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EDITORIALE<br />
di Lodovico Ellena ......................................3<br />
RIVOLUZIONE E TRADIZIONE<br />
RIPOPOLAMENTO<br />
di Alessandro Murtas ..................................6<br />
STORIA E CONTROSTORIA<br />
NAZIONALSOCIALISMO<br />
di Matteo Pastori ......................................12<br />
CURIOSITÀ GIUDEO MASSONICHE<br />
di Marco Linguardo ..................................14<br />
GLI UFO ESISTONO DAVVERO?<br />
di Massimo Buzzurro ................................18<br />
DIFESA DELLA TRADIZIONE<br />
I MISTERI DI MITHRA<br />
di Alessandro Riccardi ..............................24<br />
LA MODERNA RELIGIONE DELLA SCIENZA<br />
di Michele Russo ......................................34<br />
PLATONE - SECONDA PARTE<br />
di Matteo Pastori ......................................38<br />
THULE SOCI<br />
ISLANDA<br />
di Lodovico Ellena ....................................48<br />
PELLEGRINAGGIO A NEMI<br />
di Antonella Tucci ....................................56<br />
PERCORSI AL FEMMINILE<br />
LE DANZE SACRE FEMMINILI<br />
di Antonella Tucci ....................................60<br />
RECENSIONI<br />
UNO SCRITTORE BENITENZIONATO<br />
di Valerio Raimondi ..................................68<br />
SOCIETÀ<br />
DISOCCUPAZIONE IN PILLOLE<br />
di Enrico Gavassino ..................................74
Editoriale<br />
di Lodovico Ellena<br />
Di quando in quando si levano voci sempre più numerose relative ai costi della<br />
macchina politica nazionale, costi che al di là delle percentuali e dei confronti con<br />
analoghe strutture di altri Stati hanno un che di mortificante. E tutto nella - quasi<br />
- assoluta indifferenza della popolazione, troppo distratta e preoccupata invece<br />
dell’ultimo flirt di qualche ballerina o degli sviluppi di qualche truculenta inchiesta<br />
di cronaca. E dei privilegi parlamentari - esponenziali ed in buona parte del tutto<br />
ingiustificati, delle legioni di auto blu, delle campagne elettorali milionarie (carine<br />
quelle di sedicenti ambientalisti che sterminano foreste per far circolare le loro facce<br />
su tonnellate di manifesti giganti), del costo di certi detenuti che meriterebbero<br />
invece di spaccare pietre per tre vite e della decadenza culturale chissenefrega. Si dice<br />
che ognuno ha il governo che si merita, vero, ma altrettanto vero il fatto che esistano<br />
minoranze in lentissima crescita a cui tutto ciò comincia a stare sempre più stretto,<br />
al punto di avvertire con sempre maggiore chiarezza un prurito ogni giorno più<br />
insopportabile ed irritante. Mai come nelle ultime tornate elettorali infatti la<br />
convinzione, anche da bar, che alla fine tutta questa classe politica sia roba scaduta<br />
e puzzolente si và facendo strada, ma in conclusione manca alla fine il modo per<br />
manifestare quell’urlo feroce che sempre più “elettori” sentono crescere dal loro<br />
profondo. Un ruggito di rivolta, di protesta, un rigurgito di nausea, di disgusto<br />
contro tutta questa classe politica nella sua interezza senza più l’ombra di una<br />
qualsiasi dignità. E che si tratti di una colossale truffa, rossa, bianca o nera la si<br />
voglia vedere lo dimostra il fatto che la prima delle riforme da farsi non è mai stata<br />
né mai sarà fatta, ossia la riduzione dei costi di questa intera classe politica.<br />
Rileggere Fidel Castro potrebbe diventare a questo punto un interessante stimolo<br />
che al di là della collocazione ideologica del personaggio, sulla quale si potrebbe<br />
comunque a lungo dibattere, sarebbe invece utile ginnastica intellettuale per<br />
trascendere categorie e idee preconfezionate. Perché non è più questione di simboli,<br />
bandiere o gadget, piuttosto è qui in gioco il futuro economico, politico, religioso,<br />
ludico e sociale di tutto: e o si trova la forza di dare un poderoso calcio a questo<br />
complesso sistema di privilegi, sperperi, assurdità, intrallazzi e meschine parrocchie<br />
fagocitanti tonnellate di briciole, o quel calcio continueremo a prenderlo invece tutti<br />
noi giorno dopo giorno: consenzienti e genuflessi. Questa politica, questa destra<br />
questa sinistra questo centro sono un cancro sociale, e o si è parte del problema o si<br />
è parte della soluzione. Si cominci quindi a riflettere e a far riflettere ovunque su di<br />
una elementare evidenza: cosa giustifica che milioni di euro vengano divorati da<br />
questa politica e dai suoi effetti collaterali? Cosa giustifica che deputati, senatori,<br />
ministri o sottosegretari debbano avere stipendi, pensioni e premi per migliaia e<br />
migliaia di euro mensili? Cosa giustifica che parlamenti nazionali e regionali<br />
consumino una quantità tale di ricchezza che potrebbe invece essere distribuita in<br />
ben altro modo al popolo? Da questi elementari ma rivoluzionarie fatti deve muovere<br />
il primo passo per la rinascita di questo malridotto paese e chi non li persegue oggi<br />
più che mai è un truffatore del popolo: rosso, verde o nero si dica. Siamo governati<br />
da truffatori che producono leggi per legittimare la propria truffa: aiuto.
RIPOPOLAMENTO<br />
L’Uomo di Thule apprende ogni giorno, nello<br />
scontrarsi con la realtà quotidiana, i diversi aspetti del<br />
mondo moderno a cui si è votato combattere, per<br />
Istinto sovrasensibile, che come tutti gli aspetti sottili<br />
è legato al Sangue, anche nel suo aspetto biologico.<br />
Tra questi vi è lo sradicamento dal Suolo che l’uomo<br />
bianco, Europeo nel nostro caso, ha subito e portato<br />
avanti dal tardo IX secolo in poi. Nel frangente di anni<br />
che ci separano da quando il “mito della città” si<br />
affacciò preponderante, inteso come modello di<br />
“modernismo” e “progresso”, inteso come “fumo e<br />
cemento” e non più come Polis, Capitale, centro<br />
propulsore di Politica, Arte e Cultura miranti verso<br />
l’Alto, ci sono state delle rivolte, sul Suolo Patrio, che<br />
traevano origine da quella misteriosa forza insita nel<br />
Sangue e nel Suolo. E’ a questa forza che dobbiamo<br />
richiamarci e riallacciarci, in una graduale<br />
purificazione dalle scorie moderniste che nel migliore<br />
dei casi si sono tenute sotto controllo nell’ambito del<br />
nostro vivere.<br />
Sia chiaro che non si vuole rigettare ciò che costituisce<br />
un arricchimento della vita e nemmeno ciò che i nostri<br />
Avi hanno creato non per porci al servizio di un<br />
sistema tecnocratico ma per avanzare in una maggiore<br />
conoscenza delle leggi naturali, e mai comunque con<br />
la presunzione di “dominio” delle stesse, vero sacrilegio<br />
dell’era moderna.<br />
Come ogni mezzo anche la tecnologia deve essere<br />
messa al servizio di un Ordine superiore che s’incarni<br />
nell’identificare ogni aspetto della Vita con la<br />
comunione del sangue e quindi del suolo.<br />
Oggi che la stessa agricoltura, quella che fu arte<br />
definibile come alchimia della terra, quella Scienza che<br />
aveva nei suoi maestri i Contadini la cui vita era<br />
scandita dalla sua semina e dal suo raccolto, dalla luce<br />
del Sole che riscaldava sé, il suo lavoro e dava vita alla<br />
sua opera, viene sottoposta uno schema meramente<br />
economico e globalista a detrimento degli ultimi resti<br />
di un contadinato europeo che si trova alla triste scelta<br />
del “adattarsi o scomparire”. Questo ha come riflesso<br />
lo spopolamento dei piccoli centri e l’annichilimento<br />
della Fedeltà all’Ethnos abbagliati dalle luci di quel<br />
grande centro commerciale di multirazzialità militante<br />
che sono ormai diventate le capitali e i capoluoghi<br />
europei. Anche in questo triste scenario la Thule non si<br />
deve lasciar travolgere dagli eventi ma pianificare una<br />
6<br />
Rivoluzione e Tradizione<br />
di Alessandro Murtas<br />
(Avatar)<br />
Resistenza Attiva, che alla fine, con gli adeguati mezzi,<br />
non potrà che costituirne un argomento di lotta centrale.<br />
Fin dai primordi della Thule Italia vi è stata<br />
un’aspirazione a lungo termine alla creazione di un<br />
attivo centro agro-urbano, che costituisse la cellula di<br />
un nuovo quanto Ancestrale modello di società.<br />
Un progetto ambizioso, un sogno ancor prima di<br />
un’idea, ma come tutto ciò che nasce dalle menti degli<br />
Uomini Contro il Tempo, che ancora muovono la loro<br />
Guerra Santa, e si riuniscono sotto il Nero Stendardo<br />
della Thule Italia, non irrealizzabile.<br />
Vi è da pianificare un metodo per giungere all’obiettivo<br />
datosi:<br />
- Con le escursioni i Fratelli devono imparare a<br />
conoscere il proprio territorio, la propria storia e a<br />
sentire scorrere in se la voce degli Avi oltre che a<br />
costituire un lavoro di documentazione comune<br />
all’Associazione.<br />
- Individuano punti di forte riferimento Storico,<br />
Mitico e Archetipico del proprio Territorio, a cui ogni<br />
Sezione Regionale deve richiamarsi. E’ importante<br />
trovare in ogni regione un luogo geografico in cui siano<br />
presenti al massimo questi aspetti, che faccia da centro<br />
di riferimento spirituale, in cui ritrovarsi nelle<br />
ricorrenze o nelle festività solstiziali: un Castello, una<br />
Foresta, una Necropoli, un luogo in cui si svolse una<br />
rilevante battaglia significativa nella difesa del Suolo<br />
Europeo contro i suoi nemici ecc..<br />
- Si rendono così conto di come questi stessi luoghi,<br />
siano spesso non abbastanza curati, non abbastanza<br />
ricordati, a volte abbandonati. Di come vicino ad essi<br />
possano esserci centri abitati che vanno vieppiù<br />
spopolandosi; e qui si ritrova una certa logica: dove un<br />
tempo abitavano gli Eroi oggi non c’è commercio, non<br />
c’è traffico, non c’è caos, automaticamente quel luogo<br />
sta fuori dal Grande Circolo mercantile. Ecco che gli<br />
spiriti deboli sono attratti verso il basso e vanno<br />
incontro a questo circolo.<br />
E’ qui che la Thule può pensare di intervenire.<br />
Ripopolare e ampliare con Uomini e Donne Europei<br />
quei centri che hanno “perso” il carattere Tradizionale<br />
(in realtà questo carattere in sé non può mai essere perso<br />
bensì solo momentaneamente scordato), e renderli di<br />
nuovo centri della Tradizione. E’ indubbio che un simile<br />
progetto comporta mezzi e capacità, questi mezzi e<br />
queste capacità sono portati da menti umane, le menti
umane sono attratte o respinte da ciò che è in sintonia<br />
con il loro spirito, con la propria vocazione. Ecco allora<br />
che il primo passo, nel momento in cui si ritiene di essere<br />
pronti, per attrarre a questo progetto chi effettivamente<br />
ha non solo volontà di “popolare” ma ancor prima chi<br />
metta a disposizione le proprie capacità in termini<br />
tecnici, intellettivi, <strong>org</strong>anizzativi e anche finanziari<br />
(quest’ultimo aspetto da non sottovalutare) starebbe nel<br />
farlo conoscere. La limatura verrà attratta dalla<br />
calamita. A quel punto si potrà porre in atto un vero e<br />
proprio progetto realizzativo.<br />
Fin da ora siamo però chiamati ad esporre alcuni punti<br />
fondamentali:<br />
Il tipo umano che deve essere parte attiva in questo<br />
progetto deve sentire sinceramente la spinta a riallacciarsi<br />
alle forze ancestrali rigettando categoricamente<br />
qualunque ambientalismo modaiolo o multietnico.<br />
Avere chiaro in mente che un simile centro deve essere<br />
la trasformazione in<br />
realtà dell’Idea<br />
totalizzante a cui Thule<br />
si richiama: Essere<br />
l’Ordine che riunisce<br />
quelli che saranno i<br />
progenitori di una vera e<br />
propria generazione che sarà chiamata a sbaragliare<br />
non solo un vecchio sistema di idee ma lo stesso<br />
vecchio modello di uomo. Ecco la nostra aspirazione:<br />
L’Uomo Nuovo (vedi Essere e Divenire vol. I ).<br />
E’ un progetto Aristocratico, nel senso primordiale del<br />
termine, è la volontà eterna della<br />
nascita-rinascita dei primordiali elementi etnici del<br />
nostro Popolo, il Popolo Bianco, identificati<br />
spiritualmente come uomini totali, in cui ogni aspetto<br />
della vita sia legato indissolubilmente allo scopo della<br />
loro esistenza: restare fedeli al Sangue e al Suolo.<br />
Appare chiaro che si tratta quindi di un qualcosa che<br />
non può rivolgersi a qualunque nostro connazionale,<br />
tanto meno a qualunque essere umano. Non è quindi<br />
un progetto razzista, è qualcosa di più, è un progetto<br />
ur-neoantropico.<br />
Questo è ciò che possiamo definire come “Colonia”, da<br />
altri chiamata “isola rifugio”, bastione elitario di una<br />
nuova alba, che nasca prima localmente e che poi si<br />
diffonda come massima espressione di lotta al sistema<br />
antietnico ovunque esistano ancora Uomini Bianchi<br />
E’ un progetto Aristocratico, nel senso primordiale del<br />
termine, è la volontà eterna della<br />
nascita-rinascita dei primordiali elementi etnici del<br />
nostro Popolo<br />
degni di essere così definiti.<br />
Da un punto di vista economico esso dovrebbe nascere<br />
facendo leva su progetti di “moneta locale”, che già sia<br />
in Italia che in altre parti d’Europa si sono visti<br />
realizzati e alcuni perdurano tutt’ora. Innestarsi nel<br />
luogo geografico individuato con questo punto di<br />
partenza potrebbe anche servire a creare prima il<br />
terreno adatto, su cui operare in seguito su più larga<br />
scala con i futuri Coloni. Inoltre per poter avere<br />
elementi su cui basare il progetto è d’obbligo lo studio<br />
della nascita, dell’<strong>org</strong>anizzazione e delle eventuali<br />
cause del fallimento, di progetti simili creati in passato,<br />
o attuali (es. visitare centri come Monte Verità, anche<br />
se non completamente consoni a ciò che noi abbiamo<br />
in vista, è utile per quanto riguarda questi aspetti oltre<br />
quello importante della strutturazione).<br />
Non solo quindi instaurare un sistema economico e<br />
sociale in linea con i nostri principi, ma dare anche dei<br />
chiari riferimenti<br />
educativi e spirituali,<br />
poiché i primi aspetti e i<br />
secondi non sono<br />
assolutamente slegati<br />
tra loro ma fanno<br />
riferimento a un’unica<br />
visione del mondo, a un’unica visione dell’uomo che a<br />
cui noi aspiriamo.<br />
Sarebbe la formazione di un’Elite nel vero senso del<br />
termine, microsocietà composte di famiglie che si<br />
differenzino in tutto, dagli aspetti esterni a quelli più<br />
intimi, in un mondo che si fa sempre più subumanizzato,<br />
che darebbero domani il colpo di grazia<br />
alla vecchia società anti-etnica per la creazione del loro<br />
nuovo Ordine. E’ un progetto che ha la sua logica<br />
eterna, la logica della selezione naturale. Al suo<br />
interno sarebbe data la Formazione, in ogni aspetto, a<br />
chi all’esterno troverà un mondo da cui avrà la<br />
sensazione di essere stato salvato, e per questo non ne<br />
perderà mai il contatto, proprio per rendersi conto di<br />
cosa non dovrà mai diventare, a cosa ci è chiamati ad<br />
abbattere, per quali motivi egli dovrà essere <strong>org</strong>oglioso<br />
e sprezzante di quella massa amorfa che<br />
indirettamente, o direttamente, minaccerà il nuovo<br />
mondo, mondo che già nel suo nascita dichiara guerra<br />
al vecchio a cui vuol fare da contro altare. Con il<br />
passare dei decenni questi uomini raccoglieranno non<br />
Alessandro Murtas / Ripopolamento 7
RIPOPOLAMENTO<br />
solo gli ultimi europei degni di chiamarsi tali, ma<br />
(purtroppo) gli ultimi europei che non discendano da<br />
una “felice unione multirazziale”, ecco perché si tratta<br />
di una missione per salvare tutto ciò che possiamo<br />
chiamare con il termine di “Umano”.<br />
E’ indubbio che se una simile idea vede prendere i<br />
primi passi nella realtà, raccoglierà l’entusiasmo dei<br />
nostri simili, e non solo entro i confini dell’Italia, il<br />
primo carattere che assumerà sarà proprio quello<br />
d’Esempio. Nel mezzo di una società dei consumi,<br />
livellatrice nella stessa biologia del sangue, in cui si<br />
uniformeranno anche i gruppi sanguigni dalla nascita,<br />
staranno immacolate nella loro purezza, nel loro<br />
esempio, nella loro spinta verso l’Alto questi centri<br />
basati su modelli opposti, a partire da quelli legati<br />
all’Agricoltura e sul consumo degli alimenti<br />
localmente prodotti, su un lavoro e artigiano che sarà<br />
inteso come atto sacro e inviolabile, sarà l’Arte, e a<br />
guidare l’apprendimento e il perfezionamento delle<br />
tecniche saranno Maestri. In cui in ogni componente<br />
sarà impartita una formazione Gerarchica,Guerriera,<br />
Etnica nel senso più ampio, conforme all’anima<br />
Indoeuropea e che si richiami ai Valori dello Spirito<br />
propri ai nostri Avi il cui Sangue, le cui ceneri o il cui<br />
corpo è stato riassorbito nel Suolo da cui ci si nutre.<br />
Sarà educazione della propria salute fisica e mentale,<br />
dagli aspetti dell’alimentazione, a quelli sportivi, a<br />
quelli familiari: si dovrà intervenire su tutto quello che<br />
riguarda la nascita, la crescita e la morte degli Uomini<br />
e delle Donne che avranno lasciato alle loro spalle un<br />
mondo a cui non appartengono, delle generazione che<br />
da essi si dovranno susseguire ed aver ragione proprio<br />
su quel mondo che vedranno crollare intorno a loro,<br />
restando sicuri della propria Superiorità che<br />
dimostreranno in una lotta attiva fuori dai confini<br />
Patri, della Patria di Thule.<br />
Un mondo in cui il figlio tornerà ad assomigliare al<br />
padre.<br />
8<br />
Rivoluzione e Tradizione<br />
di Alessandro Murtas<br />
(Avatar)
THULE - ITALIA SUL WEB<br />
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NAZIONALSOCIALISMO<br />
Diverse opinioni<br />
Premessa<br />
Assistiamo ormai da tempo ad un opera di falsificazione<br />
del “fenomeno nazionalsocialista” riconducibile a ciò che<br />
viene comunemente ed ipocritamente riconosciuto come<br />
studio storico oggettivo.<br />
L’utilizzo di libri quali “Behemoth struttura e pratica del<br />
nazionalsocialismo” di F. Neumann e “La politica<br />
sociale del Terzo Reich” di T. Mason” come testi di studio<br />
nelle Università Italiane a discapito di testi con<br />
concezioni di differente taglio sul tipo dell’ottimo<br />
“Comunismo Gerarchico” di S. Michelacci oppure de<br />
“L’ordinamento economico Nazionalsocialista” di R.<br />
Dubail ci fanno intuire cosa la cultura imperante intenda<br />
per “oggettività”.<br />
Viene da pensare che oggi, a oltre sessanta anni dalla<br />
disfatta dei “regimi fascisti”, si moltiplichino le<br />
attenzioni a evidenze storiche non appunto oggettive<br />
ma più che altro riconducibili a feticci o totem che<br />
devono conseguentemente essere la personificazione<br />
del male e dell’oppressione.<br />
Ciò a beneficio non solo della sinistra tradizionale e<br />
radicale ma della stessa socialdemocrazia più o meno<br />
liberale che in tal modo assegna l’opportuna etichetta<br />
esorcizzante di quelle vicende che furono “la negazione<br />
della libertà soggettiva e personale”.<br />
Oggigiorno, inoltre, completano l’operazione di tabula<br />
rasa quella serie di articoli raffazzonati e scandalistici<br />
che riportano il sentito dire, oppure qui programmi<br />
televisivi che ripropongono il sensazionalismo a sfondo<br />
torbido di History Channel, o peggio ancora la storia<br />
parlata in pillole di Radio24.<br />
Tutti echi mediatici che vanno a rivestire il substrato<br />
pseudoculturale dell’odierna concezione modernista ed<br />
egualitarista senza sé e senza ma di fenomeni storici e<br />
spirituali quali il Nazionalsocialismo o il Fascismo.<br />
La tesi che noi riporteremo di seguito sarà invece in<br />
antitesi con le attuali “vere” culture della sinistra o<br />
della destra b<strong>org</strong>hese liberaldemocratica, che<br />
utilizzano da tempo e a spada tratta tutte le<br />
argomentazioni disponibili attingendole a piene mani<br />
dagli svariati testi che in molti casi sembrerebbero<br />
addirittura creati a tavolino!<br />
Affermeremo come il Nazionalsocialismo sia stato<br />
effettivamente “Rivoluzionario”, come lo sia stato<br />
oggettivamente, e come sia stato nel senso radicale<br />
12<br />
Storia e Controstoria<br />
di Matteo Pastori<br />
(Angriff)<br />
veicolo rivolto al capovolgimento dei valori<br />
egualitaristi e b<strong>org</strong>hesi. Come l'esperienza tedesca, già<br />
a pochissimi mesi dalla presa del potere, fosse riuscita<br />
a dare immediata operatività al proprio disegno<br />
politico e a innestare senza traumi sul tessuto<br />
nazionale la propria visione del mondo.<br />
In particolare cercheremo di analizzare il fenomeno<br />
Nazionalsocialista nelle sue <strong>org</strong>anizzazioni e di come,<br />
strumentalmente, si sia voluto porre gli accenti<br />
sottolineando esclusivamente le forme<br />
“compromesse” al fine di far passare sotto silenzio il<br />
fermento che contraddistingueva tutti i campi, dal<br />
filosofico all’artistico, dal legislativo al sociale.<br />
Allo scopo di capire quale sia la base del nuovo<br />
ordinamento Nazionalsocialista è necessario avere una<br />
chiara comprensione di cosa significhi il termine<br />
“Comunità del Popolo” ovvero la Volksgemeinschaft.<br />
LA VOLKSGEMEINSCHAFT<br />
«C'è un simpatico aneddoto di un uomo che, giunto in<br />
un cantiere, domandò a tre persone dello stesso gruppo<br />
di lavoro che cosa stessero facendo. Il primo rispose:<br />
"trasporto pietre", il secondo: "guadagno i miei soldi",<br />
il terzo: "costruisco una cattedrale" (1). Queste risposte<br />
rispecchiano tre concezioni dell'essenza del lavoro che si<br />
possono trovare in tutte le classi sociali: la proletaria, la<br />
b<strong>org</strong>hese e la nazionalsocialista». Mentre i primi due<br />
lavoratori hanno in mente esclusivamente la propria<br />
condizione personale, il terzo «si considera parte del<br />
tutto»(2), partecipa attraverso il suo lavoro alla<br />
realizzazione di qualcosa di grande, e ne è artefice<br />
quanto i suoi diretti superiori, il capocantiere o<br />
l'architetto; il terzo operaio incarna invece il perfetto<br />
Volksgenosse del nazionalsocialismo, un uomo che ha<br />
abbandonato il particolarismo classista per fondersi<br />
nella comunità nazionale.<br />
Il nazionalsocialismo intese perseguire con tutti gli<br />
strumenti necessari un obiettivo primario e<br />
fondamentale: cancellare la divisione per classi della<br />
società tedesca e creare in sua vece una compatta<br />
comunità popolare stretta attorno ai valori della stirpe.<br />
Al centro di questo sistema il riferimento non è più<br />
l’individuo b<strong>org</strong>hese o lo Stato contrattualistico,<br />
pertanto non la società comunemente intesa<br />
(Gesellschaft) “… bensì il Volk e lo spirito del Volk, il<br />
quale realizzandosi come continuità dell’idea in atto,
può assumere forma giuridica o politica.<br />
Il Nazionalsocialismo afferma che il diritto è<br />
immanente nel principio unitario del Volk come<br />
naturale ordine di vita e secondo sua natura <strong>org</strong>anizza<br />
e regola forme ed ordinamenti di attività sociale.<br />
Anzi, non la forma giuridica è l’elemento costitutivo e<br />
decisivo della realtà sociale, ma questa sta nel<br />
contenuto politico; onde quelle forme possono essere<br />
applicate anche quando il contenuto politico muti.”(3)<br />
tramite quindi la Volksgemeinschaft o comunità di<br />
popolo, cioè, giuridicamente, quella comunità<br />
composta di elementi che abbiano un carattere<br />
nazionale omogeneo, conscia nella totalità della<br />
propria unità storica e del proprio destino comune in<br />
un definito complesso territoriale.<br />
In base a tale concezione la comunità rappresenta<br />
anche un complesso politico unitario non frazionato in<br />
quanto l’agire del singolo è l’agire per il bene comune,<br />
e il Volk diviene in tal modo entità politica, tutti i cui<br />
membri formano una entità che viene definita<br />
appunto Volksgemeinschaft.<br />
“Dunque le leggi che governano la Comunità Popolare<br />
emergono dalle intime necessità spirituali, politiche e<br />
materiali che si sono sviluppate attraverso una comune<br />
esperienza storica. Quindi in senso Nazionalsocialista<br />
la legge non è l’espressione dell’autorità dello Stato, al<br />
quale il Popolo deve sottomettersi come una massa<br />
passiva ed inerte. In armonia col concetto della<br />
Comunità Popolare la legge è parte della vita del<br />
Popolo. Il legislatore delinea (4) e dà una espressione<br />
<strong>org</strong>anica alla percezione (5) di ciò che è giusto o<br />
ingiusto, al sentimento (6) di ciò che è bene e ciò che è<br />
male, che è inerente all’animo (7) del Popolo. Quindi il<br />
punto di partenza della concezione Nazionalsocialista<br />
del diritto è il Popolo, non lo Stato. Compito dello Stato<br />
è assicurarsi che la legge sia messa in atto”.<br />
In merito ai concetti sopra riportati sembra evidente<br />
che per quanto riguarda la sfera privata, ovvero il sacro<br />
ed inviolabile diritto privato, il Volk diventa entità<br />
politica e creatrice del diritto tramite i valori ispirati<br />
dallo spirito immanente del Volk stesso: la forma<br />
giuridica nonché il diritto risultano quindi contigue alla<br />
stessa Volksgemeinschaft, in un ottica di INTERESSE<br />
COMUNE e non più PERSONALE. Il diritto privato<br />
diventa così la norma che interessa la tutela del singolo,<br />
ove non si vadano a ledere gli interessi della comunità<br />
che risultano comunque preponderanti.<br />
“La sfera privata dell’uomo è nella sua essenza apolitica,<br />
egli diventa entità politica in quanto è considerato in<br />
funzione di membro della comunità, quindi l’essenza<br />
della politicità può essere trovata soltanto nella<br />
Volksgemeinschaft!”(7), in quanto nell’ottica<br />
dell’interesse comunitario “Un Volk non è una somma<br />
meccanica od aggregato di singoli in sé autonomi e<br />
finiti, ma è piuttosto una personalità unitaria superiore,<br />
realtà superindividuale realizzata attraverso le<br />
condizioni comuni di vita: la comunità delle origini,<br />
delle vicende, degli ordinamenti, della lingua, del<br />
contenuto spirituale, dei valori, dei fini della coscienza,<br />
della volontà. In altri termini il Volk è il fondamento<br />
della vita e del destino dei suoi membri, ognuno dei<br />
quali perfeziona in esso le proprie determinazioni<br />
personali e la ragione della propria vita.”(8)<br />
Se pertanto nella Volksgemeinschaft si afferma il<br />
sistema giuridico come fusione fra politica e diritto si<br />
deve anche ritenere che in essa sia immanente uno<br />
spirito obbiettivo, il quale si manifesta in termini<br />
giuridici come VOLONTA’ COMUNE, intesa non come<br />
somma o risultante di singoli voleri particolari, ma<br />
come principio di forza propria della comunità<br />
operante in maniera <strong>org</strong>anizzata ed unitaria.<br />
Lo Stato diviene quindi nella sua territorialità il<br />
contenuto e la forma della Gefolschaft (seguito) con a<br />
capo la Führung (Governo o guida) attuata dalle<br />
strutture del Partei (partito) e secondo una logica<br />
gerarchica avente a capo un Führer in una struttura di<br />
comando piramidale (Führerprinzip).<br />
La Volksgeimenschaft diventa quindi espressione del<br />
Volk e dello Stato come forma giuridica e <strong>org</strong>anizzativa.<br />
Note bibliografiche:<br />
(1) Geadelte Arbeit - Gedanken zum 1. Mai,<br />
«Deutsche Adria Zeitung» n°108, 1° maggio 1944.<br />
(2) Ibidem.<br />
(3) Sonia Michelacci, Comunismo Gerarchico,<br />
Edizioni di AR. pp. 138-139.<br />
(4) Tratto da “Diritto e legislazione Tedeschi”<br />
www.<strong>thule</strong>-Italia.<strong>org</strong> biblioteca digitale “Liberamente”<br />
(5) Ibidem.<br />
(6) Ibidem.<br />
(7) Ibidem.<br />
(8) Ibidem.<br />
(9) Sonia Michelacci, Comunismo Gerarchico, cit., p. 140.<br />
(10) Ibidem, pag. 141.<br />
Matteo Pastori / Nazionalsocialismo - Diverse opinioni 13
CURIOSITA’ GIUDAICO<br />
MASSONICHE<br />
Trovo piacevole sottoporre ai lettori brani estratti da libri<br />
che pur nella loro complessità e sobrietà spesso<br />
nascondono curiosità a pochi note. In questo caso trattasi<br />
di tre brani estratti da “Misteri e Segreti del B’nai<br />
B’rith” di Emmanuel Ratier che ho voluto includere sotto<br />
il titolo di Curiosità giudaico massoniche.<br />
L’Olocausto nella foto sbagliata<br />
L'Anti Defamation League of B'nai B'rith ha<br />
pubblicato diversi opuscoli e svariati voluminosi<br />
rapporti sul tema dell'Olocausto e della sua rimessa in<br />
discussione, in modo da combattere efficacemente i<br />
progressi del revisionismo. Le due principali opere<br />
diffuse sono: Reinventare la grande menzogna e Gli<br />
apologeti di Hitler. La propaganda antisemita e il<br />
"revisionismo" storico. Si noterà che il secondo<br />
rapporto, ritenuto il rappresentante della "verità vera"<br />
sull'Olocausto, presenta in copertina una "foto<br />
ingannevole". Si tratta della famosa foto di un<br />
bambino ebreo con un berretto, le braccia alzate, con<br />
un gruppo di soldati tedeschi dietro di lui. Una foto<br />
universalmente nota, che si crede essere stata scattata<br />
durante l'insurrezione nel ghetto di Varsavia e che<br />
simbolizza ammirabilmente l'Olocausto dei bimbi<br />
ebrei durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia è<br />
assai meno noto che questa foto non è stata presa nel<br />
ghetto di Varsavia ma al suo esterno, in prossimità<br />
della stazione e che il ragazzino della foto, che si<br />
chiamava Tsvi Nussbaum, non è stato gasato ma è<br />
vivo dal momento che abita a New York dove esercita<br />
la professione di medico.<br />
Il boicottaggio del regime nazional-socialista<br />
Molto stranamente, i Fratelli del B'nai B'rith, quegli<br />
stessi che avrebbero dovuto essere sciolti dal momento<br />
che erano sistematicamente denunciati, prima<br />
dell'arrivo alla Cancelleria di Adolf Hitler, come "gli<br />
ufficiali dello stato maggiore della dominazione<br />
mondiale giudaica", furono esentati da questa<br />
procedura a differenza di tutte le altre obbedienze<br />
massoniche che furono praticamente sciolte subito o<br />
dovettero autosciogliersi, comprese le Logge<br />
tradizionali, come la Gran Loggia simbolica o le Logge<br />
di perfezionamento del Rito scozzese, molti dirigenti<br />
14<br />
Storia e Controstoria<br />
di Marco Linguardo<br />
(MThule)<br />
delle quali erano simpatizzanti del programma<br />
hitleriano. Dimenticanza ancor più sorprendente se si<br />
pensa che, dopo l'avvento del cancelliere Adolf Hitler,<br />
molte <strong>org</strong>anizzazioni ebraiche avevano fatto appello al<br />
boicottaggio economico e militare della Germania.<br />
Il 5 gennaio 1935, appoggiato dal Fratello del B'nai<br />
B'rith Samuel Untermyer (Presidente della Lega antinazista),<br />
Alfred M. Cohen, Presidente dell'Ordine<br />
internazionale del B'nai B'rith, aveva decretato "a<br />
nome di tutti gli ebrei, frammassoni e cristiani" il<br />
boicottaggio totale del Reich. Questo appello era stato<br />
preceduto da altri due, proclamati al Madison Square<br />
Garden il 7 marzo 1934 e il 6 settembre 1933 sotto<br />
forma di un Cherem. In tale occasione furono<br />
ritualmente accesi due ceri neri e si soffiò tre volte nello<br />
schofar (il corno di ariete), mentre il rabbino B. A.<br />
Mendelson pronunciava la formula di scomunica: "A<br />
nome dell'assemblea dei rabbini ebrei ortodossi degli<br />
Stati Uniti e del Canada e di altre associazioni di<br />
rabbini che ci sostengono nella nostra azione,<br />
profittiamo della nostra riunione annuale, in quanto<br />
guide d'Israele, per istituire un cherem su tutto quanto<br />
è fabbricato in Germania. A partire da oggi, ci<br />
asterremo da qualunque commercio di materie prime<br />
provenienti dalla Germania. Saremo vigilanti per<br />
quanto riguarda l'uso di merci tedesche, che siano<br />
destinate a uso personale o commerciale [...] La<br />
validità di tale decisione durerà fino alla fine del regime<br />
di Hitler, allora il cherem avrà la nostra benedizione".<br />
Volendo evitare fastidi ai suoi Fratelli d'oltre<br />
Atlantico, il B'nai B'rith rifiutò a lungo di aderire<br />
ufficialmente a questa azione, anche se essa fu<br />
praticata da numerosi suoi membri. Solo all'inizio del<br />
1939, col Consiglio generale ebraico, che guidava la<br />
campagna per il boicottaggio delle merci tedesche, il<br />
Comitato esecutivo del B'nai B'rith adottò una<br />
risoluzione per il "boicottaggio <strong>org</strong>anizzato generale" e<br />
creò anche un Comitato di boicottaggio del B'nai<br />
B'rith nazionale. Bisogna dire che i dirigenti<br />
internazionali del B'nai B'rith non avevano brillato per<br />
la finezza della loro analisi dal momento che, il 29<br />
gennaio 1933, vigilia dell'entrata di Hitler alla<br />
Cancelleria, il presidente americano del B'nai B'rith,<br />
Alfred M. Cohen, dichiarava: "Per fortuna sembra che<br />
l'hitlerismo sia in declino"! Si basava sul rapporto del<br />
Dr. Leo Baeck, presidente del distretto VIII: "La
grande ondata d'antisemitismo comincia già a calare;<br />
non si può più parlare di un pericolo nazionalsocialista<br />
imminente negli stessi termini con cui se ne<br />
parlava sei mesi fa". Allo stesso modo, il B'nai B'rith<br />
Magazine (marzo 1933) indicava: "[Hitler] è<br />
circondato da uomini imparziali [...] Hindenburg e Von<br />
Papen. Il peso delle responsabilità può fare evolvere il<br />
più irresponsabile dei demagoghi, anche se pazzi e<br />
perversi". Si ignorano ancora oggi le ragioni per le<br />
quali Hitler si oppose direttamente allo scioglimento<br />
del B'nai B'rith, reiterando la sua decisione nel 1935,<br />
quando Heinrich Himmler gli chiese di farlo, non<br />
comprendendo tale clemenza: "Dopo lo scioglimento<br />
volontario di tutte le Logge massoniche in Germania,<br />
sussiste solo più l'U.O.B.B. Contro questa<br />
<strong>org</strong>anizzazione non è stata fatta nessuna reale azione,<br />
secondo le istruzioni date dal Fuhrer nell'estate del<br />
1935 nel quadro dei suoi programmi di politica estera".<br />
Alcune logge del B'nai B'rith decisero poco a poco di<br />
autosciogliersi a partire dalla primavera del 1933, altre<br />
non le seguirono, rispettando le consegne del Gran<br />
Presidente dell'Ordine in Germania, il Dr. Leo Baeck.<br />
Ripiegandosi la comunità ebraica sempre più su se<br />
stessa, essa ricominciò a funzionare in base ai principi<br />
di solidarietà, e di conseguenza il ruolo benefico delle<br />
Logge si accrebbe. A quell'epoca, il 60% del bilancio<br />
delle Logge fu consacrato all'aiuto fraterno, a profitto<br />
delle vedove e degli orfani. Ciò fece sì che le<br />
associazioni filantropiche dipendenti dal B'nai B'rith e<br />
sovvenzionate dall'Ordine poterono continuare la loro<br />
attività.<br />
Si spiega così, senza dubbio, il fatto che le Logge<br />
lottassero per mantenere il loro statuto legale senza<br />
esitare, come è raramente detto, a intentare processi,<br />
con qualche successo, alle istituzioni locali e<br />
governative nazional-socialiste. In Baviera, l'esecutivo<br />
del Comitato dei deputati israeliti domandò<br />
l'annullamento della confisca di documenti fatta<br />
illegalmente dalla polizia di Monaco (sotto la diretta<br />
direzione di Himmler) il 12 maggio 1933 nella sede di<br />
54 <strong>org</strong>anizzazioni ebraiche, tra cui due Logge del B'nai<br />
B'rith (Munchen Loge, Jasaia Loge). Esso doveva<br />
ricevere soddisfazione, dal momento che i locali e la<br />
maggioranza dei documenti sequestrati furono resi il<br />
13 luglio 1933. Tuttavia, il 20 luglio dello stesso anno<br />
la polizia bavarese interveniva allo stesso modo a<br />
Norimberga, in particolare nelle sedi della<br />
Maimonidas-Loge e della Jakob-Here-Loge. Di nuovo<br />
i responsabili del B'nai B'rith si rivolsero al Ministro<br />
dell'Interno di Monaco e ottennero, dopo molte<br />
difficoltà, che i loro locali e le loro biblioteche fossero<br />
resi nell'aprile del 1934.<br />
Allo stesso modo, la giustizia fece annullare la<br />
decisione della polizia di chiudere la Walther-<br />
Rathenau-Loge di Mönchen-Gladbach, presa nel<br />
febbraio 1934, dopo che il B'nai B'rith si era appellato<br />
contro questa decisione. Per capire il mantenimento di<br />
questo stato di diritto, bisogna sapere che le decisioni<br />
relative al B'nai B'rith in Prussia e a Berlino erano<br />
soggette all'autorità del capo della Gestapo Rudolf<br />
Diels. Quest'ultimo, un tempo membro di un partito<br />
costituzionale (non nazional-socialista), doveva<br />
adoperarsi, nel limite delle sue competenze, per<br />
proteggere le Logge del B'nai B'rith, come pure quelle<br />
di altra obbedienza, opponendosi così direttamente<br />
alle direttive di Himmler.<br />
Nelle sue memorie, Diels riporta: "Proibii in seguito<br />
nuove 'operazioni' condotte dalle SD, le quali erano in<br />
pratica dirette contro le Logge, in particolare quelle<br />
ebraiche, e contro l'Azione Cattolica". Questa<br />
protezione è stata confermata dall'ex segretario della<br />
Gran Loggia dell'Ordine, Alfred Goldschmidt, che ha<br />
riportato come Diels si fosse recato di persona,<br />
accompagnato dai suoi subordinati, alla sede del B'nai<br />
B'rith a Berlino per proteggerne i locali da un'"azione<br />
violenta" delle S.A.<br />
È solamente il 19 aprile 1937 che l' R.S.H.A. della<br />
Gestapo, in virtù di un'ordinanza del 10 aprile, decretò<br />
lo scioglimento di tutte le logge ed associazioni<br />
femminili, giovanili o di qualunque finalità associate<br />
al B'nai B'rith, come l'Accademia per le scienze del<br />
giudaismo o l'Associazione per le statistiche degli ebrei.<br />
I beni dell'Ordine (logge, alberghi, ristoranti, case di<br />
riposo ecc.) furono requisiti in 79 città; i presidenti,<br />
segretari e tesorieri furono provvisoriamente<br />
interrogati. A quell'epoca funzionavano ancora<br />
settanta logge così come 25 capitoli femminili. Il<br />
rabbino Leo Baeck, Gran Presidente del distretto della<br />
Germania, che avrebbe potuto emigrare in Inghilterra<br />
o negli Stati Uniti, rifiutò coraggiosamente questa<br />
possibilità e rimase a Berlino. Alla fine, nel 1943, fu<br />
deportato nel ghetto di Theresienstadt dove attese,<br />
Marco Linguardo / Curiosità giudaico massoniche 15
CURIOSITA’ GIUDAICO<br />
MASSONICHE<br />
senza conoscere i rigori della deportazione, la fine della<br />
guerra.<br />
Nel 1943 i Fratelli tedeschi rifugiati a Londra<br />
ricevettero l'autorizzazione a creare una sezione<br />
indipendente, la sezione 1943 della Prima Loggia (la<br />
più importante di Londra) con una propria<br />
amministrazione, sue elezioni ecc. Il 30 maggio 1943,<br />
i Grandi Ufficiali e il Consigliere furono insediati dal<br />
Gran Presidente Julius Schwab, lui stesso discendente<br />
da una vecchia famiglia di Francoforte, con il consenso<br />
del distretto britannico e della Suprema Loggia di<br />
Washington. Divenne quindi una Loggia indipendente<br />
e da allora ha conservato un proprio statuto, essendo,<br />
al di fuori degli U.S.A., la Loggia più numerosa.<br />
II Fratello Albert Pike<br />
Come rileva Yann Moncomble, seguendo altri storici<br />
specialisti di cose massoniche, esisterebbe almeno una<br />
relazione diretta tra Frammassoneria regolare e B'nai<br />
B'rith. Nel 1874 (pare il 12 settembre) sarebbe stato<br />
firmato a Charleston un accordo di "mutuo<br />
riconoscimento" tra Armand Levy per il B'nai B'rith e<br />
Albert Pike, capo supremo del Direttorio dogmatico<br />
del Rito scozzese antico ed accettato, per la massoneria<br />
universale. Quando Albert G. Mackey, considerato "il<br />
più informato massone d'America", 33° e Gran<br />
maestro dei Royal and Select Masters della Carolina<br />
del Sud, Gran Priore dell'Arca Reale di Chicago e<br />
Segretario generale del Consiglio Supremo della<br />
giurisdizione meridionale degli Stati Uniti, divenne<br />
Segretario generale del Consiglio supremo Materno del<br />
Rito scozzese antico ed accettato "egli persuase Pike<br />
ad affiliarsi all'Ordine; questi divenne ben presto Gran<br />
Ispettore sovrano e decise di consacrarsi al Rito, riuscì<br />
a ricostruire da capo a fondo l'<strong>org</strong>anizzazione, rivide o<br />
riscrisse i suoi gradi, intrattenne una vasta<br />
corrispondenza; inoltre scrisse la Bibbia del Rito<br />
scozzese, Morals and Dogma, vera montagna di<br />
materiale che non portò mai a termine né forse mai<br />
avrebbe potuto terminare".<br />
Secondo la stessa fonte, Pike, che era membro d'onore<br />
della maggior parte dei Consigli del mondo, fu ricevuto<br />
al Supremo Consiglio di Francia nel 1889 e, "sebbene<br />
americano, Pike è universalmente riconosciuto come<br />
una delle più alte, se non la più alta, autorità<br />
16<br />
Storia e Controstoria<br />
di Marco Linguardo<br />
(MThule)<br />
massonica". L'accordo firmato tra Pike, che per<br />
l'occasione usò il suo nome massonico - Limoude<br />
Ainchoff - ed Armand Levy indica: «Noi, il Grande<br />
Maestro, il Conservatore del Santo Palladio, il<br />
Patriarca Supremo della massoneria di tutto<br />
l'Universo, con l'approvazione del grande e Serenissimo<br />
Collegio dei massoni Emeriti, come l'esecuzione<br />
dell'atto del Concordato concluso tra Noi ed i tre<br />
Concistori federali supremi del B'nai B'rith d'America,<br />
Inghilterra e Germania, che è da Noi firmato oggi,<br />
abbiamo preso questa risoluzione: una sola clausola:<br />
"La Confederazione Generale delle Logge Israelite<br />
Segrete è fondata a partire da oggi sulle basi che sono<br />
esposte nell'Atto del Concordato" Giurato sotto la<br />
santa Volta nel Grande Oriente di Charleston, nella<br />
valle cara al Maestro Divino, nel primo giorno della<br />
Luna Ticshru il 12 Giugno del 7° mese dell'anno 00874<br />
della Vera luce». Ciò spiega forse perché il Ku Klux<br />
Klan fu a lungo risparmiato dal B'nai B'rith. Fondato<br />
da Albert Pike, generale dell'armata confederata, e dai<br />
dirigenti massoni di alto grado del Sud, il KKK, che<br />
negli anni venti contava tra i tre e i cinque milioni di<br />
affiliati, non era oggetto di critiche virulente da parte<br />
dell'A.D.L. e del B'nai B'rith. In occasione di un<br />
dialogo stabilito tra il presidente dell'Ordine Adolf<br />
Kraus e il Mago imperiale H. W. Evans, quest'ultimo<br />
scrisse una lettera aperta sbalorditiva: "Ogni uomo -<br />
che sia americano di nascita o per naturalizzazione,<br />
cristiano o giudeo di religione, bianco o nero di razza -<br />
ogni uomo che contrae un dovere di fedeltà con questo<br />
paese, senza riserve e remore, che è interamente devoto<br />
alla sua bandiera, non è il nemico ma l'amico del<br />
Cavaliere KKK [...]. Se fosse permesso applicare a un<br />
ebreo uno dei titoli qualificanti dell'Ordine dei<br />
Cavalieri del Ku Klux Klan, si potrebbe dire che è egli<br />
stesso un 'Klansman' e che è stato lui a mantenere e a<br />
mostrare il 'Klanismo' pratico". Ciò permette di leggere<br />
a sua volta, nelle pubblicazioni del B'nai B'rith,<br />
dichiarazioni ugualmente sorprendenti: "Il Klu KIux<br />
Klan può diventare uno strumento di progresso e di<br />
beneficenza, utile sia al Paese che ai suoi cittadini, se<br />
comincerà a eliminare dal suo seno qualche migliaia di<br />
fanatici che lo gettano nell'intolleranza, nella viltà e<br />
nel crimine".
La Fortezza di Heinrich Himmler<br />
La Fortezza di Heinrich Himmler<br />
prima traduzione <strong>italia</strong>na di<br />
"Heinrich Himmlers Burg" Das<br />
weltanschauliche Zentrum der SS<br />
Bildchronik der SS-Schule Haus<br />
Wewelsburg 1934-1945 e di<br />
Heinrich Himmler's Camelot<br />
entrambi di Stuart Russell.<br />
La traduzione e l'edizione <strong>italia</strong>na è<br />
stata da noi curata e ampliata con<br />
due appendici assenti nelle edizioni<br />
originali.<br />
264 pag,<br />
272 immagini,<br />
copertina cartonata.<br />
ISBN 978-88-902781-0-5<br />
Dalla quarta di copertina:<br />
"Su una lingua di roccia calcarea che spicca alta sulla tranquilla valle dell’Almetal, ca. 14 km a Sud di<br />
Paderborn, si erge la mitica Fortezza di Wewelsburg, immersa nella trama delle leggende di cui fu<br />
protagonista. Quando l’allora Comandante delle SS del Reich, il Reichsführer Heinrich Himmler, visitò<br />
per la prima volta la Fortezza - il 3 novembre 1933 - rimase subito affascinato sia dall’imponente<br />
costruzione a tre torri che dalla singolare sezione a pianta triangolare dichiarando già la stessa sera ad<br />
una ristretta cerchia di persone il suo desiderio di voler acquisire la Fortezza per le SS. L’opinione<br />
pubblica seppe ben poco sui progetti e sulle intenzioni di Himmler, e poco seppe anche delle riunioni fra<br />
i più alti Führer delle SS nella Fortezza di Wewelsburg il cui fulcro era la possente torre Nord con la<br />
sottostante sala centrale delle iniziazioni delle SS, che ancor oggi il popolo chiama “Walhalla”. Questo<br />
sepolcro, sul cui significato nei culti e riti delle SS non si è mai smesso di fare congetture, è rimasto illeso<br />
esattamente come si è salvata la sovrastante sala dei “Comandanti Superiori di Divisione delle SS”,<br />
chiamata “Obergruppenführersaal” – costruita per essere la sala di rappresentanza più importante<br />
destinata ai massimi livelli dirigenziali delle SS – nonostante la Fortezza, in quel momento ancora in<br />
fase di ristrutturazione, fosse stata fatta saltare il 31 marzo 1945 per ordine di Himmler stesso. Oggi il<br />
sepolcro e la sala dei Gruppenführer, con tutti i loro ornamenti ben conservati (“il sole nero”) e gli<br />
originali fregi, costituiscono un notevole richiamo per molte migliaia di visitatori. Nella sua prefazione,<br />
il Dr. Bernhard Frank, che dal 1935 al 1939 lavorò nella Wewelsburg in qualità di scienziato (dal 1943<br />
fu Comandante delle SS nell’Obersalzberg), fornisce piena conferma di quanto descritto nel libro: “Il<br />
libro ‘La Fortezza di Heinrich Himmler’ strappa finalmente gli avvenimenti storici della Wewelsburg<br />
dall’oblio ed dalle false interpretazioni"
GLI UFO ESISTONO<br />
DAVVERO? di Massimo Buzzurro<br />
Nonostante il relativamente breve periodo di tempo in<br />
cui il nazionalsocialismo è stato al governo in<br />
Germania, è sempre più sorprendente scoprire come<br />
l’evoluzione tecnologica sia riuscita ad avanzare in<br />
modo così clamoroso. Altrettanto clamorosi sono stati<br />
i tentativi di nascondere alcune scoperte, salvo poi<br />
farle proprie , da parte dei vincitori della Seconda<br />
Guerra Mondiale, soprattutto angloamericani. Si vuol<br />
fare riferimento all’apparato tecnologico aerospaziale<br />
sviluppato dal Reich.<br />
A partire dal 1945 un sodalizio scientifico-militare<br />
anglo-americano-canadese chiamato TG (Gruppo<br />
Tripartito) iniziò a progettare velivoli non convenzionali<br />
dalle forme più stravaganti. Gli anni successivi la fine<br />
del conflitto hanno visto una vera e propria gara, nella<br />
più assoluta segretezza, tra potenze nello studio e nella<br />
sperimentazione di ufo per scopi militari.<br />
Ben presto, però, l’arroganza statunitense finì per<br />
indispettire gli altri due partner. Fu così che verso la fine<br />
degli anni ’40 Gran Bretagna e Canada abbandonarono<br />
il progetto con il fine di creare un sodalizio a due, con<br />
base presso il Chalk River nella Columbia Britannica<br />
(Canada) . Il risultato fu clamoroso da un lato,<br />
sfortunato dall’altro: nel 1947 un velivolo anglocanadese<br />
sorvolò indisturbato il territorio degli Stati Uniti, salvo<br />
poi schiantarsi nei pressi di Roswell, nel Nuovo Messico.<br />
Le autorità USA, evidentemente imbarazzate,<br />
insabbiarono la vicenda, inventando la leggenda degli<br />
extraterrestri, sequestrando il velivolo e cominciando a<br />
studiarlo. Tra le altre cose, il velivolo era arrivato<br />
indisturbato nei pressi della base aerea di White Sands,<br />
sede del 509° stormo bombardieri USAF, l’unico allora<br />
abilitato a trasportare ordigni nucleari. Senz’altro un<br />
bello smacco.<br />
Com’è stato possibile un risultato del genere? Alcuni<br />
studiosi sono convinti che tali conoscenze derivino<br />
dalle ricerche dei massimi esperti del settore del Terzo<br />
Reich.<br />
La Germania aveva iniziato a lavorare su tali progetti<br />
dalla fine degli anni ’30, dapprima nella base di<br />
Peenemunde, poi, dopo il bombardamento di questa,<br />
nella base sotterranea di Niedersachswerfen, nei pressi<br />
di Nordhausen. I pionieri di questa ricerca furono<br />
Richard Miethe ed Hans Kammler.<br />
Il dottor Miethe, grande amico di Von Braun, aveva<br />
originariamente fatto parte della squadra che si<br />
18<br />
Storia e Controstoria<br />
occupava delle V1 e V2, ma parimenti aveva<br />
cominciato a lavorare su un progetto relativo ai dischi<br />
volanti. Dopo il bombardamento di Peenemunde, il suo<br />
progetto fu trasferito, per motivi di sicurezza, nei pressi<br />
di Breslavia. La storia è piuttosto confusa sul nome che<br />
Miethe scelse per il suo velivolo. Talvolta si è parlato di<br />
Kugelblitz (“fulmine globulare”) insieme a nomi come<br />
Vril e Diskus. In realtà, si suppone che il velivolo si<br />
chiamasse Haunebu, un termine occulto collegato<br />
all’albero del karma germanico ed alla dottrina<br />
ariosofica sulle origini polari della razza ariana.<br />
Miethe, assieme ai suoi assistenti, sviluppò il progetto<br />
di tre dischi Haunebu: Mark I, Mark II e Mark IV. Essi<br />
non dovevano sfruttare solo la potenza dei motori (di<br />
tipo convenzionale a pistoni nel Mark I, di tipo<br />
turboreattore negli altri), ma soprattutto il cosiddetto<br />
effetto Coanda, ovvero un fenomeno che garantiva che<br />
ogni corrente di spinta dei motori, invece di dissiparsi,<br />
desse luogo ad un complesso energetico compatto verso<br />
il bordo di fuga del disco, ove le correnti si sarebbero<br />
combinate aumentando la spinta in avanti. Il disco<br />
caduto a Roswell nel 1947 era un’evoluzione del Mark<br />
IV di Miethe.<br />
Ci sono diverse testimonianze a supporto del fatto che<br />
i Mark II e IV volarono effettivamente in veste di<br />
prototipi. Tuttavia, non ci fu mai per loro un impiego<br />
bellico, a differenza della “cretura” di Hans Kammler:<br />
il Feuerball, ribattezzato dai piloti alleati Foo Fighter.<br />
Simili ad un elicottero senza coda, propulso da reattori<br />
montati sulle estremità delle pale del rotore, i Foo<br />
Fighters erano dotati di paracadute di recupero e<br />
potevano essere lanciati in aria come un razzo, anche<br />
da rampe mobili.<br />
Il primo avvistamento sarebbe avvenuto il 22<br />
novembre 1944. Il tenente della RAF, Edward<br />
Schluter, stava pilotando un caccia Bristol Fighter sul<br />
Reno, nella zona di Strasburgo, quando notò dieci sfere<br />
di colore rosso fiamma che sembravano tenersi al passo<br />
con l’aereo; a questo punto il radar di bordo smise di<br />
funzionare e Schluter fece ritorno alla propria base,<br />
frastornato da quanto aveva visto.<br />
Quattro giorni dopo il ten. Giblin stava volando sulla<br />
zona di Mannheim quando una solitaria ma enorme<br />
palla di luce arancione si avvicinò all’aereo. Gli<br />
avvistamenti continuarono per i due mesi a seguire,<br />
tanto che la notizia di misteriose nuove armi tedesche
fu riportata dal “New York Herald & Tribune” il 2<br />
gennaio 1945.<br />
Stranamente i Foo Fighters non vennero dotati di un<br />
armamento di bordo e si limitarono ad essere solo<br />
un’arma psicologica; ben presto le aviazioni alleate<br />
compresero che non rappresentavano una seria<br />
minaccia. Si suppone, però, che i ricercatori tedeschi<br />
avessero voluto far dotare, come arma di bordo, il<br />
cosiddetto Paplitz.<br />
Il Paplitz fu prodotto dall’Elektro Akoustic Institute<br />
di Namslau, installato su un aereo convenzionale nel<br />
marzo del ’45 e collaudato. Il Paplitz era il prototipo di<br />
un disturbatore elettromagnetico localizzato che<br />
serviva ad interrompere il sistema d’iniezione dei<br />
motori convenzionali; un apparecchio per disturbare<br />
le comunicazioni radio ed un congegno d’inseguimento<br />
a raggi infrarossi che poteva agganciarsi agli scarichi<br />
dei motori.<br />
Visti i tempi, ormai vicini alla fine del conflitto, e dal<br />
momento che non si sarebbero mai registrate perdite di<br />
aerei imputabili ai Foo Fighters, tale avanzato sistema<br />
d’arma non venne mai montato ed il progetto di<br />
Kammler non venne prodotto in serie. Una domanda,<br />
però, nasce spontanea: che cosa aveva mandato in tilt<br />
il radar dell’aereo di Schluter?.<br />
(per maggiori informazioni, Gary Hiland,“I segreti<br />
perduti della tecnologia nazista”, Newton Compton).<br />
Massimo Buzzurro / Gli UFO esistono davvero? 19
GLI UFO ESISTONO<br />
DAVVERO? di Massimo Buzzurro<br />
Storia e Controstoria
Massimo Buzzurro / Gli UFO esistono davvero? 21
I MISTERI DI MITHRA<br />
Il territorio italico è stato oggetto nel corso dei<br />
millenni a stratificazioni di ogni tipo: non solo la storia<br />
ha lasciato pagine di testimonianze che dall’ottocento<br />
in poi l’archeologia sta sfogliando, ma anche la<br />
spiritualità ha lasciato evidenti tracce di una continua<br />
presenza e di una continua ricerca, attraverso forme<br />
diverse, spesso solo nel nome, del Principio.<br />
Sicuramente la civiltà che più di tutte ha lasciato la<br />
propria traccia è quella romana, con documenti, edifici<br />
e monumenti. L’approccio verso il sacro ha subito<br />
diversi mutamenti nella storia romana, per via<br />
soprattutto delle influenze di numerose popolazioni<br />
con le quali è venuta in contatto.<br />
Dalle divinità Italiche al Cristianesimo si è passati<br />
anche attraverso un pantheon ereditato dai greci e da<br />
una religione misterica che perdurò dal I secolo a.C.<br />
fono al V secolo d.C.: il Mitraismo.<br />
Il mitraismo romano è un prodotto sincretico di<br />
provenienza indo-iranica; il nome del dio Mitra appare<br />
per la prima volta in un documento, datato intorno al<br />
1400 a.C. , stipulato tra il Regno di Mitanni hurrita e<br />
gli Ittiti. Questo trattato è stato garantito e validato<br />
dalla presenza di cinque divinità indo-iraniche: Indra,<br />
Mitra, Varuna e i due cavalieri Ashvin.<br />
Mitra dunque fa parte delle divinità induiste, ed appare<br />
nei Veda come una delle divinità solari, gli Aditya 1 , dio<br />
dei contratti, dell’onestà e dell’amicizia, nonchè<br />
governatore delle ore diurne. Negli inni vedici Mitra è<br />
sempre nominato assieme al fratello (gemello) Varuna<br />
tanto che spesso si ricorre all’appellativo “Mitravaruna”:<br />
Mitra genera la luce dell’alba mentre Varuna è il signore<br />
delle sfere celesti e del ritmo cosmico e nei rituali tardovedici<br />
si prescrive una vittima sacrificale bianca per<br />
Mitra, nera per Varuna. Rappresentano anche<br />
rispettivamente il sacerdozio e il potere regale e nel<br />
Shatapatha Brahmana 2 vengono descritti, come due-inuno,<br />
come “il Consiglio ed il Potere”.<br />
24<br />
Difesa della Tradizione<br />
Dall’India alla Persia: Zurvanismo e Mazdeismo.<br />
Nel periodo predinastico persiano era sviluppata la<br />
religione Zurvanista, che ruotava attorno a Zurvan,<br />
“il tempo assoluto”. Questi aveva offerto per mille anni<br />
un sacrificio con lo scopo di avere un figlio, ma non<br />
appena gli pervenne il dubbio dell’utilità del sacrificio,<br />
concepì 3 due figli: grazie al sacrificio offerto concepì<br />
Ohrmazd (Ahura Mazda), mentre a causa del dubbio<br />
sul sacrificio concepì Ahriman. Zurvan decise di<br />
nominare re il primogenito: Ohrmazd conobbe il<br />
pensiero del padre e lo condivise col fratello Ahriman<br />
il quale ruppe la matrice e ne uscì. Quando dichiarò a<br />
Zurvan di essere suo figlio, questi dubitò in quanto era<br />
tenebroso e puzzolente, mentre avrebbe dovuto essere<br />
profumato e lucente. Nacque dunque Ohrmazd con tali<br />
caratteristiche, e Zurvan volle consacrarlo re: ma<br />
Ahriman ricordò al padre il voto di nominare re il<br />
primogenito, e per non violare il voto Zurvan accordò<br />
il regno ad Ahriman per 9000 anni.<br />
Una statua del dio Zurvan<br />
di Alessandro Riccardi<br />
(Gargoyle)<br />
1 Figli di Aditi e Kashyapa, nel Rig-Veda erano sette (Mitra, Varuna, Aryaman, Bhaga, Daksha,<br />
Anśa, Sūrya - il sole - e Ravi): diventano otto negli Yajur Veda (Taittirīya Samhita), e nei<br />
Brahmana furono portati fino a dodici per rappresentare i mesi dell’anno. Gli Aditya, suddivisi<br />
a loro volta in Marut, Rbhus e Viśve-devā, fanno parte della categoria dei Deva (le 33 divinità<br />
ordinate che si contrappongono agli Asura, i 33 demoni caotici) e proteggono dalle sciagure.<br />
2 Uno dei commentari in prosa che spiegano le formule e i riti. Vi è uno o più Brahmana per ogni Veda.<br />
3 Eznik, Contro le Sette. Questi era consapevole dell’ermafroditismo di Zurvan anche se altri<br />
autori più tardi parlano di una “madre” o di una “sposa” di Zurvan.
Secondo alcune fonti siriache Zurvan (zaman i<br />
akanarak “tempo illimitato” quindi rappresentazione<br />
del tempo stesso) è circondato da tre dèi, sue ipostasi:<br />
Ašōqar, Frašōqar e Zārōqar che sono richiami agli<br />
avestici aršōkara (che rende virili), frašōkara (che<br />
rende splendidi) e maršōkara (che rende vecchi): un<br />
richiamo alle tre età dell’uomo ma anche alla<br />
suddivisione del tempo zurvanico di 9000 anni in cicli<br />
di 3000. Questa tripartizione temporale si ritrova nelle<br />
Upanishad e in Omero, oltre che essere presente come<br />
formula appellativa nei testi phelevi in cui Zurvan è<br />
colui che “era, è e sempre sarà”.<br />
Dopo la nascita do Ohrmazd ed Ahriman, Zurvan<br />
tramite le ipostasi Ašōqar, Frašōqar e Zārōqar offre ai<br />
gemelli i simboli della sovranità: al primo il barsom,<br />
strumento ricavato da un ramo sacro, al secondo<br />
zatspram, un arnese fatto della stessa sostanza<br />
dell’ombra.<br />
I gemelli iniziano dunque la creazione: tutto ciò che<br />
Ohrmazd creava era buono e retto, mentre ciò che<br />
veniva creato da Ahriman era cattivo e tortuoso.<br />
Entrambe le divinità sono creatrici, elemento<br />
essenziale ripreso in futuro da numorosi miti e<br />
leggende in cui è presente Dio e l’Avversario di Dio.<br />
Vengono creati mēnōk (il mondo celeste) e gētik (il<br />
mondo materiale). Viene creata Spandarmat, la Terra,<br />
la quale, dall’accoppiamento con Ohrmazd nasce<br />
Gayomart; durante la sua morte (che dura trent’anni),<br />
dal suo corpo nascono i sette metalli (i pianeti). Il suo<br />
seme è purificato alla luce del sole, e un terzo di esso<br />
cade sulla terra facendo nascere il rabarbaro, da cui<br />
nasce la prima coppia umana: Mǎsye e Mǎsyane.<br />
Ohrmazd chiede alle fravashi, spiriti preesistenti che<br />
risiedono in Cielo, di accettare un’esistenza fisica sulla<br />
Terra per combattere le forze del Male.<br />
Ahriman e le sue schiere demoniache entrano in gētik,<br />
il mondo materiale, contaminandolo con le loro<br />
creazioni nocive e stabilendo la loro dimora nel corpo<br />
dell’uomo. E’ importante una fase dell’aggressione di<br />
Ahriman verso il mondo materiale: questi uccide,<br />
avvelenandolo, il Toro primordiale Abudad dal cui<br />
midollo nascono le piante alimentari e medicinali, e dal<br />
cui sperma vengono prodotti gli animali utili all’uomo;<br />
anche Gayomart viene ucciso da Ahriman, ma non<br />
prima di aver trasmesso la rivelazione alla prima<br />
coppia Mǎsye e Mǎsyane che l’hanno comunicata ai<br />
loro discendenti.<br />
Dall’impostazione Zurvanista nasce la religione<br />
Mazdeista che pone come centrale il dualismo Ahura<br />
Mazda (Ohrmazd) – Ahriman (Angra Mainyu). La<br />
divinità principale è Ahura Mazda, a cui sono<br />
subordinati gli Amesha Spenta 4 , gli spiriti immortali.<br />
E’ anche il protettore di tutte le creature e secondo la<br />
tradizione mazdeista costruì il palazzo Vara di Yima<br />
per proteggerle dal diluvio.<br />
Il Mazdeismo è fortemente influenzato dalle tradizioni<br />
indo-iraniche, ma assistiamo ad una modificazione di<br />
“classi” fra la corrente indiana e quella iranica.<br />
Nell’India vedica i deva (vedi dèi) sono contrapposti agli<br />
asura (figure demoniache), mentre in Persia alcuni asura<br />
vengono divinizzati come deva: è così che nasce il termine<br />
Ahura Mazda (ahura è il corrispettivo del sanscrito<br />
asura, mazda deriva dal greco mègistos, “il più grande”).<br />
Un’immagine del dio Ahura Mazda<br />
4 Questi sono Vohu Manah (buon pensiero, preposto agli esseri animati), Asha Vahishta ( l’ottima legge, preposto al fuoco), Khshathra<br />
vairya (il dominio desiderabile, preposto ai metalli) , Armatay (pietà, preposto alla terra), Haurvatat (integrità, preposto alle acque), Ameretat<br />
(immortalità, preposto alle piante).<br />
Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 25
I MISTERI DI MITHRA<br />
Il mazdeismo è la religione principale durante l’Impero<br />
persiano della I dinastia Achemenide (648 – 330 a.C.).<br />
L’Avesta è il testo sacro ed è diviso in gāthā; le yasna<br />
sono liturgie sacramentali mente gli yasht sono inni<br />
rivolti alle singole divinità. Ahura Mazda è<br />
accompagnato da altre divinità quali Mitra (sole), Mah<br />
(luna), Zam (terra), Atar (fuoco), Apam Napat<br />
(acqua), Vayu (vento). Sotto Antaserse II troviamo la<br />
presenza di una trinità: Ahura Mazda, Mitra come dio<br />
del Sole, dei contratti e della redenzione, e Anahita,<br />
dea delle acque, della fecondità e della procreazione.<br />
Il mazdeismo subì diverse modificazioni sotto diversi<br />
imperatori: nello Yasna dai sette capitoli inizia un<br />
processo complesso di adattamento ed integrazione di<br />
diversi contenuti del mazdeismo. Nel Mihr Yasht<br />
assistiamo alla biforcazione che porterà allo sviluppo<br />
del Mitraismo: l’esaltazione del dio Mithra. Nel tempo<br />
la sua figura aveva subito un ruolo sempre minore, ma<br />
nell’inno citato Ahura Mazda proclama che «Quando<br />
ho creato Mithra dai larghi pascoli, l’ho reso degno di<br />
venerazione e di rispetto come me stesso». Alla fine<br />
dell’inno, per riunire i due dei, viene citata la formula<br />
“Mithra-Ahura”, replica del binomio vedico<br />
“Mitravaruna”.<br />
Mithra subisce comunque delle modificazioni: non è<br />
solo il dio dei contratti, ma anche il violento e crudele<br />
dio della guerra: con la sua mazza, vazra, massacra<br />
furiosamente i deva e gli empi. E’ un dio solare<br />
associato alla luce, ha mille occhi e mille orecchi,<br />
provvede a tutto il creato e garantisce fertilità ai campi<br />
e al bestiame. Ahura Mazda e gli Amesha Spenta gli<br />
costruiscono un palazzo al di sopra del monte Harā.<br />
Dopo essersi lamentato di non essere adorato dalle<br />
creature, nonostante sia loro protettore, attraverso<br />
delle preghiere, viene accontentato e viene nominato<br />
come sacerdote di Mithra, Haoma; in seguito Ahura<br />
Mazda prescrive il rito proprio del culto di Mithra, e<br />
lo compie in prima persona nella Casa del Canto in<br />
Paradiso. Mithra è adorato come la luce che illumina<br />
il mondo intero. L’inno termina con queste parole:<br />
«nella pianta barsom noi adoriamo Mithra e Ahura, i<br />
26<br />
Difesa della Tradizione<br />
gloriosi [Signori] della Verità, liberi per sempre dalla<br />
corruzione: [adoriamo] le stelle, la Luna e il Sole.<br />
Adoriamo Mithra, signore di tutte le genti.»<br />
Il Mitraismo in occidente.<br />
di Alessandro Riccardi<br />
(Gargoyle)<br />
Il culto di Mitra fu introdotto in occidente da pirati<br />
della Cilicia che, vinti e catturati da Pompeo nel 67<br />
a.C., diffusero il culto 5 . Viene però descritto un culto<br />
misterico, e probabilmente il processo attraverso cui il<br />
dio iranico esaltato nel Mihr Yasht si sia trasformato<br />
nel Mitra dei Misteri è opera di uno sviluppo cultuale<br />
nell’ambiente dei magoi che si stabilirono in<br />
Mesopotamia e in Asia minore. La mitologia e la<br />
teologia dei Misteri mitriaci sono accessibili attraverso<br />
monumenti istoriatim netre i poco numerosi<br />
documenti letterari si riferiscono al culto e alla<br />
gerarchia dei gradi iniziatici.<br />
La religione mitriaca si propaga soprattutto attraverso<br />
i militari, probabilmente a seguito dell’associazione del<br />
Mithra iranico come dio della guerra. Passando<br />
attraverso la Grecia intorno al II secolo a.C. Mithra fu<br />
identificato con il dio solare Apollo – Helios. Qui il<br />
sincretismo tra Helios e Mitra diviene mitraismo a<br />
tutti gli effetti. Tuttavia il culto non si sviluppò se non<br />
quando arrivò, nel I secolo a.C., a Roma.<br />
L’origine del dio differisce dalla versione mazdeica ed<br />
hindu: uno dei miti narra che Mitra nacque da una<br />
roccia 6 (de petra natus), con un pugnale in una mano,<br />
una fiaccola nell’altra, indossando un berretto frigio.<br />
Un altro mito narra che il dio decide di venire al<br />
mondo incarnandosi nel ventre della divinità vergine<br />
Anahita 7 , e nasce in una grotta. Nel culto mitriaco i<br />
festeggiamenti per la nascita del dio erano celebrati il<br />
25 dicembre, durante il solstizio d’inverno (in persiano<br />
chiamato Shab-e Yalda), come si conviene ad dio della<br />
luce. Nella sua vita compie diverse gesta: prima fra<br />
tutte soggioga il sole e lo introduce ai suoi misteri: le<br />
due divinità stipulano un patto nel quale Mitra riceve<br />
in dono una corona luminosa, e banchettano assieme.<br />
In seguito colpisce con una freccia la roccia, facendone<br />
5 Plutarco, Pomp., 24, 5<br />
6 Così come l’antropomorfo Ullikummi hurrito-hittita e il mostro ermafrodita Agditis ellenico,<br />
che diviene, dopo la castrazione, Cibele.<br />
7 Il più grande tempio mitriaco è quello Seleucide situato a Kangavar del 200 a.C. Questo è<br />
dedicato ad “Anahita, la immacolata vergine madre del signore Mithras”
scaturire acqua. Cattura un toro e, portatolo nella sua<br />
caverna dopo aver superato delle difficoltà causate da<br />
uno scorpione e da un serpente mandati dal dio<br />
malvagio Ahriman per ostacolarlo, e lo sgozza. Dal<br />
corpo del toro, come abbiamo visto precedentemente<br />
nella mitologia zurvanica nell’episodio<br />
dell’avvelenamento del toro primordiale Abudad,<br />
nascono tutte le erbe e le piante salutari, dal midollo il<br />
grano che dà il pane, dal suo sangue la vite, e dallo<br />
sperma gli animali utili all’uomo. Al termine del suo<br />
mandato, dopo 33 anni, il Dio sarebbe salito in cielo<br />
con l’aiuto del sole.<br />
Il culto assunse sempre più importanza senza tuttavia<br />
divenire mai religione ufficiale: dapprima tramite<br />
militari e schiavi per poi arrivare sino agli imperatori.<br />
Nel II-III secolo d.C. giunse al massimo splendore,<br />
tuttavia nasceva il forte contrasto con l’altra religione<br />
monoteista del tempo, il Cristianesimo. Nel 313 d.C.<br />
l’editto di Costantino segna una prima vittoria cristiana,<br />
mentre la restaurazione pagana di Giuliano Imperatore<br />
(361 – 363 d.C.) permise una ripresa del culto mitriaco<br />
che fermò almeno la distruzione dei templi. Con la<br />
sconfitta di Eugenio per mano di Teodosio nel 394 d.C.<br />
la religione cristiana prevalse su quella mitriaca. Sui<br />
templi vennero erette chiese e basiliche.<br />
Il tempio e il rito<br />
Un’immagine della tauroctonia completa di tutti gli elementi<br />
Il tempio mitriaco riproduce fedelmente gli aspetti<br />
chiave del mitraismo: questo si trova in luoghi<br />
sotterranei che rappresentano una grotta la spelunca,<br />
la cui volta è dipinta con astri e costellazioni per<br />
Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 27
I MISTERI DI MITHRA<br />
rappresentare il macrocosmo nel microcosmo. In fondo<br />
alla spelunca è situata l’immagine del dio dipinta, in<br />
bassorilievo e in forma statuaria. Questi posizionato al<br />
centro, con il sole alla sua sinistra e la luna alla sua<br />
destra, nell’atto di sgozzare il toro8: con una mano<br />
tiene le froge dell’animale, mentre con la destra gli<br />
affonda il pugnale nella gola. Dalla ferita cola del<br />
sangue che viene leccato in prossimità del petto da un<br />
cane, e da un serpente in basso. Uno scorpione attacca<br />
i testicoli del toro con le chele tentando di avvelenarne<br />
il seme. Il serpente e lo scorpione sono mandati da<br />
Ahriman affinché il sacrificio sia vanificato,<br />
impedendo al sangue e allo sperma di fecondare la<br />
terra. La coda del toro, che rappresenta la fine della<br />
colonna vertebrale contenente il midollo, termina con<br />
delle spighe di grano. Il Volto di Mitra è rivolto verso<br />
il sole, come per chiedere il permesso del sacrificio<br />
permesso accordato per mezzo di un messaggio<br />
portato da un corvo in volo, e il suo mantello, come<br />
gonfiato dal vento, racchiude la volta celeste. Ai lati<br />
sono presenti due dadofori gemelli, Cautes e<br />
Cautopates: il primo con una fiaccola alzata, il secondo<br />
con la fiaccola abbassata. Assieme a Mitra<br />
rappresentano i tre momenti del giorno: l’alba, il<br />
mezzogiorno, il tramonto.<br />
Ai lati della spelunca erano presenti delle strutture<br />
murarie rialzare sulle quali i fedeli seguivano il rituale<br />
e assistevano al banchetto e le pareti laterali erano<br />
affrescate con scene inerenti i gradi iniziatici. Oltre la<br />
spelunca erano presenti altre stanze adibite alla<br />
cerimonia del battesimo dell’iniziato, alla preparazione<br />
del cibo per il banchetto, e alla vestizione del Pater.<br />
Mentre grazie ai reperti archeologici ci è possibile<br />
conoscere la struttura del tempio e la scala gerarchica<br />
dei gradi iniziatici, i cui simboli sono presenti in<br />
affreschi e mosaici in mitrei sparsi in tutta Europa,<br />
non ci è possibile conoscere il rituale vero e proprio in<br />
quanto questo non produceva atti scritti ma veniva<br />
tramandato solo oralmente.<br />
28<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Alessandro Riccardi<br />
(Gargoyle)<br />
L’interno del Mitreo del Circo Massimo a Roma<br />
I gradi iniziatici del mitraismo erano sette, accessibili<br />
solo agli uomini: Corax (corvo), Nymphus (ninfo o<br />
sposo) , Miles (soldato), Leo (leone), Perses (persiano),<br />
Heliodromos (corriere del sole) , Pater Patrum (padre).<br />
Quest’ultimo, massimo grado del mitraicismo, era<br />
abbreviato in Pa.Pa.<br />
Ogni grado iniziatico era associato ad un pianeta e a<br />
particolari simboli identificativi e la struttura<br />
iniziatica è rispondente ad altre strutture tradizionali.<br />
8 La tauroctonia mitriaca rappresenta anche il quadro astrale del passaggio dall’età del Toro a<br />
quella dell’Ariete, fedele dunque a quella dottrina dei cicli temporali cardine della dottrina<br />
zurvanista. Il tempo dunque indicato dall’iconografia, ossia il Sole che muore al tramonto in<br />
Toro e ris<strong>org</strong>e all’alba nell’età dell’Ariete, è databile, secondo la precessione degli equinozi, a<br />
circa 3.742 anni fa, nel 1.796 a.C. Ciò rende ipoteticamente valide le ipotesi secondo cui le origini<br />
mitriache risalirebbero intorno al 1.500 a.C.
Il grado più basso è quello di Corax e rappresenta la<br />
morte iniziatica del neofita; in Persia si usava esporre<br />
i cadaveri su torri fuunerarie affinché venissero mangiati<br />
dai corvi. Il neofita muore e rinasce in un corso<br />
spirituale: i suoi peccati sono lavati con l’acqua con il<br />
battesimo per immersione 9 nell’apposita stanza del<br />
tempio. Il neofita si desta dal buio del sonno e si dona al<br />
nuovo cammino nella luce di Mitra. Il grado di Corax è<br />
sotto la protezione di Mercurio, ed alcuni simboli ad esso<br />
associati sono il corvo, il cadduceo, l’ariete.<br />
Il secondo grado è quello di Nymphus, o crisalide: così<br />
come dalla crisalide nasce la farfalla, dal Nymphus<br />
nasce l’iniziato a Mitra: era il suo sposo, o il suo amante.<br />
L’iniziato offriva alla statua di Mitra una coppa<br />
d’acqua: la coppa era il suo cuore, l’acqua il suo amore.<br />
Il Nymphus è sotto la protezione di Venere, ed alcuni<br />
simboli ad esso associati sono il serpente e la lucerna.<br />
Il terzo grado era occupato dalla figura del Miles;<br />
questo grado rappresenta la duplice battaglia.<br />
Dapprima il nofita doveva combattere con la spada<br />
contro un uomo per conquistare la corona: in seguito<br />
veniva spogliato e veniva fatto inginocchiare nudo, con<br />
le mani legate e bendato, a rappresentare la<br />
sottomissione all’autorità religiosa e l’abbandono della<br />
materialità della vecchia vita. Gli veniva offerta una<br />
corona sulla punta della lancia, e dopo l’incoronazione<br />
veniva tolta la benda e tagliate le corde con un colpo<br />
secco di lancia, per rappresentare la liberazione dalla<br />
materialità del mondo. Il Miles, come segno di rinuncia<br />
all’intelletto ed accettazione di Mitra come unica<br />
guida, toglieva la corona e la poggiava sulla spalla<br />
pronunciando la frase “Mitra è la mia unica corona.” 10<br />
Passata tale fase, il Miles iniziava la vera battaglia, quella<br />
contro la parte più bassa di se stesso. Il terzo grado è<br />
sotto la protezione di Marte e alcuni simboli associati<br />
sono lo scorpione, l’elmo, la lancia.<br />
L’iniziazione del Miles in un affresco di un mitreo<br />
Con questo grado termina il gruppo dei “servitori” del<br />
rito ed inizia il gruppo dei “partecipanti” al rito.<br />
Al quarto grado, l’iniziato accede ad un livello di<br />
comprensione superiore inerente il mondo fenomenico,<br />
passaggio che si può compiere esclusivamente con un<br />
vero atto di forza interiore. E’ il grado di Leo,<br />
rappresentativo dell’elemento del fuoco, gradino per<br />
entrare nella porta del non commensurabile. I Leones<br />
non toccavano acqua durante i rituali ma veniva<br />
offerto loro del miele per lavarsi le mani e con lo stesso<br />
veniva unta loro la lingua 11 : erano i custodi del fuoco<br />
9 A volte il battesimo avveniva con il sangue della vittima sacrificale la quale, nonostante la tauroctonia risulti iconograficamente logica,<br />
non era realizzabile in virtù della ristretta dimensione del tempio. La vittima sacrificale era spesso un agnello.<br />
10 Tertulliano, De corona<br />
11 Il miele era il cibo dei beati e dei neonati. Cfr. Porfirio, De antro nimph<br />
Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 29
I MISTERI DI MITHRA<br />
sacro e servivano durante il banchetto rituale i cibi<br />
preparati dai gradi inferiori. Il banchetto rituale, a<br />
base di pane e vino simbolo del frutto del sacrificio del<br />
toro (grano dal midollo e vite dal sangue),<br />
rappresentava l’ultima cena di Mitra con i suoi<br />
compagni sulla terra prima di salire in cielo con il Sole.<br />
Il grado di Leo è sotto la protezione di Giove e alcuni<br />
simboli ad esso riferiti sono il cane, la folgore, l’aquila.<br />
Il quinto grado, quello di Perses, è rappresentato dal<br />
dadoforo Cautopates ed è il Custos delle grotte<br />
mitriache. Simbolo tipico dell’iniziato è l’arma con cui<br />
Perseo decapitò la G<strong>org</strong>one, che rappresenta la vittoria<br />
dell’aspetto più basso dell’iniziato. Attraverso questa<br />
vittoria l’iniziato aveva diritto ad essere affiliato alla<br />
razza persiana, l’unica razza degna di ricevere la<br />
Rivelazione della saggezza del Magio (magoi). Essendo<br />
sotto la protezione della Luna, l’iniziato veniva<br />
purificato con il miele in quanto, nell’antico Iran, si<br />
riteneva che la Luna ne fosse la fonte 12 . Altri simboli<br />
rappresentativi del grado di Perses sono la civetta, la<br />
falce di luna, la brocca.<br />
Heliodromos è il sesto grado, rappresentato da Cautes,<br />
con la torcia alzata a rappresentare il levar del sole.<br />
Heliodromos rappresenta l’alba e il viaggio del sole nel<br />
cielo nelle ore diurne.<br />
In questo grado l’iniziato rappresentava il sole durante<br />
il banchetto rituale, vestito interamente di rosso,<br />
colore della vita, del sole e del fuoco. E’ sotto la<br />
protezione del Sole ed è simbolicamente raffigurato da<br />
una corona a sette raggi, la torcia, il gallo, il globo.<br />
Il settimo e massimo grado della gerarchia iniziatica<br />
mitriaca è il Pater Patrum (Pa.Pa.). Egli rappresenta<br />
l’Età dell’Oro attraverso Saturno 13 , è il rappresentante<br />
30<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Alessandro Riccardi<br />
(Gargoyle)<br />
di Mitra sulla terra, la personificazione della luce<br />
paradisiaca. Era la guida dei gradi inferiori, vestiva<br />
pantaloni persiani rossi, cappello frigio rosso e un<br />
bastone, simbolo del carico spirituale. Il suo grado è<br />
sotto la protezione di Saturno.<br />
Tale struttura gerarchica ci è stata tramandata da<br />
documenti e con l’aiuto di iscrizioni, affreschi e<br />
decorazioni presenti nei mitrei: circa il rituale si fa<br />
riferimento a “vociferazioni” presenti in documenti<br />
successivi il bando della religione mitriaca, pertanto<br />
appare difficile separare la realtà dalla fantastica<br />
necessità di demonizzare il mitraicismo da parte della<br />
chiesa romana. Gli apologeti cristiani polemizzano<br />
spesso contro i sacramenti mitriaci definendolo<br />
“ispirati da Satana”. Tertulliano e Luciano parlano<br />
della conclusione dell’iniziazione al grado di Miles con<br />
la marchiatura a fuoco sulla fronte dell’iniziato 14 , o<br />
purificato con una torcia ardente 15 . Il combattimento<br />
con la spada iniziale del Miles probabilmente avveniva<br />
contro un fantoccio (a rappresentare la facilità della<br />
battaglia materiale, della piccola guerra santa, a<br />
confronto con la battaglia spirituale, la Grande Guerra<br />
Santa), il che potrebbe confermare lo sdegno in un<br />
testo dello storico Lamprida quando parla<br />
dell’Imperatore Commodo che macchia di sangue i<br />
Misteri di Mitra 16 (che avrebbe ucciso, nel ruolo di<br />
Pater, un Miles invece di simularne l’esecuzione).<br />
Anche se in Grecia il mitraicismo non ha<br />
lasciato tracce archeologiche rilevanti, una traccia<br />
documentaristica riguardo il rituale proviene proprio<br />
dal territorio ellenico; il rituale 17 è inserito in una<br />
raccolta di manoscritti ermetici su trentasei fogli di<br />
papiro, acquistati in Egitto dal console generale di<br />
. 12 L’espressione “Luna di miele” denota la continuità della fertilità e dell’amore nella vita<br />
matrimoniale, che oggi giorno è associato al mese dopo il matrimonio.<br />
13 Virgilio, BUCOLICHE, ECLOGA IV: “Ultima Cumaei venit iam carminis aetas; magnus ab<br />
integro saeclorum nascitur ordo. Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna, iam nova progenies<br />
caelo dimittitur alto. Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum desinet fave Lucina: tuus iam<br />
regnat Apollo.” (Già arrivò l’ultima età della predizione dei cumani, nasce per intero una grande<br />
serie di secoli; e già ritorna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno, già una nuova progenie<br />
è mandata giù dall’alto cielo. Tu, casta Lucina, proteggi il bambino che nasce ora dove per la<br />
prima volta cesserà l’era delle armi: già regna il tuo Apollo.)<br />
14 Tertulliano, De praescr. haret.<br />
15 Luciano, Mennipus<br />
16 Lamprida, Commodus<br />
17 Armando Cepollaro (a cura di), Il rituale di Mithra, grande papiro magico di Parigi, Atanòr
Il Pater Patrum<br />
Svezia M. d’Anastasi e dallo stesso ceduti alla<br />
Biblioteca Nazionale di Parigi nel 1857 18 : scritto in<br />
forma greca, è databile tra il la fine del III e l’inizio<br />
del IV secolo d.C 19 .<br />
L’elemento cardine del rituale è la volontà dell’iniziato<br />
ad imitare il dio che muore e ris<strong>org</strong>e per divenire<br />
partecipe della sua energia ultraterrena 20 , attraverso<br />
un’azione mistico-magica. Il mistero mitriaco ha una<br />
posizione trascendente nei confronti dell’uomo il quale<br />
non giunge mai, anche se scala gerarchicamente i gradi<br />
da corax a pater, ad assimilarsi al dio 21 , ma va solo alla<br />
ricerca della sua protezione chiedendo ed invocando la<br />
sua amicizia al fine della propria salute spirituale. Il<br />
testo del rituale è pervaso di riferimenti simbolici<br />
planetari ed astrali attraverso i quali il teurga compie<br />
l’ascensione all’empireo attraverso le sette sfere di<br />
fuoco. Tali porte si schiudono solo in virtù di formule<br />
sacramentali, lasciando proseguire l’iniziato attraverso<br />
il suo viaggio alla fine del quale è dvo-ja, due volte<br />
nato. Il frasario magico non può essere interpretato<br />
letteralmente: è composto da frasi e sillabe evocatorie<br />
ed invocatorie dotate di potenza e forza visualizzante<br />
nel regno vedico e in quello delle forme: simili ad un<br />
mantra, a parole di potere. Il rituale è composto da<br />
un’iniziale formula propiziatoria, da una preghiera<br />
invocatoria cui seguono nove Logos. Il rituale termina<br />
con l’istruzione per l’impiego del rituale magico e<br />
l’istruzione per l’azione rituale.<br />
Mitraicismo e Cristianesimo.<br />
Leggendo quanto esposto finora sono evidenti diversi<br />
elementi comuni fra la religione Cristiana e lo<br />
Zurvanesimo/Mazdeismo/Mitraicismo: il cristianesimo è<br />
l’ultima grande religione in ordine temporale ed ha risentito<br />
delle influenze della spiritualità preesistente. Anche il<br />
giudaismo e l’islamismo contengono elementi comuni 22 .<br />
L’aspetto trinitario divino (nell’aspetto, non nella<br />
definizione), elementi della genesi del mondo e<br />
dell’uomo (la coppia primordiale Mǎsye-Mǎsyane), il<br />
libero arbitrio tra bene e male (Ohrmazd-Ahriman), il<br />
diluvio (da cui per salvare le creature viene costruito il<br />
palazzo Vara di Yima). Nello Zoroastrismo (riforma<br />
del Mazdeismo da parte di Zarathustra) c’è la figura<br />
18 Papyrus Anastasii, n° 574 del Supplement grec du Recueil magique, Departement des manuscrits, Biblioteca Nazionale di Parigi. Il<br />
rituale mitriaco si estende dalla riga 42 del fogl. 7 recto alla riga 16 del fogl. 10 verso.<br />
19 APATHANATISMOS: Rituale mithriaco del Gran Papiro di Parigi – prima traduzione dal greco con una introduzione, un commento ed<br />
un’appendice; in “UR”, Roma, anno I, Aprile 1927, n. IV.<br />
20 Bousset, Kyrios Kristos; Göttingen, 1921<br />
21 Accade il contrario in altri misteri come quello di Attis, di Sabi, di Osiris.<br />
22 Elementi comuni si riscontrano non solo per quanto concerne la cultualità solare/patristica: vi sono profondissime comunanze anche<br />
con la cultualità lunare/matristica di cui non ci occuperemo in questo articolo.<br />
Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 31
I MISTERI DI MITHRA<br />
di Saoshyant, futuro Salvatore degli uomini, nato da<br />
una vergine: questi assieme ad Ohrmazd, sacrificando<br />
il toro Hatayos dà via al Rinnovamento finale<br />
(frašo-kereti) durante il quale verranno resuscitati tutti<br />
gli uomini per prendere parte alla battaglia finale tra<br />
bene e male.<br />
La nascita di Mitra da una vergine in una grotta il 25<br />
dicembre (la Chiesa stabilirà la nascita di Cristo lo<br />
stesso giorno nel IV secolo d.C.) con la visita del<br />
nascituro da parte dei Re Magi, magoi persiani,<br />
l’episodio della roccia colpita da cui scaturisce acqua<br />
(ritrovato in Mosè e Pietro), il periodo di permanenza<br />
sulla terra di 33 anni, l’ultima cena con il pane e il vino<br />
(frutti del sacrificio del corpo e del sangue del toro) e<br />
successiva ascesa in cielo, corrispondenza del nome del<br />
massimo grado (Papa, dall’abbreviazione di Pater<br />
Patrum, Pa.Pa.). Mitra è anche ritenuto essere il<br />
Salvatore degli uomini e nel giorno del Giudizio<br />
giudicherà le anime che verranno destinate nel<br />
paradiso 23 o nell’inferno. Nel rituale si nota l’analogia<br />
nei tre momenti iniziatici dei gradi inferiori del<br />
mitraicismo e i sacramenti: battesimo (corax),<br />
comunione (nymphus), Cresima (Miles). Anche in altri<br />
elementi del Cristianesimo si nota la sovrapposizione<br />
con il culto di Mitra. Oltre alla figura del Cristo anche<br />
quella dell’Arcangelo Michele offre immediate analogie<br />
con Mitra: l’Arcangelo Michele è un angelo guerriero,<br />
protettore degli spadaccini, il cui colto si trova in<br />
presenza di grotte e cavità naturali. Tale culto nasce<br />
dalla leggenda del cacciatore che, ferito un toro bianco,<br />
lo insegue dentro una grotta dove appare l’Arcangelo.<br />
Michele, nell’iconografia in cui uccide il drago (o il<br />
demonio), rappresenta la vittoria sugli stati più bassi<br />
dell’essere nella costante Grande Guerra Santa, mentre<br />
nell’iconografia in cui appare con la bilancia<br />
rappresenta la psicostasia, la pesatura delle anime<br />
durante il Giudizio Universale; tutti elementi ben<br />
presenti nella storia di Mitra e del suo rituale.<br />
Il culto iranico di Mithra era stato in grado di unire<br />
32<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Alessandro Riccardi<br />
(Gargoyle)<br />
l’eredità iranica al sincretismo greco-romano: i misteri<br />
di Mitra avevano integrato ed assimilato correnti<br />
specifiche dell’età imperiale romana, come l’astrologia,<br />
speculazioni escatologiche, culto solare. Ma nonostante<br />
leredità orientale la lingua liturgica era il latino e i capi<br />
dei Misteri provenivano dalle popolazioni italiche e da<br />
quelle delle province romane: erano inoltre assenti<br />
pratiche mostruose ed <strong>org</strong>iastiche. Queste qualità<br />
stabilirono il successo del mitraicismo tanto da spingere<br />
Ernest Renan a citare la frase “se il cristianesimo fosse<br />
stato fermato nella sua espansione per via di qualche<br />
malattia mortale, il mondo sarebbe stato mitriaco” 24 .<br />
Ma la Grande ruota gira, i cicli si compiono: a nulla<br />
potè la spiritualità mitriaca contro il naturale<br />
decadimento che avanza con le età cosmiche. Nel III<br />
secolo d.C. i culti solari popolari di Mitra ed Apollo<br />
iniziarono a fondersi nel sincretismo del Sol Invictus:<br />
Aureliano, figlio di una sacerdotessa del Sole, rende<br />
ufficiale il culto nel 274 d.C. Costituisce un nuovo<br />
corpo di sacerdoti (pontifex solis invicti) ed attribuisce<br />
al Sol invictus le vittorie in Oriente. La perdita della<br />
Dacia e le invasioni dei popoli del Nord, che distrussero<br />
molti templi, contribuirono al declino del culto. La<br />
crescita del cristianesimo favoreggiata da Costantino e<br />
la vittoria di questo a Ponte Milvio (l’onirico episodio<br />
del “in hoc signo vinces”) segna la fine del mitraicismo.<br />
In seguito l’Imperatore Giuliano cercò di restaurare il<br />
culto e di limitare l’avanzata della religione cristiana,<br />
ma il decreto di Teodosio del 391, nel quale venivano<br />
vietati culti non cristiani, ne sancì definitivamente la<br />
fine. I templi vennero distrutti, o nel migliore dei casi<br />
sopra di essi vennero erette chiese e basiliche.<br />
Tuttavia, grazie alla sopravvivenza archeologica dei<br />
templi e al sincretismo religioso del culto mitriacocristiano,<br />
abbiamo la possibilità di percorrere a ritroso<br />
le origini della spiritualità 25 , in un cammino che ci<br />
riporti all’unione con l’unico Principio generatore<br />
rappresentato nei millenni con tanti volti, tante forme,<br />
tanti nomi.<br />
23 Dal sanscrito paradesha, “paese supremo”, altopiano del primo popolo di lingua sanscrita,<br />
culla dei primi uomini pensanti divini. Successivamente pairidaeza in iranico da pairi-<br />
“attorno” diz- “creare”.<br />
24 Ernest Renan, Marc Aurèle, p. 579<br />
25 Vedi escursioni dell’Associazione Culturale Thule Italia - Gruppo Escursionismo<br />
Archeologico - Sezione regionale LATIVM, presso il monte Soratte, (Rivista Thule Italia n° 19<br />
e 20 del 2007) e presso il Mitreo di S.Prisca.
Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 33
LA MODERNA<br />
“RELIGIONE DELLA SCIENZA”<br />
Alcuni retroscena di un<br />
equivoco plurisecolare<br />
La scienza è fondamentalmente democratica e<br />
antioligarchica<br />
F. W. Nietzsche<br />
Non è certo impresa facile affrontare una questione<br />
come quella dello sviluppo scientifico e delle sue<br />
conseguenze tecnologiche nella modernità, ma<br />
l’importanza del fenomeno motiva il nostro tentativo<br />
di inquadrarlo e di delinearne anche solo brevemente<br />
tratti distintivi e ombre.<br />
È cosa piuttosto nota che a partire dal XVI secolo,<br />
soprattutto in Europa, una serie di eventi, di scoperte, di<br />
riflessioni abbiano dato una forte spinta accelerativa alla<br />
conoscenza dei meccanismi e delle leggi naturali,<br />
conoscenza alla quale hanno fatto seguito applicazioni<br />
pratiche sotto forma di apparecchiature, di macchine e<br />
in generale di applicazioni finalizzate ai più disparati<br />
scopi, diffuse in una quantità mai vista sino ad allora.<br />
La cosiddetta scienza e soprattutto la sua versione<br />
applicativa che è la tecnologia sono in effetti i caratteri<br />
distintivi della civiltà moderna in rapporto alle civiltà<br />
precedenti: uno sguardo critico sulla modernità deve<br />
pertanto passare attraverso un’analisi attenta del<br />
fenomeno scienza-tecnologia. Noi, però, se da un lato<br />
siamo sospettosi verso l’autocelebrazione della<br />
modernità e dei suoi fasti, non intendiamo per contro<br />
assumere quelle posizioni bigotte e retrive diffuse in certi<br />
ambienti sedicenti tradizionalisti o conservatori di rifiuto<br />
della novità per partito preso, che vedono nel personal<br />
computer un instrumentum diaboli o contrappongono<br />
al darwinismo i miti dell’Antico Testamento.<br />
Ora, nessuno potrebbe seriamente pretendere di<br />
negare gli innumerevoli vantaggi che sono derivati da<br />
questo immenso fenomeno: la scienza moderna è<br />
finalizzata soprattutto ad applicare in forme pratiche<br />
le leggi e i principi enucleati in sede teorica, a rendere<br />
cioè semplicemente più comoda e più agiata la vita<br />
dell’uomo, e in ciò sembra decisamente essere riuscita<br />
nel suo intento. Un confronto tra la medicina antica o<br />
medioevale e quella moderna è sufficiente ad avere la<br />
34<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Michele Russo<br />
(Aries)<br />
misura del cambiamento. Lo scopo del nostro discorso<br />
non sarà quindi un’impossibile requisitoria contro<br />
evidenti successi, quanto piuttosto indagare se dietro<br />
tutto questa gloria e questo fasto vi siano dei lati<br />
oscuri o delle mancanze. E a nostro parere, a ben<br />
guardare, ve ne sono abbastanza per poter affermare<br />
che i costi superano i guadagni.<br />
A cominciare dai termini vi è oggi molta confusione:<br />
quando si parla di scienza viene spesso implicitamente<br />
sottointeso l’aggettivo “moderna”, quasi che prima del<br />
1500 l’umanità vivesse nell’ignoranza. Questa prima<br />
distorsione si basa sull’idea, arbitraria e infondata, che<br />
sia scientifica soltanto quella conoscenza di natura<br />
sperimentale, mentre il sapere non misurabile in<br />
termini matematici sia soltanto favola e opinione. A<br />
partire da questo equivoco, i cui principali responsabili<br />
furono Francis Bacon e René Descartes, gli uomini<br />
hanno iniziato a prestare un’attenzione smisurata allo<br />
studio della natura nei suoi aspetti esclusivamente<br />
materiali - peraltro per la brama di un suo<br />
sfruttamento economico, non certo di una sua pura<br />
conoscenza - tralasciando in misura progressiva quelle<br />
branche del sapere come la metafisica, la psicologia o<br />
l’etica che fino ad allora componevano un tutto<br />
<strong>org</strong>anico. È pur vero che nell’ultimo secolo alcune<br />
discipline come la psicologia sono tornate in voga, ma<br />
appunto scisse e sconnesse da una vera metafisica - che<br />
dopo la fine dell’idealismo tedesco del XIX secolo non<br />
esiste più -, e impostate sul modello epistemologico<br />
proprio delle scienze positive, vale a dire in una<br />
prospettiva strettamente materialista ed empirista.<br />
Peraltro forse è opportuno ricordare che moltissime<br />
teorie e spiegazioni oggi correntemente accettate non<br />
hanno alcunché di sperimentale: basti pensare alla<br />
teoria della gravitazione universale di Isaac Newton, a<br />
quella dell’evoluzione di Charles Darwin o a quella<br />
della relatività generale di Albert Einstein. Con ciò non<br />
intendiamo entrare nel merito sostenendo che simili<br />
teorie non siano valide, ma soltanto che la<br />
sperimentabilità è un criterio per nulla scientifico, e<br />
pertanto che ritenere la scienza - in quanto<br />
sperimentale - più oggettiva e più veritiera del sapere<br />
speculativo è assolutamente infondato.<br />
Di pari passo ai progressi della scienza positiva si è
assistito nell’era moderna al tramonto del sapere<br />
metafisico e di ogni scienza sacra: tradizioni millenarie<br />
che diedero luogo a miti, religioni, riflessioni filosofiche<br />
sono state espunte dall’orizzonte del sapere occidentale<br />
come inutili e infondate chiacchiere, oppure si sono<br />
trasformate in sterili elucubrazioni, prive di ogni<br />
dignità e autorevolezza e ridotte a un giuoco di finezza<br />
logica. Il riflesso e la conseguenza di questa<br />
desertificazione metafisica e spirituale, di questa<br />
perdita di un significato forte dell’esistenza è il caos<br />
morale che oggi possiamo facilmente osservare.<br />
L’uomo moderno, tutto contento per essersi “liberato<br />
dall’oppressione religiosa”, illusosi con facilità di essere<br />
un homo faber “artefice del proprio destino”, si è<br />
ridotto in realtà nella più infamante condizione di<br />
servilismo: l’agire degli uomini nella attuale<br />
prospettiva materialista si configura infatti come un<br />
agire asservito agli aspetti più bestiali e vili<br />
dell’esistere, alle sue brame più cieche e insaziabili, ai<br />
suoi orizzonti più meschini e spregevoli.<br />
Eliminare ogni riferimento a piani della realtà diversi<br />
da quello materiale come hanno fatto le scienze e le<br />
filosofie della modernità ha reso l’uomo un essere i cui<br />
soli scopi sono soddisfare bisogni e perseguire piaceri.<br />
Guardando a un siffatto degrado in ogni uomo normale<br />
nascerebbe spontaneo l’interrogativo “ma è questa una<br />
esistenza degna di essere vissuta?”, domanda che<br />
probabilmente sfiora molti, ma che dimentichiamo con<br />
facilità grazie a tutte quelle distrazioni che proprio la<br />
tecnologia si premura di darci.<br />
Occorre poi notare come l’uomo moderno, ben lungi<br />
da quella serietà e da quel sobrio razionalismo con cui<br />
si raffigura, è in realtà in ogni ambito vittima<br />
inconsapevole di superstizioni e credenze irrazionali,<br />
sul piano morale come su quello politico e culturale, e<br />
non per ultimo su quello scientifico. Il materialismo e<br />
il progressismo sono due buoni esempi di queste<br />
credenze assurde.<br />
Il concetto di materia, elemento centrale in quasi tutte<br />
le filosofie moderne comprese quelle di tendenza più<br />
idealistica, è uno dei concetti più sfuggenti e oscuri di<br />
tutta la storia del pensiero umano. Secondo Aristotele<br />
- che a questo proposito si rifaceva a Platone, il quale<br />
a sua volta interpretava un assioma autoevidente che<br />
il pensiero tradizionale greco aveva fatto suo sin dalle<br />
origini - della materia in senso stretto non può esservi<br />
scienza, ma solo opinione: la materia infatti è “essere<br />
in divenire”, vale a dire in costante mutamento, e<br />
perciò inafferrabile dal pensiero, che invece può<br />
studiare solamente l’essere immobile. Di fronte a una<br />
tesi scientificamente rigorosa come questa ogni<br />
materialismo trova delle serie difficoltà a<br />
controbattere, e così la taccia di arretratezza ed evita<br />
di confrontarvisi seriamente: peraltro, anche<br />
studiando le varie filosofie materialiste che pure si<br />
legittimano appellandosi alla scienza, difficilmente si<br />
troverà una definizione “scientifica” della materia,<br />
entità che sembra piuttosto svolgere il ruolo di mito<br />
fondativo, se non addirittura di rozza superstizione. In<br />
questo senso il noto principio di indeterminazione di<br />
Heisenberg non fa che confermare l’aspetto sfuggente<br />
e scientificamente poco conoscibile della “materia”,<br />
confermando tra le altre cose il concetto Aristotelico.<br />
Un altro dei più profondi equivoci della modernità è il<br />
progressismo, quella confusa convinzione per cui il<br />
presente è meglio del passato e il futuro sarà meglio<br />
del presente. Progresso, evoluzione, positivismo,<br />
ottimismo - teorizzati in sede filosofica, tra gli altri, da<br />
Herbert Spencer nel secolo XIX - sono stati il motore<br />
degli immensi cambiamenti occorsi nei tempi ultimi e<br />
stanno alla base della rivoluzione industriale nonché<br />
del s<strong>org</strong>ere di quelle prospettive politiche quali il<br />
socialismo o il liberalismo.<br />
Che il progressismo o l’evoluzionismo non siano dati<br />
di fatto, ma miti insensati e vaghe aspirazioni,<br />
sintomatici più di stolto ottimismo che non di<br />
scientificità, sarebbe evidente anche a un bambino: la<br />
loro diffusione nell’età moderna rende però l’idea di<br />
come gli uomini oggi non si siano affatto “liberati dalla<br />
superstizione religiosa” come vanno vantandosi, e<br />
abbiano semplicemente sostituito un ordine di illusioni<br />
provvidenziali con un altro equivalente, incentrato su<br />
simili promesse escatologiche riguardanti il destino<br />
terreno.<br />
D’altro canto da quando ha cominciato a prendere<br />
piede una visione progressista sono anche state<br />
avanzate in risposta delle prospettive decadentiste.<br />
Bisogna però notare che il progresso come la<br />
decadenza non sono fatti ma punti di vista: la storia<br />
mostra come le civiltà e gli uomini cambiano<br />
Michele Russo / La moderna “religione della scienza” 35
LA MODERNA<br />
“RELIGIONE DELLA SCIENZA”<br />
semplicemente, migliorando sotto certi aspetti e<br />
peggiorando sotto altri. Su di un piano metastorico è<br />
sì lecito speculare se le sorti dell’universo consistano<br />
nel suo ripetersi ciclico, nel suo riassorbimento nel<br />
creatore, nella sua redenzione o che altro, ma quando<br />
tali discorsi vengono affrontati da chi non ne ha le<br />
competenze finiscono per essere banalizzati e condurre<br />
a esiti fuorvianti. Ciò basti a dire che progressismo o<br />
decadentismo sono legittime opinioni ma non certo<br />
verità scientifiche, e come sia quindi opportuno<br />
prendere le distanze non solo dal progressismo ottuso<br />
di matrice illuminista, ma pure da quel pessimismo<br />
tanto in voga tra molti tradizionalisti, sempre pronti a<br />
lamentare le nequizie del kaliyuga e attendere la<br />
redenzione da una nuova età dell’oro.<br />
Tornando al progressismo vale la pena ricordare come<br />
esso serva tutt’oggi a giustificare e coprire il fallimento<br />
evidente delle ideologie della modernità e delle<br />
istituzioni che di esse sono manifestazione: infatti,<br />
illusi che il futuro riservi ancora innumerevoli<br />
maraviglie per le quali vale la pena di sacrificare il<br />
presente, gli uomini d’oggi non si acc<strong>org</strong>ono della<br />
situazione disastrosa i cui li ha condotti quella stessa<br />
civiltà che promette loro un roseo futuro. Questo vale,<br />
per esempio, in riferimento alla devastazione<br />
dell’ambiente naturale provocata dalla odierna<br />
diffusione anomala della tecnologia: gli uomini hanno<br />
sempre consumato risorse e inquinato il proprio<br />
habitat, ma quando il fenomeno raggiunge proporzioni<br />
tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza degli<br />
uomini stessi, allora è opportuno interrogarsi se questo<br />
progresso sia davvero un miglioramento.<br />
Un ultimo aspetto oscuro della moderna tecnologia è<br />
la profondissima distanza che si è venuta a creare tra<br />
i costruttori e i fruitori della stessa: in epoche passate<br />
gli strumenti erano più rozzi, ma chi li utilizzava ne<br />
conosceva, in linea di massima, anche il processo<br />
produttivo: ciò permetteva di padroneggiarli e non<br />
subirli passivamente, di ripararli o ricostruirli nel caso<br />
si guastassero. Io che scrivo queste righe sul mio<br />
portatile non ho la minima idea di come avvenga<br />
l’elaborazioni dei dati che darà luogo alle parole sullo<br />
schermo o sul foglio stampato: inoltre, nel caso il<br />
computer si guastasse, non sarei in grado di fare molto<br />
più di una scimmia, e il mio lavoro dipenderebbe<br />
36<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Michele Russo<br />
(Aries)<br />
dall’intervento di un tecnico riparatore.<br />
Questo che apparentemente sembra un dettaglio<br />
insulso ha in realtà conseguenze enormi sulla<br />
psicologia dell’uomo moderno: è uno degli elementi che<br />
contribuiscono a fare di esso un essere passivo, un<br />
servo, che però, inconsapevole del suo stato, si bea<br />
della comodità e dei lussi che gli vengono forniti.<br />
È impossibile in questa sede trattare analiticamente<br />
tutti gli aspetti del problema in questione, ma i pochi<br />
cenni fati possono bastare per rendere l’idea<br />
dell’importanza dell’argomento e delle sue<br />
implicazioni etiche ed esistenziali.<br />
Occorre precisare, peraltro, che le nostre critiche non<br />
sono rivolte più di tanto agli scienziati e alla scienza,<br />
quanto piuttosto ai divulgatori che banalizzano e<br />
strumentalizzano il sapere e la ricerca per scopi politici<br />
e sociali quando non commerciali, che fanno di Galilei<br />
ed Einstein i profeti della loro religione, che<br />
festeggiano il compleanno di Darwin come il “Natale<br />
dei laici”(1). Quando si divulga l’ipotesi che l’uomo sia<br />
imparentato con le scimmie non si afferma una verità<br />
scientifica, ma si propaganda un’etica, una visione del<br />
mondo e un modello comportamentale: basti pensare<br />
che Karl Marx, quando pubblicò il Capitale, intendeva<br />
dedicarlo a Darwin: e Marx non era certo uno<br />
scienziato naturalista.<br />
A questo cicalare disordinato e plebeo noi opponiamo<br />
ferma la certezza antica che il valore di una teoria<br />
scientifica non si misura dal numero di persone che vi<br />
credono. Che la credibilità di una scienza non si misura<br />
dalla sua utilità applicativa. Che la grandezza di una<br />
civiltà non dipenda dalla speranza media di vita.<br />
Noi non siamo antiscientisti od oscurantisti. Noi<br />
crediamo che le scienze e le tecniche non siano qualcosa<br />
da giudicare, frenare o liberalizzare, ma debbano essere<br />
considerate quali saperi strumentali, quindi sempre al<br />
servizio di qualcosa e mai a dominio di alcunché.<br />
Quello che noi critichiamo è il ruolo di dominio che la<br />
scienza moderna ha invece acquisito nell’orizzonte dei<br />
saperi: infatti se da un lato essa risponde molto bene<br />
alle domande circa il “come” avvengono i fenomeni,<br />
d’altro canto non è minimamente in grado – né<br />
potrebbe esserlo – di spiegare il “perché” di quei<br />
fenomeni, di motivarne l’esistenza. Il problema è che la
scienza attuale - o per meglio dire la sua vulgata -<br />
elude quella domanda, quel “perché”, pretendendo di<br />
rispondere con la più dogmatica delle asserzioni:<br />
l’essere è un “dato di fatto”.<br />
Quando un simile atteggiamento intellettuale diventa<br />
– come è diventato – modello generale di<br />
comportamento, il risultato non può che essere il<br />
riduzionismo etico, la banalizzazione dell’esistenza,<br />
l’annichilimento del senso dell’esistere a mero dato di<br />
fatto, l’autolimitazione della ricerca umana.<br />
Noi – lo ripetiamo – non siamo antiscientisti.<br />
Crediamo che la ricerca scientifica debba sempre essere<br />
promossa, ma non nei termini specialistici, tecnicistici<br />
e settorializzati nei quali opera oggi, ma integrata con<br />
gli altri ambiti del sapere, e la nostra ambizione è verso<br />
quella “chimica delle idee e dei sentimenti morali,<br />
religiosi ed estetici” auspicata da Friedrich<br />
Nietzsche(2).<br />
Noi ci opponiamo alla divulgazione della scienza, alla<br />
sua banalizzazione, al suo diventare una fede laica e<br />
una superstizione. Noi ci opponiamo alla diffusione<br />
abnorme della tecnologia che trasforma gli uomini in<br />
servi inetti e che mette a rischio il nostro ecosistema.<br />
(1) E’ tutto vero: il 12 febbraio, col patrocinio di diversi enti culturali<br />
tra cui le Università, si è celebrato il “Darwin Day” (sic!), giornata<br />
di rievocazione della “nascita del messia” (1809), dedicata a convegni<br />
ed eventi su evoluzionismo e scienza. Anche così nascono le nuove<br />
religioni!<br />
(2) Cfr. Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, I 1.<br />
Michele Russo / La moderna “religione della scienza” 37
“PLATONE”<br />
Parte Seconda<br />
Dobbiamo innanzitutto dichiarare, per onestà<br />
intellettuale, che la nostra “esegesi tecnica” del pensiero<br />
platonico attinge completamente dallo studio dell’ottimo<br />
ricercatore Franco Trabattoni, sebbene la sua<br />
interpretazione verrà da noi reinserita in una visione del<br />
mondo originale che egli riterrebbe da sé lontana. In<br />
particolar modo, i testi del Trabattoni cui abbiamo attinto<br />
sono: “Platone” e “La filosofia antica”, editi da Carocci.<br />
Nella prima parte del presente articolo abbiamo<br />
esaminato la dottrina platonica delle idee,<br />
sottolineandone l’aspetto di necessità etica, funzionale<br />
alla condizione politica ed alla debolezza del sentire<br />
comune nell’antica Atene.<br />
Dunque, il carattere ontologico delle idee platoniche, in<br />
tale ottica viene ad essere sminuito.<br />
Tempo fa, discutendo con alcuni Associati, concordammo<br />
nell’individuare il carattere funzionale della metafisica:<br />
fui piacevolmente sorpreso da tale accordo d’opinioni.<br />
Difatti, negando la possibilità della conoscenza perfetta<br />
del cosmo da parte dell’uomo, la metafisica può però<br />
continuare a sussistere come veicolo funzionale<br />
all’affermazione di principi adatti ad agire sulla<br />
condizione umana del proprio tempo. Tutte le metafisiche<br />
in sé possono reggersi in piedi. Condizione perché una<br />
metafisica non si riduca ad elucubrazione mentale, sta<br />
nella sua applicabilità nei diversi rami del reale.<br />
Non oseremo mai affermare con una certezza<br />
infondata che Platone davvero fosse convinto, come<br />
noi, della relatività e della funzionalità della<br />
metafisica, perché sarebbe un puro fantasticare, un<br />
insulto alla storiografia filosofica. Eppure la nostra<br />
sensazione rimane questa: Platone pose il suo sistema<br />
filosofico intero, pose la sua metafisica, concentrandosi<br />
sull’unico e vero obiettivo importante: la rifondazione<br />
etica e soprattutto politica della sua Atene, tentando<br />
però contemporaneamente, come è ovvio che fosse, di<br />
presentare un pensiero il meno confutabile possibile.<br />
Se la dottrina delle idee, con la sua affermazione<br />
dell’esistenza di principi etici stabili che esistono<br />
realmente, non avrebbe convinto Platone sulla sua<br />
utilità ad incidere sul pensiero e sulla tenuta<br />
esistenziale di chi ne venisse a contatto e soprattutto di<br />
chi ne venisse convinto, molto semplicemente<br />
crediamo intimamente che Platone l’avrebbe<br />
abbandonata per proporre qualcos’altro, senza troppe<br />
38<br />
Difesa della Tradizione<br />
preoccupazioni relative a ciò che è vero e ciò che non lo<br />
è, perché Platone, come vedremo, nel fatto che l’uomo,<br />
in questo mondo, possa raggiungere la verità assoluta,<br />
non credette affatto.<br />
La reminiscenza.<br />
di Matteo Mazzoni<br />
(Chrysokarenos)<br />
La dottrina delle idee viene posta da Platone<br />
conciliando due visioni contrapposte: quella di<br />
Eraclito e quella di Parmenide.<br />
Eraclito è il filosofo del “tutto scorre”, della realtà in<br />
continuo mutamento. Parmenide è colui che pose<br />
l’”essere” come stabile, immutabile, incorruttibile.<br />
Non è utile qui approfondire ulteriormente questi due<br />
autori. Basta notare che Platone credette nella natura<br />
mobile e transuente del mondo materiale. Ma la sua<br />
necessità di affermare l’esistenza e la stabilità di<br />
principi etico – estetici (le idee) lo ha indotto a<br />
ricondurre tali principi ad un mondo celeste, dove le<br />
regole che dominano il mondo materiale vengono a<br />
decadere, e dove alla dimensione del divenire vengono<br />
sostituiti gli attributi dell’essere di Parmenide.<br />
Parallelamente a tale suddivisione dei “mondi”<br />
Platone divise anche la conoscenza umana in due<br />
generi: al mondo sensibile corrisponde l’opinione<br />
(doxa), una conoscenza che s’appoggia sui sensi e che<br />
risulta incerta ed instabile come il mondo materiale<br />
che conosce; al mondo “celeste” corrisponde invece la<br />
scienza (episteme), conoscenza di carattere intellettivo,<br />
stabile e certa.<br />
Ma come l’uomo conosce le idee? La sua è una<br />
conoscenza che può essere davvero intellettiva, stabile<br />
e certa? Si tratta di una visione intuitiva delle idee,<br />
oppure si tratta di una conoscenza dialettica?<br />
Qui entra in gioco la dottrina della reminiscenza.<br />
In cosa consiste?<br />
In breve, presupponendo una esistenza umana<br />
prenatale, una sorta di soggiorno nel mondo celeste<br />
ove sono le idee, ove dimorano gli dei, Platone,<br />
attraverso il personaggio di Socrate (nel “Menone”, nel<br />
“Fedone”, nel “Fedro” e nel “Timeo”), mette in luce<br />
una fase dell’esistenza dell’anima umana ove questa si<br />
trova in un diretto contatto con le idee (idea,<br />
ricordiamolo, significa “visione”), potendone avere<br />
dunque conoscenza piena, diretta.<br />
Solo con il trauma della nascita, tale conoscenza viene
persa. Con la venuta dell’uomo nel mondo sensibile,<br />
l’anima “dimentica” ciò che aveva conosciuto nel<br />
mondo delle idee.<br />
In questa esistenza materiale, dunque, la sfida che<br />
l’uomo deve affrontare sta nel “ricordare” quanto<br />
dimenticato con la nascita in un corpo fisico.<br />
Nella prima parte del presente scritto, avevamo fatto<br />
notare come l’aspetto “maieutico” del personaggio<br />
platonico di Socrate, sembrerebbe non trovare<br />
riscontro nel Socrate storico. In effetti, il “far nascere<br />
le idee” è un elemento inserito da Platone come<br />
funzionale alla dottrina della reminiscenza. Socrate,<br />
convinto il proprio interlocutore della sua ignoranza,<br />
tenta, in senso vero e proprio, di far “nascere” in chi gli<br />
sta di fronte il “ricordo” di quella conoscenza che<br />
l’uomo ha posseduto nello stato prenatale, e che<br />
tornerà a possedere pienamente dopo la morte.<br />
Questo aspetto del pensiero Platonico per noi è molto<br />
importante perché, lo si ricordi, sottolinea una teoria della<br />
conoscenza che si caratterizza in maniera non razionale:<br />
l’uomo non impara nulla, ma semplicemente ricorda.<br />
Inoltre Platone, introducendo tale forma di<br />
conoscenza, che si configura come un portare alla luce<br />
un sapere innato e preesistente, apre le porte alla<br />
coscienza del fatto che è solo in una dimensione<br />
spirituale che l’uomo può fondare la propria<br />
conoscenza, poiché nel mondo degli dei e delle idee<br />
sono le sue radici.<br />
Alla dottrina della reminiscenza Platone accompagna<br />
la credenza nella metempsicosi, che da più parti, forse<br />
non a torto, è stata vista come la prova maggiore<br />
dell’influenza dell’orfismo e dei suoi culti nel pensiero<br />
platonico. L’anima, secondo il nostro ateniese,<br />
attraversa in alternanza fasi di esistenza celeste a fasi<br />
di incarnazione terrena. In verità, non sapremo mai se<br />
Platone introdusse tale aspetto perché realmente<br />
influenzato dall’orfismo o se per ragioni filosofiche di<br />
offrire una dottrina il meno confutabile possibile e di<br />
rafforzare l’idea dell’immortalità dell’anima. In fondo,<br />
poco ci interessa in questo scritto: se davvero il nostro<br />
scopo è quello di interpretare Platone come esempio di<br />
reazione di fronte alla “zivilizazion” ateniese, non<br />
saremo costretti, dunque, a svolgere un lavoro più<br />
propriamente dossografico o di storiografia filosofica.<br />
La seconda navigazione.<br />
L’aspetto scettico del pensiero platonico è messo ben in<br />
evidenza dalla cosiddetta “seconda navigazione”,<br />
sebbene molto spesso questo aspetto venga<br />
volutamente ignorato o snaturato.<br />
Partiamo da lontano.<br />
Nel “Fedone” si narra di come Socrate, non trovando<br />
nulla di soddisfacente nelle opere dei naturalisti,<br />
decida di modificare il suo metodo d’indagine<br />
rifugiandosi nei logoi (cioè i discorsi), che egli descrive<br />
come “seconda navigazione”. Questo celebre concetto<br />
è stato interpretato a piacimento dagli studiosi per<br />
rafforzare la loro visione del pensiero platonico. Ed in<br />
effetti si tratta di un concetto che si presta a numerose<br />
interpretazioni.<br />
Ad esempio scrive Giovanni Reale:<br />
“Seconda navigazione” è una metafora desunta dal<br />
linguaggio marinaresco, ed il suo significato più ovvio<br />
sembra essere quello fornitoci da Eustazio, il quale,<br />
riferendosi a Pausania, ci spiega: “si chiama seconda<br />
navigazione quella che uno intraprende quando, rimasto<br />
senza venti, naviga con i remi”. La “prima navigazione”<br />
fatta con le vele al vento corrisponderebbe, quindi, a quella<br />
compiuta seguendo i Naturalisti ed il loro metodo; la<br />
“seconda navigazione” fatta con i remi, e quindi assai<br />
più faticosa, corrisponde al nuovo tipo di metodo, il quale<br />
porta alla conquista della sfera del soprasensibile. Le vele<br />
al vento dei fisici erano i sensi e le sensazioni, i remi della<br />
“seconda navigazione” sono i ragionamenti e i postulati:<br />
e appunto su questi si fonda il nuovo metodo.<br />
(G. Reale “Platone e l’Accademia antica” da “Storia<br />
delle filosofia greca e romana”)<br />
Come sempre, noi preferiamo seguire Franco Trabattoni<br />
(“La filosofia antica”), che ci apre la via alla riscoperta<br />
di un Platone differente. La “seconda navigazione” deve<br />
dunque essere interpretata in maniera radicalmente<br />
differente rispetto a quanto fatto da Giovanni Reale: se<br />
la “seconda navigazione” è più faticosa della prima, ciò<br />
significa che la prima è preferibile, ma non disponibile,<br />
poiché il vento manca. “La prima navigazione” sarà da<br />
considerarsi quindi il procedimento che pretende di<br />
giungere al proprio obbiettivo mediante una conoscenza<br />
Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 39
“PLATONE”<br />
Parte Seconda<br />
diretta, simile a quella attuata dai sensi. Mentre la<br />
“seconda navigazione” (i logoi) viene introdotta da<br />
Platone poiché, impossibile la conoscenza diretta delle<br />
idee (che l’uomo potrà avere solo nel mondo postmortem),<br />
è necessario un metodo di ripiego: quel logos,<br />
appunto, che stimola il ricordo delle idee dimenticate<br />
con la nascita. Un metodo conoscitivo più debole<br />
dunque, una sorta di ripiego obbligato.<br />
Un’altra metafora nel “Fedone”, confermerebbe tale<br />
interpretazione: quella degli specchi bruniti, di cui ci si<br />
serve per vedere il sole durante l’eclissi senza rimanere<br />
accecati.<br />
“Perciò i logoi fanno da schermo e da filtro: permettono<br />
sì di conoscere, ma solo attraverso un diaframma che<br />
istituisce una distanza e una differenza. Si tratta<br />
appunto della differenza che separa la conoscenza<br />
intuitiva dell’idea, accessibile solo nell’oltremondo, dalla<br />
conoscenza mondana, che emerge faticosamente<br />
dall’anamnesi e si deve perciò appoggiare ai discorsi“.<br />
(Franco Trabattoni, “La filosofia antica”)<br />
Attraverso il quadro generale fornitoci dalla “seconda<br />
navigazione” possiamo dunque approcciarci al<br />
concetto dell’amore platonico.<br />
Eros. L’amore platonico.<br />
Il motivo dell’eros è affrontato da Platone in più d’un<br />
dialogo (“Simposio”, “Carmide”, “Liside”, ma anche<br />
“Fedro”), ma la trattazione più significativa, e<br />
certamente più famosa, è quella esposta nel<br />
“Simposio”. Per ovvie ragioni di spazio e di<br />
opportunità, solo di questa ci occuperemo.<br />
Lo scenario che Platone ci presenta è quello di un<br />
banchetto <strong>org</strong>anizzato per festeggiare il poeta<br />
Agatone, fresco vincitore di un agone tragico. I<br />
convitati s’accordano per recitare ciascuno, a turno,<br />
un discorso in onore del dio Eros. Quando è il turno di<br />
Socrate, ecco che egli, come di consueto, stravolge<br />
completamente la logica degli elogi e dei discorsi sino<br />
a quel momento pronunciati. Egli sostiene infatti che<br />
se amore è desiderio di bellezza e di bontà,<br />
necessariamente egli non è né buono né bello, poiché si<br />
desidera solo ciò che non si possiede.<br />
40<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Matteo Mazzoni<br />
(Chrysokarenos)<br />
Spianando in tal modo il terreno davanti a sé, Socrate<br />
racconta dunque del suo incontro con la sacerdotessa<br />
Diotima e di quanto ella gli disse, ossia che Eros<br />
nacque da Poros (Espediente) e Penìa (Povertà). Dal<br />
padre, Eros ereditò l’amore per ciò che è bello e buono,<br />
dalla madre, quella mancanza tipica di colui che<br />
desidera qualcosa.<br />
E proprio per questa sua natura di desiderante, Eros<br />
viene paragonato da Diotima al filosofo.<br />
Per quale motivo? La parola “filosofo” è composta dal<br />
prefisso philo- (“amico”) e da –sophos (“sapiente”).<br />
Dunque il filosofo è colui che tende alla sapienza, e vi<br />
tende perché non la possiede, così come Eros tende a<br />
ciò che è bello e buono, senza essere bello e buono.<br />
Difatti, solo gli dèi sono “sophoi” in senso pieno: al<br />
massimo, ci dice Platone, gli uomini possono essere<br />
filosofi, cioè coloro che si pongono in una medietà tra<br />
la sapienza e la semplice opinione, ove sta la cosiddetta<br />
“retta opinione”, in tensione verso l’alto, ma<br />
consapevolmente imperfetta.<br />
Come dice la stessa Diotima, Socrate è l’uomo più<br />
saggio, poiché sa ciò che è fondamentale sapere: cioè<br />
sa di non sapere.<br />
Questo è quanto ci è utile sottolineare di quest’aspetto<br />
del pensiero Platonico, poiché mostra ulteriormente<br />
come il nostro ateniese volle insistere sulla debolezza<br />
della conoscenza mondana in relazione alla conoscenza<br />
piena ultraterrena.<br />
Molti, e molto affascinanti, sono gli altri elementi che<br />
si possono trovare nei dialoghi d’amore platonici.<br />
Lasciamo al lettore la magica esperienza della loro<br />
scoperta. Per quanto ci riguarda, qui ci è stato<br />
possibile trattare solo ciò che è risultato utile al<br />
discorso che intendiamo portare avanti.<br />
Teorie della conoscenza nella Repubblica. La metafora<br />
della linea.<br />
Nella “Repubblica”, nota soprattutto per le<br />
considerazioni politiche in essa contenute, sono<br />
presenti pregevoli passaggi, che mettono più da vicino<br />
in luce le facoltà conoscitive umane e gli oggetti cui si<br />
riferiscono. Questo è il caso della cosiddetta “metafora<br />
della linea”.<br />
Allo scopo di spiegare la differenza tra sensibile ed<br />
intelligibile, il personaggio di Socrate immagina di
disegnare un segmento e di dividerlo in due parti: una<br />
relativa al sensibile, l’altra all’intelligibile, e<br />
successivamente di dividere ciascuna delle due parti in<br />
altre due.<br />
Nella parte inferiore, propria al mondo sensibile, al<br />
quale corrisponde il livello conoscitivo umano<br />
dell’opinione (doxa), si collocano la facoltà inferiore<br />
dell’immaginazione (Eikasia) cui corrispondono le<br />
immagini degli oggetti sensibili, i quali a loro volta<br />
sono oggetto di credenza (Pistis).<br />
La parte superiore della linea, quella propria alla<br />
conoscenza (Episteme), che coglie il mondo<br />
soprasensibile, è suddivisa da Socrate in due facoltà<br />
intellettuali: Dianoia e Noesis (entrambi i termini<br />
significano “pensiero”).<br />
Franco Trabattoni ha già da tempo smentito l’opinione<br />
più diffusa, che vedrebbe la Dianoia come un pensiero<br />
discorsivo avente per oggetto enti matematico –<br />
geometrici, e la Noesis come un pensiero intuitivo che<br />
avrebbe per oggetto le idee vere e proprie. Trabattoni<br />
argomenta le sue opinioni approfonditamente seguendo<br />
il testo della Repubblica. Sarebbe cosa troppo “tecnica”<br />
riportare qui le sue opinioni, che il lettore potrà<br />
approfondire autonomamente.<br />
A noi basti ricordare che l’uomo, nella sua esistenza<br />
terrena, non può avere conoscenza piena delle idee; dato<br />
ciò, non è possibile che la più alta facoltà intellettiva<br />
umana sia considerata la conoscenza intuitiva delle idee<br />
stesse. Se nell’intera opera platonica, il più elevato<br />
metodo di conoscenza è la dialettica, il ricorso ai logoi,<br />
non si capisce come la noesis dovrebbe esser considerata<br />
come conoscenza intuitiva.<br />
Dunque, come Trabattoni evince dal testo: Dianoia è<br />
una conoscenza che fa uso di immagini, ad esempio<br />
enti geometrici. Non è una conoscenza discorsiva<br />
(perché un geometra dovrebbe far ricorso alla<br />
dialettica? Per fare cosa?). La Noesis è invece<br />
introdotta da Socrate per indicare un “pensiero che<br />
risale verso un principio non ipotetico e che non fa uso<br />
di immagini” (Trabattoni, “La filosofia antica”).<br />
La Noiesis è un pensiero dialettico che ci indica come<br />
l’intelletto debba accostarsi alle idee:<br />
“…non deve assumerle come ipotesi (deve mostrare piuttosto<br />
che esistono necessariamente) e deve servirsi solo del logos,<br />
senza fare uso di immagini, né sensibili né mentali.”<br />
(F.Trabattoni, “La filosofia antica”)<br />
Eppure, per Platone, lo vogliamo ripetere, la dialettica<br />
non ci porta ad una piena conoscenza delle idee. Se è<br />
vero che per Platone il pensare è innanzitutto un<br />
dialogare, con sé stessi e con gli altri, è anche vero che<br />
mai l’ateniese trasformò la dialettica in una scienza.<br />
“Essa lavora, in altre parole, mediante la cura dell’anima<br />
e l’esame delle opinioni. Per venire in qualche modo in<br />
contatto con la verità l’uomo non può rivolgersi<br />
direttamente al mondo fuori di sé, per descriverlo e<br />
comprenderlo. Deve piuttosto ripiegare dentro di sé e<br />
rintracciare nella propria anima le impronte di una realtà<br />
trascendente che solo in quel luogo, sia pure in modo<br />
faticoso ed approssimativo, può manifestarsi”<br />
(F.Trabattoni, “La filosofia antica”).<br />
Le dottrine non scritte.<br />
Giovanni Reale ha avuto l’immenso merito d’aver<br />
sottolineato ciò che molti, troppo spesso, tendono ad<br />
ignorare: le opere di Platone che ci sono pervenute<br />
sono solo parte del suo insegnamento. Vi furono<br />
insegnamenti orali, esoterici, riservati ai soli membri<br />
dell’Accademia fondata dall’ateniese.<br />
Ma non ci si deve fermare qui. Nel “Fedro” e nella<br />
Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 41
“PLATONE”<br />
Parte Seconda<br />
“VII Lettera” Platone confessa apertamente di non<br />
aver mai voluto mettere per iscritto gli elementi più<br />
alti del suo pensiero, sia, diciamo così, per non gettar<br />
le perle ai porci, sia perché esistono concetti che un<br />
testo scritto non potrebbe mai spiegare. Che significa?<br />
Significa che il dialogo platonico è una forma di<br />
diffusione filosofica che il nostro ateniese ha ritenuto<br />
utile per una diffusione “esterna” e parziale, ma che<br />
quindi non è il miglior metodo di insegnamento<br />
filosofico! Questo molti lo hanno ignorato. Platone<br />
utilizza il dialogo come mezzo di diffusione ed incisione<br />
esterna, ma contemporaneamente anche come mezzo<br />
“propagandistico” in senso ampio per avvicinare a sé<br />
o alla sua Accademia coloro che sarebbero rimasti<br />
colpiti dal suo messaggio. Solo nell’Accademia gli<br />
insegnamenti Platonici più elevati avrebbero potuto<br />
esser studiati, ma solo dopo un lungo periodo di<br />
tirocinio e disciplina, atto a selezionare coloro che<br />
sarebbero stati degni di sapere.<br />
Certamente nei dialoghi platonici il pensiero più<br />
“interno” traspare, ma in modo molto velato, e sono<br />
ancora troppo pochi gli studiosi che hanno voluto<br />
tenere conto di ciò:<br />
“…possiamo comprendere i dialoghi platonici nella loro<br />
totalità solo se ci rendiamo conto che essi rimandano nei<br />
particolari ed in generale a una giustificazione di vasta<br />
portata che non è esplicita nell’opera scritta, ma che è<br />
presupposta in ogni sua parte.”<br />
(Kaiser, “Platone come scrittore filosofico. Saggi<br />
sull’ermeneutica dei dialoghi platonici”)<br />
Ovviamente, non sapremo mai quali furono tali<br />
insegnamenti esoterici. Certamente sarebbe ridicolo<br />
formulare ipotesi complesse, nonostante il fatto che<br />
Reale indichi l’esistenza di testimonianze – chiave,<br />
presso opere di allievi dell’Accademia, che potrebbero<br />
tornare utili nel tentativo di chiarire il mistero.<br />
Eppure noi, nella nostra azzardata operazione di voler<br />
comprendere le ragioni che mossero il pensiero di<br />
Platone, ossia, in senso ampio e un poco moderno, la<br />
sua psicologia, vorremmo quanto meno provare ad<br />
immaginare un qualche cosa di più.<br />
42<br />
Difesa della Tradizione<br />
Platone cavalca la tigre.<br />
di Matteo Mazzoni<br />
(Chrysokarenos)<br />
Nella prima parte del presente articolo introducemmo<br />
alcuni cenni sulla situazione storico – politica<br />
dell’Atene in cui visse Platone. Lo abbiamo fatto non<br />
per un semplice gusto storiografico, ma per far<br />
comprendere quale fosse la contingenza storica che il<br />
pensiero platonico dovette affrontare.<br />
Abbiamo evidenziato come gli antichi valori<br />
indoeuropei – “omerici”, nel caso della Grecia classica<br />
– in quel tempo avevano iniziato a perdere vitalità, a<br />
svuotarsi del loro senso più alto trasformandosi in un<br />
qualcosa di puramente normativo e formalistico. Di<br />
contro a coloro che, con atteggiamento moralistico ed<br />
ipocrita, tentarono di assumere un atteggiamento<br />
conservatore, sorsero nuove figure intellettuali,<br />
decadenti e relativiste, sostanzialmente ostili alla<br />
cultura tradizionale (con la “t” minuscola) del tempo,<br />
sino ad arrivare, ad esempio, all’estremo rappresentato<br />
da taluni sofisti che, incuranti non solo della verità,<br />
ma anche soltanto dell’opinione comune (al contrario<br />
di quanto fece, va detto, una prima generazione di<br />
sofisti), si concentrarono tecnicamente e tatticamente<br />
alla sola vittoria nei discorsi, a puro scopo arrivistico<br />
o “professionale”.<br />
A tale degenerazione della classe acculturata ateniese<br />
(ossia la classe dirigenziale, a conti fatti), corrispose<br />
quel disordine politico che sconvolse il giovane<br />
Platone, tanto da convincerlo della necessità d’una<br />
rifondazione etica dell’Atene del tempo, nonché di una<br />
nuova integrazione tra etica e politica.<br />
Insomma Atene, detto con Spengler, stava<br />
attraversando una fase di zivilization.<br />
Gli antichi valori non costituivano più un qualcosa di<br />
unificante perché condiviso, e di vitale perché<br />
spontaneamente seguito.<br />
Platone incentrò la sua ricerca sulla necessità di<br />
dimostrare l’esistenza vera di principi etico – estetici<br />
stabili, ma anche socialmente unificanti, condizione di<br />
possibilità perché la società ateniese potesse tentare<br />
una inversione del proprio decadere e disgregare. Così<br />
Platone giunse alla sua dottrina delle idee.<br />
Il fatto che Platone dovette tentare di affermare<br />
l’esistenza di principi etici mediante dimostrazione<br />
dialettica è riprova del fatto che tali principi non erano<br />
ormai più “sentiti” e vissuti. Non erano più parte di
ciò che è l’evidenza, dunque andavano dimostrati.<br />
Platone non avrebbe potuto sperare di incidere sulla<br />
realtà del suo tempo semplicemente affermando :<br />
“esistono dei principi etici, dunque vanno seguiti”.<br />
Non serve a nulla proporre apertamente a qualcuno<br />
concetti che quel qualcuno non sente come vitali in sé<br />
stesso.<br />
Per questo, comprendendo lo spirito del suo tempo,<br />
Platone optò per la dimostrazione dialogica, tanto più<br />
che oramai da tempo la sofistica, nella sua<br />
metodologia, aveva inciso sul modo di pensare<br />
ateniese, al punto che non v’era più alcun filosofo che<br />
non incentrasse il suo metodo su di una razionalità di<br />
tipo discorsivo, a prescindere poi dal metodo letterario<br />
di esposizione del proprio pensiero.<br />
Con ciò il nostro ateniese operò in maniera realmente<br />
rivoluzionaria: tentare di compiere una rifondazione<br />
etica d’un popolo utilizzando, in modo consono, quei<br />
mezzi (i logoi ed il metodo sofista dei discorsi) che<br />
presso quel popolo avevano preso piede, e che<br />
rappresentavano però, con la loro razionalità<br />
ipercritica e distruttiva, la causa stessa della<br />
scomparsa di un’etica condivisa.<br />
Non è questo un cavalcare la tigre? Uno sfruttare per<br />
scopi ordinatori le stesse forze del disordine?<br />
Il fatto che Platone propose Socrate come principale<br />
personaggio dei suoi dialoghi è significativo.<br />
Come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo, il<br />
metodo socratico è, a tutti gli effetti, un metodo di tipo<br />
sofistico, con la sostanziale differenza però che Socrate,<br />
al contrario dei sofisti, aveva come obbiettivo del<br />
discorrere l’accordo delle opinioni circa la verità.<br />
Una verità però che, nei dialoghi platonici, non si<br />
configura più soltanto come concordanza tra i<br />
dialoganti, bensì, attraverso l’arte maieutica, come un<br />
riportare alla luce il “ricordo” di ciò che le anime<br />
hanno visto prima della nascita. Si tratta del condurre<br />
al manifestarsi nel mondo umano di un<br />
qualcosa di celeste.<br />
L’interpretazione dataci dal Trabattoni circa lo<br />
scetticismo di Platone riguardo alla possibilità terrena<br />
di conoscere pienamente le idee, qui ci viene incontro<br />
in maniera entusiasmante.<br />
Se il ricordo delle idee può essere riportato ad emergere<br />
in questa esistenza, significa che, in maniera seppure<br />
imperfetta, le idee possono essere ancora vissute,<br />
nonostante tutto. Soltanto non possono essere<br />
conosciute razionalmente. I logoi risvegliano in noi il<br />
ricordo delle idee, ma non ci danno la possibilità di<br />
definirle con certezza o di conoscerle attraverso<br />
l’intelletto. L’intelletto, che come sua funzione più alta<br />
ha il logos (vedi metafora della linea), riporta a<br />
manifestazione quel qualcosa che in noi portiamo dalla<br />
nascita, un qualcosa che ha dell’innato.<br />
Tentiamo un parallelismo? La metafora della seconda<br />
navigazione ci mostra come, dato che non conosciamo<br />
pienamente le idee, che possono essere vedute solo<br />
nell’al di là, siamo costretti ad ammainare le vele ed<br />
iniziare la seconda navigazione, che consiste nell’uso<br />
del logos, dell’opinare rettamente. Tale metodo ci<br />
conduce a risvegliare in noi il ricordo delle idee. Ma si<br />
tratta di un metodo, di un mezzo, non del risultato!<br />
Platone, riguardo alla teoria della conoscenza ed alla<br />
conoscenza stessa delle idee, non giunge mai, nelle<br />
opere scritte, a definizioni certe e dogmatiche: vengono<br />
dati certo degli indirizzi riguardo alla soluzione<br />
conoscitiva dell’argomento trattato, ma tutto rimane<br />
comunque magnificamente aperto e plausibile di<br />
sviluppi e correzioni ulteriori. Questo non soltanto nei<br />
dialoghi aporetici.<br />
La nostra sensazione è che Platone, attraverso la<br />
maieutica, abbia voluto agire, per usare un<br />
parallelismo certamente improprio quanto<br />
esemplificativo, come colui che, basandosi sulle teorie<br />
di C.G. Jung, volesse risvegliare un archetipo<br />
dormiente per tornare a farlo agire. Certamente si<br />
tratta di dottrine ben differenti. L’esempio mi pare<br />
però efficace. Si potrebbe dire che mentre nella<br />
dottrina di Jung possono essere utilizzati simboli, per<br />
risvegliare archetipi, Platone, come si evince dalla<br />
metafora della linea, utilizza il logos e la maieutica per<br />
far ricordare le idee (tralasceremo volutamente<br />
considerazioni riguardanti l’utilizzo di metodi diversi<br />
dal logos, perché non siamo del tutto convinti di dire<br />
cosa sensata, anche se ci pare esistano).<br />
In breve, se le idee possono esser riportate alla luce<br />
nell’uomo, seppur “filtrate” dall’esperienza terrena, se<br />
vengono insomma “ricordate”, ci si deve introdurre ad<br />
esaminare un livello superiore, ove esse si manifestano<br />
nell’individuo - e dall’individuo - in maniera istintuale,<br />
secondo quella modalità che in un nostro precedente<br />
articolo abbiamo definito “spontaneità creativa”.<br />
Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 43
“PLATONE”<br />
Parte Seconda<br />
Ci si deve porre questa domanda: se le idee vengono<br />
ricordate, in Platone, ciò si limita alla configurazione<br />
nella quale da parte del ricordante vi è una semplice<br />
presa di coscienza del ricordo di esse (o semplicemente<br />
della seppur parziale conoscenza di esse data<br />
dall’accordo di opinioni), oppure può darsi una<br />
situazione nella quale, tali principi celesti, quando<br />
“ricordati” (ma non conosciuti pienamente nella loro<br />
verità), possono iniziare ad agire nell’uomo come un<br />
istinto liberato, come una priorità prorompente?<br />
Noi crediamo in questa seconda ipotesi. Anzi,<br />
“sentiamo” questa seconda ipotesi, che qualunque<br />
buon professore potrebbe facilmente abbattere. Non<br />
ce ne importa.<br />
Giustizia, bellezza, bontà. Le idee. Non crediamo noi,<br />
che Platone, se ebbe veramente di mira il risollevarsi<br />
dell’uomo, di una civiltà, avrebbe potuto contentarsi<br />
di dimostrare che, preso atto della propria ignoranza,<br />
sarebbe stato possibile render sé stessi consci<br />
dell’esistenza delle idee. L’uomo è un essere troppo<br />
debole. O meglio, troppo poco amante della propria<br />
forza. Platone lo sapeva benissimo. Rendersi consci<br />
della realtà dell’esistenza di un’unica giustizia non<br />
significa divenire giusti.<br />
Crediamo piuttosto, forse influenzati dalla nostra<br />
esperienza, che Platone concepisse le idee sì come<br />
principi etici, ma anche come marchi spirituali, come<br />
fuochi che, dividendosi in tante scintille restano in noi<br />
anche dopo la nascita e prima della morte. Le idee<br />
come principi agenti. Le idee come energie che, una<br />
volta liberate nell’individuo, non possono far altro che<br />
condizionarlo.<br />
Se “ricordiamo” parte di una verità celeste conosciuta<br />
in un vissuto ultramondano, tale “ricordo” non può<br />
che condizionare tutto il nostro essere, renderci dei<br />
“risvegliati”. Ridurre tutta la dialettica platonica ad<br />
un puro accordo d’opinioni circa il più verosimile è, se<br />
forse non proprio errato, quantomeno brutto.<br />
Ad uomini in cui la zivilization della propria<br />
comunità ha spento quelle energie – d’origine<br />
metafisica – che definiscono una civiltà come kultur<br />
ed incatenato quei superiori istinti creativi che<br />
rendono degna la vita terrestre, Platone ha tentato<br />
di dare la possibilità di ridestarsi.<br />
Lo ha fatto sfruttando quelle stesse forze che erano<br />
state la causa della degenerazione.<br />
44<br />
Difesa della Tradizione<br />
di Matteo Mazzoni<br />
(Chrysokarenos)<br />
Per questo, crediamo, ha scritto i suoi dialoghi: in un<br />
vero e proprio atto di propaganda e di diffusione<br />
parziale del suo pensiero, tentando di raggiungere il<br />
maggior numero di uomini, nello spazio e nel tempo,<br />
ed attendendo coloro che, “uomini di rango”,<br />
avrebbero avvertito in loro quell’istinto proprio a chi<br />
sente le idee agire in sé, irresistibilmente.<br />
Soltanto costoro, nell’Accademia (la quale,<br />
ricordiamolo, fu tempio alle muse, e non una semplice<br />
e comune scuola, come troppi vorrebbero credere),<br />
durante una vita comunitaria dura e disciplinata,<br />
avrebbero appreso i più profondi insegnamenti del<br />
maestro, che in gran parte per noi, resteranno un<br />
mistero, nonostante la ricerca sugli scritti dei suoi<br />
discepoli, e nonostante le nostre azzardate sensazioni<br />
sulle motivazioni psicologiche del suo pensiero.
Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte<br />
45
ISLANDA di Lodovico Ellena<br />
"L'Islanda non è la meta, l'Islanda è il viaggio".<br />
(slogan di una nota ditta di auto a nolo)<br />
"Tutto in Islanda fa paura".<br />
(Luciano Corona)<br />
"Dopo un viaggio in Islanda nulla sarà più come prima".<br />
Prima del viaggio.<br />
L'ultima Thule, il sole a mezzanotte, il paese che fuma,<br />
il freddo che punge, l'acqua che ribolle, mari di lava,<br />
vulcani, iceberg, cavalli, pecore, foche, oceano, balene,<br />
cascate: questo e molto altro ancora è l'Islanda. Meta<br />
di infiniti itinerari possibili questo paese sta<br />
diventando sempre più luogo di interesse da parte di<br />
viaggiatori intenzionati a ripercorrere un intenso<br />
viaggio nel tempo e nello spazio più che compiere una<br />
semplice vacanza, il cui unico scopo sembra invece oggi<br />
essere un dovere obbligatorio delle masse, ossia<br />
divertimento a tutti i costi. In breve l'Islanda è ben<br />
altro che spiagge affollate, discoteche, tintarelle, sballi,<br />
localini e "pupe da lumare", è piuttosto l'esatto<br />
contrario di tutto ciò. Si giunge a Keflavík - di fatto<br />
unico aeroporto internazionale islandese ad una<br />
quarantina di chilometri da Reykjavík - e il primo<br />
impatto rivela immediatamente alcuni imprevisti:<br />
nonostante la temperatura decisamente fresca si<br />
notano infatti alcune grosse mosche ronzare mentre la<br />
luce del sole è decisamente intensa ed è altresì evidente<br />
che l'estetica del paese è decisamente carente e<br />
piuttosto insignificante, fatto che rimarrà una<br />
costante per quasi tutti i centri abitati islandesi. In<br />
effetti molti avvertono di non aspettarsi né cattedrali<br />
né grandi opere sui percorsi dell'isola e forse meglio di<br />
tutti lo studioso Régis Boyer nel suo libro sui vichinghi<br />
(1) ha spiegato che ciò lo si imputa al fatto che il rigore<br />
del clima e la popolazione limitata, nonché l'utilizzo<br />
per millenni di legno e torba, hanno necessariamente<br />
impedito la conservazione di testimonianze urbane,<br />
artistiche o religiose antiche. Basti dire che al presente<br />
l'intera popolazione islandese consta di meno di<br />
trecentomila abitanti e quando si pensa che la sola<br />
Torino ne conta invece circa un milione, il discorso si fa<br />
immediatamente più chiaro. Interessante comunque,<br />
sempre prima di intraprendere un qualsiasi percorso,<br />
48<br />
Thule Soci<br />
definire il tipo etnico dell'islandese; Vichingo senz'altro<br />
- il cosiddetto "fenomeno vichingo" si data tra l'800 ed<br />
il 1050 - si distingue però da altri tipi simili. Tanto i<br />
vichinghi danesi erano infatti noti per la loro innata<br />
abilità nel commercio così quelli norvegesi erano invece<br />
più portati per scelte avventurose, mentre infine i<br />
vichinghi svedesi considerati tra i popoli scandinavi<br />
come quelli più pacifici. Altrettanto differenti gli<br />
orientamenti religiosi: i danesi preferivano Odino,<br />
mentre i norvegesi Thor, mentre ancora gli svedesi<br />
adoravano Freyr. E un mito da sfatare, ossia quello<br />
dell'elmo con le corna divenuto simbolo vichingo tanto<br />
nella cinematografia quanto in certa letteratura:<br />
nessun archeologo ne ha mai trovato uno, sottolinea<br />
ancora Boyer in un passaggio dal sapore revisionista.<br />
Peraltro non sono poche le sorprese addentrando la<br />
materia vichinga: tutti gli dei furono anch'essi<br />
sostituiti dal Cristo, dalla Vergine e da mille altri santi<br />
esattamente come accadde un po’ ovunque, ma assai<br />
più interessante è invece stabilire il confine di ciò che<br />
è possibile definire vichingo. E' qui decisamente arduo<br />
stabilire con assoluta precisione filologica ciò che può<br />
dirsi celtico o germanico o scandinavo o vichingo,<br />
tanto per i costumi quanto per la religione tanto per gli<br />
abiti fino alla mentalità quotidiana, questo campo<br />
rimane tuttora aperto al dibattito tra specialisti della<br />
materia. Per ciò che concerne le rune và infine<br />
aggiunto che questi simboli rimangono testimonianza<br />
fondamentale per lo studio dei vichinghi anche<br />
islandesi; quelle del cosiddetto alfabeto "futhark"<br />
composto da sedici caratteri, sono quelle proprie dei<br />
vichinghi dell'800: il cosiddetto periodo d'oro. Il<br />
dibattito sul presunto valore magico delle rune da<br />
sempre in corso viene assolutamente respinto da taluni<br />
studiosi ma fu Tacito nel 98 d.C. nella "Germania" il<br />
primo che in qualche modo ne diede documento.<br />
Scrisse infatti: "(I Germani) dopo aver tagliato un<br />
ramo da un albero che produce frutti, lo riducono in<br />
schegge e queste, distinte da alcuni segni, spargono<br />
assolutamente a caso sopra una candida veste" (2):<br />
sarebbe infatti stata tale pratica secondo alcuni il<br />
prototipo delle rune utilizzate per presagi e<br />
divinazioni, apparse poi però di fatto soltanto un paio<br />
di secoli più tardi in Germania. Un'ultima<br />
considerazione sulle saghe islandesi; per secoli ritenute<br />
documenti fedeli e per ciò utili alla ricostruzione della
vita e della società vichinga, tendono oggi ad essere -<br />
e solo in questo senso - ridimensionate nella loro<br />
importanza: furono infatti scritte alcuni secoli dopo<br />
l'epoca vichinga, facendo per questa ragione<br />
riferimento a fatti idealizzati e non di quel presente in<br />
fieri, perciò rendendolo meno storico e quindi meno<br />
attinente a quella quotidiana realtà.<br />
Il viaggio.<br />
La principale strada islandese la statale numero 1<br />
congiunge l'isola in un anello ideale consentendo in<br />
questo modo di percorrere il territorio - un nastro di<br />
duemila chilometri circa -, così toccando i quattro<br />
punti cardinali. Vari tratti di questo percorso non sono<br />
asfaltati e un'altra costante accompagnerà il<br />
viaggiatore per tutto l'itinerario: migliaia di pecore del<br />
tutto libere potrebbero in qualsiasi momento pararsi<br />
improvvise di fronte all'auto, per questa ed altre ragioni<br />
il limite di velocità in tutta l'Islanda è rigorosamente<br />
di 90 chilometri orari. Prima tappa del nostro viaggio<br />
la penisola di Snæfellsnes dove ci attende un<br />
pernottamento in una fattoria, o almeno ciò che<br />
dovrebbe esserlo già che questi luoghi immersi nel<br />
silenzio e nella natura più profonda sono in realtà<br />
strutture con decine di camere a disposizioni dei<br />
viaggiatori con tanto di possibilità di ristoro<br />
alimentare. Gli islandesi mostrano immediatamente il<br />
loro carattere: riservati ma gentili in caso di necessità<br />
nonché disponibili a raccontare ciò che le guide non<br />
raccontano: è così che veniamo a sapere di una colonia<br />
di foche visibile nel proprio habitat a pochi chilometri<br />
da noi. Ci avventuriamo sul posto nei pressi del faro di<br />
Garðar e qui tra sterpaglie, dislivelli, sabbia, alghe e<br />
sassi dopo un percorso di mezz'ora si giunge sulla cima<br />
di un'insenatura che sfocia nell'oceano tra evidenti<br />
segni di maree in movimento. Il cielo ed il sole<br />
combinano giochi di luce surreali ed il silenzio viene<br />
rotto soltanto dal respiro dell'acqua: così và per decine<br />
di minuti. Ad un tratto improvviso le foche; adagiate su<br />
alcuni massi si confondevano con il grigio delle pietre,<br />
mentre altre fanno capolino dall'acqua osservando<br />
quegli intrusi. Sembrano interrogarsi sul perché di<br />
questa indiscreta presenza e sembrano spiare ogni<br />
movimento: è una sensazione eccitante e vigile insieme,<br />
già che ci si acc<strong>org</strong>e di essere invasori in un luogo in cui<br />
saremmo senz'altro in difficoltà per un'eventuale<br />
ritirata: cose simili si vanno anche a pensare di fronte<br />
ad un infinito oceano senza certezze civili se non la<br />
propria agilità per battersela alla bisogna. Sono solo<br />
pacifiche foche ma la prima lezione è già arrivata:<br />
quante incertezze recano le moderne certezze.<br />
All'indomani si riparte quindi alla volta di una nuova<br />
meta mentre il viaggio porta su di una vetta<br />
particolare, molto particolare: si tratta di Helgafell,<br />
ossia il monte un tempo venerato dai fedeli del dio<br />
Thor. Nonostante la modesta altezza (73 metri) da lì si<br />
gode una vista inebriante sul territorio circostante e<br />
non si può fare a meno di notare sulla cima dozzine di<br />
piccoli tumuli eretti da qualche visitatore: di questi<br />
tumuli, il cui fine sembra essere propiziatorio, è piena<br />
l'Islanda intera tanto che se ne notano infatti ovunque.<br />
Si tratta di piccoli mucchi di pietre, evidentemente<br />
presente segno di un sentire lontano e ancestrale. La<br />
zona che attornia questo monte è di rara bellezza, e<br />
numerosi vulcani inattivi contribuiscono a rendere il<br />
paesaggio ancora più imponente e selvaggio. Non<br />
distante il vulcano Grabròk che eruttò circa 3000 anni<br />
fa e che numerosi viaggiatori di passaggio vanno ad<br />
ammirare da vicino scalando il sentiero che conduce al<br />
centro del cratere: sensazioni inquietanti, come quella<br />
di percorrere i bordi del medesimo osservando l'interno<br />
e immaginando devastazione e lava. L'Islanda è un<br />
paese che fuma e quel posto è soltanto uno degli<br />
innumerevoli luoghi in cui si è scatenato l'inferno,<br />
quell'inferno che in dozzine di posti è possibile vedere<br />
fisicamente grazie ad eccezionali documentari filmati<br />
di eruzioni, alluvioni, terremoti, esplosioni e<br />
devastazioni. In qualche caso una speciale pedana<br />
rende ancora più realistico il tutto, simulando durante<br />
le proiezioni il movimento del terreno durante una di<br />
queste eruzioni. Ma più di tutto, forse il paesaggio nei<br />
pressi del lago Mývatn rende merito a queste<br />
inquietanti riflessioni; quella zona è infatti cosparsa di<br />
crateri e le acque sono nere di lava, tanto che il "lago<br />
del moscerino" (questa la traduzione letterale di<br />
"Mývatn", dovuta ad orde di piccoli moscerini innocui<br />
ma assai fastidiosi) viene indicato come perfetto<br />
esempio dell'attività geotermica islandese, soprattutto<br />
in considerazione del fatto che un'ennesima grande<br />
eruzione è ritenuta imminente. La zona alterna prati<br />
verdissimi e acque azzurre ad aree di desolato spettrale<br />
Lodovico Ellena / Islanda 49
ISLANDA di Lodovico Ellena<br />
ma altrettanto suggestivo nero lavico: è una visione<br />
irreale, soprattutto verso sera quando la luce del sole<br />
degrada lievemente di intensità pur restando<br />
comunque viva e luminosa. I dintorni di questo lago<br />
sono popolati da innumerevoli specie di uccelli e una<br />
chiesetta risparmiata da un'eruzione che sommerse<br />
tutto il circondario nei pressi di Reykjahlídh che però<br />
miracolosamente si salvò, è meta di curiosi. Peraltro<br />
non è l'unico episodio legato a luoghi sacri, tanto che<br />
questi fatti lasciano realmente senza parole.<br />
Qualche decina di chilometri da quei pressi si trovano<br />
altri luoghi suggestivi ed altrettanto impressionanti:<br />
Námafjall, Krafla e Dimmub<strong>org</strong>ir: nomi per noi<br />
piuttosto improbabili ma ne esistono di peggiori. Se<br />
l'Islanda è un paese che fuma, Námafjall ne è concreta<br />
dimostrazione; si tratta di una vasta area il cui terreno<br />
è bruciato dal calore sotterraneo visibile in alcune<br />
pozze ribollenti dai cui fori fuoriesce un intenso fumo.<br />
La temperatura è elevatissima e l'odore di zolfo -<br />
sovente presente nelle abitazioni che sfruttano<br />
l'energia geotermica portando così acqua calda in casa<br />
- onnipresente; il paesaggio è lunare, tanto che a<br />
perdita d'occhio è possibile scrutare un panorama<br />
giallo ocra, mentre tutto intorno scene da inferno<br />
dantesco restituiscono alla vista un ambiente<br />
assolutamente surreale. E a pochissimi chilometri da<br />
quel luogo il vulcano Krafla maestoso e fumante, caldo<br />
e inquietante dall'alto dei suoi 818 metri. L'ultima<br />
eruzione avvenne nel 1984 e - come scrivono alcuni<br />
autori - in certi punti la lava è calda e fumante<br />
rendendo così ben viva l'impressione di un'imminente<br />
ennesima eruzione: un'esperienza intensa, soprattutto<br />
perché le enormi crepe sul terreno lavico indicano ai<br />
geologi una possibile ripresa dell'attività nel prossimo<br />
futuro. Da quella cima si gode una vista indescrivibile;<br />
tra i possibili percorsi nella lava si giunge al cratere e<br />
da lì è possibile vedere in lontananza un vero e proprio<br />
mare nero. Una colata lavica dalle dimensioni<br />
impressionanti di cui non è dato vedere la fine, come<br />
fosse un immenso fiume nero che stempera<br />
all'orizzonte; da chiedersi come può essere una simile<br />
visione nel momento dell'eruzione, guai però sedersi a<br />
meditare queste elucubrazioni: il terreno scotta.<br />
Ancora una volta non distante - l'intera Islanda è<br />
costellata da simili luoghi tanto che ci si trova<br />
50<br />
Thule Soci<br />
obbligatoriamente a doverne escludere alcuni - il sito di<br />
Dimmub<strong>org</strong>ir, ossia "gli oscuri castelli". Si tratta di un<br />
percorso della durata di circa un'ora tra sentieri e<br />
forme laviche altissime che tempo ed erosione eolica<br />
hanno modellato, così creando una vasta area nella<br />
quale si ha l'impressione di aggirarsi tra castelli<br />
maledetti, ruderi e carcasse di mostri e draghi. Uno dei<br />
punti più visitati del luogo nonché famosi è quello di<br />
Kirkjan, ossia della "chiesa", laddove la natura ha<br />
f<strong>org</strong>iato una cattedrale gotica dal soffitto a volta e<br />
laddove in estate si tengono addirittura concerti: una<br />
visione assolutamente sconcertante. Il luogo, forse<br />
data la conformazione del terreno riparato da queste<br />
notevoli pareti di lava, è particolarmente caldo specie<br />
in condizioni di bel tempo: fatto raro ma gradito a noi<br />
latini abituati a temperature ben più miti.<br />
Islandesi e dintorni.<br />
Alcune osservazioni sugli islandesi; mentre noi<br />
circoliamo intabarrati a vari strati impermeabili, fa<br />
contrasto osservare invece gli indigeni in abiti estivi<br />
leggerissimi: peraltro ognuno è re a casa propria.<br />
Anche le loro abitudini alimentari potrebbero lasciare<br />
a volte sconcertati, ma l'occasione di assaggiare la<br />
"carne" di balena - quando mai ci si sarebbe ancora<br />
presentata un'occasione simile? - non ce la siamo fatta<br />
sfuggire, così come quella di gustare lo "squalo<br />
putrefatto" (golosità locale, ossia l'hákarl) e di bere la<br />
grappa locale: la Brennivin, 40 gradi ottenuti dalle<br />
patate e aromatizzati con cumino. Naturalmente non<br />
sono soltanto questi gli alimenti - ad esempio la<br />
pulcinella di mare (lundi) và fortissimo da quelle parti<br />
-, ma questo è stato il tangibile frutto della nostra<br />
esperienza. La balena; ha una consistenza notevole<br />
come si trattasse di carne di vitello ma il retrogusto è<br />
quello di un pesce: una strana sensazione peraltro<br />
ottimo piatto e non ce ne vogliano gli estremisti<br />
dell'animalismo ecologico, ma qui si tratta nient'altro<br />
che di voler conoscere questa tradizione millenaria<br />
islandese. Il Brennivin; ce ne siamo fatti un bel po’ nel<br />
corso del nostro viaggio ed è possibile affermare che<br />
ha superato senza ombra di dubbio il rigoroso esame a<br />
cui lo abbiamo sottoposto: promosso senz'altro, parola<br />
di alcolisti a tenuta stagna. Lo squalo putrefatto, roba<br />
che le stesse guide consigliano esclusivamente a "chi
ha lo stomaco robusto": qualcosa di non lontano dal<br />
g<strong>org</strong>onzola a ben vedere, così stagionato dopo sei mesi<br />
di macerazione sotterranea a causa del gusto acido di<br />
quel pesce appena pescato. Sembra che nemmeno gli<br />
uccelli che si nutrono di carogne osino toccarlo, non<br />
potevamo perciò non cogliere una simile provocazione<br />
ma alla fine siamo sopravvissuti all'odore pungente di<br />
ammoniaca ed al gusto di carne dal sapore<br />
disorientante: servita in piccoli dadi infilati da uno<br />
stuzzicadenti nonché accompagnata da un bicchierino<br />
di Brennivin, considerato dalle malelingue come<br />
"antidoto" a quel sapore. Peraltro anche il pesce<br />
essiccato è cosa ordinaria da quelle parti;<br />
naturalmente decisamente più potabile per<br />
mediterranei in vena di esperienze, lo si trova in ogni<br />
dove: dagli aeroporti ai mercati, dagli scaffali da<br />
colazione negli alberghi ai banchetti dei bar. E non è<br />
niente male, basta soltanto superare l'imbarazzo<br />
dell'impatto; chi lo consuma come fosse trattarsi di<br />
croccanti patatine, chi invece con fette di pane<br />
imburrato. Artigianato; e qui il discorso si fa invece<br />
più breve soprattutto perché se si escludono capi<br />
d'abbigliamento in lana e gadget vari (assai curioso il<br />
simbolo del martello di Thor, il Mjöllnir, onnipresente<br />
soprattutto su portachiavi), rimane ben poco da dire.<br />
Due oggetti però vanno menzionati; portacandele<br />
ottenuti da pietre laviche levigate e bucate al centro<br />
nonché venduti a prezzi non del tutto economici e -<br />
audite audite!- scatole ermetiche assolutamente vuote<br />
contenente "pura aria di montagna islandese": e ne<br />
devono ben vendere a giudicare da quante ne hanno in<br />
mostra sugli scaffali, oltre a tutto ad un prezzo non del<br />
tutto popolare. Stavamo per cascarci anche noi, non<br />
fosse che un improvviso lampo di saggezza contadina<br />
ci ha fatto riporre quella scatola vuota al proprio<br />
posto: beati gli islandesi e sia fatta lode ai gonzi,<br />
motori dell'economia.<br />
Strade e cascate.<br />
Le strade - o meglio la strada - d'Islanda vanno<br />
affrontate con cautela e giudizio, soprattutto perché<br />
ampi tratti sono del tutto privi di asfalto e a ciò si<br />
aggiunga il rischio - altissimo - di trovarsi<br />
improvvisamente una o più pecore stranite e immobili<br />
sul percorso. Nei 2600 chilometri da noi sviluppati ci<br />
siamo altresì trovati in varie occasioni ad imboccare<br />
un bivio tirando dritto per quella che ritenevamo<br />
essere la strada maestra (la già citata statale numero<br />
1), per acc<strong>org</strong>erci chilometri oltre che quella che<br />
appariva secondaria in quanto più piccola e<br />
malridotta, era in realtà quella principale. I tratti non<br />
asfaltati sono polverosi e zeppi di buche con sassi e<br />
scossoni oltre alle inevitabili pecore lì ancora più<br />
imprevedibili, mentre ripide discese evolvono verso il<br />
nulla civile, tanto che se viene in quei casi alla mente<br />
l'idea di una possibile foratura o di un incidente, è<br />
meglio accantonare subito simili elucubrazioni: ciò<br />
accadesse sarebbero grane grosse. Vagando comunque<br />
per tali sentieri si giunge a stupende cascate: tre quelle<br />
da noi incontrate sul percorso e lo spettacolo della<br />
natura ha ampiamente ripagato quella fatica:<br />
Goðafoss, Skógafoss e Gullfoss.<br />
Goðafoss oltre ad essere straordinariamente<br />
affascinante ha una sua particolare storia. Secondo la<br />
leggenda sarebbe infatti il luogo in cui, assunto dagli<br />
islandesi nell'anno mille il cristianesimo come religione<br />
ufficiale, le statue delle antiche divinità nordiche<br />
furono lì gettate: da qui il nome "cascata degli dei".<br />
L'acqua scorre direttamente su di una colata lavica che<br />
nel corso dei secoli si è modellata e levigata e il salto è<br />
di circa una decina di metri ma la notevole ampiezza<br />
del fiume rende realmente suggestivo quell'imponente<br />
insieme. Skógafoss è invece alta ben 60 metri e anche<br />
qui una leggenda la riguarda: sarebbe infatti custode<br />
del ricco tesoro di un colono peraltro mai trovato da<br />
alcuno. Infine Gullfoss, 32 metri di acque che si<br />
tuffano all'interno di un canyon provocando arcobaleni<br />
che è possibile osservare sul ciglio stesso dell'orrido<br />
accessibile fino all'ultimo millimetro, senza protezioni<br />
di sorta. Anche qui una storia ma assai meno<br />
leggendaria e ben più cruda; si tratta della vicenda<br />
legata alla persona di Sigrídur Tómasdóttir, energica<br />
donna che sul finire del 1800 combatté con tutte le sue<br />
forze il progetto di alcuni imprenditori che avrebbero<br />
voluto sfruttare la forza della cascata<br />
compromettendone così definitivamente la bellezza.<br />
La donna, dopo una lunga questione, la spuntò per<br />
una serie di circostanze che le furono favorevoli: aveva<br />
comunque minacciato di gettarsi tra i flutti qualora le<br />
cascate fossero state violentate. Non a caso gli islandesi<br />
riconoscenti hanno dedicato a Sigrídur un piccolo<br />
Lodovico Ellena / Islanda 51
ISLANDA di Lodovico Ellena<br />
museo ed una lapide commemorativa: esemplare<br />
antesignana dell'ambientalismo più puro e<br />
disinteressato, altro che certa politicaglia nostrana. Ma<br />
il viaggio continua e di cascata in cascata nonché di<br />
vulcano in vulcano, si alternano altri paesaggi irreali<br />
come ad esempio quello offerto dal villaggio di<br />
Glaumbær, completamente costruito in torba e<br />
visitabile al fine di far meglio comprendere come<br />
fossero le abitazioni islandesi di un tempo. In quelle<br />
case si svolgeva la vita domestica nell'antichità e,<br />
soprattutto nei mesi invernali, in quei pochi metri<br />
quadrati si trascorrevano gomito a gomito intere<br />
stagioni. Tutto si svolgeva tra quelle pareti tanto che<br />
rigide regole comportamentali per sopportare quella<br />
coabitazione ravvicinata garantivano la quiete:<br />
immaginato al presente per noi individualisti europei<br />
continentali, un simile tipo di vita desterebbe qualche<br />
ragionevole perplessità. Non distante, a Vidhim<br />
Rarkirkja, ancora la torba protagonista: questa volta<br />
però si và a trattare di una chiesetta, sito tra i più<br />
antichi del paese, piccola ma assai graziosa e molto<br />
visitata anche per via del fatto che in tutta l'Islanda<br />
testimonianze architettoniche o artistiche del genere<br />
restano piuttosto rare.<br />
Iceberg e mostri.<br />
Ma una delle visioni senz'altro più impressionanti<br />
dell'intera Islanda resta quella relativa agli iceberg. Li<br />
abbiamo incontrati a Jökulsárlón, un posto fuori dal<br />
mondo giusto ai piedi dell'immenso ghiacciaio di<br />
Vatnajökull raggiunto al punto in cui scioglie in<br />
impetuoso fiume: una visione realmente immensa e<br />
insieme annichilente. Blocchi di ghiaccio galleggianti<br />
che lentamente degradano verso l'oceano in un punto<br />
dove nuovamente le foche la fanno da padrone e<br />
laddove l'orizzonte perso nel grigio cielo di una<br />
normale estate nordica, stordisce ed invita a ripensare<br />
la propria vita ed al suo relativo senso nonché a<br />
comprendere in un attimo come fu che gli islandesi<br />
videro gli dei. Così come nei fiordi, infiniti come tutto<br />
quel paese, che si incuneano in ogni dove disegnando<br />
contorni sui contorni lavici: un'opera d'arte in<br />
continuo mutamento, questo è l'Islanda. E tale<br />
scenario forse più che altrove lo si vive a Vík ("baia")<br />
il paese delle pulcinella di mare, singolare simpatico<br />
52<br />
Thule Soci<br />
uccello incoronato simbolo dell'isola dai contrasti<br />
cromatici e dall'aspetto unico; gli islandesi lo mangiano<br />
fin dai tempi vichinghi ma la specie è protetta e<br />
rispettata così come lo sono cavalli e pecore, evidente<br />
omaggio all'importanza che questi animali hanno<br />
avuto - ed hanno - per la stessa sopravvivenza umana<br />
in quegli estremi posti. A Vík comunque, oltre alle<br />
ripide e meravigliose scogliere sferzate dal vento<br />
oceanico, è possibile osservare un complesso lavico<br />
tuffato nell'oceano a qualche centinaia di metri dalla<br />
costa che non può fare a meno di ricordare<br />
l'inquietante quadro di Arnold Böcklin "L'isola dei<br />
morti", anche se dai cipressi e dalle irreali rocce dipinti<br />
dal pittore a quelle colonne laviche resta comunque<br />
una certa differenza. Vi è ad ogni modo una sorta di<br />
atmosfera simile, grigia e sospesa allo stesso tempo,<br />
inquietante e misteriosa insieme. E a proposito di<br />
luoghi inquietanti il viaggio ci conduce di lì a poco a<br />
Lagarfljót, ameno lago dai colori suggestivi e<br />
dall'infinita pace di quelle acque non fosse che qui -<br />
proprio come in Scozia a Loch Ness - una tradizione<br />
locale vuole dimori un mostro, addirittura dipinto su<br />
alcuni quadretti appesi alle pareti del locale ristorante.<br />
Si tratterebbe di un enorme serpente acquatico, ma ciò<br />
che più fa specie è la conformazione del lago - lungo e<br />
stretto - quasi identica a quello scozzese: una<br />
somiglianza veramente sconcertante e straordinaria,<br />
anche se qui non se ne è fatto il commercio che invece<br />
domina ingombrante a Loch Ness dove invece si<br />
trovano dozzine di pupazzi di "Nessie", portachiavi,<br />
gadget, nonché un museo su quella vicenda mentre<br />
alcune agenzie <strong>org</strong>anizzano tour sul lago con tanto di<br />
telecamere subacquee che scrutano i fondali del<br />
medesimo, fino all'acqua in bottiglia rigorosamente<br />
targata "Nessie". Come fare palate di soldi su di una<br />
suggestione, tanto meglio la quieta e discreta pace<br />
contemplative di Lagarfljót. E' a questo punto che ci<br />
mettiamo alla ricerca di un angolo - per quanto<br />
possibile - ancora più isolato ed estremo: stiamo infatti<br />
andando a caccia di un posto dal nome per noi<br />
improbabile, Grenjadarstadur, perché è ferma<br />
intenzione di cercare ciò che resta di una lapide con<br />
incisioni runiche: e la nostra ostinazione sarà<br />
premiata. Il posto è bellissimo tra i bellissimi, ospita<br />
un piccolo cimitero (nostra meta) ed un museo del<br />
locale folclore ricavato all'interno di alcune case
antiche costruite in legno e torba. Conterà si e no<br />
cinquanta anime, tanto che esiste un piccolo bar per i<br />
visitatori del museo. E' un luogo immerso in una pace<br />
infinita dove dozzine di mucche pascolano mentre<br />
alcuni bimbi corrono all'orizzonte: difficile dir loro di<br />
non sdraiarsi sulla nuda terra per contemplare la<br />
bellezza di quel cielo, difficile impedir loro di<br />
accarezzare quei pacifici ruminanti, difficile anche<br />
immaginare il paradiso tanto diverso da quel luogo.<br />
Un vento sferzante accompagna quel girovagare tra<br />
lapidi e azzurro e alla fine la ricerca è premiata: eccola,<br />
siamo di fronte a vere rune quelle per il cui semplice<br />
possesso intorno al 1200 la chiesa in Islanda puniva<br />
con la morte. Simboli magici, strumenti del demonio,<br />
paganesimo da estirpare: eppure, sia consentito dirlo,<br />
su di noi un fascino irresistibile: forse il tempo da cui<br />
giungono, forse la palpabile magia che trasmettono,<br />
forse qualcosa di profondo e ancestrale per cui il nostro<br />
essere vibra di fronte al mistero che le penetra. Per noi<br />
le rune significano molto al punto di compiere migliaia<br />
di chilometri per poterle vedere e toccare e ora sono<br />
qui, incise da qualche mano vissuta secoli fa. Le<br />
sfioriamo con timoroso rispetto, le fotografiamo e<br />
cerchiamo di impossessarci di quell'immagine mentre<br />
il vento sibila: rune vere, tra le più antiche esistenti al<br />
mondo: è a questo punto che una birra marca Thule<br />
diventa un dovere più che un piacere. Una nota: oltre<br />
alla "Thule" l'altra birra più bevuta è la "Viking" ma<br />
occorre fare attenzione: in bottiglia hanno gradazione<br />
e gusto intenso, alla spina per noi iscritti all'Ordine<br />
degli Alcolisti, divengono poco più che acqua.<br />
Ultimi passi e Reykjavík.<br />
Stiamo comunque ormai ripiegando verso la capitale,<br />
meta conclusiva di questo peregrinare. Rechiamo<br />
quindi a Thingvellir luogo prescelto dai vichinghi<br />
islandesi che lì tennero nel X° secolo il loro primo<br />
parlamento all'aperto, di fatto così assumendo la<br />
paternità della democrazia in Europa. Il posto è tra i<br />
più belli dell'intero paese; escludendo il panorama di<br />
specchi d'acqua frastagliati misti al verde impossibile<br />
di quella pianura, Thingvellir và famoso soprattutto<br />
perché dal punto di vista geografico si trova<br />
esattamente a cavallo tra nuovo e vecchio mondo, in<br />
quanto situato proprio nel bel mezzo di una<br />
spaccatura provocata dalla deriva dei continenti. Non<br />
a caso qui nel 1944 l'Islanda proclamò la propria<br />
indipendenza dal dominio norvegese e danese. Fu<br />
questo uno dei luoghi che ispirarono Wagner quando<br />
compose l'opera sui Nibelunghi, il che più di tante altre<br />
parole spiega molte cose. Ma il tempo volge al termine<br />
e resta sulla strada un luogo che ha dato a tutti i posti<br />
simili del mondo il proprio nome: Geyser. In realtà si<br />
scrive Geysir (chi ha inventato il correttore automatico<br />
andrebbe appeso per le vergogne) ed altrettanto in<br />
realtà sul posto si può osservare soltanto il fratello<br />
minore, ossia lo "Strokkur", che spara acqua bollente<br />
fino a 40 metri mentre Geysir raggiungeva i 60. Motivo<br />
di quella definitiva quiete quanto di più scemo si possa<br />
immaginare: la gente a forza di lanciare pietre al suo<br />
interno per ragioni analoghe ai fessi che lanciano<br />
monetine nei pozzi o negli specchi d'acqua, lo ha<br />
intasato rendendolo di fatto morto. Uno degli<br />
spettacoli più incredibili della terra svanito nel nulla a<br />
causa di un abisso d'incoscienza nel quale, per quanta<br />
luce si faccia, nessuno è ancora riuscito a vedere il fondo.<br />
E alla fine Reykjavík. Due giorni da dedicare a questa<br />
straordinaria città il cui termine "città" và sempre<br />
inteso in senso islandese già che le loro città nulla<br />
hanno a che spartire con le nostre, vuoi per gli ampi<br />
spazi tra le case, vuoi per il verde onnipresente.<br />
Bohemién, fresca, giovane e frizzante, lo spettacolo<br />
vero è la gente più che l'architettura o i musei. Ne<br />
abbiamo incontrati di tipi umani; dalla ragazza in tuta<br />
subacquea con tanto di maschera e pinne che<br />
girovagava per il mercatino delle pulci a quella vestita<br />
da superman ai giardini, dal gruppo rock che ci dava<br />
dentro secco in pieno centro sotto gli occhi attenti di<br />
dozzine di fan etilici fino ad un gruppo di bevitori in<br />
mutande colorate come cocorite, per giungere ad una<br />
bella coppia di vichinghi con elmo cornuto sul capo<br />
recanti seco un'intera cassetta di lattine di birra<br />
sottobraccio. Bevono questi vichinghi e - continua a<br />
sorprendere questa cosa per quanto noi si sia un<br />
popolo piuttosto ballerino - quando scoprono la nostra<br />
<strong>italia</strong>nità accolgono la notizia con sincera gioia. Tra i<br />
popoli, sembrerà quanto meno curioso, la nostra<br />
esperienza ha rivelato che in giro per i quattro cantoni<br />
del mondo siamo tra quelli che generalmente si<br />
tollerano di più: naturalmente abbiamo anche noi i<br />
nostri buoni nemici qua e là ma ci guarderemo bene<br />
Lodovico Ellena / Islanda 53
ISLANDA di Lodovico Ellena<br />
dal dire che tra loro compaiono gli inglesi: non<br />
faremmo mai un'affermazione simile per albionico<br />
rispetto, va da sé. E' comunque tempo di valige;<br />
quattro ore di volo attendono e l'aereo parte di buon<br />
mattino tanto che la sveglia alle quattro è implacabile.<br />
Attraversiamo quindi per l'ultima volta quella verde<br />
città nell'irreale luce delle cinque mattutine per recarci<br />
all'aeroporto; siamo però ancora in tempo per<br />
rispondere alla reiterante domanda questa volta posta<br />
da un forzuto vichingo: "Vi piace l'Islanda?". "Certo<br />
che ci piace, dopo un viaggio in un paese come il tuo,<br />
tutto sarà diverso amico". L'uomo si illumina, sorride<br />
e ci dona un biscotto: anche questo è l'Islanda, il paese<br />
dove vivono gli dei. E noi li abbiamo visti e sia fatta<br />
lode a Odino e resa gloria a Thor che vegliarono su di<br />
noi concedendoci di percorrere quasi tremila<br />
chilometri in condizioni a tratti estreme, senza aver<br />
avuto il benché minimo problema. L'Islanda fuma,<br />
l'Islanda respira, l'Islanda non è una vacanza: l'Islanda<br />
è l'ultima Thule.<br />
(1) Régis Boyer, La vita quotidiana dei vichinghi (800<br />
- 1050), ed. Fabbri, Milano, 1998.<br />
(2) Tacito, La Germania, ed. Fabbri, Milano, 2001,<br />
54<br />
Thule Soci
EMOZIONI:<br />
THULE ITALIA IN WESTFALIA<br />
7-12 settembre 2007
LO SPECCHIO DI<br />
DIANA<br />
a cura della Sezione Femminile<br />
dell’Associazione Thule-Italia<br />
Dianae<br />
Dianae sumus in fide<br />
puellae et pueri integri:<br />
Dianam pueri integri<br />
puellaeque canamus.<br />
o Latonia, maximi<br />
magna progenies Iovis,<br />
quam mater prope Deliam<br />
deposivit olivam,<br />
montium domina ut fores<br />
silvarumque virentium<br />
saltuumque reconditorum<br />
amniumque sonantum:<br />
tu Lucina dolentibus<br />
Iuno dicta puerperis,<br />
tu potens Trivia et notho es<br />
dicta lumine Luna.<br />
tu cursu, dea, menstruo<br />
metiens iter annuum,<br />
rustica agricolae bonis<br />
tecta frugibus exples.<br />
sis quocumque tibi placet<br />
sancta nomine, Romulique,<br />
antique ut solita es, bona<br />
sospites ope gentem.
Non poteva che cominciare con le meravigliose parole<br />
di Catullo questo articolo dedicato a Diana, frutto di<br />
un’escursione sul lago di Nemi che ha visto come<br />
protagoniste le donne della Sezione Femminile<br />
dell’Associazione Thule Italia.<br />
“Panoramica del Lago di Nemi”<br />
L’analisi del mito di Diana rischia di farsi in ogni<br />
momento troppo lunga e non solo per una predilezione<br />
culturale e religiosa delle autrici.<br />
Sono stati in molti a scrivere della Potnia per<br />
eccellenza, l’incarnazione della regalità femminile, la<br />
Signora delle selve e delle fiere, cercheremo quindi, per<br />
non divagare troppo, di toccare i punti salienti del mito<br />
di Diana cominciando dall’iconografia classica che la<br />
vede con l’arco e il cane, evidentemente cacciatrice. Si<br />
tratta però di una rappresentazione in realtà molto<br />
tarda come tarda è l’associazione della Dea alla luna.<br />
Il nome “Diana” deriva dalla radice sanscrita Div<br />
dalla quale l’aggettivo dius, luminoso, splendente, ma<br />
non di luce lunare, questo è certo; Lucina, “la dea del<br />
luogo chiaro”, splende della luce che filtra attraverso le<br />
fronde degli alberi nei boschi che sono il suo tempio.<br />
L’appellativo di “Luminosa” e anche “Lucifera”, la<br />
sua raffigurazione vicino a fuochi o torce accese e il<br />
fatto che nella selva Ariccia, antica sede del culto di<br />
Diana Nemorense, venisse mantenuto un fuoco<br />
perennemente acceso, fanno pensare a un culto<br />
sovrapponibile a quello di Vesta ma molto più vecchio.<br />
Nelle rappresentazioni più antiche, come spesso accade<br />
per le divinità del Principio, la Dea non aveva forma<br />
umana, veniva invece raffigurata come una torcia o<br />
una fiamma, accompagnata dai cervi o cerva lei stessa.<br />
Il cervo è, nella tradizione indoeuropea, simbolo di<br />
rinnovo e regalità, per fare un esempio a noi vicino e<br />
sicuramente molto più famoso di altri, lo ritroviamo,<br />
in Europa, nelle saghe irlandesi (ricordiamo, fra le<br />
tante, la leggenda della Dea Cerva Sadb, signora dei<br />
Sidhe e legata a Finn mac Cumaill, l’eroe guerriero del<br />
ciclo del Leinster e capo delle Fianna, le bande di<br />
guerrieri a servizio del re d’Irlanda ma, soprattutto,<br />
incarnazione del Dio detto anche “lo Splendente”).<br />
Ancora una volta il Mito, che sia per diffusione o<br />
ancestrale, ci ricorda che un filo conduttore lega la<br />
storia non scritta di numerose popolazioni<br />
tramandandone l’origine senza bisogno di ricorrere<br />
all’archeologia, la storiografia e le scienze “moderne”<br />
in genere.<br />
“Statua che raffigura Diana Cacciatrice<br />
(Piazza principale di Nemi)<br />
Antonella Tucci / Pellegrinaggio a Nemi 57
LO SPECCHIO DI<br />
DIANA<br />
Possiamo in effetti affermare con assoluta convinzione<br />
che la vera essenza e funzione del Mito è insegnare e<br />
raccontare la storia dell’uomo dal principio ad oggi<br />
senza alcun bisogno di prove empiriche.<br />
Prima di addentrarci nel Mito della Potnia italica è<br />
bene però soffermarsi ancora un momento su uno degli<br />
attributi classici della Dea: la verginità, e sul senso che<br />
realmente è doveroso dargli.<br />
E’ curioso come i significati di molti vocaboli, storpiati<br />
nelle moderne accezioni, siano il faro e la prova<br />
lampante della decadenza in mezzo alla quale viviamo<br />
senza neanche acc<strong>org</strong>ercene.<br />
Sull’aggettivo “vergine” già il vecchio vocabolario<br />
degli accademici della Crusca, datato 1612, riportava:<br />
“si dice, sì di femmina, sì di maschio, che non sien venuti<br />
ad atti carnali. Latin. virgo.”; lo stesso Garzanti mette<br />
come prima definizione: “si dice di donna che non ha<br />
mai avuto rapporti sessuali (rar. riferito anche a uomo)”<br />
e solo come quarta: “integro moralmente; intatto, puro:<br />
animo vergine”.<br />
Sull’etimologia dell’aggettivo “vergine” gli studiosi sono<br />
concordi su due possibilità: l’affinità della parola latina<br />
“virgo” con la radice “vir”, ossia la medesima di “vira”<br />
(uomo robusto e forte) o con “vireo” (verdeggiante); Vi<br />
è anche chi fa risalire la parola alla radice “varg” dal<br />
sanscrito “urg” (spingere, gonfiare, essere turgido,<br />
rigoglioso, pieno di succo, forza ed energia).<br />
In ognuno dei tre casi è evidente come l’antica<br />
accezione non si preoccupi tanto dell’integrità di una<br />
membrana quanto di una integrità spirituale della<br />
quale determinati atteggiamenti o, più precisamente,<br />
modi di essere, non sono che il riflesso.<br />
La vergine è l’incarnazione della Madre nel suo aspetto<br />
fertile, sempre giovane e simbolo di rinnovamento, la<br />
cui linfa vitale non si esaurisce mai; E’ la donna che<br />
incarna con dignità e devozione l’archetipo che<br />
rappresenta, colei che è libera da vincoli coniugali<br />
perché non si lega a un uomo indegno così come Diana<br />
non ha solo un compagno ma un paredro: “colui che le<br />
sta accanto come suo pari”, opposto e complementare.<br />
Ma veniamo adesso al mito che lega la Signora delle<br />
Selve allo Speculum Dianae, il Lago di Nemi e ai<br />
boschi che lo circondano.<br />
Si narra che il culto di Diana fu introdotto a Nemi da<br />
58<br />
Thule Soci<br />
a cura della Sezione Femminile<br />
dell’Associazione Thule-Italia<br />
Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra che, dopo<br />
l’uccisione della madre e di Egisto, venne incaricato da<br />
Apollo di trafugare un simulacro di Diana in Tauride<br />
(la Crimea) per sfuggire alla furia delle Erinni<br />
(equivalenti delle Furie, tormentavano chi si<br />
macchiava dei delitti più turpi portandolo alla follia).<br />
Qui, dopo varie vicissitudini e l’uccisione del Re<br />
despota Toante, Oreste si ricongiunse con la sorella<br />
Ifigenia, sacerdotessa della Dea, e con lei fuggì<br />
portando con sé la statua della sanguinaria Diana<br />
Taurica nascosta in una fascina di legno e arrivò,<br />
infine, sulle sponde del lago laziale di Nemi.<br />
Così come la Diana Taurica pretendeva la morte di<br />
ogni straniero che mettesse piede sulla sua terra, anche<br />
la “nostra” Diana era legata a un sacrificio di sangue<br />
benché di diversa natura.<br />
Sotto le pendici di quello che adesso è il paese di Nemi<br />
c’era un bosco ai tempi chiamato il bosco di Aricia e, al<br />
suo interno, un albero sacro alla Dea sotto il quale si<br />
aggirava, come dice Frazer nel suo indimenticabile “Il<br />
Ramo d’Oro”, una truce figura, la spada sguainata,<br />
senza mai abbassare la guardia, perché un solo attimo<br />
di distrazione avrebbe potuto costargli la vita; Era il<br />
Rex Nemorensis, il Re del Bosco, un titolo che solo chi<br />
lo avesse ucciso avrebbe potuto sottrargli per morire<br />
poi a sua volta, appena la vecchiaia lo avesse indebolito<br />
perché uno più giovane e forte potesse prendere il suo<br />
posto. Un titolo legato quindi al vigore dell’uomo<br />
(Vira), al rinnovo e alla ciclicità degli eventi naturali.<br />
Solo uno schiavo fuggitivo poteva però di diritto sfidare<br />
il Rex Nemorensis e unicamente dopo aver colto una delle<br />
fronde dell’albero sacro, probabilmente una quercia.<br />
E se il Rex Nemorensis non si allontanava da<br />
quell’albero non era certo solamente per il timore di<br />
un pretendente al trono, egli gli era devoto e legato<br />
come era devoto e legato alla Signora delle Selve, tanto<br />
da far credere a ragione che l’albero e la Dea fossero<br />
una cosa sola; Il famoso Ramo d’Oro, invece, la fronda<br />
che dava al pretendente al trono il diritto di sfidare a<br />
duello il Re, è facilmente riconducibile all’Aureus<br />
Ramus che Enea dovette raccogliere su ordine della<br />
Sibilla per scendere nel regno degli Inferi, da<br />
Proserpina.
Questo perché non vi è regalità né ascesa senza la<br />
discesa nelle tenebre nigredee, la morte intesa come<br />
rito iniziatico di passaggio e il tramite e il fine in questa<br />
Via è il medesimo, che si tratti dei Misteri di Eleusi o<br />
di Nemi: la Potnia.<br />
Il paredro di Diana e primo, mitico Rex Nemorensis è<br />
stato Virbio, associato in seguito a Ippolito che, nella<br />
tradizione ellenica, per sfuggire a Teseo viene travolto<br />
da un cocchio trainato da cavalli e ucciso per essere poi<br />
riportato in vita da Asclepio, nascosto nei boschi di<br />
Aricia e camuffato, infine, dalla sua Signora, Diana,<br />
che gli dà l’aspetto di un vecchio.<br />
L’associazione di Virbio a Ippolito è senz’altro tarda<br />
ma le motivazioni del divieto di introdurre cavalli nel<br />
Nemus sono da ricercarsi, a livello ben più profondo,<br />
nel significato che poteva assumere la figura del cavallo,<br />
simbolo maschile di forza ed eroismo, in relazione a<br />
quella della Signora delle Selve, indubbiamente Regina<br />
oltre che dispensatrice di regalità.<br />
V’è forse un ultimo collegamento da fare fra la figura di<br />
Virbio/Ippolito e il martire cristiano Sant’Ippolito che<br />
“legato per i piedi al collo di indomiti cavalli, fu crudelmente<br />
trascinato per luoghi aspri e spinosi, e con il corpo tutto<br />
lacerato rese lo spirito.”(tratto dall’opera «Reliquie Insigni<br />
e “Corpi Santi” a Roma» di Giovanni Sicari) la cui<br />
ricorrenza cade guarda caso proprio il 13 Agosto, giorno<br />
in cui, secondo la tradizione romana, si festeggiava la<br />
purezza primigenia e, naturalmente, Diana.<br />
“Numen Inest”<br />
E aleggiava realmente un Nume in quel Tempio<br />
sprofondato in un silenzio innaturale, fuori posto come<br />
solo i resti di un sapere antico possono esserlo in questo<br />
mondo torturato.<br />
Ci siamo raccolte intorno all’altare colme di timore<br />
reverenziale, gli occhi lucidi di fronte alle offerte dei<br />
pellegrini e delle pellegrine.<br />
Ricordo una sensazione simile provata tanto tempo fa,<br />
sulla tomba di una Regina mitica del Connacht, sposa<br />
dei nove più grandi Re d’Irlanda e incarnazione stessa<br />
della Sovranità; Sì, la sensazione era la medesima in<br />
quei momenti di raccoglimento e silenzio nel Tempio di<br />
Diana ma con una differenza sostanziale: eravamo in<br />
molte stavolta a provare lo stesso sentimento, unite in un<br />
sodalizio e sorelle in nome di un principio non del tutto<br />
comprensibile ma certamente buono e giusto come poche<br />
cose arrivano ad esserlo nella vita di una persona.<br />
Sotto: Altare e offerte sull’altare<br />
Antonella Tucci / Pellegrinaggio a Nemi 59
LE DANZE SACRE<br />
FEMMINILI<br />
Prima tappa di un percorso attraverso le Tradizioni<br />
Sapienziali Femminili<br />
Zeus sposa Era e genera Ebe, Ilizia e Ares, ma si unisce<br />
anche a molte donne, mortali e immortali… …da<br />
Mnemosine [gli nascono] le Muse, Calliope per prima,<br />
poi Clio, Melpomene, Euterpe, Erato, Tersicore…<br />
Ed era Tersicore, appunto, la musa della danza e della<br />
lirica, nata da Zeus e Mnemosine, dall’unione<br />
dell’Autorità con la Memoria, l’incarnazione di una<br />
delle Arti più soavi. Raffigurata come una giovane col<br />
capo cinto di fiori e uno strumento a corde fra le mani,<br />
nelle rappresentazioni classiche raramente la sua<br />
figura dà un’idea di staticità.<br />
Saltando letteralmente di palo in frasca (o forse non<br />
poi così tanto) mentre scrivo vedo, con gli occhi del<br />
pensiero, l’opera di un artista giapponese, Hokusai, il<br />
“vecchio pazzo per la pittura”: il monte Fuji, sulla<br />
destra, svetta verso il cielo, imponente e granitico e<br />
sembra che niente possa toccarlo, modificarne la<br />
posizione, offuscarne la potenza; a sinistra un’onda,<br />
60<br />
Thule Soci<br />
di Antonella Tucci<br />
(Argentea)<br />
colta al massimo dell’impennata, esattamente una<br />
frazione di secondo prima che i flutti spumosi si<br />
abbattano nuovamente e con violenza sulla massa<br />
d’acqua sottostante e al centro, infine, in balia delle<br />
forze antitetiche per eccellenza, l’Essere e il Divenire,<br />
sfida la sorte una piccola e fragile barca di pescatori.<br />
La mia attenzione, anche se con gli occhi della mente,<br />
viene catturata come sempre dalla gigantesca onda e<br />
non a caso perché è naturale per una donna<br />
riconoscersi in tutto ciò che diviene e fluisce.<br />
“Divenire” è una parola che spesso gli ignoranti hanno<br />
adoperato, riferendosi alle donne, come sinonimo di<br />
incoerenza e instabilità. Niente di più falso.<br />
L’acqua del mare resta sempre acqua, per quanto<br />
torbida o agitata possa essere, sensibile com’è ai venti<br />
e alle correnti e la terra resta sempre terra<br />
indipendentemente dalle nascite e dalle morti, dal<br />
susseguirsi delle stagioni e dei cicli vitali.<br />
La donna è naturalmente più vicina dell’uomo a questi<br />
cicli, ne sente interiormente il ritmo, la sua esistenza ne<br />
è scandita a livello più o meno consapevole, una<br />
vicinanza che in passato era parte integrante del
misticismo femminile e che veniva (e in certi casi viene<br />
ancora) spesso comunicata attraverso la più ovvia delle<br />
esternazioni in questo senso: la danza.<br />
Parlare di “danze sacre” in età moderna è alquanto<br />
difficile, le prove scritte diventano sempre più scarse<br />
tanto più si viaggia a ritroso nel tempo e alla fine,<br />
qualunque affermazione fatta in base allo studio delle<br />
tradizioni, dei miti e dei documenti non scritti, viene<br />
relegata nel limbo delle congetture. Poco male in<br />
realtà, visto che è in questo limbo che a noi piace<br />
muoverci, libere dalle catene della storiografia ma<br />
consce della memoria di ciò che è stato e che, ne siamo<br />
convinte, non muore mai: deve solo essere risvegliata.<br />
Irina Naceo nel suo “Delle antiche danze femminili”<br />
(edizioni della Terra di Mezzo) pone inizialmente<br />
l’attenzione sulla moderna danza classica<br />
paragonandola alla maggior parte delle danze<br />
tradizionali femminili sopravvissute nelle popolazioni<br />
che, ai giorni nostri, hanno mantenuto a tratti integre<br />
le usanze del passato.<br />
Nella danza classica, miracolo di postura ed eleganza,<br />
il bacino deve restare assolutamente immobile, lo studio<br />
della tecnica delle punte, se praticato precocemente, può<br />
provocare gravi danni, anche irreversibili, quali scoliosi,<br />
problemi alle ginocchia e alle anche ed infine, per<br />
raggiungere quella grazia artificiosa e artificiale nei<br />
movimenti, le ballerine pagano uno scotto non<br />
trascurabile: l’estrema magrezza e rigidità dei muscoli,<br />
nel complesso l’impressione è di trovarsi davanti una<br />
figura eterea e androgina, essenzialmente priva dei tratti<br />
distintivi femminili.<br />
Non a caso la danza classica è un’arte moderna, nel<br />
passato i movimenti tipici delle danze femminili erano<br />
sicuramente meno artificiosi perché, anche quando<br />
necessariamente costruiti, sottolineavano ed<br />
esaltavano la figura della donna celebrando il mistero<br />
della creazione e dei ritmi della natura.<br />
Le tracce in Europa delle antiche danze sacre<br />
femminili si trovano senza fatica: Snorri ci racconta di<br />
una pratica sciamanica riservata solo alle donne, il<br />
seidhr, magia femminile volta alla divinazione dove il<br />
raggiungimento della trance si otteneva grazie alla<br />
musica, abbiamo poi le descrizioni dei baccanali, delle<br />
danze a Demetra e Persefone nei Misteri Eleusini, si sa<br />
delle attività coreutiche delle fanciulle istruite da Saffo<br />
e non è un mistero la presenza femminile nelle danze<br />
dei Salii a Roma (Le Virgo Saliari); se diamo al<br />
Simbolo la validità storiografica che gli è dovuta non<br />
possiamo tralasciare inoltre le infinite pitture,<br />
statuette e graffiti raffiguranti donne nell’atto di<br />
danzare, la spirale neolitica stessa, così diffusa in<br />
Europa, è probabilmente la rappresentazione grafica<br />
della più antica danza primordiale di cui si ha notizia,<br />
e poi poesie e miti e fiabe. Un panorama immenso del<br />
quale ad oggi non è rimasto assolutamente niente.<br />
E qui il paragone, in uno dei soliti voli pindarici che,<br />
oramai l’avrete capito, sono parte di me, viene<br />
spontaneo: la Danza Sacra e la Via della Spada in<br />
occidente e il loro corrispettivo in oriente.<br />
Ad oggi, chiunque voglia in Europa intraprendere la<br />
Via della Spada sa di non potersi rivolgere ai sedicenti<br />
maestri d’occidente.<br />
La Scrimia, (così viene chiamata adoprando un termine<br />
relativamente giovane) l’arte marziale italica, è<br />
sopravvissuta, è vero, ma come privilegio di pochi, dove<br />
a fare la selezione non è l’Arte stessa ma l’appunto<br />
sedicente maestro, modus agendi di stampo squisitamente<br />
massonico sicuramente corretto in certi campi ma che<br />
poco ha a che vedere con la Via della Spada.<br />
Ecco perché, come l’uomo che intenda intraprendere<br />
realmente l’Arte che per diritto naturale dovrebbe<br />
poter imparare deve necessariamente volgere lo<br />
sguardo a oriente, così è costretta a fare la donna che<br />
intenda riscoprire la Danza nella sua accezione sacra<br />
tesa al ricongiungimento con l’Archetipo.<br />
Con questo, sia chiaro, non intendo “promuovere” o<br />
“preferire” le altrui tradizioni, al contrario il fine è di<br />
risvegliare nella nostra Terra e fra la nostra Gente quelle<br />
che sono tradizioni ancestrali e immutabili perché, come<br />
il Guerriero è senza tempo e senza luogo, così lo è la<br />
Danzatrice quale che sia l’iconografia e la collocazione<br />
geografica che l’essere umano le ha attribuito nel corso<br />
della sua storia e delle sue peregrinazioni.<br />
Del perché presso alcune popolazioni, spesso e non a<br />
caso definite “primitive” o “barbare” dall’occidentale<br />
moderno, molte Tradizioni Sapienziali siano<br />
sopravvissute non è il caso di discutere in questa sede<br />
poiché il discorso porterebbe lontano allontanandosi<br />
troppo dall’argomento in oggetto.<br />
Antonella Tucci / Le danze sacre femminili 61
LE DANZE SACRE<br />
FEMMINILI<br />
La Danza del Ventre<br />
Brevi cenni storici<br />
È pensiero comune che la danza volgarmente detta<br />
“del ventre” sia nata negli Harem dove le concubine<br />
la praticavano per ingannare il tempo in attesa che la<br />
scelta del Califfo cadesse su di loro.<br />
Solo due cose sono vere in questo luogo comune<br />
occidentale, entrambe identificabili fra le righe: la<br />
danza del ventre non era una danza nata “per gli<br />
uomini” ed effettivamente le concubine dei califfi<br />
venivano istruite nelle attività coreutiche, nelle arti e<br />
nelle scienze.<br />
Non ci dilungheremo troppo su un aspetto che<br />
riguarda strettamente la cultura islamica e in un<br />
periodo relativamente moderno perché a noi piace, per<br />
quanto possibile in quanto limitatamente legate a un<br />
corpo umano e inevitabilmente figlie della decadenza,<br />
viaggiare a ritroso verso l’origine e non fermarci alle<br />
degenerazioni della stessa.<br />
In realtà “Danza del Ventre” è il nome che i viaggiatori<br />
occidentali orientalisti del diciottesimo secolo diedero<br />
a questo ballo dalle movenze morbide e sensuali,<br />
principalmente concentrate nel bacino, percependone<br />
erroneamente un erotismo volto alla seduzione del<br />
maschio.<br />
Il diciottesimo secolo era però piena decadenza anche<br />
per il medioriente ed è vero che le ballerine, già da<br />
tempo, danzavano per “professione” alle feste e ai<br />
matrimoni al fine di mostrarsi e intrattenere e non<br />
certo in un contesto sacro o rituale.<br />
Putroppo l’assenza di documenti scritti antecedenti il<br />
1700 rende difficile ricostruire la storia della danza del<br />
ventre, ma vi sono, ad esempio, statuette<br />
antropomorfe e decorazioni su ceramiche<br />
predinastiche (3800- 3500 a.C) egiziane che fanno<br />
pensare a danze a carattere magico-rituale; le origini<br />
sono però molto probabilmente ancora più antiche e<br />
si riallacciano ai culti mesopotamici di fertilità relativi<br />
alla dea Inanna o Ishtar nella versione akkadica.<br />
Ma i movimenti che compongono questa danza si<br />
slegano da qualunque appartenenza geografica,<br />
riproducendo, non solo con il ventre ma anche con la<br />
parte superiore del corpo, le braccia e le mani, i<br />
simboli archetipici che sono da sempre parte<br />
62<br />
Thule Soci<br />
integrante del misticismo femminile, i medesimi che<br />
qualunque donna riprodurrebbe, seppure ignara della<br />
tecnica e della postura e scevra da qualunque<br />
insegnamento in merito e, ovviamente, in uno stato<br />
non dico d’estasi ma sicuramente consapevole,<br />
ballando istintivamente al ritmo di strumenti<br />
“primitivi”, percussioni o fiati.<br />
Simboli archetipici nei movimenti della Danza del<br />
Ventre<br />
La posizione di base prevede i piedi ben piantati per<br />
terra, le gambe leggermente flesse e le articolazioni il<br />
più possibile morbide e rilassate.<br />
A differenza della danza classica dove si cerca in ogni<br />
modo di vincere la forza di gravità, la Danza del Ventre<br />
permette alla donna di abbandonarsi al richiamo<br />
ctonio della Madre.<br />
L’Infinito<br />
di Antonella Tucci<br />
(Argentea)<br />
Il primo movimento in cui ci si imbatte muovendo i<br />
primi passi in questa danza e che raramente risulta<br />
“nuovo” agli occhi di qualunque donna, è una<br />
oscillazione e torsione del bacino alternativamente a<br />
destra e a sinistra che, se ininterrotta, riproduce quello<br />
che viene chiamato “otto orizzontale”, due cerchi<br />
gemelli uniti su un lato: il simbolo dell’infinito,<br />
rappresentazione grafica di tutto ciò che, ciclico,<br />
eternamente ritorna.
Questo simbolo viene riprodotto molto spesso nella<br />
Danza del Ventre, orizzontalmente, verticalmente o<br />
lateralmente interessando sostanzialmente la zona<br />
addominale e il bacino dove risiede uno dei centri di<br />
forza più importanti, quello che gli indiani chiamano<br />
Svadhisthana, raffigurato come una falce di luna<br />
inscritta in un cerchio e circondato da sei petali nei<br />
toni dell’arancione e del rosso; Anche lo Shimmy, la<br />
rapida vibrazione del corpo prodotta dal rilassamento<br />
e l’irrigidimento alternato dei muscoli delle gambe,<br />
stimola questo Chakra, simbolo affine all’acqua<br />
intesa come brodo primordiale in cui si sviluppa la<br />
vita, risvegliando e distribuendo uniformemente<br />
le energie legate alla sessualità e alla forza vitale.<br />
Il Sole<br />
La lenta rotazione del busto effettuata<br />
mantenendo la schiena dritta, tramite il solo<br />
spostamento del peso del corpo prima a destra,<br />
poi indietro, ancora a sinistra e infine in avanti,<br />
viene chiamata “Il Sole” e riproduce in effetti un<br />
cerchio perfetto assimilabile, come tutto ciò che è<br />
curvo e flessibile nella Geometria Sacra, alla<br />
polarità femminile.<br />
Viene così naturale pensare a Ouroboros, il<br />
serpente che si morde la coda, che racchiude in sé<br />
non solo la simbologia del cerchio ma anche quella<br />
di uno degli animali sacri alla Madre.<br />
Quello della Donna e il Serpente fu infatti un<br />
connubio millenario, spezzato da chi volle<br />
trasformare il sangue che rigenera in una<br />
maledizione.<br />
Il Serpente<br />
Il movimento sinuoso del corpo e delle braccia che<br />
ricorda l’incedere del serpente si rifà al periodo in<br />
cui i cristiani non avevano ancora imposto a Maria<br />
di schiacciare il rettile col piede demonizzando in<br />
quel modo il principio femminile e decidendo che<br />
il Divino non poteva avere volto di donna.<br />
Il serpente è sempre stata una delle principali<br />
ierofanie zoomorfe della Dea e animale a Lei sacro<br />
ma fu trasformato in un demone tentatore<br />
quando era invece simbolo di cambiamento,<br />
rinascita e soprattutto di fecondità (basti pensare<br />
alla dea Tiamat, a Visnù addormentato fra le spire<br />
del serpente o alla leggenda dell’unione di Fauno<br />
con Bona Dea), profeta e custode di segreti e<br />
misteriosi tesori spesso ipogei (ricordiamo<br />
l’<strong>italia</strong>nissima Dea Serpente, la Sibilla<br />
Appenninica e Medusa, custode degli Inferi).<br />
Nel suo “Il corpo delle Dea”, Selene Ballerini cita<br />
la psichiatra junghiana Esther Harding che<br />
segnala un’associazione fra il serpente e la prima<br />
mestruazione causata, secondo alcune antiche<br />
credenze, dal suo morso; Anche in questo caso il<br />
serpente vine inteso, quindi, come colui dal quale<br />
ha origine il sangue inteso come principio creativo<br />
e non come punizione per il più grande dei peccati.<br />
Antonella Tucci / Le danze sacre femminili 63
LE DANZE SACRE<br />
FEMMINILI<br />
Reali effetti benefici sul corpo della donna<br />
La cosa più complicata per una donna che muove i suoi<br />
primi ed è il caso di dire, timidi, approcci alla danza del<br />
ventre è sicuramente “liberare” il bacino e le anche,<br />
muoverli cioè sinuosamente e in modo naturale,<br />
indipendentemente dal resto del corpo.<br />
La motivazione risiede probabilmente nel fatto che la<br />
maggior parte delle donne si “mantiene in forma” in<br />
sala pesi o facendo spinning o just pump, attività che<br />
non prevedono certo l’utilizzo del bacino o la capacità<br />
di muovere diverse parti del corpo indipendentemente<br />
l’una dall’altra e che “legano” anzi le giunture, se non<br />
accompagnate da allungamenti e respirazioni profonde.<br />
Giusto chi ama i balli latino americani spesso si trova<br />
più avvantaggiata rispetto alle altre anche se i<br />
movimenti risultano sempre più volgari di quelli di una<br />
danzatrice orientale che pure muova il bacino nello<br />
stesso modo.<br />
Ad ogni modo, limiti fisici a parte, la mia idea è che siano<br />
stati secoli di de-femminilizzazione della donna a farci<br />
trovare innaturali dei movimenti che, non solo sono<br />
naturalissimi per il corpo femminile, ma lo rendono più<br />
forte dove è giusto che lo sia, in previsione per esempio<br />
della gravidanza, del parto o dei dolori mestruali.<br />
La posizione base della Danza del Ventre prevede il<br />
bacino chiuso senza per questo contrarre innaturalmente<br />
i glutei, questo porta ad un graduale allungamento e<br />
raddrizzamento della colonna vertebrale.<br />
Grazie a questa posizione è possibile riabituarsi alla<br />
respirazione profonda, quella “addominale”, cosa che<br />
soltanto chi pratica una disciplina, quale che sia la danza,<br />
lo Yoga o un’arte marziale, oramai è in grado di fare.<br />
Donne e uomini del ventunesimo secolo respirano<br />
freneticamente come frenetici sono i loro ritmi, la<br />
paura di arrivare in ritardo o la documentazione da<br />
consegnare al capoufficio, le bollette da pagare e le<br />
relazioni interpersonali condotte in modo sbagliato,<br />
tutti questi stimoli negativi, se presi come fossero la<br />
parte realmente importante della vita, portano alla<br />
respirazione ansiosa che, anche quando non sfocia in<br />
patologia (molti di voi si stupirebbero di scoprire di<br />
non saper respirare), è la causa principale di una serie<br />
di problemi fisici quali emicranie, mal di stomaco,<br />
difficoltà a ricordare le cose, fatica a svegliarsi la<br />
mattina, insonnia.<br />
64<br />
Thule Soci<br />
La respirazione profonda aiuta inoltre a riscoprire il<br />
proprio ventre e l’atto di contrarre e decontrarre i<br />
muscoli senza sforzarli troppo ma per periodi<br />
prolungati, li rende tonici e al contempo elastici, senza<br />
l’irrigidimento innaturale che le sedute di ore in<br />
palestra provocano e, soprattutto, senza l’aberrante<br />
effetto “tartaruga” dell’addominale scolpito, primo<br />
sintomo della de-femminilizzazione di cui sopra.<br />
Inoltre la capacità di rilassare il ventre aiuta nei dolori<br />
mestruali e, di conseguenza, durante il parto dove la<br />
donna diviene parte attiva rendendo più sopportabili<br />
le contrazioni e più efficaci le spinte.<br />
Possiamo tranquillamente affermare che i corsi preparto,<br />
gratuiti o a pagamento che siano, le moderne<br />
ginnastiche “dolci”, gli “innovativi” metodi americani<br />
et similia, cerchino di insegnare quello che per secoli le<br />
fanciulle di tutto il mondo hanno imparato dalle madri<br />
e dalle sacerdotesse in modo sicuramente più<br />
divertente ed efficace: danzando il mistero della vita.<br />
Naturalmente anche le spalle risentono positivamente<br />
di una postura corretta e della respirazione profonda e<br />
soprattutto la schiena, sulla quale siamo solite<br />
scaricare inconsapevolmente le tensioni della giornata,<br />
si rilassa finalmente, allungandosi.<br />
Conclusioni<br />
di Antonella Tucci<br />
(Argentea)<br />
E’ giunto il momento di tirare le somme di quanto<br />
scritto e non v’è niente di più complicato.<br />
Forse l’unica cosa, la sola che vale veramente la pena<br />
di sottolineare è che non si deve essere ballerine per<br />
danzare. Il mondo moderno ci ha insegnato che o si<br />
impara a ballare fin da bambine o ci si accontenta delle<br />
discoteche o dei balli di coppia. Tutto ciò è falso. Siamo<br />
danzatrici per natura, danziamo la vita e la gioia<br />
d’essere donne, danziamo perché rifiutiamo le catene<br />
imposte da coloro che decidono cosa è bello e cosa è<br />
giusto: gli stilisti, i media, le aberrazioni moderne che<br />
oramai conosciamo bene, danziamo perché amiamo<br />
abitare il nostro corpo finché la nostra anima dovrà<br />
restarvi legata in questo mondo e in questo tempo,<br />
perché l’unico canone di bellezza al quale rispondiamo<br />
è quello dell’archetipo femminile al quale tendiamo,<br />
danziamo perché danzando facciamo sì che la memoria<br />
di ciò che è stato non si perda. Mai.
Ringraziamenti<br />
Sono forse strani i ringraziamenti alla fine di un<br />
articolo tanto breve ma ho preferito ringraziare coloro<br />
che hanno scritto i testi che mi hanno aiutata nella<br />
stesura dello stesso piuttosto che stilare una sterile<br />
bibliografia.<br />
Ringrazio dunque Irina Naceo autrice di “Delle<br />
antiche danze femminili” (Edizioni della Terra di<br />
Mezzo); Maria Strova autrice de “Il Linguaggio<br />
segreto della Danza del Ventre, I Simboli, la<br />
Sessualità, la Maternità, le Radici dimenticate”<br />
(Macroedizioni) e Selene Ballerini, autrice de “Il corpo<br />
della Dea” (Edizioni Atanòr).<br />
Ringrazio inoltre la mia Maestra di danza perché la<br />
teoria non è niente se non si applica alla pratica con<br />
costanza e sacrificio.<br />
Ringrazio mia Madre e le mie Sorelle e Beatrice, i cui<br />
disegni parlano della gioia d’essere donne meglio di<br />
cento bei discorsi.<br />
Ringrazio inoltre gli Uomini che fanno parte della mia<br />
vita e grazie ai quali divenire quello che sono acquista<br />
un senso.<br />
E ringrazio anche Me Stessa per tutte le volte che avrei<br />
potuto mollare ma non l’ho fatto.<br />
Il tutto, ovviamente, non in ordine d’importanza.<br />
“Tutto nella danza del ventre è segretamente intenzionale,<br />
in essa si racchiude un linguaggio eterno”<br />
Maria Strova<br />
Antonella Tucci / Le danze sacre femminili 65
UNO SCRITTORE<br />
BENINTENZIONATO di Valerio Raimondi<br />
Se il libro che andremo tra poco ad esaminare (“Con le<br />
peggiori intenzioni”, Mondadori 2005) non avesse<br />
vendute frotte di copie in giro per l’Italia, sarebbe ridicolo<br />
solo il prendere in esame la possibilità di occuparsene; se<br />
in ogni biblioteca pubblica romana (l’autore dell’articolo<br />
ha preso in esame la sola città di Roma ma non dispera<br />
che le cose stiano così anche altrove) non campeggiasse<br />
fiera almeno una copia di tale romanzo, giù a ridere<br />
all’idea di occuparsene; se ancora oggi, a due anni dalla<br />
pubblicazione, l’autore non venisse invitato a pispolare<br />
allegramente del suo remunerativo scritto a destra e a<br />
manca in televisione, ancora risate.<br />
Ma le cose stanno proprio così. E non c’è scappata<br />
neanche una risata.<br />
Ai suoi tempi, Federico Nietzsche, postumo in vita,<br />
asseriva che “chi conosce in profondità, si sforza<br />
d’essese chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla<br />
moltitudine, si sforza d’essere oscuro”; oggi, il postero<br />
Alessandro Piperno, autore de “Con le peggiori<br />
intenzioni”, ha d’un colpo riguadagnato alla chiarezza<br />
e alla profondità la moltitudine: non si rammenta,<br />
infatti, una profluvie di unanimi giudizi su un singolo<br />
testo letterario – che non sia già stato sanzionato come<br />
immortale – pari a quella che ha investito l’opera<br />
prima del Piperno.<br />
Come ha fatto il romanziere romano, già professore a<br />
contratto all’università di Tor Vergata, a salvare capra<br />
e cavoli? È sobillati da tale rovello che si è deciso di<br />
sondare più a fondo.<br />
Come romanzo, Con le peggiori intenzioni, a onor del<br />
vero, non vale una cicca. È letteratura fiacca e<br />
maldestramente accozzata. E vi è una teoria di motivi<br />
oggettivi (che l’autore sembra aver disseminato<br />
dall’inizio alla fine per venirci incontro<br />
nell’operazione) a corroborare tale apparente assioma.<br />
Anzitutto formali, lessicali e stilistici. I due più<br />
evidenti: la verbosità e il turpiloquio. Piperno è uno di<br />
quegli incontinenti che sublima i guasti della propria<br />
debole vescica con inchiostro e carta bianca. Non c’è<br />
requie per il lettore che s’avventuri senza macete nella<br />
selva parolaia: serpentine sinonimiche prive di alcun<br />
significato a parte quello di stancare l’occhio,<br />
proliferazioni aggettivali che ammorbano, con<br />
l’accelerazione riproduttiva di cellule impazzite, il più<br />
dei sostantivi, come scialbe infiorescenze; un fottìo di<br />
68<br />
Recensioni<br />
iperboli e un uso smodato di maiuscole (quanto alle<br />
prime, per Piperno tutto è superlativo, tutto è<br />
“issimo”; per le seconde, l’autore si spassa a creare<br />
nuove categorie dello Spirito: l’Impoderabile, la Storia<br />
– quale? – il Padre, l’Oblio, per non omettere la coppia<br />
di contrari, d’ascendenza illustre, “salvati/sommersi”<br />
– evidentemente in maiuscolo – tanto per limitarsi alle<br />
primissime pagine); uno spreco di cultismi e un salasso<br />
di forme auliche, fastidiose e puntuali come una goccia<br />
cinese; un periodare non “a lunga gittata”, ché in tal<br />
caso avrebbe avuto la parvenza di una classica<br />
complessità, ma fitto di frasette veloci, voraci<br />
accumulazioni, esasperanti cumuli verbaioli.<br />
Insomma, in breve: un linguaggio barocco. Ma nulla<br />
condivide tale sperpero da grafomane compulsivo col<br />
nobile e alto uso che riusciva a farne un Gadda (tanto<br />
per dire del migliore), inappuntabile uomo d’ordine<br />
oltre che grande scrittore. Questi cristallizzava<br />
l’ipertrofia in stile, Piperno ne fa scarico di sciacquone;<br />
l’uno torceva lo stile col gesto drammatico d’una<br />
scultura michelangiolesca, l’altro lo stile lo inamida<br />
delle proprie polluzioni.<br />
Il turpiloquio, poi. Vi si rompe, il Piperno, con gaio<br />
sollazzo e rapace calcolo assieme. Quale traccia ha<br />
lasciato nella pagina pipernesca Celine, colui che<br />
magistralmente più di ogni altro seppe dosare nei suoi<br />
romanzi, con altissima capacità mimetica, il rude e<br />
aspro gergo soldatesco o l’argot parigino? Nulla. Il<br />
“pipernismo” (come è stata non senza brillantezza<br />
definita la “maniera” del nostro) sembra assediato<br />
dalla smania di un non meglio precisato modernismo<br />
letterario. Tutto tramato di volgarità becere ma<br />
laccate e come tirate a lucido dal cultismo che in<br />
genere segue, a controbilanciare facili concessioni alla<br />
gratuità volgare di matrice televisiva. (Ma, del resto,<br />
quello dello “specchio riflettente”, meccanismo<br />
principe innescato dal tubo catodico, è il grimaldello<br />
di molta produzione letteraria – e non solo – attuale, e<br />
il nostro dimostra di conoscerne i meccanismi e di<br />
saperli oliare con perizia)<br />
Un tale pastrocchio stilistico produce invero un malloppo<br />
duro a digerirsi se non da tripli stomaci, una prosa<br />
insulsa, macchinosa, un testo farraginoso che fa acqua<br />
dovunque. Solo noia (del lettore) e boria (dello scrittore).<br />
Ecco allora la domanda cruciale: perché la Mondadori,<br />
nel 2005, decise di fare, del romanzo in questione, il
prodotto editoriale dell’anno? Un libro che, come<br />
informano gli amanti dei numeri, vendette 90.000<br />
copie solo nelle prime due settimane e 200.000 in<br />
appena due mesi, dalle numerevoli ristampe (anche in<br />
formato economico) e dalla meritata consacrazione<br />
(l’anno successivo) come allegato al Corriere delle sera?<br />
Il dato incontrovertibile è che il mercato editoriale<br />
nostrano è comandato con fermezza da un grappolo di<br />
case editrici. Fare di un libro il best-seller dell’anno è<br />
un problema solo all’inizio, lo scegliere l’uno o l’altro<br />
titolo. Poi entra in scena la macchina collaudata,<br />
quella della pubblicità già uno o due mesi prima che il<br />
titolo venga stampato, l’allerta dei maggiori critici dei<br />
quotidiani che si prendano la briga d’una lettura in<br />
anteprima per saggiarne il valore, il tonante megafono<br />
una volta stampato e distribuito in libreria dei mezzi<br />
di informazione sollecitati senza esclusione, i salotti<br />
televisivi e via discorrendo.<br />
E su Piperno ecco scatenarsi un ecumenico consenso<br />
(paradossale per uno scrittore di origini ebree – anche<br />
non conoscendole, lo proverebbe il nome e il profilo<br />
adunco). Ancora più paradossale perché su tutti i libri<br />
italioti che nell’ultimo decennio hanno monopolizzato<br />
il mercato, sono piovuti, con un manicheismo sospetto,<br />
tanti elogi quante, se non stroncature (quest’ultima è<br />
una tradizione che non ha mai attecchito nel Bel<br />
Paese), almeno remore all’incenso e critici dubbi. E<br />
invece, nel 2005, finalmente un romanzo “sontuoso,<br />
comico, tragico, miracolosamente e mirabilmente<br />
incerto tra sciagura e parodia” (Sette); “uno dei più<br />
brillanti esordi della nostra letteratura recente”<br />
(Corriere della sera), che “rinverdisce la gloriosa<br />
tradizione del romanzo b<strong>org</strong>hese moderno” (Il Foglio);<br />
“magico è il talento di Piperno” (Diario), “Piperno, un<br />
ebraico re Mida che fa meraviglie” (Tuttolibri),<br />
“stilisticamente molto elegante; divertente e<br />
corrosivo” (Il Giornale), “la narrazione scorre<br />
inesorabilmente esilarante, senza peli sulla lingua”<br />
(Famiglia Cristiana) e, come non bastasse, il premio<br />
Viareggio e il premio Campiello in sequenza. Un coro<br />
di plauso e di allori le cui vesti di corifeo l’ha<br />
degnamente indossate Antonio d’Orrico (“un romanzo<br />
prodigioso, un libro che fa paura per la sua bellezza”),<br />
critico capo del Corriere.<br />
Il libro di Mellissa P, mi dico, ignobile mostro editoriale<br />
degli ultimi tempi, era almeno tarato sul latente<br />
bigottismo b<strong>org</strong>hese, pronto a vellicarne le bassissime<br />
prurigini, e in questo stava la sua giustificazione a<br />
posteriori. Ma con Piperno come la si mette? Dacché la<br />
eventuale – e folle – giustificazione di un libro<br />
commerciale, oggi, non la si può certo ricavare per<br />
deduzione, ma solo per induzione – come s’è detto<br />
sopra è la grossa casa editrice che sceglie prima quale<br />
sarà il libro che immancabilmente venderà trequattrocentomila<br />
copie, forse un milione, al di là del<br />
bene e del male. Piperno è il vuoto pneumatico<br />
agghindato a festa con spillette e lustrini, e ogni<br />
giustificazione formale, come quelle che hanno fatto a<br />
gara a tirar fuori dal cilindro i critici di cui sopra, è ora<br />
sordida mistificazione, ora appecoronamento all’incenso<br />
già bruciato e al subisso di copie già vendute.<br />
Ma c’è di più. Una seconda questione, cruciale in<br />
questo scritto: perché mai nessuno – dico nessuno – fra<br />
gli illustri critici (come fra gli improvvisati che a<br />
centinaia si sono accapigliati su blog e su siti internet<br />
dedicati), perché mai, dicevo, nessuno fra costoro ha<br />
neanche solo accennato, se non, e nel migliore dei casi,<br />
con brevissime e innocue sinossi, alla vera sostanza<br />
pulsante del romanzo piperniano?<br />
Vediamo allora di cosa parla, questo capolavoro.<br />
Quanto alla sinossi, per insulsaggine e vietume della<br />
medesima, basta riportare pedissequamente le poche<br />
righe vergate in seconda di copertina:<br />
“L’epopea dei Sonnino, ricca famiglia di ebrei romani,<br />
dai tempi eroici dello sfrenato nonno Bepy e del suo socio<br />
Nanni Cittadini – la cui irriducibile competizione peserà<br />
in modo fatale sui rispettivi eredi – ai giorni assai meno<br />
grandiosi dello sgangherato nipote Daniel. Le avventure,<br />
gli amori, le ossessioni e i tradimenti degli eroi vitalisti<br />
degli anni Sessanta e dei loro rampolli dorati e imbelli,<br />
dei giovani e dei vecchi, delle famiglie antiche e dei<br />
parvenu, dei fortunati e dei falliti, si succedono di festa<br />
in festa, di scandalo in scandalo, in un romanzo<br />
spettacolare”. Tutto chiaro? Perché è questo il nocciolo<br />
oltre il quale nessuno ha avuto l’ardire di spingersi.<br />
Invece a me, per esempio, è venuto l’uzzolo di capire di<br />
più sull’endoscheletro, di vedere come è stato<br />
accozzato il modellino in plastica.<br />
Il dispositivo narrativo si fonda su di un bipolarismo<br />
essenziale dall’inizio alla fine: da un canto la famiglia<br />
Valerio Raimondi / Uno scrittore benintenzionato 69
UNO SCRITTORE<br />
BENINTENZIONATO di Valerio Raimondi<br />
Sonnino, il cui “Padre” è Bepy; dall’altro, Sonnino<br />
Daniel, l’ultimo di detta famiglia in quanto il di lui<br />
nipote minore. Tale bipolarismo di fondo viene<br />
letteralmente innervato dal tipo di narratore che tiene<br />
banco per tutto il testo: un narratore in prima<br />
persona. In realtà, che il narratore sia in prima<br />
persona e chi sia effettivamente lo si scopre solo verso<br />
pagina 50, quando attacca il pieno di spirito capitolo<br />
terzo “L’eroico trafugatore di collant”; prima di allora<br />
la netta impressione è che si tratti di una terza persona<br />
onnisciente, dalla feroce ironia e dal tagliente<br />
sarcasmo, a parte due o tre flebili tracce che mettono<br />
sull’attenti il lettore esperto. Proprio per questo la<br />
bipolarità strisciante famiglia Sonnino/ Daniel si regge<br />
su un originario e incongruo rapporto di forze: poiché<br />
il narratore – prima persona – è lo stesso Daniel<br />
Sonnino, il quale, nel doppio ruolo di narratorepersonaggio,<br />
è il vero centro focale della narrazione. Si<br />
dà il caso, dunque, che le vicende dei Sonnino siano<br />
tutte filtrate dalla lente deformante di chi narra, e<br />
plasmate sulla scorta del suo giudizio corrosivo e<br />
moraleggiante. “Un ebreo che attacca gli ebrei” è lo<br />
stesso autore a suggerire a un certo punto (e con quale<br />
buona fede!), una sorta di moralizzatore severo e<br />
intellettuale che mette all’indice la propria famiglia in<br />
quanto sentina del vizio, che condanna senza appello<br />
il vitalismo, incarnato in nonno Bepy, di formidabile<br />
donnaiolo, di scialacquatore senza fondo, di<br />
materialista della prima ora, e infine, bancarottiere, di<br />
truffatore e ladro, ma sempre ben contento di esserlo.<br />
La sferza del narratore-personaggio, però, si fa<br />
incalzante, implacabile: la condanna è verso la<br />
rimozione dei tempi che furono, poiché “questi giudei<br />
della Roma bene avevano sostituito […] al terrore per<br />
Mussolini e Hitler, la mimetica venerazione per Clark<br />
Gable e per Liz Taylor”.<br />
L’autore, che sulle prime avvezza lo sprovveduto<br />
lettore a pensare che il narratore sia terzo alla storia e<br />
purtuttavia onnisciente, dà fulmineo una scossa,<br />
introducendo ufficialmente come legittimo proprietario<br />
di quei giudizi salaci, scoccati senza remore, Daniel<br />
Sonnino: così facendo imprime pesantemente, nella<br />
mente sferzata di chi legge, come sigillo nella cera, la<br />
costante presenza di questi come censore e moralista.<br />
Ma proprio quando tale personaggio nodale fa la sua<br />
comparsa, questo Minosse giusto rivendicante la<br />
70<br />
Recensioni<br />
memoria dei cari estinti, è proprio lui a presentarsi (chi<br />
scrive scrive appunto di se stesso!) come un depravato<br />
della prima ora, onanista incallito, un’anima di fango<br />
che s’eccita sessualmente alla vista – e all’odore – della<br />
calze usate della zia israeliana, trafugandone una scorta<br />
per i clandestini e furiosi smaneggiamenti; ragazzozerbino<br />
rispetto alle ragazze della classe scolastica,<br />
smidollato e erotomane fino al parossismo.<br />
E cos’è peggio di un giudice corrotto? La credibilità<br />
del giudice giusto e salace viene annientata<br />
miseramente nel giro di poche righe, quella stessa<br />
credibilità che l’autore, al giudice-personaggio, aveva<br />
cercato di conferire (si capisce ora con quale sforzo<br />
farisaico) sin dall’attacco del romanzo.<br />
Le rivendicazioni post-olocausto di Bepy e dei suoi, a<br />
bruciare una vita di sfrenatezze e sregolatezze<br />
iperboliche, appaiono tanto più legittime in quanto chi<br />
sembrava avere i galloni per condannare con piglio<br />
tranciante se ne dimostra fragorosamente indegno.<br />
Così Bepy, per chi legge, può essere non più “il<br />
dissolutore, il vitalista accecato da donne e denaro”, ma<br />
più bonariamente una vecchia canaglia; la nonna Ada<br />
non più quella “megalomane, vedova nera”, ma una<br />
simpatica arteriosclerotica, e così di questo passo nel<br />
catalogo famigliare, un rovesciamento parodico dopo<br />
l’altro: la trasformazione è riuscita, e con successo.<br />
Non mancano, peraltro, disseminate nel testo,<br />
puntuali allusioni per far intendere che Daniel Sonnino<br />
è niente di meno che alter-ego di Alessandro Piperno:<br />
il narratore-personaggio sarebbe una chiara proiezione<br />
dell’autore, la vicenda nient’altro che biografica,<br />
individuale, isolata.<br />
E no!, caro (e furbo) Piperno. Vuoi forse dare a bere<br />
che la vicenda di cui straparli abbia quasi<br />
un’ascendenza dantesca, di auctor (dunque narratore)<br />
e personaggio assieme? (poiché Dante il suo viaggio<br />
ascensionale l’aveva compiuto veramente, ma in altri<br />
termini da quelli esplicitati dalla lettera – e i<br />
contemporanei, loro sì baluardi di una popolare e<br />
ingenua faciloneria, arrivarono a credere che un ciuffo<br />
canuto della propria chioma il fiorentino se lo fosse<br />
procurato realmente tra i gironi infernali!). Altro che<br />
individualità (che certo in Piperno non potrebbe mai<br />
eternarsi in universalità come l’esperienza dantesca –<br />
ci mancherebbe), il professore a contratto non fa altro<br />
che inserirsi, molto maldestramente, in un usato filone
letterario cui ha dato linfa Philip Roth, scrittore<br />
americano noto ai più (pure lui ebreo d’origine): il<br />
topos dell’ebreo intellettuale e moralista che disprezza<br />
fino al dileggio la propria famiglia, pia delle formali<br />
consuetudini religiose, per poi rivelarsi un fervente<br />
maniaco sessuale, un corrotto, un’anima bassa: la<br />
famiglia vituperata per tutto il libro risulta giocoforza<br />
simpatica a chi legge, in quanto vittima del ribelle; ma<br />
il ribelle idem, poiché, dall’inaccettabile ruolo<br />
autoassegnatosi di giudice inflessibile, dunque<br />
antipatico come può esserlo un qualsiasi pedante, si<br />
dimostra “sfigato”, pieno di problemi esistenziali (ci<br />
passi, il lettore, tali espressioni di stampo giovanilistico<br />
che pure ben s’attagliano alla materia): pari e patta!<br />
Si prenda la pagina di un libro, e la si avvicini<br />
lentamente al viso fino a farla cozzare contro il proprio<br />
naso: le paroline, intelligibili con efficacia in un primo<br />
tempo, si faranno indistinguibili segni grafici,<br />
ghirigori, e il risultato finale dell’esperimento sarà<br />
quello di poter dire, al massimo, che il materiale sul<br />
quale sono impresse è carta. Questa medesima cosa<br />
sembrano aver fatto Piperno e i suoi critici: il primo<br />
inzuppando a tal grado la storia dentro alla questione<br />
ebraica (non mancano, infatti, amplissimi riferimenti<br />
alla questione dello stato d’Israele, poiché uno zio di<br />
Daniel ne è un fervido abitante) da renderla<br />
praticamente invisibile; i secondi, ingoiandosi il<br />
beverone preparato a bella posta con la placidità<br />
bovina tipica del filisteo d’oggi, hanno dato forza a tale<br />
paradossale invisibilità.<br />
“Con le peggiori intenzioni” non è un libro politico,<br />
come direbbe invece un Vermijon qualunque, né<br />
tantomeno un libro sottilmente e subliminalmente<br />
politico; prova ne sia, attesterebbe, nonostante le<br />
nostre resistenze, un Vermijon dei nostri giorni, che<br />
non solo gli ardimentosi critici italioti (che sono pagati<br />
per farlo, ma cosa poi… i critici?), ma tutti coloro che<br />
ne hanno parlato e scritto (e non sono stati pochi date<br />
le copie vendute) persino sul Web (vedere per credere),<br />
hanno omesso, come l’avessero freudianamente<br />
rimossa, anche un minimo accenno alla questione<br />
ebraica sottesa a questo insulso testo, così come del<br />
resto è sottesa a ogni testo che si inscriva in tale filone<br />
aureo (dati gli incassi) più che letterario, e che<br />
disponga dei medesimi topoi oramai facilmente<br />
decodificabili, da quando almeno per Roth, ogni anno,<br />
si reclama da più angoli del globo, e a squarciagola, il<br />
meritato Nobel. Ma non per questo ci faremmo<br />
prendere la mano dalla mania cospiratoria; e certo non<br />
ce la faremo prendere neanche quando, potrebbe<br />
obiettare il nostro Vermijon, è palese, suvvia, che ogni<br />
testo che metta in mezzo gli ebrei, oggi, rimanda<br />
irrimediabilmente alla questione israeliana. E chissà<br />
che colui che – calcherebbe la mano Vermijon – dopo<br />
essersi inspiegabilmente sorbito il pappone sciapo di<br />
300 pagine che colora tutti i personaggi di una scialba<br />
luce di simpatia, sempre meno nebbiosa invero man<br />
mano che ci si avvicina verso la fine delle medesime<br />
300 pagine, non si identifichi alla fine in questo o in<br />
quel campione di furfanteria, di perversione, di<br />
sciatteria morale e compagnia cantante (ecco lo<br />
specchio riflettente per il b<strong>org</strong>hese piccino! –<br />
gongolerebbe Vermijon), e chissà che tale avido lettore<br />
piperniano non diventi, dopo tutto, molto più<br />
indulgente nei confronti delle brutture che ci vengono<br />
riferite, come acqua calda, provenire da certa parte del<br />
mondo; chissà che certe questioni non vengano<br />
liquidate con un bel sospiro di sollievo, pensando che in<br />
fondo gli ebrei son simpatici, di natura, e hanno<br />
ragione da vendere a fare quel che fanno.<br />
Noi, che non siamo Vermijon, ci si accontenta d’aver<br />
messo il dito goloso nel vasetto di marmellata rimasto<br />
finora inviolabile e inviolato, pur essendo invitante e<br />
gratuitamente disponibile.<br />
1) Un capitolo de “Il lamento di Portnoy” (uno dei numerosi romanzi<br />
di Roth che ha sostanziato questo filone letterario, guarda caso<br />
anch’esso fornito di un noioso impianto monologante) si intitola,<br />
senza possibilità di equivoci, “Seghe”; è incentrato sul protagonistanarratore<br />
Alex e sulle sue convulsioni masturbatorie sollecitate<br />
dall’odore delle mutande della zia. Il Piperno ne esce, dopo non troppo<br />
attenta lettura, quasi come plagiatore.<br />
Valerio Raimondi / Uno scrittore benintenzionato 71
LA DISOCCUPAZIONE<br />
IN PILLOLE<br />
Un uomo che desidera lavorare, ma non riesce a trovare<br />
un’occupazione, è forse la visione più triste che la sorte<br />
esibisce sotto il sole.<br />
(Thomas Carlyle)<br />
Per analizzare il fenomeno “disoccupazione” è<br />
necessario partire dalla triste, ma non tanto,<br />
constatazione che un certo tasso di disoccupazione è<br />
non solo ineliminabile ma anche necessario al<br />
benessere di una economia nazionale.<br />
La questione è lapalissiana: nell’economia in cui<br />
viviamo vi sono settori in continua espansione ed altri<br />
che, di contro, si contraggono. Un certo tasso di<br />
lavoratori che definiamo disoccupati, ma sarebbe più<br />
corretto definirli in attesa di occupazione, permettono<br />
proprio a tali settori in espansione di avere una vera e<br />
propria riserva di manodopera senza la quale la loro<br />
espansione non sarebbe possibile. Tale tasso di<br />
lavoratori viene detto “disoccupazione naturale” a cui,<br />
peraltro, l’economia tende nel lungo periodo.<br />
Partendo da tale principio analizziamo ora la<br />
disoccupazione come la somma di due tipologie. Il<br />
primo tipo di disoccupazione con cui è necessario fare<br />
i conti è quella di tipo frizionale. Essa è dovuta a delle<br />
frizioni nel mercato del lavoro e proprio a quei settori<br />
di cui parlavamo prima che si contraggono ed<br />
espandono come polmoni dell’economia. Quando un<br />
settore si espande ed uno si contrae non è per niente<br />
certo che esso avvenga nella stessa misura; questo<br />
purtroppo causa disoccupazione.<br />
La disoccupazione di tipo frizionale è aggravata dai,<br />
purtroppo amati, “sussidi di disoccupazione” che, nel<br />
nostro Paese, sono particolarmente generosi.<br />
I lavoratori disoccupati sono meno invogliati a cercare<br />
lavoro finché parte delle loro necessità è garantita dal<br />
sussidio e da qualche lavoro occasionale o “in nero” ed<br />
in secondo luogo il salario a cui le imprese saranno<br />
costrette a retribuire i lavoratori diverrà più alto di<br />
quanto dovrebbe essere in un regime di sussidi<br />
normale.<br />
Un lavoratore pretende dall’impresa una notevole<br />
quantità di denaro in più rispetto a quello garantitogli<br />
dal sussidio e l’impresa è, dal canto suo, costretta ad<br />
aumentargli il salario altrimenti il lavoratore potrebbe<br />
ritenere molto più conveniente licenziarsi in modo da<br />
74<br />
Società<br />
di Enrico Gavassino<br />
(Celto)<br />
poter godere del sussidio. Il risultato è che molte<br />
imprese sono costrette, per pagare stipendi più alti, a<br />
licenziare lavoratori.<br />
La seconda tipologia di disoccupazione, non certo<br />
meno insidiosa, è quella strutturale. Essa è causata<br />
dalla rigidità dei salari che, a sua volta, vede la propria<br />
origine innanzitutto nell’eccesso di sindacato ossia<br />
nell’eccessivo potere dei sindacati all’interno della<br />
nostra economia.<br />
I sindacati contrattano con le imprese per ottenere,<br />
come sappiamo, salari più alti possibile e<br />
normalmente, anche se meno delle loro pretese, il<br />
salario aumenta.<br />
Come notato nel caso dei sussidi, aumentando il salario<br />
le imprese sono costrette a licenziare. Vi è poi un vero<br />
e proprio trucco machiavellico a cui ricorrono i<br />
sindacati in modo da ottenere salari più alti. In<br />
preparazione alla concertazione nazionale, il sindacato<br />
normalmente calcola il salario che ha intenzione di<br />
chiedere tenendo conto unicamente del tasso di<br />
disoccupazione del nord, notevolmente più basso di<br />
quello del sud, giungendo quindi a chiedere salari<br />
particolarmente alti che non tutte le imprese, sia del<br />
nord che, soprattutto, del sud sono in grado di<br />
garantire. Il risultato, di nuovo, è il licenziamento di<br />
molti lavoratori in modo da garantire alti salari a<br />
pochi; licenziamento che si sarebbe potuto evitare<br />
esprimendo una politica sindacale più razionale.<br />
Vi è poi un altro sistema di tutela sociale eccessivo per<br />
una economia in crescita: il salario minimo. Esiste un<br />
salario detto “di equilibrio” in cui vi è una perfetta<br />
identità tra la domanda e l’offerta di lavoro: con tale<br />
salario tutti coloro che vogliono lavoro lo hanno e chi<br />
vuole assumere trova immediatamente i propri<br />
lavoratori.<br />
Il salario minimo imposto per legge, tuttavia, è più<br />
alto del salario di equilibrio, il che crea uno squilibrio<br />
tra domanda ed offerta.<br />
Tra gli altri indiziati vi è poi il cosiddetto sistema dei<br />
salari incentivanti: al fine di evitare che i lavoratori<br />
lavorino male e, magari, cerchino un altro lavoro<br />
meglio retribuito (labour turnover), le imprese pagano<br />
salari il più generosi possibile in modo da inserire un<br />
costo virtuale che i lavoratori subirebbero se<br />
lavorassero male (difatti verrebbero licenziati e<br />
perderebbero l’alto salario!) o al fine di evitare che il
lavoratore cerchi una paga migliore; in tempi di lavoro<br />
qualificato ed altamente qualificato è bene per le<br />
imprese tenersi stretti i propri lavoratori.<br />
Come detto in precedenza i salari alti portano le<br />
imprese a dover licenziare in modo da avere il denaro<br />
per pagare le persone a cui hanno aumentato il salario.<br />
Normalmente, e in maniera anche sciocca a mio<br />
avviso, il licenziamento avviene sulla base del criterio<br />
dell’esperienza: normalmente i giovani, quindi “meno<br />
esperti”, vengono licenziati. Non ho usato il termine<br />
sciocco a caso: è evidente che, malgrado la sua<br />
esperienza lavorativa sia minore rispetto ad altri<br />
lavoratori anziani, sarebbe molto più intelligente<br />
confrontare il curriculum; normalmente il giovane ha<br />
effettuato studi specifici e possiede capacità che il<br />
lavoratore anziano non possiede.<br />
Non si deve pensare poi che la disoccupazione abbia<br />
dei riflessi solo sulle nostre tasche e sui nostri<br />
frigoriferi. In periodo di forte disoccupazione<br />
normalmente i tassi di interesse aumentano<br />
fortemente per cui gli investimenti diminuiscono<br />
(questo invero causa stagnazione poiché meno<br />
investimenti normalmente significa anche meno<br />
assunzioni che aggravano la situazione di<br />
disoccupazione già creata).<br />
Ultima, ma non ultima vittima, è il PIL: il paese è più<br />
povero e, stando così le cose e dovendo essere il nostro<br />
rapporto deficit/PIL al massimo al 3%, l’Unione<br />
Europea ce la farà pagare e anche cara!<br />
Se i nostri governanti volessero renderci davvero felici<br />
dovrebbero fare i conti con questi problemi contando<br />
che siamo “una Repubblica fondata sul lavoro”.<br />
Basta poco per essere felici! Lo ammette anche la<br />
Euro-Baromoter Survey Series: una famosa ricerca<br />
statistica effettuata tra il 1975 e il 1990 in numerosi<br />
paesi d’Europa che ha fatto emergere il dato per cui<br />
nei paesi con minore disoccupazione ed inflazione i<br />
cittadini, interrogati sulla propria soddisfazione<br />
personale, si dichiaravano particolarmente felici. Ma<br />
capisco benissimo che salari minimi più bassi e cedere<br />
di meno alle pretese sindacali siano provvedimenti<br />
poco popolari e per il meccanismo del voto è meglio<br />
lasciare la gente a spasso piuttosto che avere il<br />
coraggio di mettere in atto certi provvedimenti.<br />
Enrico Gavassino / La disoccupazione in pillole 75
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Dietrich Eckart:<br />
Dialoghi tra me e Hitler<br />
Dietrich Eckart. Prima traduzione <strong>italia</strong>na<br />
del libello "Il bolscevismo da Mosè a Lenin:<br />
Un dialogo tra Adolf Hitler e me".<br />
35 pagine<br />
La strana morte di<br />
Heinrich Himmler<br />
La strana morte di Himmler primo studio<br />
in lingua <strong>italia</strong>na sulle anomalie del<br />
"suicidio" del Reichfuhrer SS. Foto inedite<br />
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