scatti nel tempo 1 Associazione Castello Immagini - pubblicazion
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<strong>Associazione</strong> <strong>Castello</strong> <strong>Immagini</strong> - <strong>pubblicazion</strong>e della trentaduesima edizione di PHOTO ‘90 Val Tidone - aprile 2006<br />
SCATTI <strong>nel</strong><br />
TEMPO<br />
ph. Gianni Ansaldi<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 1
Pubblicazione della Ventinovesima Mostra Mercato<br />
di apparecchi fotografici usati e da collezione - aprile 2006<br />
Organizzazione:<br />
<strong>Castello</strong> <strong>Immagini</strong><br />
Via Don Conti 6/10<br />
Castel San Giovanni (PC)<br />
Tel. 335 33.05.08<br />
Fax. 0523 84.09.27<br />
Presidente:<br />
Ernestina Rigamondi<br />
Direttore:<br />
Dante Tassi<br />
Segreteria:<br />
Anna Dallanoce<br />
Patrocinio :<br />
Comune di Castel San Giovanni<br />
Stampa:<br />
Grafiche Lama s.r.l. - Piacenza<br />
www.<strong>scatti</strong><strong>nel</strong><strong>tempo</strong>.it - Mail: info@<strong>scatti</strong><strong>nel</strong><strong>tempo</strong>.it<br />
www.photo90.it - Mail: info@photo90.it<br />
COPERTINA:<br />
Gianni Ansaldi fotografa “Baccini”<br />
distribuzione gratuita<br />
2 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
di Marco Cavina©<br />
Gli obiettivi fotografici<br />
sono concepiti – come<br />
logico - per fotografie<br />
comprese <strong>nel</strong>l’ambito<br />
dello spettro luminoso visibile<br />
dall’occhio umano, approssimativamente<br />
per lunghezze d’onda<br />
comprese fra 430nm e 700 nm; naturalmente<br />
esigenze specifiche di<br />
natura tecnica, scientifica o creativa<br />
possono richiedere l’utilizzo come<br />
fonte primaria di sorgenti luminose<br />
caratterizzate da emissione che<br />
esulano da questa ristretta sezione<br />
dell’ampissima banda delle onde<br />
elettromagnetiche, spingendosi oltre<br />
la soglia del visibile e da ambo<br />
i lati, vuoi verso lunghezze d’onda<br />
più corte (ultravioletto) vuoi verso<br />
le più lunghe (infrarosso).<br />
Naturalmente le ottiche convenzionali,<br />
per quanto di ottima qualità,<br />
assecondano fino ad un certo punto<br />
questo utilizzo ribaldo e disinvolto,<br />
al di fuori dei parametri di progetto;<br />
<strong>nel</strong> campo dell’infrarosso - fortunatamente-<br />
gli obiettivi richiedono<br />
semplici precauzioni che si limitano<br />
ad una correzione di fuoco alla<br />
coniugata anteriore (l’infrarosso va<br />
a fuoco su una giacitura più remota<br />
ed occorre impostare una messa a<br />
fuoco leggermente più ravvicinata)<br />
e l’impiego di un apposito filtro rosso<br />
scuro; naturalmente tutto questo<br />
restando <strong>nel</strong>l’ambito dell’infrarosso<br />
prossimo, senza spingersi oltre gli<br />
800-850nm, dato che già a 1.000nm<br />
lo spostamento di fuoco è tale da<br />
consigliare l’utilizzo di speciali<br />
obiettivi superacromatici, mentre<br />
andando verso i 2.000nm il vetro<br />
non è più in grado di trasmettere<br />
questa frequenza ed occorre utilizzare<br />
obiettivi con lenti realizzate in<br />
Germanio, costosi oltre l’immaginazione<br />
e sconcertanti a prima vista,<br />
dato che le lenti appaiono come<br />
realizzate in metallo cromato e del<br />
tutto opache.<br />
Incidentalmente, ho parlato di<br />
frequenza e non di lunghezza d’on-<br />
da; infatti è la frequenza di<br />
oscillazione che connota il<br />
colore percepito, dato che la<br />
luce, se attraversa il vuoto o<br />
solidi trasparenti come appunto<br />
il vetro, presenta <strong>nel</strong><br />
secondo caso una velocita<br />
inferiore ed una lunghezza<br />
d’onda più compressa,<br />
ma il colore percepito resta<br />
identico perché non varia<br />
la frequenza di vibrazione;<br />
fra l’altro queste escursioni<br />
fuori spettro <strong>nel</strong> campo IR o<br />
UV che ci paiono così rilevanti<br />
sono ben poca cosa <strong>nel</strong><br />
mare magnum dello spettro<br />
elettromagnetico terrestre<br />
globale, con lunghezze d’onda che<br />
variano dai 10 -11 cm dei raggi Gamma<br />
(un miliardesimo di millimetro!)<br />
ai 10 +6 cm di certe onde hertziane<br />
(dieci chilometri di lunghezza d’onda)…<br />
Passando invece all’ultravioletto<br />
la situazione si complica un poco:<br />
infatti la banda dell’ultravioletto<br />
in senso lato parte da circa 430nm<br />
(soglia del violetto visibile) e scende<br />
fino a lunghezze d’onda di pochi<br />
angstroms, arrivando ai limiti<br />
dell’area di copertura dei raggi X,<br />
mentre il vetro ottico convenzionale<br />
non lascia passare nulla al di sotto<br />
dei 330nm, situazione peggiorata<br />
sovente dai trattamenti antiriflesso<br />
o da speciali collanti per i gruppi di<br />
lenti (il famoso Absorban Leica, ad<br />
esempio) che tagliano praticamente<br />
tutta la banda UV.<br />
Fin dai primi decenni del secolo<br />
passato si era presa coscienza<br />
di questa problematica (era noto<br />
che l’UV annerisce l’emulsione al<br />
Cloruro d’Argento, ed era possibile<br />
stabilire quali mezzi lasciassero<br />
passare queste lunghezze d’onda e<br />
quali no) e si tentarono vie alternative<br />
prendendo in considerazione<br />
altri materiali trasparenti con adeguate<br />
caratteristiche ottiche e meccaniche;<br />
ben presto ci si rese conto<br />
Il datato Steinheil Quarz 776mm da banco<br />
ottico, già dotato di lenti in Quarzo molato e<br />
previsto per la ripresa UV fino a 200nm<br />
che il Quarzo (Biossido di Silicio,<br />
cristallino e trasparente) era in grado<br />
di trasmettere la banda UV fino<br />
a lunghezze d’onda ben più corte di<br />
quanto consentisse il vetro, permettendo<br />
l’utilizzo fotografico di queste<br />
frequenze; nonostante le difficoltà<br />
per reperire cristalli purissimi di<br />
dimensioni adeguate (gli immensi<br />
giacimenti del Brasile o dell’Arkansas<br />
erano ancora da sfruttare) e per<br />
la successiva lavorazione (il Quarzo<br />
è concoide, con sfaldatura casuale<br />
e molto duro, 7 Mohs contro<br />
5,5 Mohs del vetro e 6,5 Mohs del<br />
migliore acciaio temperato), furono<br />
realizzati obiettivi con lenti in Quarzo<br />
già <strong>nel</strong>l’epoca adolescenziale<br />
dell’ottica, come testimonia questo<br />
pregevole obiettivo della Steinheil<br />
di Monaco di Baviera con focale<br />
di 776mm, denominato appunto<br />
“Quarz” e la cui obsoleta datazione<br />
è tradita dalla classica montatura<br />
retrò in ottone laccato dotata di filettatura<br />
da 88mm per l’impiego su<br />
banco ottico; questo speciale obiettivo<br />
era previsto dal costruttore per<br />
l’utilizzo fino a 200nm di lunghezza<br />
d’onda.<br />
Effettuando una rapida carrellata<br />
sulla banda UV, abbiamo visto che<br />
da 430 a 350nm si riesce a sfruttare<br />
il comune vetro ottico (in particolare,<br />
certi obiettivi da ingrandimento<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 3
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
garantiscono ottima trasparenza fino<br />
a 350nm perché le carte da stampa<br />
BN sono molto sensibili agli ultravioletti);<br />
fra i 350nm ed i 230nm il<br />
Quarzo prende il posto del vetro,<br />
sovente affiancato dalla Fluorite<br />
(Fluoruro di Calcio, cristallino) per<br />
esigenze di correzione cromatica<br />
date le particolari caratteristiche di<br />
rifrazione/dispersione del Quarzo;<br />
attorno a 200nm - 180nm il Quarzo<br />
riesce ancora a trasmettere gli UV<br />
ma l’aria assorbe queste frequenze<br />
e si rende necessario agire <strong>nel</strong> vuoto;<br />
al di sotto di questi valori anche<br />
il Quarzo assorbe massicciamente<br />
le frequenze ed occorre utilizzare<br />
la sola Fluorite oppure reticoli di<br />
diffrazione; al di sotto dei 120nm<br />
anche la Fluorite diviene opaca agli<br />
UV ed è giocoforza continuare con<br />
i soli reticoli di diffrazione (resi noti<br />
di recente al grande pubblico dalla<br />
nuova serie Canon EF DO, come il<br />
70-300 IS DO USM) e sempre sotto<br />
vuoto; in questa configurazione<br />
è teoricamente possibile continuare<br />
fino a valori inferiori ad 1 (!) nm,<br />
alla soglia dei raggi X.<br />
Sull’altro versante - analogamente<br />
- anche le emulsioni presentano<br />
svariati inconvenienti al ridursi<br />
della lunghezza d’onda: attorno a<br />
230nm la gelatina inizia ad assorbire<br />
massicciamente le radiazioni e<br />
si ricorreva ad emulsioni particolari<br />
(le “celebri” Schumann e “Q”, star<br />
del settore) specificamente formulate<br />
e caratterizzate da uno strato di<br />
gelatina superficiale estremamente<br />
sottile o dalla presenza dello strato<br />
sensibile di sali d’Argento direttamente<br />
in superficie; era anche possibile<br />
spalmare di vaselina od olio<br />
minerale fluorescente l’emulsione<br />
convenzionale (naturalmente, per<br />
ovvi motivi logistici, si parla di lastre<br />
piane) sfruttando per impressionarla<br />
la fluorescenza superficiale<br />
indotta dagli UV.<br />
Tristemente, scrivo coniugando<br />
al passato perché con l’avvento<br />
massiccio del digitale questi scenari<br />
sono quantomeno stravolti…<br />
Appare dunque evidente che la<br />
fotografia multispettrale <strong>nel</strong> campo<br />
UV estremo è un cimento da autentici<br />
specialisti, tuttavia lo sfruttamento<br />
della banda più prossima<br />
al visibile, <strong>nel</strong> campo da 220nm a<br />
350nm, è di grande utilità in svariate<br />
applicazioni pratiche, dall’indagine<br />
poliziesca alla perizia su opere<br />
d’arte svelando assegni contraffatti,<br />
Una rara immagine del Quartz-Takumar 85mm f/3,5 con la dotazione di<br />
filtri specifici per l’UV<br />
affreschi raffazzonati e così via, rappresentando<br />
una nicchia di utenza<br />
certamente ridotta ma da prendere<br />
in considerazione per quelle grandi<br />
Case che fanno dell’universalità del<br />
loro sistema il veicolo promozionale<br />
principale.<br />
Curiosamente, in tempi recenti,<br />
solo tre nomi eccellenti si sono<br />
cimentati in realizzazioni di questo<br />
tipo, ed il primo in ordine di <strong>tempo</strong><br />
fu l’Asahi Optical Co., l’azienda<br />
madre del celeberrimo brand Pentax<br />
, accreditata di un know-how di<br />
prim’ordine <strong>nel</strong>l’ottica e parimenti<br />
affermata <strong>nel</strong> settore delle realizzazioni<br />
specifiche in campo medicale<br />
e quindi attenta anche alle esigenze<br />
tecniche “speciali”.<br />
La Asahi Optical - ed il dato è<br />
ignoto ai più - in realtà realizzò in<br />
successione due obiettivi specifici<br />
per la ripresa UV, di caratteristiche<br />
geometriche quasi omologhe<br />
e che possono senz’altro considerarsi<br />
l’uno come logica evoluzione<br />
dell’altro alla luce delle esperienze<br />
acquisite; il primo modello venne<br />
presentato <strong>nel</strong> 1963 (senza troppi<br />
clamori come è <strong>nel</strong>lo stile della<br />
casa, portabandiera di un elegante<br />
understatement, dal minimalismo<br />
della comunicazione al formato lillipuziano<br />
di certi suoi peraltro ottimi<br />
prodotti); stiamo parlando del Quartz-Takumar<br />
85mm f/3,5, un obiettivo<br />
dotato di innesto a vite 42x1mm<br />
e realizzato - come intuibile - con<br />
l’apporto di lenti in Quarzo e previsto<br />
per un impiego estremamente<br />
specializzato dato che era ottimizzato<br />
unicamente per l’impiego <strong>nel</strong><br />
campo UV, da 400nm fino a 200mm<br />
con l’esclusione categorica del normale<br />
impiego in luce visibile.<br />
L’obiettivo, prodotto dal 1963 al<br />
1967 in ridottissima serie è caratterizzato<br />
da un semplice schema a<br />
4 lenti tutte spaziate ad aria e presenta<br />
una montatura molto semplice,<br />
priva di ghiera per la messa a<br />
fuoco che invece aveva luogo tra-<br />
4 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
mite un soffietto di prolunga specificamente<br />
approntato; la montatura<br />
anteriore dispone di un filetto filtri<br />
da 49x0,75mm mentre le quote caratteristiche<br />
prevedono diametro e<br />
lunghezza di 60mm ed un peso di<br />
appena 126g; il diaframma a preselezione<br />
presenta aperture da f/3,5 ad<br />
f/22; pare che due (!) soli esemplari<br />
siano regolarmente censiti al giorno<br />
d’oggi.<br />
Caratteristica qualificante di<br />
quest’ottica è la presenza a corredo<br />
di quattro speciali filtri, contenuti<br />
in un astuccio in vinilpelle rivestito<br />
in velluto verde coordinato con<br />
barilotto porta-obiettivo;<br />
tali filtri non si applicano<br />
alla montatura filettata<br />
anteriore ma si montano<br />
a pressione bloccandoli<br />
in posizione avvitando un<br />
nottolino godronato laterale,<br />
esattamente come <strong>nel</strong><br />
caso dei paraluce Nikon<br />
serie HK.<br />
Questi speciali accessori<br />
altro non sono che filtri<br />
passa banda che tagliano<br />
le frequenze indesiderate,<br />
consentendo l’utilizzo<br />
in luce UV a partire da<br />
365nm oppure da appena<br />
253,7nm; siccome la messa<br />
a fuoco sarebbe visiva-<br />
mente impossibile con il<br />
filtro da ripresa applicato,<br />
ad ognuno di essi è abbinato<br />
in tandem una versione<br />
analoga che permette la sola<br />
messa a fuoco e la visualizzazione;<br />
al momento dello scatto il filtro da<br />
visione va sostituito con l’omologo<br />
specifico per la ripresa.<br />
Sull’obiettivo era anche presente<br />
una scala micrometrica di correzione<br />
della messa a fuoco in riferimento<br />
alla specifica lunghezza d’onda<br />
utilizzata come sorgente luminosa.<br />
Nel 1968, l’anno successivo all’uscita<br />
di produzione di questo archetipo,<br />
entrò in scena una signifi-<br />
cativa evoluzione del progetto, con<br />
evidenti migliorie concettuali e funzionali:l’Ultra-Achromatic-Takumar<br />
85mm f/4,5, semplicemente<br />
UA-Takumar per gli amici.<br />
A fronte di una leggera riduzione<br />
dell’apertura massima, irrilevante<br />
<strong>nel</strong>lo specifico utilizzo pratico,<br />
l’obiettivo garantiva una correzione<br />
superacromatica non soltanto <strong>nel</strong>lo<br />
specifico campo dell’ultravioletto<br />
ma anche per tutta la gamma del visibile<br />
e financo per buona quota dell’infrarosso,<br />
garantendo immagini<br />
nitide e senza alcuna correzione di<br />
fuoco fra le operazioni di inquadra-<br />
Il primo della classe: da 220nm a 1000nm senza un<br />
cedimento, l’atout dell’UA Takumar 85mm f/4,5<br />
tura e scatto <strong>nel</strong>l’enorme intervallo<br />
compreso fra 220nm e 1000nm,<br />
trasformandolo in uno strumento<br />
duttile ed efficacissimo che riuniva<br />
in se le virtù di un nitido mediatele<br />
convenzionale, di un superacromatico<br />
corretto per l’infrarosso e di un<br />
obiettivo speciale per l’ultravioletto!<br />
Anche le caratteristiche meccaniche<br />
e funzionali presentarono<br />
migliorie di rilievo; se il barilotto<br />
condivide col precedente modello<br />
l’attacco filtri da 49x0,75mm, l’innesto<br />
per il corpo macchina 42x1<br />
e le quote esterne, <strong>nel</strong>l’uso pratico<br />
possiamo avvalerci di un diaframma<br />
completamente automatico su valori<br />
compresi fra f/4,5 ed f/22 nonché<br />
di una ghiera indipendente per<br />
la messa a fuoco graduata da 0,6m<br />
ad infinito che rendono l’utilizzo a<br />
mano libera quantomeno praticabile;<br />
il massimo ingrandimento possibile<br />
era di circa 0,21x.<br />
L’angolo di campo, come <strong>nel</strong><br />
precedente modello è di circa 28°<br />
mentre il peso è leggermente superiore<br />
ma comunque sempre molto<br />
contenuto, ovvero 248<br />
grammi; questo nuovo modello,<br />
identificato dal codice<br />
di produzione 43851, non<br />
prevede la ghiera di correzione<br />
fine della messa a fuoco<br />
propria del primo modello,<br />
in quanto il suo schema<br />
ottico a 5 lenti in 5 gruppi in<br />
Quarzo e Fluorite consente<br />
la virtuale acromatizzazione<br />
da UV ad IR, una caratteristica<br />
unica <strong>nel</strong> panorama del<br />
1968 e certamente un vanto<br />
per il Dr. Takahachi che<br />
firmò il brevetto del gruppo<br />
ottico (GB1128080).<br />
Un elemento di continuità<br />
col modello prece-<br />
dente è rappresentato dalla<br />
omologa dotazione di filtri<br />
speciali, in questo caso contenuti<br />
in un bauletto corredo in<br />
vinilpelle rivestito di velluto rosso<br />
porpora che prevedeva anche l’alloggiamento<br />
per l’obiettivo stesso;<br />
in questo caso la dotazione funzionale<br />
prevedeva cinque filtri in luogo<br />
di quattro, e tutti adibiti a specifici<br />
tagli di frequenza in fase di ripresa<br />
dato che la già citata correzione globale<br />
rendeva superflui i filtri per la<br />
messa a fuoco precedentemente forniti;<br />
specificamente, due filtri erano<br />
dedicati alla ripresa <strong>nel</strong> campo UV e<br />
ben tre destinati a riprese all’IR con<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 5
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
lunghezze d’onda progressivamente<br />
maggiori: <strong>nel</strong> dettaglio, per l’ultravioletto<br />
si riproponevano filtri simili<br />
ai precedenti, calibrati su 253,7nm<br />
e 365nm mentre per l’infrarosso<br />
erano fornite le versioni R62B,<br />
R68B ed un filtro “nero” 862nm;<br />
contrariamente alla versione Quartz-Takumar<br />
85mm f/3,5 questi filtri<br />
sono dotati di normale attacco filettato<br />
49x0,75mm e mentre i modelli<br />
speciali “dedicati” 253,7nm, 365nm<br />
e 862nm sono specificamente marcati<br />
e personalizzati “Ultra-Achromatic<br />
Takumar” sulla corona frontale,<br />
i due modelli rosso scuro R62B<br />
ed R68B hanno una montatura più<br />
convenzionale e sottile con la semplice<br />
dicitura Asahi Pentax Japan<br />
<strong>nel</strong>lo spessore, suggerendo forse<br />
un utilizzo in comune con Takumar<br />
più convenzionali dal momento che<br />
questi due filtri presentano un taglio<br />
di banda che permette riprese<br />
IR anche con obiettivi non specialistici,<br />
con la semplice correzione di<br />
fuoco.<br />
Questo piccolo gioiello che garantiva<br />
prestazioni operative ben<br />
oltre l’apparenza dimessa restò in<br />
produzione fino al 1975, dividendo<br />
la gloria del blasone con un altro<br />
Takumar speciale, l’UA 300mm<br />
f/5,6 apocromatico, ma anche in<br />
questo caso l’eccezionalità del progetto<br />
fu più un acuto <strong>nel</strong>le intenzioni<br />
ed una bella vetrina per il marketing<br />
che un successo commerciale, dato<br />
che al momento attuale non sono<br />
censiti più di 20 esemplari in buone<br />
condizioni e con la dotazione più o<br />
meno completa; come <strong>nel</strong> caso del<br />
predecessore, dunque, si tratta di un<br />
obiettivo estremamente raro e certamente<br />
un istant-classic per il collezionista<br />
raffinato e competente che<br />
ama mettere a manetta la sua attrezzatura<br />
e non soltanto spolverarla!<br />
Assieme a questi sparuti reduci,<br />
rari Nantes di una comunque non<br />
folta schiera, sono arrivati a noi anche<br />
due prototipi, in tutto e per tutto<br />
simili al modello definitivo fatto<br />
salvo per le engravings anteriori,<br />
Il percorso ottico della luce attraverso l’UA-Takumar<br />
prive del riferimento al costruttore.<br />
Risalendo alle specifiche depositate<br />
al brevetto è possibile analizzare<br />
lo schema, le caratteristiche<br />
ottiche, di rendimento e le aberrazioni<br />
correlate all’UA-Takumar,<br />
che peraltro non presenta il fianco a<br />
critiche: scegliendo una focale “facile”<br />
ed una luminosità ridotta si è<br />
garantita una qualità adeguata.<br />
Nel frat<strong>tempo</strong> la concorrenza<br />
aveva preso atto di queste realizzazioni<br />
esclusive, senza però dare a<br />
ciò un seguito operativo se non in<br />
due casi rimasti isolati e rappresentati<br />
dallo Zeiss UV-Sonnar 105mm<br />
f/4,3 (realizzato <strong>nel</strong> 1968 per Hasselblad)<br />
e dal Nikon UV-micro-Nikkor<br />
105mm f/4,5 presentato molto più<br />
tardi, <strong>nel</strong> 1984, in configurazione<br />
AiS; stupisce il fatto che il brand<br />
Canon non si sia mai cimentato in<br />
questo settore sebbene all’epoca<br />
fosse decisamente all’avanguardia<br />
<strong>nel</strong>lo studio dei materiali cristallini<br />
alternativi e stesse già progettando i<br />
celebri FLF 300m e 500mm apocro-<br />
6 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
matici con due lenti in Fluorite ricristallizzata<br />
artificialmente; probabilmente<br />
è stata una scelta a priori<br />
legata alla ridotta nicchia di utenza<br />
potenziale e non certo a limitazioni<br />
tecniche.<br />
Tornando a noi, in quel 1968 che<br />
stava arrembando come un frangente<br />
e dove tutto pareva in accelerazione<br />
la Zeiss presentò tre ottiche<br />
in montatura Hasselblad destinate<br />
ad un utilizzo specialistico e nate<br />
per completare il già corposo sistema,<br />
fornendo validi strumenti per<br />
impieghi altamente professionali e<br />
specializzati, indirizzati al campo<br />
scientifico e fotogrammetrico strizzando<br />
anche l’occhio al partner per<br />
eccellenza, la NASA.<br />
I tre pregevoli campioni erano<br />
rappresentati dall’S-Planar 135mm<br />
f/5,6 “bellows”, uno speciale obiettivo<br />
macro in montatura corta previsto<br />
per riprese da infinito ad 1:1<br />
su soffietto, dal Planar 100mm f/3,5<br />
- ottica praticamente priva di distorsione<br />
e dotata di elevatissima ed<br />
uniforme risoluzione ai diaframmi<br />
aperti per utilizzo fotogrammetrico<br />
in coppia col Biogon 60mm f/5,6<br />
“lunare” - ed infine dall’ancora più<br />
esclusivo UV-Sonnar 105mm f/4,3,<br />
ottica realizzata con lenti in Quarzo<br />
e Fluorite e destinata, analogamente<br />
all’UA-Takumar - alla ripresa <strong>nel</strong>la<br />
banda ultravioletta così come in<br />
luce visibile, anche se il primato<br />
dell’acromatizzazione completa da<br />
UV ad IR restava al campione Asahi<br />
dato che lo Zeiss si accontentava di<br />
una correzione limitata fra i 215nm<br />
ed i 700nm, ovvero fino alla soglia<br />
del visibile senza accedere all’IR,<br />
probabilmente una scelta conservativa<br />
di Zeiss legata alla proverbiale<br />
ricerca della perfezione; del<br />
resto quattro anni dopo la stessa<br />
Zeiss avrebbe presentato il Sonnar<br />
250mm f/5,6 Superachromat, tuttora<br />
insuperato per la correzione cromatica<br />
fino a 1000nm.<br />
L’obiettivo e basato su uno sche-<br />
ma a 7 elementi leggermente più<br />
complesso rispetto al Takumar e fu<br />
inizialmente prodotto in montatura<br />
C, tuttavia essendo un obiettivo specialistico<br />
fornito solo su ordinazione<br />
non condivideva con gli altri la livrea<br />
argento satinato ma - al pari del<br />
Planar 100mm f/3,5 fotogrammetri-<br />
Lo schema ottico dell’UV-Sonnar<br />
105mm f/4,3 caratterizzato<br />
dall’utilizzo di lenti in Quarzo e<br />
Fluorite<br />
co e dell’S-Planar 135mm f/5,6 macro<br />
- era fin dall’inizio anodizzato<br />
in nero fatta eccezione per la baionetta<br />
B50 anteriore che era rifinita<br />
in argento; la focale effettiva era di<br />
107,2mm corrispondenti ad un angolo<br />
di campo di 41° sulla diagonale<br />
e di 30° sul lato, il diaframma<br />
operava <strong>nel</strong>l’intervallo f/4,3-f/32, la<br />
messa a fuoco minima scendeva ad<br />
1,8m (valore non eccezionale) ed il<br />
barilotto prevedeva una lunghezza<br />
di 87mm, un diametro di 78mm ed<br />
un peso complessivo di 670g; naturalmente<br />
era servito dal classico<br />
otturatore centrale Syncro-Compur<br />
#0 comune agli altri obiettivi della<br />
serie C; sul catalogo dell’importatore<br />
italiano Pecchioli - anno 1969<br />
- questo obiettivo (fornito su richie-<br />
sta speciale) era identificato dal codice<br />
n° 20133.<br />
Nel 1982 la Zeiss presentò la nuova<br />
montatura CF dotata di otturatore<br />
Prontor della Gauthier di Calmbach<br />
ed anche l’UV-Sonnar fu ristilizzato<br />
secondo i nuovi standard; incidentalmente<br />
quest’obiettivo speciale<br />
- al pari del Sonnar 250mm f/5,6<br />
SA - non ricevette mai l’antiriflessi<br />
T* perché avrebbe proditoriamente<br />
tagliato la gamma UV; anche in<br />
questo caso i numeri di produzione<br />
sono estremamente ridotti, dato anche<br />
il costo assolutamente proibitivo<br />
(34.000.000 di lire il prezzo indicativo<br />
ad inizio anni ’90…): Rick<br />
Nordin, guru canadese del sistema<br />
Hassy, mi raccontava che <strong>nel</strong>la sua<br />
vita non ha incontrato più di cinque<br />
esemplari e tutti in montatura C;<br />
personalmente <strong>nel</strong> 2000 trovai ad<br />
una mostra mercato un rarissimo<br />
esemplare CF come nuovo a prezzo<br />
di saldo, 2.800.000 lire, affare<br />
eccezionale sfumato a cagione della<br />
consorte al seguito che mi osservava<br />
da dietro le spalle, calata in un<br />
mutismo denso di significati…<br />
La resa ottica è di tutto rispetto<br />
anche se, come accennato, una<br />
messa a fuoco minima di 1,8m in<br />
un ottica che equivale grosso modo<br />
ad un 60mm <strong>nel</strong> 24x36 non consente<br />
di evidenziare dettagli minuti<br />
come invece è prassi comune <strong>nel</strong>la<br />
ripresa UV dove i soggetti sono sovente<br />
particolari di opere d’arte o di<br />
documenti e referti dermatologici<br />
ravvicinati; probabilmente la scelta<br />
è da ricondursi alla standardizzazione<br />
delle lavorazioni meccaniche:<br />
infatti è facile notare come negli<br />
obiettivi Zeiss C la parte basilare<br />
della montatura con gli elicoidi e<br />
le ghiere - <strong>nel</strong>la maggioranza degli<br />
esemplari - sia riconducibile a<br />
quella del classico Planar 80mm<br />
f/2,8 con eventuali e spesso ridicole<br />
aggiunte di cannotti anteriori di varia<br />
foggia (vedi, ad esempio, il Distagon<br />
40mm f/4); evidentemente<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 7
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
l’escursione dell’elicoide di messa<br />
a fuoco propria del Planar 80mm -<br />
se applicata ad una focale maggiore<br />
- determina l’inconveniente a causa<br />
della modesta variazione di tiraggio<br />
disponibile.<br />
Curiosamente, gli obiettivi C <strong>nel</strong><br />
1968 (anno della sua introduzione)<br />
erano come detto “bianchi” mentre<br />
l’UV Sonnar nacque già anodizzato<br />
nero; intorno al 1972-73 e fino al<br />
1982 (anno del passaggio alla serie<br />
CF) anche il resto del parco ottiche<br />
fu anodizzato completamente in<br />
nero mentre l’UV-Sonnar mantenne<br />
l’originale baionetta B50 cromata<br />
come segno di distinzione e<br />
di appartenenza alla categoria degli<br />
“speciali”.<br />
Il terzo marchio che, buon ultimo,<br />
si cimentò in questa prova ardimentosa<br />
fu la Nippon Kogaku, forte<br />
della sua filosofia volta a professionalizzare<br />
al massimo il sistema anche<br />
con l’ausilio di una sterminata<br />
schiera di obiettivi, molti dei quali<br />
per uso estremamente specialistico;<br />
<strong>nel</strong> 1984 il celebre brand nipponico<br />
presento l’UV-micro-Nikkor<br />
105mm f/4,5, obiettivo specialistico<br />
che - alla stregua dell’UA-Takumar -<br />
permetteva riprese senza correzione<br />
di fuoco <strong>nel</strong> campo UV a partire da<br />
220nm, in tutto lo spettro visibile ed<br />
anche <strong>nel</strong>l’infrarosso fino a 900nm,<br />
cioè la banda formalmente sfruttabile<br />
con le convenzionali emulsioni<br />
IR in commercio, rinunciando ad<br />
andare oltre (mentre il Takumar era<br />
dichiarato corretto fino a 1000nm<br />
ed in questo resta imbattuto).<br />
L’obiettivo, ovviamente in configurazione<br />
AiS, nasceva in pratica sul<br />
barilotto del micro-Nikkor 105mm<br />
f/4 AiS (più s<strong>nel</strong>lo del precedente<br />
Ai) sia pure focheggiando tramite<br />
un unico e lunghissimo elicoide<br />
anziché due, copriva un angolo di<br />
campo sulla diagonale di 23°20’,<br />
presentava un diaframma che lavorava<br />
fra f/4,5 ed f/32 e pesava 525g;<br />
la messa a fuoco minima (da cui il<br />
mitico suffisso micro) scendeva ad<br />
appena 48cm che consentivano di<br />
passare direttamente dall’infinito ad<br />
un rapporto di riproduzione di 1:2,<br />
davvero utile sul campo; lo schema<br />
ottico a 6 lenti in 6 gruppi prevede<br />
lenti esclusivamente in Quarzo e<br />
Fluorite anche se qualche fonte sostiene<br />
che in realtà la Nippon Kogaku<br />
non abbia utilizzato Fluorite<br />
Nella foto di Jens Karlsson (storico fotografo Hasselblad)<br />
parte del sistema Zeiss Hasselblad C del 1977, dove<br />
spicca l’UV-Sonnar 105mm f/4,3 grazie alla sua baionetta<br />
B50 cromata<br />
ma vetro al Fosfato di Fluoro (simile<br />
ai celebri vetri Leica 554666<br />
e 598671 responsabili della correzione<br />
apocromatica <strong>nel</strong> 180mm<br />
f/3,4 apo-Telyt e <strong>nel</strong> 100mm f/2,8<br />
apo-macro-Elmarit), vetri che grazie<br />
all’elevatissimo numero di Abbe<br />
(bassissima dispersione) - garantito<br />
dall’additivazione con Fluoro<br />
- possono eventualmente sostituire<br />
la Fluorite cristallina, ma non mi<br />
sento di perorare al 100% questa<br />
ipotesi anche se Nikon ha sempre<br />
disdegnato la Fluorite tacciandola<br />
di eccessiva igroscopicità, fragilità<br />
e dilatazione termica: infatti l’impiego<br />
della Fluorite in questi obiettivi<br />
UV serve solo marginalmente<br />
per accordarsi (grazie al suo spettro<br />
secondario ridotto ed anomalo)<br />
con le caratteristiche di rifrazione e<br />
dispersione proprie del Quarzo ma<br />
la funzione principale è legata alla<br />
sua ottima trasparenza agli UV, anche<br />
ad onda corta, mentre il vetro al<br />
Fosfato di Fluoro ha sì uno spettro<br />
secondario molto ridotto e simile<br />
alla Fluorite (i vetri sopra citati hanno<br />
un numero di Abbe pari a 66,6<br />
e 67,1, davvero molto elevato) ma<br />
non garantiscono il passaggio degli<br />
UV fino alle frequenze corte coperte<br />
dall’obiettivo.<br />
Sono note due versioni di quest’obiettivo:<br />
la prima è caratterizzata<br />
dal paraluce applicabile separato<br />
e dalla semplice indicazione<br />
UV-Nikkor 105mm 1:4,5, senza il<br />
suffisso micro; la seconda prevede<br />
il paraluce telescopico integrato e la<br />
denominazione completa UV-Micro-Nikkor<br />
105mm 1:4,5.<br />
In entrambe le versioni l’obiettivo<br />
era fornito con un dotazione<br />
specifica rappresentata da una montatura<br />
per portafiltri basculante AF-<br />
1, un portafiltri per gelatine vero e<br />
proprio UR-2 e un filtro opaco per<br />
UV che lascia passare solamente le<br />
frequenze fra 220nm e 420nm con<br />
un picco di trasmissione a 330nm,<br />
da inserire <strong>nel</strong>l’UR-2; quest’ultimo<br />
8 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
gruppo si agganciava in cascata davanti<br />
all’AF-1 e si avvitava il tutto<br />
all’obiettivo; sfruttando la doppia<br />
montatura basculante dell’AF-1 si<br />
toglieva dal percorso ottico il filtro<br />
UV per la messa a fuoco, ruotandolo<br />
poi in posizione per lo scatto, con<br />
gesti analoghi a quelli richiesti dal<br />
polarizzatore per Leica-M.<br />
Anche quest’obiettivo è stato<br />
prodotto in serie molto limitata<br />
certamente a cagione del costo non<br />
indifferente (circa 7.000.000 di lire<br />
quando veniva prodotto a regime) e<br />
tolto di produzione senza clamori a<br />
fine anni ’90 in una fase di logica<br />
potatura dei rami secchi che ha visto<br />
altre illustri vittime come ad esempio<br />
il noct-Nikkor 58mm f/1,2 o il<br />
fisheye-Nikkor 6mm f/2,8 da 220°;<br />
del resto il brand Nikon Corporation<br />
gode di rinomanza planetaria e non è<br />
più necessario mantenere a catalogo<br />
specchietti per le allodole venduti in<br />
pochi esemplari all’anno per mera<br />
esigenza di immagine; fra l’altro la<br />
lavorazione del Quarzo e della Fluorite<br />
sono molto complesse e causano<br />
una elevata percentuale di scarti<br />
di lavorazione, anche se il Quarzo<br />
utilizzato oggi non proviene più da<br />
cristalli naturali ma viene realizzato<br />
in apposite autoclavi a pressioni<br />
inaudite con specifiche di sicurezza<br />
molto severe (occorre che la distanza<br />
fra due autoclavi sia molto ampia,<br />
per evitare in caso di esplosione<br />
un effetto domino a catena); anni fa<br />
un collega mi mostrò un campione<br />
di questo Quarzo artificiale, proveniente<br />
dalla Bulgaria ed in effetti<br />
- osservandolo in sezione - palesava<br />
purezza ed omogeneità inaudite,<br />
difficilmente riscontrabili in natura<br />
dove faglie, ricristallizzazioni,<br />
ghiacciature od inclusioni sono all’ordine<br />
del giorno; sorridendo (ma<br />
non troppo) mi raccontò che in quel<br />
paese dell’allora blocco sovietico<br />
in realtà le autoclavi per realizzare<br />
in Quarzo erano stipate in un ca-<br />
l’UV-micro-Nikkor 105mm f/4,5 assieme al suo gruppo ottico realizzato con<br />
elementi in Quarzo e Fluorite<br />
pannone a centinaia, e fitte come<br />
mosche, con tanti saluti per la sicurezza…mi<br />
suggerì che <strong>nel</strong> caso di<br />
cedimento di una singola unità probabilmente<br />
avremmo visto il fungo<br />
atomico o qualcosa del genere data<br />
la violenza dell’effetto a catena!<br />
E’ noto che l’UV-micro-Nikkor<br />
105mm f/4,5 non fu in realtà l’unico<br />
obiettivo UV realizzato in tempi<br />
recenti dalla Nikon; a metà degli<br />
anni ’60 andò in produzione<br />
un obiettivo definito UV-Nikkor<br />
55mm f/4 (il primo prototipo pare<br />
sia stato rivelato a fine ’64 - inizio<br />
’65), basato sul barilotto del coevo<br />
micro-Nikkor-P Auto 55mm f/3,5 e<br />
realizzato - analogamente al Quartz-Takumar<br />
85mm f/3,5 di due anni<br />
antecedente - per l’utilizzo esclusivo<br />
in banda UV, anche se relativamente<br />
al 55mm UV-Nikkor si dichiarava<br />
un’acromatizzazione limitata al ristretto<br />
range compreso fra 300nm e<br />
400nm; a tale proposito non veniva<br />
fornito alcun filtro taglia-banda in<br />
dotazione e si suggeriva di utilizzare<br />
come sorgente luminosa la classica<br />
“luce nera” di Wood oppure lampade<br />
ai vapori di mercurio schermate<br />
con un filtro nero tipo UV-P25.<br />
L’obiettivo si basa su un semplicissimo<br />
schema a 3 lenti in 3 gruppi<br />
(il classico tripletto di Cooke) e<br />
pare non utilizzasse materiali cristallini<br />
ma solamente speciali tipi<br />
di vetro, forse in virtù della ridotta<br />
escursione disponibile <strong>nel</strong> campo<br />
UV; si realizzava la messa a fuoco<br />
in luce bianca e successivamente si<br />
effettuava la correzione di fuoco per<br />
la ripresa in banda UV spostando il<br />
valore riscontrato al punto di fede<br />
convenzionale e posizionandolo davanti<br />
ad uno speciale marker di colore<br />
blu che rappresentava la declinazione<br />
di fuoco richiesta per l’UV,<br />
esattamente come si agisce anche<br />
fotografando con pellicola infrarossa<br />
sfruttando il relativo riferimento<br />
di correzione.<br />
L’obiettivo presentava una focale<br />
effettiva di 54mm, pesava 230g<br />
e disponeva di attacco filtri da<br />
52x0,75mm; col micro-Nikkor-P<br />
Auto 55mm f/3,5 non condivideva<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 9
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
solo il barilotto ma anche il sistema<br />
automatico di compensazione<br />
del diaframma (graduato fra f/4 ed<br />
f/32) che provvedeva ad aumentare<br />
l’apertura a distanze ravvicinate<br />
per compensare su corpi non-TTL<br />
l’assorbimento luminoso legato all’aumento<br />
di tiraggio, che <strong>nel</strong> caso<br />
dell’UV-Nikkor 55mm non era trascurabile<br />
in quanto consentiva di<br />
passare dall’infinito al rapporto di<br />
riproduzione di 1:2, anche se non è<br />
possibile riferire con esattezza a che<br />
distanza di ripresa ciò corrispondesse<br />
in quanto la scala di messa<br />
a fuoco dell’obiettivo non riportava<br />
misure metriche ma rapporti di<br />
riproduzione finemente graduati;<br />
qualche fonte riferisce una distanza<br />
minima equivalente a 0,36m ma<br />
non è possibile confermare il dato.<br />
Passato alla storia in sordina<br />
questo primo, rudimentale modello,<br />
pare che la Nikon si sia cimentata<br />
almeno altre due volte sulla<br />
focale 55mm con specifiche UV,<br />
quantomeno allo stadio di prototipo:<br />
il primo caso si riferisce alla<br />
versione UV-Nikkor 55mm f/4 AiS<br />
del Settembre 1988, basato su uno<br />
schema a 6 lenti in 6 gruppi analogo<br />
all’UV-Nikkor 105mm f/4,5 e parimenti<br />
corretto <strong>nel</strong> campo da 220nm<br />
a 900nm; altra analogia col modello<br />
di focale maggiore è rappresentata<br />
dalla messa a fuoco minima (24cm<br />
in questo caso) tale da consentire un<br />
rapporto di riproduzione di 1:2.<br />
Una ulteriore versione di obiettivo<br />
UV con focale normale sarebbe stata<br />
realizzata per la NASA per impieghi<br />
aerospaziali e non si hanno altri dati<br />
se non quelli di targa: UV-Nikkor<br />
55mm f/2; pare che fra la versione del<br />
1965 e quella del 1988 sia stata calcolato<br />
un modello, poi abbandonato,<br />
da 50mm ma al momento attuale non<br />
trovo conferme attendibili.<br />
Chiuso finalmente il cerchio sulla<br />
ridottissima produzione di obiettivi<br />
UV vorrei mettere a confronto gli<br />
schemi ottici dei tre campioni Asahi,<br />
Zeiss e Nippon Kogaku; dalla correlazione<br />
diretta si evidenzia come le prime<br />
tre lenti abbiano una foggia molto<br />
simile: probabilmente i particolarissimi<br />
indici di rifrazione/dispersione del<br />
Quarzo e della Fluorite utilizzati in<br />
tutti i modelli impongono delle scelte<br />
quasi obbligate come confermerebbero<br />
queste evidenti analogie.<br />
Tanto rumore per nulla, dunque ?<br />
In così poco si può riassumere l’epopea<br />
degli obiettivi senza vetro che<br />
vedono <strong>nel</strong>la luce nera ed evidenziano<br />
per magia l’invisibile ? Se la produzione,<br />
è vero, quantitativamente si<br />
può definire trascurabile, dal punto di<br />
vista concettuale è stata dirompente,<br />
spalancando finestre di luce abbagliante<br />
<strong>nel</strong> buio delle onde corte e<br />
possibilità professionali concrete per<br />
molti tecnici specializzati, additando<br />
vie inesplorate ed innovative <strong>nel</strong>l’ap-<br />
proccio a molte problematiche moderne;<br />
gli obiettivi UV non si sono<br />
fermati a questo, hanno aperto anche<br />
il terzo occhio a grandi fotografi come<br />
Biorn Rorslett che ha trovato in questi<br />
strani occhi di Quarzo uno strumento<br />
creativo per immagini di grande suggestione<br />
e poesia, scoprendo nei moderni<br />
sensori CCD Nikon un valido<br />
alleato grazie alla loro estesa sensibilità<br />
spettrale che rende l’utilizzo di<br />
questi strumenti agevole ed inespensivo;<br />
in definitiva, gli obiettivi UV hanno<br />
strappato alla notte una porzione di<br />
cielo permettendoci di documentare<br />
un mondo inesplorato ed affascinante<br />
altrimenti precluso, ed è questo uno<br />
dei casi dove si può realmente parlare<br />
di limpido progresso per l’umanità.<br />
10 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
FUORI BANDA: gli obiettivi UV per la fotografia multispettrale.<br />
Le due splendide immagini di<br />
questo articolo sono state realizzate<br />
con l’UV-micro-Nikkor in digitale<br />
con Nikon D2H sfruttando l’estesa<br />
copertura spettrale del suo sensore;<br />
occhi di Quarzo al servizio della<br />
scienza ma anche della creatività.<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 11
Pionieri della fotografia d’azione: la Goerz Anschutz<br />
di Sergio Cappiello<br />
Le fotocamere più popolari e maggiormente<br />
utilizzate agli inizi del secolo scorso erano<br />
sicuramente quelle di tipo roll-folding; macchine<br />
fotografiche leggere, facilmente tra-<br />
sportabili, adatte per ogni situazione di ripresa e che<br />
utilizzavano la pellicola in rullo ormai ampiamente<br />
diffusa. Ciò non toglie che i cataloghi di quasi tutti<br />
i maggiori produttori dell’epoca continuavano a presentare<br />
fotocamere a lastre ( le cosiddette folding plate<br />
cameras, secondo la medesima classificazione di tipo<br />
anglosassone per cui abbiamo definito le prime roll-folding)<br />
dalle dimensioni e dal peso più ragguardevole<br />
destinate, in un certo senso, ad un uso<br />
più professionale. Quest’ultimo tipo di<br />
apparecchi fotografici se continuava a<br />
rappresentare l’ideale per la fotografia<br />
di ritratto o paesaggistica denotava<br />
qualche limite per quel che riguardava<br />
la fotografia d’azione o sportiva. Infatti<br />
gli utilizzatori lamentavano una<br />
certa inadeguatezza relativamente a<br />
quello che in Italia veniva definito lo<br />
spiegamento della fotocamera e cioè<br />
l’apertura della stessa in modo da renderla<br />
operativa. Un altro limite era poi<br />
rappresentato dalla limitata gamma dei<br />
tempi di otturazione. Fu così che l’industria<br />
dell’epoca dimostrò attenzione<br />
alle esigenze dei fotografi sportivi e dei<br />
fotogiornalisti progettando apparecchi<br />
che potessero soddisfare le loro aspettative.<br />
Una delle prime in tal senso fu<br />
sicuramente la ditta Goerz di Berlino.<br />
Questo marchio, fondato <strong>nel</strong> 1886<br />
da Carl Paul Goerz, aveva lanciato <strong>nel</strong><br />
1896 un particolare tipo di fotocamera<br />
classificata come “strut-type camera”<br />
cioè del tipo a struttura rigida (in cui la<br />
parte frontale ed il soffietto erano assicurati<br />
al dorso da quattro tiranti metallici richiudibili su<br />
sé stessi). Questa macchina era nota con il nome di<br />
12 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Pionieri della fotografia d’azione: la Goerz Anschutz<br />
Goerz Anschutz.<br />
Essa nasce con delle caratteristiche peculiari: ha<br />
una struttura compatta che le garantisce una estrema<br />
maneggevolezza, una notevole rapidità <strong>nel</strong>lo spiegamento,<br />
una compattezza dell’insieme e, soprattutto,<br />
un otturatore decisamente all’avanguardia. Fondamentale<br />
<strong>nel</strong>la realizzazione di questa fotocamera fu<br />
l’opera di Ottomar Anschutz, fotografo naturalista<br />
nato a Lissa (odierna Leszo) città polacca a circa 40<br />
miglia da Poznan. Anschutz si dedicava alla ripresa<br />
di immagini di animali in movimento e competizioni<br />
sportive. In collaborazione con i progettisti Goerz realizzò<br />
l’otturatore sul piano focale destinato ad equipaggiare<br />
la fotocamera che da lui stesso prese il nome<br />
e che vantava la caratteristica di raggiungere il <strong>tempo</strong><br />
di otturazione di 1/1000”. Il successo fu immediato e<br />
la sua popolarità presso i fotografi d’azione rimase in<br />
auge fin tutta la prima parte del secolo scorso, tanto<br />
che stimolò l’attenzione in tal senso di altri grandi<br />
produttori dell’epoca che progettarono apparecchi altrettanto<br />
funzionali e dalle caratteristiche simili così<br />
da entrare in diretta concorrenza con la fotocamera di<br />
Berlino. Fu infatti attorno al 1909 che la ditta Ica di<br />
Dresda commercializzò l’antagonista per eccellenza,<br />
il modello Minimum Palmos, e fu solo <strong>nel</strong> 1919 che<br />
la ditta Contessa Nettel di Stoccarda realizzò la sua<br />
Deckrullo-Nettel.<br />
Ma torniamo ad occuparci della nostra Anschutz e<br />
osserviamola da vicino.<br />
La macchina, chiusa, ha classica forma di un parallelepipedo<br />
sulla cui parte anteriore spicca l’obiettivo.<br />
Nel mio caso si tratta di un Dogmar 1:4,5 f=13,5 cm<br />
fissato sulla piastra portaottiche che ha lo spostamento<br />
verticale ed orizzontale e la scala delle distanze è<br />
espressa in yards.<br />
Sul lato sinistro trova posto la maniglia di trasporto,<br />
sotto la quale è posizionato un foro filettato per il<br />
treppiede.<br />
Sul lato destro una serie di comandi, apparentemente<br />
strani, regola il corretto funzionamento della<br />
fotocamera. Innanzitutto la combinazione dei valori<br />
espressi dal primo disco in lato con quelli indicati dal<br />
disco in basso regola i tempi di otturazione (sistema<br />
diffuso su numerosi apparecchi dello stesso tipo).<br />
Immediatamente sotto il primo disco è posizionato il<br />
sistema di armamento dell’otturatore, sotto il quale<br />
si trova la leva di selezione del tipo di tempi impostato<br />
(T,B,I: la prima lascia la tendina aperta finchè<br />
non viene premuto nuovamente lo scatto, la seconda<br />
consente la posa fino al rilascio del pulsante, la terza<br />
permette l’utilizzo dei vari tempi). Sotto ancora troviamo<br />
il pulsante di scatto e in fondo l’indicatore dei<br />
fotogrammi con il relativo azzeratore.<br />
Sul lato superiore è indicata la scala delle combinazioni<br />
possibili per ottenere i vari tempi di otturazione<br />
e vi è uno spazio vuoto destinato probabilmente ad<br />
ospitare un mirino richiudibile su sé stesso consistente<br />
in due lentini separati destinati alla messa a fuoco<br />
di precisione (indicato generalmente con “newton<br />
pattern”), così come <strong>nel</strong>la maggior parte delle raffigurazioni<br />
della fotocamera in questione. Dico questo<br />
perché <strong>nel</strong> modello di cui dispongo è presente solo<br />
un tipo di mirino a traguardo consistente in una parte<br />
“a spiraglio” del tipo peep-hole situata <strong>nel</strong>la parte<br />
posteriore della fotocamera e in un riquadro metalico<br />
ribaltabile <strong>nel</strong>la parte anteriore della stessa. Ciò mi<br />
permette di desumere che si tratta di uno dei primi<br />
modelli della Anschutz, ma di ciò non ho trovato conferma<br />
in alcun libro né tantomeno su internet.<br />
Nella parte inferiore è presente la presa filettata<br />
per il cavalletto.<br />
Nella parte posteriore, infine, trova posto il dorso<br />
contenente il vetro smerigliato di messa a fuoco.<br />
Per aprire la fotocamera si agisce sulle parti laterali<br />
tirando in avanti con facilità la parte frontale. I quattro<br />
tiranti metallici si aprono consentendo l’apertura<br />
del soffietto e la nostra Anschutz è pronta per l’uso.<br />
Il formato delle lastre è della fotocamera in mio<br />
possesso è di 8x10,5 cm, ma erano disponibili altri<br />
formati: 6x9 cm, 10x12 cm, 13x18cm. Anche gli<br />
obiettivi in dotazione erano diversi: oltre il già citato<br />
Dogmar 1:4,5 f=13,5cm erano disponibili un Dogmar<br />
1:6,3 e un Dagor 1:6,8 della stessa lunghezza focale.<br />
Nel corso degli anni il nome Anschutz venne sostituito<br />
da Ango che sembra derivare da esigenze di<br />
semplificazione del nome stesso della fotocamera =<br />
ANschutz Goerz.<br />
La strada intrapresa dalla Anschutz venne dapprima<br />
percorsa sulla stessa scia sia dalla Deckrullo che<br />
dalla Minimum Palmos, come già abbiamo accennato<br />
precedentemente. Ma, <strong>nel</strong> corso degli anni, vennero<br />
elaborati due progetti che migliorarono le caratteristiche<br />
della macchina di Berlino: mi riferisco alla Ernemann<br />
Ermanox e alla Contessa Nettel Miroflex e<br />
anche alla Ihagee Patent Klapp Reflex, modelli a cui<br />
potremo dedicare forse spazio in futuro. A tal proposito<br />
è interessante notare come, a partire dal 1926<br />
(anno di fondazione della società Zeisss Ikon) tutti i<br />
modelli a cui abbiamo fatto riferimento tranne quello<br />
della Ihagee siano stati prodotti tali e quali ma marcati<br />
Zeiss anche dopo l’assorbimento dei singoli marchi<br />
originariamente produttori.<br />
Le fonti da cui attingere su macchine di questo<br />
tipo non sono numerosissime e spesso si stenta a met-<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 13
Pionieri della fotografia d’azione: la Goerz Anschutz<br />
terle insieme ma tutto sembra concordare<br />
sul fatto che la fotocamera<br />
di cui ci siamo occupati oggi resti<br />
una delle prime, se non la prima<br />
<strong>nel</strong>la sua categoria.<br />
Eppure, <strong>tempo</strong> fa, mi sono<br />
imbattuto in una macchina del<br />
tutto simile alla Anschutz sia<br />
<strong>nel</strong>la struttura che <strong>nel</strong>la disposizione<br />
dei comandi che <strong>nel</strong>lo<br />
schema costruttivo. A prima<br />
vista sembra di concezione ancora<br />
più vecchia, se non altro<br />
per il sistema di apertura che<br />
si regge su tiranti di tipo meno<br />
raffinato. Per quanto abbia cercato<br />
non sono riuscito a trovare<br />
alcun nome impresso sul corpo<br />
Anschutz e Wunsche1<br />
macchina che mi consentisse di<br />
risalire al modello o alla ditta<br />
costruttrice. L’unico riferimento<br />
è una sigla: DRGM 105993.<br />
Sappiamo che questa sigla corrisponde<br />
alle iniziali di Deutsche<br />
Reichsgebrauchmuster,<br />
acronimo che si poteva incontrare<br />
su articoli di produzione<br />
tedesca. Accanto ad un nome<br />
aveva il significato di “Marchio<br />
registrato”, seguito da un<br />
numero invece poteva indicare<br />
un brevetto. E allora, se<br />
così fosse, questa fotocamera<br />
che ho comperato e che assomiglia<br />
così tanto alla Anschutz<br />
poteva essere a lei precedente?<br />
Come ripeto, la struttura generale<br />
tenderebbe a confermare<br />
questo sospetto. Per quello che<br />
sono riuscito a sapere dovrebbe<br />
trattarsi di un modello della<br />
ditta Wunsche fondata <strong>nel</strong> 1887<br />
a Dresda e assorbita <strong>nel</strong> 1909<br />
dalla Ica e <strong>nel</strong> 1926 riunita <strong>nel</strong>la<br />
Zeiss Ikon, ma non ne ho la certezza<br />
assoluta.<br />
Il bello della ricerca in questo<br />
campo è anche questo, non vi<br />
pare?<br />
www.fotografianegliannitrenta.<br />
com<br />
14 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
1935 nasce la CONTAFLEX BIOTTICA<br />
di Max Bertacchi<br />
Nel 1935 la società<br />
Zeiss Ikon progettò<br />
e costruì<br />
una delle più<br />
avanzate (e pesante, 1,5 kg, il<br />
doppio di una Contax II) fotocamere<br />
di quei giorni, la biottica<br />
Contaflex (860/24), che<br />
usava il formato 24x36 <strong>nel</strong> caricatore<br />
Leica che tanto stava<br />
prendendo piede. Fu prodotta<br />
solo fino al 1943. La fotocamera<br />
ha parecchi record al suo<br />
attivo: fu la prima fotocamera<br />
35mm dotata di esposimetro al<br />
selenio incorporato, la prima<br />
ad essere “cromata”, la prima<br />
ad avere ottiche intercambiabili<br />
su una biottica, ed una delle<br />
fotocamere più costose della<br />
storia! La Contaflex era dotata<br />
di 8 obbiettivi intercambiabili<br />
(con un range compreso tra<br />
il Biogon 35 e il Sonnar 135) ,<br />
di otturatore sul piano focale<br />
a tendina (a serrandina) come<br />
quella della Contax o della Teanax,<br />
oltre al mirino reflex la<br />
macchina era dotata anche di<br />
un mirino galileiano con cornicette<br />
Albada per l’85 e il 135,<br />
mentre il 50 mm corrispondeva<br />
alla larghezza del vetrino di<br />
messa a fuoco stesso. Curiosa<br />
la scelta di dotare la fotocamera<br />
di un’ottica da visione della<br />
focale di 80mm (come qualla<br />
delle Rollei, più o meno) tuttavia<br />
si otteneva lo stesso angolo<br />
di campo di un 50mm dato che<br />
lo schermo di messa a fuoco<br />
era sovradimendionato (2x),<br />
cioè ampio più del doppio<br />
del 24x36 della pellicola, ma<br />
rapportato ad essa come angolo<br />
di visuale inquadrata con<br />
l’ottica standard inserita. Ovviamente<br />
questo escamotage<br />
era pensato per rendere più<br />
agevole e meno microscopica<br />
l’immagine dello schemo e di<br />
migliorare la capacità di mettere<br />
a fuoco.<br />
Le ottiche erano le stesse<br />
di quelle progettate e utilizzate<br />
sulla Contax II coeva,<br />
ma con un diverso e più indaginoso<br />
innesto ed un peso<br />
e una dimensione maggiore.<br />
Nel mirino, oltre alle cornicette<br />
per le focali più lunghe,<br />
era possibile disporre un in-<br />
granditore Loupe simile ad<br />
un piccolo cannochiale telescopico<br />
per le messe a fuoco<br />
più critiche. Le due ottiche<br />
grandangolari, il Biogon 35 e<br />
l’Orthometar 35, necessitavano<br />
di un mirino aggiuntivo per<br />
l’effettivo campo inquadrato.<br />
Ovviamente la visione reflex<br />
senza pentaprisma è dritta rispetto<br />
all’immagine verticale,<br />
ma invertita orrizzontalmente<br />
(come <strong>nel</strong>le biottica di formato<br />
maggiore del resto). L’unico<br />
modo concreto per fotografare<br />
oggetti uin movimento era<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 15
1935 nasce la CONTAFLEX BIOTTICA<br />
pertanto utilizzare il mirino<br />
Albada, che tuttavia soffriva di<br />
un difetto di parallasse notevole<br />
considerando la distanza<br />
ancora maggiore dall’ottica<br />
di ripresa di quanto non fosse<br />
per le fotocamere non reflex.<br />
Come al solito Zeiss dotò la<br />
fotocamera di un parco accessori<br />
per i più svariati impieghi,<br />
oggi molto rari da trovare. tra<br />
le ottiche spiccano per rarità<br />
i grandangolari, davvero mai<br />
visti dal sottoscritto, e tra i tele<br />
il più raro è senz’altro il costoso<br />
sonnar 85, prodotto per<br />
un sol anno, il 1935, e quindi<br />
scomparso dal listino già <strong>nel</strong><br />
1936.<br />
Contaflex TLR Lenses<br />
35/4.5 Orthometar<br />
35/2.8 Biogon<br />
50/2.8 Tessar<br />
50/2 Sonnar<br />
50/1.5 Sonnar<br />
85/4 Triotar<br />
85/2 Sonnar - disponibile <strong>nel</strong> 1935<br />
ma non più prodotto ne 1936<br />
135/4 Sonnar<br />
16 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />
Un racconto di Pierpaolo Ghisetti<br />
Le ore che precedono l’alba<br />
<strong>nel</strong> deserto sono sempre<br />
le più fredde e comunque<br />
quel deserto non<br />
era poi così ‘deserto’.<br />
Migliaia di uomini con centinaia<br />
di carri armati, cannoni, autoblindo<br />
e camion aspettavano solo l’alba<br />
per ammazzarsi a vicenda: quel<br />
mattino, <strong>nel</strong>l’immensa e desolata<br />
piana di El Alamein, molti sarebbero<br />
morti senza neanche sapere bene<br />
dove si trovavano.<br />
Il capitano Giuseppe Sala, del<br />
Regio Esercito Italiano, infagottato<br />
in un vecchio cappotto, era rintanato<br />
in una buca insieme ai pochi soldati<br />
del suo battaglione che ancora<br />
erano in grado di combattere. Si<br />
nascondevano dietro un mucchio di<br />
sacchetti di sabbia, con la mitragliatrice<br />
Breda e tre mortai da 81mm<br />
come uniche armi pesanti rimaste<br />
in dotazione al battaglione. Tutti gli<br />
uomini sapevano che dall’altra parte<br />
gli inglesi guidavano i potenti carri<br />
Grant di fabbricazione americana,<br />
e che dagli alleati tedeschi c’era da<br />
aspettarsi poca collaborazione.<br />
I panzer III e IV, che costituivano<br />
il nerbo delle truppe corazzate<br />
dell’AfrikaKorps, erano stati impegnati<br />
per giorni <strong>nel</strong> tentativo di<br />
sfondamento delle linee alleate, ma<br />
ormai ne rimanevano ben pochi e<br />
quei pochi con scarsissime riserve<br />
di carburante.<br />
Ormai albeggiava. Sala estrasse<br />
dall’astuccio il binocolo e vide che<br />
in lontananza qualcosa cominciava<br />
a muoversi: dopo l’intenso bombardamento<br />
notturno, che aveva illuminato<br />
a giorno il deserto, era venuto<br />
il momento dell’attacco frontale.<br />
‘Pronti’ mormorò sottovoce al<br />
mitragliere, mentre questi, per tutta<br />
risposta, caricava l’arma con un<br />
colpo secco. Camminando a testa<br />
bassa <strong>nel</strong>la trincea, il capitano dava<br />
dei leggeri buffetti ai soldati ancora<br />
addormentati, ma la maggior parte<br />
di questi era già sveglia e all’erta.<br />
Sala non era certo un tipo emotivo<br />
: era stato volontario negli Arditi<br />
<strong>nel</strong>la Prima Guerra Mondiale e ferito<br />
ad un ginocchio sul Piave, <strong>nel</strong>la<br />
battaglia decisiva che aveva causato<br />
il crollo definitivo dell’Impero<br />
Asburgico; poi aveva partecipato<br />
alla guerra in Etiopia, agli ordini<br />
del Maresciallo Graziani <strong>nel</strong> 1935.<br />
Quelli come lui, ai tempi della battaglia<br />
del Piave, erano chiamati ‘fegatacci’,<br />
gente che non aveva paura<br />
di nulla, tantomeno delle truppe<br />
d’assalto tedesche. Ora però tedeschi<br />
ed italiani erano alleati, e que-<br />
sta situazione provocava a Sala un<br />
certo disagio.<br />
Era stato rispedito in Africa <strong>nel</strong><br />
1941, e da allora era tornato a casa<br />
solo una volta, per una licenza di<br />
due settimane. L’Esercito era la sua<br />
casa e il combattimento faceva parte<br />
della sua vita.<br />
Mentre controllava la trincea con<br />
uno sguardo circolare, dalla tasca<br />
estrasse una macchina fotografica.<br />
Era una Leica IIIcK grigia con<br />
obiettivo Carl Zeiss Jena Sonnar da<br />
5cm f/1,5 che aveva comprato da un<br />
soldato tedesco, nei vittoriosi giorni<br />
della presa di Tobruk. I tedeschi, ebbri<br />
di gioia per la grande vittoria, si<br />
erano impadroniti di enormi quantità<br />
di materiale inglese lasciato <strong>nel</strong>la<br />
piazzaforte. Evidentemente il Feldwebel<br />
tedesco era ansioso di realizzare<br />
del denaro in contanti con la<br />
sua macchina fotografica, probabilmente<br />
per comprare altra merce da<br />
rivendere al mercato nero. Il Feldwebel<br />
era molto contento di essere<br />
stato trasferito dal freddo fronte<br />
russo al caldo dell’Africa, proprio<br />
nei giorni della vittoria: aveva mostrato<br />
con orgoglio la Leica grigia<br />
con incisa la prestigiosa K e l’ancor<br />
più incredibile Sonnar con passo a<br />
vite. La trattativa era stata facilitata<br />
dal fatto che il tedesco era in real-<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 17
EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />
tà un austriaco<br />
di Innsbruck<br />
di nome Amadori,<br />
di chiara<br />
origine italiana,<br />
anche se<br />
il suo italiano<br />
era piuttosto<br />
stentato. Aveva<br />
spiegato al<br />
‘camerata’ Sala<br />
che la K incisa<br />
sul corpo macchina<br />
e stampigliata<br />
sulla tendina<br />
significava<br />
‘Kalterfest’ o<br />
anche ‘Kugellager’,<br />
ovvero<br />
che l’otturatore della macchina era<br />
stato montato su cuscinetti a sfera,<br />
per funzionare meglio <strong>nel</strong>le gelide<br />
steppe russe, ma poteva andare<br />
benissimo anche <strong>nel</strong> clima della<br />
Tripolitania. Ciò che aveva definitivamente<br />
convinto Sala era l’obiettivo<br />
, non solo per la sua incredibile<br />
luminosità, ma soprattutto per la<br />
caratteristica “T” rossa che indicava<br />
uno speciale trattamento antiriflesso<br />
garanzia di una nitidezza eccezionale<br />
<strong>nel</strong>le immagini, caratteristica<br />
unica degli obiettivi Zeiss. Il prezzo<br />
richiesto parve a Sala molto ragionevole,<br />
considerando anche il fatto<br />
che probabilmente Amadori non era<br />
il proprietario’ufficiale’ della macchina,<br />
ma quasi certamente ne era<br />
venuto in possesso per vie traverse.<br />
Così Sala aveva acquistato la<br />
preziosa Leica, che l’aveva sempre<br />
fedelmente seguito, senza mai incepparsi,<br />
nonostante la polvere onnipresente<br />
e le inesorabili tempeste<br />
di sabbia, <strong>nel</strong>la travolgente avanzata<br />
che aveva portato le truppe dell’Asse<br />
ai confini dell’Egitto, a soli cento<br />
chilometri da Alessandria.<br />
L’ultima volta che l’aveva usata<br />
era stato appena due giorni prima,<br />
per fotografare la tomba di due<br />
soldati australiani che gli italiani<br />
avevano seppellito proprio dietro<br />
le loro linee. Sala aveva ripreso le<br />
due croci, sormontate dai cappelli a<br />
larghe falde tipici degli australiani,<br />
con dietro le dune del deserto. Aveva<br />
scelto il diaframma f/4, mentre le<br />
lunghe ombre delle croci svanivano<br />
velocemente col sorgere del sole.<br />
La jeep australiana, con le insegne<br />
del Long Range Desert Group,<br />
si era spinta imprudentemente, <strong>nel</strong>l’incerta<br />
luce che precede l’alba <strong>nel</strong><br />
deserto, proprio sotto le linee italiane:<br />
senza farsi notare Sala, con due<br />
uomini, era scivolato fuori dalla<br />
trincea e, spostandosi diagonalmente,<br />
aveva aspettato che il mezzo nemico<br />
fosse a tiro. Una lunga raffica<br />
di mitragliatrice aveva posto fine<br />
all’avventura dei due australiani,<br />
ma Sala sapeva bene perché i due<br />
uomini si erano sacrificati in quella<br />
rischiosa missione. Il loro compito<br />
era di individuare le linee italiane<br />
con esattezza e poi riferire per dirigere<br />
il cannoneggiamento: avevano<br />
rischiato consapevolmente la<br />
vita per un motivo preciso. Mentre i<br />
suoi uomini seppellivano i due, Sala<br />
non provava nessun odio verso i nemici:<br />
quel giorno era andata bene<br />
agli italiani. La terribile realtà della<br />
guerra rendeva tutti, amici e nemici,<br />
consapevoli<br />
che la propria<br />
vita era<br />
affidata ogni<br />
giorno al caso<br />
e che nulla era<br />
scontato. Per<br />
questa azione<br />
Sala era stato<br />
proposto per<br />
la medaglia<br />
d’argento al<br />
valor militare<br />
dal proprio comandante,<br />
ma<br />
tutti sapevano<br />
che prima di<br />
una battaglia<br />
le decorazioni<br />
erano concesse per motivare i soldati.<br />
Ormai i giorni della speranza erano<br />
tramontati per sempre: il capitano<br />
Sala era troppo esperto per farsi<br />
illusioni. Aveva visto sfilare qualche<br />
giorno prima i carri armati M13<br />
della Divisione Corazzata Ariete: in<br />
confronto ai Matilda britannici e ai<br />
Grant americani, erano delle semplici<br />
‘scatole di sardine’, per non<br />
parlare poi della superiorità dell’artiglieria<br />
e dell’aviazione alleate.<br />
Due contro uno era una proporzione<br />
ancora accettabile ma qui, in questo<br />
maledetto deserto, lo svantaggio era<br />
di cinque a uno, se non di più. Ma<br />
Sala era un soldato da quando aveva<br />
diciotto anni, volontario per salvare<br />
la Patria minacciata da austriaci e<br />
tedeschi. Non aveva mai disobbedito<br />
ad un ordine e ora, sentendo l’orribile<br />
rumore dei cingoli dei carri<br />
armati nemici, decise che era ormai<br />
troppo tardi per prendere iniziative<br />
azzardate.<br />
Il capitano si tolse il cappotto e<br />
la bustina color sabbia che portava<br />
in testa: cominciava già a fare caldo<br />
e fra poco ne avrebbe fatto ancora<br />
di più.<br />
Puntò la Leica verso i suoi soldati,<br />
regolando il diaframma del-<br />
18 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />
lo Zeiss a f/2,8; certo i tedeschi in<br />
fatto di fotografia erano imbattibili<br />
e la fotocamera portentosa: chissà<br />
se sarebbe riuscito a riportarla in<br />
Italia. Scattò un paio di fotografie:<br />
il mitragliere Esposito era un<br />
napoletano calmo e fatalista, mentre<br />
l’uomo che reggeva il nastro<br />
delle pallottole della mitragliera<br />
era pallido, sudato fradicio, con le<br />
pupille dilatate. Girò lentamente<br />
il bottone di riavvolgimento della<br />
Leica, controllò che il Sonnar fosse<br />
posizionato sull’infinito, mise la<br />
ghiera dei diaframmi a f/8, e scattò<br />
verso il deserto, là dove s’ intravedevano<br />
le sagome dei carri. Dietro<br />
a questi già si notavano gli uomini<br />
della fanteria inglese, inconfondibili,<br />
col loro caratteristico elmetto<br />
a padella e i lunghi fucili Enfield.<br />
Sala indossò il pesante elmetto,<br />
chiuse la fibbia e, girandosi verso gli<br />
uomini ai mortai, fece un cenno: le<br />
bombe iniziarono a partire, mentre<br />
anche Esposito con la Breda iniziò<br />
a fare fuoco. Tutto il fronte italiano<br />
incominciò a sparare mentre i carri<br />
inglesi si avvicinavano. Improvvisamente<br />
un Grant esplose, prendendo<br />
fuoco: fu come un segnale. Tutti<br />
i carri inglesi cominciarono a tirare<br />
simultaneamente, mentre l’aria si<br />
faceva torrida ed irrespirabile.<br />
Sala si avvicinò ad Esposito e,<br />
poiché il frastuono rendeva inutile<br />
qualunque comunicazione a voce,<br />
allungando il braccio gli indicò un<br />
gruppo di uomini che cercavano di<br />
aggirarli sul fianco. Esposito, con<br />
una tipica imprecazione partenopea,<br />
girò la mitragliera, e con brevi raffiche<br />
rabbiose stese il gruppetto di<br />
nemici. L’interruzione aveva fatto<br />
perdere a Sala la visione della battaglia:<br />
ritornò al centro della trincea e<br />
vide che ora diversi carri erano stati<br />
colpiti. Un fumo acre e denso si<br />
levava da diversi punti della pianura,<br />
segno che i semoventi da 75mm<br />
dell’Ariete, ben interrati a filo di terreno,<br />
avevano fatto un buon lavoro<br />
di sbarramento. Tuttavia Sala si avvide<br />
con disperazione che dietro la<br />
prima ondata di Grant si avvicinava<br />
una seconda ondata di carri leggeri<br />
Stuart, veloci e maneggevoli.<br />
Ormai si vedevano chiaramente<br />
anche ad occhio nudo le sagome<br />
degli uomini della fanteria inglese:<br />
mentre correva chinato lungo la<br />
trincea, Sala sentì che la Leica <strong>nel</strong>la<br />
tasca gli sbatteva contro il fianco:<br />
avrebbe voluto scattare delle immagini<br />
di quei momenti, ma non ne<br />
aveva né il <strong>tempo</strong> né la disposizione<br />
d’animo.<br />
I carri nemici si trovavano ormai<br />
a pochi metri di distanza: era<br />
tutto inutile, erano semplicemente<br />
troppi. Improvvisamente un Grant<br />
si arrestò rombando sul terrapieno<br />
fatto dai sacchetti di sabbia che<br />
proteggeva la trincea italiana. Per<br />
qualche istante la pancia del mostro<br />
d’acciaio rimase totalmente scoperta:<br />
come al rallentatore Sala vide il<br />
sergente Capasso piazzare una mina<br />
magnetica alla base del carro e poi<br />
scivolare via. L’esplosione terrificante<br />
si mescolò alle altre esplosioni,<br />
ma ora il carro era in fiamme e<br />
gli sfortunati carristi inglesi tentarono<br />
di uscire del portello superiore,<br />
urlando come forsennati. I soldati di<br />
Sala li abbatterono a fucilate, mentre<br />
i primi fanti inglesi già si affacciavano<br />
alla trincea.<br />
Era il caos. Esposito aveva smesso<br />
di sparare: Sala corse verso la<br />
postazione della mitragliera, ma<br />
ora c’era solo un buco con dei corpi<br />
bruciacchiati. Mentre contemplava<br />
la scena, sentì un dolore al fianco<br />
e si girò di colpo: un fante inglese<br />
aveva cercato di colpirlo con la<br />
baionetta, ma questa era stata provvidenzialmente<br />
deviata da qualcosa<br />
che teneva in tasca: la Leica.<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 19
EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />
Approfittando della sorpresa del<br />
soldato inglese, che era scivolato in<br />
avanti, Sala ebbe ancora la forza di<br />
estrarre la Beretta d’ordinanza e di<br />
sparare: caddero entrambi dentro la<br />
trincea, mentre sopra di loro decine<br />
di carri e centinaia di uomini dilagavano<br />
oltre le postazioni italiane.<br />
Alcune ore dopo Sala fu raccolto<br />
da un reparto inglese: la battaglia si<br />
era spostata di alcuni chilometri a<br />
ovest e ora gli italiani sopravissuti<br />
venivano rastrellati.<br />
Gli inglesi notarono che Sala era<br />
un ufficiale e, dopo aver controllato<br />
che fosse disarmato, lo misero insieme<br />
con altri ufficiali italiani prigionieri;<br />
tuttavia <strong>nel</strong>la confusione<br />
riuscì a nascondere la piccola Leica<br />
<strong>nel</strong>la tasca interna dei pantaloni.<br />
Il capitano Giuseppe Sala, dopo<br />
essere stato trasferito ad Ismailia,<br />
all’estremità del canale di Suez,<br />
fu imbarcato su un vapore civile<br />
con migliaia d’altri soldati italiani<br />
prigionieri: dopo quasi un mese di<br />
viaggio per nave arrivò finalmente<br />
a Bombay, in India. Dai lì, dopo<br />
tre giorni di treno <strong>nel</strong>l’immensa<br />
pianura gangetica, i prigionieri arrivarono<br />
a Bangalore; da qui, in<br />
altri due giorni, giunsero finalmente<br />
a Dharamsala e al vicino campo<br />
di prigionia di Jol, situato <strong>nel</strong>la<br />
giungla, all’altezza di duemila<br />
metri, alle pendici dell’Himalaya.<br />
Nel campo, dove erano rinchiusi cir-<br />
ca 10.000 ufficiali italiani, infuriava<br />
la malaria e la dissenteria: gli inglesi,<br />
a corto di cibo e di medicinali,<br />
sottoposti agli attacchi dei giapponesi<br />
in Birmania, non avevano né<br />
la voglia né l’intenzione di sprecare<br />
risorse per i prigionieri italiani.<br />
Sala trascorse in India momenti<br />
drammatici, forse più drammatici di<br />
quelli trascorsi in Nord Africa. Molti<br />
compagni morirono di debolezza<br />
di malattia: molti sopravvissuti alla<br />
battaglia di El Alamein finirono miseramente<br />
i loro giorni per banali<br />
infezioni non curate adeguatamente.<br />
Il terribile clima indiano, un caldo<br />
torrido alternato a snervanti piogge<br />
monsoniche, debilitava i già logorati<br />
prigionieri, fiaccati da anni di guerra.<br />
Ma la preziosa Leica venne ancora<br />
in aiuto al capitano Giuseppe Sala:<br />
costui scambiò con le guardie inglesi<br />
l’ambita macchina tedesca e l’ancor<br />
più ricercato obiettivo Zeiss con<br />
diverse scatole di chinino e grazie a<br />
questi medicinali riuscì non solo a<br />
salvare se stesso dalla malaria, ma<br />
anche diversi compagni ammalati.<br />
Sala tornò in Italia solo a metà del<br />
1946, dopo quasi un anno dalla fine<br />
della guerra: gli ufficiali scelsero di<br />
essere gli ultimi ad essere imbarcati<br />
e il viaggio di rientro durò ben tre<br />
mesi. La moglie e la figlia, prive di<br />
notizie da lungo <strong>tempo</strong>, lo credevano<br />
disperso o addirittura morto .<br />
Il capitano Giuseppe Sala, mio<br />
nonno, divenuto poi colon<strong>nel</strong>lo, mi<br />
regalò per il mio dodicesimo compleanno<br />
la bustina gialla con le stel-<br />
20 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
EL ALAMEIN: 23 ottobre 1942, una Leica in guerra<br />
lette da capitano portata ad El Alamein,<br />
e mi raccontò tutta la storia:<br />
da lì nacque la mia ammirazione per<br />
la Leica e per le ottiche Zeiss.<br />
Un’ammirazione dovuta più al<br />
fatto che avevano salvato la vita<br />
al mio adorato nonno, il padre di<br />
mia madre, che alle loro qualità<br />
tecniche, di cui non ero certo cosciente.<br />
La Leica IIIcK è dall’ora<br />
la mia Leica preferita, la prima che<br />
acquistai appena potei permettermelo,<br />
quella da cui non mi sepa-<br />
rerò mai. Trovare l’obiettivo Zeiss<br />
da 5cm con passo a vite 39x1 fu<br />
molto più difficile, ma alla fine riuscii<br />
a completare la combinazione.<br />
Ogni volta che tocco i comandi della<br />
piccola Leica grigia mi sembra<br />
di sentire ancora il freddo intenso<br />
di quell’alba <strong>nel</strong> deserto. Quando<br />
poso gli occhi <strong>nel</strong> piccolo mirino,<br />
mi sembra di vedere non i tetti che<br />
circondano la mia casa, ma i carri<br />
inglesi che si avvicinano minacciosamente.<br />
Svitando il grosso obietti-<br />
vo Zeiss, avverto la terribile solitudine<br />
di chi si trova tra migliaia di<br />
altri internati, <strong>nel</strong> campo di prigionia<br />
di Jol. Quando osservo la ‘K’<br />
bianca stampigliata sulla tendina<br />
della Leica mi sfilano <strong>nel</strong>la mente<br />
le foto della guerra <strong>nel</strong> deserto che<br />
mio nonno mi faceva vedere più di<br />
quarant’anni fa, e di cui io allora capivo<br />
ben poco.<br />
Ripongo la IIIcK e il Sonnar <strong>nel</strong>la<br />
mia bacheca: mi sembra quasi udire<br />
ancora la voce di mio nonno, il coraggioso<br />
capitano Giuseppe Sala.<br />
“La guerra è la cosa più stupida<br />
inventata dall’uomo”<br />
Leica IIIcK<br />
Inizio produzione: 1940<br />
Innesto ottiche: passo a vite 39x1<br />
Peso: 400g<br />
Tempi d’otturazione: da 1sec a 1/1000 di secondo<br />
Colorazione: grigia Feldgrau<br />
Versione speciale con otturatore montato su cuscinetti a sfere: identificata dalla K sul tettuccio dopo il numero<br />
di matricola, e dalla K bianca stampata sulla tendina (talvolta mancante).<br />
Carl Zeiss Jena Sonnar 5cm f/1,5 passo a vite 39x1<br />
Schema ottico: 7 lenti in 3 gruppi<br />
Versione con passo a vite dell’ottica standard con baionetta Contax;<br />
Peso: 190g, contro i 210g della versione a baionetta<br />
Ghiera di messa a fuoco e scala delle profondità di campo, entrambe mancanti <strong>nel</strong>la versione per ContaxDiaframmi<br />
da f/1,5 a f/22, con ghiera dotata d’alette.<br />
Obiettivo dotato di trattamento antiriflesso a tre strati, brevetto Zeiss, identificato dalla T rossa, T per Trasparenz.<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 21
Zeiss Contaflex Super B<br />
di Pino Preianò<br />
Tra gli ultimi anni cinquanta<br />
e i primi anni sessanta<br />
la ditta Bagnini di Roma<br />
pubblicava periodicità<br />
semestrale un interessante catalogo<br />
Foto-Cine. Il catalogo tanto ben<br />
progettato e disegnato da essere regolarmente<br />
brevettato offriva una<br />
immagine degli apparecchi che era<br />
circa la metà della grandezza naturale<br />
e così risultava possibile confrontare<br />
ad occhio i vari apparecchi<br />
tra loro. Inoltre la descrizione era<br />
accompagnata da un rettangolo (o<br />
quadrato) che riproduceva in grandezza<br />
naturale la forma e le dimensioni<br />
del negativo. La proposta di<br />
vendita rateale faceva sembrare<br />
a portata di mano oggetti del desiderio<br />
altrimenti irraggiungibili.<br />
Era richiesta come anticipo la cifra<br />
puramente simbolica di mille lire e<br />
l’importo totale poteva essere diluito<br />
in tre anni lungo 36 rate mensili.<br />
Ricordo di avere da ragazzo ripetutamente<br />
e piacevolmente sfogliato<br />
tali cataloghi in compagnia di mio<br />
cugino Marcello che condivideva<br />
e condivide con me la passione per<br />
la fotografia. Una sezione del catalogo<br />
era puntualmente dedicata<br />
alla produzione Zeiss Ikon. In essa,<br />
l’ammiraglia di punta (la Contax (a<br />
telemetro) prima, la Contarex poi)<br />
era preceduta dagli apparecchi della<br />
serie Contaflex. Si trattava di apparecchi<br />
reflex monoculari 35mm con<br />
otturatore a lamelle e ottica scomponibile.<br />
I modelli Contaflex più<br />
semplici ed economici erano dotati<br />
di obiettivo Pantar 2,8/45 mm e le<br />
uniche alternative alla lunghezza<br />
focale standard era costituita da due<br />
aggiuntivi addizionale grandangolo<br />
e addizionale tele che producevano<br />
una modesta variazione focale<br />
portandola rispettivamente a 30 e<br />
75 mm. Il modello più completo (e<br />
costoso) era invece equipaggiato di<br />
obiettivo Carl Zeiss Tessar che, per<br />
mezzo di tre aggiuntivi ottici permetteva<br />
di disporre delle focali di<br />
35, 85 e 115 mm oltre a quella normale<br />
di 50 mm. Erano inoltre disponibili<br />
un aggiuntivo per le riprese in<br />
grandezza naturale 1:1 e un monoculare<br />
Zeiss 8x30 (in pratica mezzo<br />
binocolo) che montato direttamente<br />
sulla lente frontale del Tessar portava<br />
la lunghezza focale a ben 400<br />
mm.<br />
Il modello che descriveremo è la<br />
Contaflex <strong>nel</strong>la versione commercializzata<br />
dall’agosto 1962 al novembre<br />
1965 come Zeiss Contaflex<br />
Super B<br />
Si tratta di una macchina dall’aspetto<br />
imponente, massiccia e pesante<br />
senza comprometterne la bellezza.<br />
Design spigoloso. Comandi<br />
razionalmente disposti. Bella ed elegante<br />
la borsa pronto in cuoio marrone<br />
bordato di metallo all’esterno,<br />
vellutata all’interno. Come per la<br />
borsa della Bessamatic la parte frontale-superiore<br />
è amovibile per una<br />
maggiore comodità d’uso. Inoltre a<br />
differenza della Voigtländer Bessamatic<br />
la Contaflex dispone di a<strong>nel</strong>li<br />
laterali per cinghia e questo consente<br />
di poter rinunciare eventualmente<br />
rinunciare alla borsa pronto.<br />
Il corpo dell’apparecchio si pre-<br />
senta rivestito in pelle nera e tutte le<br />
parti metalliche sono ricche di cromature<br />
vistose. Sia la pelle del rivestimento<br />
che le cromature mantengono<br />
a distanza di oltre quarant’anni<br />
l’aspetto del nuovo senza mostrare<br />
alcun segno di invecchiamento o di<br />
degrado. E ciò conferma la serietà<br />
e la bontà di una costruzione fatta<br />
per durare. Siamo distanti anni<br />
luce dalla mentalità consumistica<br />
per non dire usa e getta dei giorni<br />
nostri. Sulla parte frontale che racchiude<br />
l’obiettivo, anch’essa interamente<br />
cromata, fa bella mostra di<br />
sé la cellula al selenio rettangolare<br />
recante la scritta ZEISS IKON in<br />
lettere bianche su fondo scuro. Non<br />
essendo l’ottica completamente intercambiabile<br />
la ghiera di messa a<br />
fuoco è collocata proprio a ridosso<br />
del corpo e nonostante la presenza<br />
di due sporgenze il suo uso non è<br />
proprio comodissimo. Serve per<br />
l’obiettivo standard (Tessar 2,8/50)<br />
e per tutti gli aggiuntivi. La distanza<br />
minima di messa a fuoco senza aggiuntivi<br />
è di 70 cm. Subito dopo c’è<br />
la scala per considerare la profondità<br />
di campo nitido e poi la ghiera<br />
del diaframma. Essendo possibile<br />
22 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Zeiss Contaflex Super B<br />
l’automatismo di esposizione che<br />
è a priorità dei tempi, la ghiera dei<br />
diaframmi è normalmente impostata<br />
sulla posizione “A” (auto). È<br />
possibile disinserire tale posizione<br />
su cui la ghiera per ragioni di sicurezza<br />
si blocca e impostare a mano<br />
il diaframma desiderato. Tale operazione<br />
è piuttosto scomoda. Successivamente,<br />
<strong>nel</strong>la posizione più<br />
esterna trova posto l’a<strong>nel</strong>lo dei tempi<br />
dell’otturatore Synchro Compur<br />
con valori da 1 sec a 1/500 di sec.<br />
da sinistra a destra preceduti dalla<br />
posa B. Ancora sulla montatura dell’obiettivo<br />
è presente il solito selettore<br />
X M V per selezionare il tipo<br />
di sincero-flash o l’attivazione dell’autoscatto.<br />
Il fondello della macchina<br />
è interamente cromato (<strong>nel</strong>la<br />
Bessamatic era anch’esso rivestito<br />
quasi interamente in pelle nera) ed è<br />
bene fare attenzione a non sciuparlo<br />
quando si poggia l’apparecchio senza<br />
la protezione della borsa pronto.<br />
Al centro del fondello l’attacco a vite<br />
per il treppiede solidale con il corpo<br />
macchina mentre il resto del fondello<br />
forma tutt’uno con il dorso ed è<br />
completamente amovibile per consentire<br />
il caricamento della pellicola<br />
e l’uso dei magazzini. L’operazione<br />
è più scomoda che in altre macchine<br />
perché è necessario poggiare il<br />
dorso-fondello da qualche parte. Il<br />
fondello reca simmetricamente alle<br />
due estremità due chiavette che comandano<br />
l’apertura, la chiusura e<br />
il bloccaggio dello stesso fondello<br />
e dell’unito dorso. Una delle due<br />
chiavette serve anche a comandare<br />
lo sbloccaggio per il riavvolgimento<br />
del film. Tale comando (che <strong>nel</strong>la<br />
Bessamatic è in posizione comodissima<br />
sul tettuccio accanto alla leva<br />
di carica) per essere azionato richiede<br />
l’estrazione della macchina dalla<br />
borsa pronto ma va tenuto presente<br />
che la rimozione della borsa sarebbe<br />
comunque inevitabile per scaricare<br />
l’apparecchio con l’apertura<br />
del dorso-fondello. Sul fondello<br />
cromato, al centro e in corrispondenza<br />
con l’innesto per il treppiede<br />
è incisa la scritta Made in Germany.<br />
Tutti gli altri comandi sono ubicati<br />
sul tettuccio e comprendono, a sinistra<br />
del pentaprisma: la ghiera per<br />
la regolazione sella sensibilità del<br />
film, il dispositivo per la correzione<br />
dell’esposizione sovresponendo di<br />
un valore e la leva di riavvolgimen-<br />
to. La ghiera di regolazione della<br />
sensibilità del film al momento dello<br />
scatto può essere fatta ruotare in<br />
corrispondenza di un contrassegno<br />
previsto per i casi di riprese in controluce<br />
o comunque se si desiderasse<br />
sovresporre di un valore di diaframma<br />
in determinate circostanze.<br />
Tale comando è a molla con ritorno<br />
automatico e deve perciò essere tenuto<br />
in tensione mentre si scatta e<br />
risulta perciò alquanto scomodo. La<br />
parte superiore della ghiera consente<br />
di memorizzare tramite simboli<br />
il tipo di film caricato. In posizione<br />
centrale e coassiale la manovellina<br />
ripiegabile per il riavvolgimento<br />
il cui fulcro è impreziosito da una<br />
guarnizione <strong>nel</strong>la stessa pelle nera<br />
che fascia tutto il corpo. Tra questi<br />
comandi e il pentaprisma trova<br />
posto una finestrella che mostra<br />
indicato da un ago il valore di diaframma<br />
impostato automaticamente<br />
dall’esposimetro. Al centro, sulla<br />
calotta del pentaprisma è collocata<br />
stabilmente la slitta porta accessori<br />
preceduta sul davanti da due contatti<br />
elettrici per il sincro-flash: il primo,<br />
a sinistra, per i lampeggiatori comuni,<br />
l’altro per i lampeggiatori Zeiss<br />
dedicati. La macchina dispone inoltre<br />
di un dispositivo automatico per<br />
luce lampo che facendo riferimento<br />
a numeri guida regola automatica-<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 23
Zeiss Contaflex Super B<br />
mente l’apertura del diaframma durante<br />
l’operazione di messa a fuoco.<br />
A destra del pentaprisma, ancora sul<br />
tettuccio la leva di avanzamento del<br />
film che ovviamente, dato il tipo di<br />
costruzione, comanda con<strong>tempo</strong>raneamente<br />
anche il riarmo dell’otturatore,<br />
il ritorno dello specchio, la<br />
riapertura del diaframma e l’avanzamento<br />
del contafotogrammi che<br />
è anche qui come <strong>nel</strong>la Bessamatic<br />
di tipo sottrattivo ma comodamente<br />
leggibile dall’alto a differenza di<br />
quanto avviene sulla Voigtländer.<br />
Coassiali alla leva di armamento<br />
il contafotogrammi e il bottone di<br />
scatto.<br />
L’uso dell’apparecchio è molto<br />
semplice facilitato com’è dall’automatismo<br />
di esposizione. È<br />
sufficiente impostare il <strong>tempo</strong> di<br />
otturazione desiderato compatibilmente<br />
con le condizioni di luce e il<br />
diaframma sarà chiuso automaticamente<br />
al valore considerato giusto<br />
dalla fotocellula che terrà conto del<br />
<strong>tempo</strong> d’otturazione e della sensibilità<br />
del film rispetto alla luminosità<br />
della scena inquadrata. Il valore di<br />
diaframma impostato compare sia<br />
<strong>nel</strong> mirino che <strong>nel</strong>la finestrella già<br />
citata sul tettuccio a sinistra del pentaprisma.<br />
Ciò consente di poter controllare<br />
l’apertura senza portare la<br />
macchina all’occhio e senza quindi<br />
insospettire il soggetto da fotografare<br />
in caso di foto fatte di sorpresa.<br />
L’unica correzione possibile dell’esposizione<br />
consiste <strong>nel</strong> comando<br />
già menzionato abbinato alla ghiera<br />
che regola l’impostazione delle sensibilità<br />
del film e che consente, in<br />
condizioni per esempio di controluce,<br />
di sovraesporre di un valore.<br />
Sovraesposizioni di maggiore ampiezza<br />
non sono possibili e neppure<br />
sottoesposizioni volontarie.<br />
A proposito di esposizione, il<br />
test della Contaflex Super B effettuato<br />
dai redattori di Progresso Fotografico<br />
pubblicato sul numero di<br />
ottobre 1965 rilevavano come in<br />
fabbrica l’esposimetro fosse tarato<br />
già in partenza in modo da offrire<br />
una lieve sovraesposizione: Cellula<br />
fotoelettrica: inspiegabilmente la<br />
taratura di tutti gli esposimetri di<br />
tutti i modelli della Contaflex è predisposta<br />
in modo tale da dare da 2/3<br />
a un diaframma di sovraesposizione<br />
rispetto ad una lettura effettuata<br />
con esposimetro campione. Ciò probabilmente<br />
è stato imposto dal fatto<br />
che l’angolo di lettura della cellula<br />
è superiore a quello dell’obiettivo<br />
ed in genere sono proprio il cielo o<br />
le lampade di una stanza che entrano<br />
più facilmente, non graditi e non<br />
visti, <strong>nel</strong> campo della cellula determinando<br />
una chiusura del diaframma<br />
maggiore di quella che competerebbe<br />
alla scena, ma compensata<br />
dall’opportuna taratura. Ma non<br />
sempre queste sono le condizioni di<br />
presa e con scene a basso contrasto,<br />
a toni uniformi, o in difetto di zone<br />
intensamente illuminate ai limiti del<br />
campo, il meccanismo compensatore<br />
non funziona più e non funziona<br />
se si utilizza la cellula per letture<br />
selettive. Un’altra ragione che può<br />
aver determinato questa taratura è<br />
quella di avere un fattore di sicurezza<br />
<strong>nel</strong>l’esposizione, eccessivo però<br />
per materiale invertibile a colori.<br />
A parte questo criterio di taratura,<br />
che noi abbiamo eliminato variando<br />
opportunamente il valore della<br />
sensibilità della pellicola inserita,<br />
la risposta della cellula è risultata<br />
perfetta a tutte le intensità di illuminazione<br />
e le esposizioni corrette<br />
(con taratura alterata) (p. 31 della<br />
rivista citata).<br />
Di tale caratteristica è bene essere<br />
consapevoli soprattutto quando si<br />
faccia uso di pellicola per diapositive.<br />
In tal caso sarà bene impostare<br />
una sensibilità doppia di quella<br />
nominale del film (p. es. 200 Asa<br />
invece che 100). Tale correzione<br />
rimane a mio avviso consigliabile<br />
per qualsiasi pellicola. Si aggiunga<br />
che tali apparecchi al giorno d’oggi<br />
sono più che quarantenni e, tarature<br />
di fabbrica a parte, è probabile<br />
24 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Zeiss Contaflex Super B<br />
che la cellula al selenio si sia un<br />
po’ indebolita <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>. Conviene<br />
sempre pertanto confrontare gli<br />
esiti della misurazione con un buon<br />
esposimetro che si sappia ben tarato<br />
e ben funzionante apportando<br />
poi la giusta correzione alla regolazione<br />
della sensibilità della<br />
pellicola.<br />
Chiarito tutto questo si conferma<br />
che l’uso ordinario è semplicissimo:<br />
si imposta il <strong>tempo</strong><br />
di posa desiderato e, se il diaframma<br />
indicato dall’ago del<br />
galvanometro risulta convincente,<br />
si mette a fuoco e si scatta.<br />
L’operazione di focheggiatura è<br />
semplicissima grazie al doppio<br />
telemetro (immagine spezzata/<br />
a<strong>nel</strong>lo finemente smerigliato).<br />
Anche se la luminosità delle ottiche<br />
non supera mai il valore<br />
di f:2,8 l’immagine offerta dal<br />
mirino è sempre luminosissima<br />
rendendo possibile una misurazione<br />
della distanza sicura anche<br />
in condizioni precarie di illuminazione.<br />
Chi non fosse abituato<br />
all’uso di apparecchi del genere<br />
dovrà all’inizio considerare che<br />
la nitidezza del soggetto su tutto<br />
il campo che compare <strong>nel</strong> mirino<br />
è in realtà ingannevole ed è<br />
dovuta all’immagine aerea del<br />
sistema di ripresa: la nitidezza<br />
effettiva va sempre verificata<br />
con il doppio telemetro presente<br />
al centro del mirino. Naturalmente<br />
al momento dello scatto<br />
l’immagine del mirino scompare<br />
perché lo specchio non è dotato<br />
di ritorno automatico e per<br />
riguardare il soggetto è necessario<br />
riarmare l’apparecchio con<br />
l’apposita leva di avanzamento<br />
del film.<br />
L’uso degli aggiuntivi ottici è<br />
abbastanza comodo. A differenza<br />
di altri apparecchi dell’epoca (p.<br />
es. la Topcon PR) gli aggiuntivi<br />
che modificano la lunghezza focale<br />
non si avvitano semplicemente sul-<br />
l’obiettivo normale ma è necessario<br />
rimuovere la lente anteriore del Tessar<br />
dopo averla sbloccata premendo<br />
un piccolo tasto collocato sotto la<br />
montatura dell’obiettivo e inserire,<br />
a baionetta, l’aggiuntivo desiderato<br />
dopo aver fatto coincidere in basso<br />
due puntini rossi di riferimento. La<br />
focale effettiva a quel punto sarà<br />
quella resa possibile dal tipo di aggiuntivo<br />
(35, 85 o 115 mm). La visione<br />
reflex continuerà a garantire<br />
inquadratura e messa a fuoco anche<br />
in presenza dell’aggiuntivo.<br />
Gli inconvenienti di tale sistema<br />
sono più di uno: maneggiare la lente<br />
anteriore del Tessar è imbarazzante<br />
più che maneggiare un<br />
qualsiasi obiettivo intercambiabile<br />
e non si sa mai dove<br />
metterla mentre non si usa e<br />
si ha il timore di danneggiarla<br />
o smarrirla. Ovviamente<br />
bisognerà stare attenti a non<br />
toccare la lente e a non rovinarla<br />
o sporcarla. Inoltre gli<br />
aggiuntivi sono tutti alquanto<br />
ingombranti e pesanti. Ciò si<br />
nota soprattutto con quello da<br />
35 mm. Tutti hanno una lente<br />
frontale molto più grande di<br />
quella del Tessar e il 115 mm<br />
un diametro di ben 67mm sinceramente<br />
eccessiva per un’ottica<br />
di luminosità f:4 e di soli<br />
115 mm di focale. La disparità<br />
di diametro tra 50, 35-85<br />
(questi due aggiuntivi hanno<br />
lo stesso diametro) e 115 mm<br />
crea complicazioni per il paraluce<br />
che ovviamente dovrà essere<br />
diverso. Per il Tessar 50<br />
è indispensabile disporre del<br />
suo piccolo paraluce originale<br />
in gomma che, ripiegabile,<br />
può essere tenuto montato sull’obiettivo<br />
anche con la borsa<br />
pronto chiusa. Ha un attacco<br />
a vite di mm 27. Il 115 può<br />
montare qualsiasi paraluce<br />
con attacco a vite di 67mm.<br />
Va benissimo quello in gomma<br />
del sistema Contax moderno.<br />
Per l’85 io uso un vecchio<br />
paraluce Canon (S-60) dotato<br />
di collare di serraggio esterno<br />
che lo fissa alla montatura con<br />
una piccola vite. Tale paraluce può<br />
anche essere montato sul 35mm che<br />
ha lo stesso diametro dell’85 ma è<br />
pratica da evitare almeno col materiale<br />
invertibile perché oscura con la<br />
vignettatura gli angoli del formato.<br />
Infine se è vero che la visione reflex<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 25
Zeiss Contaflex Super B<br />
garantisce precisione<br />
<strong>nel</strong>la messa<br />
a fuoco e <strong>nel</strong>l’inquadratura<br />
ciò non<br />
vale per il controllo<br />
della distanza e<br />
della profondità di<br />
campo dal momento<br />
che i riferimenti<br />
riportati sulla<br />
montatura dell’apparecchio<br />
valgono<br />
solo per il Tessar<br />
50. Perciò se si volesse<br />
consultare la<br />
scala di profondità<br />
di campo o sapere<br />
a che distanza si<br />
trova veramente il<br />
soggetto sarebbe<br />
necessario ruotare<br />
a mano la ghiera<br />
apposita di cui<br />
ogni aggiuntivo è comunque dotato.<br />
Naturalmente la rotazione per<br />
l’operazione di messa a fuoco che<br />
era già scomoda per il 50mm diventa<br />
ancora più faticosa dal momento<br />
che la ghiera rimane troppo vicina<br />
all’apparecchio, addossata al corpo,<br />
mentre con l’aggiuntivo il complesso<br />
da manovrare si è fatto più ingombrante<br />
e più pesante.<br />
Si capisce come il sistema Bessamatic<br />
risulti al confronto enormemente<br />
più pratico: più ampia<br />
la scelta delle ottiche che essendo<br />
completamente intercambiabili rimangono,<br />
almeno fino al 135 mm<br />
estremamente compatte e maneggevoli.<br />
Inoltre gli obiettivi Bessamatic<br />
50 (Color Skopar), 90, 100 e 135<br />
mm hanno tutti lo stesso diametro<br />
(40,5 mm) e possono usare un unico<br />
paraluce (e anche le stesse lenti addizionali).<br />
Anche il 35mm Skoparex<br />
avrebbe lo stesso diametro ma<br />
necessita di un suo paraluce rettangolare<br />
che non vignetta.<br />
Per le riprese ravvicinate la Contaflex<br />
fa uso come la Bessamatic ad<br />
un sistema di quattro lenti addizionali.<br />
Si chiamano Proxar, sono piccolissime<br />
(ø 28,5 mm) e si montano<br />
a pressione sulla lente frontale del<br />
Tessar 50 mm. Le lenti addizionali<br />
per la Bessamatic, di diametro più<br />
grande (40,5 mm), sono anch’esse<br />
quattro, si chiamano Focar e si montano<br />
a vite su tutti gli obiettivi dello<br />
stesso diametro. Anche gli aggiuntivi<br />
Zeiss Contaflex possono fare uso<br />
di lenti addizionali ma saranno ovviamente<br />
tutte di grande diametro e<br />
di grandezza diversa.<br />
Una caratteristica apparentemente<br />
del sistema Contaflex consiste<br />
<strong>nel</strong>la possibilità di adoperare magazzini<br />
portapellicola di ricambio.<br />
Tali magazzini vengono montati<br />
dopo avere asportato il dorso-fondello<br />
della macchina. Il loro uso<br />
consente un rapido caricamento a<br />
pellicola esaurita o l’intercambio in<br />
qualsiasi momento di una pellicola<br />
Zeiss Contaflex Voigtländer Bessamatic<br />
Accessorio Prezzo in lit. Accessorio Prezzo in lit.<br />
Lenti addizionali Proxar (cad.) 3.500 Lenti addizionali Focar (cad.) 3.600<br />
Borsa pronto 11.600 Borsa pronto 10.400<br />
Paraluce 1.400 Paraluce 2.000<br />
Pro-Tessar 3,2/35 mm 55.000 Obiettivo Skoparex 3,4/35 mm 55.300<br />
Pro-Tessar 3,2/85 mm 60.000 Obiettivo Dynarex 3,4/90 mm 69.000<br />
Pro-Tessar 4/115 mm 62.000 Obiettivo Super-Dinarex 4/135 60.500<br />
26 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Zeiss Contaflex Super B<br />
con un’altra di caratteristiche diverse<br />
(bianco-nero/colore, alta/media/<br />
bassa sensibilità, negativo/invertibile)<br />
senza perdere alcun fotogramma<br />
ma è bene tener presente che<br />
l’uso di tali accessori è macchinoso.<br />
Tra l’altro la Contaflex ha all’interno<br />
del vano che ospita il caricatore<br />
del film un pezzo di lamiera che dovrebbe<br />
servire per tenere meglio in<br />
posizione lo stesso caricatore. Tale<br />
oggetto (di cui si può comunque<br />
fare tranquillamente a meno) deve<br />
essere rimosso per poter montare il<br />
magazzino che dispone ovviamente<br />
di un’antina mobile per proteggere<br />
la pellicola dalla luce quando il magazzino<br />
stesso è separato dal corpo<br />
macchina Ma la cosa più grave è<br />
che <strong>nel</strong>l’inserire l’antina la pellicola<br />
potrebbe essere urtata e spinta fino<br />
ad accartocciarsi bloccando completamente<br />
l’apparecchio e richiedendo<br />
l’intervento di un riparatore.<br />
Per farla breve, i magazzini per<br />
Zeiss Contaflex possono oggi anche<br />
fare bella mostra di sé in una collezione<br />
ma è sconsigliabile tentare di<br />
usarli. Bessamatic e Contaflex erano<br />
dirette concorrenti sul mercato:<br />
oltre all’impostazione progettuale<br />
anche i prezzi erano molto simili:<br />
Nel catalogo Bagnini n. 15 del semestre<br />
settembre 1963 - febbraio<br />
1964 la Zeiss Contaflex Super B era<br />
offerta a 174.600 lire mentre la Voigtländer<br />
Bessamatic (con obiettivo<br />
Color-Skopar equivalente al Tessar)<br />
a 163.000 lire. Anche il costo<br />
del resto del corredo era comparabile<br />
(i dati che seguono sono ricavati<br />
dalla Guida italiana della Fotografia<br />
edita <strong>nel</strong> 1964 dalla ditta Lori di<br />
Roma):<br />
Andare in giro a fare fotografie<br />
con una Contaflex (o una Bessamatic)<br />
è cosa piacevolissima e gratificante<br />
anche perché oggi l’apparecchio<br />
non passa inosservato e sono<br />
numerose le persone che riconoscendolo<br />
o comunque sedotti dalla<br />
vistosità e dall’elegante imponenza<br />
nonché dalla lucentezza delle cromature<br />
si avvicinano per osservarlo<br />
meglio e per parlarne. La resa dell’obiettivo<br />
Tessar è assolutamente<br />
superlativa anche facendo uso degli<br />
aggiuntivi offrendo come risultato finali<br />
immagini dettagliatissime e dai<br />
colori brillanti. Anche la resa delle<br />
ottiche della Bessamatic è straordinaria<br />
ma l’effetto è visibilmente diverso:<br />
più pittoriche, pastellate (che<br />
non vuol dire meno nitide) le immagini<br />
Voigtländer, più scolpite quelle<br />
Zeiss. E a questo punto è soltanto<br />
questione di gusti.<br />
Giuseppe Preianò<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 27
Summicron 90 II° versione: il Canada testa svitabile<br />
di Cesare Trentanni<br />
Il 90 mm Summicron II versione,<br />
meglio conosciuto come<br />
“90 testa svitabile”, è sicuramente<br />
uno dei capolavori ottici<br />
della Leica, classificabile fra i migliori<br />
obiettivi di focale medio-lunga<br />
mai realizzati al mondo.<br />
Il primo Summicron 90 f:1/2<br />
vide la luce <strong>nel</strong> 1957 con schema ottico<br />
tipo tripletto modificato di SEI<br />
LENTI in cinque gruppi, su progetto<br />
del Dott. Walter Mandler (1922-<br />
2005), geniale ideatore dal 1950 al<br />
1985 di alcune mitiche ottiche Leitz<br />
(fra le quali è d’obbligo ricordare ad<br />
esempio il 35 summilux, il 75 summilux<br />
ed il 50 noctilux).<br />
Restò in produzione per ventidue<br />
anni (fino al 1979) <strong>nel</strong> corso dei<br />
quali il sopradescritto schema ottico<br />
non fu mai variato; i primi pochissimi<br />
pezzi, calcolabili in poche decine,<br />
furono assemblati a Wetzlar; tutta la<br />
restante produzione fu realizzata in<br />
Canada.<br />
Del Summicron 90 sei lenti ne<br />
esistono due diverse versioni.<br />
La prima versione (1957-1958)<br />
fu realizzata in circa 400 pezzi (di cui<br />
qualche decina a vite ed i restanti con<br />
baionetta M) con gruppo ottico non<br />
svitabile e paraluce separato, tutti in<br />
finitura cromata, con diaframma da<br />
f/2 ad f/16 e matricola compresa fra<br />
1.450.000 circa ed 1.650.000 circa<br />
(i primissimi prototipi riconosco-<br />
ad epoche diverse riflessi diversi<br />
a sx produzione del 1967 a dx del 1973<br />
no matricola atipica compresa fra<br />
1.119.000 e 1.119.100).<br />
La seconda versione (1959-<br />
1979) fu prodotta in grande serie<br />
con baionetta M ed in circa 500<br />
unità con attacco a vite, con gruppo<br />
ottico svitabile per l’utilizzo con<br />
Visoflex, paraluce telescopico incorporato<br />
e matricola compresa fra<br />
1.651.000 circa e 3.010.000 circa.<br />
Fino alla matricola 2.000.000 circa<br />
il diaframma minimo chiudeva ad<br />
f/16, poi portato ad f/22; il diaframma<br />
era costituito da dodici lamelle.<br />
Dalla matricola 2.200.000 circa<br />
cessò la realizzazione in finitura<br />
cromata, sostituita da quella verniciata<br />
nera.<br />
A questa seconda versione, <strong>nel</strong><br />
f. 5,6<br />
corso degli anni di produzione, furono<br />
apportate modifiche alla montatura<br />
che riguardarono la forma<br />
della ghiera di messa a fuoco ed il<br />
senso di rotazione di quella dei diaframmi;<br />
sicure variazioni, anche<br />
se mai dichiarate dalla casa madre,<br />
interessarono anche il trattamento<br />
antiriflessi delle lenti e la brunituraannerimento<br />
delle parti interne del<br />
barilotto oltre, verosimilmente, alla<br />
formulazione e composizione dei<br />
costituenti base di alcune lenti.<br />
La fusione e la paziente stagionatura<br />
di pregiate “mescole” di<br />
componenti base contenenti terre<br />
rare, consentì alla Leica di creare<br />
vetri con alto indice di rifrazione,<br />
bassissima dispersione, trasparenza<br />
di circa il 100% al passaggio dei fotoni<br />
luminosi <strong>nel</strong> campo dello spettro<br />
di luce visibile con trasmissione<br />
uniforme e fedele di tutta la gamma<br />
cromatica. La lavorazione manuale<br />
e il controllo di ogni singolo componente<br />
era finalizzato ad ottenere<br />
bassissimi indici di tolleranza qualitativa.<br />
Da ricordare che la applicazione<br />
di rivestimenti antiriflesso delle<br />
superfici delle singole lenti è sempre<br />
stata finalizzata e calcolata per<br />
un ottimale rapporto fra riduzione<br />
delle aberrazioni da dispersione<br />
e conservazione della traspa-<br />
28 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Summicron 90 II° versione: il Canada testa svitabile<br />
renza; anche il disegno della struttura<br />
portante ed il suo oscuramento<br />
interno è stato sempre calcolato per<br />
migliorare quanto più possibile la<br />
resa ottica e non solo per tenere le<br />
lenti <strong>nel</strong>la giusta posizione.<br />
Le resa globale del 90 Summicron<br />
“Testa Svitabile” è una esaltazione<br />
di tutte quella caratteristiche<br />
che hanno contribuito al mito dei<br />
vetri Leitz.<br />
Una nitidezza brillante e al con<strong>tempo</strong><br />
delicata, non aggressiva, uniforme<br />
su tutto il campo, restituisce<br />
immagini dense e pastose, con ottimale<br />
saturazione cromatica e precisa<br />
differenziazione dei colori, grazie<br />
ad un grado di contrasto splendidamente<br />
bilanciato. La plasticità è<br />
superba e la progressione armonica<br />
ed omogenea dei piani focalizzati e<br />
di quelli fuori focheggiatura dona<br />
una netta sensazione di profondità e<br />
tridimensionalità; <strong>nel</strong> B/N la riproduzione<br />
di una ampia scala di livelli<br />
di grigio offre risultati di grande armonia.<br />
Ottima e ben equilibrata la<br />
capacità di lettura delle zone d’ombra<br />
e di quelle ad alta luminosità,<br />
con una discriminazione precisa dei<br />
cromatismi e delle tonalità di grigio<br />
e una lettura agevole del dettaglio<br />
anche più fine.<br />
La vignettatura è virtualmente<br />
f. 2,8<br />
assente anche alla massima apertura<br />
del diaframma così come l’aberrazione<br />
di coma; <strong>nel</strong>la messa a fuoco<br />
ravvicinata può essere percettibile<br />
una minima distorsione a cuscino.<br />
Alle brevi distanze si ottengono<br />
immagini più morbide che non all’infinito,<br />
caratteristica che denota<br />
la grande versatilità dell’obiettivo,<br />
splendido sia <strong>nel</strong> ritratto che <strong>nel</strong>la<br />
ripresa del particolare di paesaggio.<br />
La resa generale non offre significative<br />
differenze nei diversi diaframmi,<br />
ad eccezione della massima<br />
apertura dove la risolvenza tende a<br />
diminuire.<br />
I risultati migliori si ottengono<br />
in condizioni di basso contrasto luminoso;<br />
ciò a causa dell’unica nota<br />
dolente fra le caratteristiche del Testa<br />
Svitabile, data da una netta tendenza<br />
al fenomeno di “flare”, soprattutto<br />
alle aperture maggiori del<br />
diaframma ed in presenza di forti<br />
fonti di illuminazione diretta fino ad<br />
un angolo di circa 60° rispetto all’asse<br />
ottico.<br />
Il “flare” è peraltro più marcato<br />
<strong>nel</strong>le realizzazioni più vecchie rispetto<br />
a quelle più recenti, dove risulta<br />
più contenuto grazie a quelle<br />
modifiche in corso d’opera già accennate<br />
riguardanti il trattamento<br />
antiriflesso e forse la composizione<br />
di qualche lente.<br />
Tali aggiustamenti sono già percepibili<br />
alla semplice osservazione<br />
di due oggetti di differente produzione<br />
e probabilmente le variazioni<br />
furono effettuate fra le matricole<br />
2.300.000 e 2.400.000 circa; una<br />
personale analisi di due obiettivi<br />
distinti, uno del 1967 e l’altro del<br />
1973, entrambi in finitura nera, rivela<br />
una colorazione diversa dei vetri<br />
quando attraversati da una fonte<br />
luminosa diretta: il più “vecchio”<br />
denota una riflessione cromatica<br />
tendente all’azzurro-violetto delle<br />
lenti interne e posteriori mentre <strong>nel</strong><br />
più “giovane” la stessa riflessione<br />
appare color ambra.<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 29<br />
f. 4
Summicron 90 II° versione: il Canada testa svitabile<br />
Inoltre, alla osservazione di<br />
una superficie bianca omogenea<br />
attraverso le lenti degli obiettivi,<br />
si scopre una restituzione del<br />
bianco neutra <strong>nel</strong> più recente ed<br />
una leggerissima tendenza al viraggio<br />
paglierino <strong>nel</strong> più datato.<br />
Le due produzioni descritte<br />
godono anche di una resa appena<br />
diversa, con sfumature di bassissimo<br />
grado percettivo anche ad<br />
un occhio particolarmente attento;<br />
il 90 Summicron del 1973, rispetto<br />
a quello del 1967, offre un<br />
contrasto appena inferiore ed una<br />
lettura delle zone d’ombra leggermente<br />
migliore; la resa cromatica<br />
è fedele, neutra con lievissima<br />
tendenza a toni freddi.<br />
Le immagini del 90 Summicron<br />
del 1967 sono invece magicamente<br />
dotate di una accennata<br />
dominante caldo-avorio che abbellisce<br />
soprattutto il ritratto con<br />
una resa dell’incarnato partico-<br />
larmente delicata ed una saturazione<br />
cromatica un poco più piena<br />
rispetto al fratello giovane.<br />
In conclusione, qualunque sia<br />
il numero di matricola, il Testa<br />
Svitabile è uno strumento ottico<br />
strepitoso che non dovrebbe mai<br />
mancare in un corredo Leica M.<br />
30 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
CONTAX RX - quasi un autofocus<br />
di Mauro Di Giovanni<br />
Un po’ di storia…<br />
Siamo <strong>nel</strong> 1994 e già diverse generazioni<br />
di reflex autofocus si sono<br />
succedute da quel lontano 1985 in<br />
cui Minolta avvia la commercializzazione<br />
del modello 7000 AF. Tutte<br />
le altre case, con un ritardo più o<br />
meno marcato, la seguono su questa<br />
via, tranne i marchi più tradizionalisti,<br />
come Leica e Contax. Queste<br />
ultime, dotate di un celebrato parco<br />
ottiche, poco inclini a sostituire<br />
le nobili leghe metalliche dei loro<br />
barilotti con elementi<br />
sintetici e ad aumentare<br />
le tolleranze delle<br />
parti in movimento,<br />
continuano imperterrite<br />
per diversi anni<br />
sulla loro strada (e<br />
Leica ancora continua…).<br />
Ad un certo<br />
punto Contax cerca<br />
però di limitare questo<br />
handicap introducendo,<br />
con la RX,<br />
un sistema di messa a<br />
fuoco assistita, denominato<br />
DFI (Digital<br />
Focus Indicator), per<br />
poi presentare una reflex<br />
autofocus unica<br />
<strong>nel</strong> suo genere (il modello<br />
AX) che, grazie<br />
allo spostamento del piano di messa<br />
a fuoco, consente la focheggiatura<br />
automatica con gli obiettivi manuali!<br />
L’approdo all’autofocus vero e<br />
proprio arriva con la N1 all’avvento<br />
del terzo millennio, rendendo però<br />
impossibile – così come fece Canon<br />
– lo scambio fra il tradizionale innesto<br />
a fuoco manuale Contax/Yashica<br />
ed il nuovo Contax N autofocus.<br />
Però, con un comunicato a sorpresa<br />
del 12 aprile 2005, Kyocera<br />
annuncia la sospensione della produzione<br />
delle fotocamere 35mm<br />
Contax entro settembre dello stesso<br />
anno, mentre per alcuni mercati<br />
continuerà fino a dicembre la commercializzazione<br />
della 645.<br />
Altro recente annuncio a sorpresa<br />
è quello della Carl Zeiss, che<br />
proporrà le proprie prestigiose ottiche<br />
manuali per reflex 35mm – fino<br />
ad oggi con innesto esclusivo Contax/Yashica<br />
– anche con altri innesti,<br />
cominciando da quello Nikon F<br />
(ZF) e dall’intramontabile innesto a<br />
vite 42x1 (ZS), a partire dalla prossima<br />
estate. Verranno prodotte dalla<br />
Cosina su progetto e con controlli<br />
effettuati per mezzo di apparecchiature<br />
“made in Oberkochen”, e pre-<br />
vederanno anche nuove formulazioni<br />
ottiche.<br />
Una rapida carrellata sui vari<br />
modelli reflex 35mm…<br />
La prima Contax reflex nata dall’accordo<br />
Zeiss-Yashica è la professionale<br />
RTS del ’74 (arrivata alla<br />
sua terza edizione: da rimarcare<br />
<strong>nel</strong>la RTS III del ’90 la presenza<br />
di un esclusivo dorso aspirante in<br />
ceramica per mantenere l’assoluta<br />
planeità del film) affiancata, alla<br />
fine degli anni settanta, da alcuni<br />
modelli economicamente più abbordabili<br />
(137MD ed MA, 139 Quartz,<br />
ai quali faranno seguito la 159 MM,<br />
la longeva 167 MT fino ad arrivare<br />
all’attuale Aria). Modelli intermedi<br />
saranno invece rappresentati dalla<br />
ST del ’92 (simile alla RX del ’94<br />
– oggetto di questo articolo – ma<br />
priva del sistema DFI e con sincroflash<br />
pari a 1/200 di secondo) dalla<br />
S2 totalmente meccanica con esposizione<br />
spot e dalla S2b, identica<br />
ma con esposizione media ponderata.<br />
Un caso a parte è la AX del ’96,<br />
una autofocus del tutto particolare,<br />
dotata di dorso mobile che permette<br />
di mettere a fuoco automaticamente<br />
con gli obiettivi manuali! Dal 2000<br />
anche Contax entra <strong>nel</strong> mondo delle<br />
autofocus vere e proprie con la N1<br />
seguita dalla più economica (si fa<br />
per dire) NX, dotate di un nuovo innesto<br />
– incompatibile con il precedente<br />
– che andranno ad affiancare<br />
la produzione a fuoco manuale. Nel<br />
2002 la RX viene aggiornata con la<br />
versione RX II, priva del sistema<br />
DFI, mirino più luminoso del 20%<br />
e un secondo autoscatto con ritardo<br />
di 2 secondi.<br />
La tecnica…<br />
Come tradizione Contax – rin-<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 31
CONTAX RX - quasi un autofocus<br />
vigorita dalla gestione Kyocera<br />
che in passato ha creduto molto in<br />
questo marchio – la qualità dei materiali<br />
impiegati e delle finiture è<br />
di prim’ordine. Piuttosto corposa<br />
e di peso non indifferente (otto etti<br />
abbondanti “a secco”), si impugna<br />
però con facilità grazie all’attento<br />
studio ergonomico, che prevede una<br />
guancia anatomica frontale ed una<br />
sporgenza posteriore per ancorare<br />
il pollice. L’estetica è praticamente<br />
identica a quella del modello ST<br />
ma con il pentaprisma spigoloso un<br />
po’ più largo e schiacciato, simile a<br />
quello delle vecchie RTS; per il resto<br />
le linee sono morbide e sinuose,<br />
con gli spigoli dolcemente arrotondati.<br />
La livrea è nera, come si conviene<br />
ad un apparecchio professionale,<br />
con inserti gommati al posto<br />
della tradizionale finta pelle, che fascia<br />
il dorso e la parte anteriore, favorendo<br />
la presa dell’apparecchio.<br />
Ottima e duratura la brunitura delle<br />
parti metalliche, tranne quella della<br />
slitta porta accessori che, sottoposta<br />
ad un continuo sfregamento, può<br />
mostrare in alcuni punti il suo colore<br />
naturale. Sovradimensionato il<br />
mirino, anche per la presenza della<br />
particolare conchiglia in gomma che<br />
segue l’estetica del pentaprisma.<br />
La qualità complessiva si può apprezzare<br />
anche <strong>nel</strong>la realizzazione<br />
dei vari comandi, in special modo<br />
<strong>nel</strong>le manopole, prive di giochi e<br />
dall’ottima frizione che consentono<br />
– grazie al loro sovradimensionamento<br />
– un’ottima manovrabilità,<br />
anche indossando i guanti. Il corpo<br />
macchina è realizzato in pressofusione<br />
con una lega di rame/silumin,<br />
temprata con vapore a pressione ad<br />
elevata temperatura, per offrire una<br />
notevole resistenza alla torsione; calotta<br />
e fondello sono invece in lega<br />
d’ottone, mentre la baionetta è in acciaio<br />
inox, saldamente ancorata alla<br />
scocca con sei viti. Impeccabile anche<br />
l’interno della fotocamera, con<br />
sistema di avanzamento automatico<br />
fino al primo fotogramma.<br />
Il dorso smontabile offre di serie<br />
il datario, ed è provvisto di finestrella<br />
d’ispezione per la pellicola<br />
in uso. La RX incorpora anche il<br />
motore di trascinamento e riavvolgimento<br />
capace di sostenere la cadenza<br />
di 3 fotogrammi al secondo;<br />
è possibile decidere se far rientrare<br />
o meno la coda della pellicola <strong>nel</strong><br />
caricatore con la funzione<br />
personalizzata<br />
CF8 (vedi oltre), e<br />
attivare il riavvolgimento<br />
automatico a<br />
fine film (CF9).<br />
Rispettando la<br />
tradizione Contax,<br />
il selettore dei tempi<br />
lo troviamo inusualmente<br />
alloggiato a<br />
sinistra del pentaprisma;<br />
coassiale la levetta<br />
(con fermo di<br />
sicurezza disabilitato<br />
dal pulsantino sul retro<br />
della calotta) che<br />
permette si selezionare<br />
i vari modi d’esposizione:<br />
Av = automatismo<br />
a priorità<br />
del diaframma, Tv =<br />
a priorità del <strong>tempo</strong> d’esposizione,<br />
P = programmato, M = manuale, X<br />
= sincro-flash, B = posa. Facendola<br />
ruotare ulteriormente in senso antiorario<br />
troviamo la posizione ISO<br />
per impostare manualmente la sensibilità<br />
– disabilitando la lettura DX<br />
– e la posizione CF (Custom Functions)<br />
che permette di personalizzare<br />
alcune funzioni della RX, per la<br />
precisione nove oltre al reset (CLE);<br />
in questi ultimi due casi la selezione<br />
avviene tramite i pulsantini up/down<br />
posti sul lato opposto della calotta,<br />
sotto il display; <strong>nel</strong> testo citeremo le<br />
principali funzioni personalizzabili.<br />
Sul fianco sinistro un tappino a vite<br />
cela la presa coassiale per il flash;<br />
più in basso il meccanismo d’apertura<br />
del dorso con pulsante centrale<br />
di sicurezza. Sulla slitta porta-accessori<br />
troviamo il contatto diretto per<br />
il flash e quattro contattini dedicati<br />
(invece dei soliti due) che permettono<br />
un maggior scambio di informazione<br />
con il lampeggiatore TLA<br />
360, come l’accensione automatica<br />
di quest’ultimo premendo leggermente<br />
il pulsante di scatto. Sul fianco<br />
sinistro del mirino la levetta per<br />
32 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
CONTAX RX - quasi un autofocus<br />
oscurarlo, mentre sul<br />
fianco destro del pentaprisma<br />
una rotellina<br />
zigrinata con avanzamento<br />
a <strong>scatti</strong> serve a<br />
regolare le diottrie del<br />
mirino. Il correttore<br />
d’esposizione, privo<br />
di fermi di sicurezza<br />
ma ben frenato <strong>nel</strong>la<br />
posizione “0”, è costituito<br />
da una grossa<br />
manopola, con incrementi<br />
di 1/3 di stop;<br />
una levetta coassiale<br />
permette di impostare<br />
il bracketing automatico<br />
di +/-0,5 o +/-1<br />
EV; è possibile personalizzare<br />
la seguenza<br />
degli <strong>scatti</strong> (CF6). A<br />
fianco una manopola più piccola<br />
(selettore DRIVE) stabilisce i modi<br />
d’avanzamento: singolo (S), continuo<br />
(C), autoscatto, esposizioni<br />
multiple; il pallino verde predispone<br />
il sistema DFI per un funzionamento<br />
standard, indipendentemente dalle<br />
impostazioni personalizzate. Alla<br />
base un selettore coassiale imposta<br />
la classica lettura bilanciata al centro<br />
oppure quella spot. Il pulsante di<br />
scatto elettromagnetico è circondato<br />
da una corona mobile che ne limita<br />
la pressione accidentale ed attiva,<br />
manovrandola in senso antiorario,<br />
l’accensione dei circuiti (ON) e poi<br />
il blocco della memoria esposimetrica<br />
(AEL); premendo leggermente<br />
il pulsante vengono visualizzati i<br />
dati <strong>nel</strong> mirino, ma è possibile personalizzarlo<br />
facendo in modo che<br />
attivi con<strong>tempo</strong>raneamente anche il<br />
blocco della memoria sul pulsante<br />
di scatto (CF4). Il piccolo pan<strong>nel</strong>lo<br />
LCD mostra, alternativamente,<br />
il numero dei fotogrammi, il valore<br />
ISO, lo stato di carica della batteria,<br />
il numero di esposizioni multiple<br />
programmato e le funzioni<br />
personalizzate (CF), il cui schema<br />
è riassunto in un adesivo applicabi-<br />
le <strong>nel</strong> fondello. A destra del mirino<br />
una levetta con blocco centrale di<br />
sicurezza permette di riavvolgere<br />
la pellicola in qualsiasi momento;<br />
più a destra l’attacco per il cavetto<br />
flessibile con filettatura standard. In<br />
basso a sinistra un tappino protegge<br />
una presa per l’alimentazione esterna.<br />
Al centro del dorso i tre pulsanti<br />
per settare data e ora, che verranno<br />
impressi <strong>nel</strong>lo spazio tra i fotogrammi.<br />
Sul frontale troviamo il pulsante<br />
per visualizzare i dati <strong>nel</strong> mirino (in<br />
alternativa al pulsante di scatto) e,<br />
sul fianco del bocchettone, il pulsante<br />
di sblocco per l’obiettivo; più<br />
in basso, quello per visualizzare la<br />
profondità di campo <strong>nel</strong> mirino, che<br />
si può personalizzare (CF7) facendo<br />
in modo che il diaframma resti<br />
chiuso fino a nuova pressione del<br />
pulsante. Nel fondello il foro filettato<br />
per il treppiede e, ad una estremità,<br />
la vite per smontare il fondello<br />
ed accedere al vano batteria.<br />
Vanto delle reflex Contax è la<br />
qualità del mirino, e la RX non<br />
smentisce questa fama. Di tipo<br />
long eyepoint (quindi adatto a chi<br />
indossa gli occhiali), copre il 95%<br />
dell’area effettivamente inquadrata<br />
con un ingrandimento pari a 0,8x ed<br />
è dotato di cinque schermi di messa<br />
a fuoco intercambiabili; quello<br />
standard (FW-1) è finemente smerigliato<br />
con lente di Fres<strong>nel</strong>, corona di<br />
microprismi e telemetro ad immagine<br />
spezzata. E’ possibile regolare le<br />
diottrie da +3 a –1 ed è oscurabile.<br />
Nitida e ben contrastata l’immagine<br />
fino ai bordi estremi, con una<br />
lieve dominante calda; non valutabili<br />
ad occhio le distorsioni. Tutte<br />
le informazioni appaiono in basso,<br />
in un display LCD retroilluminato<br />
ad intensità variabile secondo la<br />
luminosità ambientale; anche la visualizzazione<br />
di queste può essere<br />
personalizzata, eliminando il sistema<br />
DFI oppure oscurando del tutto<br />
i dati (CF1). Oltre alle indicazioni<br />
per la messa a fuoco, che appaiono<br />
al centro del display e di cui abbiamo<br />
già parlato, troviamo il contafotogrammi<br />
(se lampeggia è stato<br />
inserito il bracketing automatico),<br />
il tipo di lettura esposimetrica (lampeggia<br />
quando è inserito il blocco<br />
della memoria), la compensazione<br />
dell’esposizione (lampeggiante), il<br />
simbolo del flash che indica l’avvenuta<br />
carica e la corretta esposizione,<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 33
CONTAX RX - quasi un autofocus<br />
i diaframmi, due freccette che indicano<br />
sovra/sotto o corretta esposizione<br />
per la misurazione manuale, il<br />
<strong>tempo</strong> di posa. I dati restano visibili<br />
per circa 16 secondi.<br />
La RX utilizza due cellule al silicio<br />
separate, una posta all’interno<br />
del mirino per le rilevazioni in luce<br />
continua (media ponderata e spot),<br />
l’altra <strong>nel</strong> box specchio per l’esposizione<br />
TTL con i flash dedicati,<br />
rivolta verso il piano pellicola. Il<br />
campo di risposta si estende tra 1 e<br />
20 EV con la lettura media ponderata,<br />
e tra 5 e 20 EV con lettura spot<br />
utilizzando pellicola da 100 ISO ed<br />
obiettivo f/1,4, per sensibilità comprese<br />
tra 25 e 5000 ISO in DX e tra<br />
6 e 6400 ISO con impostazione manuale.<br />
I modi d’esposizione vanno<br />
dall’automatismo a priorità del<br />
diaframma, a quello a priorità dei<br />
tempi, all’automatismo programmato<br />
(questi ultimi due funzionano<br />
solamente con obiettivi della serie<br />
“MM”), all’esposizione completamente<br />
manuale. Con i flash dedicati<br />
l’esposizione è automatica TTL. I<br />
controlli possibili sull’esposizione<br />
sono molteplici, e vanno dal clas-<br />
sico correttore d’esposizione (+/-2<br />
EV con intervalli di 1/3 di EV), al<br />
blocco della memoria esposimetrica<br />
che consente lo slittamento fra coppie<br />
<strong>tempo</strong>-diaframma equivalenti,<br />
al bracketing automatico (+/- 0,5<br />
EV oppure +/-1 EV), con possibilità<br />
di stabilirne la sequenza preferita.<br />
La RX sfrutta un otturatore controllato<br />
elettronicamente (senza alcun<br />
<strong>tempo</strong> meccanico) con lamelle<br />
metalliche a scorrimento verticale<br />
tipo Copal. La gamma dei tempi si<br />
estende da 16 ad 1/4000 di secondo<br />
nei modi “AV” e “P”, da 4 ad<br />
1/4000 di secondo nei modi “TV” e<br />
manuale, oltre alla posa B e al sincro-flash<br />
(X). Quest’ultimo si assesta<br />
su 1/125 di secondo: pensiamo<br />
però che una fotocamera come la<br />
RX avrebbe meritato qualcosa di<br />
più, almeno 1/200 di secondo come<br />
la consorella ST per poter meglio<br />
sfruttare la tecnica del fill-in; con i<br />
flash dedicati predisposti è possibile<br />
ottenere la sincronizzazione sulla<br />
seconda tendina. Si possono effettuare<br />
fino a nove esposizioni multiple<br />
sullo stesso fotogramma.<br />
L’autoscatto elettronico garantisce<br />
un ritardo di 10 secondi ed è<br />
revocabile; il suo funzionamento è<br />
accompagnato dal lampeggiare di<br />
un led alla base dell’impugnatura<br />
frontale. Occorre ricordarsi di disinserirlo<br />
una volta effettuata la ripresa.<br />
L’alimentazione alla RX viene<br />
fornita da una (costosa) batteria al<br />
litio tipo da 6 Volt tipo 2CR5 per il<br />
funzionamento della fotocamera, e<br />
da una batteria tipo CR2025 (sempre<br />
al litio) per il dorso datario di serie.<br />
Purtroppo la RX dipende, in ogni<br />
sua funzione, dalla buona efficienza<br />
delle batterie, e non è previsto alcun<br />
<strong>tempo</strong> meccanico d’emergenza, per<br />
cui in mancanza d’energia si blocca<br />
tutto. Inoltre l’elemento al litio previsto<br />
non è di così facile reperimento<br />
come le batterie stilo o ministilo.<br />
E’ comunque prevista una presa<br />
per alimentazione esterna (Power<br />
Pack P-8 con quattro elementi stilo)<br />
ed una efficace segnalazione<br />
sul display che avvisa per <strong>tempo</strong><br />
sull’esaurimento della batteria. Sarebbe<br />
buona norma munirsi di un<br />
elemento di riserva, specialmente<br />
in situazioni in cui uno scatto non<br />
potrà più essere replicato.<br />
Il sistema DFI…<br />
Il “Digital Focus<br />
Indicator” non è altro<br />
che un sistema di<br />
messa a fuoco servoassistita.<br />
Il sensore,<br />
posto sul fondo<br />
della scatola dello<br />
specchio, riceve le<br />
informazioni attraverso<br />
l’obiettivo tramite<br />
uno specchietto<br />
incernierato su quello<br />
principale Al centro<br />
del display <strong>nel</strong><br />
mirino appaiono due<br />
quadratini sovrapposti<br />
che rappresentano<br />
la messa a fuoco<br />
perfetta; a sinistra o<br />
a destra una serie di<br />
34 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
CONTAX RX - quasi un autofocus<br />
cerchietti (sei) per parte indicano quanto ci si discosta<br />
dalla messa a fuoco ideale: più sono numerosi maggiore<br />
sarà lo scostamento. Superando il limite dei sei cerchietti,<br />
appare una freccetta lampeggiante che indica la<br />
corretta direzione verso cui ruotare la ghiera di messa a<br />
fuoco; se lampeggiano entrambe le freccette il sistema<br />
non è in grado di valutare la corretta focheggiatura.<br />
Rispetto ai sistemi simili, la novità è costituita dalla<br />
possibilità di valutare la profondità di campo entro<br />
cui i soggetti appariranno nitidi: il circuito digitale è<br />
infatti collegato anche al simulatore del diaframma.<br />
Sopra ai cerchietti appaiono una serie di trattini (variabili<br />
secondo il diaframma utilizzato) che indicano<br />
l’estensione della profondità di campo; in questo modo<br />
si può facilmente valutare, focheggiando due soggetti<br />
diversi, se questi rientrano <strong>nel</strong>la zona nitida: basta che<br />
i cerchietti di riferimento non oltrepassino la zona delimitata<br />
dai trattini. La sensibilità del sistema si estende<br />
tra 2 e 20 EV.<br />
Le conclusioni…<br />
Nella gamma di reflex Contax, la RX si pone ad<br />
un livello intermedio, appena al disotto della RTS III.<br />
La costruzione è quella tipica delle reflex professionali,<br />
realizzata con materiali idonei per durare <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> e<br />
resistere ad un uso intenso, e con una versatilità d’impiego<br />
ancora oggi più che valida. Comoda da usare per<br />
la sua ergonomia e i selettori sovradimensionati, silenziosa<br />
<strong>nel</strong> funzionamento nonostante i vari motori addetti<br />
alle diverse funzioni della fotocamera, offre anche<br />
una serie di comode personalizzazioni ed il dorso data<br />
incorporato. In rapporto al peso piuma di alcune reflex<br />
attuali quello della RX, abbinato ai sostanziosi vetri<br />
Zeiss, può sembrare eccessivo, ma è lo scotto da pagare<br />
alla qualità dei materiali impiegati, e questo garantisce<br />
anche un assorbimento ottimale delle vibrazioni<br />
causate dalle parti in movimento. Molto valido – come<br />
sempre <strong>nel</strong>le Contax – il mirino di tipo long-eyepoint,<br />
nitido e ben contrastato, mentre quella che doveva essere<br />
la caratteristica saliente della RX – il sistema DFI<br />
per la messa a fuoco servoassistita – appare oggi poco<br />
rapido e soprattutto poco sensibile in condizioni di bassa<br />
luminosità, là dove sarebbe stato più utile, specialmente<br />
per chi ha problemi di vista. Manca purtroppo la<br />
possibilità di operare con almeno un <strong>tempo</strong> meccanico,<br />
e la batteria la litio utilizzata non è sempre di facile reperimento.<br />
Per una reflex di questa categoria manca il<br />
sollevamento anticipato dello specchio anche se, come<br />
già detto, la massa dell’apparecchio assorbe egregiamente<br />
eventuali vibrazioni.<br />
Ancora oggi ben quotata, la RX è destinata ad integrare<br />
un corredo professionale Contax, ma è sicuramente<br />
valida anche come reflex d’esordio per un fotoamatore<br />
impegnato ma dotato di buoni mezzi economici<br />
visto che oggi, per questo marchio, restano disponibili<br />
solamente gli ottimi ma costosi vetri Zeiss, essendo venuta<br />
meno l’alternativa economica dei cugini marchiati<br />
Yashica. A meno di non rivolgersi al mercato dell’usato<br />
e/o degli obiettivi universali.<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 35
KODAK RETINA<br />
di Papajoannou Konstantinos<br />
E adesso il vero dilemma sta tra un racconto “perso”<br />
<strong>nel</strong>l’ oggettività strumentale del mezzo o tra un tentativo<br />
magari “profano” e poco “esperto” di scoprire le<br />
impressioni di “sognare” e “fare” l’immagine.<br />
E’arrivata da un carissimo amico. Un “amante” della<br />
macchina fotografica e della sua evoluzione <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>.<br />
Spesso mi diceva che la trasformazione dello strumento<br />
fotografico come mezzo di creatività non è altro che<br />
lo “specchio” dell’evoluzione umana, dei suoi bisogni<br />
e orizzonti.<br />
Piccola, maneggevole e saldamente rinchiusa in un<br />
“contenitore” ben rifinito targato “Kodak Retina IIC”.<br />
Una folding estraibile pronta a fermare l’attimo fuggente<br />
trasferendolo su una pellicola 35mm che qualcuno<br />
insiste ancora ad usare malgrado le conquiste dell’era<br />
digitale. Ieri il mondo ignorava questo traguardo.<br />
Oggi questo mondo dei “pixel evoluti” riscopre che<br />
l’idea dello scatto continua a prevalere sull’idea della<br />
sua manipolazione tecnologica. Il calcolatore deve<br />
essere accompagnato da qualcuno per poter andare a<br />
spasso a caccia dei momenti immaginari…<br />
Pensate che questa Retina costruita in Germania<br />
dalla Nagel non aveva bisogno di batterie per funzionare<br />
privando il mondo dal piacere dell’inquinamento<br />
procurato dai distratti e incuranti utilizzatori dell’energia<br />
accumulata. Ma questo era poco di fronte alla totale<br />
assenza dell’esposimetro, di questo meraviglioso<br />
strumento di misurazione della luce magari anche con<br />
“prevalenza al centro”, sistema conosciuto ai “vecchi”<br />
fotografi ormai dimenticato dai cultori dei calcoli zonali<br />
e frammentari della realtà. Questa assenza spingeva<br />
chi fotografava a osservare con cura la dimensione, la<br />
quantità e il “sapore fisico” della luce. Una costrizione<br />
che condannava i fotografi a pensare come la luce disegnava<br />
il reale. Gli imponeva a imparare con l’osservazione<br />
dell’errore perpetuato <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> che la fotografia<br />
non è altro che interpretazione della materia tramite<br />
l’anima della luce.<br />
Ma le privazioni non finivano qui. Pensate che la<br />
leva di carica era situata <strong>nel</strong>la parte inferiore della macchina<br />
provocando, a quel <strong>tempo</strong>, chi sa quante critiche<br />
e dividendo magari il mondo tra i “leicisti” e i “retinomani”<br />
entrambi probabili difensori delle diversità secondarie<br />
che spesso oscurano la sostanza del mezzo<br />
come supporto di ricerca . Tra quelli che privilegiavano<br />
il concetto dell’impugnabilità quasi perfetta di una leva<br />
pronta a rispondere all’impulso tattile e quelli che accettando<br />
qualche spostamento del pollice verso il basso<br />
continuavano allegramente a trascinare il rullino verso<br />
la realizzazione delle loro immaginazioni fotografiche.<br />
In ogni caso di leva si trattava visto che ancora il<br />
trascinamento automatico era destinato ad un futuro<br />
lontano ed incerto. Il “calvario” procurato da questa<br />
macchinetta magra e timida si individuava <strong>nel</strong> meccanismo<br />
dell’impostazione del primo fotogramma per lo<br />
scatto. Inserita la pellicola e chiusa la parte posteriore<br />
il fotografo del <strong>tempo</strong> era costretto a spingere <strong>nel</strong>la<br />
parte superiore un bottone per poi con un altro situato<br />
<strong>nel</strong>la parte alta posteriore trascinare tutto sul primo<br />
fotogramma. Il momento era probabilmente molto laborioso<br />
visto che le mani agivano sul corpo macchina<br />
distraendo la mente dalla riflessione. Non a caso oggi<br />
con l’aiuto dell’elettronica questa “terribile” fase <strong>nel</strong>la<br />
storia della fotografia è felicemente superata.<br />
L’otturatore meccanico era situato tra le alette del<br />
diaframma impedendo il ricambio degli obiettivi problema<br />
che fu risolto con la costruzione di un primo<br />
gruppo ottico fisso e un secondo per il 35 e 80mm intercambiabile.<br />
Il mirino, che per questo motivo si pronunciava<br />
con la C maiuscola, era di grandi dimensioni<br />
con la presenza delle sagome per la delimitazione delle<br />
focali 35, 50 e 80mm.<br />
Infine gli obiettivi erano costruiti dalla celebre ditta<br />
di ottica Schneider Kreuznar con la denomiziazione<br />
Xenon. Il C rosso sul fronte della lente indicava che<br />
l’obiettivo era trattato per il colore.<br />
Impressioni<br />
La Retina IIC si tiene in mano offrendo dal primo<br />
momento una sensazione di compattezza e di solidità.<br />
36 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
KODAK RETINA<br />
Una piccola macchina che convince<br />
subito per la sua precisione meccanica<br />
secondo le migliori tradizioni<br />
dell’industria fotografica tedesca.<br />
Il meccanismo di estrazione del<br />
gruppo ottico è veramente preciso e<br />
fluido. La messa a fuoco altrettanto<br />
dolce e precisa. Lo scatto, grazie<br />
all’otturatore centrale, molto silenzioso<br />
e senza vibrazione…magari<br />
avessero uno scatto simile le macchine<br />
moderne. Gli obiettivi Schneider<br />
Xenon insieme alla finezza<br />
dei dettagli offrivano una particolare<br />
plasticità che conferiva all’immagine<br />
una sensazione di volumetria e<br />
tridimensionalità.<br />
Con questi obiettivi costruiti ancora<br />
con l’utilizzo di vetri si possono<br />
ottenere, ancora oggi, delle<br />
bellissime immagini caratterizzate<br />
dalla ricchezza dei dettagli e, per<br />
quel che riguarda il bianco e nero,<br />
da una incredibilmente vasta gamma<br />
tonale.<br />
La “dolcezza” dello scatto e la<br />
luminosità del mirino contribuivano<br />
all’uso della macchina a mano<br />
libera anche con scarsa luce. L’otturatore<br />
compur garantiva precisione<br />
e costanza <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>.<br />
Un po’ di storia<br />
La Retina IIC è la “logica” conseguenza<br />
di una lunga tradizione<br />
Kodak <strong>nel</strong> campo della fotografia e<br />
più specificatamente delle macchine<br />
a telemetro 35mm.<br />
Il 1933 è l’anno della presentazione<br />
della sua prima macchina con<br />
tempi d’otturazione fino a 1/1000 di<br />
secondo.<br />
Nell’ 1934 <strong>nel</strong>lo stabilimento<br />
Kodak di Stoccarda, in Germania,<br />
viene realizzata la prima macchina<br />
fotografica di precisione compatta,<br />
la leggendaria Kodak RETINA I.<br />
Mentre un anno dopo viene messa<br />
in vendita la pellicola invertibile<br />
KODACHROME, la prima pellicola<br />
a colori amatoriale, inventata da<br />
due musicisti, Leopald Mannes e<br />
Leopold Godowsky, e perfezionata<br />
nei laboratori Kodak. Nel 1935 è<br />
disponibile <strong>nel</strong> formato 16 mm per<br />
cinema; <strong>nel</strong> 1936 viene lanciata nei<br />
formati 8 mm per cinema e 35 mm<br />
per diapositive.<br />
Le prime Retina I del 1939 erano<br />
delle compatte a mirino galileiano,<br />
dal 1951 alle ultime del 1957<br />
l’obiettivo era l’eccellente Schneider-Kreuznach<br />
Retina Xenar 50mm<br />
f2,8. Ma per noi l’interesse è sulle<br />
Retina II, IIa e IIc a telemetro (prodotte<br />
dal ‘49 al ‘57) e sulla Retina<br />
IIIc, una sofisticata telemetro prodotta<br />
dal ‘54 al ‘57, folding come le<br />
prime Retina, ma con esposimetro<br />
al selenio e obiettivo intercambiabile<br />
(una rarità per le folding).<br />
Come epilogo…<br />
Ringraziando intimamente chi<br />
ha “rischiato” pubblicando i miei<br />
“profani” pensieri attorno ad una<br />
macchina fotografica su queste belle<br />
pagine della rivista desidero aggiungere<br />
ancora qualche timida riflessione.<br />
Confrontarsi con le conquiste<br />
tecnologiche oltre che utile lezione<br />
per la compressione storica dell’evoluzione<br />
del mezzo costituisce<br />
probabilmente un momento di<br />
sostanziale critica di quello che è<br />
realmente utile. L’uomo fruitore e<br />
insieme, costruttore di conoscenze<br />
è del resto l’unica valida risposta all’uomo<br />
consumatore acritico delle<br />
scelte altrui.<br />
Il sapiente uso del mezzo e <strong>nel</strong><br />
nostro caso la “vera” conoscenza<br />
delle privazioni e delle nuove possibilità<br />
offerte dal livello tecnologico<br />
può “sfamare” la mente umana<br />
dando gli anticorpi per combattere<br />
il deserto delle intenzioni e delle<br />
scelte.<br />
Come dire, anche una Retina, in<br />
un momento della storia della fotografia,<br />
in un determinato livello<br />
di conoscenza poteva rispondere a<br />
modo suo alla ricerca del realizzatore<br />
dell’attimo fuggente.<br />
A patto che quel momento aveva<br />
senso…<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 37
Intervista a Gianni Ansaldi<br />
di Giampiero Orselli<br />
Come è iniziata la tua avventura di fotografo ritrattista?<br />
La mia avventura di fotografo ritrattista è iniziata guardandomi intorno <strong>nel</strong>la città<br />
in cui vivo (Genova ndr.) e notando il sottobosco culturale nascosto e terribilmente<br />
fertile che c’era. Siccome so fare fotografie ho detto, proviamo a incontrare queste<br />
persone e fotografiamole. Così è iniziata la prima serie di foto dedicata ai personaggi<br />
dell’underground meno conosciuti. Poi, per forza di cose, frequentando persone della<br />
cultra e dello spettacolo più ufficiale, come il poeta Sanguineti o il comico Enrique<br />
Balbontin o il critico Claudio Fava, ho cominciato a ritrarre anche loro, sempre<br />
mantenendomi in ambito ligure diciamo così... stanziale. Dopodiché ho iniziato a<br />
incontrare anche i “liguri della diaspora”, come Cristiano De André o Pietro Cheli.<br />
Poi anche questo vincolo geografico è saltato e le foto si sono estese a personaggi<br />
nazionali e internazionali.<br />
Quali sono le tue apparecchiature?<br />
Visto il modo con cui mi approccio ai soggetti mi sembra d’obbligo usare le<br />
macchine a cui sono più legato, anche grazie alla passione tramandatami da mio<br />
padre. Sono le Leica M, <strong>nel</strong>lo specifico una M6 e una M3. La mia non è una scelta<br />
snobistica o legata solamente all’aspetto della qualità e dell’affidabilità, ma è dovuta<br />
anche alla loro discrezione e silenziosità, al fatto che il telemetro mi permette tempi<br />
più brevi rispetto a una reflex, o il fatto che il carisma naturale di macchine come<br />
queste mi aiuta a fare cose migliori. E’ un po’ come frequentare persone di grande<br />
spessore intellettuale, che ti permette di approfondire argomenti più interessanti che<br />
non frequentando… imbecilli. La M3 la uso con il leicameter, che non è il massimo<br />
della precisione pellicole BN cromogene (una fra tutte la Kodak BW400CN) ho una<br />
certa elasticità di esposizione. Le focali che utilizzo hanno un range che va dal 35<br />
al 50 millimetri, ottiche assolutamente “normali” per far sì che possa fotografare le<br />
persone chiacchierando con loro a una distanza “dialogica”. Uso prevalentemente<br />
un Sumicron 35, preasferico, un Summilux 35 sempre preasferico, un fantastico<br />
Summicron 50 del 56, e spesso un Sumicron 40 C, l’obbiettivo nato per la piccola<br />
CL, che amo molto. Non cambio mai obiettivo durante il “dialogo”. Lo scelgo prima in<br />
base alla situazione in cui mi troverò. Un 35 se saremo seduti vicini, magari con una<br />
scrivania in mezzo, il 50 se sarò accolto in un salotto con comode poltrone o il 40 se<br />
non saprò cosa aspettarmi.. In questo modo, evito gli atteggiamenti e riesco a cogliere<br />
la spontaneità.<br />
Bianco e nero o colore?<br />
La scrittura con la luce per me è solo in bianco e nero. Non ricordo nemmeno una<br />
foto a colori che abbia segnato la mia vita di appassionato di fotografie, a parte forse<br />
qualcosa di Haas perché era contenuta <strong>nel</strong> primo libro che mi hanno regalato da<br />
bambino. Sembra un paradosso, ma ho impressione che solo le foto in bianco e nero<br />
restituiscano i colori e la luce della realtà.<br />
I tuoi fotografi di riferimento?<br />
Due per tutti: Cartier-Bresson perprimo. Molti suoi ritratti sono sfocati, mossi, con<br />
angolature non tradizionali o piacevoli, però posseggono un’anima idefinibile e unica,<br />
come il ritratto ai coniugi Courie<br />
L’altro fotografo di cui mi piace guardare le fotografie la sera prima di un<br />
“ritrattamento” è il buon Boubat , non mi stancherei mai di guardare il suo signore<br />
portoghese sulla spiaggia con il bimbo in braccio, le ragazze di schiena di fronte al<br />
38 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Intervista a Gianni Ansaldi<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 39
Intervista a Gianni Ansaldi<br />
mare o le foto fatte dalla finestra a donne o a gatti o a semplici piantine con una luce<br />
che sembra venire dal cielo solo per lui. Una luce che non so perché ma credo non<br />
esista più. La stessa luce che filtrava attraverso le foglioline di una piantina di basilico<br />
che mio nonno, io ero bambino, metteva sul bancone per non far entrare le zanzare in<br />
casa...<br />
Il tuo rapporto col computer?<br />
Con il computer ho un rapporto fantastico, lo stesso che avevo con l’ingranditore.<br />
Ho sempre sviluppato e stampato da solo il bianco e nero, ma ho scoperto che ci sono<br />
ottime pellicole cromogene che lo scanner che uso attualmente, un Minolta Dimage<br />
Elite 5400, digerisce benissimo dandomi ottimi risultati. Non trovo molta differenza di<br />
approccio rispetto a quando stavo al buio con l’ingranditore. Oggi mi bagno meno<br />
di acidi e inquino meno l’ambiente (credo). Col computer evito di fare quelle cose<br />
che non potrei fare anche con l’ingranditore, mi limito a semplici mascherature o<br />
a regolazioni di contrasto. Faccio sempre fotografia e non editing. Mi manca un po’<br />
l’odore del bagno di arresto, è vero. Ormai l’acetico lo odoro solo per tenermi sveglio<br />
<strong>nel</strong>le notti di lavoro al computer.<br />
Ci racconti qualche aneddoto?<br />
Un “non aneddoto”. Quasi nessuno dei ritrattati vedendosi davanti uno con una<br />
macchina di 50 anni ha fatto commenti. Nessuno degli oltre cento ritrattati stranamente<br />
si è stupito di non trovarsi davanti una digitale tutta lucine. L’unico che ha lanciato<br />
una bella esclamazione goduta è stato Fabrizio Casalino (in arte “Giginho”), perché<br />
sua padre possiede una macchina del genere. Lui faceva un po’ il clown durante il<br />
nostro incontro, così ho deciso di pubblicare l’unica foto in cui è molto serio.<br />
40 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Intervista a Gianni Ansaldi<br />
Il personaggio che sogni di fotografare in assoluto?<br />
Tra i “quasi impossibili” Woody Allen, senza dubbio, Wim Wenders, e non mi<br />
dispiacerebbe neanche Ciampi. Quando andrà in pensione, cerchero di contattarlo. Ho<br />
il rimpianto di una foto mancata. Avevo di fronte Lou Reed, presentatomi da un amico,<br />
gli ho stretto la mano... ma non avevo la macchina con me così mi sono allontanato col<br />
desiderio di sprofondare in un tombino.<br />
E la donna che ti piacerebbe fotografare?<br />
In un’altra intervista, ho dichiarato che non amo fotografare le donne perché di<br />
solito hanno più attenzione per come si vedranno <strong>nel</strong>la foto finale piuttosto che<br />
cercare di proporre un’immagine reale. Ma non è sempre così. Ad esempio non è stato<br />
così con Carla Signoris che di solito vediamo in televisione o su certe giornali glamour<br />
dopo un pesante trattamento di trucco. Da me s’è fatta fotografare di prima mattina<br />
senza ombra di trucco e appare come una splendida “quarantaepassenne” con tutta<br />
la sua storia. Mi è sembrata felice della foto anche se mi ha pregato di mettere come<br />
didascalia: “Attrice senza trucco”.<br />
La donna che in assoluto mi piacerebbe di più fotografare è Juliette Binoche. Film<br />
Blu è uno dei miei film di culto.<br />
Poi ci sono le “mie” donne. Che adoro fotografare. Mia moglie e le mie bambine. Che<br />
mi hanno fatto scoprire che davanti al mio obiettivo già dai quattro anni cominciano a<br />
fare le difficili... è la magia del femminino...<br />
Sai vero che ti chiederò come mai le tue foto sono sempre storte?<br />
Inclinate, please... Mi piacerebbe che a rispondere fossero eventuali critici, ma<br />
proverò ad abbozzare una risposta. Dal lato “estetico” posso dirti che questo<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 41
Intervista a Gianni Ansaldi<br />
“movimento” favorisce la cognizione del “dialogico” da cui i miei ritratti partono<br />
sempre... l’”onda del dialogo”... da quello teorico potrei dire che ho notato che<br />
quando parlo con qualcuno mi accorgo di avere sempre il viso e quindi lo sguardo<br />
leggermente inclinato, e quindi ho la voglia di ricreare quel tipo di “visione”... in realtà<br />
è che nei miei ritratti voglio che prevalga sempre l’istintualità, il “baciare l’attimo” <strong>nel</strong><br />
modo più imprevisto e improvviso... e quando si bacia è giocoforza inclinare il volto...<br />
Hai mai fatto autoritratti?<br />
Non resisto agli autoritratti. Ogni volta che mi trovo in un ascensore davanti allo<br />
specchio, tiro fuori la macchina. Nove volte su dieci, la foto viene mossa perché gli<br />
ascensori di Genova sono vecchi (e menomale), bui e sballonzolano in un modo che<br />
si nota solo quando si cerca di fare una foto. Rendo pubbliche solo le foto recenti,<br />
perché non voglio dare di me un’immagine che non corrisponde più alla realtà.<br />
L’occhio del padrone ingrassa il cavallo, e l’occhio del fotografo?<br />
Spero che per molto <strong>tempo</strong> ancora ingrassi i mercanti di pellicole.. ma il digitale<br />
avanza. E’ il progresso, baby...<br />
Frammenti di un’intervista a Gianni Ansaldi realizzata a Genova il 1 marzo 2006<br />
42 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
Arturo Rebora e il suo “angolo”<br />
Rimescolando in ottiche<br />
“In un bosco trovai pastorella, più che bella al mio parere….”<br />
Il poeta va avanti ed io mi fermo. Nei miei amati<br />
cassetti ho trovato, ma non dimenticati, quei begli obiettivi<br />
Zeiss per Contarex unici almeno per la meccanica e la<br />
cosmesi fatti a botticella; come li vedo me ne innamoro<br />
sempre di più specie oggi che giovani ragazze mi offrono il<br />
posto a sedere in autobus che rifiuto sempre cortesemente<br />
ringraziando per il gesto. Ma perché sono finiti sulla Contarex?<br />
Perché ostinarsi a fare anche le macchine fotografiche?<br />
In una officina ho visto uno strumento Zeiss di controllo<br />
profili, una meraviglia struggente ed ancora perché Contarex<br />
ed altre? Due di questi obiettivi sono già finiti sulla mia<br />
Leicaflex SL, qualcuno mi disprezza, altri no; sono comunque<br />
convinto del mio gioco. E’ proprio obbligatorio fotografare<br />
con la reflex? Certo è più comodo, la reflex ha inventato<br />
il mirino, prima esistevano solo dispositivi di puntamento ed<br />
inquadratura, un poco come <strong>nel</strong>le armi a tiro lontano ed ecco<br />
che oggi voglio tornare indietro.<br />
Voglio usare gli obiettivi Contarex sulla Leica a vite IF<br />
con bei mirini dedicati alle varie focali. Sarà un gioco suscettibile<br />
di critiche ma eccovi il risultato con le dovute rinuncie<br />
e limitazioni.<br />
Perché ragiono così? Non ho mai capito perché chi è stato<br />
bravo a costruire ottiche voglia fare macchine fotografiche<br />
e viceversa, è una gelosia incomprensibile o la prepotenza<br />
di condizionare il fotoamatore? Oggi <strong>nel</strong>l’universale mondo<br />
degli scambi questo dovrebbe cessare: tu costruisci la macchina,<br />
io gli obiettivi entrambi al meglio per costo e qualità e<br />
saremo tutti contenti coi nostri mercati. Solo Exakta ed Alpa<br />
hanno ragionato come me: Quanta gelosia così il mercato<br />
muore o si orienta a rottamaglia generica.<br />
Credo di aver espresso ilmio punto di convinzione, stampo<br />
cinque foto per notte 18x24 o 30x40 apro il laboratorio<br />
casalingo alle ventidue e lo chiudo alle due e trenta del giorno<br />
dopo. Di notte non vi sono vibrazioni sull’ingranditore e la<br />
concentrazione è totale.<br />
Se dovessi vivere però di questo pane peserei meno della<br />
metà con grande gioia di mia moglie, ma senza tale gioco sarei<br />
da <strong>tempo</strong> vestito di mogano da tre centimetri di spessore.<br />
Amici, non mi sento portato a questo tipo di abito.<br />
A voi il giudizio insindacabile come sempre. Arturo Rebora<br />
Che ne dite di questa prima esposizione?<br />
- Leica IF con Blogon 21 Contarex<br />
- Leicaflex con Olymoia Sonar 250 l’avete già visto in<br />
Scatti di aprile un anno fa<br />
- E questi bei Hektor 135 impossibili sulle vite ed M<br />
come li vedete sulla mia Leicaflkex?<br />
Allegare foto disco<br />
Faccio il ritratto<br />
Molti anni fa ho conosciuto un fotografo ritrattista con u<br />
a attrezzatura unica mai riscontrata in altri laboratori e ve la<br />
voglio descrivere. E’ risaputo che oltre al trucco dei visi da<br />
ritrarre il buon risultato si ottiene dirigendo acconciamente le<br />
luci in funzione degli effetti che si vogliono ottenere illuminando<br />
il viso in base alla forma, pregi e difetti.<br />
Poi entrano in funzione tipo di film usato ed obiettivo fotografico.<br />
Ecco la descrizione.<br />
1°) Set di ripresa: due faretti laterali ed uno sfondo; sullo<br />
sfondo luci di effetto abbastanza tradizionali più qualche spot<br />
diffuso. Ma il pregio visto sono state le pareti laterali; in sintesi<br />
dodici più dodici lampade laterali disposte a scacchiera<br />
e puntate sul soggetto al centro del set ma non sempre tutte<br />
accese.<br />
A questo punto il signor mago fotografo l’ho visto armeggiare<br />
su una pulsantiera tipo fisarmonica che accendeva o<br />
spegneva le lampade ottenendo illuminazioni sul viso atte ad<br />
esaltare o ridurre le sinuosità. Ho provato con una statuetta ed<br />
una lampada direttiva. E’ una esperienza che può far capire<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 43
Arturo Rebora e il suo “angolo”<br />
come la illuminazione possa cambiare i<br />
volumi degli oggetti.<br />
2°) Film: il mago ha usato Tri X vecchia,<br />
cristalli tradizionali, sviluppo D76<br />
diluito oppure naturale, carta baritata<br />
opaca , credo non si possa scegliere meglio<br />
in ambito tradizionale.<br />
3°) Obiettivo: luminoso ma usato a<br />
diaframma 4 ( 5,6 è già troppo chiuso)<br />
focale 85/90/100; 135 per i testoni o<br />
particolari del viso. Io ho usato anche<br />
un 250 a 4 per il diaframma, inoltre ho<br />
modificato un Sonar 85 Contarex per un<br />
montaggio su Leica SL; ha il diaframma<br />
da predisporre come ho già descritto<br />
in altro Scati <strong>nel</strong> Tempo (aprile 2005)<br />
ma tutto rimane comodamente fisso e<br />
facilitato. Tra i vari in mio possesso lo<br />
preferisco specie per la focale.<br />
Amici se non vi stancate di provare<br />
ritengo possiate giocare con buon<br />
divertimento ed apprezzamento delle<br />
vostre modelle. Ed eccovi la pianta del<br />
set. (aggiungere disegno)<br />
Dove vai fotografia? Dove?<br />
Quando frequentavo il liceo prima<br />
del 1950 due parole studiando latino e<br />
tedesco mi affascinavano: “Quo vadis”<br />
che poi è anche un film famoso e “Gotterdammerun”<br />
o Crepuscolo degli Dei.<br />
Ecco Rebora che rompe ma udite, sentite<br />
anche se devo prenderla un poco da<br />
lontano.<br />
Ogni epoca ha i propri miti, mode<br />
e tecniche e quindi anche la fotografia;<br />
sono passati il collodio, altro, ed oggi la<br />
pellicola sensibile, niente da dire, specchio<br />
dei tempi, ma fotografare e fare<br />
fotografia vuol dire scrivere con la luce<br />
ancora oggi. Prima si vede si osserva si<br />
studiano le luci che illuminano i soggetti<br />
da ritrarre e poi si fissa con la attrezzatura<br />
acconcia quanto si è visto, qualunque<br />
attrezzatura può andare bene.<br />
Oggi però non è più come in passato<br />
a mio avviso. Vedo, escludendo i<br />
veri fotografi almeno in parte, masse<br />
di persone con un quadretto ad altezza<br />
d’occhio con i gomiti alzati a comporre<br />
l’immagine sul quadretto, certo bella,<br />
ma sento anche dire: “poi con l’elaboratore<br />
o computer cambio inquadratura,<br />
colore, tolgo i disturbi d’immagine”; un<br />
signore guardandomi mentre lo guardo<br />
interviene: “ sa’ ne ho già scattate centoventi<br />
poi questa sera le selezionerò”<br />
– sarà possibile in una sera?<br />
Non ho risposto, oggi mi riesce difficile<br />
conversare a base di pixel, milioni<br />
di pixel più ve ne sono migliore è la fotografia,<br />
foto e banche, autotreni di milioni,<br />
milioni di euro milioni di dollari e<br />
così via ai pixel.<br />
E la profondità di campo, il diaframma,<br />
la lunghezza focale, lo sfuocato il<br />
mosso, i tempi lunghi il flou che anche i<br />
fotografi di matrimoni confondono con<br />
lo sfuocato dove sono finiti? Non servono<br />
più? E le esportazioni di Alfredo<br />
Ornano ai neofiti a ben costruire un negativo<br />
per la stampa in camera oscura<br />
sul proprio ingranditore dove sono finiti,<br />
e non parlo di Ansel Adams.<br />
Oggi con tutti i pixel ed il computer<br />
collegato alla stampante. Niente mani<br />
abili per mascherare e dosare la luce<br />
sulla stampa, niente abilità a maneggiare<br />
le baci<strong>nel</strong>le coi reagenti adeguati<br />
e differenti, niente chimici e niente dialogo<br />
tra amici appassionati di fotografia<br />
capaci o no ma comunque coinvolti <strong>nel</strong>la<br />
realizzazione di una immagine.<br />
Appunto dove vai fotografia? E pensare<br />
che in passato qualche volta venivano<br />
esclusi dai concorsi amatoriali<br />
quelli che si sapevano possessori di una<br />
Leica (quelle a vite) i quali inoltre non<br />
avevano ancora capito di avere solo un<br />
buon otturatore. (sarò punito per questa<br />
constatazione?).<br />
Anche per mia figlia ho comprato<br />
una pizcamera ma con lei parlo solo di<br />
immagine, lei sa usare i programmi che<br />
cancellano cambiano zoomano mettono<br />
ciò che non c’è e non si è visto neanche<br />
al momento della ripresa sul campo.<br />
Io e qualche mio amico che tutti conoscono<br />
sappiamo solo mettere le nuvole<br />
nei cieli troppo tersi, e per procurarci<br />
le nuvole fotografiamo il cielo<br />
dopo un <strong>tempo</strong>rale per averle ben<br />
grasse e contrastate con tanti grigi<br />
ed ovviamente con pellicola Bianco/Nero.<br />
Secondo voi senza invocare Wagner<br />
ciò è o non è il crepuscolo degli<br />
dei? Ed allora Tessar, planar, Sonar<br />
unibilissimi vetri insieme ai colossi<br />
Gauss, Rodolph, Taylor tutti in coperta<br />
marinai ed informate i mega<br />
pixel imperanti che la fotografia la<br />
fate ancora voi, voi che guidatela<br />
luce e scrivete con i suoi raggi.<br />
Salve amici del vetro. Arturo<br />
Rebora<br />
44 _______________________________________ <strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong>
OPERE DI PIERO FARINA ALLA GALLERIA CARRA’<br />
Da la GAZZETTA DI PARMA – Martedì 20 gennaio 2004.<br />
OPERE DI PIERO FARINA ALLA GALLERIA CARRA<br />
Come trasformare la fotografia in “pittura”. Si potrebbe, a prima vista, raccontare così la mostra di Piero Farina, aperta alla Galleria<br />
d’arte fotografica Carra di Piazzale Cervi, fino al 7 febbario. Ma è solo un’”illusione” visiva, perché il fotografo e stampatore, milanese<br />
d’origine ma pavese d’adozione, non ha mai abbandonato <strong>nel</strong>la sua ricerca il mezzo e le tecniche della fotografia. L’esposizione presenta<br />
poco più di una ventina di opere, realizzate tutte tra il 2002 ed il 2003, raccolte sotto l’allusivo titolo “La materia delle immagini”, e<br />
mette in evidenza l’evolversi di un’operazione creativa, che affonda le radici in un passato tutto “in bianco e nero” e che è approdata<br />
alle chimigrafie di cui il colore diventa soggetto del percorso creativo.L’autore utilizzando in maniera “anomala” le chimiche per uso<br />
fotografico con attenzione anche ai loro effetti sulle carte di stampa, realizza infatti una sorta di trama “informale”, in cui il colore<br />
acquista valenze e forme diverse, elevando in questo modo la materia a vera e propria espressione autonoma dagl infiniti significati “in<br />
libertà”. A monte un’esperienza che guarda ad una lunga tradizione di fotografi-artisti che hanno indagato le possibilità espressive dei<br />
materiali fotografici e della luce quali Man Ray, Moholy-Nagy, Veronesi, Mulas, Migliori, e che hanno lasciato una traccia ben definita<br />
in questo tipo di ricerca dentro la creatività. Il percorso prosegue con le fotochimigrafie dove l’immagine di base acquista una propria<br />
specifica valenza sia che resti leggibile sia che venga scomposta in sequenza fino a perdere i connotati definiti tanto da essere in alcuni<br />
casi rintracciabile solo dall’occhio attento. La riflessione sulla materia viene così a riunirsi all’idea di soggetto che vive però di una<br />
sorta di distruzione progressiva, quasi forma in disgregazione. Ma Farina non si ferma qui. Se la mostra riassume infatti un ben preciso<br />
percorso, l’autore, da instancabile ricercatore, si apre già a nuove intenzioni. “Il prossimo passo – conferma – andrà verso quelle che io<br />
chiamo le combustioni e le foto sculture”, alla ricerca di nuovi effetti visivi, affidandosi a nuove invenzioni e interventi sui modi e sui<br />
mezzi della fotografia.<br />
Stefania Provinciali<br />
<strong>scatti</strong> <strong>nel</strong> <strong>tempo</strong> ___________________________________________________________ 45
Assessorato alla Cultura e Tempo Libero<br />
Assessorato allo Sviluppo Economico<br />
Comune di Castel San Giovanni<br />
<strong>Associazione</strong> <strong>Castello</strong><br />
<strong>Immagini</strong><br />
vi aspettiamo per la prossima<br />
edizione che si terrà<br />
Domenica 15 aprile 2007<br />
PHOTO ‘90<br />
Val Tidone<br />
Mostra-Mercato di materiale fotografico<br />
usato e d'epoca<br />
www.photo90.it - E-mail: info@photo90.it<br />
Per informazioni Dante Tassi 335-33.05.08 oppure Anna Dallanoce 335-60.77.836<br />
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