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RADICAMENTI TEMPORANEI.

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<strong>RADICAMENTI</strong> <strong>TEMPORANEI</strong>.<br />

LA SCRITTURA TRANSCULTURALE DI HATICE AKYÜN<br />

di Marco Castellari<br />

A man is not a tree. Con questa potente metafora Vilém Flusser (1920-<br />

1991), fi losofo dei media e pensatore attualissimo, valorizza l’identità<br />

nomade, esito dello sradicamento e prototipo del soggetto postmoderno,<br />

un “soggetto di enunciazione e di prassi che attraversa la crisi del pensiero<br />

postmoderno per assumerne interamente la complessità” (BOZZI 2007:<br />

6). Come altre immagini – questa volta espresse in forma affermativa: il<br />

vento, il Luftmensch di tradizione yiddish, il poliglotta – la fi gurazione<br />

antisedentaria e antiromantica dell’uomo come “non-albero” proposta da<br />

Flusser mira a esaltare il migrante e la sua libertà creativa all’interno di un<br />

dibattito sulle identità ibride che ha spinto la rifl essione poststrutturalista<br />

a elaborare nuovi concetti, non sempre altrettanto plastici, per descrivere<br />

nuovi modelli di vita e di cultura del mondo contemporaneo.<br />

A man is not a tree, but a tumbleweed: così Hatice Akyün, giornalista e<br />

scrittrice “turca con passaporto tedesco” (13) nata nel 1976, modulerebbe<br />

la defi nizione di Flusser per defi nire la propria identità. “Se proprio dovessi<br />

descrivere la mia situazione con un’immagine”, scrive infatti Akyün<br />

nell’ultimo capitolo di Cercasi Hans in salsa piccante,<br />

allora direi che sono un rotolacampo [tumbleweed]. I rotolacampo sono quelle<br />

formazioni vegetali simili a paglia che ogni tanto si vedono volare qua e là nei<br />

fi lm western. Il vento del deserto ne divelle le radici e le fa saltare e rotolare<br />

fi nché, grazie a uno scroscio di pioggia, non piantano nuove radici altrove.<br />

Quindi fi oriscono di nuovo per breve tempo, poi seccano e volano di nuovo<br />

senza meta per il deserto. (241s.)<br />

Con la metafora originalissima del rotolacampo l’io narrante pienamente<br />

autobiografi co della scrittura di Akyün risponde con gesto tipicamente antiintellettualistico<br />

al tentativo esterno di defi nire la sua identità, racchiudendola<br />

in un’immagine affi ne a quella fl usseriana e però, a un livello di rifl essione di<br />

diversa portata, più concretamente legata all’esperienza del singolo e anche


260 Marco Castellari<br />

più fantasiosa e culturalmente ibrida. Tale autodefi nizione, infatti, replica<br />

direttamente nel testo a quella dell’amica tedesca Julia, che da una prospettiva<br />

tipicamente monoculturale la descrive come “una viandante tra i mondi”<br />

(241). All’attribuzione esogena, fondata sul presupposto più o meno conscio<br />

dell’esistenza di singole, monolitiche culture, se non nazioni, separate da<br />

differenze tali da lasciare il migrante in un Dazwischen, una sorta di terra di<br />

nessuno, Akyün oppone, con la consueta ironia, una visione comprensiva,<br />

e non esclusiva, della propria collocazione in entrambe le culture, e non fra<br />

di esse: “A dir la verità sono troppo pigra per camminare. Preferisco stare<br />

seduta, e perché non in contemporanea su due sedie?” (Ibidem).<br />

Akyün si richiama così ancora una volta, pur sempre nel ductus colloquiale<br />

della sua prosa riferita a una dimensione personale e senza la pretesa<br />

immediata di parlare a nome di un’intera categoria, al più recente dibattito<br />

sociologico, culturale e letterario sulla questione: rifi uta infatti, con evidente<br />

richiamo lessicale, il cliché dello zwischen zwei Stühlen (letteralmente:<br />

“stare tra due sedie”, a indicare la condizione di chi, impossibilitato a o<br />

incapace di scegliere fra due opzioni, ha perso la possibilità di trovare un ubi<br />

consistam in entrambe) e, trasformandolo con un piccolo ma fondamentale<br />

spostamento semantico, vi oppone la volitiva rivendicazione di un’identità<br />

complessa, di una soggettività ibrida, di un’appartenenza multipla che fa<br />

cadere la questione stessa dell’appartenenza (Dazugehörigkeit).<br />

La formula del “tra due mondi” / “tra due culture”, divenuta un luogo<br />

comune nelle propaggini banalizzanti del dibattito sulle nuove identità,<br />

specialmente in certe tipiche volgarizzazioni mediatiche, è sintomo di<br />

una tendenza a ragionare per blocchi contrapposti, secondo una struttura<br />

mentale bipolare che, come la ricerca sociologica più accorta fa notare<br />

ormai da qualche tempo anche al di fuori del discorso anglofono, non<br />

ha alcun corrispettivo concreto. Frutto di varia semplifi cazione, infatti,<br />

la prospettiva monoculturale e/o mononazionale, spesso applicata a<br />

prescindere dagli specifi ci contesti umani, fi nisce per non rendere in<br />

alcun modo conto della diversità, e dunque della ricchezza, delle singole<br />

esperienze transculturali, quando pure le identità migranti conoscono ormai<br />

anche in società più in ritardo in questo senso – quella tedesca e ancor più<br />

quella italiana, ad esempio – stratifi cazioni e differenziazioni multiple, fra<br />

l’altro anche generazionali. 1<br />

1 Sulla situazione tedesca, si legga a titolo introduttivo per la prospettiva sociologica<br />

BECK-GERNSHEIM 2004, che riporta anche riferimenti agli studi specifi camente<br />

diretti alla realtà turca in Germania – fra gli altri, il volume di Berrin Özlem


Radicamenti temporanei 261<br />

Proprio contro la banalizzazione della formula between two worlds, per<br />

giungere ora all’ambito della scrittura e segnatamente della scrittura<br />

cosiddetta turco-tedesca, e proprio in quello stesso 2005 in cui è uscito il<br />

volume di Akyün che qui si discute, la studiosa americana Leslie A. Adelson<br />

andava alla ricerca di “una nuova grammatica critica per comprendere la<br />

natura del contatto culturale e della presenza turca nella letteratura tedesca<br />

contemporanea” (ADELSON 2005: 5). Questo fortunato volume sul turkish<br />

turn si dedicava poi all’analisi delle tre voci più note della “letteratura della<br />

migrazione turca” (15) nel panorama letterario di lingua tedesca, Emine<br />

Sevgi Özdamar, Zafer Şenoçak e Feridun Zaimoğlu, nelle cui pagine si<br />

possono leggere simili, spesso accesissime prese di posizione contro le varie<br />

eteroattribuzioni di ‘essere in mezzo’ – Zaimoğlu, ad esempio, attacca con<br />

il suo tipico gesto provocatorio “l’idea balzana di due blocchi culturali che<br />

si scontrano. O stai dentro l’uno o dentro l’altro oppure rimani sbriciolato<br />

nel mezzo. [...] Non mi sono mai sentito un pendolare fra due culture. Non<br />

ho neanche mai avuto una crisi di identità. Al contrario, ho sempre saputo<br />

che non esiste una sola realtà tedesca, ma molte.” (Cfr. BECK-GERNSHEIM<br />

2004: 74).<br />

Lunga e complessa è, d’altra parte, la storia delle defi nizioni modulate<br />

su categorie esterne, proprie della cultura dominante, che, anche quando<br />

proposte ‘con le migliori intenzioni’, hanno rivelato la propria inadeguatezza<br />

e, proprio nel continuo inseguirsi di nuove formazioni lessicali, hanno<br />

manifestato la propria nominalistica insuffi cienza. Così, da quando negli anni<br />

Settanta dello scorso secolo si è cominciato a guardare alla scrittura di nuove<br />

comunità in Germania, si sono succedute denominazioni come, fra le altre,<br />

Gastarbeiterliteratur, Migrations- o Migrantenliteratur, multikulturelle<br />

/ interkulturelle / transkulturelle Literatur, ispirate vuoi ai primi termini<br />

uffi ciali con cui erano chiamati i “lavoratori ospiti” (Gastarbeiter) dalle<br />

cui fi la erano nate le prime esperienze di scrittura (Franco Biondi, Rafi k<br />

Otyakmaz del 1995 che, se pure ormai datato in un campo in velocissima evoluzione,<br />

descrive una realtà assai vicina a quella in cui nasce la scrittura di Akyün e<br />

utilizza nel titolo il rovesciamento della medesima immagine stereotipata per indicare,<br />

nel posizionamento “su tutte le sedie”, lo slancio volitivo della nuova generazione<br />

turco-tedesca: Auf allen Stühlen. Das Selbstverständnis junger türkischer<br />

Migrantinnen in Deutschland. – Qui e altrove le traduzioni sono di chi scrive,<br />

fatte salve le citazioni dal testo di Akyün, che rimandano con la sola indicazione<br />

di pagina alla traduzione proposta in questo volume da Adriano Murelli. Rimando<br />

con il metodo autore/anno, anche nel corpo del testo, alla bibliografi a riportata in<br />

calce a queste pagine. Per ragioni di spazio rinuncio per lo più a riportare il testo<br />

originale delle defi nizioni e dei brevi passaggi riportati.


262 Marco Castellari<br />

Schami), vuoi a categorizzazioni più ampie, ma non per questo del tutto<br />

inclusive (“letteratura della migrazione” / “letteratura dei migranti”), vuoi<br />

a uno degli aggettivi composti con cui, non senza il rischio di permanere<br />

in una prospettiva eurocentrica, si mira a ricomprendere un’eterogenea<br />

produzione. 2<br />

Indubbiamente, come hanno recentemente sottolineato Eva Maria Thüne<br />

e Simona Leonardi introducendo il volume I colori sotto la mia lingua.<br />

Scritture transculturali in tedesco, il termine “transculturale” pare al<br />

momento ben circoscrivere la produzione “di autori e autrici che scrivono<br />

in costellazioni personali, linguistiche e culturali complesse, ma in una<br />

determinata lingua”, che nel caso degli scrittori studiati in quella collettanea<br />

è, come per Akyün, il tedesco (LEONARDI & THÜNE 2009: 11). Resta il fatto che,<br />

specie guardando alle nuove generazioni, molte defi nizioni esclusive, siano<br />

esse sociologiche o letterarie, perdono crescentemente di validità e sono<br />

guardate con sempre maggiore insofferenza dagli autori stessi – se ancora<br />

Zaimoğlu marchia senza mezzi termini l’etichetta Migrationsliteratur<br />

come Ekelbegriff, un “concetto nauseante”, una defi nizione ormai<br />

“spacciata” (toter Kadaver, cfr. SCHMITZ 2009: 11), diffusissimo è il<br />

rifi uto che molti autori, Akyün compresa, oppongono all’escamotage (o<br />

monstrum, a seconda dei punti di vista) linguistico-burocratico di Person<br />

mit Migrationshintergrund, che nelle statistiche ‘stana’ i cittadini tedeschi<br />

“con retroscena di migrazione”. Quasi un marchio a vita, certo, che pare<br />

perfi no annullare a ritroso la riforma sulla cittadinanza che all’inizio del<br />

nuovo millennio ha temperato lo ius sanguinis con lo ius soli, ma, d’altro<br />

canto, anche un tentativo di non uniformare la differenza nella descrizione<br />

della nuova società tedesca. 3<br />

2 Sulla discussione, che naturalmente è di sostanza oltre che formale, si vedano fra<br />

i titoli più recenti, oltre alla già citata ANDERSON 2005, il volume SCHMITZ 2009, che<br />

contiene un’intera sezione dedicata alle questioni teoriche e metodologiche con<br />

i contributi, in particolare, di ESSELBORN e DÖRR, in altra sede DÖRR 2008 nonché<br />

ARNOLD 2006 e il Dossier Migrationsliteratur della HEINRICH-BÖLL-STIFTUNG 2009;<br />

in italiano, segnalo le recenti collettanee CANTARUTTI & FILIPPI 2008 e LEONARDI &<br />

THÜNE 2009 e le considerazioni di Lucia Perrone Capano in ÖZDAMAR 2007: 7-13.<br />

3 Völker Dörr, ad esempio, considera il termine “migrante di seconda / terza generazione”<br />

come “latentemente razzista” (DÖRR 2008: 18) in quanto riproposizione,<br />

appunto, dello ius sanguinis nel dibattito critico, e propone più in generale un’interessante<br />

rifl essione sugli effetti che simili etichette, spesso esposte in sede paratestuale<br />

e talvolta funzionali alla commercializzazione dell’oggetto-libro, hanno<br />

sull’orizzonte d’attesa del lettore.


Radicamenti temporanei 263<br />

Qualunque sia la policy adottata, è indubbio che molta della migliore<br />

letteratura tedesca è oggi opera di autori non nati in Germania e/o non<br />

legati culturalmente o linguisticamente al solo ambito tedesco. Niente di<br />

nuovo, certo. In fondo la ricchezza e pluralità culturale irradia la poesia<br />

tedesca da tempo immemore e una categoria come quella di interculturalità<br />

è iscritta nella natura della letteratura intesa come scrittura per defi nizione<br />

interdiscorsiva; non è chi non veda, ad ogni buon conto, che il fenomeno è<br />

oggi molto evidente per le sue dimensioni e per la sua intensità e che esso ha le<br />

sue radici in dinamiche extraletterarie. Senza poter qui ricostruire tali contesti<br />

storici, sociali e culturali e ripercorrere tutte le tappe che hanno portato a<br />

quest’ampiezza di prospettive della vita letteraria tedesca contemporanea,<br />

alcuni momenti cruciali dell’ultimo ventennio, ripetutamente citati dalla<br />

critica, sono indicativi di un’evoluzione decisamente veloce: fra il 1991,<br />

quando Özdamar riceve lo Ingeborg-Bachmann-Preis e produce una vera e<br />

propria “svolta nella percezione della letteratura dei migranti” (ESSELBORN<br />

2009: 44), e il 2009, anno in cui gli accademici di Svezia premiano la<br />

scrittura migrante di Herta Müller con il Nobel per la letteratura, numerose<br />

voci ascrivibili alla letteratura transculturale si sono via via aggiunte a<br />

un coro variegato che rifl ette nella sua polifonia, fra assolo e stonature,<br />

improvvise armonie e coloriture stravaganti, arditi salti tonali e disarmonie<br />

programmatiche, una realtà non (più) riducibile a unisono. 4<br />

Nel panorama qui brevemente delineato può ben essere inserita la scrittura<br />

di Hatice Akyün, sia per la posizione culturale e generazionale dell’autrice,<br />

4 Sarebbero da aggiungere almeno il cosiddetto kanak attak a fi ne anni Novanta,<br />

con l’affermazione del già citato Zaimoğlu e di altri autori di origine turca, l’attribuzione<br />

del premio Bachmann a Terézia Mora nel 1999, rappresentante assieme<br />

a Ilja Trojanow, Saša Stanišić e altri di quello che da qualche parte è defi nito<br />

“ampliamento a est” della letteratura tedesca; l’attenzione riservata dalla critica<br />

all’opera di una Yoko Tawada o di uno Şenocak; la crescente importanza dello<br />

Adelbert-Chamisso-Preis, un premio letterario espressamente diretto a chi giunge<br />

alla scrittura in tedesco a partire da un’altra madrelingua. Inoltre, a riprova di una<br />

vasta gamma di scrittura che pesca senza troppe remore in temi e forme della<br />

letteratura d’intrattenimento, vanno segnalati il successo, soprattutto di pubblico,<br />

di autori dissacranti come Wladimir Kaminer e, più in generale, l’ampliamento di<br />

quella che era una nicchia del mercato in una vera e propria miniera di bestseller,<br />

tanto che c’è chi ha parlato, con riferimento specifi co alla scanzonata produzione<br />

di un manipolo di giovani autrici, di türkisches Fräuleinwunder (YEŞILADA 2009:<br />

120). Alcuni degli autori citati sono più o meno ben rappresentati anche nel panorama<br />

librario italiano (Özdamar, Zaimoğlu, Kaminer, Mora e altri ancora).


264 Marco Castellari<br />

sia per ragioni tematiche e in certa misura anche stilistiche. Certo, essa<br />

non ha ambizioni letterarie in senso stretto e può essere piuttosto legata<br />

a una matrice feuilletonistica, più precisamente da Kolumne, da un lato, e<br />

inserita dall’altro, specie tematicamente, in una produzione autobiografi cosaggistica<br />

– genere di notevole successo editoriale nella Germania<br />

contemporanea – al cui centro è la vita quotidiana anche nella sua banalità<br />

(le amicizie, la famiglia, il lavoro, le esperienze sentimentali, le aspettative<br />

per il futuro, sporadicamente temi sociali o politici), con qualche puntata<br />

all’indietro verso la propria infanzia o prima giovinezza che serve a meglio<br />

delineare la propria identità ibrida, vero centro di interesse della scrittura.<br />

Nel caso di Akyün tale “messa in scena del sé” ha intenzioni del tutto positive,<br />

intesa com’è quale volitiva rivendicazione di un’integrazione riuscita da<br />

parte di un’esponente della seconda generazione di turchi in Germania che<br />

non intende rinunciare in alcun modo alle due principali dimensioni che<br />

costituiscono in maniera imprescindibile la sua personalità:<br />

Io invece sono sì turca, ma anche tedesca, straniera, musulmana, turco-tedesca,<br />

giornalista o una carogna, a seconda di chi mi guarda. E percepisco come una<br />

ricchezza il fatto di riunire in me queste contraddizioni. Non porto il velo, a<br />

trentacinque anni non sono ancora sposata, bevo alcool e posso confermare<br />

che ci sono davvero donne turche che fanno sesso prima del matrimonio. Sono<br />

troppo tedesca per essere turca e troppo turca per potermi dire tedesca. [...] “Ti<br />

senti tedesca o turca?”, mi chiedono spesso. Non posso rispondere a questa domanda<br />

in maniera non ambigua, perché io metto radici nel luogo in cui in quel<br />

momento mi sento felice. Fino a qualche anno fa era Duisburg, poi Berlino. A<br />

un certo punto sono rifi orita per breve tempo a New York, l’anno successivo in<br />

un albergo in Turchia, dove ho lavorato per migliorare il mio turco. (247)<br />

In questa auto-rappresentazione c’è, come qualche recensore ha notato<br />

criticamente, l’esplicita volontà di sdrammatizzare gli elementi confl ittuali<br />

e problematici che, forse non al livello personale di Akyün ma certamente<br />

su quello più ampio della società tedesca, caratterizzano la vita di alcuni<br />

migranti e dei loro fi gli. Leggere questa circostanza come sintomo del<br />

“carattere innocuo della sua prosa” (SEIDL 2005) è però, a mio parere,<br />

fuorviante. Per ammissione dell’autrice, Cercasi Hans in salsa piccante è<br />

un testo nato anche come risposta a una modalità di rappresentazione della<br />

comunità turca in Germania che, alla data del 2005, era contraddistinta<br />

dall’insistenza su elementi negativi, quali omicidi d’onore e matrimoni<br />

combinati, confl itti sul velo e storie di ordinaria violenza, intesi al di là<br />

della loro circostanziata singolarità quali sintomi di una differenza culturale<br />

fondamentale (cfr. ANGELE 2006).


Radicamenti temporanei 265<br />

Akyün, da turca-tedesca, da donna e da giornalista, conosceva dall’interno<br />

il retroterra concreto, le motivazioni politico-culturali e gli effetti di<br />

tale rappresentazione mediatica, non da ultimo il continuo nutrimento<br />

di clichés di varia natura, e dirige la sua scrittura proprio contro tale<br />

complesso di problemi. Certo, come ella stessa ammette avrebbe potuto<br />

calcare maggiormente la mano su alcuni momenti complessi della propria<br />

storia personale, ad esempio la contrastata evoluzione, fra tentativi di<br />

emancipazione e incomprensioni reciproche, del proprio rapporto con<br />

i genitori e in particolare con il padre – fi gura, per altro, fra le meglio<br />

riuscite del libro. Proprio nell’opzione complessiva di una scrittura leggera<br />

ma non superfi ciale, però, e nelle strategie che essa ha richiesto e ora andrò<br />

brevemente a discutere, si situa una precisa scelta rappresentativa che la<br />

categoria dell’‘innocuo’, come pure altre proposte in sede critica, non basta<br />

certo a descrivere. 5<br />

In quattordici capitoli Akyün racconta infatti della sua “vita in due<br />

mondi“ (così il sottotitolo, anch’esso un manifesto contro il Dazwischen)<br />

secondo una progressione tematica piuttosto libera, che alterna momenti<br />

schiettamente umoristici a quadretti famigliari, vere e proprie scene da<br />

(tele)fi lm ad aneddoti non solo divertenti, rifl essioni sulla propria identità<br />

patchwork e scavi nelle memorie d’infanzia – centrale, in particolare, il<br />

ricordo degli avventurosi viaggi estivi verso il paesino anatolico d’origine<br />

cui è dedicato il quarto capitolo, “Viaggio nel paese delle madri”. Il fi lo<br />

rosso di questa labile struttura narrativa è la ricerca, annunciata fi n dal titolo,<br />

di uno “Hans in salsa piccante”, ovvero di quell’uomo tedesco (Hans è,<br />

come Helga, la sineddoche con la quale i turchi designano rispettivamente<br />

i tedeschi e le tedesche) che assommi in sé i supposti pregi dell’uno e<br />

dell’altro popolo – un ideale inesistente e infatti mai raggiunto che, come<br />

alcuni passaggi implicitamente suggeriscono, altro non può essere che<br />

una versione maschile di Akyün stessa, e dunque se mai un ‘turco con<br />

5 Mi riferisco qui in particolare al primo corposo tentativo di analisi di Cercasi<br />

Hans in salsa piccante, in cui Karin E. Yeşilada, oltre a utilizzare anch’ella la<br />

qualifi ca di Harmlosigkeit e accanto ad alcune annotazioni interessanti sulle quali<br />

tornerò, confonde a mio parere i rovesciamenti ironici e le sorridenti esagerazioni<br />

di Akyün, che mirano proprio a scardinare determinati stereotipi e a irritare visioni<br />

preconcette, con il loro esatto contrario, ad esempio quando scrive che “l’autrice<br />

scomoda un cliché dopo l’altro”, “conferma i più facili orizzonti di attesa dei<br />

lettori [...] e costruisce la propria alterità come straniera / non-tedesca / orientale”,<br />

giungendo a defi nizioni assai poco lusinghiere come “confessioni scritte a vanvera”<br />

(YEŞILADA 2009: 130ss.) o, altrove, “Biedermeier turco-tedesco” (HEINRICH-<br />

BÖLL-STIFTUNG 2009: 15).


266 Marco Castellari<br />

crauti’, per rimanere in metafora. D’altronde, il sequel di Cercasi Hans in<br />

salsa piccante racconterà proprio la felice unione – condita da una recente<br />

erede dal doppio nome turco e tedesco di Merve Johanna – con un “turco<br />

troppo tedesco per essere turco e troppo turco per potersi dire tedesco”, per<br />

continuare a parafrasare le parole di Akyün. 6<br />

Già questo basterebbe, crediamo, a segnalare la reductio ad absurdum<br />

che, con fare per lo più giocoso e senza mai risparmiarsi autocritiche,<br />

l’autrice opera paragrafo dopo paragrafo di ogni stereotipo legato alle due<br />

costruzioni nazionali, innalzando complessivamente un inno alla differenza<br />

e alla singolarità di ogni esperienza rispetto alle più varie etichette. Si<br />

tratti della puntualità e dell’affi dabilità ‘tipicamente’ tedesche – che infatti<br />

sono le caratteristiche più spiccate di un fratello della narratrice – o delle<br />

varie ossessioni ‘tipicamente’ turche per cibo, calcio e cura del corpo, di<br />

organizzazione teutonica o di caos anatolico, il risultato della mobilitazione<br />

dei vari clichés è, grazie a un uso misurato di concretezza ed esagerazione,<br />

di registro serio e registro ironico, il disvelamento della loro natura costruita<br />

e assieme rivelatrice.<br />

Invitando il lettore (‘tedesco’? ‘occidentale’?) a conoscere la vita della<br />

sua famiglia – così succede esplicitamente alla fi ne del primo capitolo<br />

– Akyün lo introduce in una sala a specchi, in cui questi ritrova certo<br />

alcuni elementi cardine che già facevano parte del suo orizzonte d’attesa<br />

e che indiscutibilmente, come succede per ogni stereotipo che si rispetti,<br />

si originano da un fondo più o meno esiguo di verità, e perde poi però<br />

l’orientamento di fronte a una serie di contraddizioni, sovrapposizioni<br />

ed eccezioni irriducibili agli schematismi precostituiti: quel mondo che<br />

credeva univoco si rivela invece ricchissimo di differenziazioni ‘interne’,<br />

di affi nità con l’‘esterno’, insomma di vita vera.<br />

Se il fratello minore della narratrice, Mustafa, è la fi gura su cui con<br />

maggiore intensità agisce l’esagerazione deformante del gioco con gli<br />

stereotipi – machismo e rifi uto programmatico della grammatica tedesca<br />

6 Il volume, Ali zum Dessert. Leben in einer neuen Welt, è uscito nel 2008 e, come<br />

già l’opera prima di Akyün, ha ottenuto grande successo, come dimostra fra l’altro<br />

la riedizione tascabile dei primi mesi del 2010. Per informazioni sui due volumi,<br />

sulle recensioni, sulle fi tte tournées di letture pubbliche e sugli interventi in trasmissioni<br />

radiofoniche e televisive, per i premi ricevuti e per altre informazioni<br />

rimando alla presenza web offi ciale dell’autrice: www.akyuen.de. Una sorta di<br />

continuazione in fi eri e interattiva dei due volumi è costituita dal blog che l’autrice<br />

tiene sulla piattaforma Westropolis, cfr. http://www.westropolis.de/akyuen.


Radicamenti temporanei 267<br />

ne fanno “un cliché fatto persona”, ma proprio per questo è lui, come recita<br />

il titolo del decimo capitolo, “il re di Duisburg”, che “è riuscito in ciò che<br />

i turchi assimilati non hanno mai ottenuto: si sente bene nel suo mondo<br />

perché non cerca ostinatamente di eliminare dalla sua vita tutto quello che<br />

c’è di turco” (177) –, è naturalmente Hatice stessa, l’io autobiografi co, a<br />

sottoporsi al più spietato, e assieme divertito, gioco di specchi. Tutt’altro<br />

che limitata alla dimensione della femme fatale capace di attrarre fra le<br />

sue braccia i pallidi eredi di Arminio, come sostengono alcuni recensori<br />

attribuendo forse alla protagonista femminile del volume propri stereotipi,<br />

se non ideali, sospettabili di maschilismo e xenofobia (SEIDL 2005), la fi gura<br />

di donna delineata nel volume è ricca di sfaccettature, non provocante,<br />

ma certamente provocatoria, sempre con gesto ironico, rispetto a varie<br />

sclerotizzazioni culturali.<br />

Solo in parte la “messa in scena della femminilità”, indubbiamente<br />

caratterizzata da un “tono leggero, per lo più spensierato, in parte<br />

ironico”, può a mio parere essere inquadrata nell’etichetta della<br />

letteratura umoristica rosa – così potremmo rendere la cosiddetta chicklit<br />

angloamericana –, come fa Karin E. Yeşilada citando d’un fi ato Akyün<br />

accanto a Aslı Sevindim e Dilek Güngör quali rappresentanti delle “nuove<br />

turche della porta accanto”. 7 L’indulgere su alcuni temi indubbiamente<br />

d’evasione, e in parte anche intesi a ‘conquistare’ una determinata fetta<br />

di pubblico, non è in primo luogo di per sé legato a quella sola tendenza<br />

della scrittura femminile contemporanea – come altri elementi di Cercasi<br />

Hans in salsa piccante, tenderei piuttosto a riferirli alle suggestioni che<br />

la scrittura di Akyün mi sembra trarre dalla cosiddetta letteratura pop. 8<br />

Secondariamente, è del tutto evidente che anche quando la narratrice<br />

7 YEŞILADA 2009: 120ss. Ancora meno convincenti sono i paralleli qui sostenuti con<br />

la serie televisiva americana Sex & the city, che non va oltre un riferimento fuggevole<br />

nel testo di Akyün stessa (133) e con il romanzo scandalistico Feuchtgebiete<br />

di Charlotte Roche (2008).<br />

8 Dei cinque macroelementi caratterizzanti la scrittura pop in area tedesca che<br />

Heinrich Kaulen ha recentemente indicato in sede di sintesi ritroviamo in Akyün,<br />

su un piano complessivo, l’orientamento al mondo concreto e alla dimensione<br />

quotidiana con tratti genericamente realistici, spesso antimodernisti, e con frequente<br />

riferimento alle esperienze esistenziali e culturali della principale fascia di<br />

lettori (musica, tempo libero, media, consumi, moda, stili di vita e stili di lettura)<br />

nonché il superamento del confi ne fra ‘alta’ e ‘bassa’ cultura, vale a dire cultura<br />

uffi ciale e subcultura pop, sia a livello tematico che stilistico, con forme di aperta<br />

contaminazione (cfr. KAULEN 2008, in particolare 124-128).


268 Marco Castellari<br />

racconta dei suoi trattamenti di bellezza, per lo più terra incognita per le<br />

varie Helga scarsamente inclini a cerette, bagni nel lattemiele e puntate<br />

all’hammam, o delle sue esperienze sentimental-erotiche con il mondo<br />

degli Hans, il tutto avviene pur sempre nel contesto di una spiccata<br />

esagerazione, che ha funzioni parallele e molteplici. Sono rivendicazioni<br />

di una leggerezza e di una libertà negate sia da certo tradizionalismo,<br />

sia da molte rappresentazioni mediatiche della realtà turco-tedesca. Sono<br />

poi momenti eminentemente ludici, non di rado deformazioni satiriche di<br />

loci della cultura alta, e comunque sempre accompagnati da rifl essioni del<br />

tutto serie – si pensi al capitolo “La mia esperienza mistica”, l’ottavo, in<br />

cui è tracciato sia il composito legame personale, certo non ortodosso ma<br />

assolutamente profondo, con la religione dei padri, sia il personalissimo<br />

culto, saporitamente anti-intellettualistico, per le scarpe, in termini<br />

che paiono scimmiottare la religione dell’arte della cultura moderna<br />

secolarizzata. E sono, ancora una volta, luoghi di messa in discussione<br />

di attribuzioni sentite come costringenti e per converso opportunità<br />

di contro-rappresentazione di una realtà dalla salutare eterogeneità e<br />

ricchezza: si leggano, quale esempio della multiforme gamma di posizioni<br />

che il mondo femminile di retaggio islamico conosce, le considerazioni<br />

sul velo e sul signifi cato, più o meno religioso e/o estetico, che esso ha<br />

presso le varie esponenti della famiglia della narratrice.<br />

Particolarmente intensa si fa poi tale riconfi gurazione di una propria<br />

identità libera da pregiudizi (altrui e propri) negli ultimi due capitoli del<br />

volume: Però, parla bene tedesco!, anzitutto, che si apre sulla questione<br />

bruciante del rapporto fra discriminazione e (scarsa) padronanza della<br />

lingua e giunge a tematizzare, apice drammatico dell’intero volume, la<br />

violenza razzista tedesca che nel maggio 1993 uccise cinque donne turche<br />

a Solingen – questo evento a una manciata di chilometri dalla Duisburg in<br />

cui Akyün ha vissuto fi no alla maggiore età è qui descritto come una svolta<br />

nella sua percezione matura della xenofobia, che la porta in conclusione,<br />

senza alcuna contraddizione, a riaffermare che<br />

ci sono tante persone di origine turca che ora e in futuro vogliono vivere in<br />

Germania, non solo perché stanno meglio dal punto di vista economico o perché<br />

qui possono guadagnare più soldi che nei villaggi anatolici da cui i loro<br />

genitori sono partiti trenta, quarant’anni fa, ma perché qui si sentono a casa e la<br />

Germania è la loro patria. (233)


Radicamenti temporanei 269<br />

E il quattordicesimo, Una vita in due mondi, 9 dal quale si è citato ampiamente<br />

in apertura di queste considerazioni e che ripropone un’ultima<br />

volta, fra un sorriso e una stoccata, la medesima giustapposizione di<br />

small talk e di ponderate considerazioni sul proprio – precario, naturalmente<br />

– radicamento contemporaneo in due mondi, entrambi turcotedeschi,<br />

che con qualche sforzo si riesce anche a far comunicare. E<br />

ai tedeschi che le chiedono se ha intenzione di tornare prima o poi in<br />

Turchia, il rotolacampo Akyün, cittadina di Duisburg e del mondo, non<br />

può che rispondere, fra il divertito e l’irritato, “io no, e tu?” – sperando<br />

che Hans e Helga sappiano rinunciare a certa monolitica serietà e capiscano<br />

la battuta.<br />

9 Il titolo tedesco dell’ultimo capitolo, Deutsche Ayşe – Deutsche Eiche, propone<br />

un intraducibile gioco di parole, attribuendo il medesimo aggettivo “tedesco” a<br />

un tipico nome femminile turco e al termine tedesco, sostanzialmente omofono,<br />

Eiche (quercia), generico simbolo di genuina ‘tedeschità’.


BIBLIOGRAFIA<br />

ADELSON 2005<br />

Leslie A. Adelson: The Turkish Turn in Contemporary German Literature. Toward<br />

a New Critical Grammar of Migration. New York: Palgrave Macmillan.<br />

AKYÜN 2005<br />

Hatice Akyün: Einmal Hans mit scharfer Soße. München: Goldmann. (2007 2 )<br />

AKYÜN 2008<br />

Hatice Akyün: Ali zum Dessert. München: Goldmann. (2010 2 )<br />

ANGELE 2006<br />

Selam Almanya! Ja, sei gegrüßt Deutschland. Die Autorin Hatice Akyün über<br />

das Werben der türkischen Frauen, die Stadt Istanbul und einen mutigen Akt<br />

der Völkerverständigung. Intervista con Michael Angele. In: «Netzzeitung» 13<br />

dicembre 2006.<br />

ARNOLD 2006<br />

Literatur und Migration. [= “Text + Kritik“ Sonderband (2006) 9] Hrsg. von<br />

Heinz Ludwig Arnold. München: edition text + kritik.<br />

BECK-GERNSHEIM 2004<br />

Elisabeth Beck-Gernsheim: Wir und die Anderen. Vom Blick der Deutschen auf<br />

Migranten und Minderheiten. Frankfurt/M.: Suhrkamp.<br />

BOZZI 2007<br />

Paola Bozzi: Vilém Flusser. Dal soggetto al progetto: libertà e cultura dei media.<br />

Torino: UTET.<br />

CANTARUTTI & FILIPPI 2008<br />

La lingua salvata. Scritture tedesche dell’esilio e della migrazione. A cura di<br />

Giulia Cantarutti e Paola Maria Filippi. Rovereto: Osiride.


272 Hatice Akyün<br />

DÖRR 2008<br />

Volker C. Dörr: Deutschsprachige Migrantenliteratur. Von Gastarbeitern zu<br />

Kanakstas, von der Interkulturalität zur Hybridität. In: Literatur der Migration<br />

– Migration der Literatur. Hrsg. von Karin Hoff. Frankfurt/M.: Lang: 17-34.<br />

DÖRR 2009<br />

Volker C. Dörr: ‘Third Space’ vs ‘Diaspora’. Topologien transkultureller Literatur.<br />

In: SCHMITZ 2009: 59-76.<br />

ESSELBORN 2009<br />

Karl Esselborn: Neue Zugänge zur inter/transkulturellen deutschsprachigen Literatur.<br />

In: SCHMITZ 2009: 43-58.<br />

HEINRICH-BÖLL-STIFTUNG 2009<br />

Migrationsliteratur. Eine neue deutsche Literatur? DOSSIER. Herausgegeben<br />

von der Heinrich-Böll-Stiftung. Red. von Sibel Kara. http://www.migrationboell.de/web/integration/47_1990.asp<br />

KAULEN 2008<br />

Heinrich Kaulen: Jugendliche Lebenswelten im Spiegel der deutschsprachigen<br />

Popliteratur seit den 1990er Jahren. In: Literatur im 21. Jahrhundert. [= “Mitteilungen<br />

des Deutschen Germanistenverbandes” LV (2008) 2] Hrsg. von Ellen<br />

Schindler-Horst und Thomas Anz. Bielefeld: Aisthesis: 120-142.<br />

LEONARDI & THÜNE 2009<br />

I colori sotto la mia lingua. Scritture transculturali. A cura di Eva Maria Thüne<br />

e Simona Leonardi. Roma: Aracne.<br />

ÖZDAMAR 2007<br />

Emine Sevgi Özdamar: La lingua di mia madre. A cura di Lucia Perrone Capano.<br />

Traduzione di Silvia Palermo. Con testo originale a fronte. Bari: Palomar.<br />

(Ed. or.: Ead.: Mutterzunge. Berlin: Rotbuch 1990)<br />

SCHMITZ 2009<br />

Von der nationalen zur internationalen Literatur. Transkulturelle deutschsprachige<br />

Literatur und Kultur im Zeitalter globaler Migration. Hrsg. von Helmut<br />

Schmitz. Amsterdam; New York: Rodopi.<br />

SEIDL 2005<br />

Claudius Seidl: Eine Türkin wie wir. Die Journalistin Hatice Akyün feiert ein<br />

bißchen zu aufgekratzt die türkischen Differenzen. In: «Frankfurter Allgemeine<br />

Zeitung» 18 settembre 2005.<br />

YEŞILADA 2009<br />

Karin E. Yeşilada: ‘Nette Türkinnen von nebenan’ – Die neue deutsch-türkische<br />

Harmlosigkeit als literarischer Trend. In: SCHMITZ 2009: 117-142.


Bibliografi a 273<br />

SITOGRAFIA<br />

http://www.haticeakyuen.de<br />

(Ultima consultazione: 31.03.2010).<br />

Presenza web uffi ciale di Hatice Akyün, offre informazioni sui libri e gli articoli<br />

pubblicati, sulle tournées di lettura e sulla partecipazione dell’autrice a dibattiti<br />

pubblici, trasmissioni radio e tv e altre manifestazioni. Completano l’offerta<br />

della pagina una galleria di fotografi e, una breve biografi a ed echi di stampa, fra<br />

cui anche le recensioni suelencate.<br />

http://www.westropolis.de/akyuen/<br />

(Ultima consultazione: 31.03.2010).<br />

La piattaforma Westropolis (gruppo WAZ) ospita il blog dell’autrice, intitolato<br />

“Neulich in der Parallelwelt” (Ultimissime dal mondo parallelo), come il primo<br />

capitolo di Cercasi Hans in salsa piccante. Perlopiù nel breve tratteggio di una<br />

manciata di righe, Akyün prosegue di volta in volta il dialogo con i suoi lettori<br />

sui temi turco-tedeschi dei suoi fortunati libri, muovendosi con disinvoltura fra<br />

salace umorismo, provocazione intellettuale e amabile autocritica. La notevole<br />

risonanza del blog è testimoniata, oltre che dalla vivace partecipazione di utenti<br />

on-line, dalla nomination per il Grimme-Online-Preis 2009.


IL QUADRIFOGLIO TEDESCO<br />

Collana diretta da Karin Birge e Gilardoni-Büch e Marco Castellari<br />

LETTERATURA CONTEMPORANEA<br />

Grete WEIL Mia sorella Antigone. Romanzo (testo a fronte). A cura di Karin Birge<br />

Büch, Marco Castellari e Andrea Gilardoni (2007)<br />

Peter WEISS Inferno. Testo drammatico e materiali critici (testo a fronte). A cura<br />

di Marco Castellari (2008)<br />

Selma MEERBAUM-EISINGER Non ho avuto il tempo di fi nire. Poesie sopravvissute<br />

alla Shoah (testo a fronte). A cura di Adelmina Albini e Stefanie Golisch<br />

(2009)<br />

Anna SEGHERS I morti restano giovani (in uscita per il 2010)<br />

STORIA, CULTURA E SOCIETÀ<br />

Jana HENSEL Zonenkinder. I fi gli della Germania scomparsa (testo a fronte).<br />

A cura di Karin Birge Gilardoni-Büch (2009)<br />

Ulrich MÄHLERT La DDR. Una storia breve 1949-1989. A cura di Karin Birge<br />

Gilardoni-Büch e Andrea Gilardoni (2009)<br />

Walter KEMPOWSKI Lei lo sapeva? I tedeschi rispondono (testo a fronte). A cura di<br />

Marco Castellari, Andrea Gilardoni e Karin Birge Gilardoni-Büch (2010)<br />

Hatice AKYÜN Cercasi Hans in salsa piccante (testo a fronte). A cura di Adriano<br />

Murelli (2010)<br />

SAGGISTICA<br />

Tiziana GISLIMBERTI Mappe della memoria. L’ultima generazione tedescoorientale<br />

si racconta. Prefazione di Enrico De Angelis (20092 )<br />

Daniela NELVA Identità e memoria. Lo spazio autobiografi co nel periodo della<br />

riunifi cazione tedesca. Stefan Heym, Günter de Bruyn, Heiner Müller, Günter<br />

Kunert. Presentazione di Luigi Forte (2009)<br />

DAF – DIDATTICA DELLA LINGUA TEDESCA<br />

Marita KAISER Text-Produktion. Lehr-, Übungs- und Handbuch – A2-C2 (2007)<br />

Bettina KLEIN Dieci ricette per un tedesco al dente. Lehr- und Übungsbuch für<br />

italienische Deutschlerner der Mittelstufe – B1 (2008)<br />

Paola LEHMANN Schritt für Schritt in die deutsche Sprache. Ein Lehr- und<br />

Übungsbuch – A1-B1 (2009 3 )<br />

Marita KAISER (a cura di) Generation Handy. Wortreich sprachlos? // Generazione<br />

telefonino. Tante parole nessuna lingua? Interkulturelle und interdisziplinäre<br />

Tagung der Lektoren für Deutsch als Fremdsprache in Italien // Atti del convegno<br />

interculturale e interdisciplinare dei lettori di tedesco in Italia (2009)<br />

Sito della collana : http://users.unimi.it/dililefi /quadrifogliotedesco.htm

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