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Marco Castellari La presenza di Hölderlin nell'“Antigone” di Brecht

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<strong>La</strong> <strong>presenza</strong> <strong>di</strong> <strong>Hölderlin</strong> nell’“Antigone” <strong>di</strong> <strong>Brecht</strong> 175<br />

oggetto <strong>di</strong> un lavoro complessivo sulla lingua madre, <strong>di</strong>sseminata <strong>di</strong> arcaismi<br />

e <strong>di</strong> soluzioni al limite dell’ermetismo, colorata d’attualità attraverso la<br />

citazione del lessico nazionalsocialista, ampliata al registro popolare sia nel<br />

prelu<strong>di</strong>o, sia negli anfratti dell’altissimo stile (pseudo)hölderliniano. L’incontro<br />

casuale con il poeta svevo acquistò così significati inaspettati e cruciali<br />

per il ritorno nelle braccia della «bleiche Mutter» 110 : il lavoro sul tedesco<br />

fu certamente un tentativo, quasi una sfida, <strong>di</strong> creare una «erhöhte<br />

Bühnensprache» 111 , parte dunque del progetto-Berlino, ma <strong>di</strong>venne anche,<br />

specie con l’approfon<strong>di</strong>rsi del confronto con <strong>Hölderlin</strong>, un luogo <strong>di</strong> riappropriazione<br />

della propria identità linguistica. Si trattò senza dubbio <strong>di</strong> un<br />

recupero critico, che non mancava <strong>di</strong> esporre tutti gli ostacoli che si frapponevano<br />

a una ripresa senza soluzione <strong>di</strong> continuità, e <strong>di</strong> un recupero<br />

problematico, visto il risultato non sod<strong>di</strong>sfacente della rielaborazione, anche<br />

agli occhi dello stesso <strong>Brecht</strong> 112 . L’immersione, intensa ma sorprendentemente<br />

breve, nelle profon<strong>di</strong>tà del ductus hölderliniano non può essere<br />

comunque valutata alla luce <strong>di</strong> considerazioni <strong>di</strong> carattere ideologico, e<br />

nemmeno modulata in contrasto con le intenzioni semantiche complessive<br />

della rielaborazione: piuttosto, <strong>Brecht</strong> utilizzò con la nota maestria tutte le<br />

possibilità che i testi scelti come riferimento gli offrivano e forgiò un tedesco<br />

ricco <strong>di</strong> risonanze e assieme decisamente straniante, includendo anche<br />

il livello linguistico sotto la categoria dominante della Durchrationalisierung<br />

113 . Certo è che questa operazione, <strong>di</strong> cui qui non si <strong>di</strong>scute tanto l’effi-<br />

110 Deutschland, v. 1; BW XI: 253.<br />

111 An Stefan <strong>Brecht</strong>, <strong>di</strong>cembre 1947; BW XXIX: 440.<br />

112 Sono questi i lati più oscuri della rielaborazione brechtiana, che emergono a un livello<br />

<strong>di</strong> lettura <strong>di</strong>fferente da quello che abbiamo adottato in questo stu<strong>di</strong>o: in particolare,<br />

scorrendo le affermazioni <strong>di</strong> <strong>Brecht</strong> all’inizio e alla fine del lavoro ad Antigone e confrontandole<br />

con le scelte operate a livello tematico, la critica ha descritto una sorta <strong>di</strong> revoca<br />

dell’iniziale, assoluta fiducia nella possibilità <strong>di</strong> attualizzare, razionalizzare e demitizzare la<br />

trage<strong>di</strong>a sofoclea. Tale incongruenza fra intenzioni e risultati è per molti stu<strong>di</strong>osi<br />

all’origine della scarsa efficacia e della non eccelsa fortuna scenica della pièce, in special<br />

modo del fatto che negli anni successivi <strong>Brecht</strong> non prese nemmeno in considerazione<br />

l’ipotesi <strong>di</strong> portarla in scena una seconda volta, ad esempio al Berliner Ensemble (si leggano<br />

fra gli altri BARNER 1987, FLASHAR 1988, FRICK 1998 e JOOST 2001).<br />

113 Coglie dunque soltanto un aspetto del fenomeno chi definisce la rielaborazione<br />

una «Liebeserklärung an <strong>di</strong>e deutsche Sprache» (MITTENZWEI 1989: 251), o chi, pur affermando<br />

che «his interest in <strong>Hölderlin</strong>’s Antigonä was purely linguistic», vuole ridurre<br />

l’utilizzo brechtiano della traduzione settecentesca a sfruttamento occasionale e sostanzialmente<br />

superficiale, segno <strong>di</strong> un «<strong>Brecht</strong>’s relative <strong>di</strong>sinterest in <strong>Hölderlin</strong>» (FE-<br />

HERVARY 1977: 91sg.). Il processo <strong>di</strong> fusione fra intenzione razionalizzatrice e lavoro sul<br />

linguaggio non è aproblematico e tiene ampiamente conto <strong>di</strong> tutto il carico che la storia<br />

ha appena riversato sul tedesco, quello della poesia come quello della quoti<strong>di</strong>anità. Di recente<br />

Anna Chiarloni ha più correttamente in<strong>di</strong>viduato nell’incontro con <strong>Hölderlin</strong> il<br />

momento fondamentale della ricerca brechtiana <strong>di</strong> una «nuova grammatica tedesca»:<br />

«Non consentiva forse proprio quel linguaggio straniato che già sembra sfiorare la fuga <strong>di</strong><br />

<strong>Hölderlin</strong> nella follia, quella <strong>di</strong>zione arcaica e inquieta, l’unica possibilità <strong>di</strong> esplicitare

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