LA MAMMA DEL SOLE - Sardegna Cultura

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15.04.2013 Views

NATALINO PIRAS LA MAMMA DEL SOLE IL MAESTRALE

NATALINO PIRAS<br />

<strong>LA</strong> <strong>MAMMA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>SOLE</strong><br />

IL MAESTRALE


NARRATIVA<br />

1


PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />

© EDIZIONI IL MAESTRALE 1995 NUORO<br />

ISBN 88-86109-08-3<br />

2<br />

NATALINO PIRAS<br />

La mamma del sole<br />

IL MAESTRALE<br />

3


4<br />

5<br />

A chi per dieci anni<br />

ha inseguito questa storia


6<br />

7<br />

E adesso non chiedetemi<br />

se sia giusto<br />

o iniquo<br />

raccontare vero e falso<br />

ripetere sonno e sogn.


8<br />

Introitus<br />

L’ombra. Si condensava a Chentomínes, all’inizio<br />

e alla fine delle strade che portavano a Ossidiana,<br />

i punti estremi della foresta di pietra, sopra<br />

Espiritu.<br />

Rivu Virde, il fiume verde, metteva in comunicazione<br />

l’alto e il basso, l’oscuro e l’invisibile, le<br />

pozze d’acqua sparse lungo la risalita e i fuochi accesi<br />

dalle janas nelle viscere del tempo. Tutto, il<br />

bene, il male, il senso del niente e dell’onnipotenza,<br />

veniva conservato dentro la foresta, i giorni di<br />

sempre e quelli straordinari. Per sapere bisognava<br />

però avere la forza e la capacità di risalire, leggere<br />

e decifrare i segni delle stanze, le profezie avveratesi<br />

oppure perdute, trame senza conclusione, custodite<br />

nella chiesa e nella biblioteca della foresta<br />

di pietra.<br />

9


A Ossidiana, l’origine e il rifluire del fiume e<br />

della foresta, uno avrebbe potuto interrogare le janas,<br />

per conoscere, finalmente. L’acqua agitata rifletteva<br />

le danze d’argia del cielo e della parte di<br />

terra che confinava con la biblioteca, la terra dei<br />

corti, dei lunghi, della mamma del sole e del bue<br />

erchitu.<br />

Le fate ballavano dentro la profondità delle cale<br />

e tessevano le stesse trame di solitudine che collegavano<br />

la loro natura impalpabile alle leggende<br />

dei morti.<br />

Allora si formava la nebbia che dopo essersi<br />

condensata nelle biforcazioni della foresta ridiscendeva<br />

ancora, fitta e impenetrabile, attraverso i<br />

capannoni in disarmo della fabbrica distrutta e<br />

lungo le curve di Surváres, dove soffia il vento, e<br />

più giù ancora al Chiaro Grande, nelle tanche di<br />

Calavrína, Bachis Grussu e sa Mossicrosa. In giorni<br />

di tempesta, il vento si trasformava nel mugghiare<br />

del bue erchitu, un fragore sovrapposto a<br />

quello delle acque invernali, le correntine della<br />

cussorgia che andavano a buttarsi nel tratto del fiume<br />

chiamato mannu: come segno di distinzione<br />

dagli altri corsi che pure innervavano la campagna<br />

di Chentomínes. D’estate seccava e bisognava<br />

aspettare la primavera successiva perché il Chiaro<br />

Grande si rianimasse, capace l’erba di nascere persino<br />

sulle guglie della fabbrica distrutta e di ricoprire<br />

i fossi della piana che comunicavano con gli<br />

occhi scuri della foresta di pietra, senza fondo,<br />

10<br />

inaccessibili. Dicevano che da quell’altro mistero<br />

fossero usciti, nel tempo senza tempo, i corti e i<br />

lunghi, tenutari d’ombre al servizio della mamma<br />

del sole e del bue erchitu, e avessero insegnato loro,<br />

alle fate, i giorni in cui dovevano ballare, disponendo<br />

la riga del dolore come il tronco e le<br />

zampe dell’argia.<br />

— Nebbia, solo nebbia — ghignava Solinas.<br />

Aldo Florit ci credeva invece. Era costretto.<br />

Nella strada di comunicazione tra le terre del<br />

Chiaro e la foresta, lui cercava Laura Valdes, dentro<br />

il paese fatto ad immagine e somiglianza della<br />

parte invisibile di Chentomínes, dove l’oscuranza<br />

si colorava di inquietudine e di impotenza.<br />

Quante storie aveva attraversato Florit senza riuscire<br />

ad imparare.<br />

Nelle parti visibili del fiume verde inseguiva<br />

Moby Dick e il guizzare nell’acqua del magnifico<br />

animale, scaglie dorate e altri colori fuggenti, gli<br />

davano il fremito.<br />

Aldo Florit doveva essere nato in età fredde,<br />

destinato a vivere e nutrirsi di giorni impossibili,<br />

ad abituarsi all’assurdo.<br />

Di questo era fatto il suo quotidiano, il ripetersi<br />

di vicende dove un altro, meno sognatore e più<br />

portato al calcolo, non avrebbe resistito. Si sarebbe<br />

ribellato perlomeno.<br />

Florit invece sopportava il tempo e di questa<br />

stoicità a vivere a rovescio faceva corazza.<br />

Non aveva l’aspetto di un guerriero anche se<br />

11


Solinas quando era in buona lo chiamava ambasciator<br />

pellita: a sottolineare la stranezza del tratto<br />

fisico, scuro di faccia e occhi infossati, e insieme<br />

il fluire della parola che succedeva a lunghi periodi<br />

di silenzio, quasi di mutria.<br />

Faceva allora discorsi strambi.<br />

— Nebbia, solo nebbia — ripeteva Solinas,<br />

mai convinto, e Aldo si sentiva perduto. Solinas,<br />

insegnante di lettere alle scuole medie e cronista<br />

per un quotidiano di Cagliari, aveva sempre la<br />

battuta pronta a ferire, adatta a tagliare la pietra in<br />

tasca, a troncare quell’abitudine a sognare che<br />

nella vita di Florit, disoccupato intellettuale si definiva,<br />

era diventata metodo.<br />

Il cinico Solinas, sempre scontento, capace di<br />

creare tragedie per un nonnulla, di cacciare per un<br />

inezia sé stesso e chi gli stava vicino in un ginepraio,<br />

non capiva il disagio del cinefilo Aldo. Cinofilo,<br />

precisava il cronista, quando Florit si entusiasmava<br />

per questo o quel film e gli piaceva sentire<br />

la propria voce che scandiva magari “the lolly<br />

madonna uòr” o “gli uomini dal passo pesante”.<br />

Anche per questo Solinas irrideva.<br />

— Non è cosa per te il cinema. Non ci capisci<br />

niente. È come quando Chircantoni e Luzianu<br />

fanno derivare sa cozzichina, le radici secche, dalla<br />

Concincina.<br />

Gli altri, i sognatori del Goya y Lucientes, facevano<br />

branco e con il loro approvare la ferocia,<br />

ferivano ancor più Aldo che d’altro canto, per po-<br />

12<br />

ter continuare a sopravvivere, non poteva fare a<br />

meno di quel tipo di amicizie e di frequentazioni.<br />

Gli sfasati del Goya, tutti rossi e spalle a Dio,<br />

credevano anch’essi a Moby Dick, anche se non<br />

con la stessa intensità di Florit.<br />

Quel che li rodeva era non riuscire a possedere<br />

del tutto l’ingenuità dell’altro, il fatto che Aldo<br />

Florit, quel coglione che non sa neppure camminare,<br />

fosse l’uomo, l’amante di Laura Valdes, magnifica<br />

dea.<br />

Li rodeva che Florit non parlasse mai con loro<br />

di questo amore. Nessuno era mai riuscito a vederlo<br />

insieme a Laura Valdes, almeno una volta.<br />

Correva sì la fama di questo legame e nel circolo<br />

dei sognatori, presente o no Aldo, le battute<br />

si succedevano alle saettate, ma tutto cadeva nel<br />

vuoto.<br />

Parole che non attaccavano né ai muri né alle<br />

porte e che ritornavano a chi le aveva emanate ancor<br />

più cariche di dubbio e di interrogativi. Come<br />

le ombre del cinema dopo la proiezione al circolo<br />

Zigarru.<br />

Ogni giorno dicevano di un nuovo amante per<br />

la figlia di Pretu Zudeu longu, pastore dai tratti ferini<br />

e degno genitore, talis pater, di Luisi e dei gemelli,<br />

che appartenevano anima e corpo alla campagna<br />

e ai suoi codici, alla foresta di pietra abitata<br />

dai corti e dai lunghi.<br />

A volte affascinava, Aldo, con queste sue comparazioni<br />

tra il vero e l’immaginario: l’effet de ré-<br />

13


el o la metafisica del reale, diceva a secondo dell’ispirazione<br />

o del grado di cottura da vino e altri<br />

alcolici. Beveva molto Aldo. Come tutto il resto<br />

del Goya d’altronde, a parte Solinas che non si<br />

ubriacava mai. Non ne aveva bisogno anche perché<br />

non esistevano per lui amori da coltivare,<br />

brutto da sembrare il peccato.<br />

Aldo sì, invece, che pur vivendo al rovescio<br />

cercava di dargli un senso, di ricavarci una storia.<br />

Comprendeva che le janas stavano rompendo<br />

le acque e risalivano verso il cristallo dei giorni.<br />

Era come se lo avessero fatto tornare bambino,<br />

legato alla croce dei viandanti, nel confine tra sa<br />

Mossicrosa e Lassanis. I nemici di Porzu Uscra lo<br />

avevano fatto prigioniero e dopo la danza come<br />

gli indiani del cinema, sollevando in alto archi di<br />

sambuco verde, gli avevano scagliato addosso<br />

frecce di raggi d’ombrello, piagandolo come il<br />

san Sebastiano chiuso nella teca davanti alla casa<br />

di Gianuario Arca.<br />

Si era sentito perduto, Aldo Florit, nelle orecchie<br />

il muggire del bue erchitu, fino a che non era<br />

arrivato Pietro Valdes a salvarlo.<br />

Quegli occhi verdi, di sacerdote e di indovino,<br />

che lo fissavano irridenti, pesanti e malvagi, mentre<br />

le mani lo scioglievano dalla croce, se li era<br />

portati sempre dentro, le grida dei nemici messi in<br />

fuga dall’apparire di zio Pietro.<br />

“Bella cosa che uno di Mole Tricu sia angariato<br />

dai remitanos di Porzu Uscra. Qui a sa Mossi-<br />

14<br />

crosa, poi. Guai a te sai se ti lasci nuovamente catturare!”<br />

Rideva Pietro Valdes, un riso tagliente.<br />

Era maggio allora, lo stesso giorno di Pentecoste,<br />

pasqua dei fiori che cadeva a fine mese, lo<br />

stesso tempo.<br />

Lungo il confine tra Lassanis e sa Mossicrosa,<br />

la nebbia penetrava nelle fenditure dei muri a secco,<br />

pietre di un tortuoso serpente che si perdeva<br />

nel verde, e poi, oltre le guglie, negli occhi senza<br />

fondo dei corti e dei lunghi. Mario e Salvatore<br />

Valdes, i gemelli, premevano le bocche sugli asfodeli<br />

non ancora secchi e avevano le braccia allargate<br />

a croce.<br />

Indossavano vesti di campagna, le stesse che<br />

avrebbero portato addosso per sempre, adesso che<br />

anche per loro avevano fatto posto nella foresta di<br />

pietra.<br />

15


16<br />

Oratio<br />

Dopo la nebbia, la giornata si era fatta chiara,<br />

un cielo azzurro terso.<br />

Espiritu era percorso da tremori di freddo residuo<br />

che scuotevano il torpore dell’alba, dopo la<br />

notte d’alcool del sabato. Aldo Florit aveva la testa<br />

annebbiata di vino e di tabacco e non gli dava<br />

fastidio lo scaracchiare fastidioso di Solinas, metodico<br />

quanto il girare lungo la piazza di Chircantoni<br />

e Luzianu.<br />

Bagliori strani e raggi di sole illuminavano le<br />

vetrate delle case, una luce irreale. I muri, interrotti<br />

da spaccature di vicoli, costruivano un gioco<br />

di toni e semitoni, oscuranze che contrastavano la<br />

luce e il silenzio. L’aria si faceva verde, rarefatta,<br />

adattabile come visione alle idee di Florit che pensava<br />

ancora, quella mattina di Pentecoste, di esse-<br />

17


e come Lancelot du lac che ritorna sconfitto dalla<br />

cerca del Graal. Indegno del calice e di Laura Valdes.<br />

Il Graal, ne era sicuro, lo custodivano sas janas<br />

dentro la foresta di pietra.<br />

— Ha aperto Varigotti, — fece Solinas — un<br />

caffè è quello che ci vuole dopo le prime pagine<br />

dei giornali. Veleno con veleno non fanno male. E<br />

tu che vuoi diventare impiegato della menzogna,<br />

raccoglitore di tutta la bumbula che ogni notte<br />

convoglia verso Cagliari o sale a Sassari. Piuttosto,<br />

soldi ne hai per invitare o te li sei bagassati<br />

tutti con le elette schiere del popolo di Chentomínes,<br />

che muore se non beve?<br />

I bar erano ormai tutti aperti, pronti a contenere<br />

nuove folle.<br />

Alle undici, dopo l’uscita dalla messa maggiore,<br />

molti si sarebbero riversati dentro i templi disposti<br />

in fila lungo la strada principale.<br />

Aldo Florit e Solinas erano seduti fuori, da Varigotti.<br />

Nell’attesa si erano messi a osservare<br />

Chircantoni e Luzianu che giravano lungo la piazza,<br />

Chircantoni e Luzianu, due peripatetici senza<br />

scuola.<br />

La folla iniziava ad annegare nei campari, nel<br />

vermentino, nella mezza birra, nei baby e nei cento,<br />

fondi di bicchiere di cognac stravecchio, solo<br />

cento lire per chi non poteva spendere di più o per<br />

chi magari la sbronza doveva prenderla piano piano,<br />

non tutta in una volta.<br />

Invenzioni di Nigas Ozzas, Giampiero Cam-<br />

18<br />

pus, dalla faccia violacea degradante al nero. Il<br />

paese era convinto che Nigas Ozzas avesse ubriacato<br />

con i cento persino l’aquila, prima di farla imbalsamare,<br />

il gigantesco uccello che troneggiava<br />

dentro una bacheca del suo bar con le ali fissate<br />

nell’atto di lanciarsi a ghermire la preda. Volava<br />

sopra Chentomínes e un solitario l’aveva uccisa<br />

aggiungendo peso al grano vecchio della mamma<br />

del sole. La ferocia dell’aquila era stata fissata per<br />

sempre nel vetro, simbolo insostituibile del club<br />

privato, come diceva Chircantoni, sedicente ricco.<br />

Chircantoni era della gente buona, i Ruinas, famoso<br />

più per la fame che non riusciva mai a calmare<br />

che per il lavoro fatto in vita sua. A sessant’anni<br />

suonati, il soprannome che gli era stato appioppato<br />

da giovane, Chene Unnu, senza fondo, gli si addiceva<br />

alla perfezione. L’altro, Luzianu, di sangue<br />

meno nobile, aveva campato come ombra della<br />

gente ricca, sempre dietro ai signori che giravano<br />

intorno alla piazza nei giorni di festa e anche in<br />

quelli di lavoro. Le bevute domenicali e feriali accomunavano<br />

però, indistintamente, figli di segnos<br />

e di ziu, e tutti ridevano del filosofare di Chircantoni<br />

Ruinas e di Luzianu Ogaresu che diceva sempre,<br />

a seconda delle alleanze che si creavano e si<br />

sfaldavano lungo i giri della piazza: “ha ragione<br />

Donmà”, “ha ragione Maureddu”, oppure, ma raramente,<br />

“ha ragione Chene Unnu, signor Senza”.<br />

Era davvero il tempo dei corti e dei lunghi.<br />

— Un modo di essere degni non lo troviamo<br />

19


— ripeteva Aldo Florit a Solinas che continuava a<br />

beffare il poetare a vuoto dell’amico.<br />

— Sei come Chircantoni tu, o come Luzianu?<br />

Aldo si sentiva ferito ma non gli uscivano le<br />

parole per rispondere. Era un soffrire normale il<br />

suo, quello di sempre, dei giorni smagati, adesso<br />

che gli effetti dell’alcool iniziavano a svanire. Vide<br />

Chircantoni e Luzianu. Senza appiglio.<br />

Chircantoni aveva vissuto per quel camminare<br />

metodico intorno alla piazza, continuando ad ingannare<br />

il tempo, incapace di trovarsi una donna,<br />

buono solo a contare le ore. Luzianu altro non era<br />

che ombra, l’ombra del niente.<br />

Si era avvicinato Varigotti.<br />

— Oste, — si ravvivò Aldo — portaci da bere.<br />

Cognac per me e pompelmo per Solinas. —Varigotti<br />

restò serio.<br />

— Non sapete niente — disse. — B’amus pezza,<br />

abbiamo carne. Si sono giocati i gemelli, Mario<br />

e Salvatore Valdes, a sa Mossicrosa.<br />

Florit fu attonito. Mario e Salvatore Valdes<br />

erano stati suoi compagni, nel tempo lungo dell’infanzia,<br />

quando la paura dei corti e dei lunghi<br />

riuscivano a farla svanire, l’ingenuità. Le parole<br />

gli si fermarono nuovamente.<br />

— Si sapeva — disse freddo Solinas, quasi cinico,<br />

mentre si alzava. — C’era da aspettarselo.<br />

Varigotti era restato con le enormi mani sui<br />

fianchi, la giacca bianca buttata alla pastorina sopra<br />

le spalle.<br />

20<br />

— Dai — fece Solinas ad Aldo. — Andiamo a<br />

sa Mossicrosa.<br />

Aldo non si decideva ancora. Si sentiva legato<br />

alla croce dei viandanti.<br />

Vedeva la gente che continuava ad ammassarsi<br />

nei bar e poi il mucchio si scomponeva e ognuno<br />

ritornava individuo, solo, solitudine. Erano ritornati<br />

i corti e i lunghi.<br />

Stava calando l’ombra, si avvertiva, anche se<br />

in fondo, dando ragione a Solinas, era una cosa,<br />

l’ombra, connaturata ad Espiritu.<br />

Da bambini, Mario e Salvatore avevano gli occhi<br />

di un verde intenso, ferino, come quelli di<br />

Laura.<br />

Nel tempo fermo che seguì il tumulto, Aldo<br />

costruiva di lei un volto freddo e senza lacrime.<br />

La donna amata era inerte, impregnata dello<br />

stesso senso di morte che rendeva impossibile tutto<br />

ad Espiritu, altro principio, fine e nuovo inizio.<br />

21


22<br />

Collecta<br />

Se li erano giocati i figli di Pietro Valdes. Se li<br />

era bevuti un destino di morte.<br />

La notizia, portata da chi sa chi, era entrata<br />

gradualmente ad Espiritu e poi diffusa e creduta<br />

quasi per inerzia e infine riconosciuta in tutta la<br />

sua assurdità.<br />

Un tempo che bisognava decifrare a sa Mossicrosa.<br />

Si era finalmente deciso, Aldo Florit, anche se<br />

gli sembrava di seguire Solinas più come un ebete<br />

che non come persona a posto con tutti i sentimenti.<br />

La macchina sobbalzava sulla strada male<br />

asfaltata e il mondo era ritornato strano, rovesciato.<br />

In un momento di tregua, per contrastare la<br />

voglia di vomito, Aldo pensò che Varigotti aveva<br />

23


annunciato la morte di Mario e Salvatore Valdes<br />

quando la voce rimbombava già sulle vetrate di<br />

tutti i bar del corso, rimbalzava di rione in rione e<br />

si trasformava in lamento trasversale di commiserazione<br />

e di stupore. Nodi di parole risalivano<br />

ansimanti lungo i vicoli, con la paura di non arrivare<br />

in tempo a comunicare un fatto straordinario,<br />

un qualcosa che tutti già sapevano.<br />

Poi, rumori di voci si sarebbero confusi con il<br />

ronzare delle cineprese, con i clic delle macchine<br />

fotografiche e con il cicalare della folla che premeva<br />

sul cordone dei carabinieri per poter vedere<br />

da vicino i due uccisi.<br />

Da molto tempo non succedeva un fatto simile.<br />

L’ultimo morto ammazzato di faida risaliva a<br />

più di vent’anni prima e adesso la domenica di pasqua<br />

dei fiori, c’era carne, nuovamente. Se li erano<br />

giocati i gemelli, se li era bevuti un destino di<br />

morte.<br />

Chircantoni e Luzianu invertivano il senso del<br />

loro girare intorno alla piazza, un andare caricaturale,<br />

come quando la pellicola viene mandata indietro<br />

nel proiettore. A passo normale, pesante come<br />

quello della cinquecento di Solinas.<br />

A Contone ‘e neula finiva l’asfalto e iniziava<br />

la strada di penetrazione agraria, buche, sassi, un<br />

percorso di guerra popolato quel giorno da un via<br />

vai ininterrotto di macchine. Il paese intero era<br />

stato messo in movimento, come tanti anni prima,<br />

in un tempo che Aldo non aveva vissuto, quando<br />

24<br />

suo padre Sebastiano doveva avere meno di dieci<br />

anni. Fu allora che ziu Raffaelle aveva incontrato<br />

il famoso bandito Mazzone. Nella cucina di Mole<br />

Tricu, ziu Raffaelle sedeva sempre nello stesso<br />

punto, gli occhi azzurri stralunati, i denti gialli e la<br />

barba bianca.<br />

“Chi sei? cosa stai facendo?” chiese ziu Raffaelle<br />

a Mazzone.<br />

Senza rispondere, l’altro gli aveva mostrato il<br />

moschetto. Ma ziu Raffaelle aveva insistito. Voleva<br />

arrivare all’acqua viva.<br />

“Chi sei? cosa stai facendo?”<br />

“Tira dritto e non ripassare qui prima di sera”,<br />

gli aveva intimato l’uomo.<br />

Al tramonto, quando ziu Raffaelle stava ritornando<br />

ad Espiritu, c’era molta gente a Contone ‘e<br />

neula.<br />

“Abbiamo carne” continuavano a ripetere.<br />

“Mazzone ha ucciso.”<br />

Ziu Raffaelle era un vecchio con gli occhi<br />

chiari, aperti a tutto campo, quasi stralunati sul<br />

vuoto.<br />

Faceva all’infinito la stessa domanda, indossava<br />

il costume nero di orbace e aveva le uose sopra<br />

gli scarponi.<br />

Nella cucina di Mole Tricu era una mezza figura<br />

seduta su uno sgabello di legno, leggermente<br />

piegato sopra il bastone tenuto per la curva dell’impugnatura,<br />

le mani una sopra l’altra. Diceva<br />

sempre di quell’incontro.<br />

25


Mazzone era diventato bandito per niente, come<br />

molti altri del resto, e adesso si ritrovava ad essere<br />

considerato il terrore di tutta l’isola, con più<br />

di venti pelli sopra le spalle. Venti uccisi e passa<br />

che non dovevano pesargli più di tanto, dato che<br />

quei morti erano tutta gente dei Ruinas, parenti e<br />

amici e sicari.<br />

Mazzone era uno che non aveva scampo ma<br />

rispettava le regole di chi era fuori dalla sua<br />

guerra e voleva che anche gli altri rispettassero le<br />

sue. Per questo aveva fatto passare ziu Raffaelle<br />

dopo averlo avvertito. O forse sapeva dell’ingenuità<br />

di Raffaelle Florit, della sua incapacità a far<br />

del male.<br />

La storia di Mazzone si perdeva nella nebbia<br />

che per quasi tutto l’anno si infiltrava tra i sassi del<br />

sentiero, a Contone ’e neula, pietra cantonale di<br />

nebbia, il luogo perenne del doversi nascondere.<br />

Il paese le aveva scolpite nella mente e incatenate<br />

nel cuore, quelle ombre che nascondevano<br />

altre linee incorporee.<br />

Le coltivava come memoria e come sentimento<br />

e quando gli capitava di raccontare a sé stesso<br />

le gesta degli elementi che uscivano dal branco,<br />

ne ingigantiva a dismisura i contorni.<br />

Per continuare a fuggire, per paura di affrontare<br />

le infinite moltiplicazioni della sua anima inquinata<br />

dalla fabbrica, uno specchio di storie che<br />

si perdevano nella notte barbara dei cacciatori e si<br />

riflettevano anche nell’iniquo oggi di Solinas e<br />

26<br />

Aldo Florit, che attraversavano pietre e nebbie per<br />

andare a vedere due loro coetanei uccisi.<br />

27


28<br />

Sequentia<br />

Sine tuo numine, nihil est in homine, nihil est<br />

innoxium.<br />

Aldo ripeteva a sé stesso l’invocazione allo<br />

Spirito Santo.<br />

Gli venne in mente la solennità del Santuario.<br />

Lui cantava e non si accorse che erano scomparsi i<br />

bianchi e le navate. Adesso tutto era una verde<br />

campagna ma la pasqua dei fiori non poteva lavare<br />

il sordido e dare nuova linfa alla terra, arida sotto<br />

il verde, secca come il cuore di gente diventata<br />

troppo ricca e troppo in fretta. La foresta avanzava,<br />

veniva il tempo dei corti e dei lunghi.<br />

Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum,<br />

rege quod est devium.<br />

Ziu Raffaelle lontano. L’erba cresceva alta vicino<br />

ai muri, quelli della casa di campagna dei<br />

29


Valdes. Lo chiamavano il progetto, capannoni<br />

nuovi tinti di bianco e con le tegole rosse, tirati su<br />

con contributi regionali, a fondo perduto. A fianco<br />

del progetto, avevano costruito una casetta bassa,<br />

dove in mezzo a selle, basti e secchie per il latte,<br />

c’erano, buttati alla rinfusa, altri arnesi, imbarrazzos,<br />

robevecchie usate un tempo con più frequenza,<br />

prima dell’avvento del trattore e della jeep.<br />

Sa mandra, una striscia di terra battuta, recintata<br />

da rovi secchi e da siepe fitta, luogo deputato<br />

per il raduno delle pecore, era ad un cento metri di<br />

distanza dalla casa, proprio di fronte alla porcilaia,<br />

un grande quadrato bislacco di blocchetti in cemento,<br />

ricoperto con fogli di lamiera e sopra altra<br />

siepe per proteggere le bestie dal metallo che di<br />

giorno arroventava. Oltre l’ultimo muro c’era la<br />

fabbrica distrutta.<br />

I gemelli erano stesi con la faccia a terra, quasi<br />

all’ingresso dell’ovile.<br />

La gente intanto continuava ad affluire per vedere<br />

di persona, per rendersi conto, anche se il capitano<br />

Odoacre Vittore aveva dato ordini precisi:<br />

nessuno doveva avvicinarsi ai cadaveri.<br />

Un carabiniere in borghese scattava fotografie<br />

mentre un altro tracciava con del gesso intorno alle<br />

sagome.<br />

Vittore aveva chiesto ai fotografi e ai cineoperatori<br />

di allontanarsi, di stare alla larga.<br />

Solo Antonio Partes, Stefano Tola e Giovanni<br />

Arca, tutti amici dei Valdes, erano nel recinto, per<br />

30<br />

mungere le pecore: non le potevano lasciare con<br />

le mammelle gonfie di latte.<br />

Un’altro trambusto, proveniente questa volta<br />

dal vicolo incassato nella terra rossa, annunciò<br />

l’arrivo del magistrato e la piccola folla aveva già<br />

fatto largo a una macchina della giustizia che<br />

avanzava verso lo spiazzo.<br />

Aldo e Solinas approfittarono allora di quella<br />

confusione per aggirare il cordone sanitario e si<br />

avvicinarono per vedere da vicino. I cadaveri avevano<br />

la testa completamente mangiata dalla fucilata,<br />

un enorme grumo di sangue rappreso.<br />

Lo scatto della macchina fotografica di Solinas<br />

fu immediato quanto la violenta reazione del<br />

capitano Vittore.<br />

Con la maestria di un consumato fotoreporter,<br />

Solinas si era avvicinato ai gemelli tirando fuori la<br />

macchina da dentro la borsa che teneva a tracolla<br />

e premendo contemporaneamente sullo scatto.<br />

Ma il capitano dei carabinieri era stato altrettanto<br />

svelto a strappargliela di mano e ad aprirla<br />

per far prendere luce al rullino.<br />

— Che cazzo fai? Chi sei? Brutto coglione!<br />

Chi ti ha fatto avvicinare?<br />

— Tu, tu! — urlava Vittore ancora più imbestialito<br />

contro un appuntato che era restato a bocca<br />

aperta nel vedere la scena — Tu, tu! Pisello fresco<br />

o chi cazzo sei, vieni qui, buttali fuori!<br />

A spintoni, Aldo e Solinas erano stati allontanati<br />

e ricacciati tra la folla che li aveva accolti con<br />

31


faccia stupita e attonita, la folla che ora aveva<br />

troncato i commenti sull’incidente per fare posto<br />

ad un brusio sommesso. Da una macchina era sceso<br />

il magistrato e la gente ammucchiò parole.<br />

Espiritu attendeva di sapere anche se già sapeva.<br />

C’erano mille supposizioni, una per ogni componente,<br />

e un numero ancor più grande di verità.<br />

— Li hanno trovati questa mattina, mentre albeggiava.<br />

— E chi?<br />

— Antonio Partes. È andato a vedere perché i<br />

figli di Pietro Valdes non erano ancora rientrati in<br />

paese.<br />

— Ma da quanto mancavano?<br />

— Da venerdì sera.<br />

— Allora li hanno uccisi la notte tra venerdì e<br />

sabato.<br />

— Forse sabato mattina.<br />

— Insomma siamo ritornati in ballo.<br />

— A tre cerchi.<br />

— E certo per ucciderli sono venuti da Londra.<br />

— O da Parigi o da Nuova York.<br />

— Vai e cerca.<br />

— Comunque si sentiva nell’aria.<br />

— Che cosa?<br />

— Guarda il capitano.<br />

— Ma che cosa si tastava secondo te?<br />

— Troppe fucilate, troppa polvere da sparo<br />

sprecata per niente e non solo la notte di Natale o<br />

di Pasqua o per mandare via l’anno vecchio.<br />

32<br />

— I fuochi artificiali sembravano. E le greggi<br />

intere sgozzate a ferro freddo dove le metti? E le<br />

vacche sgarrettate?<br />

— Di certo sono venuti da Berlino Est. Però<br />

anche loro, i morti voglio dire.<br />

— Ma chi se lo immaginava.<br />

— Chi cerca prima o poi trova. Le cose bisogna<br />

lasciarle stare al loro posto, dove si trovano.<br />

— Bel colpo però, due in una volta!<br />

— Guarda mi; sta arrivando il giudice.<br />

— A fare cosa poi? Non riuscirà mai a venirne<br />

a capo.<br />

— Lo dici tu.<br />

— Forse per gli altri, per le altre morti, sono<br />

riusciti, dico: la giustizia è riuscita a sapere da che<br />

parte poteva essere arrivata la fucilata?<br />

— Era un’altra cosa. Erano tempi diversi, più<br />

di venti anni fa.<br />

— A me sembra che il tempo non sia molto<br />

cambiato da allora.<br />

— Ma chi è questo giudice?<br />

— Il sostituto procuratore della Repubblica.<br />

— Ne sai di cose tu. Ma come si chiama, lo sai?<br />

— Deve essere nuovo, deve essere arrivato da<br />

poco.<br />

Eugenio Ginevrin, sostituto procuratore della<br />

Repubblica, era uscito fuori dalla macchina seguito<br />

da due carabinieri in borghese e dal cancelliere,<br />

lo stesso che per due volte la settimana veniva<br />

nella pretura di Espiritu a disbrigare le prati-<br />

33


che. Odoacre Vittore si era fatto incontro al nuovo<br />

gruppo e si notava il contrasto tra il muoversi<br />

secco e rigido del capitano ed il fare lento e misurato<br />

del giudice, un uomo alto, sui cinquant’anni,<br />

con gli occhiali dalle lenti oscurate.<br />

Indossava un completo azzurro e Aldo, da buon<br />

cinefilo, lo rassomigliava al giudice, il piccolo<br />

giudice di Z, il film di Costa-Gavras.<br />

Eugenio Ginevrin sembrava indifferente alle<br />

fissità e ai rumori, al respiro adesso troncato della<br />

folla immobile, mentre attorno agli uccisi altri attori<br />

stavano per finire di compiere il loro rito di<br />

giustizia, le stesse identiche formalità seguite ogni<br />

volta che qualcuno veniva trovato ammazzato. La<br />

mamma del sole passava a sa Mossicrosa.<br />

I cadaveri li avevano ricoperti con un telo grigio,<br />

in attesa che il magistrato ne ordinasse la rimozione.<br />

Solinas metteva fretta ad Aldo che invece voleva<br />

restare: per osservare, per intuire, perdersi magari<br />

nella nebbia dei paragoni. La distanza tra la<br />

folla e lo spiazzo dove si muovevano i carabinieri<br />

ed il magistrato doveva essere come quella degli<br />

spettatori che dalla platea assistevano a un film nel<br />

salone parrocchiale, ai tempi di tiu Lenaldu e di<br />

Raios, i venditori di vento che arrivavano al Santuario<br />

per la festa grande.<br />

Ma in fondo, Raios, tiu Lenaldu e tutti gli altri<br />

imbroglioni morti di fame divertivano.<br />

34<br />

Questi qui invece, il giudice e la giustizia, erano<br />

ancora forestieri da temere, capaci di dare fastidio<br />

ad uno e a molti, perché anche allora in paese<br />

era meglio non averci a che fare con la giustizia.<br />

E io sono qui, Signore, pervaso dal tedio penetrato<br />

nella tua casa.<br />

Surbiles, mosche vampire, i corti e i lunghi,<br />

erano sfuggiti ai telai delle janas che continuavano<br />

a danzare e a tessere. Tessevano la morte per i morti<br />

e a chi restava, i vivi, davano in pegno l’impossibilità<br />

a capirla. Aldo era nel pieno della notte.<br />

— Si riprese la fiera — mormorò, recitò quasi<br />

— e da allora essa aspetta che l’uomo torni indietro.<br />

Nessuna eco gli restava ma solo parole che non<br />

servivano. Le parole rimandavano l’attesa, fosse<br />

questa di giorni di luce a venire o, più propinquamente,<br />

un giorno d’ira tremenda.<br />

Ad Espiritu niente poteva essere imprevisto ed<br />

inatteso e il tempo buono era sempre premonitore<br />

dell’altro tempo, quello da tutti temuto eppure<br />

aspettato.<br />

L’ultimo morto ammazzato in campagna risaliva<br />

a quando Aldo Florit era ancora all’asilo e alla<br />

festa del Santuario arrivavano Raios e tiu Lenaldu.<br />

La novena diventava l’avvenimento più atteso, un<br />

pezzo di sogno in una terra dove chi si metteva a<br />

sognare era pazzo e fuori di senno.<br />

Raios e tiu Lenaldu facevano da personaggi<br />

rappresentativi. Non erano come tutti gli altri<br />

35


mendicanti allineati lungo la scalinata del Santuario,<br />

una teoria di mani tese e di bocche imploranti,<br />

questuanti, storpi, ciechi, monchi e del tutto<br />

sani in corpo ma troppo miseri per poter vivere<br />

di un lavoro, tutta gente che compensava con immaginette<br />

di santi la carità dei paesani e dei numerosi<br />

forestieri.<br />

“Abbiate carità e compassione buona gente”<br />

ripetevano.<br />

Erano il termine ultimo di paragone, il gradino<br />

più basso della sfortuna.<br />

Raios e tiu Lenaldu invece non chiedevano<br />

l’elemosina.<br />

La gente li chiamava lotraios, imbroglioni,<br />

perché i loro attrezzi, i loro strumenti di lavoro,<br />

erano carte ed altri trucchi, adattati naturalmente a<br />

facce lunghe ed affilate, da morti di fame, e al corpo<br />

magro e ossuto, come si conviene a dei girovaghi<br />

che nel quotidiano devono mettere in conto la<br />

fuga e l’attraversare luoghi impossibili. Tante foreste<br />

di pietra.<br />

Tiu Lenaldu con la giramantigioga, si metteva<br />

sempre all’entrata del campo sportivo, nel cancello<br />

dove facevano la pesa degli animali e dove<br />

adesso c’era la stele del dio Bacco.<br />

“Vuoi giocare?”<br />

“No!”<br />

“Dai, bastano dieci lire!”<br />

“Gioco io e ne punto cento!”<br />

“Devi essere ricco tu! Figlio di chi sei?”<br />

36<br />

“Di Pietro Valdes, Zudeu longu.”<br />

“E questa bella bambina?”<br />

“È mia sorella Laura, guai se la tocchi.”<br />

“Dai, gioca, che se vinci ti compri un’arma per<br />

sparare.”<br />

Ai tempi di tiu Lenaldu, sas cumbessias, le<br />

stanzette per i novenanti disposte nel cortile del<br />

Santuario, erano affollate, nei giorni di festa, da<br />

corpi piagati e pieni di speranza insieme.<br />

Raios sbucava all’improvviso, una magìa il<br />

suo stesso apparire.<br />

Raios era il nome d’arte. Faceva da fine dicitore<br />

e prestigiatore allo stesso tempo.<br />

Raios e cioè fulmini, nome che forse gli avevano<br />

attribuito per le sue arti o forse si era dato lui<br />

stesso, nome d’arte che cambiava a seconda di dove<br />

andasse o si trovasse ad esercitare.<br />

In quel periodo, durante la festa, c’era stata in<br />

paese quasi una guerra di religione per riconoscergli<br />

l’autorità che emanava, quando nel salone parrocchiale<br />

aveva chiamato dal pubblico uno a caso<br />

e sul palco lo aveva ipnotizzato e gli aveva fatto dire<br />

cose che non doveva e poi, quasi quasi lo aveva<br />

sollevato da terra con la sola forza del pensiero.<br />

La gente si era divisa, e stranamente i palas a<br />

Deus, gli spalle a Dio, i non credenti, avevano preso<br />

le difese della religione. Non si poteva profanare<br />

in questa maniera la festa, con un imbroglione.<br />

Per fortuna di Raios ci avevano pensato le purissime<br />

e le dame dell’Azione Cattolica a salvare<br />

37


l’onore del paese e la fondatezza scientifica degli<br />

esperimenti.<br />

Nel terzo giorno, l’ultimo utile, la voce aveva<br />

iniziato a spargersi dal mattino presto.<br />

“Questa sera bisogna che veniate tutti a vedere<br />

di che cosa è capace Raios.”<br />

“Ma se sono tutti imbrogli!”<br />

“Lo dici tu! Gianuario Arca afferma che non si<br />

tratta di uno scherzo.”<br />

Gianuario Arca, allora studente in medicina,<br />

era il massimo della credibilità scientifica che il<br />

Comitato fosse riuscito a recuperare.<br />

La sera dell’esperimento era in prima fila ad<br />

applaudire Raios ormai osannato da laici e bigotti.<br />

Dall’alto, in platea, don Cecilio e la sorella<br />

Raimonda, appoggiati al parapetto di compensato,<br />

registravano quel successo con faccia contenta,<br />

mentre fuori la giostra volante di Murgué aveva<br />

smesso di girare.<br />

In uno degli angoli meno illuminati del campo<br />

sportivo, Pietrino Mura di Nuoro e Pasquale<br />

Castelli di Turtures si erano improvvisati poeti a<br />

tema libero, magnificando uno le arti amatorie<br />

della moglie e sognando l’altro, accanito fumatore<br />

di toscani, un sigaro enorme portato da un motocarro.<br />

La morte di Isteddu Curzu, Stella Corta lo apostrofavano,<br />

aveva cancellato il tempo di Raios e di<br />

tiu Lenaldu.<br />

38<br />

A sa Mossicrosa i morti li avevano caricati sopra<br />

il camion ed erano passati per l’ultima volta<br />

nel viottolo incassato che portava ad Espiritu, fendendo<br />

con lento incedere la folla che si faceva il<br />

segno della croce e si toglieva il berretto.<br />

Nel carico c’erano due coevi dell’infanzia di<br />

Aldo, due macchie di memoria.<br />

Quando era stato ucciso Isteddu Curzu, i Valdes<br />

abitavano a Mole Tricu, nella casa attaccata al<br />

mulino di Pipineris, una costruzione alta, palazzo<br />

e fondaco, a differenza della casa dei Florit, nello<br />

stesso vicinato, vecchia e scura. A Mole Tricu regnava<br />

allora Pipineris, l’inventore del carro a manubrio<br />

per il trasporto del grano e della farina.<br />

In salita, i bambini spingevano il carro e poi, in<br />

discesa, la canea cavalcava il mostro e rombava<br />

per le strade, tutti addossati sul guidatore Giovanni,<br />

ammiraglio e primo marinaio di quella nave<br />

folle, sempre pronta a rovesciarsi con il suo carico.<br />

Il rombo era cessato di botto il giorno che il<br />

carro aveva messo sotto e ucciso un lavorante della<br />

ricotta, Murúa Sole, fratello grande di Nunzio,<br />

un diseredato prima di nascere, uno di Ulúmen.<br />

Così il carro era scomparso.<br />

Ma oltre che inventore del carro a manubrio, il<br />

genio di Pipineris si divertiva a suddividere il vicinato<br />

di Mole Tricu secondo una toponomastica<br />

che seguiva le fasi della trasformazione del grano<br />

e del loglio in farina e in crusca, in pane limpido e<br />

pane nero.<br />

39


La zona dove abitava Ciriaco Partes era Aglioledda,<br />

piccola aia per la battitura dei covoni, il<br />

cortile di Gaspare Valdes, fratello di Pietro, era<br />

Ghirat’a bidda, portato in paese, mentre il mulino<br />

vero e proprio era Chelu Patedda, sospeso a metà<br />

cielo. Chelu Patedda, Pentola Cielo, era per Espiritu<br />

lo stesso che dire Mole Tricu<br />

Il mulino era un mostro nero che ballava su<br />

quattro gambe bianche e solo Eulindo Dore, il re<br />

dei mulini, poteva ammansirlo e trasformarlo da<br />

essere malvagio in genio benefico per la gente che<br />

entrava e usciva, impolverata di bianco, dalla pentola<br />

di Pipineris: i ricchi con la farina e i poveri<br />

con la crusca.<br />

“Adesso sì che è limpido, il pane” diceva Sebastiano<br />

Florit “non come quando io ero bambino<br />

che mangiavamo pane nero.”<br />

La casa dei Florit era una cucina dove vivevano<br />

di giorno, con al centro un focolare quadrato<br />

che d’inverno emanava un fumo che faceva lacrimare<br />

gli occhi. Un tavolato diviso a metà faceva<br />

da pavimento: la parte alta, dove c’era il focolare,<br />

e la parte bassa senza nessuna funzione se non<br />

quella di starci, in piedi o seduti, con gli oggetti<br />

accatastati per ogni dove.<br />

Sotto il tavolato c’erano la stalla e il pagliaio.<br />

Anticamente, la botola che dava sul pagliaio<br />

restava aperta. Adesso l’avevano murata perché<br />

sopra avevano edificato una stanza buona, con le<br />

mattonelle di graniglia bianche e verdi. La stanza<br />

40<br />

la chiamavano: il comò, l’armoire e un treppiedi<br />

con boccale e lavamano.<br />

Nei pomeriggi d’estate, nascondendosi e allo<br />

stesso tempo aspettando la mamma del sole, i<br />

bambini riposavano nel letto grande.<br />

Di notte invece, Aldo dormiva nella cucina e<br />

gli altri nel piano di sopra, collegato alla stanza da<br />

una scala di legno, quella che facevano fare con il<br />

parapetto senza corrimano.<br />

Da quella scala si poteva vedere il cane accucciato<br />

sopra il comò, frantumatosi un giorno per rivelare<br />

che dentro era vuoto, senza anima, e che il<br />

nero era solo una patina che ricopriva il colore vero,<br />

il bianco del gesso.<br />

Quando faceva sole, Maddalena Satta metteva<br />

i fichi fuori dalla finestra ad asciugare, infilati<br />

dentro uno spago, così da formare un rotolo, meno<br />

nobile certo del lungo bastone dove seccavano le<br />

salsicce nel fumo della cucina.<br />

D’inverno pioveva sempre dal tetto delle canne<br />

e quando nevicava le candele di ghiaccio scendevano<br />

dalle tegole. La mattina, prima di andare a<br />

scuola, i bambini scaldavano gli scarponi chiodati<br />

con braci accese e poi, dopo che Maddalena li<br />

aveva pettinati e messo il grembiule con il colletto<br />

bianco e con il fiocco, si buttavano a perdifiato<br />

nella discesa verso il Convento.<br />

I Valdes arrivavano sempre per primi e Aldo<br />

era con loro. Passavano a prenderlo insieme a Bachisio<br />

Partes, loro cugino, e a Laura occhi di gat-<br />

41


to. Luisi, invece, il più grande, l’avevano fatto ritirare<br />

e adesso usciva in campagna insieme al padre<br />

mentre Marta, l’altra sorella, aiutava nelle faccende<br />

di casa.<br />

Da Mole Tricu, il maniero dei Valdes gettava<br />

la sua ombra nello stradone dove scorreva un rigagnolo<br />

chiamato fiume farina.<br />

Le tambore sui margini, il passaggio segreto<br />

dei giochi guerreschi, alle prime piogge raccoglievano<br />

i torrenti della piena che scendeva lungo<br />

scale di pietra, piena limacciosa e nera di sporcizia<br />

e di cavalli di ferula travolti e rubati al riposo.<br />

La piena ingrossata di fango e di sterco andava<br />

a buttarsi nell’orto di Canticheddu e poi, ancor più<br />

potente, usciva fuori per diventare nuovamente<br />

fiume farina, un bagliore che subito finiva alla vista,<br />

prima di interrarsi nell’argine costruito sotto il<br />

campo sportivo che un tempo era stato l’immenso<br />

orto dei frati cappuccini.<br />

Dopo la scuola, Aldo andava a giocare nel cortile<br />

della casa di Pietro Valdes insieme a Laura e ai<br />

gemelli. Quella casa era alta, di pietra, granito non<br />

intonacato, percorsa da una scala con la ringhiera<br />

in ferro, tutto curve, serpentine e fiori freddi. In<br />

basso, nell’enorme sottoscala erano ammucchiati<br />

i sacchi di grano e nell’angolo più scuro, alla rinfusa,<br />

c’erano selle, basti d’asino e altri finimenti<br />

per buoi e cavalli: gli andava sentore di sale mischiato<br />

a fumo.<br />

Teresa Arbau, la madre dei Valdes, era una<br />

42<br />

donna alta e secca, con una voce impastata di toni<br />

cupi e suoni gutturali mentre zio Pietro si vestiva<br />

sempre di velluto scuro, un berrettaccio calcato in<br />

testa e il sigaro acceso a fuoco dentro.<br />

Aldo ne aveva paura.<br />

Adesso i gemelli stavano entrando nel camposanto.<br />

Li stavano portando dentro l’obitorio, le<br />

bare non ancora del tutto sigillate.<br />

Poco prima, a sa Mossicrosa, era cessato il<br />

brusìo della folla. In silenzio, anche Ginevrin e<br />

Vittore erano risaliti in macchina mentre il camion<br />

di Antonio Partes aveva iniziato a muoversi<br />

lentamente, capofila del corteo, un freddo serpente<br />

meccanico fatto di mille bagliori nell’inoltrato<br />

mattino di quella domenica di maggio.<br />

Erano arrivati al cimitero dalle mura ancor più<br />

grigie, la stessa terra dove era sepolto Sebastiano<br />

Florit, la stessa terra che l’indomani si sarebbe<br />

presa quei due che adesso bussavano alle porte<br />

della foresta, fradici per la rugiada che gli era entrata<br />

nelle ossa. Ai piedi avevano gli scarponi riscaldati<br />

con le brace prima di andare a scuola.<br />

Fove quod est frigidum.<br />

Parole piene di sapienza, gravi, come quelle<br />

che diceva il padre di Aldo.<br />

Sebastiano Florit era sempre puntuale, ogni<br />

sera, metodico, non appena finito il turno a Municipio<br />

Vecchio.<br />

Un’altra volta soltanto aveva tardato, la notte<br />

43


di fine anno, quando era morto di disgrazia Fufuraiu,<br />

un bracciante forestiero.<br />

Fufuraiu Verenosa era un tipo minuto e spaventato<br />

e non l’aveva sentita nemmeno la morte.<br />

Il muro del palazzo di Martino Consillos gli era<br />

rovinato sopra, spinto da un vento che, dice la<br />

gente, non ritorna mai solo. Doveva essersi svegliato<br />

il bue erchitu.<br />

Sebastiano Florit fece la strada che dal vicinato<br />

di Gianuario Arca portava a Mole Tricu. Davanti<br />

al palazzo di Martino Consillos aveva visto<br />

un’ombra avanzare.<br />

Fufuraiu ritornava a casa sua, da chissà dove.<br />

Un conciso “oè” e poi, un’eternità dopo, Sebastiano<br />

sentì il terremoto alle sue spalle, un boato più<br />

cupo del mugghiare del vento.<br />

Il giorno dopo si vedeva la foresta di pietra, il<br />

cielo terso, senza un alito di vento.<br />

I corti e i lunghi erano arrivati con scale ancora<br />

più alte del palazzo e buttavano giù quello che era<br />

rimasto. Poi scomparvero e ritornarono la sera<br />

che uccisero Isteddu.<br />

Maddalena era inquieta perché le ritornava in<br />

mente la notte della morte di Fufuraiu e sembrava<br />

che fuori ci fosse lo stesso mugghiare di vento<br />

della notte in cui il palazzo di Martino Consillos<br />

era precipitato addosso al bracciante forestiero.<br />

La cena diventava fredda.<br />

Maddalena stava per uscire quando Florit<br />

comparve sulla porta di casa.<br />

44<br />

“B’amus pezza” aveva detto “abbiamo carne.<br />

Si sono giocati Isteddu Curzu, il figlio di Bue domato.<br />

Proprio sulla porta di casa sua l’hanno ucciso.<br />

Io l’ho raccolto per primo. Però non c’era<br />

niente da fare. Anche la giustizia mi ha chiesto.”<br />

“Tanto si sapeva,” disse Maddalena. Il volto le<br />

era diventato luminoso e aveva socchiuso gli occhi.<br />

L’ansia di prima era adesso una strana agitazione,<br />

una smania, un volersi muovere e fare qualcosa<br />

a tutti i costi.<br />

“Tanto si sapeva. Il figlio di Voe Domatu. Prima<br />

tutti insieme a Pietro Giudeo, ai Partes e a Pasquale<br />

Arca e poi vai a sapere tu. Prima tutti insieme<br />

ne hanno fatto a piedi e a cavallo e adesso…”<br />

“Sta zitta,” l’aveva interrotta il marito, “ci sono<br />

i bambini.”<br />

“Ne capiscono molto loro. Comunque io voglio<br />

andare a vedere il morto, tanto ci deve essere<br />

tutto Espiritu.”<br />

Aldo aveva attraversato il vecchio guado. Sentiva<br />

il fiume ingrossato.<br />

Chissà se i bambini di adesso sapevano da dove<br />

nasceva fiume farina. Forse non se lo chiedevano<br />

neppure perché quando andavano a scuola nel<br />

Convento vecchio ora rifatto, non sapevano di<br />

passarci sopra, non lo vedevano come quando a<br />

scuola ci andavano Aldo con i gemelli e con Laura.<br />

Il caseggiato era stato ricavato dal Convento,<br />

un tempo abitato dai frati cappuccini e a questi<br />

45


frati Espiritu deve aver voluto del bene. Si era<br />

sparsa la fama, poi ripresa anche da qualche pubblicazione,<br />

di quella volta che il professor Giacinto<br />

Mortuisvere, in un convegno internazionale di<br />

non so che cosa tenutosi a Norimberga, aveva parlato<br />

in sardo, di modo che tutti lo capissero. Per<br />

dimostrare come la lingua fosse principalmente di<br />

origine latina, aveva citato la famosa frase: “patres<br />

quaerimus, vogliamo i padri, i frati”. Fu quello<br />

il grido della rivolta popolana.<br />

Un’altra favola.<br />

La rivolta, se mai avvenne, Espiritu la fece<br />

contro i piemontesi che avevano confiscato i beni<br />

del Convento e volevano cacciare i frati. Non si sa<br />

bene come andò a finire. Certo è che adesso i cappuccini<br />

non c’erano più e sopra il Convento avevano<br />

ricavato la caserma, il castello di Odoacre<br />

Vittore.<br />

Florit pensava in fretta perché così gli conveniva.<br />

Quasi che la morte di quei due si fosse aggiunta<br />

alla torma di fantasmi che lo inseguivano.<br />

“Patres quaerimus”: mi raccomando il dittongo<br />

avrebbe preteso Mortuisvere. O lo iato. In piena<br />

era atomica ritornavano a comparire le distanze,<br />

la differenza tra il sentire della gente, il grido<br />

ottocentesco della rivolta, e il suo subire il tempo<br />

e le cose.<br />

I frati erano andati via a poco poco e in quel<br />

continuato venire meno sedimentava la memoria<br />

del loro passaggio, della loro esistenza ad Espiritu.<br />

46<br />

Sos prates de Cumbentu detto per ridere ma anche<br />

seriamente. Con loro si poteva scherzare e parlare.<br />

Non così con Odoacre Vittore che aveva stravolto<br />

più che sostituito l’immagine di quella gente<br />

di carità.<br />

Altri fantasmi erano arrivati, per aggiungersi ai<br />

corti e ai lunghi.<br />

Il capitano dei carabinieri aveva fama di duro.<br />

Usciva sempre di notte. Indossava pantaloni di<br />

velluto e giubbotto nero di pelle. Era alto quasi due<br />

metri, una faccia schiacciata da pugile, occhi celesti<br />

e i capelli tagliati cortissimi. Comandava un<br />

esercito di cento uomini.<br />

Quando entrava a perquisire nei bar, fuori, lungo<br />

il corso, erano sempre pronte due o tre gazzelle<br />

e una camionetta. Posti di blocco dovunque e dappertutto<br />

carabinieri pronti alla battaglia.<br />

— La licenza e gli altri documenti!<br />

— Subito capitano!<br />

Una sera, il gruppo di Aldo lo avevano chiuso<br />

dentro il bar di Zigarru, interrompendo la proiezione<br />

di La tredicesima ora. Sequestrati. Li avevano<br />

perquisiti da capo a piedi e “frugati in mezzo ai<br />

coglioni”, come si dicevano l’un l’altro i carabinieri.<br />

Vittore insisteva con l’assedio. I suoi uomini<br />

non avevano mai requie. Perquisivano e controllavano<br />

bollettini e sinnos sotto l’orecchio delle pecore<br />

e chiedevano informazioni. Minacciavano e<br />

blandivano. Se qualcuno era duro d’orecchi ritor-<br />

47


navano l’indomani o la sera stessa a perquisire<br />

nuovamente, a buttare giù lo stesso pagliaio: ricontavano<br />

le pecore contate un’ora prima e richiedevano<br />

lo stesso bollettino.<br />

Il metodo era quello di mettere i ferri e di procedere<br />

all’arresto, ogni tanto, per cose che la<br />

gente di campagna aveva fatto o per altre che poteva<br />

fare.<br />

Erano sempre gli stessi, i nemici di Vittore.<br />

Della stessa razza dei gemelli uccisi, gente di campagna<br />

che insieme alle classiche salme di sale aveva<br />

mangiato pane di sette forni.<br />

Pone tres panes in bertula, comparava professor<br />

Mortuisvere, e cioè metti tre pani nella bisaccia,<br />

in s’istacca, la tasca di cuoio usata dai pastori e<br />

dalla gente di campagna per metterci il formaggio,<br />

il vino, le salsicce, le olive e il pane carasatu piegato<br />

in due.<br />

Mario e Salvatore Valdes non avevano più bisogno<br />

di una tasca da mettere sulle spalle. Il peso<br />

che gli avevano caricato era molto più gravoso, un<br />

enorme Cristo come quello che sovrastava l’altare<br />

del Convento dei cappuccini, tanto grande che<br />

neppure ci sarebbe stato nella croce dei viandanti.<br />

Dopo l’autopsia, Eugenio Ginevrin si era momentaneamente<br />

congedato dal capitano Vittore e<br />

ritornato ad Espiritu aveva voluto fare un giro a<br />

piedi, da solo.<br />

48<br />

Le campane annunciavano che qualcuno non<br />

esisteva più, se ne era andato.<br />

Avevano un suono strano. Confermavano una<br />

notizia che tutti già sapevano, un fatto che doveva<br />

essere ratificato dalla giustizia e dalla misericordia<br />

di Dio, prima che dalla pietà e dalla sete di<br />

vendetta degli uomini. Eugenio Ginevrin pensava<br />

alla stessa maniera di Florit. Segno che conosceva<br />

il paese, se rievocava anche lui i corti e i<br />

lunghi. Pensava il magistrato, e tutto ritornava.<br />

Mario e Salvatore Valdes avevano corso in fretta<br />

verso il loro destino, segnati già da prima che nascessero<br />

a continuare odi antichi e a fabbricarne<br />

di nuovi, a inventarne degli altri, per far sopravvivere<br />

l’ombra.<br />

Il palcoscenico cui erano costretti irrobustiva il<br />

fiume interrato, inquinato ogni giorno da più veleni<br />

che la società di massa rendeva come scoria.<br />

Adesso i Valdes, come tutti, avevano una casa lussuosa<br />

e credevano di capirla la società della televisione<br />

a colori perché gli insegnava cose che non<br />

erano riusciti ad apprendere a scuola, costretti<br />

sempre ad uscire in campagna. Adesso non si riparavano<br />

più sotto un foglio di lamiera nelle gelide<br />

notti d’inverno, in campagna.<br />

Quello era un diverso vivere. Adesso avevano<br />

il portafogli sempre pieno anche se di fronte a tutti<br />

fingevano di non avere soldi, di essere in miseria,<br />

ancora poveri come quando l’uno stava attento a<br />

che l’altro non mangiasse più di lui nel tempo che<br />

49


il pane ed il formaggio erano contati e ai cani di<br />

guardia al gregge gli davano il siero puzzolente.<br />

Poveri ne erano rimasti pochi e i nuovi ricchi<br />

mentivano a sé stessi il benessere raggiunto, stando<br />

ancora attenti però, come nella lunga notte del<br />

pane contato e della pioggia che batteva sopra i fogli<br />

di lamiera, a che l’altro, il vicino di casa e di pascolo,<br />

l’amico e il nemico, non avessero qualche<br />

cosa in più.<br />

Adesso la gente di campagna ritornava a casa a<br />

mezzogiorno, dopo aver munto e governato il bestiame<br />

e dopo averlo affidato al servo, un salariato<br />

delle famiglie povere o uno che magari veniva da<br />

fuori, che mandavano ancora a rubare l’agnello e il<br />

capretto e il vitello e il maiale, che poi avrebbero<br />

tutti mangiato e banchettato, andando a buttare le<br />

ossa spolpate dentro l’ovile del derubato.<br />

Rinsaldavano così le catene, i ferri da cui non<br />

riuscivano a liberarsi e allo stesso tempo vivevano<br />

il dualismo tra l’ovile e il paese che si adeguava alla<br />

società del computer senza capirla, senza comprendere<br />

che l’esteriorità male appresa e male assimilata<br />

fotteva tutti indistintamente.<br />

Nel palcoscenico serale, Mario Valdes recitava<br />

da primattore nel suo inappuntabile completo di<br />

velluto scuro.<br />

Era un ragazzo alto dalle fattezze tozze e grossolane<br />

ma aveva una specie di eleganza di modi e<br />

di parola che in qualche misura compensava<br />

l’enorme faccia sormontata da capelli ricci.<br />

50<br />

Bicchiere in mano, Mario Valdes era sempre<br />

attorniato da altre persone. Sapeva il fatto suo e sapeva<br />

come comunicare, con parole eleganti, il rispetto<br />

per sé e l’odio per il nemico.<br />

Parlava muovendo con sapienza la mano che<br />

teneva il bicchiere, l’altra l’aveva in tasca, calcolando<br />

i toni alti e bassi, di modo che la parte avversa<br />

e qualche loro amico sentissero e non sentissero.<br />

Un modo di costruire e di fabbricare l’odio che<br />

non era un fare affrettato e avventato ma un gioco<br />

di calcoli e di misure. Non si uccideva per un bicchiere<br />

di vino. Gli uni e gli altri, i Valdes e i loro<br />

nemici, sapevano essere attori e spettatori allo<br />

stesso tempo e quelli che stavano intorno annuivano<br />

e ridevano.<br />

Salvatore invece, l’altro gemello, aveva preso<br />

in pieno dal padre e dalla madre. Tipi come lui li<br />

chiamano estrales, scuri, gente tagliata alla grossa<br />

con l’accetta. Quello che Mario riusciva a simulare<br />

e a dissimulare, Salvatore lo rendeva manifesto,<br />

le rare volte che gli capitava di uscire al corso o in<br />

piazza, dopo il rientro dalla campagna. Era agrestato,<br />

uno che non aveva amici. Il suo modo di<br />

camminare era simile più a quello degli animali<br />

che non al muoversi delle persone: storto, storpiato<br />

dalla durezza che gli avevano insegnato da<br />

quando aveva finito di andare a scuola.<br />

Salvatore aveva paura delle persone. Era sempre<br />

malvestito, la barba lunga, nera ed ispida sulla<br />

faccia ferina, la voce impastata. Da ubriaco,<br />

51


esplodeva ogni tanto, andando a fracassarsi con la<br />

macchina addosso al primo muro che gli veniva<br />

contro.<br />

Salvatore non lasciava rimpianti a parte il dolore<br />

dei famigliari stretti mentre Mario non avrebbe<br />

visto nascere il figlio che aspettava da Veronica<br />

Florit.<br />

Ad Espiritu non si parlava d’altro quella domenica<br />

di Pentecoste: riuscire ad incanalare tutti i rigagnoli<br />

verso un’unica corrente, sarebbe stata la<br />

soluzione ideale per uno come Odoacre Vittore<br />

che non poteva però avere orecchie tanto grandi<br />

per sentire quello che si diceva a bassa voce.<br />

Storie che avrebbero interessato forse il magistrato<br />

Ginevrin anche se era lui il primo a capire<br />

che non lo avrebbero aiutato a trovare degli indizi.<br />

Troppo complicato quel paese.<br />

Erano storie parallele, verticali e concentriche,<br />

uguali nel percorso, nell’allargamento e nella restrizione<br />

dei cerchi fino al momento di una verità e<br />

di una soluzione sempre rinviate e rimandate all’infinito.<br />

Vicino al fiume grande, i ruscelli immissari si<br />

ingrossavano e l’acqua dove era stato lanciato il<br />

sasso si intorbidiva ancor più.<br />

Poco prima dei gemelli Valdes, avevano trovato<br />

morto Zoppeddu, piccolo zoppo, soprannome<br />

di Francesco Mainas, il figlio più piccolo di Golósti.<br />

L’avevano trovato una domenica all’alba con<br />

una fucilata sotto il mento, nel progetto di Treme-<br />

52<br />

ne ‘e chelu, terra che era rimasta ai Mainas dopo<br />

che erano stati costretti a venderne molta: non erano<br />

mai stati buoni amministratori del bene che<br />

avevano ricevuto. Una famiglia divisa, minata all’interno<br />

dall’incomprensione e dallo spettro di<br />

dover diventare servi.<br />

Golósti aveva venduto sa Mossicrosa a Pietro<br />

Zudeu longu nel tempo della dissipazione dentro<br />

la locanda di Meres duos. Allora non esisteva una<br />

distinzione così netta tra più ricchi e meno ricchi.<br />

Poi era toccato a su Craru Mannu, e poi a Bachis<br />

Grussu, a Calavrina e a Paule Maiu.<br />

Espiritu diceva che Golósti Mainas, un tempo<br />

compagno di balentìa di Pietro Valdes, doveva<br />

ogni giorno abbuonare in soldi, terre e bestiame,<br />

tutte le fesserie che facevano i figli, dal più grande<br />

al più piccolo. Li scoprivano sempre e per questo,<br />

per non essere svergognati davanti al paese che comunque<br />

sapeva e per non essere accusati alla giustizia,<br />

Golósti doveva pagare. In più, Dio lo castigava<br />

con i figli.<br />

Francesco, il più piccolo, era cresciuto alla<br />

scuola dei fratelli, ragazzi di campagna e di compagnia,<br />

tutti svegli, svelti e intelligenti, sempre<br />

pronti ad azzuffarsi con i figli di Pietro Valdes, di<br />

Ciriaco Partes, di Pasquale Arca e di Battista Tola.<br />

Il paese in tutta segretezza sapeva chi era stato<br />

a bucare più di duecento sacchi di grano nel<br />

fienile dei Valdes e che tutti insieme i figli di<br />

Gregorio Canepa, di Tomasu Burdu, di Michelli<br />

53


Reu e di Golósti Mainas si divertivano a sparare<br />

di notte.<br />

La bestia si caricava allo stesso modo che gli<br />

ubriachi, nel linguaggio fatto di metafore, caricano<br />

la colomba e pruvera poteva significare tanto<br />

polvere esplosiva di sbornie accumulate giorno<br />

dopo giorno quanto la polvere da sparo vera e<br />

propria, quella che serviva per riempire le cartucce.<br />

Francesco Mainas si era ucciso ma non aveva<br />

nessun motivo per uccidersi nella casa di campagna<br />

di Tremene.<br />

L’avevano portato al camposanto in un pomeriggio<br />

di pioggia fine e pungente. Poca gente ai<br />

funerali. In fondo, poi, un suicida non suscita tanto<br />

clamore quanto ne può innescare un omicidio.<br />

Espiritu sapeva misurarla la pietà, sapeva come<br />

distribuirla. Aveva imparato da chissà quale tempo<br />

ad economizzare sui sentimenti così come a<br />

mostrarsi in tutte le ondate cicliche di generosità<br />

verso chi soffriva e stava male.<br />

Quelli di Ulúmen, la parte bassa, non potevano<br />

gareggiare con la parte alta perché non ne avevano<br />

la forza e la possibilità, non avevano terra a loro<br />

disposizione, né un territorio dove piangere per<br />

le disgrazie.<br />

Francesco Mainas era morto a vent’anni e aveva<br />

fatto strada ai gemelli Valdes che stavano viaggiando<br />

per l’ultima volta verso casa loro, sopra il<br />

camion di Antonio Partes.<br />

54<br />

Eugenio Ginevrin se ne stava seduto sui banchi<br />

della chiesa del Convento.<br />

Si trovava in una chiesa sperduta, davanti a<br />

un Cristo di legno che gli ricordava quei due uccisi<br />

visti poco prima all’obitorio, sezionati sul<br />

marmo.<br />

Eugenio Ginevrin conosceva la memoria di<br />

Espiritu. Sapeva chi erano i Valdes così come<br />

avrebbe potuto disquisire a lungo sull’identità<br />

dei loro possibili assassini.<br />

Era da tanto tempo sulla breccia, sempre in<br />

battaglia e in guerra, dalla parte giusta o sbagliata<br />

a seconda dei punti di osservazione, quella che<br />

il Goya y Lucientes definiva “altro stato”.<br />

— E adesso, — ripeteva a sé stesso il magistrato<br />

— quei due sono ancora davanti a me, sezionati<br />

sul marmo. Foro di entrata e foro di uscita:<br />

un’enorme fucilata esplosa sulla nuca. Un<br />

enorme buco.<br />

Eugenio Ginevrin si soffermava su quell’immagine<br />

in dettaglio, più grande e più reale, ora<br />

che iniziava ad essere distante nel tempo e ad allontanarsi.<br />

Ma quel foro era troppo grande anche<br />

per una fucilata esplosa da vicino, troppo grande.<br />

Sine tuo numine.<br />

Dalla semioscurità del Convento si passava alla<br />

notte di Espiritu, dove era difficile concretizzare<br />

le idee e la diversità. Per questo Aldo si ubriacava.<br />

Per poter riuscire a trovare il coraggio di parla-<br />

55


e, per rompere come le janas i cristalli delle acque,<br />

il silenzio dei giorni.<br />

Ma solo il vino e l’alcool scioglievano la mutria.<br />

Aldo non sapeva fare altro che ubriacarsi, personaggio<br />

anche lui di Borgopio e della Casa del<br />

fanciullo.<br />

Quando era nei fumi, Laura Valdes poteva assomigliare<br />

a Piper Laurie, la ragazza zoppa dello<br />

spaccone, suicida per amore di un assatanato del<br />

biliardo, pervaso dal demone del gioco, uno con le<br />

mani fracassate. Robert Rossen, il regista bruciato<br />

dal maccartismo, era il direttore di scena. Ritornava<br />

tra le mura delle chiese avvolte nella semioscurità<br />

per portare fuori Aldo e per fargli vivere il<br />

maccartismo anche a lui a quella specie di Don<br />

Chisciotte.<br />

Forse, era Laura Valdes una glaciale Lauren<br />

Bacall, in perfetta sintonia con la tenebra di Humphrey<br />

Bogart o forse era Louise Brooks, Lulù fatale<br />

Pandora. Ma Pandora significava altro: era un<br />

soprannome usato per indicare la bellezza e il suo<br />

contrario, la grazia e la sua assenza.<br />

Era Laura come Micheline Presle, consumata<br />

insieme al suo ventenne amante dal diavolo in<br />

corpo.<br />

Nonostante le beffe di Solinas, Aldo diceva<br />

che chi sogna non può mai essere un arido di cuore.<br />

Lo spirito di quella domenica di Pentecoste doveva<br />

irrigare invece il noi dei corti e dei lunghi<br />

56<br />

che erano usciti dalla foresta per violentare Laura<br />

Valdes. Gnomi del male segnati dalla caducità.<br />

Il male covato per secoli di odio, esplodeva<br />

ogni tanto nelle campagne, ignorando l’andare e<br />

venire, lungo il corso e la piazza, di Chircantoni e<br />

Luzianu.<br />

Esplodeva ogni tanto, questo male, accumulato<br />

come la provvista di grano e di loglio al mulino<br />

di Pipineris. Esplodeva e il piombo dilaniava i<br />

corpi, li smembrava e allo stesso modo feroce e<br />

belluino troncava per sempre il fiato delle bestie<br />

braccate dalla loro stessa cupidigia, dalla stessa<br />

ingordigia che aveva divorato i gemelli.<br />

Aldo ripensava a sua madre che dalla notte dell’omicidio<br />

di Isteddu Curzu vagava da un ospedale<br />

all’altro, imbottita di farmaci e di cento altre<br />

medicine. L’accompagnavano da un posto all’altro.<br />

Passavano dal medico generico allo specialista<br />

per ritornare magari al vecchio dottor Mattone,<br />

quello che aveva visto giusto da subito e aveva<br />

rimproverato per questo l’inebetito Sebastiano<br />

Florit: “Non dovevi portarla tua moglie a vedere<br />

Isteddu Curzu ucciso. Non era uno spettacolo.”<br />

Era iniziata in quella maniera la vicenda di<br />

Maddalena Satta, l’esaurimento che segnava il<br />

progressivo distacco della madre dai figli. Divenne<br />

una donna rinsecchita, con i capelli bianchi.<br />

Strascicava i piedi nel corridoio e non aveva<br />

mai voglia di parlare.<br />

57


In ospedale, i medici erano sbrigativi. Leggevano<br />

la cartella prima di visitare l’ammalata e decidevano<br />

sempre, giovani e più esperti, che il reparto<br />

più adatto per Maddalena era il piano terra,<br />

tra i dementi. Poi il medico di reparto si accorgeva<br />

che non era pazza e la faceva dimettere, prescrivendole<br />

cure contrarie a quelle di prima.<br />

Così avanti e indietro, per anni, senza riuscire<br />

a trovare una soluzione. La stanchezza iniziava a<br />

prendere il sopravvento sulla pietà e sul dovere.<br />

Aldo si trovava sempre davanti a quella porta<br />

blindata. Suonava il campanello e veniva ad aprire<br />

un infermiere gigante e dai modi gentili. Gli<br />

ebeti andavano su e giù per il corridoio. La luce<br />

sempre accesa, i malati ripetevano all’infinito<br />

cantilene ossessive e il tormento che gli rodeva il<br />

cervello e il cuore.<br />

Altri si muovevano tra stanze con il televisore<br />

sempre acceso, altri ancora scrivevano frasi<br />

d’amore sui muri, incastonate dentro i petali di<br />

enormi girasoli, parole come “vienimi a salvare<br />

angelito” e “cara Laura Valdes delle mie ossessioni.”<br />

Maddalena non si lamentava e sopportava il<br />

tempo che doveva vivere tra quelle mura. Sapeva<br />

già che l’avrebbero dimessa e che dopo un periodo<br />

di relativa calma sarebbe dovuta ritornare a<br />

scontare un destino ingiusto, iniziato venti anni<br />

prima quando avevano illuminato Isteddu Curzu<br />

con i fari delle camionette.<br />

58<br />

Il morto non si poteva riconoscere. Quello che<br />

era rimasto iniziava a gonfiarsi in una bolla di<br />

vuoto e il resto era carne senza vita.<br />

Maddalena Satta non sentiva più le voci notturne<br />

della folla accorsa per gradi e il mugghiare<br />

del bue erchitu. L’aria glaciale era diventata asettica.<br />

Maddalena Satta vomitava. Iniziava a mancare<br />

al marito e ai figli e già la macchina a noleggio<br />

di Fodde Carretta la portava via mentre Espiritu,<br />

tutto il paese, accompagnava al cimitero quell’altro<br />

morto che lasciava due orfani e una donna<br />

destinata a ripetere all’infinito, come i malati del<br />

reparto, l’ossessivo mugghiare del bue. La donna<br />

di Isteddu Curzu doveva continuare a piangere<br />

per sempre, perché questo pretendeva la teatralità,<br />

senza mai riuscire a sapere che l’assassinio del<br />

marito attraversava la storia quotidiana di Sebastiano<br />

Florit, una persona che non aveva fatto mai<br />

male a nessuno.<br />

Come tutte le sere, Sebastiano Florit spegneva<br />

le luci del Municipio Vecchio dopo aver controllato<br />

la brace languente nelle stufe di ghisa ed essersi<br />

sincerato che nessuno fosse rimasto lungo le<br />

rampe di granito che dall’atrio scuro del palazzo<br />

portavano fino alla soffitta piena di bottiglie polverose.<br />

Chiuso il portale, l’ombra tagliava prima della<br />

chiesa, all’altezza dell’ambulatorio di Gianuario<br />

Arca e poi scendeva a Mole Tricu per il selciato<br />

59


che dal rifornitore della benzina conduceva al<br />

viottolo dominato dal palazzo di Martino Consillos.<br />

L’ombra seguiva quella strada perché non voleva<br />

vedere nessuno o qualcuno che potesse attraversargli<br />

il silenzio di cui avvolgeva la vergogna e<br />

la sua paura degli altri.<br />

Sebastiano Florit era diventato un uomo corpulento,<br />

lento nei gesti e nei movimenti, tutto il<br />

contrario della magrezza che doveva avere da giovane,<br />

così come poteva apparire nelle fotografie<br />

ingiallite, conservate dentro l’armoire della stanza<br />

buona, appirate alla rinfusa in una scatola di<br />

cartone.<br />

Sebastiano Florit era finito a fare la guardia<br />

municipale dopo una vita di fallimenti.<br />

La giovinezza l’aveva passata con l’Azione<br />

Cattolica, tra convegni, gite e tutte quelle attività<br />

che promuoveva la parrocchia con più frequenza<br />

di altri tempi, perché allora la chiesa era molto o<br />

tutto ad Espiritu.<br />

Nell’armoire, conservate insieme alle fotografie,<br />

c’erano parti di recite teatrali, un libretto ingiallito<br />

di poche pagine legato con spago, e, bene<br />

in ordine, le tessere dell’ACLI e della Democrazia<br />

Cristiana.<br />

Quei giovani di chiesa recitavano per un pubblico<br />

di purissime e di bigotte, per qualche pastore<br />

che riuscivano a far avvicinare e naturalmente per<br />

i bambini e per i ragazzi.<br />

60<br />

Ai tempi della giovinezza di Sebastiano, il cinema<br />

non era ancora arrivato ad Espiritu. Il migliore<br />

passatempo diventavano così le recite teatrali<br />

nel salone parrocchiale, sopra il palcoscenico<br />

fatto costruire da don Cecilio.<br />

Sebastiano non si raccontava anche se a volte<br />

intorno al fuoco della cucina di Mole Tricu tesseva<br />

le trame che tutti i bambini conoscevano da<br />

tempo immemorabile, il racconto di metà fava, i<br />

fichi secchi del frate, Mussingallone, Fioravanti,<br />

Lancillotto e i cavalieri della Tavola Rotonda, Genoveffa<br />

di Brabante e i cavalieri di Ekebù.<br />

Nel palcoscenico del salone parrocchiale, invece,<br />

Ferruccio Covazzi, noto Giovanni dalle<br />

Bande Nere, era Aspasio, il tribuno romano, mentre<br />

Sebastiano Florit era il martire cristiano che gli<br />

testimoniava la fede e i fratelli Delogu, Gennaro,<br />

Edoardo, Arminio e Pippo, erano tutti centurioni<br />

della legione.<br />

Di Ferruccio era noto il cipiglio, di Gennaro il<br />

fascino, di Pippo la facondia, di Arminio la figura<br />

secca da radice per il fuoco e di Sebastiano l’arrancare<br />

con le parole.<br />

Adesso sono nuovamente compagni di scena,<br />

con ruoli fissi e immobili, nel cimitero di Espiritu,<br />

la fotografia sopra una lapide di marmo, il nome e<br />

le date di nascita e di morte.<br />

Aldo non riusciva a capire cosa volesse dire coniantu<br />

solu santu, scandito durante la messa, con<br />

voce solenne, dai fratelli Delogu, un timbro berbo-<br />

61


oso che faceva rizzare i peli delle braccia e allo<br />

stesso tempo incantava chi li stava a sentire, un coro<br />

che si perdeva maestoso nel soffitto della chiesa,<br />

tutto dipinto di scene tratte dalla Bibbia e dalla<br />

vita dei santi e degli apostoli, con san Pietro in<br />

mantello rosso che riceve da Gesù Cristo le chiavi<br />

del regno e con san Giorgio che uccideva il drago.<br />

Era una chiesa molto grande, con la pila dell’acqua<br />

santa vicino al fonte battesimale. Nella<br />

navata centrale erano disposte due file uguali di<br />

banchi e nei giorni di festa grande, a Natale, Pasqua<br />

e il giorno del Signore, Corpus Domini, mettevano<br />

un tappeto lungo quanto il corridoio per far<br />

passare il Santissimo sotto il baldacchino.<br />

Ai fianchi della navata centrale c’erano le cappelle<br />

con tutti i santi che proteggevano Espiritu e<br />

che facevano buona guardia alle sedie dei signori<br />

piegate e chiuse con il lucchetto. Sotto la cassetta<br />

delle elemosine pregava signora Viviana, sempre<br />

vestita di nero e con il cappellino a veletta: controllava<br />

chi entrava e chi usciva, mezzo genuflessa<br />

sulla sua sedia con la targhetta di ferro.<br />

Nelle fotografie conservate dentro l’armoire,<br />

Sebastiano Florit era ritratto quasi sempre con il<br />

gruppo dove c’era Canticheddu, il postino dell’amore<br />

altrimenti detto Beato Angelico.<br />

Canticheddu era uno per conto suo, uno fuori<br />

dai gangheri e dalla grazia di Dio, un corto, uno<br />

che doveva temere le donne.<br />

62<br />

Percorreva ogni giorno il paese a piedi, attraversandolo<br />

dal principio alla fine con un’enorme<br />

falcata da uccellastro, sbucando per ogni dove, figura<br />

allampanata come la mamma del sole, il borsone<br />

della posta a tracolla e l’immancabile basco<br />

che gli usciva come una protuberanza dalla testa.<br />

“Ahi Pisa!” ripeteva, esprimendo così la sua<br />

disapprovazione contro tutto e tutti e scaricando<br />

in qualche modo la bisaccia del suo non essere come<br />

gli altri. Aveva più di tre pani, nella bertula.<br />

Quando aggiungeva “vituperio delle genti”, Canticheddu<br />

era già fatto, cotto dalla mattina presto<br />

dallo spirituale, nome che lui dava all’anice, e da<br />

mille bicchieri di vino divino santificati dalla benedizione<br />

papale e apostolica.<br />

C’era tutta una storia allora sui bottiglioni<br />

d’anice consumati in paese, bevuti tutti d’un fiato<br />

la mattina presto dai braccianti di Ulúmen prima<br />

di andare a lavorare, perché l’anice, così come<br />

il cicchetto, scalda d’inverno e rende freschi<br />

d’estate.<br />

L’esempio più concreto era dato dall’acquavite<br />

che usavano gli spegnitori del fuoco, dopo<br />

l’immane fatica del lottare con le frasche contro il<br />

mostro rosso che distrugge i campi e brucia le<br />

persone. L’alcool rinfrescava.<br />

Grandi bevitori d’anice erano ad Espiritu i fratelli<br />

Savanos, strambi e strampalati all’eccesso,<br />

storti come diceva la gente e sempre convinti di<br />

essere dalla parte della ragione, capaci di teoriz-<br />

63


zare da dietro il banco del loro negozio di stoffe,<br />

intorno alla politica del governo e al suo contrario,<br />

sul parto gemellare e sulla resistenza dei materiali<br />

a diecimila gradi di calore, sull’acqua e sul<br />

fuoco, insomma tutte cose che poi avrebbero raccolto<br />

in volume e che avrebbero fatto pubblicare<br />

dai Fratelli Fabbri, millantava Munnu Savanos, e<br />

giustamente, come poteva chiosare il popolo di<br />

Borgopio, dai fratelli di Pipineris, Mauru e Vizzente<br />

Diaulu, che fabbri lo erano per davvero a<br />

Mole Tricu.<br />

Tutti storti i Savanos, dal primo fino all’ultimo,<br />

tutti con qualche segno di distinzione che poteva<br />

essere la rapidità e l’insensatezza nel buttare<br />

la mano in tasca per tirare fuori la pattadese o la<br />

foga tribunizia con cui giustificavano il fatto che<br />

solo loro, nell’intera <strong>Sardegna</strong>, sapevano montare<br />

e rimontare alla perfezione il motore di una macchina,<br />

di un camion, di una barca, di una nave, di<br />

un transatlantico.<br />

Una logica di pensiero e un metodo di vita che<br />

sapevano applicare con coerenza, insensibili ad<br />

eventuali critiche che potevano essergli mosse dal<br />

popolino. Mauriziano, il più savio, il Barone Rosso,<br />

era un assiduo tra gli spettatori che frequentavano<br />

il Goya y Lucientes.<br />

Era un assiduo Mauriziano, attento e coinvolto<br />

nella vicenda che narrava lo schermo.<br />

Durante la sequenza finale di Z, quando il piccolo<br />

giudice incrimina uno dietro l’altro i generali<br />

64<br />

golpisti, chiedendo loro nome, cognome e professione,<br />

il Barone Rosso si era alzato nel buio, si era<br />

prima girato il berretto dalla parte storta, alla malavita,<br />

e poi come se stesse incitando chissà quale<br />

fantasma aveva gridato rivolto ai generali che<br />

uscivano dalla stanza del giudice: “Trattè, trattè!”<br />

Canticheddu invece, il cinema lo faceva per<br />

davvero, quando era postino dell’amore. Faceva il<br />

cinema nel senso che Espiritu dava al termine e<br />

cioè un qualcosa di strano e di incomprensibile allo<br />

stesso tempo, una magia che solo i pazzi potevano<br />

comprendere a fondo. Per questo Antonio<br />

Giusè Florit, il figlio di ziu Raffaelle, lo chiamavano<br />

Cinema di soprannome: un termine che gli si<br />

addiceva, sia che glielo avesse cercato don Cecilio,<br />

sia che se lo fosse inventato lui stesso, l’artista<br />

strambo, perché gli piaceva, così come a Mauriziano<br />

piaceva Barone Rosso.<br />

L’ontologia dell’immagine fotografica, rimuginava<br />

Aldo Florit, focalizzando su Canticheddu,<br />

così come figurava nelle fotografie dell’armoire,<br />

Canticheddu che ripeteva sempre calass, adanos<br />

e addisabeba quando dava la posta e si invocava a<br />

santa Bibiana.<br />

Ahi Pisa vituperio delle genti.<br />

La casa di Canticheddu era a due piani, palazzo<br />

e fondaco, con il cortile recintato da un muro<br />

alto di pietra da cui sporgevano le creste di un oleandro,<br />

segno che c’era acqua lì vicino, il principio,<br />

quella pianta dai fiori rosa pallido, per il fan-<br />

65


tasticare di molti bambini del vicinato, un punto<br />

di concentrazione dei corti e dei lunghi.<br />

Aldo c’era entrato una volta, l’ultimo giorno<br />

dell’anno, quando era andato a chiedere s’arina<br />

capute insieme a Bachisio Partes e ai gemelli Valdes.<br />

Canticheddu li aveva fatti entrare e davanti<br />

agli occhi estasiati dei bambini aveva aperto il tiretto<br />

di una vecchia mensola da ciabattino, tutto<br />

pieno di caramelle e di cioccolatini ricoperti di<br />

carta stagnola.<br />

La luce del cortile era esplosa quasi all’improvviso<br />

e vicino alla porta che dava sulla strada<br />

loro avevano scoperto la vecchia mensola con tutti<br />

gli arnesi ancora al loro posto: chiodi, spago, lesine,<br />

martelli, boccette di pece e strisce di cuoio<br />

ripartite nei minuscoli scomparti di quel mappamondo<br />

quadrato.<br />

Forse era stata quella l’unica volta che Canticheddu<br />

aveva permesso a dei bambini di varcare<br />

la soglia della porta che dava sullo stradone e poi<br />

gli aveva aperto il varco del suo orto, per farli giocare<br />

un poco nell’ultimo giorno dell’anno. Se ne<br />

erano andati i corti e i lunghi.<br />

L’albero spoglio elevava le braccia contorte<br />

verso il cielo senza sole, sul pozzo ricoperto a pari<br />

dello stradone. I bambini si erano sentiti al sicuro,<br />

al riparo da ogni essere malvagio dopo che avevano<br />

interrotto la questua, l’andare di casa in casa a<br />

chiedere. Bisognava fare in fretta prima che uscis-<br />

66<br />

se il sole perché allora chiedere non sarebbe stato<br />

più giusto.<br />

Arina caputò<br />

patatas e basò<br />

a intro ‘e s’istacca<br />

compare Giuann’Antò. 1<br />

L’orto di Giovanni Antonio Colombo, soprannominato<br />

Canticheddu alias Beato Angelico, finiva<br />

dove iniziava il burrone che saliva verso la foresta<br />

di pietra. Il sole alto nel cielo, era finita la<br />

questua e bisognava ritornare.<br />

Canticheddu mugghiava come il bue erchitu.<br />

1 Arina caputò/ patate e fagioli/ dentro la bisaccia/ compare Giovanni<br />

Antò.<br />

67


68<br />

Offertorium<br />

Caritas numquam excidit.<br />

Aldo ripeteva dentro di sé l’esortazione di san<br />

Paolo ai Corinti. Eppure sapeva che Laura Valdes<br />

non aveva bisogno di carità, non le serviva. La<br />

donna amata era distante dalla vita e dalla morte<br />

del padre, della madre, dei fratelli e degli altri famigliari.<br />

Non si sentiva una di loro pur scorrendole<br />

lo stesso sangue nelle vene e pur essendo come<br />

loro pervasa dalla stessa ferinità. Espiritu, la campagna,<br />

la faida, sembravano non esistere per lei,<br />

appartata in uno splendore e in un’assenza che<br />

traevano alimento e sostanza da quello che Aldo<br />

chiamava la Grazia e cioè il contrario dell’accettare<br />

la propria condizione.<br />

Laura Valdes era per Aldo Florit, solo per Aldo,<br />

l’incarnazione del femminino e allo stesso<br />

69


tempo la necessità, per il tempo vuoto, della donna<br />

angelicata.<br />

Quando diventava ubriaco, gli riusciva meglio<br />

fare l’amore con lei, lontani da Espiritu e da tutte<br />

le sue grettezze e i suoi furori.<br />

Gli sussurrava dolcezza Laura, e si rivelava<br />

ostinata, dopo aver fatto l’amore, a demolire e insieme<br />

capire la sua famiglia, quella di Pietro, di<br />

Teresa Arbau, di Luisi e di Marta.<br />

Era questo assurdo nell’assurdo che Aldo non<br />

poteva accettare, questa corazza di contraddizioni<br />

che gli impedivano di possedere del tutto la donna<br />

e la sua grazia.<br />

Laura gli rendeva la vita ancor più difficile,<br />

costretto com’era a nascondere la loro relazione,<br />

inadatta e inadeguata per Espiritu che ancora divideva<br />

il tempo e i sentimenti in caste ed ereos.<br />

Chi era Aldo Florit per pretendere la figlia di<br />

Pietro Valdes?<br />

Se avesse accettato, Laura! Se si fosse fatta carico<br />

un poco anche lei del disagio di Florit, del suo<br />

costruire attese.<br />

Non poteva però, la figlia di Teresa Arbau, la<br />

mamma del sole, tagliare da sé le radici. Né Aldo<br />

l’aiutava ad uscirne, capace solo di manifestare<br />

incertezze e dire balbettii quando la donna passava<br />

dall’ostinato silenzio a parole di disprezzo.<br />

Aldo le serviva soltanto: in mancanza di meglio.<br />

Era più forte Laura, più decisa, più consapevole<br />

della sofferenza e della tristezza che toccava<br />

70<br />

chiunque avesse avuto la sorte di nascere ad Espiritu.<br />

Laura sapeva sopportare.<br />

Accettava e insieme continuava ad ammucchiare<br />

ribellione, pronta a profanare e tirar fuori<br />

ali d’aquila non appena se ne fosse presentata<br />

l’occasione. La splendida Laura Valdes dagli occhi<br />

di ghiaccio.<br />

L’occasione per fuggire era arrivata con la<br />

morte dei fratelli, il momento di rinnegare, finalmente,<br />

se Laura fosse davvero esistita così come<br />

voleva Florit.<br />

Continuava ad illudersi Aldo, anche adesso<br />

che ritornava a Mole Tricu, insieme a Solinas, diretto<br />

come tutto il paese alla casa dei Valdes, per<br />

rendere un poco di pietà a quei due uccisi a sa<br />

Mossicrosa.<br />

Era un via vai di formiche nere, la maggior<br />

parte donne con la gonna lunga e scura dei giorni<br />

di festa, la veste buona.<br />

Sopra la blusa, attonata al colore della gonna,<br />

indossavano lo scialle leggero della primavera,<br />

colore blu notte per quelle che non erano state toccate<br />

dal pianto, nero per chi aveva un lutto stretto<br />

da scontare. Erano parche piissime ed ottuse,<br />

mamme del sole come Teresa Arbau che ci godeva<br />

a far paura ai bambini d’estate, quando appariva<br />

nella canicola di Mole Tricu e penetrava dentro<br />

l’ombra delle case, vestita con una pelle di volpe e<br />

con la faccia mascherata da un fazzoletto nero. La<br />

voce era un ululato, un guaito, un lamento.<br />

71


— Le vedi? Godono della morte.<br />

— È la morte quel che le accomuna in fondo,<br />

la morte che detta il senso della loro pietà.<br />

— E tu che vuoi creare lo stato dei filosofi in<br />

questo paese.<br />

— Mi piace misurarmi con l’impossibile.<br />

— Il fatto è che questa morte rende ancor più<br />

possibile la ferocia, giustifica la voglia di fare di<br />

Odoacre Vittore e fa sopravvivere l’odio incancrenito<br />

dei pastori, sempre vittime nei confronti<br />

della giustizia e sempre lupi tra di loro.<br />

— E allora perché li giustifichi sempre nei tuoi<br />

articoli?<br />

— Non li giustifico affatto. Cerco di ignorarli<br />

il più possibile. Scrivo di questa landa solo quando<br />

non posso farne a meno.<br />

— Ma non si può essere moralisti dentro e opportunisti<br />

fuori.<br />

— E chi è più opportunista del pastore? Chi<br />

più di questa gente riesce a stabilire una convivenza,<br />

quasi una regola di vita, tra la trasgressione<br />

della legge e il formale ossequio verso i rappresentanti<br />

di questa? Solo che Odoacre Vittore è riuscito<br />

ad incunearsi in mezzo a questa terra di nessuno.<br />

È entrato dentro come il sonno.<br />

— Cosa vuoi dire?<br />

— Tu sogni troppo Laura Valdes. O forse ti fa<br />

comodo costruirti una simbologia di grazia e di<br />

beltà in un luogo che non può permetterselo. Bisogna<br />

avere il coraggio di sporcarsi le mani.<br />

72<br />

— Continuo a non capire.<br />

— Sforzati! Bisogna avere il coraggio di sporcarsi<br />

le mani. Io lo faccio.<br />

— Vuoi dire Odoacre Vittore? Perché l’hai tirato<br />

fuori? Lo sanno tutti che il Goya y Lucientes<br />

persegue una sua guerra contro la giustizia e l’altro<br />

stato. Tu in particolar modo. Solo che non bisogna<br />

sovrapporre i piani. Non si possono aggiungere<br />

falsità alle falsità.<br />

— Quando è necessario sì. Mentire per un<br />

progetto è il primo dovere di un rivoluzionario.<br />

Capisci? Il primo dovere. Devi smetterla di sognare.<br />

— Sei tu che sogni, che inventi possibilità di<br />

riscatto per la gente di Ulúmen che non vuole essere<br />

riscattata. Ci disprezzano.<br />

— Bisogna sopportarlo il disprezzo. Essere<br />

spietati. Impedire che Odoacre Vittore continui ad<br />

entrare nel sonno. Vuoi capire o no? A me non interessa<br />

affatto chi sia stato ad uccidere i Valdes.<br />

Non me ne cale. Mi preme però sfruttare il caso, le<br />

possibili coincidenze.<br />

— E l’oltraggio, l’oltraggio.<br />

Solinas rise fragorosamente, forzando vieppiù<br />

il suo teatrare.<br />

— Te lo ficchi in culo l’oltraggio. La rivoluzione<br />

è un atto di violenza. Non te la ricordi, tu<br />

che sei un cinefilo, la citazione di Mao all’inizio<br />

di Giù la testa?<br />

L’oltraggio è come l’anima, che esce fuori<br />

73


quando tu e il resto del Goya andate a pisciare nel<br />

Nilo, dietro il bar di Zigarru, ubriachi da non poterne<br />

più.<br />

Non sognare, Florit. Laura Valdes è morta ormai,<br />

da tanto tempo, suicida. Lei sì che ha avuto<br />

coraggio. Non ha aspettato che venissero i carabinieri.<br />

Aldo sollevò le mani per colpire e poi si fermò.<br />

Solinas non avrebbe reagito, era sicuro, né lui<br />

sarebbe stato capace di tanto. Rancurì per conto<br />

proprio mentre continuavano la strada verso Pentola<br />

Cielo, fisicità in mezzo alle ombre.<br />

Poi sbottò, quando si rese conto che Solinas<br />

continuava a camminargli a fianco, nonostante<br />

tutto.<br />

— I carabinieri, Odoacre Vittore, cosa c’entrano<br />

con la morte dei gemelli. Perché ti si è accanito<br />

contro, stamattina, il capitano, e ha fatto prendere<br />

luce al rullino?<br />

Solinas non rispose subito. Tirò Aldo per un<br />

braccio e lo costrinse a guardarlo in faccia.<br />

— Sta arrivando la mia ora — disse — e non<br />

voglio impedirti di continuare a sognare. Se per te<br />

è questa la soluzione, va bene. Devi sapere però<br />

chi ha ucciso i Valdes: sono stati i carabinieri.<br />

Adesso mi stanno dietro perché li ho scoperti.<br />

Aldo si era sentito seccare. Anche Solinas vedeva<br />

le janas dunque, e credeva alla mamma del<br />

sole, ai corti, ai lunghi e al bue erchitu. Solinas<br />

che gli stava accanto.<br />

74<br />

Il cielo era diventato ancor più strano.<br />

Ma come poteva esagerare fino a quel punto<br />

un povero e disadattato cronista di paese, uno che<br />

si era inventato la lotta di classe perché non era<br />

buono ad altro? Ziu tittìa, mincimortu, homo fugens,<br />

non ti cheret neune, non ti vuole nessuno.<br />

Cosa non gli dicevano quando toccava a Solinas<br />

fare il gallo di carnevale.<br />

Famosa la scena a scuola, con Giacinto Mortuisvere.<br />

“Ma la fabbrica, la fabbrica. Chi è questo Faus,<br />

professor Solinas, lei che fa cinema e letteratura?<br />

Un padrone delle ferriere o uno come Stanley<br />

Kramer, un produttore illuminato?”<br />

“Gli è che Faus-faussione fa rima con coglione,<br />

gentile collega.”<br />

Non sapeva altro. Vai tu e stagli dietro ad uno<br />

che dice le parolacce.<br />

Aldo sapeva che il cronista frustrato usava<br />

spesso di quei toni paradossali, il tono di uno che<br />

dice delle enormità tanto per dirle, perché gli piace<br />

sguinzagliare cani feroci dentro la valle e poi<br />

fuggire mentre le belve ti inseguono e vogliono<br />

sbranarti e lacerarti, ridurti a pezzi.<br />

Era uno che conoscendolo a fondo, ad Espiritu<br />

avrebbero definito mintapare, uno che ci gode a<br />

fabbricare attriti perché lui possa dopo intervenire<br />

a fare da arbitro, per mettere pace o attizzare ancor<br />

più il fuoco.<br />

Da qui a passare alla menzogna vera e propria<br />

75


il passo è breve, specie per chi appartiene alla categoria<br />

degli invidiosi.<br />

Mentire però fino a quel punto era troppo. Anche<br />

per Solinas.<br />

Il cronista aveva detto ad Aldo del pezzo telefonato<br />

al giornale. Adesso aspettava l’arrivo dell’inviato:<br />

lui non poteva andare oltre il compito di<br />

segnalare la notizia. Gli aveva anche detto che era<br />

andato via prima da sa Mossicrosa per cercare<br />

l’impiegata dell’ufficio anagrafe e per farsi dare<br />

le fotografie dei due uccisi. I carabinieri però avevano<br />

fatto prima. Arrivò che il portone del Municipio<br />

era già stato aperto. Dalla piazza dove passeggiavano<br />

Chircantoni e Luzianu vedeva le divise<br />

che si muovevano oltre i vetri della finestra.<br />

Sotto, davanti al portone, c’era una gazzella con<br />

due in bandoliera, pronti, e un poco più avanti,<br />

nello spiazzo del bar di Varigotti, una camionetta<br />

piena di uomini in divisa da combattimento. Tutto<br />

per due fotografie, due ritratti a mezzobusto, contrassegnati<br />

dal timbro a secco del Comune, gli<br />

stessi volti che sarebbero apparsi l’indomani in<br />

prima pagina, riquadrati in rosso e ingranditi a dismisura.<br />

Avrebbe pensato direttamente la caserma a<br />

fornire le fotografie al giornale e magari anche un<br />

sintetico curriculum vitae, le cose che fanno più<br />

cronaca.<br />

Riesplode la faida. Due gemelli trucidati barbaramente<br />

nel loro ovile. L’esplosione ritardata,<br />

76<br />

interrotta in chissà quale tempo e poi ripresa, reinnescata<br />

nell’oggi, non poteva non attirare l’attenzione.<br />

Il paese avrebbe riesploso a sé stesso la faida<br />

che, tutti mormoravano, poteva o doveva essere<br />

iniziata circa venti anni prima, con la morte di<br />

Isteddu Curzu. Pur non scrivendolo, i giornali non<br />

avrebbero potuto fare altro che corroborare in ciascuno<br />

questa ipotesi.<br />

Scantonava di nuovo Aldo o forse stava precorrendo<br />

la verità. Un assurdo che si conciliava<br />

con l’assurdo e non con quella rivelazione che Solinas<br />

gli aveva fatto: i Valdes uccisi dai carabinieri,<br />

solo perché ziu tittìa doveva difendere la sua<br />

lotta di classe, fare la sua rivoluzione, neppure in<br />

sintonia con i sogni del Goya y Lucientes.<br />

Il caritas numquam non valeva per Solinas.<br />

Gli piaceva troppo vedere Aldo soffrire. Quell’affermazione<br />

sulla morte dei gemelli era però troppo<br />

pesante. Non poteva essere lasciata come una<br />

mina vagante. Bisognava disinnescarla.<br />

— Come puoi confermare una cosa del genere?<br />

— sbottò Aldo all’improvviso.<br />

— Ti ho già detto che mi sono sporcato le mani.<br />

E gli occhi. Mentre tu pensavi ad ubriacarti, stanotte,<br />

io ero a caccia. Dissolvevo la nebbia prima<br />

che si formasse. Non ti è sembrato strano che i carabinieri<br />

non vi abbiano rotto i coglioni stanotte,<br />

quando ballavate il girotondo intorno alla stele di<br />

Bacco, dove attacchiamo i manifesti, nel campo<br />

77


sportivo, proprio sotto la caserma? Avevano ben<br />

altro da ordire e da nascondere. Vi sono passati davanti<br />

a luci spente e voi non ve ne siete neppure accorti.<br />

Un giro largo per trasportare i morti a sa<br />

Mossicrosa. I gemelli, Vittore li ha uccisi in un’altra<br />

tanca. Forse a su Banzicu, forse a Paule Maiu. I<br />

carabinieri vi sono passati davanti e voi non ve ne<br />

siete accorti. Se non mi credi, ti dico che tu in quel<br />

momento stavi concionando sopra la stele, ubriaco<br />

come uno del club di Nigas Ozzas. Dicevi di<br />

lolly madonna, di uomini dal passo pesante.<br />

— Troppo prevedibile. Stai inventando.<br />

— No, no. Gridavi parole che non ti ho mai<br />

sentito né so cosa vogliano significare: coccotraustés<br />

coccostraustés.<br />

Aldo si sorprese e Solinas se ne accorse.<br />

— Vi sono venuto dietro — aggiunse — perché<br />

volevo ubriacarmi insieme a voi. Poi, quando<br />

ho visto le macchine dei carabinieri mi sono nascosto.<br />

— Ma perché? — interruppe Aldo — che motivo<br />

c’era che i gemelli venissero ammazzati dai<br />

carabinieri?<br />

— Per sbaglio. Non era loro che aspettavano.<br />

— E chi?<br />

Non ci fu tempo per rispondere. Erano arrivati<br />

alla casa dei morti.<br />

Con la coda dell’occhio, Aldo vide una macchina<br />

avvicinarsi, un andare come da gatto che<br />

punta la preda, né veloce né lento. Strano.<br />

78<br />

Supposto che fosse stato tutto vero, che fossero<br />

della giustizia, Solinas non aveva fatto niente<br />

per impedirlo. Cadeva nella trappola che lui stesso<br />

aveva preparato, supposto che fosse stato tutto<br />

vero. Solinas però era cosciente di questo dover<br />

cadere e di essere braccato. Si era tradito a sa<br />

Mossicrosa, nel forzare il cordone e fotografare i<br />

morti. Era proprio l’assurdo che si materializzava,<br />

l’assurdo da cui Aldo non riusciva a liberarsi, così<br />

come era impossibile liberarsi di Solinas e delle<br />

sue trame.<br />

Era necessario allora intensificare i sogni, irrobustire<br />

le finzioni e accettare il falso alla stregua<br />

di qualsiasi adattabile verità.<br />

Aldo vide Laura: gli occhi passavano dall’azzurro<br />

al verde, al grigio, al viola, ed erano due<br />

opali incastonate in un oggetto diviso tra il desiderio<br />

della conoscenza carnale e l’irraggiungibilità<br />

del fiume quando si nasconde tra i rovi.<br />

L’avventura con Laura era terminata eppure il<br />

fuoco continuava a consumare.<br />

Adeste fideles<br />

laeti triumphantes.<br />

Così cantarono da Zigarru nell’ultimo Natale,<br />

quando la mente si era ancor più ottenebrata.<br />

Si consumava Aldo. Si suicidava Aldo, lentamente,<br />

giorno dopo giorno, con le sue indecisioni.<br />

Beveva, inventava alibi, e Laura si allontanava.<br />

79


Beveva Aldo, si ubriacava e continuava a costruire<br />

falsità. Altro che Solinas. Prendeva a piccole<br />

dosi il veleno che altri avevano deciso di assumere<br />

tutto in una volta, i cittadini della repubblica dei<br />

suicidi, una parte consistente di Espiritu.<br />

Era questo del voler morire un aspetto ingombrante<br />

che caricava ancor più l’ombra. Gli impiccati<br />

oscillavano nel fondaco oscuro e non potevano<br />

nascondersi agli occhi del paese e del mondo.<br />

Corpi di pazzia e di dolore erano appesi alla ringhiera<br />

con improvvisate corde e con le soghe del<br />

carro, pencolanti, geni incompresi, messi da parte<br />

e ignorati. La solitudine decideva ad un certo punto<br />

di sfidare il dio dell’umiltà e della superbia, dell’amore<br />

e dell’odio, dell’incomprensione tra padre<br />

e figlio, tra fratello e sorella, tra amante e amata.<br />

Una decisione estrema. Nessuno salvava. Nessuno<br />

sentiva e vedeva quando le ombre attraversavano<br />

l’intero paese, dirette in campagna o verso<br />

una stalla, verso il trave e l’albero che avevano<br />

scelto. Erano già impiccati prima di morire nel<br />

trave e nell’albero contorto che sarebbe restato segnato<br />

per sempre. Mugghiava il bue.<br />

I preti potevano dire che gli orti di Espiritu erano<br />

come il Getzemani perché in ognuno c’era<br />

traccia del dolore e della pazzia di tutti che uno<br />

solo si era voluto addossare, prima e dopo il manicomio,<br />

prima e dopo la galera, prima e dopo la casa<br />

come condanna.<br />

Aldo farneticava. Vedeva Laura come in un so-<br />

80<br />

gno e la donna mai amata gli parlava. Spiegava<br />

una condizione di impossibilità, a lui che non sarebbe<br />

mai riuscito ad abituarsi ad una legge, grande<br />

o piccola che fosse, enorme a dismisura o minima.<br />

Inventava Florit.<br />

“Vorrei che tu riuscissi a capire” gli diceva<br />

Laura. “ Vorrei che tu comprendessi, ora che l’ombra<br />

mi avvolge, che il tuo amore per me era impossibile,<br />

il tuo sogno era sprecato in questa desolata<br />

terra di morti senza pietà. Ti sei consumato come<br />

don Chisciotte nella vana ricerca di Dulcinea. E<br />

Dulcinea era solamente un’Aldonza, una contadina<br />

dura di cuore. Non ho amato mai nessuno. Tutti<br />

gli uomini sono stati oggetto del mio puntiglio e<br />

nessuno è mai riuscito a liberarsi dalla condizione<br />

di servo. I leoni che mi hanno voluto azzannare<br />

non potevano ruggire. Cercala a sa Mossicrosa<br />

questa gente di faida, questi difensori dell’onore,<br />

questi possessori del corpo che non hanno saputo<br />

dove era la chiave per aprire la porta del mio cuore,<br />

per liberare la grande dolcezza che era in me.<br />

Vendicami Aldo Florit perché io non ho potuto.<br />

Dovevo continuare a mascherare, a fingere una<br />

durezza che non era mia. Non potevo piangere,<br />

non potevo gridare ai vivi la disperazione che mi<br />

ha accompagnata dal giorno in cui sono venuta alla<br />

luce fino al giorno in cui ho deciso di morire, lasciando<br />

agli altri, a quelli che restavano, un fardello<br />

pesante. Non ti ho potuto amare Aldo Florit.<br />

Non ti potevo amare.”<br />

81


Non era più in sé Aldo. Non riusciva a capire<br />

se fosse Pentecoste o la vigilia di Natale. Canticheddu<br />

batteva l’albero delle noci e altre ombre di<br />

scherno e di oltraggio pendevano, imputridite dalla<br />

canicola. Erano ombre che non appartenevano<br />

più ai corpi che le avevano emanate, corpi ormai<br />

di dominio pubblico. Parole che non attaccavano<br />

né ai muri né alle porte. Rimbombavano e avvolgevano<br />

di morte l’intero paese, la morte che più<br />

faceva paura, ancor più della fucilata a tradimento,<br />

perché se ce l’hai in testa questa morte che<br />

vuoi dare a te stesso, prima o poi ci devi riuscire,<br />

senza tappe intermedie, senza mezze misure.<br />

Espiritu non ammetteva un est modus in rebus,<br />

una mediazione tra il bene e il male. Tutto era immenso,<br />

incomparabile ed incommensurabile.<br />

Aldo Florit era entrato nella casa di Pietro Valdes.<br />

Nonostante gli invisibili fili della trama con<br />

Laura, era entrato per dovere, spinto da chissà<br />

quale intuito di uno che vuole misurarsi con cose<br />

più grandi di lui e del suo potere di cambiare il<br />

mondo e le cose.<br />

Una rivoluzione impossibile.<br />

Le donne piangevano e urlavano sopra le bare<br />

chiuse. La luce delle candele sovrastava quella<br />

dei lampadari. L’aria era acre, impregnata di fiori<br />

e di sudore, di pianto e di cera.<br />

Aldo cercò Laura ma vide solo un insieme di<br />

scialli neri, terribili e senza volto, un grumo di vo-<br />

82<br />

ci roche accordate con la pietà e con lo strazio di<br />

Marta Valdes, di Teresa Arbau e di Veronica Florit<br />

che non aveva voluto sentire di stare fuori dalla riga,<br />

come le aveva ordinato dottor Mattone.<br />

Nel coro avrebbe pianto anche lei per il figlio<br />

che le doveva nascere. L’avrebbe esortato alla<br />

vendetta come venti anni prima aveva fatto la moglie<br />

di Isteddu Curzu.<br />

Cuore mio<br />

figlio mio<br />

fratelli miei<br />

il fulmine ci ha bruciato<br />

cuore mio<br />

fiore il più stimato<br />

cuore di mamma cuore di mamma<br />

la morte ci hanno dato<br />

cuore mio cuoricino<br />

il carro che li riporti<br />

marito mio<br />

non li conosca la madre<br />

figlietti miei<br />

in cuore ho una fiamma<br />

figli figli miei<br />

che li distrugga la lama<br />

cuore di mamma<br />

Dio che cosa ci hai fatto<br />

cuore<br />

Dio che non li perdoni<br />

fratello mio<br />

Dio che li castighi<br />

83


cuore mio<br />

perla la più lucente<br />

cuore cuore<br />

il fuoco che li bruci<br />

cuore<br />

astro di sole ridente<br />

cuore di mamma<br />

cuore di mamma.<br />

Era un lamento infinito e circolare<br />

Tramite le donne, l’invocazione alla giustizia<br />

divina si rivolgeva agli uomini, a coloro che potevano<br />

coltivare la vendetta, che sarebbe esplosa<br />

magari cento anni dopo, ingigantendo sempre più<br />

dentro gli animi, crescendo a dismisura e nello<br />

stesso tempo dissimulandosi in un fare normale<br />

verso l’odiato nemico: in campagna e in paese.<br />

Aldo conosceva qualcosa della storia di Marta.<br />

A seguire la traccia, uno pieno di coraggio sarebbe<br />

disceso verso il fiume verde, ingrossato di storie<br />

che da parallele erano diventate trasversali.<br />

Tutte nascevano però dal voler diventare uno più<br />

ricco e più potente dell’altro, dall’interesse, dal<br />

sopraffare prima di essere sopraffatto. Era questa<br />

la legge nella foresta di pietra, le regole che seguivano<br />

i corti e i lunghi.<br />

Il sodale tradiva il sodale, il fratello il fratello.<br />

Il bene diventava male, la buona sorte si trasformava<br />

in fato avverso.<br />

Prima c’erano state la ruberia e la bardana, tutti<br />

insieme. Pietro Valdes, Pasquale Arca, Ciriaco<br />

84<br />

Partes e Isteddu Curzu ne avevano fatto insieme a<br />

piedi e a cavallo, nei paesi della Costa e negli stazzi,<br />

ingrassando e arricchendo, tutti di comune accordo<br />

sulla morte degli altri.<br />

Il bestiame rubato dal sodalizio di Pietro Zudeu<br />

longu era grasso e aveva il pelo lucente. Il<br />

fuoco coda rossa divorava le tanche degli altri,<br />

non quelle di Bachis Grussu, di Calavrina e del<br />

Chiaro Grande. Intanto nei granai del sodalizio si<br />

ammassavano sacchi di grano.<br />

Branchi di maiali, greggi sterminate di pecore<br />

e mandrie di vacche. Le tanche vecchie ingoiavano<br />

quelle nuove.<br />

Il sodalizio di Pietro Valdes riusciva a trasformare<br />

in oro tutto quanto, un bagliore tanto intenso<br />

che avrebbe però finito per accecarli, li avrebbe<br />

divisi al momento della spartizione. Isteddu Curzu<br />

non sarebbe mai diventato il marito di Marta<br />

Valdes.<br />

Su Craru Mannu, a Stella Corta gli era toccato<br />

perché parente dei Ruinas, gente ricca, e lui abile<br />

e rapace come l’aquila quanto inconsistente come<br />

il fumo, una figura affilata, sempre in velluto nero,<br />

era voluto andare a fare legna da quella grande<br />

quercia che stava iniziando a cadere.<br />

Aveva comprato su Craru Mannu, Bachis<br />

Grussu, Calavrina, su Banzicu e Luche Ruia per<br />

una brocca di soldi falsi, una brocca che un tempo<br />

Ruinas padre avrebbe preso per buttarla ai mendicanti<br />

che bussavano alla porta.<br />

85


Ma i figli da Parigi e da Vienna avevano bisogno<br />

di continuare a studiare e divertirsi e i soldi<br />

ammucchiati erano scomparsi come d’incanto.<br />

Poi Isteddu Curzu aveva voluto vendersi quelle<br />

terre mai sudate eppure così fertili, al compagno<br />

di ruberia, zio Pietro Valdes, più grande di lui<br />

di venti anni che però aveva una figlia d’incanto,<br />

Marta dagli occhi di gatto.<br />

E per Marta tutto si doveva fare, anche entrarle<br />

nel letto come il sonno e costringerla a godere<br />

senza voglia e generare un figlio, un segno di colpa<br />

da nascondere mentre lievitava nel ventre e poi<br />

farlo scomparire nel nulla non appena la creatura<br />

fosse venuta alla luce.<br />

Pietro Valdes intanto aveva combinato il matrimonio<br />

tra la figlia e Golósti, il padrone di Tremene<br />

’e Chelu e di sa Mossicrosa.<br />

Non sapeva ancora Pietro Valdes di chi gli erano<br />

nato da Isteddu Curzu e non sapeva neppure<br />

che Marta, forse per la noia dei giorni o forse per<br />

disperazione, si era buttata tra le braccia di Nunzio<br />

Sole, un servo, unu remitanu. Tentennava<br />

quando Stella Corta gli chiedeva la figlia in sposa,<br />

non per sé ma per Tomasu Burdu, un altro rapace<br />

che si era aggiunto alla compagnia, un implume<br />

da nido che ancora doveva imparare.<br />

Nella notte del loro sodalizio, tutti insieme<br />

erano andati a rubare i buoi di Remunnu’e Locu,<br />

nipote del poeta di Ulúmen, e dopo essersi preso il<br />

giogo l’avevano ucciso. La morte che gli diedero,<br />

86<br />

a colpi di scure, la ricordano ancora oggi con esecrazione.<br />

La gente aveva già saputo da subito chi<br />

era stato ad uccidere quel povero, nella stalla di<br />

casa sua. Anche la giustizia sapeva ma non poteva<br />

farci niente. Non c’erano prove e nessuno avrebbe<br />

potuto vendicare quella morte perché Remunnu<br />

non aveva né fratelli né figli maschi.<br />

Rubavano, uccidevano, bardanavano tutti insieme<br />

e continuavano a ingannarsi a vicenda.<br />

Una mandria di vacche e quattro cavalli erano<br />

bastati a Isteddu Curzu per fare diventare Tomasu<br />

Burdu padrone di su Craru Mannu. Padrone per<br />

finta però, perché nonostante l’astore iniziasse a<br />

fare becco e artigli, Tomasu non era nemmeno un<br />

povero arricchito e continuava ad essere, per la<br />

compagnia, Tomasu agganitu, affamato, Tomasu<br />

merda, Tomasu faccia da culo, Tomasu storto, con<br />

le gambe a ruota di carro, Tomasu cagato fatto diventare<br />

signore dal figlio di Bue Domato, padrone<br />

di tanche inesistenti come Terra d’oro e Fiume<br />

Verde.<br />

E voleva sposarsi con Marta Valdes, il signor<br />

Tommaso attaccabrighe.<br />

Le parole iniziavano a sgretolare la pietra<br />

compatta, nonostante Bachis Grussu e Calavrina<br />

fossero ormai ben salde nelle mani di Tomasu.<br />

Nessuno se ne accorgeva, nemmeno Isteddu Curzu<br />

che credeva di beffare il discente, nemmeno<br />

Pietro Valdes che adesso non nicchiava più e per<br />

poter diventare padrone di su Craru Mannu e della<br />

87


tanca di sa Mossicrosa aveva promesso Marta sia<br />

a Isteddu che a Golósti Mainas, all’insaputa l’uno<br />

dell’altro.<br />

Nella taverna di Meres duos, Golósti Mainas<br />

spendeva e spandeva, pestandosi e sbargaminandosi<br />

i soldi che gli entravano dalla proprietà e dal<br />

rubare. Intanto Marta Valdes, dopo aver fatto<br />

scomparire il figlio di Isteddu Curzu, faceva<br />

l’amore con Nunzio Sole nel pagliaio di Mole<br />

Tricu. Un intrico senza senso, senza una ragione<br />

per esistere, dato che i protagonisti, quelli che lo<br />

vivevano e lo alimentavano, non avevano un’anima<br />

per ridere e per piangere, non avevano sentimenti<br />

e non sapevano che prima o poi tutto quel<br />

tradimento tenuto nascosto avrebbe finito per travolgerli,<br />

riservando a ciascuno un destino di<br />

morte da scontare su sé stessi o sui figli, carne<br />

della propria carne.<br />

Nella locanda di Meres duos, Golósti Mainas<br />

spendeva e spandeva. L’oste, non aveva orecchie<br />

per sentire, preoccupato di cuocere la carne non<br />

sempre di bollettino e di fare buona accoglienza ai<br />

pochi forestieri che capitavano ad Espiritu.<br />

Meres duos era il classico tipo di oste basso e<br />

pelato e con la pancia ben rotonda e prominente,<br />

un mercante che si adeguava ai tempi e alle situazioni,<br />

capace di accogliere con lo stesso sorriso<br />

sia Ruinas padre che Mazzone, casomai fossero<br />

entrati insieme. Nella taverna, c’era una pesante<br />

tenda color rosso che separava la bettola vera e<br />

88<br />

propria per i clienti fissi od occasionali da un luogo<br />

indefinibile e misterioso.<br />

Quel punto del locale, discreto e terribile, lo<br />

chiamavano sa boema, dalla Bohème pucciniana.<br />

Pietro Valdes, patriarca degenerato, ascoltava<br />

le richieste di Golósti Mainas.<br />

“Vi devo parlare ziu Pré, ma da solo.”<br />

“Non ti fidi di zio Partes?”<br />

“Ma certo.”<br />

“E di Pascale Arca?”<br />

“Ma sì!”<br />

“Sono tutti come fratelli per me e padri per te.<br />

E allora cosa vuoi? Cosa mi vuoi dire?”<br />

“Quasi mi manca il coraggio.”<br />

“Uno come te.”<br />

“È per vostra figlia. Vi decidete a darmela una<br />

buona volta?”<br />

“Ma lo sai cosa stai chiedendo.”<br />

“Il cielo.”<br />

“E tu me la dai sa Mossicrosa?”<br />

E così l’antica tanca dei Ruinas aveva cambiato<br />

nuovamente di mano, barattata per un matrimonio<br />

che non si sarebbe mai fatto. Pietro Valdes era<br />

ormai padrone del mondo. In quel luogo di inganno,<br />

la sera prima aveva fatto firmare un foglio a<br />

Isteddu Curzu. Il balente che non sapeva di essere<br />

padre, già parente di zio Pietro, gli dava tutto su<br />

Craru Mannu.<br />

Aldo Florit provò a risvegliarsi da quel sonno<br />

ma non ci riusciva. Gli avvoltoi della locanda<br />

89


non avevano ancora finito di mangiarsi l’uno con<br />

l’altro.<br />

Tutto era scoppiato all’improvviso, quando<br />

Tomasu aveva scoperto il frutto del ventre di Marta<br />

e la boema di Meres duos era venuta a sapere<br />

del segreto che come luce penetrava adesso nel<br />

corpo di Pietro Valdes e gli rendeva fiele il sangue,<br />

gli artigliava la carne, gli amareggiava il cuore<br />

e gli ottenebrava la mente. Il sodalizio, su soziu,<br />

si era sfasciato. Tutti pensavano già a quando<br />

avrebbero ucciso l’altro, non subito, ma anni e secoli<br />

dopo, quando ad uno ad uno avrebbero iniziato<br />

a morire, travolto l’antico patto di alleanza dallo<br />

stesso demone che lo aveva costruito e alimentato.<br />

Isteddu Curzu era morto quella sera e non anni<br />

dopo, anche se l’uccisione vera e propria sarebbe<br />

dovuta accadere quando la vittima predestinata,<br />

ormai marito e bravo padre di famiglia, credeva di<br />

essere fuori pericolo.<br />

L’avevano giurato tutti nella boema di uccidere<br />

l’aquila e poi avrebbero potuto anche dividersi,<br />

ognuno per la sua strada, e avrebbero potuto iniziare<br />

una nuova guerra, Mainas e Tomasu da una<br />

parte, uniti dalla beffa della sorte insieme ai porcaglieddos<br />

Gregorio Canepa e Michelli Reu.<br />

Dall’altra i più forti, i Valdes, i Partes, i Tola e<br />

gli Arca che non avrebbero dato scampo a quei<br />

nuovi affamati che volevano banchettare anche<br />

loro dentro le antiche terre dei Ruinas, perché se-<br />

90<br />

condo lo stato di diritto della boema anche Tomasu<br />

Burdu e Golósti Mainas erano diventati padroni<br />

nel tempo della bardana. Non c’era scampo per<br />

nessuno.<br />

Tentando di sfuggire al suo destino, Isteddu<br />

Curzu, che forse non avrebbe mai saputo di essere<br />

stato padre prima di diventarlo dei figli di Lia Carre,<br />

sua legittima moglie, aveva fatto sapere a zio<br />

Pietro, sempre tramite la boema, della tresca che<br />

legava Marta a Nunzio Sole, unu remitanu, uno<br />

che non meritava lo sfregio, l’orrore a cui sottoposero<br />

il suo corpo.<br />

Figlio<br />

figlio mio adorato<br />

il fiore più stimato.<br />

Le ombre dei giudici, padri delle janas, aspettavano<br />

al fiume verde mentre Aldo Florit era dentro<br />

la casa dei morti, nella stanza dove le lamentazioni<br />

rimbombavano contro il muro e nel soffitto.<br />

Cuore mio<br />

Figlio mio.<br />

Era poi entrato nella stanza degli uomini e aveva<br />

visto Pietro Valdes distrutto, la faccia ancor più<br />

vecchia, con la bocca senza dentiera.<br />

Piccone e Nestore Arbau, con la barba bianca<br />

di due o tre giorni, sostenevano il cognato, corpo<br />

di arida erbaccia sopra un prato ancora più arido,<br />

sconvolto come il territorio del suo cuore, figura<br />

lunga di padre dolente, tagliata in grosso con la<br />

91


scure e sgorbiata poi dal dolore, a tacche larghe,<br />

lasciate così agli inizi della forma da chissà quale<br />

scultore del legno. Luisi Valdes era un poco discosto<br />

dal padre, in piedi sotto il tendone della finestra,<br />

quasi avvolto in un completo scuro su cui<br />

spiccava una camicia bianca candida, lui più cupo<br />

del solito, gli occhi puntati a terra, le mani annodate,<br />

ferme ed immobili, un insieme tozzo, una figura<br />

ritagliata su uno sfondo irreale.<br />

Ritornando nella stanza dei morti, Aldo aveva<br />

cercato gli occhi di Laura e il verde era diventato<br />

scuro prima di ravvivarsi nuovamente e di inabissarsi<br />

ancora una volta nei fiumi sconosciuti coperti<br />

dai rovi. L’irrealtà e l’assurdo, i codici mai scritti<br />

della foresta di pietra, fecero grumo nel sentire,<br />

prima di dissolversi in un dialogo allucinato con<br />

Laura.<br />

— Cosa cerchi? — chiese la donna.<br />

— Non lo so. Forse un senso a questa morte.<br />

— Come se questi morti dovessero avere un<br />

senso oltre la ferocia. La mia è una famiglia minata<br />

dal male.<br />

— È la tua famiglia. I morti erano tuoi fratelli.<br />

— No! Non erano miei fratelli!<br />

Un’affermazione, quella di Laura, inadeguata,<br />

parole non in sintonia con il dolore gridato nelle<br />

stanze accanto mentre il paese entrava ed usciva.<br />

—Aspettavano Mario e Salvatore, — disse Aldo,<br />

cercando di dare ordine a quello scompiglio.<br />

— Ma chi? Cosa vai farneticando?<br />

92<br />

— Li aspettavano a Rivu Virde. Ma ora le janas<br />

hanno già chiuso le porte.<br />

Le formiche ritornavano verso la piazza e a<br />

Florit venne da credere che lui e Laura potevano<br />

trovarsi appartati dagli occhi del paese e dal cosmo<br />

della barbarie, lontani e distaccati dall’ira e<br />

dalla ferocia, dal dolore e dal tedio che impregnava<br />

l’aria di fuori, pesante e densa di fiori marci.<br />

Un sogno.<br />

La donna aveva il volto pallido, di una tristezza<br />

che non era disperazione, quasi conoscesse da<br />

tempo il fato che incombeva sopra i fratelli e sull’intera<br />

casa.<br />

— Si è vero — riprese — quei due erano miei<br />

fratelli perché come me discendono da Pio Arbau<br />

e da Mauro Valdes. Ma non sono e non sono stati<br />

miei fratelli. Espiritu li ha distrutti ancora prima<br />

di te e di me, li ha distrutti perché troppo poco è<br />

durata la loro infanzia nel vicinato di Mole Tricu.<br />

Li hanno fatti diventare uomini prima del tempo.<br />

— Ma non tutti gli uomini della società pastorale<br />

sono come questi due tuoi fratelli.<br />

— Di quali uomini parli?<br />

Il sonno continuava.<br />

Laura fece per alzarsi e poi si posò nuovamente<br />

come un uccello ferito.<br />

— Di quali uomini parli — proseguì la donna.<br />

— Per loro ha senso soltanto il dominio dell’uno<br />

sull’altro, degli uni sopra le altre. Non riescono a<br />

vivere.<br />

93


Il volto di Laura si era andato via via spegnendo.<br />

Un tremito le sue labbra. Aldo stava per alzarsi<br />

e uscire ma lei lo prevenne.<br />

Gli sembrò di sentire altre parole, dapprima<br />

sussurrate e via via più chiare. Erano pesi che si<br />

aggiungevano, nuove menzogne che nella sua<br />

mente coincidevano con altre sentite poco prima<br />

da Solinas. Impossibile liberarsene per uno che<br />

dorme in piedi. Come i cavalli.<br />

— I miei fratelli, — diceva la ragazza — la loro<br />

morte non rientra nella faida. Si tratta di un errore<br />

di Odoacre Vittore. Un incidente del capitano dei<br />

carabinieri. Che aspettava qualche altra persona<br />

per la notte tra venerdì e sabato. Invece sotto il<br />

fuoco delle machine pistole sono finiti Mario e<br />

Salvatore. Era il loro destino. O forse Odoacre Vittore<br />

è andato apposta per ucciderli. Si è inserito<br />

anche lui nella tribalità per renderla interminabile.<br />

L’aria pesante dei fiori era entrata nella stanza.<br />

— Ma c’è qualche appiglio? — chiese Florit.<br />

— Antonio Partes ha visto i cadaveri crivellati<br />

di proiettili. Ha visto i carabinieri che rivestivano<br />

i corpi degli uccisi alla luce dei fari della camionetta.<br />

Poi gli hanno sparato in testa, a Mario e Salvatore.<br />

— E come ha fatto Antonio Partes a vedere non<br />

visto?<br />

— Misteri dell’ombra, di chi è protetto dalla<br />

mamma del sole e dal bue erchitu. Come te adesso.<br />

Lui, Antonio Partes, ha visto. Stava andando a pie-<br />

94<br />

di dal suo ovile al nostro. Non lo so perché ci stesse<br />

andando, a quell’ora di notte, ma il fatto è che<br />

lui ha visto i carabinieri di Odoacre Vittore che rivestivano<br />

i morti.<br />

— E li ha visti quando hanno sparato in testa ai<br />

cadaveri?<br />

— Dice di averlo sentito lo sparo. Due fucilate<br />

una dopo l’altra.<br />

— Perché non ha aspettato? Per vedere meglio.<br />

— Doveva scappare! Doveva fuggire!<br />

— Come mai non è scappato prima, non appena<br />

si è accorto che c’era Vittore in zona?<br />

— Doveva vedere. E poi non aveva, non ha Antonio<br />

Partes, niente da temere.<br />

— Tu dici? Non si può però essere parziali nel<br />

vedere queste cose. Antonio Partes è il figlio di Ciriaco<br />

che insieme a tuo padre ha ucciso Isteddu<br />

Curzu.<br />

Farneticava Aldo, nel pieno della notte che annuncia<br />

l’ora del lupo.<br />

— È una sicurezza questa tua — lo contrariò<br />

Laura — che potrebbe darti la morte prima del<br />

tempo.<br />

Aldo stava per risvegliarsi.<br />

— Non sei diversa dalla ferocia di tuo padre e<br />

di Luisi — disse alla donna. — In fondo io affermo<br />

una cosa che l’intero paese sa ma non può e non<br />

vuole dire, così come l’intero paese sa che Zoppeddu,<br />

Francesco Mainas, non si è ucciso. Io<br />

l’avrei lasciato fuori Odoacre Vittore.<br />

95


Laura non rispondeva più. Non poteva rispondere.<br />

Aldo l’aveva offesa nel suo sentimento di freddezza<br />

e di distacco verso la famiglia.<br />

Lei ritornava ombra.<br />

Prima che andasse via, consegnò comunque<br />

qualcosa all’antico amante, il racconto di Antonio<br />

Partes, scritto ai margini di un libretto ingiallito,<br />

come quello conservato nell’armoire, a casa di<br />

Sebastiano Florit.<br />

Antonio Partes era arrivato di notte, trafelato,<br />

e non aveva smesso di suonare fino a quando non<br />

si erano accese tutte le luci della casa.<br />

Qualcosa gli doveva aver fatto cambiare rotta<br />

quella notte, ad Antonio Partes, qualcosa dove<br />

c’entravano anche Pietro, e Luisi e Mario e Salvatore<br />

Valdes. Pio Arbau aveva sciolto il cavallo e si<br />

avviava a Rivu Virde.<br />

La sagoma di Antonio Partes si era stagliata<br />

nella notte. Aveva la stessa statura dei gemelli, le<br />

stesse vesti. Gli occhi grifagni lampeggiavano sotto<br />

il berretto. Era coperto di rugiada.<br />

Disse che c’era un esercito di carabinieri a sa<br />

Mossicrosa. Aspettavano. Così raccontava Antonio<br />

Partes e questo pretendeva il sogno.<br />

Laura era svanita e Aldo si sentiva ancora incredulo,<br />

sbigottito, nonostante si fosse dovuto abituare<br />

alle enormità.<br />

Era restato di pietra nel riascoltare le urla im-<br />

96<br />

mani delle donne, il loro salmodiare che parafrasava<br />

invocazioni e incitamenti alla vendetta dietro le<br />

preghiere levate a Dio.<br />

Non sentì pietà per Marta né tantomeno per Teresa<br />

Arbau. Il loro pianto offendeva la pietà. Non<br />

potevano quei fiati pesanti, le gole rauche e quelle<br />

bocche luccicanti di dentiere, non potevano quei<br />

corpi scomposti, essere in parallelo con l’equilibrio<br />

che adesso lui, per un attimo infinito ed eterno,<br />

riusciva a stabilire con i corpi martoriati di Mario<br />

e Salvatore, i suoi vecchi compagni di giochi,<br />

corpi finalmente lavati dalla scoria.<br />

L’aria ritornò irrespirabile.<br />

Tempo dopo, Aldo fu nuovamente fuori, nella<br />

luce del pomeriggio, insieme a Solinas, formiche<br />

insieme alle formiche.<br />

Stavano per separarsi ognuno in chissà quale<br />

direzione quando la macchina degli inseguitori si<br />

fermò proprio davanti a loro, troncandogli la strada.<br />

Scesero due in borghese e la loro attenzione fu<br />

tutta per il cronista. Prima di ficcarlo dentro l’automobile<br />

lo strattonarono e lo buttarono a terra.<br />

Poi lo fecero rialzare prendendolo per le spalle,<br />

come un pupazzo di gomma. Due gomitate sul<br />

muso, in rapida successione, senza neppure dare<br />

alla vittima il tempo di rendersi conto. In men che<br />

non si dica la macchina fece un giro su sé stessa,<br />

puntò in direzione della caserma e scomparve.<br />

Aldo si ritrovò solo con la gente che continuava<br />

a chiedersi e a chiedergli cosa fosse successo e<br />

97


perché e come mai e cosa ci poteva entrare il figlio<br />

di Solinas. C’era già chi diceva che doveva trattarsi<br />

di politica e chi sosteneva invece che lo avevano<br />

arrestato perché doveva aver scritto qualcosa sulla<br />

morte dei figli di Pietro Valdes che non corrispondeva<br />

a verità.<br />

98<br />

Secreta<br />

In una parte della caserma, una stanza che nessuno,<br />

inquisitore ed inquisito, avrebbe in quel momento<br />

potuto misurare, Eugenio Ginevrin si confrontava<br />

con Solinas.<br />

Il magistrato era curvo sopra dei fogli che continuava<br />

a leggere e rileggere. In fondo, in piedi,<br />

c’erano i due carabinieri che avevano prelevato<br />

Solinas a suon di botte.<br />

Finito che ebbe di esaminare i fogli, Ginevrin<br />

si rivolse al cronista in maniera calma e pacata.<br />

Era il suo parlare come una di quelle ouvertures<br />

che all’orecchio dell’ascoltatore arrivano piane<br />

e distese e gli riempiono gli occhi della mente di<br />

laghi piani che non lasciano vedere il fondo.<br />

Questa sensazione iniziale di Solinas contrastava<br />

con il tremito che gli pervadeva le mani, in-<br />

99


taccando un poco la sua calma e sicurezza apparenti.<br />

Si sentiva come pestato, il dolore dei colpi ricevuti<br />

che gli gonfiava dentro senza per questo<br />

impedirgli di stare al suo posto come si deve.<br />

Sapeva che per lui non c’era scampo e decise<br />

di affrontare quest’ultima battaglia a testa alta.<br />

Non era convinto delle rivelazioni fatte ad Aldo<br />

Florit. Aveva inventato tutto perché così gli<br />

imponeva la sua etica, lui che era estraneo al Goya<br />

pur frequentandolo regolarmente.<br />

Tutto doveva essere inventato pur di andare<br />

contro Vittore e i giudici. Chi sa che un giorno<br />

qualcun altro non avesse potuto far tesoro di quell’assurda<br />

testimonianza, l’essere povero dalla<br />

parte dei poveri, che ricorreva alla menzogna pur<br />

di poter affermare la verità. La sua.<br />

L’ingenuità di Aldo, ne era convinto, sarebbe<br />

servita di lievito, il fatto che il dolore per Laura<br />

Valdes e l’attaccamento all’infanzia dei gemelli<br />

morti, avrebbe finito per fare da trama principale,<br />

manifesta, di una storia altrimenti destinata a restare<br />

nascosta, relegata nelle maglie della cronaca<br />

ordinaria, quella che pretende faida e sangue. E<br />

basta. Aveva voluto fotografare i morti, sfidando<br />

il divieto, che già conosceva, di Vittore.<br />

Li aveva voluti fotografare perché la notte prima<br />

aveva visto per davvero le macchine dei carabinieri<br />

passare a luci spente davanti al campo<br />

sportivo, in direzione di sa Mossicrosa. Voleva<br />

100<br />

davvero ubriacarsi quella notte, ricongiungersi al<br />

Goya y Lucientes che bagordava davanti alla stele<br />

di Bacco.<br />

Non ce la faceva più a vivere di solitudine e di<br />

disprezzo. Bisognava fermarsi, dimenticarsi, profanare<br />

e profanarsi finalmente, fare la rivoluzione<br />

come la facevano gli altri.<br />

Il fato, il destino tanto detestato e tenuto a distanza,<br />

aveva fatto succedere quelle morti proprio<br />

quando lui voleva allontanarsene, dalla morte.<br />

Non c’era scampo. Forse ci sarebbe stata un’apertura<br />

se fosse stato fermo, se non si fosse mosso, se<br />

non si fosse precipitato a fotografare.<br />

Tornato a casa, gli dissero che era arrivata giustizia,<br />

a perquisire, e si erano portati via tutto, articoli<br />

e macchina da scrivere.<br />

Il pezzo che teneva pronto, una specie di coccodrillo<br />

per la morte al paese, era quello che gli<br />

mostrava adesso il magistrato. Un pezzo che lo inchiodava.<br />

Per chi sa quale diabolico meccanismo, per chi<br />

sa quali incastri, in quelle cartelle scritte molto<br />

tempo prima, c’erano i nomi dei gemelli Valdes e<br />

del capitano Vittore. Una preveggenza, un esercizio<br />

letterario, un fatto ancora da accadere, che gli<br />

tornava addosso come atto d’accusa.<br />

— So che è corrispondente di un giornale —<br />

esordì il magistrato. — Ho avuto occasione di leggere<br />

i suoi pezzi sulla fabbrica e debbo convenirne<br />

che ha saputo tracciare, non dico un quadro<br />

101


completo, ma una linea storica di genesi, evoluzione<br />

e involuzione di questo sogno fallito. Una<br />

luce che non si è mai accesa, una lampada di Aladino<br />

che ha dato l’illusione di risolvere molti problemi<br />

e poi si è spenta, è scomparsa per sempre. E<br />

quel che è morto insieme alla fabbrica non è, a<br />

mio avviso, il lavoro garantito per tante persone,<br />

ma il sogno, l’utopia, come lei potrebbe suggerirmi,<br />

di concretizzare un più alto grado di coscienza<br />

civile, al passo con i tempi.<br />

— Non mi fraintenda — proseguì osservando<br />

Solinas che a sua volta osservava il magistrato e<br />

notava come i lineamenti di quello dessero l’idea<br />

di un fine ragionatore oltre che, era chiaro, di una<br />

persona che sapeva il suo mestiere.<br />

— Non mi fraintenda. Non sono qui per misurare<br />

il vostro grado di civiltà. Sarebbe come mettersi<br />

contro la dialettica della storia. Quel che io<br />

voglio sottolineare è il vostro stare sospesi a metà<br />

tra la civiltà del computer, potrebbe dirsi, e questa<br />

pastoralità vissuta ancora come duemila anni fa,<br />

nonostante il padrone delle ferriere. Io condannerei<br />

Faus più per aver ratificato questo vostro stare<br />

sospesi che non per il fatto che si è preso i contributi<br />

e poi è scappato.<br />

Un inizio assurdo quello di Ginevrin, tanto più<br />

assurdo in quanto metteva in discussione lo stesso<br />

operato della magistratura.<br />

— Ma allora perché non fa inseguire Faus? —<br />

sbottò Solinas.<br />

102<br />

— Non spetta a noi. Meglio: non spetta a me<br />

— rispose sibillino Ginevrin. — E poi non siamo<br />

qui per giudicare un industriale che è fuggito, ma<br />

per venire a capo di altre oscure macchinazioni,<br />

secondo lei, che riguardano la morte, l’assassinio<br />

dei fratelli Valdes. Si ricordi che lei è in stato di<br />

fermo con l’accusa di aver tentato di diffondere<br />

notizie false e tendenziose.<br />

Il magistrato si interruppe un momento puntando<br />

il dito contro i fogli della scrivania.<br />

— Sono cose — riprese — che se venissero riportate<br />

come le ha scritte, non potrebbero non<br />

creare che sgomento. In tutti. Nella vostra pastoralità<br />

prima che nell’opinione pubblica che si definisce<br />

benpensante. Lei sostiene in pratica che è<br />

stato il capitano Odoacre Vittore ad aver ammazzato<br />

Mario e Salvatore Valdes. Potrebbe essere<br />

l’intermezzo di un brutto sogno.<br />

Anche se in maniera graduale, la partitura musicale<br />

stava cambiando. Entrava in argomento,<br />

come l’acqua che dalla canaletta centrale scende<br />

lungo la linea laterale e poi una volta aperta la zolla<br />

penetra greve nei solchi. I carabinieri in fondo<br />

alla stanza ebbero un sussulto.<br />

— Di questi tempi — riprese Ginevrin — c’è<br />

in giro una compagnia teatrale che rappresenta un<br />

assemblaggio delle opere di Ruzante, Il canto della<br />

terra sospesa. È in questa vostra terra sospesa<br />

che io sto da tanto tempo e voglio stare adesso, anche<br />

se non so di cosa si tratti veramente questa co-<br />

103


sa del Ruzante, oppure potrei anche saperlo senza<br />

per questo volerne parlare con lei.<br />

Il magistrato era entrato nel territorio di Solinas.<br />

Lo attaccava in campo aperto usando lo stesso<br />

modo paradossale di gestire una discussione.<br />

— Lei sa che Marta Valdes lavorava nella fabbrica<br />

dell’altipiano?<br />

— Non vedo nessun nesso.<br />

— Lei sa, come tutto il paese sa, che Marta<br />

Valdes è stata coinvolta in una faida.<br />

— Ma cosa va cercando? Cosa vuole dimostrare?<br />

— E questa Laura Valdes. La conosceva? Laura,<br />

sorella di Marta, di Mario e di Salvatore, figlia<br />

di Pietro, lo stesso che ha ucciso Isteddu Curzu e<br />

poi anche Nunzio Sole, amante di Marta.<br />

— Nessuno a Espiritu ha mai sostenuto niente<br />

del genere — rispose Solinas. — Per quanto posso<br />

sapere, Pietro Valdes non è stato mai arrestato<br />

per l’omicidio di Isteddu Curzu e di Nunzio Sole.<br />

— Non è questo che voglio dimostrare adesso<br />

— lo interruppe il magistrato. — Spetta a voi ricordarla<br />

questa storia, o meglio, questa faida. Vedere<br />

nessi e connessi. Come giustizia siamo stati e<br />

per certi versi continuiamo ad essere impotenti.<br />

Quel che voglio dire è che uno come lei, che conosce<br />

e non giustifica queste cose, non può poi mettersi<br />

a scrivere che è stato un capitano dei carabinieri<br />

ad uccidere due persone che rientrano invece<br />

in un gioco ben più grande, in un intrico che né io<br />

104<br />

né lei riusciamo a contrastare. Mi saprebbe dire<br />

adesso come ha fatto ad inventarsi un articolo del<br />

genere, quali sono le sue fonti? — Eugenio Ginevrin<br />

indicava le carte sopra il tavolo.<br />

— È stata una persona capace di fare sogni —<br />

rispose Solinas — a dirmi come si sono svolti i<br />

fatti, uno che crede alla mamma del sole e al bue<br />

erchitu.<br />

Il tono di Solinas era volutamente paradossale.<br />

Eppure Ginevrin non si scompose.— Quali sogni?<br />

— interloquì.<br />

— Sogni. Sogni. Cose.<br />

— Quali cose?<br />

— La morte alla campagna che come giustizia<br />

non riuscite ad evitare.<br />

— E poi?<br />

— Non può capire. Lei è incapace a capire i<br />

meccanismi di adesione e di rifiuto.<br />

Solinas non si tirò indietro e sostenne la furia<br />

di Ginevrin che si alzava e si abbassava. Questi<br />

d’altro canto comprendeva che sarebbe stato inutile<br />

continuare. Non avrebbe cavato un ragno dal<br />

buco. Tanto valeva allora troncare.<br />

— Lei — disse alla fine, quasi per conto suo, e<br />

però rivolto al cronista — è ufficialmente incriminato<br />

di diffusione di notizie false e tendenziose,<br />

con l’aggravante di…<br />

Solinas non sentiva, non gli interessava più.<br />

Era Ginevrin ad essere più forte. Risultava<br />

vincitore già in partenza e all’altro, inseguito co-<br />

105


me i pastori dai cani della legge, non restava che<br />

rendere sempre più lunga la distanza tra lui e gli<br />

aliti affannati delle bestie che avevano lanciato la<br />

corsa.<br />

Eugenio Ginevrin poteva aver visto i cadaveri<br />

dei gemelli Valdes crivellati di proiettili. Questo,<br />

oltre che costituire un motivo di salvezza per Solinas<br />

avrebbe reso giustizia alla coscienza civile di<br />

Espiritu, continuamente dileggiata dai metodi di<br />

Vittore, che pur distinguendo centro abitato da<br />

campagna, non riusciva, nell’operare concreto, a<br />

separare il grano dal loglio. L’uccisione dei fratelli<br />

Valdes era stato solo un incidente di percorso.<br />

Attraverso una rete di spie e informatori,<br />

Odoacre Vittore era venuto a sapere che un’innominabile<br />

doveva passare quella sera per sa Mossicrosa.<br />

I gemelli, ignorando le varianti e le coincidenze<br />

che anche nell’attività oscura della campagna<br />

possono succedere, erano andati all’ovile per<br />

ricevere un ostaggio da nascondere. La legge degli<br />

opposti che si incontrano li aveva sfavoriti e<br />

così si erano trovati loro sotto il fuoco dei carabinieri.<br />

Quelle raffiche di mitra erano servite ad avvisare<br />

l’innominabile di cercarsi un’altra strada,<br />

di confondersi con la notte.<br />

Odoacre Vittore si era reso conto dell’errore in<br />

ritardo.<br />

Così pensava Ginevrin, mettendo però in conto<br />

il fatto che nell’articolo di Solinas si parlava<br />

non di sa Mossicrosa ma di Paule Maiu e su Ban-<br />

106<br />

zicu, all’opposto cioè, nell’immenso latifondo del<br />

Chiaro Grande. Non era possibile.<br />

Ma allora che senso aveva la testimonianza<br />

fatta poco prima a lui e a Vittore da Giuseppe Dolu<br />

Mainas, nemico dei Valdes? C’erano stati altri<br />

occhi, nella notte.<br />

Io, Giuseppe Dolu Mainas, pastore, dichiaro<br />

di aver visto una pattuglia di carabinieri entrare<br />

nella tanca di sa Mossicrosa nella notte tra sabato<br />

e domenica. Camminavano faticosamente e si<br />

trascinavano dietro qualcosa o qualcuno. C’era<br />

anche il capitano Vittore.<br />

Una testimonianza fatta da uno che scemo non<br />

era e che certamente non voleva avere guai con la<br />

giustizia. Un pastore pensa che un capitano dei<br />

carabinieri non possa fare sbagli. Non di quel tipo.<br />

Almeno fino a quando non succedono.<br />

Ginevrin non sapeva se essere o meno nel giusto.<br />

Era però opportuno evitare che tutte quelle<br />

strane voci sul capitano dei carabinieri prendessero<br />

corpo. Chiudere gli occhi e cucire le bocche bisognava.<br />

Da vestiti, i cadaveri apparivano intatti, a parte<br />

la faccia mangiata dallo sparo, e, come sosteneva<br />

Odoacre Vittore, ad ucciderli erano stati quelli<br />

della fazione avversa, sos porcaglieddos. Bisognava<br />

vendicare la morte di Francesco Mainas, e<br />

forse qualche altra, perché in realtà la faida non si<br />

era mai interrotta dalla morte di Isteddu Curzu.<br />

107


C’erano stati segnali premonitori sempre più frequenti,<br />

graduati da ambo le parti con una intensità<br />

che aveva toccato punte parossistiche. Maiali rubati<br />

e inseguimenti notturni per ritrovarli, gente<br />

insospettabile costretta a risarcire con il denaro<br />

perché colta sul fatto, molto denaro, per non essere<br />

denunciata. Poi ancora pascoli bruciati, bestiame<br />

sgarrettato e sgozzato, una cosa impressionante,<br />

una distesa enorme di pecore sopra il fieno. E<br />

ancora sacchi sventrati, corde per legare uomini e<br />

bestie, comparie inventate nell’arco di una notte.<br />

Tutto un rituale di simboli e di segni che<br />

adesso si riproponevano nella loro drammatica<br />

urgenza.<br />

C’erano però altri proiettili nel corpo dei Valdes.<br />

Lasciato fuori Vittore, la tesi della faida coincideva<br />

alla perfezione. I fratelli Mainas avevano<br />

incontrato i figli di Tomasu Burdu a Tremene ‘e<br />

Chelu. Poi, a su Banzicu erano giunti anche Onorato<br />

e Consolato Reu. All’imbrunire erano calati<br />

sopra sa Mossicrosa e avevano sorpreso i gemelli<br />

che si preparavano per mungere il gregge. Con i<br />

gemelli c’era anche Antonio Partes che aveva fatto<br />

in tempo a fuggire.<br />

“Buttatevi per terra!” avevano ordinato.<br />

“Faccia contro il suolo!”<br />

Si erano presentati mascherati. Il tempo di togliersi<br />

i cappucci e i Valdes si erano trovati con la<br />

canna dei fucili sulla nuca, solo il tempo di sentire<br />

108<br />

che era giunta la loro ora e non avevano scampo.<br />

Poi lo sparo e poi l’eternità. Eugenio Ginevrin poteva<br />

provare solo queste ultime due cose. Il resto<br />

era nebbia da dissolvere. Una cosa che sarebbe<br />

potuta avvenire solo incriminando per falsa testimonianza<br />

Giuseppe Dolu Mainas, il compito più<br />

facile.<br />

Così come luce in più avrebbe fatto la testimonianza<br />

di Aldo Florit, venuto spontaneamente in<br />

caserma a chiedere dell’amico Solinas.<br />

Tutto cardo molle.<br />

Restava Solinas, ecco, questo suo articolo, impubblicabile<br />

certo - aveva pensato bene di telefonare<br />

al direttore del giornale - eppure logico nella<br />

sua assurdità. I proiettili in più non erano stati sparati<br />

dalle machine pistole dei carabinieri ma non<br />

appartenevano neppure al rituale della vendetta.<br />

Nebbia. Ci sarebbe voluto del tempo per diradarla.<br />

Non restava che ricomporsi davanti a Solinas.<br />

La sola cosa che Ginevrin percepisse adesso<br />

con chiarezza era l’andare e venire dei testimoni e<br />

degli indiziati lungo il corridoio della caserma.<br />

— Se recobrò la fiera y espera desde entonces/<br />

hasta que el hombre vuelva — fece il magistrato<br />

cercando di spaventare l’altro.<br />

— Conosce certamente questi versi di Miguel<br />

Hernandez. L’uomo torna indietro e lei pur essendo<br />

a conoscenza di questo vostro ritornare alla<br />

barbarie, prende per buono un sogno e attribuisce<br />

109


la morte di due fautori di faida ad un onesto servitore<br />

dello Stato. Tutto per un indizio costituito da<br />

una macchina fotografica con un rullino bruciato,<br />

una insignificante notazione.<br />

— Io non scrivo di insignificanti notazioni. Il<br />

capitano Vittore è responsabile di queste morti.<br />

Eugenio Ginevrin era calmo adesso.<br />

— Odoacre Vittore non fa altro che il suo dovere.<br />

Non c’era verso di incontrarsi, troppo grande la<br />

divaricazione e nullo il potere di Solinas di contrastare<br />

quello del magistrato.<br />

— Lo chieda al paese cosa pensa del senso del<br />

dovere del capitano, — fu la replica.<br />

Niente.<br />

Ginevrin ordinò di preparare un mandato di<br />

cattura ma l’altro non tremò.<br />

— Vorrei che trovasse tempo — disse il magistrato<br />

a mo’ di congedo, voltando le spalle al cronista<br />

— per riflettere intorno a questo che definiscono<br />

un teorema: la faida. Dopo venti anni, la faida<br />

continua, o meglio, si ripete. Lei conosce la teoria<br />

dei corsi e dei ricorsi.<br />

Anche adesso la regola è stata rispettata. Tutto<br />

si è svolto secondo il normale iter che la morte usa<br />

da queste parti. L’alfa come tendenza all’omega.<br />

Un percorso logico e ben definito. Il nulla che genera<br />

il sempre. Non si ammazza per fame. Tornando<br />

al reale, debbo dire che la perizia necroscopica<br />

ha saputo dare, con esattezza, non solo l’ora e il<br />

110<br />

modo con cui sono stati uccisi i Valdes, ma questa<br />

perizia scagiona pienamente il capitano Vittore<br />

che a quell’ora si trovava molto lontano da sa<br />

Mossicrosa. Questa morte in fondo non fa altro<br />

che ledere in maniera irreparabile tutti i vostri credo,<br />

perché se morte dà morte in questo tempo che<br />

misurate a modo vostro, lo stato dei giusti non può<br />

non impedire che voi continuiate a morire.<br />

Nel clima rovente, al cronista venne di pensare<br />

che Ginevrin sosteneva una ragion di Stato per il<br />

solo fatto di non riuscire a conciliare lo stridere tra<br />

le ragioni del suo affascinante teorema sulla morte<br />

al paese e il ricorso al potere che pure usava in maniera<br />

spietata e terrificante: per perpetuare questo<br />

stato di cose.<br />

In una stanza poco distante, anche Odoacre<br />

Vittore interrogava testimoni e possibili indiziati.<br />

— Criminali! Teste di cazzo! Perché non parlate?<br />

Perché non dite le cose come stanno? Tanto un<br />

giorno farete anche voi la fine di questi due bastardi.<br />

— Ma cosa vuole da noi?<br />

— Che collaboriate.<br />

— Non sappiamo niente.<br />

— Ma tu sei o non sei amico della famiglia dei<br />

morti?<br />

— Per questo vorrei chiedere di lasciarmi andare.<br />

Dobbiamo preparare per i funerali.<br />

— Tu da qui non ti muovi, brutto coglione! Dove<br />

eri all’ora che li hanno ammazzati?<br />

111


— Dormivo a casa mia.<br />

— Scrivi che questo qui si rifiuta di collaborare<br />

con la giustizia.<br />

— Ma io non so niente.<br />

— Il tuo posto è la galera.<br />

Poi passava ad un altro.<br />

— Tu sei Giuseppe Dolu Mainas, vero? — riprendeva<br />

il capitano — e quindi nemico dei Valdes.<br />

— Io mi sono sempre fatto i fatti miei.<br />

— Tu meriti dieci anni di confino.<br />

— Io da certe cose sono tagliato fuori. Non ci<br />

sono mai voluto entrare.<br />

— Allora ammetti che qualcosa bolliva già<br />

nelle vostre menti, nelle vostre teste di criminali.<br />

Tu sai e non vuoi dire.<br />

— Mi lasci andare capitano.<br />

— Alla forca.<br />

— Mi lasci andare.<br />

— Tu non te ne vai fino a quando non dici quello<br />

che sai.<br />

Odoacre Vittore doveva essere esausto nonostante<br />

continuasse ad interrogare con la stessa<br />

grinta, le mani sempre pronte a minacciare il colpo<br />

ai pastori che gli erano passati davanti per tutto<br />

il giorno. Cercava di sbrogliare una matassa e allo<br />

stesso tempo di intricare nuovi fili per rispondere<br />

alla sua esigenza interiore, un’ossessione che gli<br />

imponeva di essere sempre in guerra. Guardandolo<br />

bene, ad Aldo veniva di paragonarlo a quei cri-<br />

112<br />

minali nazisti che da belve nei campi di sterminio<br />

diventavano teneri mariti e padri dentro le mura<br />

domestiche.<br />

Una contraddizione che si ripeteva in quell’ufficio<br />

di caserma, tetro e carcerario nonostante i divani<br />

e le poltrone, la pulizia degli oggetti e qualche<br />

pianta collocata ai lati della scrivania.<br />

I pastori però non erano stati interrogati nell’ufficio<br />

del capitano. Tutti indistintamente, testimoni<br />

e indiziati, erano stati accompagnati a spintoni<br />

e male parole in una stanza attigua che faceva<br />

da archivio. Una sedia per chi interrogava e un’altra<br />

per il carabiniere che verbalizzava.<br />

Gli interrogati dovevano stare in piedi, con il<br />

cappello tenuto tra le mani incrociate, un poco più<br />

in basso del ventre, come segno di rispetto per una<br />

giustizia che voleva incastrarli a tutti i costi e doveva<br />

per forza di cose costruire delle prove.<br />

Queste figure continuavano a conservare il<br />

senso della risposta pronta per qualsiasi tipo di<br />

domanda, un controbattere punto per punto. I pastori<br />

spiazzavano l’avversario con una ingenuità<br />

costruita. A Vittore non sfuggiva, in quelle risposte,<br />

la beffa e l’ironia sotterranea che quelli si potevano<br />

permettere, dosandole di apparente rispetto,<br />

ineccepibile formalmente anche quando<br />

l’altro li aggrediva definendoli criminali e teste<br />

di cazzo.<br />

Si erano presentati in caserma così come li<br />

avevano trovati, molti in giro per il corso, alcuni a<br />

113


casa loro e altri in campagna. Tutti avevano un alibi<br />

e sapevano di averlo e di essere in grado di dimostrarlo.<br />

Quel che il senso del dovere di Vittore non riusciva<br />

ad accettare come termine di confronto era<br />

che per il solo fatto di esistere e di essere uomini,<br />

dentro un determinato contesto sociale, i pastori<br />

avevano come punto di riferimento una casa e la<br />

famiglia e l’amicizia e la voglia di riconoscimento<br />

e di una nominazione. Come uomini di molti altri<br />

contesti sociali, come gente di questo mondo.<br />

Odoacre Vittore era solo un soldato. Magari in<br />

altro ambiente avrebbe potuto portare alla luce diversi<br />

aspetti del suo essere e del suo esistere: tutte<br />

cose che non poteva esternare ad Espiritu, pena il<br />

ridicolo e l’essere additato come uno che non ha<br />

coglioni. Non era neppure da scartare l’ipotesi dei<br />

soliti quattro intellettuali che vedevano in quel carabiniere<br />

cacciatore di taglie e di medaglie un uomo<br />

che magari sognava una statua equestre e a cui<br />

piaceva l’appellativo di sceriffo.<br />

Nel tempo dilatabile che aveva preceduto il<br />

suo interrogatorio, Florit ebbe occasione di dettagliare<br />

da vicino quella faccia schiacciata e ferina,<br />

le braccia lunghissime e le mani enormi, spropositate.<br />

Pensò che in fondo aveva ragione Solinas,<br />

nonostante sapesse la capacità di tessere trame<br />

dell’amico.<br />

“Solinas che bisogna salvare adesso.”<br />

“Ma perché? A chi giova?”<br />

114<br />

“Non capisci. Solinas è parte insostituibile di<br />

te stesso.”<br />

“Come?”<br />

“È la cattiveria necessaria, il fiele, il rancore.<br />

Altrimenti l’amicizia, la solidarietà, lo stare dalla<br />

parte degli ultimi e degli sconfitti, sono solo alibi<br />

e finzioni.”<br />

Le parole del capitano Vittore tagliarono quel<br />

ritorno di sonno. Erano parole che il carabiniere<br />

gli rivolgeva in maniera calma, pacata e signorile.<br />

— Sa lei — disse il capitano — che avrei potuto<br />

farla interrogare in un altro posto? Se ho deciso<br />

di chiamarla qui, nel mio ufficio, è perché so che è<br />

una brava persona e che è fuori da certe cose nonostante<br />

frequenti cattive compagnie.<br />

Aldo aspettò che il capitano continuasse. Non<br />

gli venivano in mente le parole per rispondere.<br />

— C’era anche lei stamattina insieme a quel<br />

cronista, vero?<br />

— Sono qui per questo. Solinas è mio amico.<br />

Eravamo insieme quando è stato fermato.<br />

— Come: è qui per questo?<br />

— Sono venuto per sapere.<br />

— È meglio che lei non si immischi in certe<br />

cose. Perché è venuto qui, veramente?<br />

— Per sapere il motivo.<br />

— Ma è per caso l’avvocato difensore di Solinas?<br />

— Le ho già detto prima — proseguiva Vittore<br />

— che lei frequenta cattive compagnie e professa<br />

115


una ideologia che, diciamo così, mal si addice ad<br />

uno che cerca un posto di lavoro, dopo che anche<br />

per lei la fabbrica dell’altipiano è stato un modo<br />

per passare il tempo. A proposito, dovrebbe sapere<br />

qualcosa sulle bombe contro la caserma.<br />

— Io non so niente di bombe — rispose Aldo.<br />

— Sono qui per Solinas.<br />

Un’altra discussione che sconfinava nell’assurdo.<br />

Vittore si comportava con Aldo come un<br />

fraterno consigliere. Ma non poteva essere che<br />

tutto fosse stato già predisposto e che tutto fosse<br />

stato studiato nei minimi particolari? Una recita<br />

quindi e non un’improvvisazione su un rozzo canovaccio.<br />

— Cosa sa lei — riprese Vittore — della faida<br />

tra i Valdes e la banda dei porcaglieddos?<br />

— Non riesco a capire che cosa voglia dire.<br />

— Eppure so che capisce benissimo.<br />

— Continuo a non capire.<br />

— Non fu suo padre, circa vent’anni fa, il primo<br />

a raccogliere Isteddu Curzu dopo che gli spararono<br />

addosso?<br />

— Mio padre è morto da tanto tempo. Non ha<br />

mai parlato di queste cose. Né, ritengo, ha mai saputo<br />

chi sia stato ad uccidere Isteddu Curzu. Ma<br />

poi cosa c’entra tutto questo con la morte dei gemelli<br />

Valdes?<br />

— C’entra, c’entra. Lei sa benissimo che queste<br />

cose sono collegate.<br />

Aldo si permise allora qualche ironia.<br />

116<br />

— Vedo che è capace di leggere nei miei pensieri<br />

— fece sardonico.<br />

Vittore non perse l’equilibrio e continuò quasi<br />

mellifluo.<br />

— Isteddu Curzu, Ciriaco Partes, Pietro Valdes,<br />

Marta Valdes, Nunzio Sole. Ci possiamo mettere<br />

anche Laura Valdes e Francesco Mainas Zoppeddu,<br />

per arrivare a Mario e Salvatore Valdes.<br />

Non le dice niente questa catena?<br />

Incapace a frenare il sentimento, Aldo quasi si<br />

ritrasse, scomposto.<br />

Vittore fece finta di non vedere e riportò il discorso<br />

alla dimensione originaria.<br />

— Si ricordi — disse — che lei è venuto qui di<br />

sua spontanea volontà. Noi non l’abbiamo cercata.<br />

Perché cacciarsi in un ginepraio senza che nessuno<br />

lo costringa a farlo?<br />

— Nessun ginepraio. Sono qui per Solinas, per<br />

dire che non può essere fermato e arrestato.<br />

— E chi decide questo? Lei?<br />

Vittore usò tutto il potere possibile.<br />

— Solinas, Solinas! Un rompicoglioni! Voi, gli<br />

altri che vi riunite da Zigarru siete anche simpatici.<br />

Ma questo Solinas è un rompicoglioni. Sa che…<br />

No… No. È perfettamente inutile che glielo dica.<br />

— Cosa?<br />

— Solinas l’abbiamo preso per terrorismo. È<br />

lui che ha messo la bomba alla caserma. Coincidenza<br />

ha voluto che il suo arresto sia avvenuto stamattina.<br />

117


Aldo si rese conto che Vittore sviava il discorso<br />

e fu incapace di decidere se questo gli conveniva<br />

o meno.<br />

— Per me — continuava Vittore — Solinas è<br />

soltanto un frustrato che cerca sempre motivi di<br />

rivalsa. Una cattiva compagnia.<br />

Il dialogo si avviava a diventare confronto, un<br />

cozzare muro contro muro, per produrre ancora<br />

assurdità. A Vittore sarebbe bastato sollevare il<br />

tono della voce perché Aldo si sentisse perduto.<br />

Così era convinto il capitano dei carabinieri. In<br />

realtà non si rendeva conto che dietro l’apparente<br />

fragilità, l’altro era più forte di quanto lui ritenesse.<br />

Era proprio la presunta fragilità ad irrobustirlo.<br />

Uno pieno di sicumera, un pastore come quelli<br />

che aveva interrogato prima, ci sarebbe cascato<br />

in quelle domande, se veramente avesse avuto<br />

qualcosa da nascondere. Aldo sapeva il fatto suo<br />

e Vittore invece si convinceva di giocare come fa<br />

il gatto con il topo, prima di ghermirlo e di sbranarlo.<br />

— Non le ha detto niente Solinas di qualche<br />

articolo che stava preparando?<br />

— Su che cosa?<br />

— Boh, così in generale.<br />

— No, non mi ha detto niente. Solinas è geloso<br />

di certe sue cose.<br />

— Ma perché stamattina ha voluto fotografare<br />

i corpi degli uccisi?<br />

— Penso per mandare le foto al giornale.<br />

118<br />

— Bastava chiederle a noi.<br />

Su corv’a meicu, pensò Aldo, il corvo che si<br />

spaccia per medico.<br />

Il sarcasmo di Vittore si faceva sempre più avvertito.<br />

Diventava insostenibile. A Florit non restava<br />

comunque che stare al gioco.<br />

— Avete arrestato Solinas solo perché ha fotografato<br />

dei morti ammazzati? — chiese con il tono<br />

più naturale che gli riuscì.<br />

— Non si possono fotografare morti ammazzati.<br />

— Ma pur ammettendo che questo sia un reato<br />

non mi sembra così grave per arrestare una persona.<br />

— È il giudice che ha deciso.<br />

C’era ancora molto sarcasmo nelle parole di<br />

Odoacre Vittore. Il gatto però non decideva di finire<br />

il gioco. Per quanto tempo ancora poteva prolungare<br />

le moine prima di passare all’attacco? E<br />

se invece di tutto questo almanaccare avesse voluto<br />

soltanto disfarsi di Solinas, una presenza che<br />

iniziava a diventare scomoda?<br />

Aldo non sapeva come proseguire. Non aveva<br />

risposte pronte e le parole gli morivano in gola.<br />

Fu congedato ma non rilasciato.<br />

Il tono di voce di Odoacre Vittore non cambiò,<br />

non assunse toni aspri, quando disse che era meglio,<br />

per la notte a venire e per tutto il giorno seguente,<br />

sino ai funerali, che Aldo restasse dentro a<br />

riflettere.<br />

119


Nessun sospetto per carità, solo misure precauzionali.<br />

C’era ancora il magistrato che doveva sentirlo<br />

e poi bisognava evitare di incontrare Solinas, che<br />

d’altro canto sarebbe stato rilasciato anche lui<br />

presto, una volta avviata l’istruttoria.<br />

Bisognava però impedire che quell’esagitato<br />

soffiasse sul fuoco.<br />

Se ne stesse alla lontana Aldo, d’ora in poi.<br />

Lo condussero in una cella di sicurezza dell’antico<br />

Convento, attraverso un lungo corridoio,<br />

scuro, senza finestre, solo una vetrata opaca che<br />

doveva dare sul garage sottostante.<br />

Poi erano discesi in una scaletta stretta e si ritrovarono<br />

di fronte un portone rinforzato con lamiera<br />

e bulloni.<br />

L’infanzia mai dimenticata ritornava.<br />

Aldo non era ancora nato quando uccisero<br />

Nunzio Sole.<br />

Nunzio Sole che aveva pagato anche per Mainas,<br />

Tomasu Burdu e Isteddu Curzu.<br />

Dicevano che Nunzio fosse un bel tipo, con<br />

due spalle da armadio, ed era anche un grande lavoratore,<br />

servo pastore con Pietro Valdes nel tempo<br />

che il sodalizio tra questi e Isteddu Curzu iniziava<br />

a sgretolarsi.<br />

— The Lolly Madonna war — ripeteva il cinefilo<br />

Aldo.<br />

— Cioè — lo riprese Ginevrin — la guerra di<br />

120<br />

Lolly Madonna o per Lolly Madonna. Cosa vuole<br />

dire?<br />

L’uscita quasi ebete di Florit scompaginava i<br />

piani del magistrato e lo portava a riflettere che<br />

uno poteva prendersi gioco di lui, magari fingendosi<br />

pazzo. Aldo Florit era un pazzo che si inventava<br />

cose più grandi. Eppure gli insinuava nuovi<br />

dubbi. Quasi che quell’intellettuale fallito, non<br />

c’era altra definizione, avesse concertato tutto<br />

con Solinas. Uno fa la parte del savio, l’altro del<br />

matto.<br />

Entrambi però mostravano la stessa maniera di<br />

resistere all’evidenza.<br />

Una mania di persecuzione che li portava ad<br />

un comportamento davvero fuori da tutte le norme.<br />

Il dubbio rimaneva.<br />

E se l’integerrimo magistrato Eugenio Ginevrin<br />

fosse restato vittima di un oscuramento, seppur<br />

temporaneo?<br />

Ma come poteva Odoacre Vittore uccidere o<br />

far uccidere i Valdes, che in fondo erano suoi strumenti?<br />

Gli ritornavano utili nella repressione della<br />

banda dei porcaglieddos. Il sopralluogo a su<br />

Banzicu e Paule Maiu, fatto qualche ora prima insieme<br />

a Vittore, si era rivelato inutile. Non c’era<br />

niente a cui attaccarsi se non quel contraddittorio,<br />

delirante, con il capitano dei carabinieri.<br />

“Qui, secondo Solinas, la sua pattuglia avrebbe<br />

ucciso per errore i Valdes.”<br />

121


“Tanto rumore per stare dietro alle divagazioni<br />

di un povero pazzo.”<br />

“Ne avrà di tempo adesso, in galera, per ricostruire<br />

i fatti. Però, in paese si continua a parlare, a<br />

dire che c’è chi è disposto a dar ragione a Solinas,<br />

a credere ad una sua versione dei fatti.”<br />

“Chiacchiere, frasi lasciate a metà. Il cicaleccio<br />

si esaurisce nell’arco di una giornata di mercato.”<br />

“Già. Ormai non dovrebbero esserci più dubbi.<br />

Tutto è stato chiarito, tutto è chiaro per noi.”<br />

“I conti tornano: Solinas è destinato al manicomio<br />

criminale. Come dicono da queste parti,<br />

non bisogna troppo scherzare né con i santi né con<br />

i pazzi.”<br />

“Né con san Tommaso. Uno può compiere<br />

un’azione sbagliata per fare il proprio dovere. In<br />

determinate situazioni, l’uomo, anche l’uomo in<br />

uniforme, è nervoso, dominato dalla passione.<br />

Ogni ombra può essere concreta, ogni fronda<br />

può stormire per annunciare un pericolo, ogni<br />

persona può essere un bandito.<br />

Supponiamo vera la versione di Solinas.”<br />

“Vuole scherzare? A parte lui, o quell’altro<br />

esaltato di Florit, solo i pazzi di Espiritu, e ce ne<br />

sono tanti, potrebbero dare sostegno a certe fantasie.<br />

Cose di mamma del sole, dicono qui.”<br />

“Già, la mamma del sole e il bue erchitu. Le<br />

ombre appunto. Ci sono o ci potrebbero essere altre<br />

persone che potrebbero dare una testimonian-<br />

122<br />

za ben diversa da quelle che lei ha ricevuto oggi.<br />

E non sono pazzi o poveri di spirito. In fondo,<br />

agli indiziati e ai testimoni, abbiamo dato una sola<br />

alternativa: o il carcere o il silenzio. Deve entrare<br />

in questo ordine di idee capitano. Lei non ha<br />

ucciso i gemelli Valdes. Non ha commesso nessun<br />

errore.”<br />

Da dove si attendeva luce, arrivava nuovo<br />

buio. Altra ombra.<br />

“Sta girando le carte in tavola?” chiese, sorpreso,<br />

Vittore.<br />

“Nient’affatto. È necessario adesso più di prima<br />

fare fronte. Ci sono delle ombre che non possiamo<br />

imprigionare. I corti e i lunghi.”<br />

“Ma allora lei ha dei sospetti. È convinto<br />

che…”<br />

“Non importano i miei sospetti, i miei dubbi o<br />

le mie certezze. Niente deve essere rimesso in discussione.<br />

Ritrovi il suo spirito di guerriero, capitano<br />

Vittore.”<br />

Anche Nunzio Sole era stato ucciso a sa Mossicrosa,<br />

legato ad un albero con filo di ferro spinato.<br />

L’avevano sgozzato a ferro freddo, massacrato<br />

a colpi di scure e poi l’avevano sfregiato, tagliandogli<br />

i genitali e mettendoglieli in bocca.<br />

In paese era uscita la voce che Sole aveva rubato<br />

i buoi di Ciriaco Partes. Altri dicevano invece<br />

che Nunzio Sole cercava di nascondere il figlio<br />

illegittimo di Marta di cui non si era saputo più<br />

123


niente: né se lo avessero buttato in qualche brefotrofio,<br />

né se lo avessero annegato nel fiume.<br />

124<br />

Communio<br />

Odoacre Vittore si era presentato in perfetto<br />

stile gorillesco nella cella di Solinas, come un<br />

qualunque militare da film, in tuta mimetica, la testa<br />

rapata a zero. Lo stesso stile e lo stesso portamento,<br />

la stessa uniforme dei due angeli custodi<br />

che aveva a fianco.<br />

Picchiavano come sanno fare gli aguzzini, con<br />

tutti i trucchi, in maniera che i grumi di dentro non<br />

si vedano fuori.<br />

La cella era diventata per Solinas letto di Procuste<br />

e pau de arara.<br />

A sa Mossicrosa, i Valdes avevano fatto salire<br />

a cavallo Canticheddu e il Barone Rosso, cavalli<br />

senza sella. Al Barone avevano legato gli scarponi<br />

con intestini d’agnello e poi gli avevano aizzato i<br />

cani. Il cavallo impazzito correva. L’altro, dove<br />

125


c’era Canticheddu, si era imbizzarrito e scalciava.<br />

Canticheddu aveva gli occhi pieni di terrore e i<br />

barracelli sparavano addosso al Barone Rosso,<br />

così per divertirsi. I Valdes ridevano a crepapelle<br />

mentre Vittore spiccava un mandato di cattura<br />

contro Chircantoni e Luzianu perché senza autorizzazione,<br />

di notte, gratis, volevano zappare le<br />

vigne e gli orti dei poveri. La stessa notte che i<br />

Valdes rubavano gli scarponi a Sirione Drubula, il<br />

pazzo, e poi, mentre rientravano a sa Mossicrosa,<br />

uno cancellava le orme con una frasca e l’altro ne<br />

faceva delle nuove con una ferula tagliata a forma<br />

di piede d’asino. Era andato Sirione a rubare nella<br />

tanca dei Valdes, Sirione Drubula che nello stanzone<br />

immenso e buio di sa Mossicrosa cuoceva<br />

polenta in acqua fredda e voleva legare i piedi al<br />

cavallo di san Giorgio.<br />

Francesco Solinas non esisteva più. Era precipitato<br />

nelle fosse del fiume verde.<br />

126<br />

Postcommunio<br />

Te decet hymmus Deus in Sion et tibi reddetur<br />

votum in Jerusalem. Exaudi orationem meam ad<br />

te omnis caro veniet.<br />

Cantavano i funerali dei Valdes. La visione<br />

iniziale che se ne poteva avere era identica al<br />

bianco/nero dei funerali di Salvatore Carnevale,<br />

così come lo descrivono i fratelli Taviani, una folla<br />

schiacciata sul fondo della strada, immobile eppure<br />

impercettibilmente e maestosamente avanzante<br />

contro l’occhio della macchina da presa<br />

mentre la banda suona l’Internazionale.<br />

Una folla che sfida la mafia.<br />

Questa folla immensa, invece, che seguiva il<br />

camion di Antonio Partes, con i feretri sommersi<br />

di corone di fiori, sfidava il senso stesso della pietà.<br />

Aveva iniziato a formarsi la mattina e a diveni-<br />

127


e, persona che si aggiungeva a persona, nucleo a<br />

nucleo.<br />

Le campane rintoccavano il suono di errer a<br />

pare. Le porte delle case si aprivano e gambe di<br />

uomini le varcavano in ripetizione. Le donne acceleravano<br />

il ritmo del loro agghindarsi. Code di<br />

macchine si formavano agli imbocchi delle strade,<br />

gente che arrivava da fuori per esternare un<br />

dolore che tutti sentivano come può essere sentito<br />

dalla coscienza di nessuno. Si erano fermati i<br />

macchinari delle falegnamerie e i martelli elettrici<br />

dei marmisti. Maestri e manovali avevano raccolto<br />

gli arnesi e correvano a casa per cambiarsi.<br />

Il paese era fermo, immobile, anche se l’occhio<br />

fatto attento di Florit poteva cogliere il compatto<br />

incedere dei piedi e dei corpi, indistinti, di<br />

uomini e di donne dietro il camion che avanzava<br />

lungo il corso, lo stesso camion che molti anni prima,<br />

quando Aldo era bambino, sbucava all’improvviso<br />

nelle curve di Mole Tricu.<br />

Era un giorno di temporale estivo e il camion<br />

aveva un muso grande come quello del bue erchitu.<br />

Correndo lontano, Aldo Florit era riuscito ad<br />

arrivare ai sotterranei della vecchia chiesa della<br />

foresta di pietra per finire poi alla biblioteca. I cataloghi<br />

erano inerti, sembravano le guglie della<br />

fabbrica distrutta.<br />

Fu allora che iniziò a comprendere, a scoprire<br />

la verità sulla morte dei gemelli. Una verità inizia-<br />

128<br />

ta tanto tempo prima e poi interrotta, come capita<br />

a molte strade che portano al luogo giusto.<br />

La notte che uccisero Isteddu Curzu, Sebastiano<br />

Florit stava per attraversagli la strada. Lo sparo<br />

rintronò in testa e il lampo delle fucilate lo accecò<br />

per un attimo infinito ed eterno.<br />

Poi si riprese per accorgersi che Stella Corta<br />

moriva, era già morto.<br />

Sebastiano si caricò addosso quell’ossessione<br />

per sempre, con in più il rimorso di aver portato la<br />

moglie a vedere l’ucciso.<br />

Un’ossessione che dissimulava nell’ombra e<br />

nel silenzio, di cui si liberò una sera, l’unica volta<br />

che ritornò a casa ubriaco.<br />

Parlava in suspu, per metafore e indovinelli.<br />

“Risolvimi questo enigma, tu che hai studiato”<br />

disse ad Aldo:<br />

Sole che annunci<br />

le stelle corte<br />

a campo frosone<br />

gira la sorte<br />

Giuanne Michelli<br />

Pretu longheu<br />

de partes duas<br />

ne achen tres<br />

coccotraustés coccotraustés.<br />

Sebastiano ebbe una risata agra, quasi consapevole<br />

dell’enormità che proponeva, e dirottò il<br />

nonsense su altri territori.<br />

Dopo, Aldo stette tanto tempo senza risponde-<br />

129


e e anche lui si portò dentro l’enigma propostogli<br />

dal padre. Enigma e insieme profezia.<br />

— Caino, dove sei Caino?<br />

Aldo aveva iniziato a salire al piano di sopra<br />

della biblioteca.<br />

Giù, molto più giù, nella chiesa di san Giorgio,<br />

si era spento il suono dell’organo e si sentiva il vescovo<br />

che aveva iniziato a predicare. La voce del<br />

vescovo saliva mentre Aldo si aggirava tra gli<br />

scaffali con i libri di linguistica e di linguaggio.<br />

— Caino! Dove sei? Caino!<br />

Il tono del vescovo era da attore consumato, un<br />

basso cupo, quasi rauco, che diventava crescendo<br />

di ira sacerdotale. Chiedeva redde rationem al popolo<br />

ammassato e compresso dentro la chiesa, in<br />

un silenzio irreale, percorso da fremiti e singhiozzi.<br />

Poi venne il vento.<br />

Il muggire del bue erchitu salì le scale e zigzagò<br />

tra gli scaffali. Aldo ebbe paura ma non fuggì,<br />

quasi si sentisse al riparo in mezzo a quei libri. Lo<br />

capiva adesso, il suono del vento, il senso del<br />

mugghiare.<br />

Un vento che soffiava con la stessa intensità<br />

della notte in cui uccisero Isteddu Curzu e di quell’altra,<br />

appena ieri, quando era toccato ai figli di<br />

Isteddu, le stelle corte, morire. Non uno era il frutto<br />

dell’amore con Marta Valdes. Erano due, partes<br />

duas. Una rivelazione tanto più assurda quanto<br />

più vera.<br />

130<br />

Mario e Salvatore Valdes erano i figli illegittimi<br />

che Marta aveva avuto da Virgilio Ruinas,<br />

alias Isteddu Curzu.<br />

A Pietro Valdes che già sapeva lo annunciò un<br />

giorno Canticheddu, avvolto nella mantella nera,<br />

il basco protuberante, di quando inveiva con ahi<br />

Pisa e beveva lo spirituale.<br />

Anche quel giorno mugghiava il bue erchitu.<br />

Il postino dell’amore consegnò a casa di Pietro<br />

Valdes una busta senza mittente, una lettera che<br />

Zudeu longu aspettava. Era di Nunzio Sole: sole<br />

che annunci.<br />

Gli raccontava, il servo pastore, stallone di<br />

Marta, consapevole di dover andare a morire, una<br />

storia che Pietro Valdes voleva non fosse mai accaduta.<br />

Impossibile. Nunzio Sole tagliava la pietra<br />

in tasca, sapendo già come lo avrebbero sfregiato<br />

per il suo rivelare. Sapeva anche chi lo avrebbe ucciso:<br />

Pietro Valdes, Zudeu longu-longheu, e uno<br />

dei suoi temporanei alleati, un Partes magari.<br />

Ma nessuno, neppure la mamma del sole<br />

avrebbe potuto impedire che i gemelli fossero figli<br />

di Isteddu Curzu.<br />

Non potrai nasconderlo per sempre, Pietro<br />

Valdes. Dovrai finalmente dire ad Espiritu perché<br />

Teresa Arbau e Marta tua figlia sono andate via<br />

per un tempo lungo quanto una gravidanza.<br />

Da quella nascita non voluta generarono le<br />

morti, le due parti che ne riproducono tre e molte<br />

altre.<br />

131


Tutto tornava alla profezia di Sebastiano Florit.<br />

Ma chi aveva ucciso i gemelli?<br />

— Caino! Dove sei? Caino!<br />

La voce del vescovo sovrastava il mugghiare<br />

del bue e poi scompariva, quasi non si sentiva più.<br />

Tacque anche l’erchitu, e Aldo Florit ne approfittò<br />

per cercare in mezzo ai libri.<br />

Restavano tre versi dell’enigma di Sebastiano:<br />

a campo frosone;Giuanne Michelli e coccotraustés<br />

coccotraustés.<br />

Niente di più astruso se non si sa dove può essere<br />

la chiave.<br />

Forse per caso, forse perché cercava da sempre,<br />

Aldo ritrovò in biblioteca una copia del libretto<br />

legato con lo spago, conservata nell’armoire di<br />

casa sua e che mai aveva aperto,se non in quel sogno<br />

fatto in piedi, il racconto di Antonio Partes<br />

sulla morte dei gemelli. Il libro di M.F.M. Meiklejohn,<br />

Giuanne Michelli, era un testo di poche pagine,<br />

autografato dallo stesso autore, un saggio<br />

sugli uccelli e sui loro nomi.<br />

“Il frosone, Coccothraustes coccothraustes,”<br />

c’era scritto nel foglio 23, “è forse più comune in<br />

Barbagia che in alcun’altra parte del mondo. È sedentario.”<br />

“A Scano”, continuava il Meiklejohn, riceve il<br />

nome proprio Bachisio, Bakkis pikkulirussu,<br />

mentre a Nuoro è chiamato pizzigrussu, a Mamoiada<br />

pizzigrussu verenosa, a Orani pizzigrussa, a<br />

Orotelli pizzichigrussu, a Dorgali pittuligrussa, a<br />

132<br />

Oliena pittigrussu, a Desulo piccirussu, a Fonni<br />

pittiri.”<br />

Per ultimo c’era il nome con cui chiamavano il<br />

frosone a Espiritu: mossicrosa, dal becco grosso,<br />

dal morso grosso, con allusione all’enorme becco<br />

della specie e anche alla violenza del suo morso.<br />

Mossicrosa, campo, tanca, coccothraustes<br />

coccothraustes, frosone, campo di sorte, campo di<br />

morte.<br />

Anche Laura Valdes era un frosone e questo<br />

Sebastiano non lo sapeva, non poteva saperlo.<br />

Laura era stata Mossicrosa solo per Aldo. Solo<br />

una volta.<br />

L’aveva così chiamata da bambina, una volta<br />

che gli si era avventata addosso con violenza e<br />

l’aveva morsicato.<br />

— Mossicrosa mossicrosa — scandiva Aldo.<br />

Il bue erchitu intanto riprese a mugghiare<br />

adesso che il vescovo aveva finito di benedire i feretri<br />

e la folla si era aperta per farli passare insieme<br />

a Laura Valdes.<br />

Ma non era morta Laura Valdes?<br />

Laura Valdes suicida non per amore, Laura<br />

Valdes che si era uccisa dopo aver scoperto i segreti<br />

della famiglia.<br />

Il dolore si riacutizzò.<br />

“Non sono miei fratelli… Cercala a sa Mossicrosa<br />

questa gente di faida… questi possessori del<br />

corpo…”<br />

Laura Valdes suicida dopo essere stata violen-<br />

133


tata da Mario e Salvatore nel granaio della casa di<br />

Mole Tricu. Laura Valdes resa corpo, e che aveva<br />

scoperto che quei due che la possedevano non erano<br />

suoi veri fratelli, loro sì convinti, invece, di potersi,<br />

attraverso la figlia e la sorella, vendicarsi del<br />

padre. Pretu Zudeu longu li sfruttava senza dare<br />

mai il giusto. Li rendeva bestie più del dovuto. Poi,<br />

Mario era riuscito a farsi da parte, ad affrancarsi<br />

quasi. Ma la sua morte, già iniziata, aveva continuato<br />

ad avverarsi in quella violenza fatta alla presunta<br />

sorella. La sua e quella del gemello Salvatore.<br />

Per Aldo era come se fosse ritornato Solinas<br />

con le sue assurdità.<br />

Si spostò verso i libri del cinema.<br />

— Mossicrosa mossicrosa — continuava a dire.<br />

Come quella volta che Laura passava nel corso,<br />

splendida dea, e lui, Florit, ubriaco da non poterne<br />

più, reggeva i muri attorniato dal Goya y Lucientes.<br />

Erano sotto i cartelloni di un film, un western.<br />

Solo che adesso non gli veniva il titolo che fino ad<br />

un attimo prima ricordava. Proprio adesso doveva<br />

capitare, adesso che era vicino alla soluzione.<br />

Il vento si fece più forte e invece che spegnere<br />

riattivò la memoria. Aldo rivide lo sfondo rosso<br />

del manifesto e ricordò il titolo del film: Gli uomini<br />

dal passo pesante. Le parole dette tante volte<br />

solo per sentire il suono, gli ritornavano adesso<br />

piene di senso.<br />

“Gli uomini dal passo pesante”, recita il quar-<br />

134<br />

to volume del dizionario filmico Rusconi, “un<br />

western all’italiana del 1966, con un soggetto abbastanza<br />

originale, derivato da un racconto americano.<br />

Dopo la guerra civile, un potente allevatore<br />

texano boicotta i vincitori nordisti usando mezzi<br />

estremamente violenti. Quando il figlio si oppone,<br />

il padre scatena una strage.”<br />

Gli si erano opposti, i burdos, gli illegittimi di<br />

Isteddu Curzu, a Pietro Valdes.<br />

Volevano che dividesse subito, senza aspettare<br />

che fosse morto. Pretendevano la parte dovuta,<br />

una, due, tre volte tanto, di eredità.<br />

Si erano ribellati i figli, che sapessero o no di<br />

essere suoi nipoti.<br />

E poi c’era Laura, quell’altra bagassa, che si<br />

erano presi. Non gli bastava?<br />

Laura promessa ad Antonio Partes che aiutò<br />

Pietro, insieme a Luisi, a uccidere Mario e Salvatore,<br />

a sa Mossicrosa.<br />

Prima li processarono. Li fecero spogliare e<br />

stendere a faccia a terra. Ordini secchi e concisi.<br />

Le vittime sapevano già quella che sarebbe stata<br />

la loro sorte. Un processo fatto di silenzi.<br />

Ai gemelli spararono addosso, in varie parti<br />

del corpo e poi li finirono con una fucilata sulla<br />

nuca.<br />

Senza emozioni, freddi, li rivestirono e così li<br />

lasciarono per un’intera notte e per tutto il sabato<br />

successivo.<br />

Più tardi, Antonio Partes diede toccamento alla<br />

135


giustizia che subito si mise in moto. Fu allora che<br />

Solinas vide le macchine a fari spenti dirette a sa<br />

Mossicrosa e fu allora che si mise a inventare.<br />

Chiunque avrebbe potuto inventare, chiunque<br />

avesse in odio la presenza dei carabinieri e coltivasse<br />

questo sentire facendolo prevalere su tutto e<br />

su tutti.<br />

Aldo non sapeva della testimonianza di Giuseppe<br />

Dolu Mainas, ma arrivato a quel punto non<br />

gli sarebbe più potuta interessare. Questa era la verità<br />

e gli bastava. Nonostante sapesse che chiunque<br />

avrebbe potuto vedere morti anche dove non<br />

ce ne erano.<br />

Chiunque avesse avuto in sorte di abitare ad<br />

Espiritu, dove la storia fatta di concretezze e di<br />

percorsi logici si concedeva, a intervalli irregolari,<br />

assurdità e visioni. In una di queste era capitata la<br />

morte di Mario e Salvatore Valdes, elementi di una<br />

famiglia minata dal male.<br />

The Lolly Madonna war.<br />

Nel dizionario risaltava un’altra trama: E la<br />

terra si tinse di rosso. Per il possesso di un corpo,<br />

per la bellezza di una donna capace di scatenare la<br />

belva.<br />

Nessuno poteva fermarli, neppure la mamma<br />

del sole che pure rinforzava la belluinità e la ferocia.<br />

Gli uomini del passo pesante avrebbero continuato<br />

a uccidersi tra di loro, a consumare vendette<br />

all’interno del circuito.<br />

136<br />

Uccisi, Mario e Salvatore, ammazzati con sapienza,<br />

i rituali e i codici ammodernati, adeguati<br />

alla società dei giornali e della televisione.<br />

Tutto doveva poi ritornare al teatro tradizionale,<br />

alla recita sopra i corpi.<br />

Figlio adorato<br />

il fiore più stimato.<br />

Continuava la strage. Il mugghiare del bue erchitu<br />

diventava famigliare per le orecchie di Aldo<br />

Florit, lui che per cercare l’ombra aveva percorso<br />

tutta la foresta di pietra, il suo comprensibile ed<br />

incomprensibile. Florit che non aveva mai accettato<br />

il fatto che Laura non lo potesse amare. Perché:<br />

se lui era uno che combatteva contro i figli<br />

delle tenebre? Lui che non accettava ancora il senso<br />

di quella morte?<br />

Aveva coltivato infrazioni al silenzio, aveva<br />

rubato al domani l’ossessionato schema e Laura si<br />

bistrava davanti agli specchi dell’inganno.<br />

Nessuno sapeva più la via della consolazione<br />

eppure Florit continuava a cercarla.<br />

Laura si era perduta dentro le ragioni della memoria<br />

e lui, fiore di cardo cresciuto tra i fiori dell’opportunismo,<br />

si ostinava in vane attese, cercando<br />

significati diversi dall’impotenza e dal gelo.<br />

Nel sonno, solo nel sogno, i giullari del Goya y<br />

Lucientes uccidevano il re.<br />

Solo che i sogni si erano persi nel mare e avevano<br />

risalito la corrente del fiume verde per inaridirsi<br />

nei giardini sterili di un presente dove non<br />

137


iuscivano, né Aldo, né gli altri del Goya, a minare<br />

il luogo dei tenutari dell’ombra, a distruggere il<br />

grave sonno che partoriva sempre e solo la notte.<br />

Aldo continuava a brancolare insieme ad altri<br />

gnomi ghignanti disprezzo, buffoni per amore di<br />

verità.<br />

Si consumava nell’angoscia e Laura non riusciva<br />

a sorridergli. Non sarebbe venuta a trovarlo,<br />

adesso che era nuovamente avvolto in una trama<br />

oscura. Illusione era stata, la luce.<br />

Laura non gli avrebbe chiesto come si sarebbe<br />

riparato dalla pioggia che penetrava nei muri e li<br />

corrodeva.<br />

Venne il gelo, all’ora dei funerali, dopo che il<br />

vescovo benedisse le salme. Un gelo che fece diventare<br />

di cristallo anche il vento.<br />

Poi arrivò l’estate, canicola di luglio adatta al<br />

passare del corteo, immenso, smisurato, lungo il<br />

corso.<br />

Confuso in mezzo alla folla, Aldo Florit seguiva<br />

il camion di Antonio Partes diretto al cimitero.<br />

Era lo stesso camion del giorno del temporale<br />

e assomigliava alla mamma del sole quando esce<br />

a mezzogiorno per portarsi via i bambini.<br />

138<br />

INDICE<br />

139


140<br />

INDICE<br />

<strong>LA</strong> <strong>MAMMA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>SOLE</strong><br />

11 Introitus<br />

17 Oratio<br />

23 Collecta<br />

27 Sequentia<br />

61 Offertorium<br />

87 Secreta<br />

109 Communio<br />

111 Postcommunio<br />

141


142<br />

143


Finito di stampare nel febbraio 1995<br />

presso Studiostampa Nuoro<br />

144

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