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Marco Castellari La presenza di Hölderlin nell'“Antigone” di Brecht

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<strong>La</strong> <strong>presenza</strong> <strong>di</strong> <strong>Hölderlin</strong> nell’“Antigone” <strong>di</strong> <strong>Brecht</strong> 171<br />

voro sul linguaggio: il fascino imperioso della <strong>di</strong>zione hölderliniana, che<br />

modula il tedesco su tonalità espressive inau<strong>di</strong>te attraverso neologismi,<br />

calchi dal greco, soluzioni al limite della comprensibilità e magistrali frainten<strong>di</strong>menti,<br />

agì con forza sempre maggiore sulla scrittura brechtiana e<br />

colpì come un incontrollabile V-Effekt il maestro dello straniamento. Incalzato<br />

dall’inaspettata complessità del testo <strong>di</strong> riferimento, <strong>Brecht</strong> ne<br />

sfruttò a fondo le malie e, come an<strong>di</strong>amo ora a descrivere, ne potenziò<br />

ulteriormente l’effetto attraverso il ricorso ad ulteriori fonti e suggestioni.<br />

2.4.4 Fonti extrasofoclee<br />

Come la critica ha notato fin da principio, l’Antigone sofocleo-hölderliniana<br />

non è l’unico ipotesto della rielaborazione <strong>di</strong> <strong>Brecht</strong>. Questi vi inserì<br />

infatti brevi citazioni o variazioni <strong>di</strong> traduzioni coeve <strong>di</strong> testi <strong>di</strong> tutt’altro<br />

carattere: si tratta in particolare <strong>di</strong> pochi versi tratti da epinici <strong>di</strong> Pindaro,<br />

pur sempre nella versione <strong>di</strong> <strong>Hölderlin</strong> 94 , e <strong>di</strong> un brano più esteso <strong>di</strong> mano<br />

goethiana. <strong>La</strong> prima occorrenza pindarica nella rielaborazione <strong>di</strong> <strong>Brecht</strong> è<br />

<strong>di</strong> minima entità: nel contesto <strong>di</strong> un oscuro coro posto in luogo del secondo<br />

stasimo sofocleo, prima della scena che oppone Creonte al figlio<br />

Emone, è descritta la miserrima con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> indecifrabili «fratelli<br />

lacmici» e delle loro donne:<br />

Duldend saßen im feuerzerfressenen Haus <strong>di</strong>e <strong>La</strong>chmyschen Brüder<br />

Modrig, mit Flechten genährt; immer <strong>di</strong>e Winter<br />

Schütteten Eis auf sie; und <strong>di</strong>e Weiber, <strong>di</strong>e ihren<br />

Wohnten zur Nacht nicht da und saßen am Tage<br />

Heimlich in Windeln purpurn.<br />

(vv. 547-551)<br />

Il passo, come quasi tutto il coro, non trova corrispondenza nel testo<br />

sofocleo, eppure non manca <strong>di</strong> reminiscenze hölderliniane: intessuto nel<br />

testo è infatti un passaggio della Pitica IV <strong>di</strong> Pindaro, proprio nella traduzione<br />

del poeta svevo, <strong>di</strong> cui risalta specialmente la ripresa letterale del<br />

sintagma «in Windeln purpurn» 95 . Poco oltre, nel feroce scontro fra padre<br />

e figlio che domina la scena successiva, Emone parla in due occasioni con<br />

94 Pindaro fu tradotto da <strong>Hölderlin</strong> in due perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinti. Un primo gruppo <strong>di</strong> testi<br />

(la versione <strong>di</strong> 19 epinici, per l’esattezza <strong>di</strong> 12 o<strong>di</strong> pitiche e <strong>di</strong> 7 o<strong>di</strong> olimpiche) risale al<br />

1800, un secondo, assai meno ampio, a un periodo successivo, probabilmente attorno al<br />

1803 (9 frammenti).<br />

95 Si confronti la traduzione hölderliniana della Pitica IV, vv. 200-202: «In den Häussern<br />

anstellend mit We- / heklagen der Weiber, heimlich ge- / Sandt in Windeln purpurn»<br />

(Hell. V: 55; StA V: 88). Pure ascrivibile alla medesima fonte è l’utilizzo brechtiano<br />

della figura <strong>di</strong> «Peleas» (<strong>Brecht</strong>, v. 553), ovvero Pelia, re <strong>di</strong> Iolco. Non spiegata rimane invece<br />

l’origine e perciò il significato della perifrasi «<strong>La</strong>chmysche[n] Brüder» (<strong>Brecht</strong>, v.<br />

547): il riferimento, apparentemente mitologico o geografico, non trova attestazione nel<br />

patrimonio onomastico antico (si veda FLASHAR 1991: 189).

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