LA MAMMA DEL SOLE - Sardegna Cultura
LA MAMMA DEL SOLE - Sardegna Cultura LA MAMMA DEL SOLE - Sardegna Cultura
NATALINO PIRAS LA MAMMA DEL SOLE IL MAESTRALE
- Page 2: NARRATIVA 1
- Page 6: 4 5 A chi per dieci anni ha insegui
- Page 10: 8 Introitus L’ombra. Si condensav
- Page 14: Solinas quando era in buona lo chia
- Page 18: 16 Oratio Dopo la nebbia, la giorna
- Page 22: — ripeteva Aldo Florit a Solinas
- Page 26: annunciato la morte di Mario e Salv
- Page 30: 28 Sequentia Sine tuo numine, nihil
- Page 34: faccia stupita e attonita, la folla
- Page 38: mendicanti allineati lungo la scali
- Page 42: La zona dove abitava Ciriaco Partes
- Page 46: di fine anno, quando era morto di d
- Page 50: navano l’indomani o la sera stess
NATALINO PIRAS<br />
<strong>LA</strong> <strong>MAMMA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>SOLE</strong><br />
IL MAESTRALE
NARRATIVA<br />
1
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />
© EDIZIONI IL MAESTRALE 1995 NUORO<br />
ISBN 88-86109-08-3<br />
2<br />
NATALINO PIRAS<br />
La mamma del sole<br />
IL MAESTRALE<br />
3
4<br />
5<br />
A chi per dieci anni<br />
ha inseguito questa storia
6<br />
7<br />
E adesso non chiedetemi<br />
se sia giusto<br />
o iniquo<br />
raccontare vero e falso<br />
ripetere sonno e sogn.
8<br />
Introitus<br />
L’ombra. Si condensava a Chentomínes, all’inizio<br />
e alla fine delle strade che portavano a Ossidiana,<br />
i punti estremi della foresta di pietra, sopra<br />
Espiritu.<br />
Rivu Virde, il fiume verde, metteva in comunicazione<br />
l’alto e il basso, l’oscuro e l’invisibile, le<br />
pozze d’acqua sparse lungo la risalita e i fuochi accesi<br />
dalle janas nelle viscere del tempo. Tutto, il<br />
bene, il male, il senso del niente e dell’onnipotenza,<br />
veniva conservato dentro la foresta, i giorni di<br />
sempre e quelli straordinari. Per sapere bisognava<br />
però avere la forza e la capacità di risalire, leggere<br />
e decifrare i segni delle stanze, le profezie avveratesi<br />
oppure perdute, trame senza conclusione, custodite<br />
nella chiesa e nella biblioteca della foresta<br />
di pietra.<br />
9
A Ossidiana, l’origine e il rifluire del fiume e<br />
della foresta, uno avrebbe potuto interrogare le janas,<br />
per conoscere, finalmente. L’acqua agitata rifletteva<br />
le danze d’argia del cielo e della parte di<br />
terra che confinava con la biblioteca, la terra dei<br />
corti, dei lunghi, della mamma del sole e del bue<br />
erchitu.<br />
Le fate ballavano dentro la profondità delle cale<br />
e tessevano le stesse trame di solitudine che collegavano<br />
la loro natura impalpabile alle leggende<br />
dei morti.<br />
Allora si formava la nebbia che dopo essersi<br />
condensata nelle biforcazioni della foresta ridiscendeva<br />
ancora, fitta e impenetrabile, attraverso i<br />
capannoni in disarmo della fabbrica distrutta e<br />
lungo le curve di Surváres, dove soffia il vento, e<br />
più giù ancora al Chiaro Grande, nelle tanche di<br />
Calavrína, Bachis Grussu e sa Mossicrosa. In giorni<br />
di tempesta, il vento si trasformava nel mugghiare<br />
del bue erchitu, un fragore sovrapposto a<br />
quello delle acque invernali, le correntine della<br />
cussorgia che andavano a buttarsi nel tratto del fiume<br />
chiamato mannu: come segno di distinzione<br />
dagli altri corsi che pure innervavano la campagna<br />
di Chentomínes. D’estate seccava e bisognava<br />
aspettare la primavera successiva perché il Chiaro<br />
Grande si rianimasse, capace l’erba di nascere persino<br />
sulle guglie della fabbrica distrutta e di ricoprire<br />
i fossi della piana che comunicavano con gli<br />
occhi scuri della foresta di pietra, senza fondo,<br />
10<br />
inaccessibili. Dicevano che da quell’altro mistero<br />
fossero usciti, nel tempo senza tempo, i corti e i<br />
lunghi, tenutari d’ombre al servizio della mamma<br />
del sole e del bue erchitu, e avessero insegnato loro,<br />
alle fate, i giorni in cui dovevano ballare, disponendo<br />
la riga del dolore come il tronco e le<br />
zampe dell’argia.<br />
— Nebbia, solo nebbia — ghignava Solinas.<br />
Aldo Florit ci credeva invece. Era costretto.<br />
Nella strada di comunicazione tra le terre del<br />
Chiaro e la foresta, lui cercava Laura Valdes, dentro<br />
il paese fatto ad immagine e somiglianza della<br />
parte invisibile di Chentomínes, dove l’oscuranza<br />
si colorava di inquietudine e di impotenza.<br />
Quante storie aveva attraversato Florit senza riuscire<br />
ad imparare.<br />
Nelle parti visibili del fiume verde inseguiva<br />
Moby Dick e il guizzare nell’acqua del magnifico<br />
animale, scaglie dorate e altri colori fuggenti, gli<br />
davano il fremito.<br />
Aldo Florit doveva essere nato in età fredde,<br />
destinato a vivere e nutrirsi di giorni impossibili,<br />
ad abituarsi all’assurdo.<br />
Di questo era fatto il suo quotidiano, il ripetersi<br />
di vicende dove un altro, meno sognatore e più<br />
portato al calcolo, non avrebbe resistito. Si sarebbe<br />
ribellato perlomeno.<br />
Florit invece sopportava il tempo e di questa<br />
stoicità a vivere a rovescio faceva corazza.<br />
Non aveva l’aspetto di un guerriero anche se<br />
11
Solinas quando era in buona lo chiamava ambasciator<br />
pellita: a sottolineare la stranezza del tratto<br />
fisico, scuro di faccia e occhi infossati, e insieme<br />
il fluire della parola che succedeva a lunghi periodi<br />
di silenzio, quasi di mutria.<br />
Faceva allora discorsi strambi.<br />
— Nebbia, solo nebbia — ripeteva Solinas,<br />
mai convinto, e Aldo si sentiva perduto. Solinas,<br />
insegnante di lettere alle scuole medie e cronista<br />
per un quotidiano di Cagliari, aveva sempre la<br />
battuta pronta a ferire, adatta a tagliare la pietra in<br />
tasca, a troncare quell’abitudine a sognare che<br />
nella vita di Florit, disoccupato intellettuale si definiva,<br />
era diventata metodo.<br />
Il cinico Solinas, sempre scontento, capace di<br />
creare tragedie per un nonnulla, di cacciare per un<br />
inezia sé stesso e chi gli stava vicino in un ginepraio,<br />
non capiva il disagio del cinefilo Aldo. Cinofilo,<br />
precisava il cronista, quando Florit si entusiasmava<br />
per questo o quel film e gli piaceva sentire<br />
la propria voce che scandiva magari “the lolly<br />
madonna uòr” o “gli uomini dal passo pesante”.<br />
Anche per questo Solinas irrideva.<br />
— Non è cosa per te il cinema. Non ci capisci<br />
niente. È come quando Chircantoni e Luzianu<br />
fanno derivare sa cozzichina, le radici secche, dalla<br />
Concincina.<br />
Gli altri, i sognatori del Goya y Lucientes, facevano<br />
branco e con il loro approvare la ferocia,<br />
ferivano ancor più Aldo che d’altro canto, per po-<br />
12<br />
ter continuare a sopravvivere, non poteva fare a<br />
meno di quel tipo di amicizie e di frequentazioni.<br />
Gli sfasati del Goya, tutti rossi e spalle a Dio,<br />
credevano anch’essi a Moby Dick, anche se non<br />
con la stessa intensità di Florit.<br />
Quel che li rodeva era non riuscire a possedere<br />
del tutto l’ingenuità dell’altro, il fatto che Aldo<br />
Florit, quel coglione che non sa neppure camminare,<br />
fosse l’uomo, l’amante di Laura Valdes, magnifica<br />
dea.<br />
Li rodeva che Florit non parlasse mai con loro<br />
di questo amore. Nessuno era mai riuscito a vederlo<br />
insieme a Laura Valdes, almeno una volta.<br />
Correva sì la fama di questo legame e nel circolo<br />
dei sognatori, presente o no Aldo, le battute<br />
si succedevano alle saettate, ma tutto cadeva nel<br />
vuoto.<br />
Parole che non attaccavano né ai muri né alle<br />
porte e che ritornavano a chi le aveva emanate ancor<br />
più cariche di dubbio e di interrogativi. Come<br />
le ombre del cinema dopo la proiezione al circolo<br />
Zigarru.<br />
Ogni giorno dicevano di un nuovo amante per<br />
la figlia di Pretu Zudeu longu, pastore dai tratti ferini<br />
e degno genitore, talis pater, di Luisi e dei gemelli,<br />
che appartenevano anima e corpo alla campagna<br />
e ai suoi codici, alla foresta di pietra abitata<br />
dai corti e dai lunghi.<br />
A volte affascinava, Aldo, con queste sue comparazioni<br />
tra il vero e l’immaginario: l’effet de ré-<br />
13
el o la metafisica del reale, diceva a secondo dell’ispirazione<br />
o del grado di cottura da vino e altri<br />
alcolici. Beveva molto Aldo. Come tutto il resto<br />
del Goya d’altronde, a parte Solinas che non si<br />
ubriacava mai. Non ne aveva bisogno anche perché<br />
non esistevano per lui amori da coltivare,<br />
brutto da sembrare il peccato.<br />
Aldo sì, invece, che pur vivendo al rovescio<br />
cercava di dargli un senso, di ricavarci una storia.<br />
Comprendeva che le janas stavano rompendo<br />
le acque e risalivano verso il cristallo dei giorni.<br />
Era come se lo avessero fatto tornare bambino,<br />
legato alla croce dei viandanti, nel confine tra sa<br />
Mossicrosa e Lassanis. I nemici di Porzu Uscra lo<br />
avevano fatto prigioniero e dopo la danza come<br />
gli indiani del cinema, sollevando in alto archi di<br />
sambuco verde, gli avevano scagliato addosso<br />
frecce di raggi d’ombrello, piagandolo come il<br />
san Sebastiano chiuso nella teca davanti alla casa<br />
di Gianuario Arca.<br />
Si era sentito perduto, Aldo Florit, nelle orecchie<br />
il muggire del bue erchitu, fino a che non era<br />
arrivato Pietro Valdes a salvarlo.<br />
Quegli occhi verdi, di sacerdote e di indovino,<br />
che lo fissavano irridenti, pesanti e malvagi, mentre<br />
le mani lo scioglievano dalla croce, se li era<br />
portati sempre dentro, le grida dei nemici messi in<br />
fuga dall’apparire di zio Pietro.<br />
“Bella cosa che uno di Mole Tricu sia angariato<br />
dai remitanos di Porzu Uscra. Qui a sa Mossi-<br />
14<br />
crosa, poi. Guai a te sai se ti lasci nuovamente catturare!”<br />
Rideva Pietro Valdes, un riso tagliente.<br />
Era maggio allora, lo stesso giorno di Pentecoste,<br />
pasqua dei fiori che cadeva a fine mese, lo<br />
stesso tempo.<br />
Lungo il confine tra Lassanis e sa Mossicrosa,<br />
la nebbia penetrava nelle fenditure dei muri a secco,<br />
pietre di un tortuoso serpente che si perdeva<br />
nel verde, e poi, oltre le guglie, negli occhi senza<br />
fondo dei corti e dei lunghi. Mario e Salvatore<br />
Valdes, i gemelli, premevano le bocche sugli asfodeli<br />
non ancora secchi e avevano le braccia allargate<br />
a croce.<br />
Indossavano vesti di campagna, le stesse che<br />
avrebbero portato addosso per sempre, adesso che<br />
anche per loro avevano fatto posto nella foresta di<br />
pietra.<br />
15
16<br />
Oratio<br />
Dopo la nebbia, la giornata si era fatta chiara,<br />
un cielo azzurro terso.<br />
Espiritu era percorso da tremori di freddo residuo<br />
che scuotevano il torpore dell’alba, dopo la<br />
notte d’alcool del sabato. Aldo Florit aveva la testa<br />
annebbiata di vino e di tabacco e non gli dava<br />
fastidio lo scaracchiare fastidioso di Solinas, metodico<br />
quanto il girare lungo la piazza di Chircantoni<br />
e Luzianu.<br />
Bagliori strani e raggi di sole illuminavano le<br />
vetrate delle case, una luce irreale. I muri, interrotti<br />
da spaccature di vicoli, costruivano un gioco<br />
di toni e semitoni, oscuranze che contrastavano la<br />
luce e il silenzio. L’aria si faceva verde, rarefatta,<br />
adattabile come visione alle idee di Florit che pensava<br />
ancora, quella mattina di Pentecoste, di esse-<br />
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e come Lancelot du lac che ritorna sconfitto dalla<br />
cerca del Graal. Indegno del calice e di Laura Valdes.<br />
Il Graal, ne era sicuro, lo custodivano sas janas<br />
dentro la foresta di pietra.<br />
— Ha aperto Varigotti, — fece Solinas — un<br />
caffè è quello che ci vuole dopo le prime pagine<br />
dei giornali. Veleno con veleno non fanno male. E<br />
tu che vuoi diventare impiegato della menzogna,<br />
raccoglitore di tutta la bumbula che ogni notte<br />
convoglia verso Cagliari o sale a Sassari. Piuttosto,<br />
soldi ne hai per invitare o te li sei bagassati<br />
tutti con le elette schiere del popolo di Chentomínes,<br />
che muore se non beve?<br />
I bar erano ormai tutti aperti, pronti a contenere<br />
nuove folle.<br />
Alle undici, dopo l’uscita dalla messa maggiore,<br />
molti si sarebbero riversati dentro i templi disposti<br />
in fila lungo la strada principale.<br />
Aldo Florit e Solinas erano seduti fuori, da Varigotti.<br />
Nell’attesa si erano messi a osservare<br />
Chircantoni e Luzianu che giravano lungo la piazza,<br />
Chircantoni e Luzianu, due peripatetici senza<br />
scuola.<br />
La folla iniziava ad annegare nei campari, nel<br />
vermentino, nella mezza birra, nei baby e nei cento,<br />
fondi di bicchiere di cognac stravecchio, solo<br />
cento lire per chi non poteva spendere di più o per<br />
chi magari la sbronza doveva prenderla piano piano,<br />
non tutta in una volta.<br />
Invenzioni di Nigas Ozzas, Giampiero Cam-<br />
18<br />
pus, dalla faccia violacea degradante al nero. Il<br />
paese era convinto che Nigas Ozzas avesse ubriacato<br />
con i cento persino l’aquila, prima di farla imbalsamare,<br />
il gigantesco uccello che troneggiava<br />
dentro una bacheca del suo bar con le ali fissate<br />
nell’atto di lanciarsi a ghermire la preda. Volava<br />
sopra Chentomínes e un solitario l’aveva uccisa<br />
aggiungendo peso al grano vecchio della mamma<br />
del sole. La ferocia dell’aquila era stata fissata per<br />
sempre nel vetro, simbolo insostituibile del club<br />
privato, come diceva Chircantoni, sedicente ricco.<br />
Chircantoni era della gente buona, i Ruinas, famoso<br />
più per la fame che non riusciva mai a calmare<br />
che per il lavoro fatto in vita sua. A sessant’anni<br />
suonati, il soprannome che gli era stato appioppato<br />
da giovane, Chene Unnu, senza fondo, gli si addiceva<br />
alla perfezione. L’altro, Luzianu, di sangue<br />
meno nobile, aveva campato come ombra della<br />
gente ricca, sempre dietro ai signori che giravano<br />
intorno alla piazza nei giorni di festa e anche in<br />
quelli di lavoro. Le bevute domenicali e feriali accomunavano<br />
però, indistintamente, figli di segnos<br />
e di ziu, e tutti ridevano del filosofare di Chircantoni<br />
Ruinas e di Luzianu Ogaresu che diceva sempre,<br />
a seconda delle alleanze che si creavano e si<br />
sfaldavano lungo i giri della piazza: “ha ragione<br />
Donmà”, “ha ragione Maureddu”, oppure, ma raramente,<br />
“ha ragione Chene Unnu, signor Senza”.<br />
Era davvero il tempo dei corti e dei lunghi.<br />
— Un modo di essere degni non lo troviamo<br />
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— ripeteva Aldo Florit a Solinas che continuava a<br />
beffare il poetare a vuoto dell’amico.<br />
— Sei come Chircantoni tu, o come Luzianu?<br />
Aldo si sentiva ferito ma non gli uscivano le<br />
parole per rispondere. Era un soffrire normale il<br />
suo, quello di sempre, dei giorni smagati, adesso<br />
che gli effetti dell’alcool iniziavano a svanire. Vide<br />
Chircantoni e Luzianu. Senza appiglio.<br />
Chircantoni aveva vissuto per quel camminare<br />
metodico intorno alla piazza, continuando ad ingannare<br />
il tempo, incapace di trovarsi una donna,<br />
buono solo a contare le ore. Luzianu altro non era<br />
che ombra, l’ombra del niente.<br />
Si era avvicinato Varigotti.<br />
— Oste, — si ravvivò Aldo — portaci da bere.<br />
Cognac per me e pompelmo per Solinas. —Varigotti<br />
restò serio.<br />
— Non sapete niente — disse. — B’amus pezza,<br />
abbiamo carne. Si sono giocati i gemelli, Mario<br />
e Salvatore Valdes, a sa Mossicrosa.<br />
Florit fu attonito. Mario e Salvatore Valdes<br />
erano stati suoi compagni, nel tempo lungo dell’infanzia,<br />
quando la paura dei corti e dei lunghi<br />
riuscivano a farla svanire, l’ingenuità. Le parole<br />
gli si fermarono nuovamente.<br />
— Si sapeva — disse freddo Solinas, quasi cinico,<br />
mentre si alzava. — C’era da aspettarselo.<br />
Varigotti era restato con le enormi mani sui<br />
fianchi, la giacca bianca buttata alla pastorina sopra<br />
le spalle.<br />
20<br />
— Dai — fece Solinas ad Aldo. — Andiamo a<br />
sa Mossicrosa.<br />
Aldo non si decideva ancora. Si sentiva legato<br />
alla croce dei viandanti.<br />
Vedeva la gente che continuava ad ammassarsi<br />
nei bar e poi il mucchio si scomponeva e ognuno<br />
ritornava individuo, solo, solitudine. Erano ritornati<br />
i corti e i lunghi.<br />
Stava calando l’ombra, si avvertiva, anche se<br />
in fondo, dando ragione a Solinas, era una cosa,<br />
l’ombra, connaturata ad Espiritu.<br />
Da bambini, Mario e Salvatore avevano gli occhi<br />
di un verde intenso, ferino, come quelli di<br />
Laura.<br />
Nel tempo fermo che seguì il tumulto, Aldo<br />
costruiva di lei un volto freddo e senza lacrime.<br />
La donna amata era inerte, impregnata dello<br />
stesso senso di morte che rendeva impossibile tutto<br />
ad Espiritu, altro principio, fine e nuovo inizio.<br />
21
22<br />
Collecta<br />
Se li erano giocati i figli di Pietro Valdes. Se li<br />
era bevuti un destino di morte.<br />
La notizia, portata da chi sa chi, era entrata<br />
gradualmente ad Espiritu e poi diffusa e creduta<br />
quasi per inerzia e infine riconosciuta in tutta la<br />
sua assurdità.<br />
Un tempo che bisognava decifrare a sa Mossicrosa.<br />
Si era finalmente deciso, Aldo Florit, anche se<br />
gli sembrava di seguire Solinas più come un ebete<br />
che non come persona a posto con tutti i sentimenti.<br />
La macchina sobbalzava sulla strada male<br />
asfaltata e il mondo era ritornato strano, rovesciato.<br />
In un momento di tregua, per contrastare la<br />
voglia di vomito, Aldo pensò che Varigotti aveva<br />
23
annunciato la morte di Mario e Salvatore Valdes<br />
quando la voce rimbombava già sulle vetrate di<br />
tutti i bar del corso, rimbalzava di rione in rione e<br />
si trasformava in lamento trasversale di commiserazione<br />
e di stupore. Nodi di parole risalivano<br />
ansimanti lungo i vicoli, con la paura di non arrivare<br />
in tempo a comunicare un fatto straordinario,<br />
un qualcosa che tutti già sapevano.<br />
Poi, rumori di voci si sarebbero confusi con il<br />
ronzare delle cineprese, con i clic delle macchine<br />
fotografiche e con il cicalare della folla che premeva<br />
sul cordone dei carabinieri per poter vedere<br />
da vicino i due uccisi.<br />
Da molto tempo non succedeva un fatto simile.<br />
L’ultimo morto ammazzato di faida risaliva a<br />
più di vent’anni prima e adesso la domenica di pasqua<br />
dei fiori, c’era carne, nuovamente. Se li erano<br />
giocati i gemelli, se li era bevuti un destino di<br />
morte.<br />
Chircantoni e Luzianu invertivano il senso del<br />
loro girare intorno alla piazza, un andare caricaturale,<br />
come quando la pellicola viene mandata indietro<br />
nel proiettore. A passo normale, pesante come<br />
quello della cinquecento di Solinas.<br />
A Contone ‘e neula finiva l’asfalto e iniziava<br />
la strada di penetrazione agraria, buche, sassi, un<br />
percorso di guerra popolato quel giorno da un via<br />
vai ininterrotto di macchine. Il paese intero era<br />
stato messo in movimento, come tanti anni prima,<br />
in un tempo che Aldo non aveva vissuto, quando<br />
24<br />
suo padre Sebastiano doveva avere meno di dieci<br />
anni. Fu allora che ziu Raffaelle aveva incontrato<br />
il famoso bandito Mazzone. Nella cucina di Mole<br />
Tricu, ziu Raffaelle sedeva sempre nello stesso<br />
punto, gli occhi azzurri stralunati, i denti gialli e la<br />
barba bianca.<br />
“Chi sei? cosa stai facendo?” chiese ziu Raffaelle<br />
a Mazzone.<br />
Senza rispondere, l’altro gli aveva mostrato il<br />
moschetto. Ma ziu Raffaelle aveva insistito. Voleva<br />
arrivare all’acqua viva.<br />
“Chi sei? cosa stai facendo?”<br />
“Tira dritto e non ripassare qui prima di sera”,<br />
gli aveva intimato l’uomo.<br />
Al tramonto, quando ziu Raffaelle stava ritornando<br />
ad Espiritu, c’era molta gente a Contone ‘e<br />
neula.<br />
“Abbiamo carne” continuavano a ripetere.<br />
“Mazzone ha ucciso.”<br />
Ziu Raffaelle era un vecchio con gli occhi<br />
chiari, aperti a tutto campo, quasi stralunati sul<br />
vuoto.<br />
Faceva all’infinito la stessa domanda, indossava<br />
il costume nero di orbace e aveva le uose sopra<br />
gli scarponi.<br />
Nella cucina di Mole Tricu era una mezza figura<br />
seduta su uno sgabello di legno, leggermente<br />
piegato sopra il bastone tenuto per la curva dell’impugnatura,<br />
le mani una sopra l’altra. Diceva<br />
sempre di quell’incontro.<br />
25
Mazzone era diventato bandito per niente, come<br />
molti altri del resto, e adesso si ritrovava ad essere<br />
considerato il terrore di tutta l’isola, con più<br />
di venti pelli sopra le spalle. Venti uccisi e passa<br />
che non dovevano pesargli più di tanto, dato che<br />
quei morti erano tutta gente dei Ruinas, parenti e<br />
amici e sicari.<br />
Mazzone era uno che non aveva scampo ma<br />
rispettava le regole di chi era fuori dalla sua<br />
guerra e voleva che anche gli altri rispettassero le<br />
sue. Per questo aveva fatto passare ziu Raffaelle<br />
dopo averlo avvertito. O forse sapeva dell’ingenuità<br />
di Raffaelle Florit, della sua incapacità a far<br />
del male.<br />
La storia di Mazzone si perdeva nella nebbia<br />
che per quasi tutto l’anno si infiltrava tra i sassi del<br />
sentiero, a Contone ’e neula, pietra cantonale di<br />
nebbia, il luogo perenne del doversi nascondere.<br />
Il paese le aveva scolpite nella mente e incatenate<br />
nel cuore, quelle ombre che nascondevano<br />
altre linee incorporee.<br />
Le coltivava come memoria e come sentimento<br />
e quando gli capitava di raccontare a sé stesso<br />
le gesta degli elementi che uscivano dal branco,<br />
ne ingigantiva a dismisura i contorni.<br />
Per continuare a fuggire, per paura di affrontare<br />
le infinite moltiplicazioni della sua anima inquinata<br />
dalla fabbrica, uno specchio di storie che<br />
si perdevano nella notte barbara dei cacciatori e si<br />
riflettevano anche nell’iniquo oggi di Solinas e<br />
26<br />
Aldo Florit, che attraversavano pietre e nebbie per<br />
andare a vedere due loro coetanei uccisi.<br />
27
28<br />
Sequentia<br />
Sine tuo numine, nihil est in homine, nihil est<br />
innoxium.<br />
Aldo ripeteva a sé stesso l’invocazione allo<br />
Spirito Santo.<br />
Gli venne in mente la solennità del Santuario.<br />
Lui cantava e non si accorse che erano scomparsi i<br />
bianchi e le navate. Adesso tutto era una verde<br />
campagna ma la pasqua dei fiori non poteva lavare<br />
il sordido e dare nuova linfa alla terra, arida sotto<br />
il verde, secca come il cuore di gente diventata<br />
troppo ricca e troppo in fretta. La foresta avanzava,<br />
veniva il tempo dei corti e dei lunghi.<br />
Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum,<br />
rege quod est devium.<br />
Ziu Raffaelle lontano. L’erba cresceva alta vicino<br />
ai muri, quelli della casa di campagna dei<br />
29
Valdes. Lo chiamavano il progetto, capannoni<br />
nuovi tinti di bianco e con le tegole rosse, tirati su<br />
con contributi regionali, a fondo perduto. A fianco<br />
del progetto, avevano costruito una casetta bassa,<br />
dove in mezzo a selle, basti e secchie per il latte,<br />
c’erano, buttati alla rinfusa, altri arnesi, imbarrazzos,<br />
robevecchie usate un tempo con più frequenza,<br />
prima dell’avvento del trattore e della jeep.<br />
Sa mandra, una striscia di terra battuta, recintata<br />
da rovi secchi e da siepe fitta, luogo deputato<br />
per il raduno delle pecore, era ad un cento metri di<br />
distanza dalla casa, proprio di fronte alla porcilaia,<br />
un grande quadrato bislacco di blocchetti in cemento,<br />
ricoperto con fogli di lamiera e sopra altra<br />
siepe per proteggere le bestie dal metallo che di<br />
giorno arroventava. Oltre l’ultimo muro c’era la<br />
fabbrica distrutta.<br />
I gemelli erano stesi con la faccia a terra, quasi<br />
all’ingresso dell’ovile.<br />
La gente intanto continuava ad affluire per vedere<br />
di persona, per rendersi conto, anche se il capitano<br />
Odoacre Vittore aveva dato ordini precisi:<br />
nessuno doveva avvicinarsi ai cadaveri.<br />
Un carabiniere in borghese scattava fotografie<br />
mentre un altro tracciava con del gesso intorno alle<br />
sagome.<br />
Vittore aveva chiesto ai fotografi e ai cineoperatori<br />
di allontanarsi, di stare alla larga.<br />
Solo Antonio Partes, Stefano Tola e Giovanni<br />
Arca, tutti amici dei Valdes, erano nel recinto, per<br />
30<br />
mungere le pecore: non le potevano lasciare con<br />
le mammelle gonfie di latte.<br />
Un’altro trambusto, proveniente questa volta<br />
dal vicolo incassato nella terra rossa, annunciò<br />
l’arrivo del magistrato e la piccola folla aveva già<br />
fatto largo a una macchina della giustizia che<br />
avanzava verso lo spiazzo.<br />
Aldo e Solinas approfittarono allora di quella<br />
confusione per aggirare il cordone sanitario e si<br />
avvicinarono per vedere da vicino. I cadaveri avevano<br />
la testa completamente mangiata dalla fucilata,<br />
un enorme grumo di sangue rappreso.<br />
Lo scatto della macchina fotografica di Solinas<br />
fu immediato quanto la violenta reazione del<br />
capitano Vittore.<br />
Con la maestria di un consumato fotoreporter,<br />
Solinas si era avvicinato ai gemelli tirando fuori la<br />
macchina da dentro la borsa che teneva a tracolla<br />
e premendo contemporaneamente sullo scatto.<br />
Ma il capitano dei carabinieri era stato altrettanto<br />
svelto a strappargliela di mano e ad aprirla<br />
per far prendere luce al rullino.<br />
— Che cazzo fai? Chi sei? Brutto coglione!<br />
Chi ti ha fatto avvicinare?<br />
— Tu, tu! — urlava Vittore ancora più imbestialito<br />
contro un appuntato che era restato a bocca<br />
aperta nel vedere la scena — Tu, tu! Pisello fresco<br />
o chi cazzo sei, vieni qui, buttali fuori!<br />
A spintoni, Aldo e Solinas erano stati allontanati<br />
e ricacciati tra la folla che li aveva accolti con<br />
31
faccia stupita e attonita, la folla che ora aveva<br />
troncato i commenti sull’incidente per fare posto<br />
ad un brusio sommesso. Da una macchina era sceso<br />
il magistrato e la gente ammucchiò parole.<br />
Espiritu attendeva di sapere anche se già sapeva.<br />
C’erano mille supposizioni, una per ogni componente,<br />
e un numero ancor più grande di verità.<br />
— Li hanno trovati questa mattina, mentre albeggiava.<br />
— E chi?<br />
— Antonio Partes. È andato a vedere perché i<br />
figli di Pietro Valdes non erano ancora rientrati in<br />
paese.<br />
— Ma da quanto mancavano?<br />
— Da venerdì sera.<br />
— Allora li hanno uccisi la notte tra venerdì e<br />
sabato.<br />
— Forse sabato mattina.<br />
— Insomma siamo ritornati in ballo.<br />
— A tre cerchi.<br />
— E certo per ucciderli sono venuti da Londra.<br />
— O da Parigi o da Nuova York.<br />
— Vai e cerca.<br />
— Comunque si sentiva nell’aria.<br />
— Che cosa?<br />
— Guarda il capitano.<br />
— Ma che cosa si tastava secondo te?<br />
— Troppe fucilate, troppa polvere da sparo<br />
sprecata per niente e non solo la notte di Natale o<br />
di Pasqua o per mandare via l’anno vecchio.<br />
32<br />
— I fuochi artificiali sembravano. E le greggi<br />
intere sgozzate a ferro freddo dove le metti? E le<br />
vacche sgarrettate?<br />
— Di certo sono venuti da Berlino Est. Però<br />
anche loro, i morti voglio dire.<br />
— Ma chi se lo immaginava.<br />
— Chi cerca prima o poi trova. Le cose bisogna<br />
lasciarle stare al loro posto, dove si trovano.<br />
— Bel colpo però, due in una volta!<br />
— Guarda mi; sta arrivando il giudice.<br />
— A fare cosa poi? Non riuscirà mai a venirne<br />
a capo.<br />
— Lo dici tu.<br />
— Forse per gli altri, per le altre morti, sono<br />
riusciti, dico: la giustizia è riuscita a sapere da che<br />
parte poteva essere arrivata la fucilata?<br />
— Era un’altra cosa. Erano tempi diversi, più<br />
di venti anni fa.<br />
— A me sembra che il tempo non sia molto<br />
cambiato da allora.<br />
— Ma chi è questo giudice?<br />
— Il sostituto procuratore della Repubblica.<br />
— Ne sai di cose tu. Ma come si chiama, lo sai?<br />
— Deve essere nuovo, deve essere arrivato da<br />
poco.<br />
Eugenio Ginevrin, sostituto procuratore della<br />
Repubblica, era uscito fuori dalla macchina seguito<br />
da due carabinieri in borghese e dal cancelliere,<br />
lo stesso che per due volte la settimana veniva<br />
nella pretura di Espiritu a disbrigare le prati-<br />
33
che. Odoacre Vittore si era fatto incontro al nuovo<br />
gruppo e si notava il contrasto tra il muoversi<br />
secco e rigido del capitano ed il fare lento e misurato<br />
del giudice, un uomo alto, sui cinquant’anni,<br />
con gli occhiali dalle lenti oscurate.<br />
Indossava un completo azzurro e Aldo, da buon<br />
cinefilo, lo rassomigliava al giudice, il piccolo<br />
giudice di Z, il film di Costa-Gavras.<br />
Eugenio Ginevrin sembrava indifferente alle<br />
fissità e ai rumori, al respiro adesso troncato della<br />
folla immobile, mentre attorno agli uccisi altri attori<br />
stavano per finire di compiere il loro rito di<br />
giustizia, le stesse identiche formalità seguite ogni<br />
volta che qualcuno veniva trovato ammazzato. La<br />
mamma del sole passava a sa Mossicrosa.<br />
I cadaveri li avevano ricoperti con un telo grigio,<br />
in attesa che il magistrato ne ordinasse la rimozione.<br />
Solinas metteva fretta ad Aldo che invece voleva<br />
restare: per osservare, per intuire, perdersi magari<br />
nella nebbia dei paragoni. La distanza tra la<br />
folla e lo spiazzo dove si muovevano i carabinieri<br />
ed il magistrato doveva essere come quella degli<br />
spettatori che dalla platea assistevano a un film nel<br />
salone parrocchiale, ai tempi di tiu Lenaldu e di<br />
Raios, i venditori di vento che arrivavano al Santuario<br />
per la festa grande.<br />
Ma in fondo, Raios, tiu Lenaldu e tutti gli altri<br />
imbroglioni morti di fame divertivano.<br />
34<br />
Questi qui invece, il giudice e la giustizia, erano<br />
ancora forestieri da temere, capaci di dare fastidio<br />
ad uno e a molti, perché anche allora in paese<br />
era meglio non averci a che fare con la giustizia.<br />
E io sono qui, Signore, pervaso dal tedio penetrato<br />
nella tua casa.<br />
Surbiles, mosche vampire, i corti e i lunghi,<br />
erano sfuggiti ai telai delle janas che continuavano<br />
a danzare e a tessere. Tessevano la morte per i morti<br />
e a chi restava, i vivi, davano in pegno l’impossibilità<br />
a capirla. Aldo era nel pieno della notte.<br />
— Si riprese la fiera — mormorò, recitò quasi<br />
— e da allora essa aspetta che l’uomo torni indietro.<br />
Nessuna eco gli restava ma solo parole che non<br />
servivano. Le parole rimandavano l’attesa, fosse<br />
questa di giorni di luce a venire o, più propinquamente,<br />
un giorno d’ira tremenda.<br />
Ad Espiritu niente poteva essere imprevisto ed<br />
inatteso e il tempo buono era sempre premonitore<br />
dell’altro tempo, quello da tutti temuto eppure<br />
aspettato.<br />
L’ultimo morto ammazzato in campagna risaliva<br />
a quando Aldo Florit era ancora all’asilo e alla<br />
festa del Santuario arrivavano Raios e tiu Lenaldu.<br />
La novena diventava l’avvenimento più atteso, un<br />
pezzo di sogno in una terra dove chi si metteva a<br />
sognare era pazzo e fuori di senno.<br />
Raios e tiu Lenaldu facevano da personaggi<br />
rappresentativi. Non erano come tutti gli altri<br />
35
mendicanti allineati lungo la scalinata del Santuario,<br />
una teoria di mani tese e di bocche imploranti,<br />
questuanti, storpi, ciechi, monchi e del tutto<br />
sani in corpo ma troppo miseri per poter vivere<br />
di un lavoro, tutta gente che compensava con immaginette<br />
di santi la carità dei paesani e dei numerosi<br />
forestieri.<br />
“Abbiate carità e compassione buona gente”<br />
ripetevano.<br />
Erano il termine ultimo di paragone, il gradino<br />
più basso della sfortuna.<br />
Raios e tiu Lenaldu invece non chiedevano<br />
l’elemosina.<br />
La gente li chiamava lotraios, imbroglioni,<br />
perché i loro attrezzi, i loro strumenti di lavoro,<br />
erano carte ed altri trucchi, adattati naturalmente a<br />
facce lunghe ed affilate, da morti di fame, e al corpo<br />
magro e ossuto, come si conviene a dei girovaghi<br />
che nel quotidiano devono mettere in conto la<br />
fuga e l’attraversare luoghi impossibili. Tante foreste<br />
di pietra.<br />
Tiu Lenaldu con la giramantigioga, si metteva<br />
sempre all’entrata del campo sportivo, nel cancello<br />
dove facevano la pesa degli animali e dove<br />
adesso c’era la stele del dio Bacco.<br />
“Vuoi giocare?”<br />
“No!”<br />
“Dai, bastano dieci lire!”<br />
“Gioco io e ne punto cento!”<br />
“Devi essere ricco tu! Figlio di chi sei?”<br />
36<br />
“Di Pietro Valdes, Zudeu longu.”<br />
“E questa bella bambina?”<br />
“È mia sorella Laura, guai se la tocchi.”<br />
“Dai, gioca, che se vinci ti compri un’arma per<br />
sparare.”<br />
Ai tempi di tiu Lenaldu, sas cumbessias, le<br />
stanzette per i novenanti disposte nel cortile del<br />
Santuario, erano affollate, nei giorni di festa, da<br />
corpi piagati e pieni di speranza insieme.<br />
Raios sbucava all’improvviso, una magìa il<br />
suo stesso apparire.<br />
Raios era il nome d’arte. Faceva da fine dicitore<br />
e prestigiatore allo stesso tempo.<br />
Raios e cioè fulmini, nome che forse gli avevano<br />
attribuito per le sue arti o forse si era dato lui<br />
stesso, nome d’arte che cambiava a seconda di dove<br />
andasse o si trovasse ad esercitare.<br />
In quel periodo, durante la festa, c’era stata in<br />
paese quasi una guerra di religione per riconoscergli<br />
l’autorità che emanava, quando nel salone parrocchiale<br />
aveva chiamato dal pubblico uno a caso<br />
e sul palco lo aveva ipnotizzato e gli aveva fatto dire<br />
cose che non doveva e poi, quasi quasi lo aveva<br />
sollevato da terra con la sola forza del pensiero.<br />
La gente si era divisa, e stranamente i palas a<br />
Deus, gli spalle a Dio, i non credenti, avevano preso<br />
le difese della religione. Non si poteva profanare<br />
in questa maniera la festa, con un imbroglione.<br />
Per fortuna di Raios ci avevano pensato le purissime<br />
e le dame dell’Azione Cattolica a salvare<br />
37
l’onore del paese e la fondatezza scientifica degli<br />
esperimenti.<br />
Nel terzo giorno, l’ultimo utile, la voce aveva<br />
iniziato a spargersi dal mattino presto.<br />
“Questa sera bisogna che veniate tutti a vedere<br />
di che cosa è capace Raios.”<br />
“Ma se sono tutti imbrogli!”<br />
“Lo dici tu! Gianuario Arca afferma che non si<br />
tratta di uno scherzo.”<br />
Gianuario Arca, allora studente in medicina,<br />
era il massimo della credibilità scientifica che il<br />
Comitato fosse riuscito a recuperare.<br />
La sera dell’esperimento era in prima fila ad<br />
applaudire Raios ormai osannato da laici e bigotti.<br />
Dall’alto, in platea, don Cecilio e la sorella<br />
Raimonda, appoggiati al parapetto di compensato,<br />
registravano quel successo con faccia contenta,<br />
mentre fuori la giostra volante di Murgué aveva<br />
smesso di girare.<br />
In uno degli angoli meno illuminati del campo<br />
sportivo, Pietrino Mura di Nuoro e Pasquale<br />
Castelli di Turtures si erano improvvisati poeti a<br />
tema libero, magnificando uno le arti amatorie<br />
della moglie e sognando l’altro, accanito fumatore<br />
di toscani, un sigaro enorme portato da un motocarro.<br />
La morte di Isteddu Curzu, Stella Corta lo apostrofavano,<br />
aveva cancellato il tempo di Raios e di<br />
tiu Lenaldu.<br />
38<br />
A sa Mossicrosa i morti li avevano caricati sopra<br />
il camion ed erano passati per l’ultima volta<br />
nel viottolo incassato che portava ad Espiritu, fendendo<br />
con lento incedere la folla che si faceva il<br />
segno della croce e si toglieva il berretto.<br />
Nel carico c’erano due coevi dell’infanzia di<br />
Aldo, due macchie di memoria.<br />
Quando era stato ucciso Isteddu Curzu, i Valdes<br />
abitavano a Mole Tricu, nella casa attaccata al<br />
mulino di Pipineris, una costruzione alta, palazzo<br />
e fondaco, a differenza della casa dei Florit, nello<br />
stesso vicinato, vecchia e scura. A Mole Tricu regnava<br />
allora Pipineris, l’inventore del carro a manubrio<br />
per il trasporto del grano e della farina.<br />
In salita, i bambini spingevano il carro e poi, in<br />
discesa, la canea cavalcava il mostro e rombava<br />
per le strade, tutti addossati sul guidatore Giovanni,<br />
ammiraglio e primo marinaio di quella nave<br />
folle, sempre pronta a rovesciarsi con il suo carico.<br />
Il rombo era cessato di botto il giorno che il<br />
carro aveva messo sotto e ucciso un lavorante della<br />
ricotta, Murúa Sole, fratello grande di Nunzio,<br />
un diseredato prima di nascere, uno di Ulúmen.<br />
Così il carro era scomparso.<br />
Ma oltre che inventore del carro a manubrio, il<br />
genio di Pipineris si divertiva a suddividere il vicinato<br />
di Mole Tricu secondo una toponomastica<br />
che seguiva le fasi della trasformazione del grano<br />
e del loglio in farina e in crusca, in pane limpido e<br />
pane nero.<br />
39
La zona dove abitava Ciriaco Partes era Aglioledda,<br />
piccola aia per la battitura dei covoni, il<br />
cortile di Gaspare Valdes, fratello di Pietro, era<br />
Ghirat’a bidda, portato in paese, mentre il mulino<br />
vero e proprio era Chelu Patedda, sospeso a metà<br />
cielo. Chelu Patedda, Pentola Cielo, era per Espiritu<br />
lo stesso che dire Mole Tricu<br />
Il mulino era un mostro nero che ballava su<br />
quattro gambe bianche e solo Eulindo Dore, il re<br />
dei mulini, poteva ammansirlo e trasformarlo da<br />
essere malvagio in genio benefico per la gente che<br />
entrava e usciva, impolverata di bianco, dalla pentola<br />
di Pipineris: i ricchi con la farina e i poveri<br />
con la crusca.<br />
“Adesso sì che è limpido, il pane” diceva Sebastiano<br />
Florit “non come quando io ero bambino<br />
che mangiavamo pane nero.”<br />
La casa dei Florit era una cucina dove vivevano<br />
di giorno, con al centro un focolare quadrato<br />
che d’inverno emanava un fumo che faceva lacrimare<br />
gli occhi. Un tavolato diviso a metà faceva<br />
da pavimento: la parte alta, dove c’era il focolare,<br />
e la parte bassa senza nessuna funzione se non<br />
quella di starci, in piedi o seduti, con gli oggetti<br />
accatastati per ogni dove.<br />
Sotto il tavolato c’erano la stalla e il pagliaio.<br />
Anticamente, la botola che dava sul pagliaio<br />
restava aperta. Adesso l’avevano murata perché<br />
sopra avevano edificato una stanza buona, con le<br />
mattonelle di graniglia bianche e verdi. La stanza<br />
40<br />
la chiamavano: il comò, l’armoire e un treppiedi<br />
con boccale e lavamano.<br />
Nei pomeriggi d’estate, nascondendosi e allo<br />
stesso tempo aspettando la mamma del sole, i<br />
bambini riposavano nel letto grande.<br />
Di notte invece, Aldo dormiva nella cucina e<br />
gli altri nel piano di sopra, collegato alla stanza da<br />
una scala di legno, quella che facevano fare con il<br />
parapetto senza corrimano.<br />
Da quella scala si poteva vedere il cane accucciato<br />
sopra il comò, frantumatosi un giorno per rivelare<br />
che dentro era vuoto, senza anima, e che il<br />
nero era solo una patina che ricopriva il colore vero,<br />
il bianco del gesso.<br />
Quando faceva sole, Maddalena Satta metteva<br />
i fichi fuori dalla finestra ad asciugare, infilati<br />
dentro uno spago, così da formare un rotolo, meno<br />
nobile certo del lungo bastone dove seccavano le<br />
salsicce nel fumo della cucina.<br />
D’inverno pioveva sempre dal tetto delle canne<br />
e quando nevicava le candele di ghiaccio scendevano<br />
dalle tegole. La mattina, prima di andare a<br />
scuola, i bambini scaldavano gli scarponi chiodati<br />
con braci accese e poi, dopo che Maddalena li<br />
aveva pettinati e messo il grembiule con il colletto<br />
bianco e con il fiocco, si buttavano a perdifiato<br />
nella discesa verso il Convento.<br />
I Valdes arrivavano sempre per primi e Aldo<br />
era con loro. Passavano a prenderlo insieme a Bachisio<br />
Partes, loro cugino, e a Laura occhi di gat-<br />
41
to. Luisi, invece, il più grande, l’avevano fatto ritirare<br />
e adesso usciva in campagna insieme al padre<br />
mentre Marta, l’altra sorella, aiutava nelle faccende<br />
di casa.<br />
Da Mole Tricu, il maniero dei Valdes gettava<br />
la sua ombra nello stradone dove scorreva un rigagnolo<br />
chiamato fiume farina.<br />
Le tambore sui margini, il passaggio segreto<br />
dei giochi guerreschi, alle prime piogge raccoglievano<br />
i torrenti della piena che scendeva lungo<br />
scale di pietra, piena limacciosa e nera di sporcizia<br />
e di cavalli di ferula travolti e rubati al riposo.<br />
La piena ingrossata di fango e di sterco andava<br />
a buttarsi nell’orto di Canticheddu e poi, ancor più<br />
potente, usciva fuori per diventare nuovamente<br />
fiume farina, un bagliore che subito finiva alla vista,<br />
prima di interrarsi nell’argine costruito sotto il<br />
campo sportivo che un tempo era stato l’immenso<br />
orto dei frati cappuccini.<br />
Dopo la scuola, Aldo andava a giocare nel cortile<br />
della casa di Pietro Valdes insieme a Laura e ai<br />
gemelli. Quella casa era alta, di pietra, granito non<br />
intonacato, percorsa da una scala con la ringhiera<br />
in ferro, tutto curve, serpentine e fiori freddi. In<br />
basso, nell’enorme sottoscala erano ammucchiati<br />
i sacchi di grano e nell’angolo più scuro, alla rinfusa,<br />
c’erano selle, basti d’asino e altri finimenti<br />
per buoi e cavalli: gli andava sentore di sale mischiato<br />
a fumo.<br />
Teresa Arbau, la madre dei Valdes, era una<br />
42<br />
donna alta e secca, con una voce impastata di toni<br />
cupi e suoni gutturali mentre zio Pietro si vestiva<br />
sempre di velluto scuro, un berrettaccio calcato in<br />
testa e il sigaro acceso a fuoco dentro.<br />
Aldo ne aveva paura.<br />
Adesso i gemelli stavano entrando nel camposanto.<br />
Li stavano portando dentro l’obitorio, le<br />
bare non ancora del tutto sigillate.<br />
Poco prima, a sa Mossicrosa, era cessato il<br />
brusìo della folla. In silenzio, anche Ginevrin e<br />
Vittore erano risaliti in macchina mentre il camion<br />
di Antonio Partes aveva iniziato a muoversi<br />
lentamente, capofila del corteo, un freddo serpente<br />
meccanico fatto di mille bagliori nell’inoltrato<br />
mattino di quella domenica di maggio.<br />
Erano arrivati al cimitero dalle mura ancor più<br />
grigie, la stessa terra dove era sepolto Sebastiano<br />
Florit, la stessa terra che l’indomani si sarebbe<br />
presa quei due che adesso bussavano alle porte<br />
della foresta, fradici per la rugiada che gli era entrata<br />
nelle ossa. Ai piedi avevano gli scarponi riscaldati<br />
con le brace prima di andare a scuola.<br />
Fove quod est frigidum.<br />
Parole piene di sapienza, gravi, come quelle<br />
che diceva il padre di Aldo.<br />
Sebastiano Florit era sempre puntuale, ogni<br />
sera, metodico, non appena finito il turno a Municipio<br />
Vecchio.<br />
Un’altra volta soltanto aveva tardato, la notte<br />
43
di fine anno, quando era morto di disgrazia Fufuraiu,<br />
un bracciante forestiero.<br />
Fufuraiu Verenosa era un tipo minuto e spaventato<br />
e non l’aveva sentita nemmeno la morte.<br />
Il muro del palazzo di Martino Consillos gli era<br />
rovinato sopra, spinto da un vento che, dice la<br />
gente, non ritorna mai solo. Doveva essersi svegliato<br />
il bue erchitu.<br />
Sebastiano Florit fece la strada che dal vicinato<br />
di Gianuario Arca portava a Mole Tricu. Davanti<br />
al palazzo di Martino Consillos aveva visto<br />
un’ombra avanzare.<br />
Fufuraiu ritornava a casa sua, da chissà dove.<br />
Un conciso “oè” e poi, un’eternità dopo, Sebastiano<br />
sentì il terremoto alle sue spalle, un boato più<br />
cupo del mugghiare del vento.<br />
Il giorno dopo si vedeva la foresta di pietra, il<br />
cielo terso, senza un alito di vento.<br />
I corti e i lunghi erano arrivati con scale ancora<br />
più alte del palazzo e buttavano giù quello che era<br />
rimasto. Poi scomparvero e ritornarono la sera<br />
che uccisero Isteddu.<br />
Maddalena era inquieta perché le ritornava in<br />
mente la notte della morte di Fufuraiu e sembrava<br />
che fuori ci fosse lo stesso mugghiare di vento<br />
della notte in cui il palazzo di Martino Consillos<br />
era precipitato addosso al bracciante forestiero.<br />
La cena diventava fredda.<br />
Maddalena stava per uscire quando Florit<br />
comparve sulla porta di casa.<br />
44<br />
“B’amus pezza” aveva detto “abbiamo carne.<br />
Si sono giocati Isteddu Curzu, il figlio di Bue domato.<br />
Proprio sulla porta di casa sua l’hanno ucciso.<br />
Io l’ho raccolto per primo. Però non c’era<br />
niente da fare. Anche la giustizia mi ha chiesto.”<br />
“Tanto si sapeva,” disse Maddalena. Il volto le<br />
era diventato luminoso e aveva socchiuso gli occhi.<br />
L’ansia di prima era adesso una strana agitazione,<br />
una smania, un volersi muovere e fare qualcosa<br />
a tutti i costi.<br />
“Tanto si sapeva. Il figlio di Voe Domatu. Prima<br />
tutti insieme a Pietro Giudeo, ai Partes e a Pasquale<br />
Arca e poi vai a sapere tu. Prima tutti insieme<br />
ne hanno fatto a piedi e a cavallo e adesso…”<br />
“Sta zitta,” l’aveva interrotta il marito, “ci sono<br />
i bambini.”<br />
“Ne capiscono molto loro. Comunque io voglio<br />
andare a vedere il morto, tanto ci deve essere<br />
tutto Espiritu.”<br />
Aldo aveva attraversato il vecchio guado. Sentiva<br />
il fiume ingrossato.<br />
Chissà se i bambini di adesso sapevano da dove<br />
nasceva fiume farina. Forse non se lo chiedevano<br />
neppure perché quando andavano a scuola nel<br />
Convento vecchio ora rifatto, non sapevano di<br />
passarci sopra, non lo vedevano come quando a<br />
scuola ci andavano Aldo con i gemelli e con Laura.<br />
Il caseggiato era stato ricavato dal Convento,<br />
un tempo abitato dai frati cappuccini e a questi<br />
45
frati Espiritu deve aver voluto del bene. Si era<br />
sparsa la fama, poi ripresa anche da qualche pubblicazione,<br />
di quella volta che il professor Giacinto<br />
Mortuisvere, in un convegno internazionale di<br />
non so che cosa tenutosi a Norimberga, aveva parlato<br />
in sardo, di modo che tutti lo capissero. Per<br />
dimostrare come la lingua fosse principalmente di<br />
origine latina, aveva citato la famosa frase: “patres<br />
quaerimus, vogliamo i padri, i frati”. Fu quello<br />
il grido della rivolta popolana.<br />
Un’altra favola.<br />
La rivolta, se mai avvenne, Espiritu la fece<br />
contro i piemontesi che avevano confiscato i beni<br />
del Convento e volevano cacciare i frati. Non si sa<br />
bene come andò a finire. Certo è che adesso i cappuccini<br />
non c’erano più e sopra il Convento avevano<br />
ricavato la caserma, il castello di Odoacre<br />
Vittore.<br />
Florit pensava in fretta perché così gli conveniva.<br />
Quasi che la morte di quei due si fosse aggiunta<br />
alla torma di fantasmi che lo inseguivano.<br />
“Patres quaerimus”: mi raccomando il dittongo<br />
avrebbe preteso Mortuisvere. O lo iato. In piena<br />
era atomica ritornavano a comparire le distanze,<br />
la differenza tra il sentire della gente, il grido<br />
ottocentesco della rivolta, e il suo subire il tempo<br />
e le cose.<br />
I frati erano andati via a poco poco e in quel<br />
continuato venire meno sedimentava la memoria<br />
del loro passaggio, della loro esistenza ad Espiritu.<br />
46<br />
Sos prates de Cumbentu detto per ridere ma anche<br />
seriamente. Con loro si poteva scherzare e parlare.<br />
Non così con Odoacre Vittore che aveva stravolto<br />
più che sostituito l’immagine di quella gente<br />
di carità.<br />
Altri fantasmi erano arrivati, per aggiungersi ai<br />
corti e ai lunghi.<br />
Il capitano dei carabinieri aveva fama di duro.<br />
Usciva sempre di notte. Indossava pantaloni di<br />
velluto e giubbotto nero di pelle. Era alto quasi due<br />
metri, una faccia schiacciata da pugile, occhi celesti<br />
e i capelli tagliati cortissimi. Comandava un<br />
esercito di cento uomini.<br />
Quando entrava a perquisire nei bar, fuori, lungo<br />
il corso, erano sempre pronte due o tre gazzelle<br />
e una camionetta. Posti di blocco dovunque e dappertutto<br />
carabinieri pronti alla battaglia.<br />
— La licenza e gli altri documenti!<br />
— Subito capitano!<br />
Una sera, il gruppo di Aldo lo avevano chiuso<br />
dentro il bar di Zigarru, interrompendo la proiezione<br />
di La tredicesima ora. Sequestrati. Li avevano<br />
perquisiti da capo a piedi e “frugati in mezzo ai<br />
coglioni”, come si dicevano l’un l’altro i carabinieri.<br />
Vittore insisteva con l’assedio. I suoi uomini<br />
non avevano mai requie. Perquisivano e controllavano<br />
bollettini e sinnos sotto l’orecchio delle pecore<br />
e chiedevano informazioni. Minacciavano e<br />
blandivano. Se qualcuno era duro d’orecchi ritor-<br />
47
navano l’indomani o la sera stessa a perquisire<br />
nuovamente, a buttare giù lo stesso pagliaio: ricontavano<br />
le pecore contate un’ora prima e richiedevano<br />
lo stesso bollettino.<br />
Il metodo era quello di mettere i ferri e di procedere<br />
all’arresto, ogni tanto, per cose che la<br />
gente di campagna aveva fatto o per altre che poteva<br />
fare.<br />
Erano sempre gli stessi, i nemici di Vittore.<br />
Della stessa razza dei gemelli uccisi, gente di campagna<br />
che insieme alle classiche salme di sale aveva<br />
mangiato pane di sette forni.<br />
Pone tres panes in bertula, comparava professor<br />
Mortuisvere, e cioè metti tre pani nella bisaccia,<br />
in s’istacca, la tasca di cuoio usata dai pastori e<br />
dalla gente di campagna per metterci il formaggio,<br />
il vino, le salsicce, le olive e il pane carasatu piegato<br />
in due.<br />
Mario e Salvatore Valdes non avevano più bisogno<br />
di una tasca da mettere sulle spalle. Il peso<br />
che gli avevano caricato era molto più gravoso, un<br />
enorme Cristo come quello che sovrastava l’altare<br />
del Convento dei cappuccini, tanto grande che<br />
neppure ci sarebbe stato nella croce dei viandanti.<br />
Dopo l’autopsia, Eugenio Ginevrin si era momentaneamente<br />
congedato dal capitano Vittore e<br />
ritornato ad Espiritu aveva voluto fare un giro a<br />
piedi, da solo.<br />
48<br />
Le campane annunciavano che qualcuno non<br />
esisteva più, se ne era andato.<br />
Avevano un suono strano. Confermavano una<br />
notizia che tutti già sapevano, un fatto che doveva<br />
essere ratificato dalla giustizia e dalla misericordia<br />
di Dio, prima che dalla pietà e dalla sete di<br />
vendetta degli uomini. Eugenio Ginevrin pensava<br />
alla stessa maniera di Florit. Segno che conosceva<br />
il paese, se rievocava anche lui i corti e i<br />
lunghi. Pensava il magistrato, e tutto ritornava.<br />
Mario e Salvatore Valdes avevano corso in fretta<br />
verso il loro destino, segnati già da prima che nascessero<br />
a continuare odi antichi e a fabbricarne<br />
di nuovi, a inventarne degli altri, per far sopravvivere<br />
l’ombra.<br />
Il palcoscenico cui erano costretti irrobustiva il<br />
fiume interrato, inquinato ogni giorno da più veleni<br />
che la società di massa rendeva come scoria.<br />
Adesso i Valdes, come tutti, avevano una casa lussuosa<br />
e credevano di capirla la società della televisione<br />
a colori perché gli insegnava cose che non<br />
erano riusciti ad apprendere a scuola, costretti<br />
sempre ad uscire in campagna. Adesso non si riparavano<br />
più sotto un foglio di lamiera nelle gelide<br />
notti d’inverno, in campagna.<br />
Quello era un diverso vivere. Adesso avevano<br />
il portafogli sempre pieno anche se di fronte a tutti<br />
fingevano di non avere soldi, di essere in miseria,<br />
ancora poveri come quando l’uno stava attento a<br />
che l’altro non mangiasse più di lui nel tempo che<br />
49
il pane ed il formaggio erano contati e ai cani di<br />
guardia al gregge gli davano il siero puzzolente.<br />
Poveri ne erano rimasti pochi e i nuovi ricchi<br />
mentivano a sé stessi il benessere raggiunto, stando<br />
ancora attenti però, come nella lunga notte del<br />
pane contato e della pioggia che batteva sopra i fogli<br />
di lamiera, a che l’altro, il vicino di casa e di pascolo,<br />
l’amico e il nemico, non avessero qualche<br />
cosa in più.<br />
Adesso la gente di campagna ritornava a casa a<br />
mezzogiorno, dopo aver munto e governato il bestiame<br />
e dopo averlo affidato al servo, un salariato<br />
delle famiglie povere o uno che magari veniva da<br />
fuori, che mandavano ancora a rubare l’agnello e il<br />
capretto e il vitello e il maiale, che poi avrebbero<br />
tutti mangiato e banchettato, andando a buttare le<br />
ossa spolpate dentro l’ovile del derubato.<br />
Rinsaldavano così le catene, i ferri da cui non<br />
riuscivano a liberarsi e allo stesso tempo vivevano<br />
il dualismo tra l’ovile e il paese che si adeguava alla<br />
società del computer senza capirla, senza comprendere<br />
che l’esteriorità male appresa e male assimilata<br />
fotteva tutti indistintamente.<br />
Nel palcoscenico serale, Mario Valdes recitava<br />
da primattore nel suo inappuntabile completo di<br />
velluto scuro.<br />
Era un ragazzo alto dalle fattezze tozze e grossolane<br />
ma aveva una specie di eleganza di modi e<br />
di parola che in qualche misura compensava<br />
l’enorme faccia sormontata da capelli ricci.<br />
50<br />
Bicchiere in mano, Mario Valdes era sempre<br />
attorniato da altre persone. Sapeva il fatto suo e sapeva<br />
come comunicare, con parole eleganti, il rispetto<br />
per sé e l’odio per il nemico.<br />
Parlava muovendo con sapienza la mano che<br />
teneva il bicchiere, l’altra l’aveva in tasca, calcolando<br />
i toni alti e bassi, di modo che la parte avversa<br />
e qualche loro amico sentissero e non sentissero.<br />
Un modo di costruire e di fabbricare l’odio che<br />
non era un fare affrettato e avventato ma un gioco<br />
di calcoli e di misure. Non si uccideva per un bicchiere<br />
di vino. Gli uni e gli altri, i Valdes e i loro<br />
nemici, sapevano essere attori e spettatori allo<br />
stesso tempo e quelli che stavano intorno annuivano<br />
e ridevano.<br />
Salvatore invece, l’altro gemello, aveva preso<br />
in pieno dal padre e dalla madre. Tipi come lui li<br />
chiamano estrales, scuri, gente tagliata alla grossa<br />
con l’accetta. Quello che Mario riusciva a simulare<br />
e a dissimulare, Salvatore lo rendeva manifesto,<br />
le rare volte che gli capitava di uscire al corso o in<br />
piazza, dopo il rientro dalla campagna. Era agrestato,<br />
uno che non aveva amici. Il suo modo di<br />
camminare era simile più a quello degli animali<br />
che non al muoversi delle persone: storto, storpiato<br />
dalla durezza che gli avevano insegnato da<br />
quando aveva finito di andare a scuola.<br />
Salvatore aveva paura delle persone. Era sempre<br />
malvestito, la barba lunga, nera ed ispida sulla<br />
faccia ferina, la voce impastata. Da ubriaco,<br />
51
esplodeva ogni tanto, andando a fracassarsi con la<br />
macchina addosso al primo muro che gli veniva<br />
contro.<br />
Salvatore non lasciava rimpianti a parte il dolore<br />
dei famigliari stretti mentre Mario non avrebbe<br />
visto nascere il figlio che aspettava da Veronica<br />
Florit.<br />
Ad Espiritu non si parlava d’altro quella domenica<br />
di Pentecoste: riuscire ad incanalare tutti i rigagnoli<br />
verso un’unica corrente, sarebbe stata la<br />
soluzione ideale per uno come Odoacre Vittore<br />
che non poteva però avere orecchie tanto grandi<br />
per sentire quello che si diceva a bassa voce.<br />
Storie che avrebbero interessato forse il magistrato<br />
Ginevrin anche se era lui il primo a capire<br />
che non lo avrebbero aiutato a trovare degli indizi.<br />
Troppo complicato quel paese.<br />
Erano storie parallele, verticali e concentriche,<br />
uguali nel percorso, nell’allargamento e nella restrizione<br />
dei cerchi fino al momento di una verità e<br />
di una soluzione sempre rinviate e rimandate all’infinito.<br />
Vicino al fiume grande, i ruscelli immissari si<br />
ingrossavano e l’acqua dove era stato lanciato il<br />
sasso si intorbidiva ancor più.<br />
Poco prima dei gemelli Valdes, avevano trovato<br />
morto Zoppeddu, piccolo zoppo, soprannome<br />
di Francesco Mainas, il figlio più piccolo di Golósti.<br />
L’avevano trovato una domenica all’alba con<br />
una fucilata sotto il mento, nel progetto di Treme-<br />
52<br />
ne ‘e chelu, terra che era rimasta ai Mainas dopo<br />
che erano stati costretti a venderne molta: non erano<br />
mai stati buoni amministratori del bene che<br />
avevano ricevuto. Una famiglia divisa, minata all’interno<br />
dall’incomprensione e dallo spettro di<br />
dover diventare servi.<br />
Golósti aveva venduto sa Mossicrosa a Pietro<br />
Zudeu longu nel tempo della dissipazione dentro<br />
la locanda di Meres duos. Allora non esisteva una<br />
distinzione così netta tra più ricchi e meno ricchi.<br />
Poi era toccato a su Craru Mannu, e poi a Bachis<br />
Grussu, a Calavrina e a Paule Maiu.<br />
Espiritu diceva che Golósti Mainas, un tempo<br />
compagno di balentìa di Pietro Valdes, doveva<br />
ogni giorno abbuonare in soldi, terre e bestiame,<br />
tutte le fesserie che facevano i figli, dal più grande<br />
al più piccolo. Li scoprivano sempre e per questo,<br />
per non essere svergognati davanti al paese che comunque<br />
sapeva e per non essere accusati alla giustizia,<br />
Golósti doveva pagare. In più, Dio lo castigava<br />
con i figli.<br />
Francesco, il più piccolo, era cresciuto alla<br />
scuola dei fratelli, ragazzi di campagna e di compagnia,<br />
tutti svegli, svelti e intelligenti, sempre<br />
pronti ad azzuffarsi con i figli di Pietro Valdes, di<br />
Ciriaco Partes, di Pasquale Arca e di Battista Tola.<br />
Il paese in tutta segretezza sapeva chi era stato<br />
a bucare più di duecento sacchi di grano nel<br />
fienile dei Valdes e che tutti insieme i figli di<br />
Gregorio Canepa, di Tomasu Burdu, di Michelli<br />
53
Reu e di Golósti Mainas si divertivano a sparare<br />
di notte.<br />
La bestia si caricava allo stesso modo che gli<br />
ubriachi, nel linguaggio fatto di metafore, caricano<br />
la colomba e pruvera poteva significare tanto<br />
polvere esplosiva di sbornie accumulate giorno<br />
dopo giorno quanto la polvere da sparo vera e<br />
propria, quella che serviva per riempire le cartucce.<br />
Francesco Mainas si era ucciso ma non aveva<br />
nessun motivo per uccidersi nella casa di campagna<br />
di Tremene.<br />
L’avevano portato al camposanto in un pomeriggio<br />
di pioggia fine e pungente. Poca gente ai<br />
funerali. In fondo, poi, un suicida non suscita tanto<br />
clamore quanto ne può innescare un omicidio.<br />
Espiritu sapeva misurarla la pietà, sapeva come<br />
distribuirla. Aveva imparato da chissà quale tempo<br />
ad economizzare sui sentimenti così come a<br />
mostrarsi in tutte le ondate cicliche di generosità<br />
verso chi soffriva e stava male.<br />
Quelli di Ulúmen, la parte bassa, non potevano<br />
gareggiare con la parte alta perché non ne avevano<br />
la forza e la possibilità, non avevano terra a loro<br />
disposizione, né un territorio dove piangere per<br />
le disgrazie.<br />
Francesco Mainas era morto a vent’anni e aveva<br />
fatto strada ai gemelli Valdes che stavano viaggiando<br />
per l’ultima volta verso casa loro, sopra il<br />
camion di Antonio Partes.<br />
54<br />
Eugenio Ginevrin se ne stava seduto sui banchi<br />
della chiesa del Convento.<br />
Si trovava in una chiesa sperduta, davanti a<br />
un Cristo di legno che gli ricordava quei due uccisi<br />
visti poco prima all’obitorio, sezionati sul<br />
marmo.<br />
Eugenio Ginevrin conosceva la memoria di<br />
Espiritu. Sapeva chi erano i Valdes così come<br />
avrebbe potuto disquisire a lungo sull’identità<br />
dei loro possibili assassini.<br />
Era da tanto tempo sulla breccia, sempre in<br />
battaglia e in guerra, dalla parte giusta o sbagliata<br />
a seconda dei punti di osservazione, quella che<br />
il Goya y Lucientes definiva “altro stato”.<br />
— E adesso, — ripeteva a sé stesso il magistrato<br />
— quei due sono ancora davanti a me, sezionati<br />
sul marmo. Foro di entrata e foro di uscita:<br />
un’enorme fucilata esplosa sulla nuca. Un<br />
enorme buco.<br />
Eugenio Ginevrin si soffermava su quell’immagine<br />
in dettaglio, più grande e più reale, ora<br />
che iniziava ad essere distante nel tempo e ad allontanarsi.<br />
Ma quel foro era troppo grande anche<br />
per una fucilata esplosa da vicino, troppo grande.<br />
Sine tuo numine.<br />
Dalla semioscurità del Convento si passava alla<br />
notte di Espiritu, dove era difficile concretizzare<br />
le idee e la diversità. Per questo Aldo si ubriacava.<br />
Per poter riuscire a trovare il coraggio di parla-<br />
55
e, per rompere come le janas i cristalli delle acque,<br />
il silenzio dei giorni.<br />
Ma solo il vino e l’alcool scioglievano la mutria.<br />
Aldo non sapeva fare altro che ubriacarsi, personaggio<br />
anche lui di Borgopio e della Casa del<br />
fanciullo.<br />
Quando era nei fumi, Laura Valdes poteva assomigliare<br />
a Piper Laurie, la ragazza zoppa dello<br />
spaccone, suicida per amore di un assatanato del<br />
biliardo, pervaso dal demone del gioco, uno con le<br />
mani fracassate. Robert Rossen, il regista bruciato<br />
dal maccartismo, era il direttore di scena. Ritornava<br />
tra le mura delle chiese avvolte nella semioscurità<br />
per portare fuori Aldo e per fargli vivere il<br />
maccartismo anche a lui a quella specie di Don<br />
Chisciotte.<br />
Forse, era Laura Valdes una glaciale Lauren<br />
Bacall, in perfetta sintonia con la tenebra di Humphrey<br />
Bogart o forse era Louise Brooks, Lulù fatale<br />
Pandora. Ma Pandora significava altro: era un<br />
soprannome usato per indicare la bellezza e il suo<br />
contrario, la grazia e la sua assenza.<br />
Era Laura come Micheline Presle, consumata<br />
insieme al suo ventenne amante dal diavolo in<br />
corpo.<br />
Nonostante le beffe di Solinas, Aldo diceva<br />
che chi sogna non può mai essere un arido di cuore.<br />
Lo spirito di quella domenica di Pentecoste doveva<br />
irrigare invece il noi dei corti e dei lunghi<br />
56<br />
che erano usciti dalla foresta per violentare Laura<br />
Valdes. Gnomi del male segnati dalla caducità.<br />
Il male covato per secoli di odio, esplodeva<br />
ogni tanto nelle campagne, ignorando l’andare e<br />
venire, lungo il corso e la piazza, di Chircantoni e<br />
Luzianu.<br />
Esplodeva ogni tanto, questo male, accumulato<br />
come la provvista di grano e di loglio al mulino<br />
di Pipineris. Esplodeva e il piombo dilaniava i<br />
corpi, li smembrava e allo stesso modo feroce e<br />
belluino troncava per sempre il fiato delle bestie<br />
braccate dalla loro stessa cupidigia, dalla stessa<br />
ingordigia che aveva divorato i gemelli.<br />
Aldo ripensava a sua madre che dalla notte dell’omicidio<br />
di Isteddu Curzu vagava da un ospedale<br />
all’altro, imbottita di farmaci e di cento altre<br />
medicine. L’accompagnavano da un posto all’altro.<br />
Passavano dal medico generico allo specialista<br />
per ritornare magari al vecchio dottor Mattone,<br />
quello che aveva visto giusto da subito e aveva<br />
rimproverato per questo l’inebetito Sebastiano<br />
Florit: “Non dovevi portarla tua moglie a vedere<br />
Isteddu Curzu ucciso. Non era uno spettacolo.”<br />
Era iniziata in quella maniera la vicenda di<br />
Maddalena Satta, l’esaurimento che segnava il<br />
progressivo distacco della madre dai figli. Divenne<br />
una donna rinsecchita, con i capelli bianchi.<br />
Strascicava i piedi nel corridoio e non aveva<br />
mai voglia di parlare.<br />
57
In ospedale, i medici erano sbrigativi. Leggevano<br />
la cartella prima di visitare l’ammalata e decidevano<br />
sempre, giovani e più esperti, che il reparto<br />
più adatto per Maddalena era il piano terra,<br />
tra i dementi. Poi il medico di reparto si accorgeva<br />
che non era pazza e la faceva dimettere, prescrivendole<br />
cure contrarie a quelle di prima.<br />
Così avanti e indietro, per anni, senza riuscire<br />
a trovare una soluzione. La stanchezza iniziava a<br />
prendere il sopravvento sulla pietà e sul dovere.<br />
Aldo si trovava sempre davanti a quella porta<br />
blindata. Suonava il campanello e veniva ad aprire<br />
un infermiere gigante e dai modi gentili. Gli<br />
ebeti andavano su e giù per il corridoio. La luce<br />
sempre accesa, i malati ripetevano all’infinito<br />
cantilene ossessive e il tormento che gli rodeva il<br />
cervello e il cuore.<br />
Altri si muovevano tra stanze con il televisore<br />
sempre acceso, altri ancora scrivevano frasi<br />
d’amore sui muri, incastonate dentro i petali di<br />
enormi girasoli, parole come “vienimi a salvare<br />
angelito” e “cara Laura Valdes delle mie ossessioni.”<br />
Maddalena non si lamentava e sopportava il<br />
tempo che doveva vivere tra quelle mura. Sapeva<br />
già che l’avrebbero dimessa e che dopo un periodo<br />
di relativa calma sarebbe dovuta ritornare a<br />
scontare un destino ingiusto, iniziato venti anni<br />
prima quando avevano illuminato Isteddu Curzu<br />
con i fari delle camionette.<br />
58<br />
Il morto non si poteva riconoscere. Quello che<br />
era rimasto iniziava a gonfiarsi in una bolla di<br />
vuoto e il resto era carne senza vita.<br />
Maddalena Satta non sentiva più le voci notturne<br />
della folla accorsa per gradi e il mugghiare<br />
del bue erchitu. L’aria glaciale era diventata asettica.<br />
Maddalena Satta vomitava. Iniziava a mancare<br />
al marito e ai figli e già la macchina a noleggio<br />
di Fodde Carretta la portava via mentre Espiritu,<br />
tutto il paese, accompagnava al cimitero quell’altro<br />
morto che lasciava due orfani e una donna<br />
destinata a ripetere all’infinito, come i malati del<br />
reparto, l’ossessivo mugghiare del bue. La donna<br />
di Isteddu Curzu doveva continuare a piangere<br />
per sempre, perché questo pretendeva la teatralità,<br />
senza mai riuscire a sapere che l’assassinio del<br />
marito attraversava la storia quotidiana di Sebastiano<br />
Florit, una persona che non aveva fatto mai<br />
male a nessuno.<br />
Come tutte le sere, Sebastiano Florit spegneva<br />
le luci del Municipio Vecchio dopo aver controllato<br />
la brace languente nelle stufe di ghisa ed essersi<br />
sincerato che nessuno fosse rimasto lungo le<br />
rampe di granito che dall’atrio scuro del palazzo<br />
portavano fino alla soffitta piena di bottiglie polverose.<br />
Chiuso il portale, l’ombra tagliava prima della<br />
chiesa, all’altezza dell’ambulatorio di Gianuario<br />
Arca e poi scendeva a Mole Tricu per il selciato<br />
59
che dal rifornitore della benzina conduceva al<br />
viottolo dominato dal palazzo di Martino Consillos.<br />
L’ombra seguiva quella strada perché non voleva<br />
vedere nessuno o qualcuno che potesse attraversargli<br />
il silenzio di cui avvolgeva la vergogna e<br />
la sua paura degli altri.<br />
Sebastiano Florit era diventato un uomo corpulento,<br />
lento nei gesti e nei movimenti, tutto il<br />
contrario della magrezza che doveva avere da giovane,<br />
così come poteva apparire nelle fotografie<br />
ingiallite, conservate dentro l’armoire della stanza<br />
buona, appirate alla rinfusa in una scatola di<br />
cartone.<br />
Sebastiano Florit era finito a fare la guardia<br />
municipale dopo una vita di fallimenti.<br />
La giovinezza l’aveva passata con l’Azione<br />
Cattolica, tra convegni, gite e tutte quelle attività<br />
che promuoveva la parrocchia con più frequenza<br />
di altri tempi, perché allora la chiesa era molto o<br />
tutto ad Espiritu.<br />
Nell’armoire, conservate insieme alle fotografie,<br />
c’erano parti di recite teatrali, un libretto ingiallito<br />
di poche pagine legato con spago, e, bene<br />
in ordine, le tessere dell’ACLI e della Democrazia<br />
Cristiana.<br />
Quei giovani di chiesa recitavano per un pubblico<br />
di purissime e di bigotte, per qualche pastore<br />
che riuscivano a far avvicinare e naturalmente per<br />
i bambini e per i ragazzi.<br />
60<br />
Ai tempi della giovinezza di Sebastiano, il cinema<br />
non era ancora arrivato ad Espiritu. Il migliore<br />
passatempo diventavano così le recite teatrali<br />
nel salone parrocchiale, sopra il palcoscenico<br />
fatto costruire da don Cecilio.<br />
Sebastiano non si raccontava anche se a volte<br />
intorno al fuoco della cucina di Mole Tricu tesseva<br />
le trame che tutti i bambini conoscevano da<br />
tempo immemorabile, il racconto di metà fava, i<br />
fichi secchi del frate, Mussingallone, Fioravanti,<br />
Lancillotto e i cavalieri della Tavola Rotonda, Genoveffa<br />
di Brabante e i cavalieri di Ekebù.<br />
Nel palcoscenico del salone parrocchiale, invece,<br />
Ferruccio Covazzi, noto Giovanni dalle<br />
Bande Nere, era Aspasio, il tribuno romano, mentre<br />
Sebastiano Florit era il martire cristiano che gli<br />
testimoniava la fede e i fratelli Delogu, Gennaro,<br />
Edoardo, Arminio e Pippo, erano tutti centurioni<br />
della legione.<br />
Di Ferruccio era noto il cipiglio, di Gennaro il<br />
fascino, di Pippo la facondia, di Arminio la figura<br />
secca da radice per il fuoco e di Sebastiano l’arrancare<br />
con le parole.<br />
Adesso sono nuovamente compagni di scena,<br />
con ruoli fissi e immobili, nel cimitero di Espiritu,<br />
la fotografia sopra una lapide di marmo, il nome e<br />
le date di nascita e di morte.<br />
Aldo non riusciva a capire cosa volesse dire coniantu<br />
solu santu, scandito durante la messa, con<br />
voce solenne, dai fratelli Delogu, un timbro berbo-<br />
61
oso che faceva rizzare i peli delle braccia e allo<br />
stesso tempo incantava chi li stava a sentire, un coro<br />
che si perdeva maestoso nel soffitto della chiesa,<br />
tutto dipinto di scene tratte dalla Bibbia e dalla<br />
vita dei santi e degli apostoli, con san Pietro in<br />
mantello rosso che riceve da Gesù Cristo le chiavi<br />
del regno e con san Giorgio che uccideva il drago.<br />
Era una chiesa molto grande, con la pila dell’acqua<br />
santa vicino al fonte battesimale. Nella<br />
navata centrale erano disposte due file uguali di<br />
banchi e nei giorni di festa grande, a Natale, Pasqua<br />
e il giorno del Signore, Corpus Domini, mettevano<br />
un tappeto lungo quanto il corridoio per far<br />
passare il Santissimo sotto il baldacchino.<br />
Ai fianchi della navata centrale c’erano le cappelle<br />
con tutti i santi che proteggevano Espiritu e<br />
che facevano buona guardia alle sedie dei signori<br />
piegate e chiuse con il lucchetto. Sotto la cassetta<br />
delle elemosine pregava signora Viviana, sempre<br />
vestita di nero e con il cappellino a veletta: controllava<br />
chi entrava e chi usciva, mezzo genuflessa<br />
sulla sua sedia con la targhetta di ferro.<br />
Nelle fotografie conservate dentro l’armoire,<br />
Sebastiano Florit era ritratto quasi sempre con il<br />
gruppo dove c’era Canticheddu, il postino dell’amore<br />
altrimenti detto Beato Angelico.<br />
Canticheddu era uno per conto suo, uno fuori<br />
dai gangheri e dalla grazia di Dio, un corto, uno<br />
che doveva temere le donne.<br />
62<br />
Percorreva ogni giorno il paese a piedi, attraversandolo<br />
dal principio alla fine con un’enorme<br />
falcata da uccellastro, sbucando per ogni dove, figura<br />
allampanata come la mamma del sole, il borsone<br />
della posta a tracolla e l’immancabile basco<br />
che gli usciva come una protuberanza dalla testa.<br />
“Ahi Pisa!” ripeteva, esprimendo così la sua<br />
disapprovazione contro tutto e tutti e scaricando<br />
in qualche modo la bisaccia del suo non essere come<br />
gli altri. Aveva più di tre pani, nella bertula.<br />
Quando aggiungeva “vituperio delle genti”, Canticheddu<br />
era già fatto, cotto dalla mattina presto<br />
dallo spirituale, nome che lui dava all’anice, e da<br />
mille bicchieri di vino divino santificati dalla benedizione<br />
papale e apostolica.<br />
C’era tutta una storia allora sui bottiglioni<br />
d’anice consumati in paese, bevuti tutti d’un fiato<br />
la mattina presto dai braccianti di Ulúmen prima<br />
di andare a lavorare, perché l’anice, così come<br />
il cicchetto, scalda d’inverno e rende freschi<br />
d’estate.<br />
L’esempio più concreto era dato dall’acquavite<br />
che usavano gli spegnitori del fuoco, dopo<br />
l’immane fatica del lottare con le frasche contro il<br />
mostro rosso che distrugge i campi e brucia le<br />
persone. L’alcool rinfrescava.<br />
Grandi bevitori d’anice erano ad Espiritu i fratelli<br />
Savanos, strambi e strampalati all’eccesso,<br />
storti come diceva la gente e sempre convinti di<br />
essere dalla parte della ragione, capaci di teoriz-<br />
63
zare da dietro il banco del loro negozio di stoffe,<br />
intorno alla politica del governo e al suo contrario,<br />
sul parto gemellare e sulla resistenza dei materiali<br />
a diecimila gradi di calore, sull’acqua e sul<br />
fuoco, insomma tutte cose che poi avrebbero raccolto<br />
in volume e che avrebbero fatto pubblicare<br />
dai Fratelli Fabbri, millantava Munnu Savanos, e<br />
giustamente, come poteva chiosare il popolo di<br />
Borgopio, dai fratelli di Pipineris, Mauru e Vizzente<br />
Diaulu, che fabbri lo erano per davvero a<br />
Mole Tricu.<br />
Tutti storti i Savanos, dal primo fino all’ultimo,<br />
tutti con qualche segno di distinzione che poteva<br />
essere la rapidità e l’insensatezza nel buttare<br />
la mano in tasca per tirare fuori la pattadese o la<br />
foga tribunizia con cui giustificavano il fatto che<br />
solo loro, nell’intera <strong>Sardegna</strong>, sapevano montare<br />
e rimontare alla perfezione il motore di una macchina,<br />
di un camion, di una barca, di una nave, di<br />
un transatlantico.<br />
Una logica di pensiero e un metodo di vita che<br />
sapevano applicare con coerenza, insensibili ad<br />
eventuali critiche che potevano essergli mosse dal<br />
popolino. Mauriziano, il più savio, il Barone Rosso,<br />
era un assiduo tra gli spettatori che frequentavano<br />
il Goya y Lucientes.<br />
Era un assiduo Mauriziano, attento e coinvolto<br />
nella vicenda che narrava lo schermo.<br />
Durante la sequenza finale di Z, quando il piccolo<br />
giudice incrimina uno dietro l’altro i generali<br />
64<br />
golpisti, chiedendo loro nome, cognome e professione,<br />
il Barone Rosso si era alzato nel buio, si era<br />
prima girato il berretto dalla parte storta, alla malavita,<br />
e poi come se stesse incitando chissà quale<br />
fantasma aveva gridato rivolto ai generali che<br />
uscivano dalla stanza del giudice: “Trattè, trattè!”<br />
Canticheddu invece, il cinema lo faceva per<br />
davvero, quando era postino dell’amore. Faceva il<br />
cinema nel senso che Espiritu dava al termine e<br />
cioè un qualcosa di strano e di incomprensibile allo<br />
stesso tempo, una magia che solo i pazzi potevano<br />
comprendere a fondo. Per questo Antonio<br />
Giusè Florit, il figlio di ziu Raffaelle, lo chiamavano<br />
Cinema di soprannome: un termine che gli si<br />
addiceva, sia che glielo avesse cercato don Cecilio,<br />
sia che se lo fosse inventato lui stesso, l’artista<br />
strambo, perché gli piaceva, così come a Mauriziano<br />
piaceva Barone Rosso.<br />
L’ontologia dell’immagine fotografica, rimuginava<br />
Aldo Florit, focalizzando su Canticheddu,<br />
così come figurava nelle fotografie dell’armoire,<br />
Canticheddu che ripeteva sempre calass, adanos<br />
e addisabeba quando dava la posta e si invocava a<br />
santa Bibiana.<br />
Ahi Pisa vituperio delle genti.<br />
La casa di Canticheddu era a due piani, palazzo<br />
e fondaco, con il cortile recintato da un muro<br />
alto di pietra da cui sporgevano le creste di un oleandro,<br />
segno che c’era acqua lì vicino, il principio,<br />
quella pianta dai fiori rosa pallido, per il fan-<br />
65
tasticare di molti bambini del vicinato, un punto<br />
di concentrazione dei corti e dei lunghi.<br />
Aldo c’era entrato una volta, l’ultimo giorno<br />
dell’anno, quando era andato a chiedere s’arina<br />
capute insieme a Bachisio Partes e ai gemelli Valdes.<br />
Canticheddu li aveva fatti entrare e davanti<br />
agli occhi estasiati dei bambini aveva aperto il tiretto<br />
di una vecchia mensola da ciabattino, tutto<br />
pieno di caramelle e di cioccolatini ricoperti di<br />
carta stagnola.<br />
La luce del cortile era esplosa quasi all’improvviso<br />
e vicino alla porta che dava sulla strada<br />
loro avevano scoperto la vecchia mensola con tutti<br />
gli arnesi ancora al loro posto: chiodi, spago, lesine,<br />
martelli, boccette di pece e strisce di cuoio<br />
ripartite nei minuscoli scomparti di quel mappamondo<br />
quadrato.<br />
Forse era stata quella l’unica volta che Canticheddu<br />
aveva permesso a dei bambini di varcare<br />
la soglia della porta che dava sullo stradone e poi<br />
gli aveva aperto il varco del suo orto, per farli giocare<br />
un poco nell’ultimo giorno dell’anno. Se ne<br />
erano andati i corti e i lunghi.<br />
L’albero spoglio elevava le braccia contorte<br />
verso il cielo senza sole, sul pozzo ricoperto a pari<br />
dello stradone. I bambini si erano sentiti al sicuro,<br />
al riparo da ogni essere malvagio dopo che avevano<br />
interrotto la questua, l’andare di casa in casa a<br />
chiedere. Bisognava fare in fretta prima che uscis-<br />
66<br />
se il sole perché allora chiedere non sarebbe stato<br />
più giusto.<br />
Arina caputò<br />
patatas e basò<br />
a intro ‘e s’istacca<br />
compare Giuann’Antò. 1<br />
L’orto di Giovanni Antonio Colombo, soprannominato<br />
Canticheddu alias Beato Angelico, finiva<br />
dove iniziava il burrone che saliva verso la foresta<br />
di pietra. Il sole alto nel cielo, era finita la<br />
questua e bisognava ritornare.<br />
Canticheddu mugghiava come il bue erchitu.<br />
1 Arina caputò/ patate e fagioli/ dentro la bisaccia/ compare Giovanni<br />
Antò.<br />
67
68<br />
Offertorium<br />
Caritas numquam excidit.<br />
Aldo ripeteva dentro di sé l’esortazione di san<br />
Paolo ai Corinti. Eppure sapeva che Laura Valdes<br />
non aveva bisogno di carità, non le serviva. La<br />
donna amata era distante dalla vita e dalla morte<br />
del padre, della madre, dei fratelli e degli altri famigliari.<br />
Non si sentiva una di loro pur scorrendole<br />
lo stesso sangue nelle vene e pur essendo come<br />
loro pervasa dalla stessa ferinità. Espiritu, la campagna,<br />
la faida, sembravano non esistere per lei,<br />
appartata in uno splendore e in un’assenza che<br />
traevano alimento e sostanza da quello che Aldo<br />
chiamava la Grazia e cioè il contrario dell’accettare<br />
la propria condizione.<br />
Laura Valdes era per Aldo Florit, solo per Aldo,<br />
l’incarnazione del femminino e allo stesso<br />
69
tempo la necessità, per il tempo vuoto, della donna<br />
angelicata.<br />
Quando diventava ubriaco, gli riusciva meglio<br />
fare l’amore con lei, lontani da Espiritu e da tutte<br />
le sue grettezze e i suoi furori.<br />
Gli sussurrava dolcezza Laura, e si rivelava<br />
ostinata, dopo aver fatto l’amore, a demolire e insieme<br />
capire la sua famiglia, quella di Pietro, di<br />
Teresa Arbau, di Luisi e di Marta.<br />
Era questo assurdo nell’assurdo che Aldo non<br />
poteva accettare, questa corazza di contraddizioni<br />
che gli impedivano di possedere del tutto la donna<br />
e la sua grazia.<br />
Laura gli rendeva la vita ancor più difficile,<br />
costretto com’era a nascondere la loro relazione,<br />
inadatta e inadeguata per Espiritu che ancora divideva<br />
il tempo e i sentimenti in caste ed ereos.<br />
Chi era Aldo Florit per pretendere la figlia di<br />
Pietro Valdes?<br />
Se avesse accettato, Laura! Se si fosse fatta carico<br />
un poco anche lei del disagio di Florit, del suo<br />
costruire attese.<br />
Non poteva però, la figlia di Teresa Arbau, la<br />
mamma del sole, tagliare da sé le radici. Né Aldo<br />
l’aiutava ad uscirne, capace solo di manifestare<br />
incertezze e dire balbettii quando la donna passava<br />
dall’ostinato silenzio a parole di disprezzo.<br />
Aldo le serviva soltanto: in mancanza di meglio.<br />
Era più forte Laura, più decisa, più consapevole<br />
della sofferenza e della tristezza che toccava<br />
70<br />
chiunque avesse avuto la sorte di nascere ad Espiritu.<br />
Laura sapeva sopportare.<br />
Accettava e insieme continuava ad ammucchiare<br />
ribellione, pronta a profanare e tirar fuori<br />
ali d’aquila non appena se ne fosse presentata<br />
l’occasione. La splendida Laura Valdes dagli occhi<br />
di ghiaccio.<br />
L’occasione per fuggire era arrivata con la<br />
morte dei fratelli, il momento di rinnegare, finalmente,<br />
se Laura fosse davvero esistita così come<br />
voleva Florit.<br />
Continuava ad illudersi Aldo, anche adesso<br />
che ritornava a Mole Tricu, insieme a Solinas, diretto<br />
come tutto il paese alla casa dei Valdes, per<br />
rendere un poco di pietà a quei due uccisi a sa<br />
Mossicrosa.<br />
Era un via vai di formiche nere, la maggior<br />
parte donne con la gonna lunga e scura dei giorni<br />
di festa, la veste buona.<br />
Sopra la blusa, attonata al colore della gonna,<br />
indossavano lo scialle leggero della primavera,<br />
colore blu notte per quelle che non erano state toccate<br />
dal pianto, nero per chi aveva un lutto stretto<br />
da scontare. Erano parche piissime ed ottuse,<br />
mamme del sole come Teresa Arbau che ci godeva<br />
a far paura ai bambini d’estate, quando appariva<br />
nella canicola di Mole Tricu e penetrava dentro<br />
l’ombra delle case, vestita con una pelle di volpe e<br />
con la faccia mascherata da un fazzoletto nero. La<br />
voce era un ululato, un guaito, un lamento.<br />
71
— Le vedi? Godono della morte.<br />
— È la morte quel che le accomuna in fondo,<br />
la morte che detta il senso della loro pietà.<br />
— E tu che vuoi creare lo stato dei filosofi in<br />
questo paese.<br />
— Mi piace misurarmi con l’impossibile.<br />
— Il fatto è che questa morte rende ancor più<br />
possibile la ferocia, giustifica la voglia di fare di<br />
Odoacre Vittore e fa sopravvivere l’odio incancrenito<br />
dei pastori, sempre vittime nei confronti<br />
della giustizia e sempre lupi tra di loro.<br />
— E allora perché li giustifichi sempre nei tuoi<br />
articoli?<br />
— Non li giustifico affatto. Cerco di ignorarli<br />
il più possibile. Scrivo di questa landa solo quando<br />
non posso farne a meno.<br />
— Ma non si può essere moralisti dentro e opportunisti<br />
fuori.<br />
— E chi è più opportunista del pastore? Chi<br />
più di questa gente riesce a stabilire una convivenza,<br />
quasi una regola di vita, tra la trasgressione<br />
della legge e il formale ossequio verso i rappresentanti<br />
di questa? Solo che Odoacre Vittore è riuscito<br />
ad incunearsi in mezzo a questa terra di nessuno.<br />
È entrato dentro come il sonno.<br />
— Cosa vuoi dire?<br />
— Tu sogni troppo Laura Valdes. O forse ti fa<br />
comodo costruirti una simbologia di grazia e di<br />
beltà in un luogo che non può permetterselo. Bisogna<br />
avere il coraggio di sporcarsi le mani.<br />
72<br />
— Continuo a non capire.<br />
— Sforzati! Bisogna avere il coraggio di sporcarsi<br />
le mani. Io lo faccio.<br />
— Vuoi dire Odoacre Vittore? Perché l’hai tirato<br />
fuori? Lo sanno tutti che il Goya y Lucientes<br />
persegue una sua guerra contro la giustizia e l’altro<br />
stato. Tu in particolar modo. Solo che non bisogna<br />
sovrapporre i piani. Non si possono aggiungere<br />
falsità alle falsità.<br />
— Quando è necessario sì. Mentire per un<br />
progetto è il primo dovere di un rivoluzionario.<br />
Capisci? Il primo dovere. Devi smetterla di sognare.<br />
— Sei tu che sogni, che inventi possibilità di<br />
riscatto per la gente di Ulúmen che non vuole essere<br />
riscattata. Ci disprezzano.<br />
— Bisogna sopportarlo il disprezzo. Essere<br />
spietati. Impedire che Odoacre Vittore continui ad<br />
entrare nel sonno. Vuoi capire o no? A me non interessa<br />
affatto chi sia stato ad uccidere i Valdes.<br />
Non me ne cale. Mi preme però sfruttare il caso, le<br />
possibili coincidenze.<br />
— E l’oltraggio, l’oltraggio.<br />
Solinas rise fragorosamente, forzando vieppiù<br />
il suo teatrare.<br />
— Te lo ficchi in culo l’oltraggio. La rivoluzione<br />
è un atto di violenza. Non te la ricordi, tu<br />
che sei un cinefilo, la citazione di Mao all’inizio<br />
di Giù la testa?<br />
L’oltraggio è come l’anima, che esce fuori<br />
73
quando tu e il resto del Goya andate a pisciare nel<br />
Nilo, dietro il bar di Zigarru, ubriachi da non poterne<br />
più.<br />
Non sognare, Florit. Laura Valdes è morta ormai,<br />
da tanto tempo, suicida. Lei sì che ha avuto<br />
coraggio. Non ha aspettato che venissero i carabinieri.<br />
Aldo sollevò le mani per colpire e poi si fermò.<br />
Solinas non avrebbe reagito, era sicuro, né lui<br />
sarebbe stato capace di tanto. Rancurì per conto<br />
proprio mentre continuavano la strada verso Pentola<br />
Cielo, fisicità in mezzo alle ombre.<br />
Poi sbottò, quando si rese conto che Solinas<br />
continuava a camminargli a fianco, nonostante<br />
tutto.<br />
— I carabinieri, Odoacre Vittore, cosa c’entrano<br />
con la morte dei gemelli. Perché ti si è accanito<br />
contro, stamattina, il capitano, e ha fatto prendere<br />
luce al rullino?<br />
Solinas non rispose subito. Tirò Aldo per un<br />
braccio e lo costrinse a guardarlo in faccia.<br />
— Sta arrivando la mia ora — disse — e non<br />
voglio impedirti di continuare a sognare. Se per te<br />
è questa la soluzione, va bene. Devi sapere però<br />
chi ha ucciso i Valdes: sono stati i carabinieri.<br />
Adesso mi stanno dietro perché li ho scoperti.<br />
Aldo si era sentito seccare. Anche Solinas vedeva<br />
le janas dunque, e credeva alla mamma del<br />
sole, ai corti, ai lunghi e al bue erchitu. Solinas<br />
che gli stava accanto.<br />
74<br />
Il cielo era diventato ancor più strano.<br />
Ma come poteva esagerare fino a quel punto<br />
un povero e disadattato cronista di paese, uno che<br />
si era inventato la lotta di classe perché non era<br />
buono ad altro? Ziu tittìa, mincimortu, homo fugens,<br />
non ti cheret neune, non ti vuole nessuno.<br />
Cosa non gli dicevano quando toccava a Solinas<br />
fare il gallo di carnevale.<br />
Famosa la scena a scuola, con Giacinto Mortuisvere.<br />
“Ma la fabbrica, la fabbrica. Chi è questo Faus,<br />
professor Solinas, lei che fa cinema e letteratura?<br />
Un padrone delle ferriere o uno come Stanley<br />
Kramer, un produttore illuminato?”<br />
“Gli è che Faus-faussione fa rima con coglione,<br />
gentile collega.”<br />
Non sapeva altro. Vai tu e stagli dietro ad uno<br />
che dice le parolacce.<br />
Aldo sapeva che il cronista frustrato usava<br />
spesso di quei toni paradossali, il tono di uno che<br />
dice delle enormità tanto per dirle, perché gli piace<br />
sguinzagliare cani feroci dentro la valle e poi<br />
fuggire mentre le belve ti inseguono e vogliono<br />
sbranarti e lacerarti, ridurti a pezzi.<br />
Era uno che conoscendolo a fondo, ad Espiritu<br />
avrebbero definito mintapare, uno che ci gode a<br />
fabbricare attriti perché lui possa dopo intervenire<br />
a fare da arbitro, per mettere pace o attizzare ancor<br />
più il fuoco.<br />
Da qui a passare alla menzogna vera e propria<br />
75
il passo è breve, specie per chi appartiene alla categoria<br />
degli invidiosi.<br />
Mentire però fino a quel punto era troppo. Anche<br />
per Solinas.<br />
Il cronista aveva detto ad Aldo del pezzo telefonato<br />
al giornale. Adesso aspettava l’arrivo dell’inviato:<br />
lui non poteva andare oltre il compito di<br />
segnalare la notizia. Gli aveva anche detto che era<br />
andato via prima da sa Mossicrosa per cercare<br />
l’impiegata dell’ufficio anagrafe e per farsi dare<br />
le fotografie dei due uccisi. I carabinieri però avevano<br />
fatto prima. Arrivò che il portone del Municipio<br />
era già stato aperto. Dalla piazza dove passeggiavano<br />
Chircantoni e Luzianu vedeva le divise<br />
che si muovevano oltre i vetri della finestra.<br />
Sotto, davanti al portone, c’era una gazzella con<br />
due in bandoliera, pronti, e un poco più avanti,<br />
nello spiazzo del bar di Varigotti, una camionetta<br />
piena di uomini in divisa da combattimento. Tutto<br />
per due fotografie, due ritratti a mezzobusto, contrassegnati<br />
dal timbro a secco del Comune, gli<br />
stessi volti che sarebbero apparsi l’indomani in<br />
prima pagina, riquadrati in rosso e ingranditi a dismisura.<br />
Avrebbe pensato direttamente la caserma a<br />
fornire le fotografie al giornale e magari anche un<br />
sintetico curriculum vitae, le cose che fanno più<br />
cronaca.<br />
Riesplode la faida. Due gemelli trucidati barbaramente<br />
nel loro ovile. L’esplosione ritardata,<br />
76<br />
interrotta in chissà quale tempo e poi ripresa, reinnescata<br />
nell’oggi, non poteva non attirare l’attenzione.<br />
Il paese avrebbe riesploso a sé stesso la faida<br />
che, tutti mormoravano, poteva o doveva essere<br />
iniziata circa venti anni prima, con la morte di<br />
Isteddu Curzu. Pur non scrivendolo, i giornali non<br />
avrebbero potuto fare altro che corroborare in ciascuno<br />
questa ipotesi.<br />
Scantonava di nuovo Aldo o forse stava precorrendo<br />
la verità. Un assurdo che si conciliava<br />
con l’assurdo e non con quella rivelazione che Solinas<br />
gli aveva fatto: i Valdes uccisi dai carabinieri,<br />
solo perché ziu tittìa doveva difendere la sua<br />
lotta di classe, fare la sua rivoluzione, neppure in<br />
sintonia con i sogni del Goya y Lucientes.<br />
Il caritas numquam non valeva per Solinas.<br />
Gli piaceva troppo vedere Aldo soffrire. Quell’affermazione<br />
sulla morte dei gemelli era però troppo<br />
pesante. Non poteva essere lasciata come una<br />
mina vagante. Bisognava disinnescarla.<br />
— Come puoi confermare una cosa del genere?<br />
— sbottò Aldo all’improvviso.<br />
— Ti ho già detto che mi sono sporcato le mani.<br />
E gli occhi. Mentre tu pensavi ad ubriacarti, stanotte,<br />
io ero a caccia. Dissolvevo la nebbia prima<br />
che si formasse. Non ti è sembrato strano che i carabinieri<br />
non vi abbiano rotto i coglioni stanotte,<br />
quando ballavate il girotondo intorno alla stele di<br />
Bacco, dove attacchiamo i manifesti, nel campo<br />
77
sportivo, proprio sotto la caserma? Avevano ben<br />
altro da ordire e da nascondere. Vi sono passati davanti<br />
a luci spente e voi non ve ne siete neppure accorti.<br />
Un giro largo per trasportare i morti a sa<br />
Mossicrosa. I gemelli, Vittore li ha uccisi in un’altra<br />
tanca. Forse a su Banzicu, forse a Paule Maiu. I<br />
carabinieri vi sono passati davanti e voi non ve ne<br />
siete accorti. Se non mi credi, ti dico che tu in quel<br />
momento stavi concionando sopra la stele, ubriaco<br />
come uno del club di Nigas Ozzas. Dicevi di<br />
lolly madonna, di uomini dal passo pesante.<br />
— Troppo prevedibile. Stai inventando.<br />
— No, no. Gridavi parole che non ti ho mai<br />
sentito né so cosa vogliano significare: coccotraustés<br />
coccostraustés.<br />
Aldo si sorprese e Solinas se ne accorse.<br />
— Vi sono venuto dietro — aggiunse — perché<br />
volevo ubriacarmi insieme a voi. Poi, quando<br />
ho visto le macchine dei carabinieri mi sono nascosto.<br />
— Ma perché? — interruppe Aldo — che motivo<br />
c’era che i gemelli venissero ammazzati dai<br />
carabinieri?<br />
— Per sbaglio. Non era loro che aspettavano.<br />
— E chi?<br />
Non ci fu tempo per rispondere. Erano arrivati<br />
alla casa dei morti.<br />
Con la coda dell’occhio, Aldo vide una macchina<br />
avvicinarsi, un andare come da gatto che<br />
punta la preda, né veloce né lento. Strano.<br />
78<br />
Supposto che fosse stato tutto vero, che fossero<br />
della giustizia, Solinas non aveva fatto niente<br />
per impedirlo. Cadeva nella trappola che lui stesso<br />
aveva preparato, supposto che fosse stato tutto<br />
vero. Solinas però era cosciente di questo dover<br />
cadere e di essere braccato. Si era tradito a sa<br />
Mossicrosa, nel forzare il cordone e fotografare i<br />
morti. Era proprio l’assurdo che si materializzava,<br />
l’assurdo da cui Aldo non riusciva a liberarsi, così<br />
come era impossibile liberarsi di Solinas e delle<br />
sue trame.<br />
Era necessario allora intensificare i sogni, irrobustire<br />
le finzioni e accettare il falso alla stregua<br />
di qualsiasi adattabile verità.<br />
Aldo vide Laura: gli occhi passavano dall’azzurro<br />
al verde, al grigio, al viola, ed erano due<br />
opali incastonate in un oggetto diviso tra il desiderio<br />
della conoscenza carnale e l’irraggiungibilità<br />
del fiume quando si nasconde tra i rovi.<br />
L’avventura con Laura era terminata eppure il<br />
fuoco continuava a consumare.<br />
Adeste fideles<br />
laeti triumphantes.<br />
Così cantarono da Zigarru nell’ultimo Natale,<br />
quando la mente si era ancor più ottenebrata.<br />
Si consumava Aldo. Si suicidava Aldo, lentamente,<br />
giorno dopo giorno, con le sue indecisioni.<br />
Beveva, inventava alibi, e Laura si allontanava.<br />
79
Beveva Aldo, si ubriacava e continuava a costruire<br />
falsità. Altro che Solinas. Prendeva a piccole<br />
dosi il veleno che altri avevano deciso di assumere<br />
tutto in una volta, i cittadini della repubblica dei<br />
suicidi, una parte consistente di Espiritu.<br />
Era questo del voler morire un aspetto ingombrante<br />
che caricava ancor più l’ombra. Gli impiccati<br />
oscillavano nel fondaco oscuro e non potevano<br />
nascondersi agli occhi del paese e del mondo.<br />
Corpi di pazzia e di dolore erano appesi alla ringhiera<br />
con improvvisate corde e con le soghe del<br />
carro, pencolanti, geni incompresi, messi da parte<br />
e ignorati. La solitudine decideva ad un certo punto<br />
di sfidare il dio dell’umiltà e della superbia, dell’amore<br />
e dell’odio, dell’incomprensione tra padre<br />
e figlio, tra fratello e sorella, tra amante e amata.<br />
Una decisione estrema. Nessuno salvava. Nessuno<br />
sentiva e vedeva quando le ombre attraversavano<br />
l’intero paese, dirette in campagna o verso<br />
una stalla, verso il trave e l’albero che avevano<br />
scelto. Erano già impiccati prima di morire nel<br />
trave e nell’albero contorto che sarebbe restato segnato<br />
per sempre. Mugghiava il bue.<br />
I preti potevano dire che gli orti di Espiritu erano<br />
come il Getzemani perché in ognuno c’era<br />
traccia del dolore e della pazzia di tutti che uno<br />
solo si era voluto addossare, prima e dopo il manicomio,<br />
prima e dopo la galera, prima e dopo la casa<br />
come condanna.<br />
Aldo farneticava. Vedeva Laura come in un so-<br />
80<br />
gno e la donna mai amata gli parlava. Spiegava<br />
una condizione di impossibilità, a lui che non sarebbe<br />
mai riuscito ad abituarsi ad una legge, grande<br />
o piccola che fosse, enorme a dismisura o minima.<br />
Inventava Florit.<br />
“Vorrei che tu riuscissi a capire” gli diceva<br />
Laura. “ Vorrei che tu comprendessi, ora che l’ombra<br />
mi avvolge, che il tuo amore per me era impossibile,<br />
il tuo sogno era sprecato in questa desolata<br />
terra di morti senza pietà. Ti sei consumato come<br />
don Chisciotte nella vana ricerca di Dulcinea. E<br />
Dulcinea era solamente un’Aldonza, una contadina<br />
dura di cuore. Non ho amato mai nessuno. Tutti<br />
gli uomini sono stati oggetto del mio puntiglio e<br />
nessuno è mai riuscito a liberarsi dalla condizione<br />
di servo. I leoni che mi hanno voluto azzannare<br />
non potevano ruggire. Cercala a sa Mossicrosa<br />
questa gente di faida, questi difensori dell’onore,<br />
questi possessori del corpo che non hanno saputo<br />
dove era la chiave per aprire la porta del mio cuore,<br />
per liberare la grande dolcezza che era in me.<br />
Vendicami Aldo Florit perché io non ho potuto.<br />
Dovevo continuare a mascherare, a fingere una<br />
durezza che non era mia. Non potevo piangere,<br />
non potevo gridare ai vivi la disperazione che mi<br />
ha accompagnata dal giorno in cui sono venuta alla<br />
luce fino al giorno in cui ho deciso di morire, lasciando<br />
agli altri, a quelli che restavano, un fardello<br />
pesante. Non ti ho potuto amare Aldo Florit.<br />
Non ti potevo amare.”<br />
81
Non era più in sé Aldo. Non riusciva a capire<br />
se fosse Pentecoste o la vigilia di Natale. Canticheddu<br />
batteva l’albero delle noci e altre ombre di<br />
scherno e di oltraggio pendevano, imputridite dalla<br />
canicola. Erano ombre che non appartenevano<br />
più ai corpi che le avevano emanate, corpi ormai<br />
di dominio pubblico. Parole che non attaccavano<br />
né ai muri né alle porte. Rimbombavano e avvolgevano<br />
di morte l’intero paese, la morte che più<br />
faceva paura, ancor più della fucilata a tradimento,<br />
perché se ce l’hai in testa questa morte che<br />
vuoi dare a te stesso, prima o poi ci devi riuscire,<br />
senza tappe intermedie, senza mezze misure.<br />
Espiritu non ammetteva un est modus in rebus,<br />
una mediazione tra il bene e il male. Tutto era immenso,<br />
incomparabile ed incommensurabile.<br />
Aldo Florit era entrato nella casa di Pietro Valdes.<br />
Nonostante gli invisibili fili della trama con<br />
Laura, era entrato per dovere, spinto da chissà<br />
quale intuito di uno che vuole misurarsi con cose<br />
più grandi di lui e del suo potere di cambiare il<br />
mondo e le cose.<br />
Una rivoluzione impossibile.<br />
Le donne piangevano e urlavano sopra le bare<br />
chiuse. La luce delle candele sovrastava quella<br />
dei lampadari. L’aria era acre, impregnata di fiori<br />
e di sudore, di pianto e di cera.<br />
Aldo cercò Laura ma vide solo un insieme di<br />
scialli neri, terribili e senza volto, un grumo di vo-<br />
82<br />
ci roche accordate con la pietà e con lo strazio di<br />
Marta Valdes, di Teresa Arbau e di Veronica Florit<br />
che non aveva voluto sentire di stare fuori dalla riga,<br />
come le aveva ordinato dottor Mattone.<br />
Nel coro avrebbe pianto anche lei per il figlio<br />
che le doveva nascere. L’avrebbe esortato alla<br />
vendetta come venti anni prima aveva fatto la moglie<br />
di Isteddu Curzu.<br />
Cuore mio<br />
figlio mio<br />
fratelli miei<br />
il fulmine ci ha bruciato<br />
cuore mio<br />
fiore il più stimato<br />
cuore di mamma cuore di mamma<br />
la morte ci hanno dato<br />
cuore mio cuoricino<br />
il carro che li riporti<br />
marito mio<br />
non li conosca la madre<br />
figlietti miei<br />
in cuore ho una fiamma<br />
figli figli miei<br />
che li distrugga la lama<br />
cuore di mamma<br />
Dio che cosa ci hai fatto<br />
cuore<br />
Dio che non li perdoni<br />
fratello mio<br />
Dio che li castighi<br />
83
cuore mio<br />
perla la più lucente<br />
cuore cuore<br />
il fuoco che li bruci<br />
cuore<br />
astro di sole ridente<br />
cuore di mamma<br />
cuore di mamma.<br />
Era un lamento infinito e circolare<br />
Tramite le donne, l’invocazione alla giustizia<br />
divina si rivolgeva agli uomini, a coloro che potevano<br />
coltivare la vendetta, che sarebbe esplosa<br />
magari cento anni dopo, ingigantendo sempre più<br />
dentro gli animi, crescendo a dismisura e nello<br />
stesso tempo dissimulandosi in un fare normale<br />
verso l’odiato nemico: in campagna e in paese.<br />
Aldo conosceva qualcosa della storia di Marta.<br />
A seguire la traccia, uno pieno di coraggio sarebbe<br />
disceso verso il fiume verde, ingrossato di storie<br />
che da parallele erano diventate trasversali.<br />
Tutte nascevano però dal voler diventare uno più<br />
ricco e più potente dell’altro, dall’interesse, dal<br />
sopraffare prima di essere sopraffatto. Era questa<br />
la legge nella foresta di pietra, le regole che seguivano<br />
i corti e i lunghi.<br />
Il sodale tradiva il sodale, il fratello il fratello.<br />
Il bene diventava male, la buona sorte si trasformava<br />
in fato avverso.<br />
Prima c’erano state la ruberia e la bardana, tutti<br />
insieme. Pietro Valdes, Pasquale Arca, Ciriaco<br />
84<br />
Partes e Isteddu Curzu ne avevano fatto insieme a<br />
piedi e a cavallo, nei paesi della Costa e negli stazzi,<br />
ingrassando e arricchendo, tutti di comune accordo<br />
sulla morte degli altri.<br />
Il bestiame rubato dal sodalizio di Pietro Zudeu<br />
longu era grasso e aveva il pelo lucente. Il<br />
fuoco coda rossa divorava le tanche degli altri,<br />
non quelle di Bachis Grussu, di Calavrina e del<br />
Chiaro Grande. Intanto nei granai del sodalizio si<br />
ammassavano sacchi di grano.<br />
Branchi di maiali, greggi sterminate di pecore<br />
e mandrie di vacche. Le tanche vecchie ingoiavano<br />
quelle nuove.<br />
Il sodalizio di Pietro Valdes riusciva a trasformare<br />
in oro tutto quanto, un bagliore tanto intenso<br />
che avrebbe però finito per accecarli, li avrebbe<br />
divisi al momento della spartizione. Isteddu Curzu<br />
non sarebbe mai diventato il marito di Marta<br />
Valdes.<br />
Su Craru Mannu, a Stella Corta gli era toccato<br />
perché parente dei Ruinas, gente ricca, e lui abile<br />
e rapace come l’aquila quanto inconsistente come<br />
il fumo, una figura affilata, sempre in velluto nero,<br />
era voluto andare a fare legna da quella grande<br />
quercia che stava iniziando a cadere.<br />
Aveva comprato su Craru Mannu, Bachis<br />
Grussu, Calavrina, su Banzicu e Luche Ruia per<br />
una brocca di soldi falsi, una brocca che un tempo<br />
Ruinas padre avrebbe preso per buttarla ai mendicanti<br />
che bussavano alla porta.<br />
85
Ma i figli da Parigi e da Vienna avevano bisogno<br />
di continuare a studiare e divertirsi e i soldi<br />
ammucchiati erano scomparsi come d’incanto.<br />
Poi Isteddu Curzu aveva voluto vendersi quelle<br />
terre mai sudate eppure così fertili, al compagno<br />
di ruberia, zio Pietro Valdes, più grande di lui<br />
di venti anni che però aveva una figlia d’incanto,<br />
Marta dagli occhi di gatto.<br />
E per Marta tutto si doveva fare, anche entrarle<br />
nel letto come il sonno e costringerla a godere<br />
senza voglia e generare un figlio, un segno di colpa<br />
da nascondere mentre lievitava nel ventre e poi<br />
farlo scomparire nel nulla non appena la creatura<br />
fosse venuta alla luce.<br />
Pietro Valdes intanto aveva combinato il matrimonio<br />
tra la figlia e Golósti, il padrone di Tremene<br />
’e Chelu e di sa Mossicrosa.<br />
Non sapeva ancora Pietro Valdes di chi gli erano<br />
nato da Isteddu Curzu e non sapeva neppure<br />
che Marta, forse per la noia dei giorni o forse per<br />
disperazione, si era buttata tra le braccia di Nunzio<br />
Sole, un servo, unu remitanu. Tentennava<br />
quando Stella Corta gli chiedeva la figlia in sposa,<br />
non per sé ma per Tomasu Burdu, un altro rapace<br />
che si era aggiunto alla compagnia, un implume<br />
da nido che ancora doveva imparare.<br />
Nella notte del loro sodalizio, tutti insieme<br />
erano andati a rubare i buoi di Remunnu’e Locu,<br />
nipote del poeta di Ulúmen, e dopo essersi preso il<br />
giogo l’avevano ucciso. La morte che gli diedero,<br />
86<br />
a colpi di scure, la ricordano ancora oggi con esecrazione.<br />
La gente aveva già saputo da subito chi<br />
era stato ad uccidere quel povero, nella stalla di<br />
casa sua. Anche la giustizia sapeva ma non poteva<br />
farci niente. Non c’erano prove e nessuno avrebbe<br />
potuto vendicare quella morte perché Remunnu<br />
non aveva né fratelli né figli maschi.<br />
Rubavano, uccidevano, bardanavano tutti insieme<br />
e continuavano a ingannarsi a vicenda.<br />
Una mandria di vacche e quattro cavalli erano<br />
bastati a Isteddu Curzu per fare diventare Tomasu<br />
Burdu padrone di su Craru Mannu. Padrone per<br />
finta però, perché nonostante l’astore iniziasse a<br />
fare becco e artigli, Tomasu non era nemmeno un<br />
povero arricchito e continuava ad essere, per la<br />
compagnia, Tomasu agganitu, affamato, Tomasu<br />
merda, Tomasu faccia da culo, Tomasu storto, con<br />
le gambe a ruota di carro, Tomasu cagato fatto diventare<br />
signore dal figlio di Bue Domato, padrone<br />
di tanche inesistenti come Terra d’oro e Fiume<br />
Verde.<br />
E voleva sposarsi con Marta Valdes, il signor<br />
Tommaso attaccabrighe.<br />
Le parole iniziavano a sgretolare la pietra<br />
compatta, nonostante Bachis Grussu e Calavrina<br />
fossero ormai ben salde nelle mani di Tomasu.<br />
Nessuno se ne accorgeva, nemmeno Isteddu Curzu<br />
che credeva di beffare il discente, nemmeno<br />
Pietro Valdes che adesso non nicchiava più e per<br />
poter diventare padrone di su Craru Mannu e della<br />
87
tanca di sa Mossicrosa aveva promesso Marta sia<br />
a Isteddu che a Golósti Mainas, all’insaputa l’uno<br />
dell’altro.<br />
Nella taverna di Meres duos, Golósti Mainas<br />
spendeva e spandeva, pestandosi e sbargaminandosi<br />
i soldi che gli entravano dalla proprietà e dal<br />
rubare. Intanto Marta Valdes, dopo aver fatto<br />
scomparire il figlio di Isteddu Curzu, faceva<br />
l’amore con Nunzio Sole nel pagliaio di Mole<br />
Tricu. Un intrico senza senso, senza una ragione<br />
per esistere, dato che i protagonisti, quelli che lo<br />
vivevano e lo alimentavano, non avevano un’anima<br />
per ridere e per piangere, non avevano sentimenti<br />
e non sapevano che prima o poi tutto quel<br />
tradimento tenuto nascosto avrebbe finito per travolgerli,<br />
riservando a ciascuno un destino di<br />
morte da scontare su sé stessi o sui figli, carne<br />
della propria carne.<br />
Nella locanda di Meres duos, Golósti Mainas<br />
spendeva e spandeva. L’oste, non aveva orecchie<br />
per sentire, preoccupato di cuocere la carne non<br />
sempre di bollettino e di fare buona accoglienza ai<br />
pochi forestieri che capitavano ad Espiritu.<br />
Meres duos era il classico tipo di oste basso e<br />
pelato e con la pancia ben rotonda e prominente,<br />
un mercante che si adeguava ai tempi e alle situazioni,<br />
capace di accogliere con lo stesso sorriso<br />
sia Ruinas padre che Mazzone, casomai fossero<br />
entrati insieme. Nella taverna, c’era una pesante<br />
tenda color rosso che separava la bettola vera e<br />
88<br />
propria per i clienti fissi od occasionali da un luogo<br />
indefinibile e misterioso.<br />
Quel punto del locale, discreto e terribile, lo<br />
chiamavano sa boema, dalla Bohème pucciniana.<br />
Pietro Valdes, patriarca degenerato, ascoltava<br />
le richieste di Golósti Mainas.<br />
“Vi devo parlare ziu Pré, ma da solo.”<br />
“Non ti fidi di zio Partes?”<br />
“Ma certo.”<br />
“E di Pascale Arca?”<br />
“Ma sì!”<br />
“Sono tutti come fratelli per me e padri per te.<br />
E allora cosa vuoi? Cosa mi vuoi dire?”<br />
“Quasi mi manca il coraggio.”<br />
“Uno come te.”<br />
“È per vostra figlia. Vi decidete a darmela una<br />
buona volta?”<br />
“Ma lo sai cosa stai chiedendo.”<br />
“Il cielo.”<br />
“E tu me la dai sa Mossicrosa?”<br />
E così l’antica tanca dei Ruinas aveva cambiato<br />
nuovamente di mano, barattata per un matrimonio<br />
che non si sarebbe mai fatto. Pietro Valdes era<br />
ormai padrone del mondo. In quel luogo di inganno,<br />
la sera prima aveva fatto firmare un foglio a<br />
Isteddu Curzu. Il balente che non sapeva di essere<br />
padre, già parente di zio Pietro, gli dava tutto su<br />
Craru Mannu.<br />
Aldo Florit provò a risvegliarsi da quel sonno<br />
ma non ci riusciva. Gli avvoltoi della locanda<br />
89
non avevano ancora finito di mangiarsi l’uno con<br />
l’altro.<br />
Tutto era scoppiato all’improvviso, quando<br />
Tomasu aveva scoperto il frutto del ventre di Marta<br />
e la boema di Meres duos era venuta a sapere<br />
del segreto che come luce penetrava adesso nel<br />
corpo di Pietro Valdes e gli rendeva fiele il sangue,<br />
gli artigliava la carne, gli amareggiava il cuore<br />
e gli ottenebrava la mente. Il sodalizio, su soziu,<br />
si era sfasciato. Tutti pensavano già a quando<br />
avrebbero ucciso l’altro, non subito, ma anni e secoli<br />
dopo, quando ad uno ad uno avrebbero iniziato<br />
a morire, travolto l’antico patto di alleanza dallo<br />
stesso demone che lo aveva costruito e alimentato.<br />
Isteddu Curzu era morto quella sera e non anni<br />
dopo, anche se l’uccisione vera e propria sarebbe<br />
dovuta accadere quando la vittima predestinata,<br />
ormai marito e bravo padre di famiglia, credeva di<br />
essere fuori pericolo.<br />
L’avevano giurato tutti nella boema di uccidere<br />
l’aquila e poi avrebbero potuto anche dividersi,<br />
ognuno per la sua strada, e avrebbero potuto iniziare<br />
una nuova guerra, Mainas e Tomasu da una<br />
parte, uniti dalla beffa della sorte insieme ai porcaglieddos<br />
Gregorio Canepa e Michelli Reu.<br />
Dall’altra i più forti, i Valdes, i Partes, i Tola e<br />
gli Arca che non avrebbero dato scampo a quei<br />
nuovi affamati che volevano banchettare anche<br />
loro dentro le antiche terre dei Ruinas, perché se-<br />
90<br />
condo lo stato di diritto della boema anche Tomasu<br />
Burdu e Golósti Mainas erano diventati padroni<br />
nel tempo della bardana. Non c’era scampo per<br />
nessuno.<br />
Tentando di sfuggire al suo destino, Isteddu<br />
Curzu, che forse non avrebbe mai saputo di essere<br />
stato padre prima di diventarlo dei figli di Lia Carre,<br />
sua legittima moglie, aveva fatto sapere a zio<br />
Pietro, sempre tramite la boema, della tresca che<br />
legava Marta a Nunzio Sole, unu remitanu, uno<br />
che non meritava lo sfregio, l’orrore a cui sottoposero<br />
il suo corpo.<br />
Figlio<br />
figlio mio adorato<br />
il fiore più stimato.<br />
Le ombre dei giudici, padri delle janas, aspettavano<br />
al fiume verde mentre Aldo Florit era dentro<br />
la casa dei morti, nella stanza dove le lamentazioni<br />
rimbombavano contro il muro e nel soffitto.<br />
Cuore mio<br />
Figlio mio.<br />
Era poi entrato nella stanza degli uomini e aveva<br />
visto Pietro Valdes distrutto, la faccia ancor più<br />
vecchia, con la bocca senza dentiera.<br />
Piccone e Nestore Arbau, con la barba bianca<br />
di due o tre giorni, sostenevano il cognato, corpo<br />
di arida erbaccia sopra un prato ancora più arido,<br />
sconvolto come il territorio del suo cuore, figura<br />
lunga di padre dolente, tagliata in grosso con la<br />
91
scure e sgorbiata poi dal dolore, a tacche larghe,<br />
lasciate così agli inizi della forma da chissà quale<br />
scultore del legno. Luisi Valdes era un poco discosto<br />
dal padre, in piedi sotto il tendone della finestra,<br />
quasi avvolto in un completo scuro su cui<br />
spiccava una camicia bianca candida, lui più cupo<br />
del solito, gli occhi puntati a terra, le mani annodate,<br />
ferme ed immobili, un insieme tozzo, una figura<br />
ritagliata su uno sfondo irreale.<br />
Ritornando nella stanza dei morti, Aldo aveva<br />
cercato gli occhi di Laura e il verde era diventato<br />
scuro prima di ravvivarsi nuovamente e di inabissarsi<br />
ancora una volta nei fiumi sconosciuti coperti<br />
dai rovi. L’irrealtà e l’assurdo, i codici mai scritti<br />
della foresta di pietra, fecero grumo nel sentire,<br />
prima di dissolversi in un dialogo allucinato con<br />
Laura.<br />
— Cosa cerchi? — chiese la donna.<br />
— Non lo so. Forse un senso a questa morte.<br />
— Come se questi morti dovessero avere un<br />
senso oltre la ferocia. La mia è una famiglia minata<br />
dal male.<br />
— È la tua famiglia. I morti erano tuoi fratelli.<br />
— No! Non erano miei fratelli!<br />
Un’affermazione, quella di Laura, inadeguata,<br />
parole non in sintonia con il dolore gridato nelle<br />
stanze accanto mentre il paese entrava ed usciva.<br />
—Aspettavano Mario e Salvatore, — disse Aldo,<br />
cercando di dare ordine a quello scompiglio.<br />
— Ma chi? Cosa vai farneticando?<br />
92<br />
— Li aspettavano a Rivu Virde. Ma ora le janas<br />
hanno già chiuso le porte.<br />
Le formiche ritornavano verso la piazza e a<br />
Florit venne da credere che lui e Laura potevano<br />
trovarsi appartati dagli occhi del paese e dal cosmo<br />
della barbarie, lontani e distaccati dall’ira e<br />
dalla ferocia, dal dolore e dal tedio che impregnava<br />
l’aria di fuori, pesante e densa di fiori marci.<br />
Un sogno.<br />
La donna aveva il volto pallido, di una tristezza<br />
che non era disperazione, quasi conoscesse da<br />
tempo il fato che incombeva sopra i fratelli e sull’intera<br />
casa.<br />
— Si è vero — riprese — quei due erano miei<br />
fratelli perché come me discendono da Pio Arbau<br />
e da Mauro Valdes. Ma non sono e non sono stati<br />
miei fratelli. Espiritu li ha distrutti ancora prima<br />
di te e di me, li ha distrutti perché troppo poco è<br />
durata la loro infanzia nel vicinato di Mole Tricu.<br />
Li hanno fatti diventare uomini prima del tempo.<br />
— Ma non tutti gli uomini della società pastorale<br />
sono come questi due tuoi fratelli.<br />
— Di quali uomini parli?<br />
Il sonno continuava.<br />
Laura fece per alzarsi e poi si posò nuovamente<br />
come un uccello ferito.<br />
— Di quali uomini parli — proseguì la donna.<br />
— Per loro ha senso soltanto il dominio dell’uno<br />
sull’altro, degli uni sopra le altre. Non riescono a<br />
vivere.<br />
93
Il volto di Laura si era andato via via spegnendo.<br />
Un tremito le sue labbra. Aldo stava per alzarsi<br />
e uscire ma lei lo prevenne.<br />
Gli sembrò di sentire altre parole, dapprima<br />
sussurrate e via via più chiare. Erano pesi che si<br />
aggiungevano, nuove menzogne che nella sua<br />
mente coincidevano con altre sentite poco prima<br />
da Solinas. Impossibile liberarsene per uno che<br />
dorme in piedi. Come i cavalli.<br />
— I miei fratelli, — diceva la ragazza — la loro<br />
morte non rientra nella faida. Si tratta di un errore<br />
di Odoacre Vittore. Un incidente del capitano dei<br />
carabinieri. Che aspettava qualche altra persona<br />
per la notte tra venerdì e sabato. Invece sotto il<br />
fuoco delle machine pistole sono finiti Mario e<br />
Salvatore. Era il loro destino. O forse Odoacre Vittore<br />
è andato apposta per ucciderli. Si è inserito<br />
anche lui nella tribalità per renderla interminabile.<br />
L’aria pesante dei fiori era entrata nella stanza.<br />
— Ma c’è qualche appiglio? — chiese Florit.<br />
— Antonio Partes ha visto i cadaveri crivellati<br />
di proiettili. Ha visto i carabinieri che rivestivano<br />
i corpi degli uccisi alla luce dei fari della camionetta.<br />
Poi gli hanno sparato in testa, a Mario e Salvatore.<br />
— E come ha fatto Antonio Partes a vedere non<br />
visto?<br />
— Misteri dell’ombra, di chi è protetto dalla<br />
mamma del sole e dal bue erchitu. Come te adesso.<br />
Lui, Antonio Partes, ha visto. Stava andando a pie-<br />
94<br />
di dal suo ovile al nostro. Non lo so perché ci stesse<br />
andando, a quell’ora di notte, ma il fatto è che<br />
lui ha visto i carabinieri di Odoacre Vittore che rivestivano<br />
i morti.<br />
— E li ha visti quando hanno sparato in testa ai<br />
cadaveri?<br />
— Dice di averlo sentito lo sparo. Due fucilate<br />
una dopo l’altra.<br />
— Perché non ha aspettato? Per vedere meglio.<br />
— Doveva scappare! Doveva fuggire!<br />
— Come mai non è scappato prima, non appena<br />
si è accorto che c’era Vittore in zona?<br />
— Doveva vedere. E poi non aveva, non ha Antonio<br />
Partes, niente da temere.<br />
— Tu dici? Non si può però essere parziali nel<br />
vedere queste cose. Antonio Partes è il figlio di Ciriaco<br />
che insieme a tuo padre ha ucciso Isteddu<br />
Curzu.<br />
Farneticava Aldo, nel pieno della notte che annuncia<br />
l’ora del lupo.<br />
— È una sicurezza questa tua — lo contrariò<br />
Laura — che potrebbe darti la morte prima del<br />
tempo.<br />
Aldo stava per risvegliarsi.<br />
— Non sei diversa dalla ferocia di tuo padre e<br />
di Luisi — disse alla donna. — In fondo io affermo<br />
una cosa che l’intero paese sa ma non può e non<br />
vuole dire, così come l’intero paese sa che Zoppeddu,<br />
Francesco Mainas, non si è ucciso. Io<br />
l’avrei lasciato fuori Odoacre Vittore.<br />
95
Laura non rispondeva più. Non poteva rispondere.<br />
Aldo l’aveva offesa nel suo sentimento di freddezza<br />
e di distacco verso la famiglia.<br />
Lei ritornava ombra.<br />
Prima che andasse via, consegnò comunque<br />
qualcosa all’antico amante, il racconto di Antonio<br />
Partes, scritto ai margini di un libretto ingiallito,<br />
come quello conservato nell’armoire, a casa di<br />
Sebastiano Florit.<br />
Antonio Partes era arrivato di notte, trafelato,<br />
e non aveva smesso di suonare fino a quando non<br />
si erano accese tutte le luci della casa.<br />
Qualcosa gli doveva aver fatto cambiare rotta<br />
quella notte, ad Antonio Partes, qualcosa dove<br />
c’entravano anche Pietro, e Luisi e Mario e Salvatore<br />
Valdes. Pio Arbau aveva sciolto il cavallo e si<br />
avviava a Rivu Virde.<br />
La sagoma di Antonio Partes si era stagliata<br />
nella notte. Aveva la stessa statura dei gemelli, le<br />
stesse vesti. Gli occhi grifagni lampeggiavano sotto<br />
il berretto. Era coperto di rugiada.<br />
Disse che c’era un esercito di carabinieri a sa<br />
Mossicrosa. Aspettavano. Così raccontava Antonio<br />
Partes e questo pretendeva il sogno.<br />
Laura era svanita e Aldo si sentiva ancora incredulo,<br />
sbigottito, nonostante si fosse dovuto abituare<br />
alle enormità.<br />
Era restato di pietra nel riascoltare le urla im-<br />
96<br />
mani delle donne, il loro salmodiare che parafrasava<br />
invocazioni e incitamenti alla vendetta dietro le<br />
preghiere levate a Dio.<br />
Non sentì pietà per Marta né tantomeno per Teresa<br />
Arbau. Il loro pianto offendeva la pietà. Non<br />
potevano quei fiati pesanti, le gole rauche e quelle<br />
bocche luccicanti di dentiere, non potevano quei<br />
corpi scomposti, essere in parallelo con l’equilibrio<br />
che adesso lui, per un attimo infinito ed eterno,<br />
riusciva a stabilire con i corpi martoriati di Mario<br />
e Salvatore, i suoi vecchi compagni di giochi,<br />
corpi finalmente lavati dalla scoria.<br />
L’aria ritornò irrespirabile.<br />
Tempo dopo, Aldo fu nuovamente fuori, nella<br />
luce del pomeriggio, insieme a Solinas, formiche<br />
insieme alle formiche.<br />
Stavano per separarsi ognuno in chissà quale<br />
direzione quando la macchina degli inseguitori si<br />
fermò proprio davanti a loro, troncandogli la strada.<br />
Scesero due in borghese e la loro attenzione fu<br />
tutta per il cronista. Prima di ficcarlo dentro l’automobile<br />
lo strattonarono e lo buttarono a terra.<br />
Poi lo fecero rialzare prendendolo per le spalle,<br />
come un pupazzo di gomma. Due gomitate sul<br />
muso, in rapida successione, senza neppure dare<br />
alla vittima il tempo di rendersi conto. In men che<br />
non si dica la macchina fece un giro su sé stessa,<br />
puntò in direzione della caserma e scomparve.<br />
Aldo si ritrovò solo con la gente che continuava<br />
a chiedersi e a chiedergli cosa fosse successo e<br />
97
perché e come mai e cosa ci poteva entrare il figlio<br />
di Solinas. C’era già chi diceva che doveva trattarsi<br />
di politica e chi sosteneva invece che lo avevano<br />
arrestato perché doveva aver scritto qualcosa sulla<br />
morte dei figli di Pietro Valdes che non corrispondeva<br />
a verità.<br />
98<br />
Secreta<br />
In una parte della caserma, una stanza che nessuno,<br />
inquisitore ed inquisito, avrebbe in quel momento<br />
potuto misurare, Eugenio Ginevrin si confrontava<br />
con Solinas.<br />
Il magistrato era curvo sopra dei fogli che continuava<br />
a leggere e rileggere. In fondo, in piedi,<br />
c’erano i due carabinieri che avevano prelevato<br />
Solinas a suon di botte.<br />
Finito che ebbe di esaminare i fogli, Ginevrin<br />
si rivolse al cronista in maniera calma e pacata.<br />
Era il suo parlare come una di quelle ouvertures<br />
che all’orecchio dell’ascoltatore arrivano piane<br />
e distese e gli riempiono gli occhi della mente di<br />
laghi piani che non lasciano vedere il fondo.<br />
Questa sensazione iniziale di Solinas contrastava<br />
con il tremito che gli pervadeva le mani, in-<br />
99
taccando un poco la sua calma e sicurezza apparenti.<br />
Si sentiva come pestato, il dolore dei colpi ricevuti<br />
che gli gonfiava dentro senza per questo<br />
impedirgli di stare al suo posto come si deve.<br />
Sapeva che per lui non c’era scampo e decise<br />
di affrontare quest’ultima battaglia a testa alta.<br />
Non era convinto delle rivelazioni fatte ad Aldo<br />
Florit. Aveva inventato tutto perché così gli<br />
imponeva la sua etica, lui che era estraneo al Goya<br />
pur frequentandolo regolarmente.<br />
Tutto doveva essere inventato pur di andare<br />
contro Vittore e i giudici. Chi sa che un giorno<br />
qualcun altro non avesse potuto far tesoro di quell’assurda<br />
testimonianza, l’essere povero dalla<br />
parte dei poveri, che ricorreva alla menzogna pur<br />
di poter affermare la verità. La sua.<br />
L’ingenuità di Aldo, ne era convinto, sarebbe<br />
servita di lievito, il fatto che il dolore per Laura<br />
Valdes e l’attaccamento all’infanzia dei gemelli<br />
morti, avrebbe finito per fare da trama principale,<br />
manifesta, di una storia altrimenti destinata a restare<br />
nascosta, relegata nelle maglie della cronaca<br />
ordinaria, quella che pretende faida e sangue. E<br />
basta. Aveva voluto fotografare i morti, sfidando<br />
il divieto, che già conosceva, di Vittore.<br />
Li aveva voluti fotografare perché la notte prima<br />
aveva visto per davvero le macchine dei carabinieri<br />
passare a luci spente davanti al campo<br />
sportivo, in direzione di sa Mossicrosa. Voleva<br />
100<br />
davvero ubriacarsi quella notte, ricongiungersi al<br />
Goya y Lucientes che bagordava davanti alla stele<br />
di Bacco.<br />
Non ce la faceva più a vivere di solitudine e di<br />
disprezzo. Bisognava fermarsi, dimenticarsi, profanare<br />
e profanarsi finalmente, fare la rivoluzione<br />
come la facevano gli altri.<br />
Il fato, il destino tanto detestato e tenuto a distanza,<br />
aveva fatto succedere quelle morti proprio<br />
quando lui voleva allontanarsene, dalla morte.<br />
Non c’era scampo. Forse ci sarebbe stata un’apertura<br />
se fosse stato fermo, se non si fosse mosso, se<br />
non si fosse precipitato a fotografare.<br />
Tornato a casa, gli dissero che era arrivata giustizia,<br />
a perquisire, e si erano portati via tutto, articoli<br />
e macchina da scrivere.<br />
Il pezzo che teneva pronto, una specie di coccodrillo<br />
per la morte al paese, era quello che gli<br />
mostrava adesso il magistrato. Un pezzo che lo inchiodava.<br />
Per chi sa quale diabolico meccanismo, per chi<br />
sa quali incastri, in quelle cartelle scritte molto<br />
tempo prima, c’erano i nomi dei gemelli Valdes e<br />
del capitano Vittore. Una preveggenza, un esercizio<br />
letterario, un fatto ancora da accadere, che gli<br />
tornava addosso come atto d’accusa.<br />
— So che è corrispondente di un giornale —<br />
esordì il magistrato. — Ho avuto occasione di leggere<br />
i suoi pezzi sulla fabbrica e debbo convenirne<br />
che ha saputo tracciare, non dico un quadro<br />
101
completo, ma una linea storica di genesi, evoluzione<br />
e involuzione di questo sogno fallito. Una<br />
luce che non si è mai accesa, una lampada di Aladino<br />
che ha dato l’illusione di risolvere molti problemi<br />
e poi si è spenta, è scomparsa per sempre. E<br />
quel che è morto insieme alla fabbrica non è, a<br />
mio avviso, il lavoro garantito per tante persone,<br />
ma il sogno, l’utopia, come lei potrebbe suggerirmi,<br />
di concretizzare un più alto grado di coscienza<br />
civile, al passo con i tempi.<br />
— Non mi fraintenda — proseguì osservando<br />
Solinas che a sua volta osservava il magistrato e<br />
notava come i lineamenti di quello dessero l’idea<br />
di un fine ragionatore oltre che, era chiaro, di una<br />
persona che sapeva il suo mestiere.<br />
— Non mi fraintenda. Non sono qui per misurare<br />
il vostro grado di civiltà. Sarebbe come mettersi<br />
contro la dialettica della storia. Quel che io<br />
voglio sottolineare è il vostro stare sospesi a metà<br />
tra la civiltà del computer, potrebbe dirsi, e questa<br />
pastoralità vissuta ancora come duemila anni fa,<br />
nonostante il padrone delle ferriere. Io condannerei<br />
Faus più per aver ratificato questo vostro stare<br />
sospesi che non per il fatto che si è preso i contributi<br />
e poi è scappato.<br />
Un inizio assurdo quello di Ginevrin, tanto più<br />
assurdo in quanto metteva in discussione lo stesso<br />
operato della magistratura.<br />
— Ma allora perché non fa inseguire Faus? —<br />
sbottò Solinas.<br />
102<br />
— Non spetta a noi. Meglio: non spetta a me<br />
— rispose sibillino Ginevrin. — E poi non siamo<br />
qui per giudicare un industriale che è fuggito, ma<br />
per venire a capo di altre oscure macchinazioni,<br />
secondo lei, che riguardano la morte, l’assassinio<br />
dei fratelli Valdes. Si ricordi che lei è in stato di<br />
fermo con l’accusa di aver tentato di diffondere<br />
notizie false e tendenziose.<br />
Il magistrato si interruppe un momento puntando<br />
il dito contro i fogli della scrivania.<br />
— Sono cose — riprese — che se venissero riportate<br />
come le ha scritte, non potrebbero non<br />
creare che sgomento. In tutti. Nella vostra pastoralità<br />
prima che nell’opinione pubblica che si definisce<br />
benpensante. Lei sostiene in pratica che è<br />
stato il capitano Odoacre Vittore ad aver ammazzato<br />
Mario e Salvatore Valdes. Potrebbe essere<br />
l’intermezzo di un brutto sogno.<br />
Anche se in maniera graduale, la partitura musicale<br />
stava cambiando. Entrava in argomento,<br />
come l’acqua che dalla canaletta centrale scende<br />
lungo la linea laterale e poi una volta aperta la zolla<br />
penetra greve nei solchi. I carabinieri in fondo<br />
alla stanza ebbero un sussulto.<br />
— Di questi tempi — riprese Ginevrin — c’è<br />
in giro una compagnia teatrale che rappresenta un<br />
assemblaggio delle opere di Ruzante, Il canto della<br />
terra sospesa. È in questa vostra terra sospesa<br />
che io sto da tanto tempo e voglio stare adesso, anche<br />
se non so di cosa si tratti veramente questa co-<br />
103
sa del Ruzante, oppure potrei anche saperlo senza<br />
per questo volerne parlare con lei.<br />
Il magistrato era entrato nel territorio di Solinas.<br />
Lo attaccava in campo aperto usando lo stesso<br />
modo paradossale di gestire una discussione.<br />
— Lei sa che Marta Valdes lavorava nella fabbrica<br />
dell’altipiano?<br />
— Non vedo nessun nesso.<br />
— Lei sa, come tutto il paese sa, che Marta<br />
Valdes è stata coinvolta in una faida.<br />
— Ma cosa va cercando? Cosa vuole dimostrare?<br />
— E questa Laura Valdes. La conosceva? Laura,<br />
sorella di Marta, di Mario e di Salvatore, figlia<br />
di Pietro, lo stesso che ha ucciso Isteddu Curzu e<br />
poi anche Nunzio Sole, amante di Marta.<br />
— Nessuno a Espiritu ha mai sostenuto niente<br />
del genere — rispose Solinas. — Per quanto posso<br />
sapere, Pietro Valdes non è stato mai arrestato<br />
per l’omicidio di Isteddu Curzu e di Nunzio Sole.<br />
— Non è questo che voglio dimostrare adesso<br />
— lo interruppe il magistrato. — Spetta a voi ricordarla<br />
questa storia, o meglio, questa faida. Vedere<br />
nessi e connessi. Come giustizia siamo stati e<br />
per certi versi continuiamo ad essere impotenti.<br />
Quel che voglio dire è che uno come lei, che conosce<br />
e non giustifica queste cose, non può poi mettersi<br />
a scrivere che è stato un capitano dei carabinieri<br />
ad uccidere due persone che rientrano invece<br />
in un gioco ben più grande, in un intrico che né io<br />
104<br />
né lei riusciamo a contrastare. Mi saprebbe dire<br />
adesso come ha fatto ad inventarsi un articolo del<br />
genere, quali sono le sue fonti? — Eugenio Ginevrin<br />
indicava le carte sopra il tavolo.<br />
— È stata una persona capace di fare sogni —<br />
rispose Solinas — a dirmi come si sono svolti i<br />
fatti, uno che crede alla mamma del sole e al bue<br />
erchitu.<br />
Il tono di Solinas era volutamente paradossale.<br />
Eppure Ginevrin non si scompose.— Quali sogni?<br />
— interloquì.<br />
— Sogni. Sogni. Cose.<br />
— Quali cose?<br />
— La morte alla campagna che come giustizia<br />
non riuscite ad evitare.<br />
— E poi?<br />
— Non può capire. Lei è incapace a capire i<br />
meccanismi di adesione e di rifiuto.<br />
Solinas non si tirò indietro e sostenne la furia<br />
di Ginevrin che si alzava e si abbassava. Questi<br />
d’altro canto comprendeva che sarebbe stato inutile<br />
continuare. Non avrebbe cavato un ragno dal<br />
buco. Tanto valeva allora troncare.<br />
— Lei — disse alla fine, quasi per conto suo, e<br />
però rivolto al cronista — è ufficialmente incriminato<br />
di diffusione di notizie false e tendenziose,<br />
con l’aggravante di…<br />
Solinas non sentiva, non gli interessava più.<br />
Era Ginevrin ad essere più forte. Risultava<br />
vincitore già in partenza e all’altro, inseguito co-<br />
105
me i pastori dai cani della legge, non restava che<br />
rendere sempre più lunga la distanza tra lui e gli<br />
aliti affannati delle bestie che avevano lanciato la<br />
corsa.<br />
Eugenio Ginevrin poteva aver visto i cadaveri<br />
dei gemelli Valdes crivellati di proiettili. Questo,<br />
oltre che costituire un motivo di salvezza per Solinas<br />
avrebbe reso giustizia alla coscienza civile di<br />
Espiritu, continuamente dileggiata dai metodi di<br />
Vittore, che pur distinguendo centro abitato da<br />
campagna, non riusciva, nell’operare concreto, a<br />
separare il grano dal loglio. L’uccisione dei fratelli<br />
Valdes era stato solo un incidente di percorso.<br />
Attraverso una rete di spie e informatori,<br />
Odoacre Vittore era venuto a sapere che un’innominabile<br />
doveva passare quella sera per sa Mossicrosa.<br />
I gemelli, ignorando le varianti e le coincidenze<br />
che anche nell’attività oscura della campagna<br />
possono succedere, erano andati all’ovile per<br />
ricevere un ostaggio da nascondere. La legge degli<br />
opposti che si incontrano li aveva sfavoriti e<br />
così si erano trovati loro sotto il fuoco dei carabinieri.<br />
Quelle raffiche di mitra erano servite ad avvisare<br />
l’innominabile di cercarsi un’altra strada,<br />
di confondersi con la notte.<br />
Odoacre Vittore si era reso conto dell’errore in<br />
ritardo.<br />
Così pensava Ginevrin, mettendo però in conto<br />
il fatto che nell’articolo di Solinas si parlava<br />
non di sa Mossicrosa ma di Paule Maiu e su Ban-<br />
106<br />
zicu, all’opposto cioè, nell’immenso latifondo del<br />
Chiaro Grande. Non era possibile.<br />
Ma allora che senso aveva la testimonianza<br />
fatta poco prima a lui e a Vittore da Giuseppe Dolu<br />
Mainas, nemico dei Valdes? C’erano stati altri<br />
occhi, nella notte.<br />
Io, Giuseppe Dolu Mainas, pastore, dichiaro<br />
di aver visto una pattuglia di carabinieri entrare<br />
nella tanca di sa Mossicrosa nella notte tra sabato<br />
e domenica. Camminavano faticosamente e si<br />
trascinavano dietro qualcosa o qualcuno. C’era<br />
anche il capitano Vittore.<br />
Una testimonianza fatta da uno che scemo non<br />
era e che certamente non voleva avere guai con la<br />
giustizia. Un pastore pensa che un capitano dei<br />
carabinieri non possa fare sbagli. Non di quel tipo.<br />
Almeno fino a quando non succedono.<br />
Ginevrin non sapeva se essere o meno nel giusto.<br />
Era però opportuno evitare che tutte quelle<br />
strane voci sul capitano dei carabinieri prendessero<br />
corpo. Chiudere gli occhi e cucire le bocche bisognava.<br />
Da vestiti, i cadaveri apparivano intatti, a parte<br />
la faccia mangiata dallo sparo, e, come sosteneva<br />
Odoacre Vittore, ad ucciderli erano stati quelli<br />
della fazione avversa, sos porcaglieddos. Bisognava<br />
vendicare la morte di Francesco Mainas, e<br />
forse qualche altra, perché in realtà la faida non si<br />
era mai interrotta dalla morte di Isteddu Curzu.<br />
107
C’erano stati segnali premonitori sempre più frequenti,<br />
graduati da ambo le parti con una intensità<br />
che aveva toccato punte parossistiche. Maiali rubati<br />
e inseguimenti notturni per ritrovarli, gente<br />
insospettabile costretta a risarcire con il denaro<br />
perché colta sul fatto, molto denaro, per non essere<br />
denunciata. Poi ancora pascoli bruciati, bestiame<br />
sgarrettato e sgozzato, una cosa impressionante,<br />
una distesa enorme di pecore sopra il fieno. E<br />
ancora sacchi sventrati, corde per legare uomini e<br />
bestie, comparie inventate nell’arco di una notte.<br />
Tutto un rituale di simboli e di segni che<br />
adesso si riproponevano nella loro drammatica<br />
urgenza.<br />
C’erano però altri proiettili nel corpo dei Valdes.<br />
Lasciato fuori Vittore, la tesi della faida coincideva<br />
alla perfezione. I fratelli Mainas avevano<br />
incontrato i figli di Tomasu Burdu a Tremene ‘e<br />
Chelu. Poi, a su Banzicu erano giunti anche Onorato<br />
e Consolato Reu. All’imbrunire erano calati<br />
sopra sa Mossicrosa e avevano sorpreso i gemelli<br />
che si preparavano per mungere il gregge. Con i<br />
gemelli c’era anche Antonio Partes che aveva fatto<br />
in tempo a fuggire.<br />
“Buttatevi per terra!” avevano ordinato.<br />
“Faccia contro il suolo!”<br />
Si erano presentati mascherati. Il tempo di togliersi<br />
i cappucci e i Valdes si erano trovati con la<br />
canna dei fucili sulla nuca, solo il tempo di sentire<br />
108<br />
che era giunta la loro ora e non avevano scampo.<br />
Poi lo sparo e poi l’eternità. Eugenio Ginevrin poteva<br />
provare solo queste ultime due cose. Il resto<br />
era nebbia da dissolvere. Una cosa che sarebbe<br />
potuta avvenire solo incriminando per falsa testimonianza<br />
Giuseppe Dolu Mainas, il compito più<br />
facile.<br />
Così come luce in più avrebbe fatto la testimonianza<br />
di Aldo Florit, venuto spontaneamente in<br />
caserma a chiedere dell’amico Solinas.<br />
Tutto cardo molle.<br />
Restava Solinas, ecco, questo suo articolo, impubblicabile<br />
certo - aveva pensato bene di telefonare<br />
al direttore del giornale - eppure logico nella<br />
sua assurdità. I proiettili in più non erano stati sparati<br />
dalle machine pistole dei carabinieri ma non<br />
appartenevano neppure al rituale della vendetta.<br />
Nebbia. Ci sarebbe voluto del tempo per diradarla.<br />
Non restava che ricomporsi davanti a Solinas.<br />
La sola cosa che Ginevrin percepisse adesso<br />
con chiarezza era l’andare e venire dei testimoni e<br />
degli indiziati lungo il corridoio della caserma.<br />
— Se recobrò la fiera y espera desde entonces/<br />
hasta que el hombre vuelva — fece il magistrato<br />
cercando di spaventare l’altro.<br />
— Conosce certamente questi versi di Miguel<br />
Hernandez. L’uomo torna indietro e lei pur essendo<br />
a conoscenza di questo vostro ritornare alla<br />
barbarie, prende per buono un sogno e attribuisce<br />
109
la morte di due fautori di faida ad un onesto servitore<br />
dello Stato. Tutto per un indizio costituito da<br />
una macchina fotografica con un rullino bruciato,<br />
una insignificante notazione.<br />
— Io non scrivo di insignificanti notazioni. Il<br />
capitano Vittore è responsabile di queste morti.<br />
Eugenio Ginevrin era calmo adesso.<br />
— Odoacre Vittore non fa altro che il suo dovere.<br />
Non c’era verso di incontrarsi, troppo grande la<br />
divaricazione e nullo il potere di Solinas di contrastare<br />
quello del magistrato.<br />
— Lo chieda al paese cosa pensa del senso del<br />
dovere del capitano, — fu la replica.<br />
Niente.<br />
Ginevrin ordinò di preparare un mandato di<br />
cattura ma l’altro non tremò.<br />
— Vorrei che trovasse tempo — disse il magistrato<br />
a mo’ di congedo, voltando le spalle al cronista<br />
— per riflettere intorno a questo che definiscono<br />
un teorema: la faida. Dopo venti anni, la faida<br />
continua, o meglio, si ripete. Lei conosce la teoria<br />
dei corsi e dei ricorsi.<br />
Anche adesso la regola è stata rispettata. Tutto<br />
si è svolto secondo il normale iter che la morte usa<br />
da queste parti. L’alfa come tendenza all’omega.<br />
Un percorso logico e ben definito. Il nulla che genera<br />
il sempre. Non si ammazza per fame. Tornando<br />
al reale, debbo dire che la perizia necroscopica<br />
ha saputo dare, con esattezza, non solo l’ora e il<br />
110<br />
modo con cui sono stati uccisi i Valdes, ma questa<br />
perizia scagiona pienamente il capitano Vittore<br />
che a quell’ora si trovava molto lontano da sa<br />
Mossicrosa. Questa morte in fondo non fa altro<br />
che ledere in maniera irreparabile tutti i vostri credo,<br />
perché se morte dà morte in questo tempo che<br />
misurate a modo vostro, lo stato dei giusti non può<br />
non impedire che voi continuiate a morire.<br />
Nel clima rovente, al cronista venne di pensare<br />
che Ginevrin sosteneva una ragion di Stato per il<br />
solo fatto di non riuscire a conciliare lo stridere tra<br />
le ragioni del suo affascinante teorema sulla morte<br />
al paese e il ricorso al potere che pure usava in maniera<br />
spietata e terrificante: per perpetuare questo<br />
stato di cose.<br />
In una stanza poco distante, anche Odoacre<br />
Vittore interrogava testimoni e possibili indiziati.<br />
— Criminali! Teste di cazzo! Perché non parlate?<br />
Perché non dite le cose come stanno? Tanto un<br />
giorno farete anche voi la fine di questi due bastardi.<br />
— Ma cosa vuole da noi?<br />
— Che collaboriate.<br />
— Non sappiamo niente.<br />
— Ma tu sei o non sei amico della famiglia dei<br />
morti?<br />
— Per questo vorrei chiedere di lasciarmi andare.<br />
Dobbiamo preparare per i funerali.<br />
— Tu da qui non ti muovi, brutto coglione! Dove<br />
eri all’ora che li hanno ammazzati?<br />
111
— Dormivo a casa mia.<br />
— Scrivi che questo qui si rifiuta di collaborare<br />
con la giustizia.<br />
— Ma io non so niente.<br />
— Il tuo posto è la galera.<br />
Poi passava ad un altro.<br />
— Tu sei Giuseppe Dolu Mainas, vero? — riprendeva<br />
il capitano — e quindi nemico dei Valdes.<br />
— Io mi sono sempre fatto i fatti miei.<br />
— Tu meriti dieci anni di confino.<br />
— Io da certe cose sono tagliato fuori. Non ci<br />
sono mai voluto entrare.<br />
— Allora ammetti che qualcosa bolliva già<br />
nelle vostre menti, nelle vostre teste di criminali.<br />
Tu sai e non vuoi dire.<br />
— Mi lasci andare capitano.<br />
— Alla forca.<br />
— Mi lasci andare.<br />
— Tu non te ne vai fino a quando non dici quello<br />
che sai.<br />
Odoacre Vittore doveva essere esausto nonostante<br />
continuasse ad interrogare con la stessa<br />
grinta, le mani sempre pronte a minacciare il colpo<br />
ai pastori che gli erano passati davanti per tutto<br />
il giorno. Cercava di sbrogliare una matassa e allo<br />
stesso tempo di intricare nuovi fili per rispondere<br />
alla sua esigenza interiore, un’ossessione che gli<br />
imponeva di essere sempre in guerra. Guardandolo<br />
bene, ad Aldo veniva di paragonarlo a quei cri-<br />
112<br />
minali nazisti che da belve nei campi di sterminio<br />
diventavano teneri mariti e padri dentro le mura<br />
domestiche.<br />
Una contraddizione che si ripeteva in quell’ufficio<br />
di caserma, tetro e carcerario nonostante i divani<br />
e le poltrone, la pulizia degli oggetti e qualche<br />
pianta collocata ai lati della scrivania.<br />
I pastori però non erano stati interrogati nell’ufficio<br />
del capitano. Tutti indistintamente, testimoni<br />
e indiziati, erano stati accompagnati a spintoni<br />
e male parole in una stanza attigua che faceva<br />
da archivio. Una sedia per chi interrogava e un’altra<br />
per il carabiniere che verbalizzava.<br />
Gli interrogati dovevano stare in piedi, con il<br />
cappello tenuto tra le mani incrociate, un poco più<br />
in basso del ventre, come segno di rispetto per una<br />
giustizia che voleva incastrarli a tutti i costi e doveva<br />
per forza di cose costruire delle prove.<br />
Queste figure continuavano a conservare il<br />
senso della risposta pronta per qualsiasi tipo di<br />
domanda, un controbattere punto per punto. I pastori<br />
spiazzavano l’avversario con una ingenuità<br />
costruita. A Vittore non sfuggiva, in quelle risposte,<br />
la beffa e l’ironia sotterranea che quelli si potevano<br />
permettere, dosandole di apparente rispetto,<br />
ineccepibile formalmente anche quando<br />
l’altro li aggrediva definendoli criminali e teste<br />
di cazzo.<br />
Si erano presentati in caserma così come li<br />
avevano trovati, molti in giro per il corso, alcuni a<br />
113
casa loro e altri in campagna. Tutti avevano un alibi<br />
e sapevano di averlo e di essere in grado di dimostrarlo.<br />
Quel che il senso del dovere di Vittore non riusciva<br />
ad accettare come termine di confronto era<br />
che per il solo fatto di esistere e di essere uomini,<br />
dentro un determinato contesto sociale, i pastori<br />
avevano come punto di riferimento una casa e la<br />
famiglia e l’amicizia e la voglia di riconoscimento<br />
e di una nominazione. Come uomini di molti altri<br />
contesti sociali, come gente di questo mondo.<br />
Odoacre Vittore era solo un soldato. Magari in<br />
altro ambiente avrebbe potuto portare alla luce diversi<br />
aspetti del suo essere e del suo esistere: tutte<br />
cose che non poteva esternare ad Espiritu, pena il<br />
ridicolo e l’essere additato come uno che non ha<br />
coglioni. Non era neppure da scartare l’ipotesi dei<br />
soliti quattro intellettuali che vedevano in quel carabiniere<br />
cacciatore di taglie e di medaglie un uomo<br />
che magari sognava una statua equestre e a cui<br />
piaceva l’appellativo di sceriffo.<br />
Nel tempo dilatabile che aveva preceduto il<br />
suo interrogatorio, Florit ebbe occasione di dettagliare<br />
da vicino quella faccia schiacciata e ferina,<br />
le braccia lunghissime e le mani enormi, spropositate.<br />
Pensò che in fondo aveva ragione Solinas,<br />
nonostante sapesse la capacità di tessere trame<br />
dell’amico.<br />
“Solinas che bisogna salvare adesso.”<br />
“Ma perché? A chi giova?”<br />
114<br />
“Non capisci. Solinas è parte insostituibile di<br />
te stesso.”<br />
“Come?”<br />
“È la cattiveria necessaria, il fiele, il rancore.<br />
Altrimenti l’amicizia, la solidarietà, lo stare dalla<br />
parte degli ultimi e degli sconfitti, sono solo alibi<br />
e finzioni.”<br />
Le parole del capitano Vittore tagliarono quel<br />
ritorno di sonno. Erano parole che il carabiniere<br />
gli rivolgeva in maniera calma, pacata e signorile.<br />
— Sa lei — disse il capitano — che avrei potuto<br />
farla interrogare in un altro posto? Se ho deciso<br />
di chiamarla qui, nel mio ufficio, è perché so che è<br />
una brava persona e che è fuori da certe cose nonostante<br />
frequenti cattive compagnie.<br />
Aldo aspettò che il capitano continuasse. Non<br />
gli venivano in mente le parole per rispondere.<br />
— C’era anche lei stamattina insieme a quel<br />
cronista, vero?<br />
— Sono qui per questo. Solinas è mio amico.<br />
Eravamo insieme quando è stato fermato.<br />
— Come: è qui per questo?<br />
— Sono venuto per sapere.<br />
— È meglio che lei non si immischi in certe<br />
cose. Perché è venuto qui, veramente?<br />
— Per sapere il motivo.<br />
— Ma è per caso l’avvocato difensore di Solinas?<br />
— Le ho già detto prima — proseguiva Vittore<br />
— che lei frequenta cattive compagnie e professa<br />
115
una ideologia che, diciamo così, mal si addice ad<br />
uno che cerca un posto di lavoro, dopo che anche<br />
per lei la fabbrica dell’altipiano è stato un modo<br />
per passare il tempo. A proposito, dovrebbe sapere<br />
qualcosa sulle bombe contro la caserma.<br />
— Io non so niente di bombe — rispose Aldo.<br />
— Sono qui per Solinas.<br />
Un’altra discussione che sconfinava nell’assurdo.<br />
Vittore si comportava con Aldo come un<br />
fraterno consigliere. Ma non poteva essere che<br />
tutto fosse stato già predisposto e che tutto fosse<br />
stato studiato nei minimi particolari? Una recita<br />
quindi e non un’improvvisazione su un rozzo canovaccio.<br />
— Cosa sa lei — riprese Vittore — della faida<br />
tra i Valdes e la banda dei porcaglieddos?<br />
— Non riesco a capire che cosa voglia dire.<br />
— Eppure so che capisce benissimo.<br />
— Continuo a non capire.<br />
— Non fu suo padre, circa vent’anni fa, il primo<br />
a raccogliere Isteddu Curzu dopo che gli spararono<br />
addosso?<br />
— Mio padre è morto da tanto tempo. Non ha<br />
mai parlato di queste cose. Né, ritengo, ha mai saputo<br />
chi sia stato ad uccidere Isteddu Curzu. Ma<br />
poi cosa c’entra tutto questo con la morte dei gemelli<br />
Valdes?<br />
— C’entra, c’entra. Lei sa benissimo che queste<br />
cose sono collegate.<br />
Aldo si permise allora qualche ironia.<br />
116<br />
— Vedo che è capace di leggere nei miei pensieri<br />
— fece sardonico.<br />
Vittore non perse l’equilibrio e continuò quasi<br />
mellifluo.<br />
— Isteddu Curzu, Ciriaco Partes, Pietro Valdes,<br />
Marta Valdes, Nunzio Sole. Ci possiamo mettere<br />
anche Laura Valdes e Francesco Mainas Zoppeddu,<br />
per arrivare a Mario e Salvatore Valdes.<br />
Non le dice niente questa catena?<br />
Incapace a frenare il sentimento, Aldo quasi si<br />
ritrasse, scomposto.<br />
Vittore fece finta di non vedere e riportò il discorso<br />
alla dimensione originaria.<br />
— Si ricordi — disse — che lei è venuto qui di<br />
sua spontanea volontà. Noi non l’abbiamo cercata.<br />
Perché cacciarsi in un ginepraio senza che nessuno<br />
lo costringa a farlo?<br />
— Nessun ginepraio. Sono qui per Solinas, per<br />
dire che non può essere fermato e arrestato.<br />
— E chi decide questo? Lei?<br />
Vittore usò tutto il potere possibile.<br />
— Solinas, Solinas! Un rompicoglioni! Voi, gli<br />
altri che vi riunite da Zigarru siete anche simpatici.<br />
Ma questo Solinas è un rompicoglioni. Sa che…<br />
No… No. È perfettamente inutile che glielo dica.<br />
— Cosa?<br />
— Solinas l’abbiamo preso per terrorismo. È<br />
lui che ha messo la bomba alla caserma. Coincidenza<br />
ha voluto che il suo arresto sia avvenuto stamattina.<br />
117
Aldo si rese conto che Vittore sviava il discorso<br />
e fu incapace di decidere se questo gli conveniva<br />
o meno.<br />
— Per me — continuava Vittore — Solinas è<br />
soltanto un frustrato che cerca sempre motivi di<br />
rivalsa. Una cattiva compagnia.<br />
Il dialogo si avviava a diventare confronto, un<br />
cozzare muro contro muro, per produrre ancora<br />
assurdità. A Vittore sarebbe bastato sollevare il<br />
tono della voce perché Aldo si sentisse perduto.<br />
Così era convinto il capitano dei carabinieri. In<br />
realtà non si rendeva conto che dietro l’apparente<br />
fragilità, l’altro era più forte di quanto lui ritenesse.<br />
Era proprio la presunta fragilità ad irrobustirlo.<br />
Uno pieno di sicumera, un pastore come quelli<br />
che aveva interrogato prima, ci sarebbe cascato<br />
in quelle domande, se veramente avesse avuto<br />
qualcosa da nascondere. Aldo sapeva il fatto suo<br />
e Vittore invece si convinceva di giocare come fa<br />
il gatto con il topo, prima di ghermirlo e di sbranarlo.<br />
— Non le ha detto niente Solinas di qualche<br />
articolo che stava preparando?<br />
— Su che cosa?<br />
— Boh, così in generale.<br />
— No, non mi ha detto niente. Solinas è geloso<br />
di certe sue cose.<br />
— Ma perché stamattina ha voluto fotografare<br />
i corpi degli uccisi?<br />
— Penso per mandare le foto al giornale.<br />
118<br />
— Bastava chiederle a noi.<br />
Su corv’a meicu, pensò Aldo, il corvo che si<br />
spaccia per medico.<br />
Il sarcasmo di Vittore si faceva sempre più avvertito.<br />
Diventava insostenibile. A Florit non restava<br />
comunque che stare al gioco.<br />
— Avete arrestato Solinas solo perché ha fotografato<br />
dei morti ammazzati? — chiese con il tono<br />
più naturale che gli riuscì.<br />
— Non si possono fotografare morti ammazzati.<br />
— Ma pur ammettendo che questo sia un reato<br />
non mi sembra così grave per arrestare una persona.<br />
— È il giudice che ha deciso.<br />
C’era ancora molto sarcasmo nelle parole di<br />
Odoacre Vittore. Il gatto però non decideva di finire<br />
il gioco. Per quanto tempo ancora poteva prolungare<br />
le moine prima di passare all’attacco? E<br />
se invece di tutto questo almanaccare avesse voluto<br />
soltanto disfarsi di Solinas, una presenza che<br />
iniziava a diventare scomoda?<br />
Aldo non sapeva come proseguire. Non aveva<br />
risposte pronte e le parole gli morivano in gola.<br />
Fu congedato ma non rilasciato.<br />
Il tono di voce di Odoacre Vittore non cambiò,<br />
non assunse toni aspri, quando disse che era meglio,<br />
per la notte a venire e per tutto il giorno seguente,<br />
sino ai funerali, che Aldo restasse dentro a<br />
riflettere.<br />
119
Nessun sospetto per carità, solo misure precauzionali.<br />
C’era ancora il magistrato che doveva sentirlo<br />
e poi bisognava evitare di incontrare Solinas, che<br />
d’altro canto sarebbe stato rilasciato anche lui<br />
presto, una volta avviata l’istruttoria.<br />
Bisognava però impedire che quell’esagitato<br />
soffiasse sul fuoco.<br />
Se ne stesse alla lontana Aldo, d’ora in poi.<br />
Lo condussero in una cella di sicurezza dell’antico<br />
Convento, attraverso un lungo corridoio,<br />
scuro, senza finestre, solo una vetrata opaca che<br />
doveva dare sul garage sottostante.<br />
Poi erano discesi in una scaletta stretta e si ritrovarono<br />
di fronte un portone rinforzato con lamiera<br />
e bulloni.<br />
L’infanzia mai dimenticata ritornava.<br />
Aldo non era ancora nato quando uccisero<br />
Nunzio Sole.<br />
Nunzio Sole che aveva pagato anche per Mainas,<br />
Tomasu Burdu e Isteddu Curzu.<br />
Dicevano che Nunzio fosse un bel tipo, con<br />
due spalle da armadio, ed era anche un grande lavoratore,<br />
servo pastore con Pietro Valdes nel tempo<br />
che il sodalizio tra questi e Isteddu Curzu iniziava<br />
a sgretolarsi.<br />
— The Lolly Madonna war — ripeteva il cinefilo<br />
Aldo.<br />
— Cioè — lo riprese Ginevrin — la guerra di<br />
120<br />
Lolly Madonna o per Lolly Madonna. Cosa vuole<br />
dire?<br />
L’uscita quasi ebete di Florit scompaginava i<br />
piani del magistrato e lo portava a riflettere che<br />
uno poteva prendersi gioco di lui, magari fingendosi<br />
pazzo. Aldo Florit era un pazzo che si inventava<br />
cose più grandi. Eppure gli insinuava nuovi<br />
dubbi. Quasi che quell’intellettuale fallito, non<br />
c’era altra definizione, avesse concertato tutto<br />
con Solinas. Uno fa la parte del savio, l’altro del<br />
matto.<br />
Entrambi però mostravano la stessa maniera di<br />
resistere all’evidenza.<br />
Una mania di persecuzione che li portava ad<br />
un comportamento davvero fuori da tutte le norme.<br />
Il dubbio rimaneva.<br />
E se l’integerrimo magistrato Eugenio Ginevrin<br />
fosse restato vittima di un oscuramento, seppur<br />
temporaneo?<br />
Ma come poteva Odoacre Vittore uccidere o<br />
far uccidere i Valdes, che in fondo erano suoi strumenti?<br />
Gli ritornavano utili nella repressione della<br />
banda dei porcaglieddos. Il sopralluogo a su<br />
Banzicu e Paule Maiu, fatto qualche ora prima insieme<br />
a Vittore, si era rivelato inutile. Non c’era<br />
niente a cui attaccarsi se non quel contraddittorio,<br />
delirante, con il capitano dei carabinieri.<br />
“Qui, secondo Solinas, la sua pattuglia avrebbe<br />
ucciso per errore i Valdes.”<br />
121
“Tanto rumore per stare dietro alle divagazioni<br />
di un povero pazzo.”<br />
“Ne avrà di tempo adesso, in galera, per ricostruire<br />
i fatti. Però, in paese si continua a parlare, a<br />
dire che c’è chi è disposto a dar ragione a Solinas,<br />
a credere ad una sua versione dei fatti.”<br />
“Chiacchiere, frasi lasciate a metà. Il cicaleccio<br />
si esaurisce nell’arco di una giornata di mercato.”<br />
“Già. Ormai non dovrebbero esserci più dubbi.<br />
Tutto è stato chiarito, tutto è chiaro per noi.”<br />
“I conti tornano: Solinas è destinato al manicomio<br />
criminale. Come dicono da queste parti,<br />
non bisogna troppo scherzare né con i santi né con<br />
i pazzi.”<br />
“Né con san Tommaso. Uno può compiere<br />
un’azione sbagliata per fare il proprio dovere. In<br />
determinate situazioni, l’uomo, anche l’uomo in<br />
uniforme, è nervoso, dominato dalla passione.<br />
Ogni ombra può essere concreta, ogni fronda<br />
può stormire per annunciare un pericolo, ogni<br />
persona può essere un bandito.<br />
Supponiamo vera la versione di Solinas.”<br />
“Vuole scherzare? A parte lui, o quell’altro<br />
esaltato di Florit, solo i pazzi di Espiritu, e ce ne<br />
sono tanti, potrebbero dare sostegno a certe fantasie.<br />
Cose di mamma del sole, dicono qui.”<br />
“Già, la mamma del sole e il bue erchitu. Le<br />
ombre appunto. Ci sono o ci potrebbero essere altre<br />
persone che potrebbero dare una testimonian-<br />
122<br />
za ben diversa da quelle che lei ha ricevuto oggi.<br />
E non sono pazzi o poveri di spirito. In fondo,<br />
agli indiziati e ai testimoni, abbiamo dato una sola<br />
alternativa: o il carcere o il silenzio. Deve entrare<br />
in questo ordine di idee capitano. Lei non ha<br />
ucciso i gemelli Valdes. Non ha commesso nessun<br />
errore.”<br />
Da dove si attendeva luce, arrivava nuovo<br />
buio. Altra ombra.<br />
“Sta girando le carte in tavola?” chiese, sorpreso,<br />
Vittore.<br />
“Nient’affatto. È necessario adesso più di prima<br />
fare fronte. Ci sono delle ombre che non possiamo<br />
imprigionare. I corti e i lunghi.”<br />
“Ma allora lei ha dei sospetti. È convinto<br />
che…”<br />
“Non importano i miei sospetti, i miei dubbi o<br />
le mie certezze. Niente deve essere rimesso in discussione.<br />
Ritrovi il suo spirito di guerriero, capitano<br />
Vittore.”<br />
Anche Nunzio Sole era stato ucciso a sa Mossicrosa,<br />
legato ad un albero con filo di ferro spinato.<br />
L’avevano sgozzato a ferro freddo, massacrato<br />
a colpi di scure e poi l’avevano sfregiato, tagliandogli<br />
i genitali e mettendoglieli in bocca.<br />
In paese era uscita la voce che Sole aveva rubato<br />
i buoi di Ciriaco Partes. Altri dicevano invece<br />
che Nunzio Sole cercava di nascondere il figlio<br />
illegittimo di Marta di cui non si era saputo più<br />
123
niente: né se lo avessero buttato in qualche brefotrofio,<br />
né se lo avessero annegato nel fiume.<br />
124<br />
Communio<br />
Odoacre Vittore si era presentato in perfetto<br />
stile gorillesco nella cella di Solinas, come un<br />
qualunque militare da film, in tuta mimetica, la testa<br />
rapata a zero. Lo stesso stile e lo stesso portamento,<br />
la stessa uniforme dei due angeli custodi<br />
che aveva a fianco.<br />
Picchiavano come sanno fare gli aguzzini, con<br />
tutti i trucchi, in maniera che i grumi di dentro non<br />
si vedano fuori.<br />
La cella era diventata per Solinas letto di Procuste<br />
e pau de arara.<br />
A sa Mossicrosa, i Valdes avevano fatto salire<br />
a cavallo Canticheddu e il Barone Rosso, cavalli<br />
senza sella. Al Barone avevano legato gli scarponi<br />
con intestini d’agnello e poi gli avevano aizzato i<br />
cani. Il cavallo impazzito correva. L’altro, dove<br />
125
c’era Canticheddu, si era imbizzarrito e scalciava.<br />
Canticheddu aveva gli occhi pieni di terrore e i<br />
barracelli sparavano addosso al Barone Rosso,<br />
così per divertirsi. I Valdes ridevano a crepapelle<br />
mentre Vittore spiccava un mandato di cattura<br />
contro Chircantoni e Luzianu perché senza autorizzazione,<br />
di notte, gratis, volevano zappare le<br />
vigne e gli orti dei poveri. La stessa notte che i<br />
Valdes rubavano gli scarponi a Sirione Drubula, il<br />
pazzo, e poi, mentre rientravano a sa Mossicrosa,<br />
uno cancellava le orme con una frasca e l’altro ne<br />
faceva delle nuove con una ferula tagliata a forma<br />
di piede d’asino. Era andato Sirione a rubare nella<br />
tanca dei Valdes, Sirione Drubula che nello stanzone<br />
immenso e buio di sa Mossicrosa cuoceva<br />
polenta in acqua fredda e voleva legare i piedi al<br />
cavallo di san Giorgio.<br />
Francesco Solinas non esisteva più. Era precipitato<br />
nelle fosse del fiume verde.<br />
126<br />
Postcommunio<br />
Te decet hymmus Deus in Sion et tibi reddetur<br />
votum in Jerusalem. Exaudi orationem meam ad<br />
te omnis caro veniet.<br />
Cantavano i funerali dei Valdes. La visione<br />
iniziale che se ne poteva avere era identica al<br />
bianco/nero dei funerali di Salvatore Carnevale,<br />
così come lo descrivono i fratelli Taviani, una folla<br />
schiacciata sul fondo della strada, immobile eppure<br />
impercettibilmente e maestosamente avanzante<br />
contro l’occhio della macchina da presa<br />
mentre la banda suona l’Internazionale.<br />
Una folla che sfida la mafia.<br />
Questa folla immensa, invece, che seguiva il<br />
camion di Antonio Partes, con i feretri sommersi<br />
di corone di fiori, sfidava il senso stesso della pietà.<br />
Aveva iniziato a formarsi la mattina e a diveni-<br />
127
e, persona che si aggiungeva a persona, nucleo a<br />
nucleo.<br />
Le campane rintoccavano il suono di errer a<br />
pare. Le porte delle case si aprivano e gambe di<br />
uomini le varcavano in ripetizione. Le donne acceleravano<br />
il ritmo del loro agghindarsi. Code di<br />
macchine si formavano agli imbocchi delle strade,<br />
gente che arrivava da fuori per esternare un<br />
dolore che tutti sentivano come può essere sentito<br />
dalla coscienza di nessuno. Si erano fermati i<br />
macchinari delle falegnamerie e i martelli elettrici<br />
dei marmisti. Maestri e manovali avevano raccolto<br />
gli arnesi e correvano a casa per cambiarsi.<br />
Il paese era fermo, immobile, anche se l’occhio<br />
fatto attento di Florit poteva cogliere il compatto<br />
incedere dei piedi e dei corpi, indistinti, di<br />
uomini e di donne dietro il camion che avanzava<br />
lungo il corso, lo stesso camion che molti anni prima,<br />
quando Aldo era bambino, sbucava all’improvviso<br />
nelle curve di Mole Tricu.<br />
Era un giorno di temporale estivo e il camion<br />
aveva un muso grande come quello del bue erchitu.<br />
Correndo lontano, Aldo Florit era riuscito ad<br />
arrivare ai sotterranei della vecchia chiesa della<br />
foresta di pietra per finire poi alla biblioteca. I cataloghi<br />
erano inerti, sembravano le guglie della<br />
fabbrica distrutta.<br />
Fu allora che iniziò a comprendere, a scoprire<br />
la verità sulla morte dei gemelli. Una verità inizia-<br />
128<br />
ta tanto tempo prima e poi interrotta, come capita<br />
a molte strade che portano al luogo giusto.<br />
La notte che uccisero Isteddu Curzu, Sebastiano<br />
Florit stava per attraversagli la strada. Lo sparo<br />
rintronò in testa e il lampo delle fucilate lo accecò<br />
per un attimo infinito ed eterno.<br />
Poi si riprese per accorgersi che Stella Corta<br />
moriva, era già morto.<br />
Sebastiano si caricò addosso quell’ossessione<br />
per sempre, con in più il rimorso di aver portato la<br />
moglie a vedere l’ucciso.<br />
Un’ossessione che dissimulava nell’ombra e<br />
nel silenzio, di cui si liberò una sera, l’unica volta<br />
che ritornò a casa ubriaco.<br />
Parlava in suspu, per metafore e indovinelli.<br />
“Risolvimi questo enigma, tu che hai studiato”<br />
disse ad Aldo:<br />
Sole che annunci<br />
le stelle corte<br />
a campo frosone<br />
gira la sorte<br />
Giuanne Michelli<br />
Pretu longheu<br />
de partes duas<br />
ne achen tres<br />
coccotraustés coccotraustés.<br />
Sebastiano ebbe una risata agra, quasi consapevole<br />
dell’enormità che proponeva, e dirottò il<br />
nonsense su altri territori.<br />
Dopo, Aldo stette tanto tempo senza risponde-<br />
129
e e anche lui si portò dentro l’enigma propostogli<br />
dal padre. Enigma e insieme profezia.<br />
— Caino, dove sei Caino?<br />
Aldo aveva iniziato a salire al piano di sopra<br />
della biblioteca.<br />
Giù, molto più giù, nella chiesa di san Giorgio,<br />
si era spento il suono dell’organo e si sentiva il vescovo<br />
che aveva iniziato a predicare. La voce del<br />
vescovo saliva mentre Aldo si aggirava tra gli<br />
scaffali con i libri di linguistica e di linguaggio.<br />
— Caino! Dove sei? Caino!<br />
Il tono del vescovo era da attore consumato, un<br />
basso cupo, quasi rauco, che diventava crescendo<br />
di ira sacerdotale. Chiedeva redde rationem al popolo<br />
ammassato e compresso dentro la chiesa, in<br />
un silenzio irreale, percorso da fremiti e singhiozzi.<br />
Poi venne il vento.<br />
Il muggire del bue erchitu salì le scale e zigzagò<br />
tra gli scaffali. Aldo ebbe paura ma non fuggì,<br />
quasi si sentisse al riparo in mezzo a quei libri. Lo<br />
capiva adesso, il suono del vento, il senso del<br />
mugghiare.<br />
Un vento che soffiava con la stessa intensità<br />
della notte in cui uccisero Isteddu Curzu e di quell’altra,<br />
appena ieri, quando era toccato ai figli di<br />
Isteddu, le stelle corte, morire. Non uno era il frutto<br />
dell’amore con Marta Valdes. Erano due, partes<br />
duas. Una rivelazione tanto più assurda quanto<br />
più vera.<br />
130<br />
Mario e Salvatore Valdes erano i figli illegittimi<br />
che Marta aveva avuto da Virgilio Ruinas,<br />
alias Isteddu Curzu.<br />
A Pietro Valdes che già sapeva lo annunciò un<br />
giorno Canticheddu, avvolto nella mantella nera,<br />
il basco protuberante, di quando inveiva con ahi<br />
Pisa e beveva lo spirituale.<br />
Anche quel giorno mugghiava il bue erchitu.<br />
Il postino dell’amore consegnò a casa di Pietro<br />
Valdes una busta senza mittente, una lettera che<br />
Zudeu longu aspettava. Era di Nunzio Sole: sole<br />
che annunci.<br />
Gli raccontava, il servo pastore, stallone di<br />
Marta, consapevole di dover andare a morire, una<br />
storia che Pietro Valdes voleva non fosse mai accaduta.<br />
Impossibile. Nunzio Sole tagliava la pietra<br />
in tasca, sapendo già come lo avrebbero sfregiato<br />
per il suo rivelare. Sapeva anche chi lo avrebbe ucciso:<br />
Pietro Valdes, Zudeu longu-longheu, e uno<br />
dei suoi temporanei alleati, un Partes magari.<br />
Ma nessuno, neppure la mamma del sole<br />
avrebbe potuto impedire che i gemelli fossero figli<br />
di Isteddu Curzu.<br />
Non potrai nasconderlo per sempre, Pietro<br />
Valdes. Dovrai finalmente dire ad Espiritu perché<br />
Teresa Arbau e Marta tua figlia sono andate via<br />
per un tempo lungo quanto una gravidanza.<br />
Da quella nascita non voluta generarono le<br />
morti, le due parti che ne riproducono tre e molte<br />
altre.<br />
131
Tutto tornava alla profezia di Sebastiano Florit.<br />
Ma chi aveva ucciso i gemelli?<br />
— Caino! Dove sei? Caino!<br />
La voce del vescovo sovrastava il mugghiare<br />
del bue e poi scompariva, quasi non si sentiva più.<br />
Tacque anche l’erchitu, e Aldo Florit ne approfittò<br />
per cercare in mezzo ai libri.<br />
Restavano tre versi dell’enigma di Sebastiano:<br />
a campo frosone;Giuanne Michelli e coccotraustés<br />
coccotraustés.<br />
Niente di più astruso se non si sa dove può essere<br />
la chiave.<br />
Forse per caso, forse perché cercava da sempre,<br />
Aldo ritrovò in biblioteca una copia del libretto<br />
legato con lo spago, conservata nell’armoire di<br />
casa sua e che mai aveva aperto,se non in quel sogno<br />
fatto in piedi, il racconto di Antonio Partes<br />
sulla morte dei gemelli. Il libro di M.F.M. Meiklejohn,<br />
Giuanne Michelli, era un testo di poche pagine,<br />
autografato dallo stesso autore, un saggio<br />
sugli uccelli e sui loro nomi.<br />
“Il frosone, Coccothraustes coccothraustes,”<br />
c’era scritto nel foglio 23, “è forse più comune in<br />
Barbagia che in alcun’altra parte del mondo. È sedentario.”<br />
“A Scano”, continuava il Meiklejohn, riceve il<br />
nome proprio Bachisio, Bakkis pikkulirussu,<br />
mentre a Nuoro è chiamato pizzigrussu, a Mamoiada<br />
pizzigrussu verenosa, a Orani pizzigrussa, a<br />
Orotelli pizzichigrussu, a Dorgali pittuligrussa, a<br />
132<br />
Oliena pittigrussu, a Desulo piccirussu, a Fonni<br />
pittiri.”<br />
Per ultimo c’era il nome con cui chiamavano il<br />
frosone a Espiritu: mossicrosa, dal becco grosso,<br />
dal morso grosso, con allusione all’enorme becco<br />
della specie e anche alla violenza del suo morso.<br />
Mossicrosa, campo, tanca, coccothraustes<br />
coccothraustes, frosone, campo di sorte, campo di<br />
morte.<br />
Anche Laura Valdes era un frosone e questo<br />
Sebastiano non lo sapeva, non poteva saperlo.<br />
Laura era stata Mossicrosa solo per Aldo. Solo<br />
una volta.<br />
L’aveva così chiamata da bambina, una volta<br />
che gli si era avventata addosso con violenza e<br />
l’aveva morsicato.<br />
— Mossicrosa mossicrosa — scandiva Aldo.<br />
Il bue erchitu intanto riprese a mugghiare<br />
adesso che il vescovo aveva finito di benedire i feretri<br />
e la folla si era aperta per farli passare insieme<br />
a Laura Valdes.<br />
Ma non era morta Laura Valdes?<br />
Laura Valdes suicida non per amore, Laura<br />
Valdes che si era uccisa dopo aver scoperto i segreti<br />
della famiglia.<br />
Il dolore si riacutizzò.<br />
“Non sono miei fratelli… Cercala a sa Mossicrosa<br />
questa gente di faida… questi possessori del<br />
corpo…”<br />
Laura Valdes suicida dopo essere stata violen-<br />
133
tata da Mario e Salvatore nel granaio della casa di<br />
Mole Tricu. Laura Valdes resa corpo, e che aveva<br />
scoperto che quei due che la possedevano non erano<br />
suoi veri fratelli, loro sì convinti, invece, di potersi,<br />
attraverso la figlia e la sorella, vendicarsi del<br />
padre. Pretu Zudeu longu li sfruttava senza dare<br />
mai il giusto. Li rendeva bestie più del dovuto. Poi,<br />
Mario era riuscito a farsi da parte, ad affrancarsi<br />
quasi. Ma la sua morte, già iniziata, aveva continuato<br />
ad avverarsi in quella violenza fatta alla presunta<br />
sorella. La sua e quella del gemello Salvatore.<br />
Per Aldo era come se fosse ritornato Solinas<br />
con le sue assurdità.<br />
Si spostò verso i libri del cinema.<br />
— Mossicrosa mossicrosa — continuava a dire.<br />
Come quella volta che Laura passava nel corso,<br />
splendida dea, e lui, Florit, ubriaco da non poterne<br />
più, reggeva i muri attorniato dal Goya y Lucientes.<br />
Erano sotto i cartelloni di un film, un western.<br />
Solo che adesso non gli veniva il titolo che fino ad<br />
un attimo prima ricordava. Proprio adesso doveva<br />
capitare, adesso che era vicino alla soluzione.<br />
Il vento si fece più forte e invece che spegnere<br />
riattivò la memoria. Aldo rivide lo sfondo rosso<br />
del manifesto e ricordò il titolo del film: Gli uomini<br />
dal passo pesante. Le parole dette tante volte<br />
solo per sentire il suono, gli ritornavano adesso<br />
piene di senso.<br />
“Gli uomini dal passo pesante”, recita il quar-<br />
134<br />
to volume del dizionario filmico Rusconi, “un<br />
western all’italiana del 1966, con un soggetto abbastanza<br />
originale, derivato da un racconto americano.<br />
Dopo la guerra civile, un potente allevatore<br />
texano boicotta i vincitori nordisti usando mezzi<br />
estremamente violenti. Quando il figlio si oppone,<br />
il padre scatena una strage.”<br />
Gli si erano opposti, i burdos, gli illegittimi di<br />
Isteddu Curzu, a Pietro Valdes.<br />
Volevano che dividesse subito, senza aspettare<br />
che fosse morto. Pretendevano la parte dovuta,<br />
una, due, tre volte tanto, di eredità.<br />
Si erano ribellati i figli, che sapessero o no di<br />
essere suoi nipoti.<br />
E poi c’era Laura, quell’altra bagassa, che si<br />
erano presi. Non gli bastava?<br />
Laura promessa ad Antonio Partes che aiutò<br />
Pietro, insieme a Luisi, a uccidere Mario e Salvatore,<br />
a sa Mossicrosa.<br />
Prima li processarono. Li fecero spogliare e<br />
stendere a faccia a terra. Ordini secchi e concisi.<br />
Le vittime sapevano già quella che sarebbe stata<br />
la loro sorte. Un processo fatto di silenzi.<br />
Ai gemelli spararono addosso, in varie parti<br />
del corpo e poi li finirono con una fucilata sulla<br />
nuca.<br />
Senza emozioni, freddi, li rivestirono e così li<br />
lasciarono per un’intera notte e per tutto il sabato<br />
successivo.<br />
Più tardi, Antonio Partes diede toccamento alla<br />
135
giustizia che subito si mise in moto. Fu allora che<br />
Solinas vide le macchine a fari spenti dirette a sa<br />
Mossicrosa e fu allora che si mise a inventare.<br />
Chiunque avrebbe potuto inventare, chiunque<br />
avesse in odio la presenza dei carabinieri e coltivasse<br />
questo sentire facendolo prevalere su tutto e<br />
su tutti.<br />
Aldo non sapeva della testimonianza di Giuseppe<br />
Dolu Mainas, ma arrivato a quel punto non<br />
gli sarebbe più potuta interessare. Questa era la verità<br />
e gli bastava. Nonostante sapesse che chiunque<br />
avrebbe potuto vedere morti anche dove non<br />
ce ne erano.<br />
Chiunque avesse avuto in sorte di abitare ad<br />
Espiritu, dove la storia fatta di concretezze e di<br />
percorsi logici si concedeva, a intervalli irregolari,<br />
assurdità e visioni. In una di queste era capitata la<br />
morte di Mario e Salvatore Valdes, elementi di una<br />
famiglia minata dal male.<br />
The Lolly Madonna war.<br />
Nel dizionario risaltava un’altra trama: E la<br />
terra si tinse di rosso. Per il possesso di un corpo,<br />
per la bellezza di una donna capace di scatenare la<br />
belva.<br />
Nessuno poteva fermarli, neppure la mamma<br />
del sole che pure rinforzava la belluinità e la ferocia.<br />
Gli uomini del passo pesante avrebbero continuato<br />
a uccidersi tra di loro, a consumare vendette<br />
all’interno del circuito.<br />
136<br />
Uccisi, Mario e Salvatore, ammazzati con sapienza,<br />
i rituali e i codici ammodernati, adeguati<br />
alla società dei giornali e della televisione.<br />
Tutto doveva poi ritornare al teatro tradizionale,<br />
alla recita sopra i corpi.<br />
Figlio adorato<br />
il fiore più stimato.<br />
Continuava la strage. Il mugghiare del bue erchitu<br />
diventava famigliare per le orecchie di Aldo<br />
Florit, lui che per cercare l’ombra aveva percorso<br />
tutta la foresta di pietra, il suo comprensibile ed<br />
incomprensibile. Florit che non aveva mai accettato<br />
il fatto che Laura non lo potesse amare. Perché:<br />
se lui era uno che combatteva contro i figli<br />
delle tenebre? Lui che non accettava ancora il senso<br />
di quella morte?<br />
Aveva coltivato infrazioni al silenzio, aveva<br />
rubato al domani l’ossessionato schema e Laura si<br />
bistrava davanti agli specchi dell’inganno.<br />
Nessuno sapeva più la via della consolazione<br />
eppure Florit continuava a cercarla.<br />
Laura si era perduta dentro le ragioni della memoria<br />
e lui, fiore di cardo cresciuto tra i fiori dell’opportunismo,<br />
si ostinava in vane attese, cercando<br />
significati diversi dall’impotenza e dal gelo.<br />
Nel sonno, solo nel sogno, i giullari del Goya y<br />
Lucientes uccidevano il re.<br />
Solo che i sogni si erano persi nel mare e avevano<br />
risalito la corrente del fiume verde per inaridirsi<br />
nei giardini sterili di un presente dove non<br />
137
iuscivano, né Aldo, né gli altri del Goya, a minare<br />
il luogo dei tenutari dell’ombra, a distruggere il<br />
grave sonno che partoriva sempre e solo la notte.<br />
Aldo continuava a brancolare insieme ad altri<br />
gnomi ghignanti disprezzo, buffoni per amore di<br />
verità.<br />
Si consumava nell’angoscia e Laura non riusciva<br />
a sorridergli. Non sarebbe venuta a trovarlo,<br />
adesso che era nuovamente avvolto in una trama<br />
oscura. Illusione era stata, la luce.<br />
Laura non gli avrebbe chiesto come si sarebbe<br />
riparato dalla pioggia che penetrava nei muri e li<br />
corrodeva.<br />
Venne il gelo, all’ora dei funerali, dopo che il<br />
vescovo benedisse le salme. Un gelo che fece diventare<br />
di cristallo anche il vento.<br />
Poi arrivò l’estate, canicola di luglio adatta al<br />
passare del corteo, immenso, smisurato, lungo il<br />
corso.<br />
Confuso in mezzo alla folla, Aldo Florit seguiva<br />
il camion di Antonio Partes diretto al cimitero.<br />
Era lo stesso camion del giorno del temporale<br />
e assomigliava alla mamma del sole quando esce<br />
a mezzogiorno per portarsi via i bambini.<br />
138<br />
INDICE<br />
139
140<br />
INDICE<br />
<strong>LA</strong> <strong>MAMMA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>SOLE</strong><br />
11 Introitus<br />
17 Oratio<br />
23 Collecta<br />
27 Sequentia<br />
61 Offertorium<br />
87 Secreta<br />
109 Communio<br />
111 Postcommunio<br />
141
142<br />
143
Finito di stampare nel febbraio 1995<br />
presso Studiostampa Nuoro<br />
144