

sorridendo da una panca. Nelle mani teneva una grossa stoffa candida.<br />

Mi avvolse in quelle stoffe, poi mi vestì e dunque mi condusse via da quelle stanze. Uscendo pensai<br />

di vedere una sagoma evanescente tra le nubi di vapore, poi si dissolse nell’aria e <strong>non</strong> e cominciai<br />

a dubitare.<br />

Il mio incontro con Ripis fu molto differente. Ormai era sopraggiunta la notte, la fessura attraverso<br />

la quale quel giorno avevo visto il cielo era invisibile all’occhio nudo poiché era avvolta dalle<br />

ombre della notte. Io, invece, camminavo nella mia stanza, quando arrestai il mio incedere, poiché<br />

notai qualcosa di strano. Sul suolo la mia ombra si muoveva, su e giù, ma io restavo fermo. Mi<br />

spostai a sinistra e quella oscillava ancora. Decisi di controllare la lampada e alzando lo sguardo,<br />

scorsi la lampada mossa da qualche forza invisibile sopra di me: era quell’unica fonte di luce che<br />

modificava la mia ombra. Sospirai rappacificato, quando improvvisamente la mia ombra stette<br />

ferma e mi sorrise, divertita e selvatica. Un brivido mi risalì la schiena e sbiancai colmo d’orrore<br />

all’idea che potesse esistere Ripto. Un terrore s’impossessò di me e mi cacciò verso l’uscio e verso<br />

la sala d’ingresso, ma lì <strong>Nihil</strong> mi aspettava a braccia distese.<br />

“Dove vai?” mi domandò lusinghiera. La vidi allora per ciò che era. Non era niente. Era un sogno<br />

che volevo dominare e che alla fine aveva divorato me ed ora si dissolveva innanzi ai miei occhi<br />

tremanti.<br />

Da quella camera e da quella casa io fuggii inorridito. L'uragano infuriava ancora in tutta la sua<br />

collera mentre io attraversavo l'antico sentiero selciato. A un tratto rifulse sul viottolo una luce<br />

abbagliante e io mi volsi a guardare donde poteva provenire un così insolito fulgore, poiché dietro<br />

di me avevo soltanto l'immensa casa e le sue ombre. Il chiarore proveniva dalla luna calante, al<br />

suo colmo, sanguigna, che ora splendeva vividamente attraverso l'unica fessura appena<br />

discernibile di cui ho già parlato e che si stendeva dal tetto dell'edificio in direzione irregolare,<br />

serpeggiante, sino alla sua base. Mentre guardavo, questa fessura rapidamente si allargò, il<br />

turbine di vento infuriò in un supremo anelito, tutta l'orbita del satellite si rivelò improvvisa alla<br />

mia vista, il mio cervello vacillò, mentre i miei occhi vedevano le possenti mura spalancarsi,<br />

s'intese un lungo tumultuante urlante rumore simile al frastuono di mille acque, e il profondo<br />

stagno ai miei piedi si chiuse cupo e silenzioso sui resti della casa.<br />

Restai lì, immobile, e vidi allora che quella casa <strong>non</strong> era che fantasia, la luna mi sberleffava ed il<br />

lago ricopriva quella illusione ormai con<strong>sum</strong>ata, diluita dalla mia consapevolezza. Sentii dei passi<br />

alle mie spalle e vidi ancora quell’ombra.<br />

Mi gettai in fuga verso la foresta, corsi tra gli alberi finché <strong>non</strong> giunsi alla radura. Era immersa nel<br />

buio, ma un raggio di luna ne illuminava un angolo ed ivi rifulgeva la mia spada. Senza esitare<br />

l’afferrai e su di essa mi addormentai per poter sognare per sempre, poiché il reale mi era ormai<br />

precluso.<br />

Qui finisce la mia storia.


Il mio compagno d’armi, un fedele amico venne a cercarmi. Si avvicinò assai alla radura ove<br />

giaceva il mio cadavere, ma prima di incrociarlo, i suoi occhi si posarono su una figura divina, una<br />

ninfa delle foreste.<br />

“Chi sei?” le chiese, curioso.<br />

“Mi chiamo <strong>Nihil</strong>” replicò.<br />

In quel momento mi accorsi che attorno a me erano mille spade e mille i cadaveri trafitti, mille<br />

realtà distrutte da un unico sogno.

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