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EDITORIALE<br />

di Lodovico Ellena ......................................3<br />

RIVOLUZIONE E TRADIZIONE<br />

RIPOPOLAMENTO<br />

di Alessandro Murtas ..................................6<br />

STORIA E CONTROSTORIA<br />

NAZIONALSOCIALISMO<br />

di Matteo Pastori ......................................12<br />

CURIOSITÀ GIUDEO MASSONICHE<br />

di Marco Linguardo ..................................14<br />

GLI UFO ESISTONO DAVVERO?<br />

di Massimo Buzzurro ................................18<br />

DIFESA DELLA TRADIZIONE<br />

I MISTERI DI MITHRA<br />

di Alessandro Riccardi ..............................24<br />

LA MODERNA RELIGIONE DELLA SCIENZA<br />

di Michele Russo ......................................34<br />

PLATONE - SECONDA PARTE<br />

di Matteo Pastori ......................................38<br />

THULE SOCI<br />

ISLANDA<br />

di Lodovico Ellena ....................................48<br />

PELLEGRINAGGIO A NEMI<br />

di Antonella Tucci ....................................56<br />

PERCORSI AL FEMMINILE<br />

LE DANZE SACRE FEMMINILI<br />

di Antonella Tucci ....................................60<br />

RECENSIONI<br />

UNO SCRITTORE BENITENZIONATO<br />

di Valerio Raimondi ..................................68<br />

SOCIETÀ<br />

DISOCCUPAZIONE IN PILLOLE<br />

di Enrico Gavassino ..................................74


Editoriale<br />

di Lodovico Ellena<br />

Di quando in quando si levano voci sempre più numerose relative ai costi della<br />

macchina politica nazionale, costi che al di là delle percentuali e dei confronti con<br />

analoghe strutture di altri Stati hanno un che di mortificante. E tutto nella - quasi<br />

- assoluta indifferenza della popolazione, troppo distratta e preoccupata invece<br />

dell’ultimo flirt di qualche ballerina o degli sviluppi di qualche truculenta inchiesta<br />

di cronaca. E dei privilegi parlamentari - esponenziali ed in buona parte del tutto<br />

ingiustificati, delle legioni di auto blu, delle campagne elettorali milionarie (carine<br />

quelle di sedicenti ambientalisti che sterminano foreste per far circolare le loro facce<br />

su tonnellate di manifesti giganti), del costo di certi detenuti che meriterebbero<br />

invece di spaccare pietre per tre vite e della decadenza culturale chissenefrega. Si dice<br />

che ognuno ha il governo che si merita, vero, ma altrettanto vero il fatto che esistano<br />

minoranze in lentissima crescita a cui tutto ciò comincia a stare sempre più stretto,<br />

al punto di avvertire con sempre maggiore chiarezza un prurito ogni giorno più<br />

insopportabile ed irritante. Mai come nelle ultime tornate elettorali infatti la<br />

convinzione, anche da bar, che alla fine tutta questa classe politica sia roba scaduta<br />

e puzzolente si và facendo strada, ma in conclusione manca alla fine il modo per<br />

manifestare quell’urlo feroce che sempre più “elettori” sentono crescere dal loro<br />

profondo. Un ruggito di rivolta, di protesta, un rigurgito di nausea, di disgusto<br />

contro tutta questa classe politica nella sua interezza senza più l’ombra di una<br />

qualsiasi dignità. E che si tratti di una colossale truffa, rossa, bianca o nera la si<br />

voglia vedere lo dimostra il fatto che la prima delle riforme da farsi non è mai stata<br />

né mai sarà fatta, ossia la riduzione dei costi di questa intera classe politica.<br />

Rileggere Fidel Castro potrebbe diventare a questo punto un interessante stimolo<br />

che al di là della collocazione ideologica del personaggio, sulla quale si potrebbe<br />

comunque a lungo dibattere, sarebbe invece utile ginnastica intellettuale per<br />

trascendere categorie e idee preconfezionate. Perché non è più questione di simboli,<br />

bandiere o gadget, piuttosto è qui in gioco il futuro economico, politico, religioso,<br />

ludico e sociale di tutto: e o si trova la forza di dare un poderoso calcio a questo<br />

complesso sistema di privilegi, sperperi, assurdità, intrallazzi e meschine parrocchie<br />

fagocitanti tonnellate di briciole, o quel calcio continueremo a prenderlo invece tutti<br />

noi giorno dopo giorno: consenzienti e genuflessi. Questa politica, questa destra<br />

questa sinistra questo centro sono un cancro sociale, e o si è parte del problema o si<br />

è parte della soluzione. Si cominci quindi a riflettere e a far riflettere ovunque su di<br />

una elementare evidenza: cosa giustifica che milioni di euro vengano divorati da<br />

questa politica e dai suoi effetti collaterali? Cosa giustifica che deputati, senatori,<br />

ministri o sottosegretari debbano avere stipendi, pensioni e premi per migliaia e<br />

migliaia di euro mensili? Cosa giustifica che parlamenti nazionali e regionali<br />

consumino una quantità tale di ricchezza che potrebbe invece essere distribuita in<br />

ben altro modo al popolo? Da questi elementari ma rivoluzionarie fatti deve muovere<br />

il primo passo per la rinascita di questo malridotto paese e chi non li persegue oggi<br />

più che mai è un truffatore del popolo: rosso, verde o nero si dica. Siamo governati<br />

da truffatori che producono leggi per legittimare la propria truffa: aiuto.


RIPOPOLAMENTO<br />

L’Uomo di Thule apprende ogni giorno, nello<br />

scontrarsi con la realtà quotidiana, i diversi aspetti del<br />

mondo moderno a cui si è votato combattere, per<br />

Istinto sovrasensibile, che come tutti gli aspetti sottili<br />

è legato al Sangue, anche nel suo aspetto biologico.<br />

Tra questi vi è lo sradicamento dal Suolo che l’uomo<br />

bianco, Europeo nel nostro caso, ha subito e portato<br />

avanti dal tardo IX secolo in poi. Nel frangente di anni<br />

che ci separano da quando il “mito della città” si<br />

affacciò preponderante, inteso come modello di<br />

“modernismo” e “progresso”, inteso come “fumo e<br />

cemento” e non più come Polis, Capitale, centro<br />

propulsore di Politica, Arte e Cultura miranti verso<br />

l’Alto, ci sono state delle rivolte, sul Suolo Patrio, che<br />

traevano origine da quella misteriosa forza insita nel<br />

Sangue e nel Suolo. E’ a questa forza che dobbiamo<br />

richiamarci e riallacciarci, in una graduale<br />

purificazione dalle scorie moderniste che nel migliore<br />

dei casi si sono tenute sotto controllo nell’ambito del<br />

nostro vivere.<br />

Sia chiaro che non si vuole rigettare ciò che costituisce<br />

un arricchimento della vita e nemmeno ciò che i nostri<br />

Avi hanno creato non per porci al servizio di un<br />

sistema tecnocratico ma per avanzare in una maggiore<br />

conoscenza delle leggi naturali, e mai comunque con<br />

la presunzione di “dominio” delle stesse, vero sacrilegio<br />

dell’era moderna.<br />

Come ogni mezzo anche la tecnologia deve essere<br />

messa al servizio di un Ordine superiore che s’incarni<br />

nell’identificare ogni aspetto della Vita con la<br />

comunione del sangue e quindi del suolo.<br />

Oggi che la stessa agricoltura, quella che fu arte<br />

definibile come alchimia della terra, quella Scienza che<br />

aveva nei suoi maestri i Contadini la cui vita era<br />

scandita dalla sua semina e dal suo raccolto, dalla luce<br />

del Sole che riscaldava sé, il suo lavoro e dava vita alla<br />

sua opera, viene sottoposta uno schema meramente<br />

economico e globalista a detrimento degli ultimi resti<br />

di un contadinato europeo che si trova alla triste scelta<br />

del “adattarsi o scomparire”. Questo ha come riflesso<br />

lo spopolamento dei piccoli centri e l’annichilimento<br />

della Fedeltà all’Ethnos abbagliati dalle luci di quel<br />

grande centro commerciale di multirazzialità militante<br />

che sono ormai diventate le capitali e i capoluoghi<br />

europei. Anche in questo triste scenario la Thule non si<br />

deve lasciar travolgere dagli eventi ma pianificare una<br />

6<br />

Rivoluzione e Tradizione<br />

di Alessandro Murtas<br />

(Avatar)<br />

Resistenza Attiva, che alla fine, con gli adeguati mezzi,<br />

non potrà che costituirne un argomento di lotta centrale.<br />

Fin dai primordi della Thule Italia vi è stata<br />

un’aspirazione a lungo termine alla creazione di un<br />

attivo centro agro-urbano, che costituisse la cellula di<br />

un nuovo quanto Ancestrale modello di società.<br />

Un progetto ambizioso, un sogno ancor prima di<br />

un’idea, ma come tutto ciò che nasce dalle menti degli<br />

Uomini Contro il Tempo, che ancora muovono la loro<br />

Guerra Santa, e si riuniscono sotto il Nero Stendardo<br />

della Thule Italia, non irrealizzabile.<br />

Vi è da pianificare un metodo per giungere all’obiettivo<br />

datosi:<br />

- Con le escursioni i Fratelli devono imparare a<br />

conoscere il proprio territorio, la propria storia e a<br />

sentire scorrere in se la voce degli Avi oltre che a<br />

costituire un lavoro di documentazione comune<br />

all’Associazione.<br />

- Individuano punti di forte riferimento Storico,<br />

Mitico e Archetipico del proprio Territorio, a cui ogni<br />

Sezione Regionale deve richiamarsi. E’ importante<br />

trovare in ogni regione un luogo geografico in cui siano<br />

presenti al massimo questi aspetti, che faccia da centro<br />

di riferimento spirituale, in cui ritrovarsi nelle<br />

ricorrenze o nelle festività solstiziali: un Castello, una<br />

Foresta, una Necropoli, un luogo in cui si svolse una<br />

rilevante battaglia significativa nella difesa del Suolo<br />

Europeo contro i suoi nemici ecc..<br />

- Si rendono così conto di come questi stessi luoghi,<br />

siano spesso non abbastanza curati, non abbastanza<br />

ricordati, a volte abbandonati. Di come vicino ad essi<br />

possano esserci centri abitati che vanno vieppiù<br />

spopolandosi; e qui si ritrova una certa logica: dove un<br />

tempo abitavano gli Eroi oggi non c’è commercio, non<br />

c’è traffico, non c’è caos, automaticamente quel luogo<br />

sta fuori dal Grande Circolo mercantile. Ecco che gli<br />

spiriti deboli sono attratti verso il basso e vanno<br />

incontro a questo circolo.<br />

E’ qui che la Thule può pensare di intervenire.<br />

Ripopolare e ampliare con Uomini e Donne Europei<br />

quei centri che hanno “perso” il carattere Tradizionale<br />

(in realtà questo carattere in sé non può mai essere perso<br />

bensì solo momentaneamente scordato), e renderli di<br />

nuovo centri della Tradizione. E’ indubbio che un simile<br />

progetto comporta mezzi e capacità, questi mezzi e<br />

queste capacità sono portati da menti umane, le menti


umane sono attratte o respinte da ciò che è in sintonia<br />

con il loro spirito, con la propria vocazione. Ecco allora<br />

che il primo passo, nel momento in cui si ritiene di essere<br />

pronti, per attrarre a questo progetto chi effettivamente<br />

ha non solo volontà di “popolare” ma ancor prima chi<br />

metta a disposizione le proprie capacità in termini<br />

tecnici, intellettivi, <strong>org</strong>anizzativi e anche finanziari<br />

(quest’ultimo aspetto da non sottovalutare) starebbe nel<br />

farlo conoscere. La limatura verrà attratta dalla<br />

calamita. A quel punto si potrà porre in atto un vero e<br />

proprio progetto realizzativo.<br />

Fin da ora siamo però chiamati ad esporre alcuni punti<br />

fondamentali:<br />

Il tipo umano che deve essere parte attiva in questo<br />

progetto deve sentire sinceramente la spinta a riallacciarsi<br />

alle forze ancestrali rigettando categoricamente<br />

qualunque ambientalismo modaiolo o multietnico.<br />

Avere chiaro in mente che un simile centro deve essere<br />

la trasformazione in<br />

realtà dell’Idea<br />

totalizzante a cui Thule<br />

si richiama: Essere<br />

l’Ordine che riunisce<br />

quelli che saranno i<br />

progenitori di una vera e<br />

propria generazione che sarà chiamata a sbaragliare<br />

non solo un vecchio sistema di idee ma lo stesso<br />

vecchio modello di uomo. Ecco la nostra aspirazione:<br />

L’Uomo Nuovo (vedi Essere e Divenire vol. I ).<br />

E’ un progetto Aristocratico, nel senso primordiale del<br />

termine, è la volontà eterna della<br />

nascita-rinascita dei primordiali elementi etnici del<br />

nostro Popolo, il Popolo Bianco, identificati<br />

spiritualmente come uomini totali, in cui ogni aspetto<br />

della vita sia legato indissolubilmente allo scopo della<br />

loro esistenza: restare fedeli al Sangue e al Suolo.<br />

Appare chiaro che si tratta quindi di un qualcosa che<br />

non può rivolgersi a qualunque nostro connazionale,<br />

tanto meno a qualunque essere umano. Non è quindi<br />

un progetto razzista, è qualcosa di più, è un progetto<br />

ur-neoantropico.<br />

Questo è ciò che possiamo definire come “Colonia”, da<br />

altri chiamata “isola rifugio”, bastione elitario di una<br />

nuova alba, che nasca prima localmente e che poi si<br />

diffonda come massima espressione di lotta al sistema<br />

antietnico ovunque esistano ancora Uomini Bianchi<br />

E’ un progetto Aristocratico, nel senso primordiale del<br />

termine, è la volontà eterna della<br />

nascita-rinascita dei primordiali elementi etnici del<br />

nostro Popolo<br />

degni di essere così definiti.<br />

Da un punto di vista economico esso dovrebbe nascere<br />

facendo leva su progetti di “moneta locale”, che già sia<br />

in Italia che in altre parti d’Europa si sono visti<br />

realizzati e alcuni perdurano tutt’ora. Innestarsi nel<br />

luogo geografico individuato con questo punto di<br />

partenza potrebbe anche servire a creare prima il<br />

terreno adatto, su cui operare in seguito su più larga<br />

scala con i futuri Coloni. Inoltre per poter avere<br />

elementi su cui basare il progetto è d’obbligo lo studio<br />

della nascita, dell’<strong>org</strong>anizzazione e delle eventuali<br />

cause del fallimento, di progetti simili creati in passato,<br />

o attuali (es. visitare centri come Monte Verità, anche<br />

se non completamente consoni a ciò che noi abbiamo<br />

in vista, è utile per quanto riguarda questi aspetti oltre<br />

quello importante della strutturazione).<br />

Non solo quindi instaurare un sistema economico e<br />

sociale in linea con i nostri principi, ma dare anche dei<br />

chiari riferimenti<br />

educativi e spirituali,<br />

poiché i primi aspetti e i<br />

secondi non sono<br />

assolutamente slegati<br />

tra loro ma fanno<br />

riferimento a un’unica<br />

visione del mondo, a un’unica visione dell’uomo che a<br />

cui noi aspiriamo.<br />

Sarebbe la formazione di un’Elite nel vero senso del<br />

termine, microsocietà composte di famiglie che si<br />

differenzino in tutto, dagli aspetti esterni a quelli più<br />

intimi, in un mondo che si fa sempre più subumanizzato,<br />

che darebbero domani il colpo di grazia<br />

alla vecchia società anti-etnica per la creazione del loro<br />

nuovo Ordine. E’ un progetto che ha la sua logica<br />

eterna, la logica della selezione naturale. Al suo<br />

interno sarebbe data la Formazione, in ogni aspetto, a<br />

chi all’esterno troverà un mondo da cui avrà la<br />

sensazione di essere stato salvato, e per questo non ne<br />

perderà mai il contatto, proprio per rendersi conto di<br />

cosa non dovrà mai diventare, a cosa ci è chiamati ad<br />

abbattere, per quali motivi egli dovrà essere <strong>org</strong>oglioso<br />

e sprezzante di quella massa amorfa che<br />

indirettamente, o direttamente, minaccerà il nuovo<br />

mondo, mondo che già nel suo nascita dichiara guerra<br />

al vecchio a cui vuol fare da contro altare. Con il<br />

passare dei decenni questi uomini raccoglieranno non<br />

Alessandro Murtas / Ripopolamento 7


RIPOPOLAMENTO<br />

solo gli ultimi europei degni di chiamarsi tali, ma<br />

(purtroppo) gli ultimi europei che non discendano da<br />

una “felice unione multirazziale”, ecco perché si tratta<br />

di una missione per salvare tutto ciò che possiamo<br />

chiamare con il termine di “Umano”.<br />

E’ indubbio che se una simile idea vede prendere i<br />

primi passi nella realtà, raccoglierà l’entusiasmo dei<br />

nostri simili, e non solo entro i confini dell’Italia, il<br />

primo carattere che assumerà sarà proprio quello<br />

d’Esempio. Nel mezzo di una società dei consumi,<br />

livellatrice nella stessa biologia del sangue, in cui si<br />

uniformeranno anche i gruppi sanguigni dalla nascita,<br />

staranno immacolate nella loro purezza, nel loro<br />

esempio, nella loro spinta verso l’Alto questi centri<br />

basati su modelli opposti, a partire da quelli legati<br />

all’Agricoltura e sul consumo degli alimenti<br />

localmente prodotti, su un lavoro e artigiano che sarà<br />

inteso come atto sacro e inviolabile, sarà l’Arte, e a<br />

guidare l’apprendimento e il perfezionamento delle<br />

tecniche saranno Maestri. In cui in ogni componente<br />

sarà impartita una formazione Gerarchica,Guerriera,<br />

Etnica nel senso più ampio, conforme all’anima<br />

Indoeuropea e che si richiami ai Valori dello Spirito<br />

propri ai nostri Avi il cui Sangue, le cui ceneri o il cui<br />

corpo è stato riassorbito nel Suolo da cui ci si nutre.<br />

Sarà educazione della propria salute fisica e mentale,<br />

dagli aspetti dell’alimentazione, a quelli sportivi, a<br />

quelli familiari: si dovrà intervenire su tutto quello che<br />

riguarda la nascita, la crescita e la morte degli Uomini<br />

e delle Donne che avranno lasciato alle loro spalle un<br />

mondo a cui non appartengono, delle generazione che<br />

da essi si dovranno susseguire ed aver ragione proprio<br />

su quel mondo che vedranno crollare intorno a loro,<br />

restando sicuri della propria Superiorità che<br />

dimostreranno in una lotta attiva fuori dai confini<br />

Patri, della Patria di Thule.<br />

Un mondo in cui il figlio tornerà ad assomigliare al<br />

padre.<br />

8<br />

Rivoluzione e Tradizione<br />

di Alessandro Murtas<br />

(Avatar)


THULE - ITALIA SUL WEB<br />

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NAZIONALSOCIALISMO<br />

Diverse opinioni<br />

Premessa<br />

Assistiamo ormai da tempo ad un opera di falsificazione<br />

del “fenomeno nazionalsocialista” riconducibile a ciò che<br />

viene comunemente ed ipocritamente riconosciuto come<br />

studio storico oggettivo.<br />

L’utilizzo di libri quali “Behemoth struttura e pratica del<br />

nazionalsocialismo” di F. Neumann e “La politica<br />

sociale del Terzo Reich” di T. Mason” come testi di studio<br />

nelle Università Italiane a discapito di testi con<br />

concezioni di differente taglio sul tipo dell’ottimo<br />

“Comunismo Gerarchico” di S. Michelacci oppure de<br />

“L’ordinamento economico Nazionalsocialista” di R.<br />

Dubail ci fanno intuire cosa la cultura imperante intenda<br />

per “oggettività”.<br />

Viene da pensare che oggi, a oltre sessanta anni dalla<br />

disfatta dei “regimi fascisti”, si moltiplichino le<br />

attenzioni a evidenze storiche non appunto oggettive<br />

ma più che altro riconducibili a feticci o totem che<br />

devono conseguentemente essere la personificazione<br />

del male e dell’oppressione.<br />

Ciò a beneficio non solo della sinistra tradizionale e<br />

radicale ma della stessa socialdemocrazia più o meno<br />

liberale che in tal modo assegna l’opportuna etichetta<br />

esorcizzante di quelle vicende che furono “la negazione<br />

della libertà soggettiva e personale”.<br />

Oggigiorno, inoltre, completano l’operazione di tabula<br />

rasa quella serie di articoli raffazzonati e scandalistici<br />

che riportano il sentito dire, oppure qui programmi<br />

televisivi che ripropongono il sensazionalismo a sfondo<br />

torbido di History Channel, o peggio ancora la storia<br />

parlata in pillole di Radio24.<br />

Tutti echi mediatici che vanno a rivestire il substrato<br />

pseudoculturale dell’odierna concezione modernista ed<br />

egualitarista senza sé e senza ma di fenomeni storici e<br />

spirituali quali il Nazionalsocialismo o il Fascismo.<br />

La tesi che noi riporteremo di seguito sarà invece in<br />

antitesi con le attuali “vere” culture della sinistra o<br />

della destra b<strong>org</strong>hese liberaldemocratica, che<br />

utilizzano da tempo e a spada tratta tutte le<br />

argomentazioni disponibili attingendole a piene mani<br />

dagli svariati testi che in molti casi sembrerebbero<br />

addirittura creati a tavolino!<br />

Affermeremo come il Nazionalsocialismo sia stato<br />

effettivamente “Rivoluzionario”, come lo sia stato<br />

oggettivamente, e come sia stato nel senso radicale<br />

12<br />

Storia e Controstoria<br />

di Matteo Pastori<br />

(Angriff)<br />

veicolo rivolto al capovolgimento dei valori<br />

egualitaristi e b<strong>org</strong>hesi. Come l'esperienza tedesca, già<br />

a pochissimi mesi dalla presa del potere, fosse riuscita<br />

a dare immediata operatività al proprio disegno<br />

politico e a innestare senza traumi sul tessuto<br />

nazionale la propria visione del mondo.<br />

In particolare cercheremo di analizzare il fenomeno<br />

Nazionalsocialista nelle sue <strong>org</strong>anizzazioni e di come,<br />

strumentalmente, si sia voluto porre gli accenti<br />

sottolineando esclusivamente le forme<br />

“compromesse” al fine di far passare sotto silenzio il<br />

fermento che contraddistingueva tutti i campi, dal<br />

filosofico all’artistico, dal legislativo al sociale.<br />

Allo scopo di capire quale sia la base del nuovo<br />

ordinamento Nazionalsocialista è necessario avere una<br />

chiara comprensione di cosa significhi il termine<br />

“Comunità del Popolo” ovvero la Volksgemeinschaft.<br />

LA VOLKSGEMEINSCHAFT<br />

«C'è un simpatico aneddoto di un uomo che, giunto in<br />

un cantiere, domandò a tre persone dello stesso gruppo<br />

di lavoro che cosa stessero facendo. Il primo rispose:<br />

"trasporto pietre", il secondo: "guadagno i miei soldi",<br />

il terzo: "costruisco una cattedrale" (1). Queste risposte<br />

rispecchiano tre concezioni dell'essenza del lavoro che si<br />

possono trovare in tutte le classi sociali: la proletaria, la<br />

b<strong>org</strong>hese e la nazionalsocialista». Mentre i primi due<br />

lavoratori hanno in mente esclusivamente la propria<br />

condizione personale, il terzo «si considera parte del<br />

tutto»(2), partecipa attraverso il suo lavoro alla<br />

realizzazione di qualcosa di grande, e ne è artefice<br />

quanto i suoi diretti superiori, il capocantiere o<br />

l'architetto; il terzo operaio incarna invece il perfetto<br />

Volksgenosse del nazionalsocialismo, un uomo che ha<br />

abbandonato il particolarismo classista per fondersi<br />

nella comunità nazionale.<br />

Il nazionalsocialismo intese perseguire con tutti gli<br />

strumenti necessari un obiettivo primario e<br />

fondamentale: cancellare la divisione per classi della<br />

società tedesca e creare in sua vece una compatta<br />

comunità popolare stretta attorno ai valori della stirpe.<br />

Al centro di questo sistema il riferimento non è più<br />

l’individuo b<strong>org</strong>hese o lo Stato contrattualistico,<br />

pertanto non la società comunemente intesa<br />

(Gesellschaft) “… bensì il Volk e lo spirito del Volk, il<br />

quale realizzandosi come continuità dell’idea in atto,


può assumere forma giuridica o politica.<br />

Il Nazionalsocialismo afferma che il diritto è<br />

immanente nel principio unitario del Volk come<br />

naturale ordine di vita e secondo sua natura <strong>org</strong>anizza<br />

e regola forme ed ordinamenti di attività sociale.<br />

Anzi, non la forma giuridica è l’elemento costitutivo e<br />

decisivo della realtà sociale, ma questa sta nel<br />

contenuto politico; onde quelle forme possono essere<br />

applicate anche quando il contenuto politico muti.”(3)<br />

tramite quindi la Volksgemeinschaft o comunità di<br />

popolo, cioè, giuridicamente, quella comunità<br />

composta di elementi che abbiano un carattere<br />

nazionale omogeneo, conscia nella totalità della<br />

propria unità storica e del proprio destino comune in<br />

un definito complesso territoriale.<br />

In base a tale concezione la comunità rappresenta<br />

anche un complesso politico unitario non frazionato in<br />

quanto l’agire del singolo è l’agire per il bene comune,<br />

e il Volk diviene in tal modo entità politica, tutti i cui<br />

membri formano una entità che viene definita<br />

appunto Volksgemeinschaft.<br />

“Dunque le leggi che governano la Comunità Popolare<br />

emergono dalle intime necessità spirituali, politiche e<br />

materiali che si sono sviluppate attraverso una comune<br />

esperienza storica. Quindi in senso Nazionalsocialista<br />

la legge non è l’espressione dell’autorità dello Stato, al<br />

quale il Popolo deve sottomettersi come una massa<br />

passiva ed inerte. In armonia col concetto della<br />

Comunità Popolare la legge è parte della vita del<br />

Popolo. Il legislatore delinea (4) e dà una espressione<br />

<strong>org</strong>anica alla percezione (5) di ciò che è giusto o<br />

ingiusto, al sentimento (6) di ciò che è bene e ciò che è<br />

male, che è inerente all’animo (7) del Popolo. Quindi il<br />

punto di partenza della concezione Nazionalsocialista<br />

del diritto è il Popolo, non lo Stato. Compito dello Stato<br />

è assicurarsi che la legge sia messa in atto”.<br />

In merito ai concetti sopra riportati sembra evidente<br />

che per quanto riguarda la sfera privata, ovvero il sacro<br />

ed inviolabile diritto privato, il Volk diventa entità<br />

politica e creatrice del diritto tramite i valori ispirati<br />

dallo spirito immanente del Volk stesso: la forma<br />

giuridica nonché il diritto risultano quindi contigue alla<br />

stessa Volksgemeinschaft, in un ottica di INTERESSE<br />

COMUNE e non più PERSONALE. Il diritto privato<br />

diventa così la norma che interessa la tutela del singolo,<br />

ove non si vadano a ledere gli interessi della comunità<br />

che risultano comunque preponderanti.<br />

“La sfera privata dell’uomo è nella sua essenza apolitica,<br />

egli diventa entità politica in quanto è considerato in<br />

funzione di membro della comunità, quindi l’essenza<br />

della politicità può essere trovata soltanto nella<br />

Volksgemeinschaft!”(7), in quanto nell’ottica<br />

dell’interesse comunitario “Un Volk non è una somma<br />

meccanica od aggregato di singoli in sé autonomi e<br />

finiti, ma è piuttosto una personalità unitaria superiore,<br />

realtà superindividuale realizzata attraverso le<br />

condizioni comuni di vita: la comunità delle origini,<br />

delle vicende, degli ordinamenti, della lingua, del<br />

contenuto spirituale, dei valori, dei fini della coscienza,<br />

della volontà. In altri termini il Volk è il fondamento<br />

della vita e del destino dei suoi membri, ognuno dei<br />

quali perfeziona in esso le proprie determinazioni<br />

personali e la ragione della propria vita.”(8)<br />

Se pertanto nella Volksgemeinschaft si afferma il<br />

sistema giuridico come fusione fra politica e diritto si<br />

deve anche ritenere che in essa sia immanente uno<br />

spirito obbiettivo, il quale si manifesta in termini<br />

giuridici come VOLONTA’ COMUNE, intesa non come<br />

somma o risultante di singoli voleri particolari, ma<br />

come principio di forza propria della comunità<br />

operante in maniera <strong>org</strong>anizzata ed unitaria.<br />

Lo Stato diviene quindi nella sua territorialità il<br />

contenuto e la forma della Gefolschaft (seguito) con a<br />

capo la Führung (Governo o guida) attuata dalle<br />

strutture del Partei (partito) e secondo una logica<br />

gerarchica avente a capo un Führer in una struttura di<br />

comando piramidale (Führerprinzip).<br />

La Volksgeimenschaft diventa quindi espressione del<br />

Volk e dello Stato come forma giuridica e <strong>org</strong>anizzativa.<br />

Note bibliografiche:<br />

(1) Geadelte Arbeit - Gedanken zum 1. Mai,<br />

«Deutsche Adria Zeitung» n°108, 1° maggio 1944.<br />

(2) Ibidem.<br />

(3) Sonia Michelacci, Comunismo Gerarchico,<br />

Edizioni di AR. pp. 138-139.<br />

(4) Tratto da “Diritto e legislazione Tedeschi”<br />

www.<strong>thule</strong>-Italia.<strong>org</strong> biblioteca digitale “Liberamente”<br />

(5) Ibidem.<br />

(6) Ibidem.<br />

(7) Ibidem.<br />

(8) Ibidem.<br />

(9) Sonia Michelacci, Comunismo Gerarchico, cit., p. 140.<br />

(10) Ibidem, pag. 141.<br />

Matteo Pastori / Nazionalsocialismo - Diverse opinioni 13


CURIOSITA’ GIUDAICO<br />

MASSONICHE<br />

Trovo piacevole sottoporre ai lettori brani estratti da libri<br />

che pur nella loro complessità e sobrietà spesso<br />

nascondono curiosità a pochi note. In questo caso trattasi<br />

di tre brani estratti da “Misteri e Segreti del B’nai<br />

B’rith” di Emmanuel Ratier che ho voluto includere sotto<br />

il titolo di Curiosità giudaico massoniche.<br />

L’Olocausto nella foto sbagliata<br />

L'Anti Defamation League of B'nai B'rith ha<br />

pubblicato diversi opuscoli e svariati voluminosi<br />

rapporti sul tema dell'Olocausto e della sua rimessa in<br />

discussione, in modo da combattere efficacemente i<br />

progressi del revisionismo. Le due principali opere<br />

diffuse sono: Reinventare la grande menzogna e Gli<br />

apologeti di Hitler. La propaganda antisemita e il<br />

"revisionismo" storico. Si noterà che il secondo<br />

rapporto, ritenuto il rappresentante della "verità vera"<br />

sull'Olocausto, presenta in copertina una "foto<br />

ingannevole". Si tratta della famosa foto di un<br />

bambino ebreo con un berretto, le braccia alzate, con<br />

un gruppo di soldati tedeschi dietro di lui. Una foto<br />

universalmente nota, che si crede essere stata scattata<br />

durante l'insurrezione nel ghetto di Varsavia e che<br />

simbolizza ammirabilmente l'Olocausto dei bimbi<br />

ebrei durante la seconda guerra mondiale. Tuttavia è<br />

assai meno noto che questa foto non è stata presa nel<br />

ghetto di Varsavia ma al suo esterno, in prossimità<br />

della stazione e che il ragazzino della foto, che si<br />

chiamava Tsvi Nussbaum, non è stato gasato ma è<br />

vivo dal momento che abita a New York dove esercita<br />

la professione di medico.<br />

Il boicottaggio del regime nazional-socialista<br />

Molto stranamente, i Fratelli del B'nai B'rith, quegli<br />

stessi che avrebbero dovuto essere sciolti dal momento<br />

che erano sistematicamente denunciati, prima<br />

dell'arrivo alla Cancelleria di Adolf Hitler, come "gli<br />

ufficiali dello stato maggiore della dominazione<br />

mondiale giudaica", furono esentati da questa<br />

procedura a differenza di tutte le altre obbedienze<br />

massoniche che furono praticamente sciolte subito o<br />

dovettero autosciogliersi, comprese le Logge<br />

tradizionali, come la Gran Loggia simbolica o le Logge<br />

di perfezionamento del Rito scozzese, molti dirigenti<br />

14<br />

Storia e Controstoria<br />

di Marco Linguardo<br />

(MThule)<br />

delle quali erano simpatizzanti del programma<br />

hitleriano. Dimenticanza ancor più sorprendente se si<br />

pensa che, dopo l'avvento del cancelliere Adolf Hitler,<br />

molte <strong>org</strong>anizzazioni ebraiche avevano fatto appello al<br />

boicottaggio economico e militare della Germania.<br />

Il 5 gennaio 1935, appoggiato dal Fratello del B'nai<br />

B'rith Samuel Untermyer (Presidente della Lega antinazista),<br />

Alfred M. Cohen, Presidente dell'Ordine<br />

internazionale del B'nai B'rith, aveva decretato "a<br />

nome di tutti gli ebrei, frammassoni e cristiani" il<br />

boicottaggio totale del Reich. Questo appello era stato<br />

preceduto da altri due, proclamati al Madison Square<br />

Garden il 7 marzo 1934 e il 6 settembre 1933 sotto<br />

forma di un Cherem. In tale occasione furono<br />

ritualmente accesi due ceri neri e si soffiò tre volte nello<br />

schofar (il corno di ariete), mentre il rabbino B. A.<br />

Mendelson pronunciava la formula di scomunica: "A<br />

nome dell'assemblea dei rabbini ebrei ortodossi degli<br />

Stati Uniti e del Canada e di altre associazioni di<br />

rabbini che ci sostengono nella nostra azione,<br />

profittiamo della nostra riunione annuale, in quanto<br />

guide d'Israele, per istituire un cherem su tutto quanto<br />

è fabbricato in Germania. A partire da oggi, ci<br />

asterremo da qualunque commercio di materie prime<br />

provenienti dalla Germania. Saremo vigilanti per<br />

quanto riguarda l'uso di merci tedesche, che siano<br />

destinate a uso personale o commerciale [...] La<br />

validità di tale decisione durerà fino alla fine del regime<br />

di Hitler, allora il cherem avrà la nostra benedizione".<br />

Volendo evitare fastidi ai suoi Fratelli d'oltre<br />

Atlantico, il B'nai B'rith rifiutò a lungo di aderire<br />

ufficialmente a questa azione, anche se essa fu<br />

praticata da numerosi suoi membri. Solo all'inizio del<br />

1939, col Consiglio generale ebraico, che guidava la<br />

campagna per il boicottaggio delle merci tedesche, il<br />

Comitato esecutivo del B'nai B'rith adottò una<br />

risoluzione per il "boicottaggio <strong>org</strong>anizzato generale" e<br />

creò anche un Comitato di boicottaggio del B'nai<br />

B'rith nazionale. Bisogna dire che i dirigenti<br />

internazionali del B'nai B'rith non avevano brillato per<br />

la finezza della loro analisi dal momento che, il 29<br />

gennaio 1933, vigilia dell'entrata di Hitler alla<br />

Cancelleria, il presidente americano del B'nai B'rith,<br />

Alfred M. Cohen, dichiarava: "Per fortuna sembra che<br />

l'hitlerismo sia in declino"! Si basava sul rapporto del<br />

Dr. Leo Baeck, presidente del distretto VIII: "La


grande ondata d'antisemitismo comincia già a calare;<br />

non si può più parlare di un pericolo nazionalsocialista<br />

imminente negli stessi termini con cui se ne<br />

parlava sei mesi fa". Allo stesso modo, il B'nai B'rith<br />

Magazine (marzo 1933) indicava: "[Hitler] è<br />

circondato da uomini imparziali [...] Hindenburg e Von<br />

Papen. Il peso delle responsabilità può fare evolvere il<br />

più irresponsabile dei demagoghi, anche se pazzi e<br />

perversi". Si ignorano ancora oggi le ragioni per le<br />

quali Hitler si oppose direttamente allo scioglimento<br />

del B'nai B'rith, reiterando la sua decisione nel 1935,<br />

quando Heinrich Himmler gli chiese di farlo, non<br />

comprendendo tale clemenza: "Dopo lo scioglimento<br />

volontario di tutte le Logge massoniche in Germania,<br />

sussiste solo più l'U.O.B.B. Contro questa<br />

<strong>org</strong>anizzazione non è stata fatta nessuna reale azione,<br />

secondo le istruzioni date dal Fuhrer nell'estate del<br />

1935 nel quadro dei suoi programmi di politica estera".<br />

Alcune logge del B'nai B'rith decisero poco a poco di<br />

autosciogliersi a partire dalla primavera del 1933, altre<br />

non le seguirono, rispettando le consegne del Gran<br />

Presidente dell'Ordine in Germania, il Dr. Leo Baeck.<br />

Ripiegandosi la comunità ebraica sempre più su se<br />

stessa, essa ricominciò a funzionare in base ai principi<br />

di solidarietà, e di conseguenza il ruolo benefico delle<br />

Logge si accrebbe. A quell'epoca, il 60% del bilancio<br />

delle Logge fu consacrato all'aiuto fraterno, a profitto<br />

delle vedove e degli orfani. Ciò fece sì che le<br />

associazioni filantropiche dipendenti dal B'nai B'rith e<br />

sovvenzionate dall'Ordine poterono continuare la loro<br />

attività.<br />

Si spiega così, senza dubbio, il fatto che le Logge<br />

lottassero per mantenere il loro statuto legale senza<br />

esitare, come è raramente detto, a intentare processi,<br />

con qualche successo, alle istituzioni locali e<br />

governative nazional-socialiste. In Baviera, l'esecutivo<br />

del Comitato dei deputati israeliti domandò<br />

l'annullamento della confisca di documenti fatta<br />

illegalmente dalla polizia di Monaco (sotto la diretta<br />

direzione di Himmler) il 12 maggio 1933 nella sede di<br />

54 <strong>org</strong>anizzazioni ebraiche, tra cui due Logge del B'nai<br />

B'rith (Munchen Loge, Jasaia Loge). Esso doveva<br />

ricevere soddisfazione, dal momento che i locali e la<br />

maggioranza dei documenti sequestrati furono resi il<br />

13 luglio 1933. Tuttavia, il 20 luglio dello stesso anno<br />

la polizia bavarese interveniva allo stesso modo a<br />

Norimberga, in particolare nelle sedi della<br />

Maimonidas-Loge e della Jakob-Here-Loge. Di nuovo<br />

i responsabili del B'nai B'rith si rivolsero al Ministro<br />

dell'Interno di Monaco e ottennero, dopo molte<br />

difficoltà, che i loro locali e le loro biblioteche fossero<br />

resi nell'aprile del 1934.<br />

Allo stesso modo, la giustizia fece annullare la<br />

decisione della polizia di chiudere la Walther-<br />

Rathenau-Loge di Mönchen-Gladbach, presa nel<br />

febbraio 1934, dopo che il B'nai B'rith si era appellato<br />

contro questa decisione. Per capire il mantenimento di<br />

questo stato di diritto, bisogna sapere che le decisioni<br />

relative al B'nai B'rith in Prussia e a Berlino erano<br />

soggette all'autorità del capo della Gestapo Rudolf<br />

Diels. Quest'ultimo, un tempo membro di un partito<br />

costituzionale (non nazional-socialista), doveva<br />

adoperarsi, nel limite delle sue competenze, per<br />

proteggere le Logge del B'nai B'rith, come pure quelle<br />

di altra obbedienza, opponendosi così direttamente<br />

alle direttive di Himmler.<br />

Nelle sue memorie, Diels riporta: "Proibii in seguito<br />

nuove 'operazioni' condotte dalle SD, le quali erano in<br />

pratica dirette contro le Logge, in particolare quelle<br />

ebraiche, e contro l'Azione Cattolica". Questa<br />

protezione è stata confermata dall'ex segretario della<br />

Gran Loggia dell'Ordine, Alfred Goldschmidt, che ha<br />

riportato come Diels si fosse recato di persona,<br />

accompagnato dai suoi subordinati, alla sede del B'nai<br />

B'rith a Berlino per proteggerne i locali da un'"azione<br />

violenta" delle S.A.<br />

È solamente il 19 aprile 1937 che l' R.S.H.A. della<br />

Gestapo, in virtù di un'ordinanza del 10 aprile, decretò<br />

lo scioglimento di tutte le logge ed associazioni<br />

femminili, giovanili o di qualunque finalità associate<br />

al B'nai B'rith, come l'Accademia per le scienze del<br />

giudaismo o l'Associazione per le statistiche degli ebrei.<br />

I beni dell'Ordine (logge, alberghi, ristoranti, case di<br />

riposo ecc.) furono requisiti in 79 città; i presidenti,<br />

segretari e tesorieri furono provvisoriamente<br />

interrogati. A quell'epoca funzionavano ancora<br />

settanta logge così come 25 capitoli femminili. Il<br />

rabbino Leo Baeck, Gran Presidente del distretto della<br />

Germania, che avrebbe potuto emigrare in Inghilterra<br />

o negli Stati Uniti, rifiutò coraggiosamente questa<br />

possibilità e rimase a Berlino. Alla fine, nel 1943, fu<br />

deportato nel ghetto di Theresienstadt dove attese,<br />

Marco Linguardo / Curiosità giudaico massoniche 15


CURIOSITA’ GIUDAICO<br />

MASSONICHE<br />

senza conoscere i rigori della deportazione, la fine della<br />

guerra.<br />

Nel 1943 i Fratelli tedeschi rifugiati a Londra<br />

ricevettero l'autorizzazione a creare una sezione<br />

indipendente, la sezione 1943 della Prima Loggia (la<br />

più importante di Londra) con una propria<br />

amministrazione, sue elezioni ecc. Il 30 maggio 1943,<br />

i Grandi Ufficiali e il Consigliere furono insediati dal<br />

Gran Presidente Julius Schwab, lui stesso discendente<br />

da una vecchia famiglia di Francoforte, con il consenso<br />

del distretto britannico e della Suprema Loggia di<br />

Washington. Divenne quindi una Loggia indipendente<br />

e da allora ha conservato un proprio statuto, essendo,<br />

al di fuori degli U.S.A., la Loggia più numerosa.<br />

II Fratello Albert Pike<br />

Come rileva Yann Moncomble, seguendo altri storici<br />

specialisti di cose massoniche, esisterebbe almeno una<br />

relazione diretta tra Frammassoneria regolare e B'nai<br />

B'rith. Nel 1874 (pare il 12 settembre) sarebbe stato<br />

firmato a Charleston un accordo di "mutuo<br />

riconoscimento" tra Armand Levy per il B'nai B'rith e<br />

Albert Pike, capo supremo del Direttorio dogmatico<br />

del Rito scozzese antico ed accettato, per la massoneria<br />

universale. Quando Albert G. Mackey, considerato "il<br />

più informato massone d'America", 33° e Gran<br />

maestro dei Royal and Select Masters della Carolina<br />

del Sud, Gran Priore dell'Arca Reale di Chicago e<br />

Segretario generale del Consiglio Supremo della<br />

giurisdizione meridionale degli Stati Uniti, divenne<br />

Segretario generale del Consiglio supremo Materno del<br />

Rito scozzese antico ed accettato "egli persuase Pike<br />

ad affiliarsi all'Ordine; questi divenne ben presto Gran<br />

Ispettore sovrano e decise di consacrarsi al Rito, riuscì<br />

a ricostruire da capo a fondo l'<strong>org</strong>anizzazione, rivide o<br />

riscrisse i suoi gradi, intrattenne una vasta<br />

corrispondenza; inoltre scrisse la Bibbia del Rito<br />

scozzese, Morals and Dogma, vera montagna di<br />

materiale che non portò mai a termine né forse mai<br />

avrebbe potuto terminare".<br />

Secondo la stessa fonte, Pike, che era membro d'onore<br />

della maggior parte dei Consigli del mondo, fu ricevuto<br />

al Supremo Consiglio di Francia nel 1889 e, "sebbene<br />

americano, Pike è universalmente riconosciuto come<br />

una delle più alte, se non la più alta, autorità<br />

16<br />

Storia e Controstoria<br />

di Marco Linguardo<br />

(MThule)<br />

massonica". L'accordo firmato tra Pike, che per<br />

l'occasione usò il suo nome massonico - Limoude<br />

Ainchoff - ed Armand Levy indica: «Noi, il Grande<br />

Maestro, il Conservatore del Santo Palladio, il<br />

Patriarca Supremo della massoneria di tutto<br />

l'Universo, con l'approvazione del grande e Serenissimo<br />

Collegio dei massoni Emeriti, come l'esecuzione<br />

dell'atto del Concordato concluso tra Noi ed i tre<br />

Concistori federali supremi del B'nai B'rith d'America,<br />

Inghilterra e Germania, che è da Noi firmato oggi,<br />

abbiamo preso questa risoluzione: una sola clausola:<br />

"La Confederazione Generale delle Logge Israelite<br />

Segrete è fondata a partire da oggi sulle basi che sono<br />

esposte nell'Atto del Concordato" Giurato sotto la<br />

santa Volta nel Grande Oriente di Charleston, nella<br />

valle cara al Maestro Divino, nel primo giorno della<br />

Luna Ticshru il 12 Giugno del 7° mese dell'anno 00874<br />

della Vera luce». Ciò spiega forse perché il Ku Klux<br />

Klan fu a lungo risparmiato dal B'nai B'rith. Fondato<br />

da Albert Pike, generale dell'armata confederata, e dai<br />

dirigenti massoni di alto grado del Sud, il KKK, che<br />

negli anni venti contava tra i tre e i cinque milioni di<br />

affiliati, non era oggetto di critiche virulente da parte<br />

dell'A.D.L. e del B'nai B'rith. In occasione di un<br />

dialogo stabilito tra il presidente dell'Ordine Adolf<br />

Kraus e il Mago imperiale H. W. Evans, quest'ultimo<br />

scrisse una lettera aperta sbalorditiva: "Ogni uomo -<br />

che sia americano di nascita o per naturalizzazione,<br />

cristiano o giudeo di religione, bianco o nero di razza -<br />

ogni uomo che contrae un dovere di fedeltà con questo<br />

paese, senza riserve e remore, che è interamente devoto<br />

alla sua bandiera, non è il nemico ma l'amico del<br />

Cavaliere KKK [...]. Se fosse permesso applicare a un<br />

ebreo uno dei titoli qualificanti dell'Ordine dei<br />

Cavalieri del Ku Klux Klan, si potrebbe dire che è egli<br />

stesso un 'Klansman' e che è stato lui a mantenere e a<br />

mostrare il 'Klanismo' pratico". Ciò permette di leggere<br />

a sua volta, nelle pubblicazioni del B'nai B'rith,<br />

dichiarazioni ugualmente sorprendenti: "Il Klu KIux<br />

Klan può diventare uno strumento di progresso e di<br />

beneficenza, utile sia al Paese che ai suoi cittadini, se<br />

comincerà a eliminare dal suo seno qualche migliaia di<br />

fanatici che lo gettano nell'intolleranza, nella viltà e<br />

nel crimine".


La Fortezza di Heinrich Himmler<br />

La Fortezza di Heinrich Himmler<br />

prima traduzione <strong>italia</strong>na di<br />

"Heinrich Himmlers Burg" Das<br />

weltanschauliche Zentrum der SS<br />

Bildchronik der SS-Schule Haus<br />

Wewelsburg 1934-1945 e di<br />

Heinrich Himmler's Camelot<br />

entrambi di Stuart Russell.<br />

La traduzione e l'edizione <strong>italia</strong>na è<br />

stata da noi curata e ampliata con<br />

due appendici assenti nelle edizioni<br />

originali.<br />

264 pag,<br />

272 immagini,<br />

copertina cartonata.<br />

ISBN 978-88-902781-0-5<br />

Dalla quarta di copertina:<br />

"Su una lingua di roccia calcarea che spicca alta sulla tranquilla valle dell’Almetal, ca. 14 km a Sud di<br />

Paderborn, si erge la mitica Fortezza di Wewelsburg, immersa nella trama delle leggende di cui fu<br />

protagonista. Quando l’allora Comandante delle SS del Reich, il Reichsführer Heinrich Himmler, visitò<br />

per la prima volta la Fortezza - il 3 novembre 1933 - rimase subito affascinato sia dall’imponente<br />

costruzione a tre torri che dalla singolare sezione a pianta triangolare dichiarando già la stessa sera ad<br />

una ristretta cerchia di persone il suo desiderio di voler acquisire la Fortezza per le SS. L’opinione<br />

pubblica seppe ben poco sui progetti e sulle intenzioni di Himmler, e poco seppe anche delle riunioni fra<br />

i più alti Führer delle SS nella Fortezza di Wewelsburg il cui fulcro era la possente torre Nord con la<br />

sottostante sala centrale delle iniziazioni delle SS, che ancor oggi il popolo chiama “Walhalla”. Questo<br />

sepolcro, sul cui significato nei culti e riti delle SS non si è mai smesso di fare congetture, è rimasto illeso<br />

esattamente come si è salvata la sovrastante sala dei “Comandanti Superiori di Divisione delle SS”,<br />

chiamata “Obergruppenführersaal” – costruita per essere la sala di rappresentanza più importante<br />

destinata ai massimi livelli dirigenziali delle SS – nonostante la Fortezza, in quel momento ancora in<br />

fase di ristrutturazione, fosse stata fatta saltare il 31 marzo 1945 per ordine di Himmler stesso. Oggi il<br />

sepolcro e la sala dei Gruppenführer, con tutti i loro ornamenti ben conservati (“il sole nero”) e gli<br />

originali fregi, costituiscono un notevole richiamo per molte migliaia di visitatori. Nella sua prefazione,<br />

il Dr. Bernhard Frank, che dal 1935 al 1939 lavorò nella Wewelsburg in qualità di scienziato (dal 1943<br />

fu Comandante delle SS nell’Obersalzberg), fornisce piena conferma di quanto descritto nel libro: “Il<br />

libro ‘La Fortezza di Heinrich Himmler’ strappa finalmente gli avvenimenti storici della Wewelsburg<br />

dall’oblio ed dalle false interpretazioni"


GLI UFO ESISTONO<br />

DAVVERO? di Massimo Buzzurro<br />

Nonostante il relativamente breve periodo di tempo in<br />

cui il nazionalsocialismo è stato al governo in<br />

Germania, è sempre più sorprendente scoprire come<br />

l’evoluzione tecnologica sia riuscita ad avanzare in<br />

modo così clamoroso. Altrettanto clamorosi sono stati<br />

i tentativi di nascondere alcune scoperte, salvo poi<br />

farle proprie , da parte dei vincitori della Seconda<br />

Guerra Mondiale, soprattutto angloamericani. Si vuol<br />

fare riferimento all’apparato tecnologico aerospaziale<br />

sviluppato dal Reich.<br />

A partire dal 1945 un sodalizio scientifico-militare<br />

anglo-americano-canadese chiamato TG (Gruppo<br />

Tripartito) iniziò a progettare velivoli non convenzionali<br />

dalle forme più stravaganti. Gli anni successivi la fine<br />

del conflitto hanno visto una vera e propria gara, nella<br />

più assoluta segretezza, tra potenze nello studio e nella<br />

sperimentazione di ufo per scopi militari.<br />

Ben presto, però, l’arroganza statunitense finì per<br />

indispettire gli altri due partner. Fu così che verso la fine<br />

degli anni ’40 Gran Bretagna e Canada abbandonarono<br />

il progetto con il fine di creare un sodalizio a due, con<br />

base presso il Chalk River nella Columbia Britannica<br />

(Canada) . Il risultato fu clamoroso da un lato,<br />

sfortunato dall’altro: nel 1947 un velivolo anglocanadese<br />

sorvolò indisturbato il territorio degli Stati Uniti, salvo<br />

poi schiantarsi nei pressi di Roswell, nel Nuovo Messico.<br />

Le autorità USA, evidentemente imbarazzate,<br />

insabbiarono la vicenda, inventando la leggenda degli<br />

extraterrestri, sequestrando il velivolo e cominciando a<br />

studiarlo. Tra le altre cose, il velivolo era arrivato<br />

indisturbato nei pressi della base aerea di White Sands,<br />

sede del 509° stormo bombardieri USAF, l’unico allora<br />

abilitato a trasportare ordigni nucleari. Senz’altro un<br />

bello smacco.<br />

Com’è stato possibile un risultato del genere? Alcuni<br />

studiosi sono convinti che tali conoscenze derivino<br />

dalle ricerche dei massimi esperti del settore del Terzo<br />

Reich.<br />

La Germania aveva iniziato a lavorare su tali progetti<br />

dalla fine degli anni ’30, dapprima nella base di<br />

Peenemunde, poi, dopo il bombardamento di questa,<br />

nella base sotterranea di Niedersachswerfen, nei pressi<br />

di Nordhausen. I pionieri di questa ricerca furono<br />

Richard Miethe ed Hans Kammler.<br />

Il dottor Miethe, grande amico di Von Braun, aveva<br />

originariamente fatto parte della squadra che si<br />

18<br />

Storia e Controstoria<br />

occupava delle V1 e V2, ma parimenti aveva<br />

cominciato a lavorare su un progetto relativo ai dischi<br />

volanti. Dopo il bombardamento di Peenemunde, il suo<br />

progetto fu trasferito, per motivi di sicurezza, nei pressi<br />

di Breslavia. La storia è piuttosto confusa sul nome che<br />

Miethe scelse per il suo velivolo. Talvolta si è parlato di<br />

Kugelblitz (“fulmine globulare”) insieme a nomi come<br />

Vril e Diskus. In realtà, si suppone che il velivolo si<br />

chiamasse Haunebu, un termine occulto collegato<br />

all’albero del karma germanico ed alla dottrina<br />

ariosofica sulle origini polari della razza ariana.<br />

Miethe, assieme ai suoi assistenti, sviluppò il progetto<br />

di tre dischi Haunebu: Mark I, Mark II e Mark IV. Essi<br />

non dovevano sfruttare solo la potenza dei motori (di<br />

tipo convenzionale a pistoni nel Mark I, di tipo<br />

turboreattore negli altri), ma soprattutto il cosiddetto<br />

effetto Coanda, ovvero un fenomeno che garantiva che<br />

ogni corrente di spinta dei motori, invece di dissiparsi,<br />

desse luogo ad un complesso energetico compatto verso<br />

il bordo di fuga del disco, ove le correnti si sarebbero<br />

combinate aumentando la spinta in avanti. Il disco<br />

caduto a Roswell nel 1947 era un’evoluzione del Mark<br />

IV di Miethe.<br />

Ci sono diverse testimonianze a supporto del fatto che<br />

i Mark II e IV volarono effettivamente in veste di<br />

prototipi. Tuttavia, non ci fu mai per loro un impiego<br />

bellico, a differenza della “cretura” di Hans Kammler:<br />

il Feuerball, ribattezzato dai piloti alleati Foo Fighter.<br />

Simili ad un elicottero senza coda, propulso da reattori<br />

montati sulle estremità delle pale del rotore, i Foo<br />

Fighters erano dotati di paracadute di recupero e<br />

potevano essere lanciati in aria come un razzo, anche<br />

da rampe mobili.<br />

Il primo avvistamento sarebbe avvenuto il 22<br />

novembre 1944. Il tenente della RAF, Edward<br />

Schluter, stava pilotando un caccia Bristol Fighter sul<br />

Reno, nella zona di Strasburgo, quando notò dieci sfere<br />

di colore rosso fiamma che sembravano tenersi al passo<br />

con l’aereo; a questo punto il radar di bordo smise di<br />

funzionare e Schluter fece ritorno alla propria base,<br />

frastornato da quanto aveva visto.<br />

Quattro giorni dopo il ten. Giblin stava volando sulla<br />

zona di Mannheim quando una solitaria ma enorme<br />

palla di luce arancione si avvicinò all’aereo. Gli<br />

avvistamenti continuarono per i due mesi a seguire,<br />

tanto che la notizia di misteriose nuove armi tedesche


fu riportata dal “New York Herald & Tribune” il 2<br />

gennaio 1945.<br />

Stranamente i Foo Fighters non vennero dotati di un<br />

armamento di bordo e si limitarono ad essere solo<br />

un’arma psicologica; ben presto le aviazioni alleate<br />

compresero che non rappresentavano una seria<br />

minaccia. Si suppone, però, che i ricercatori tedeschi<br />

avessero voluto far dotare, come arma di bordo, il<br />

cosiddetto Paplitz.<br />

Il Paplitz fu prodotto dall’Elektro Akoustic Institute<br />

di Namslau, installato su un aereo convenzionale nel<br />

marzo del ’45 e collaudato. Il Paplitz era il prototipo di<br />

un disturbatore elettromagnetico localizzato che<br />

serviva ad interrompere il sistema d’iniezione dei<br />

motori convenzionali; un apparecchio per disturbare<br />

le comunicazioni radio ed un congegno d’inseguimento<br />

a raggi infrarossi che poteva agganciarsi agli scarichi<br />

dei motori.<br />

Visti i tempi, ormai vicini alla fine del conflitto, e dal<br />

momento che non si sarebbero mai registrate perdite di<br />

aerei imputabili ai Foo Fighters, tale avanzato sistema<br />

d’arma non venne mai montato ed il progetto di<br />

Kammler non venne prodotto in serie. Una domanda,<br />

però, nasce spontanea: che cosa aveva mandato in tilt<br />

il radar dell’aereo di Schluter?.<br />

(per maggiori informazioni, Gary Hiland,“I segreti<br />

perduti della tecnologia nazista”, Newton Compton).<br />

Massimo Buzzurro / Gli UFO esistono davvero? 19


GLI UFO ESISTONO<br />

DAVVERO? di Massimo Buzzurro<br />

Storia e Controstoria


Massimo Buzzurro / Gli UFO esistono davvero? 21


I MISTERI DI MITHRA<br />

Il territorio italico è stato oggetto nel corso dei<br />

millenni a stratificazioni di ogni tipo: non solo la storia<br />

ha lasciato pagine di testimonianze che dall’ottocento<br />

in poi l’archeologia sta sfogliando, ma anche la<br />

spiritualità ha lasciato evidenti tracce di una continua<br />

presenza e di una continua ricerca, attraverso forme<br />

diverse, spesso solo nel nome, del Principio.<br />

Sicuramente la civiltà che più di tutte ha lasciato la<br />

propria traccia è quella romana, con documenti, edifici<br />

e monumenti. L’approccio verso il sacro ha subito<br />

diversi mutamenti nella storia romana, per via<br />

soprattutto delle influenze di numerose popolazioni<br />

con le quali è venuta in contatto.<br />

Dalle divinità Italiche al Cristianesimo si è passati<br />

anche attraverso un pantheon ereditato dai greci e da<br />

una religione misterica che perdurò dal I secolo a.C.<br />

fono al V secolo d.C.: il Mitraismo.<br />

Il mitraismo romano è un prodotto sincretico di<br />

provenienza indo-iranica; il nome del dio Mitra appare<br />

per la prima volta in un documento, datato intorno al<br />

1400 a.C. , stipulato tra il Regno di Mitanni hurrita e<br />

gli Ittiti. Questo trattato è stato garantito e validato<br />

dalla presenza di cinque divinità indo-iraniche: Indra,<br />

Mitra, Varuna e i due cavalieri Ashvin.<br />

Mitra dunque fa parte delle divinità induiste, ed appare<br />

nei Veda come una delle divinità solari, gli Aditya 1 , dio<br />

dei contratti, dell’onestà e dell’amicizia, nonchè<br />

governatore delle ore diurne. Negli inni vedici Mitra è<br />

sempre nominato assieme al fratello (gemello) Varuna<br />

tanto che spesso si ricorre all’appellativo “Mitravaruna”:<br />

Mitra genera la luce dell’alba mentre Varuna è il signore<br />

delle sfere celesti e del ritmo cosmico e nei rituali tardovedici<br />

si prescrive una vittima sacrificale bianca per<br />

Mitra, nera per Varuna. Rappresentano anche<br />

rispettivamente il sacerdozio e il potere regale e nel<br />

Shatapatha Brahmana 2 vengono descritti, come due-inuno,<br />

come “il Consiglio ed il Potere”.<br />

24<br />

Difesa della Tradizione<br />

Dall’India alla Persia: Zurvanismo e Mazdeismo.<br />

Nel periodo predinastico persiano era sviluppata la<br />

religione Zurvanista, che ruotava attorno a Zurvan,<br />

“il tempo assoluto”. Questi aveva offerto per mille anni<br />

un sacrificio con lo scopo di avere un figlio, ma non<br />

appena gli pervenne il dubbio dell’utilità del sacrificio,<br />

concepì 3 due figli: grazie al sacrificio offerto concepì<br />

Ohrmazd (Ahura Mazda), mentre a causa del dubbio<br />

sul sacrificio concepì Ahriman. Zurvan decise di<br />

nominare re il primogenito: Ohrmazd conobbe il<br />

pensiero del padre e lo condivise col fratello Ahriman<br />

il quale ruppe la matrice e ne uscì. Quando dichiarò a<br />

Zurvan di essere suo figlio, questi dubitò in quanto era<br />

tenebroso e puzzolente, mentre avrebbe dovuto essere<br />

profumato e lucente. Nacque dunque Ohrmazd con tali<br />

caratteristiche, e Zurvan volle consacrarlo re: ma<br />

Ahriman ricordò al padre il voto di nominare re il<br />

primogenito, e per non violare il voto Zurvan accordò<br />

il regno ad Ahriman per 9000 anni.<br />

Una statua del dio Zurvan<br />

di Alessandro Riccardi<br />

(Gargoyle)<br />

1 Figli di Aditi e Kashyapa, nel Rig-Veda erano sette (Mitra, Varuna, Aryaman, Bhaga, Daksha,<br />

Anśa, Sūrya - il sole - e Ravi): diventano otto negli Yajur Veda (Taittirīya Samhita), e nei<br />

Brahmana furono portati fino a dodici per rappresentare i mesi dell’anno. Gli Aditya, suddivisi<br />

a loro volta in Marut, Rbhus e Viśve-devā, fanno parte della categoria dei Deva (le 33 divinità<br />

ordinate che si contrappongono agli Asura, i 33 demoni caotici) e proteggono dalle sciagure.<br />

2 Uno dei commentari in prosa che spiegano le formule e i riti. Vi è uno o più Brahmana per ogni Veda.<br />

3 Eznik, Contro le Sette. Questi era consapevole dell’ermafroditismo di Zurvan anche se altri<br />

autori più tardi parlano di una “madre” o di una “sposa” di Zurvan.


Secondo alcune fonti siriache Zurvan (zaman i<br />

akanarak “tempo illimitato” quindi rappresentazione<br />

del tempo stesso) è circondato da tre dèi, sue ipostasi:<br />

Ašōqar, Frašōqar e Zārōqar che sono richiami agli<br />

avestici aršōkara (che rende virili), frašōkara (che<br />

rende splendidi) e maršōkara (che rende vecchi): un<br />

richiamo alle tre età dell’uomo ma anche alla<br />

suddivisione del tempo zurvanico di 9000 anni in cicli<br />

di 3000. Questa tripartizione temporale si ritrova nelle<br />

Upanishad e in Omero, oltre che essere presente come<br />

formula appellativa nei testi phelevi in cui Zurvan è<br />

colui che “era, è e sempre sarà”.<br />

Dopo la nascita do Ohrmazd ed Ahriman, Zurvan<br />

tramite le ipostasi Ašōqar, Frašōqar e Zārōqar offre ai<br />

gemelli i simboli della sovranità: al primo il barsom,<br />

strumento ricavato da un ramo sacro, al secondo<br />

zatspram, un arnese fatto della stessa sostanza<br />

dell’ombra.<br />

I gemelli iniziano dunque la creazione: tutto ciò che<br />

Ohrmazd creava era buono e retto, mentre ciò che<br />

veniva creato da Ahriman era cattivo e tortuoso.<br />

Entrambe le divinità sono creatrici, elemento<br />

essenziale ripreso in futuro da numorosi miti e<br />

leggende in cui è presente Dio e l’Avversario di Dio.<br />

Vengono creati mēnōk (il mondo celeste) e gētik (il<br />

mondo materiale). Viene creata Spandarmat, la Terra,<br />

la quale, dall’accoppiamento con Ohrmazd nasce<br />

Gayomart; durante la sua morte (che dura trent’anni),<br />

dal suo corpo nascono i sette metalli (i pianeti). Il suo<br />

seme è purificato alla luce del sole, e un terzo di esso<br />

cade sulla terra facendo nascere il rabarbaro, da cui<br />

nasce la prima coppia umana: Mǎsye e Mǎsyane.<br />

Ohrmazd chiede alle fravashi, spiriti preesistenti che<br />

risiedono in Cielo, di accettare un’esistenza fisica sulla<br />

Terra per combattere le forze del Male.<br />

Ahriman e le sue schiere demoniache entrano in gētik,<br />

il mondo materiale, contaminandolo con le loro<br />

creazioni nocive e stabilendo la loro dimora nel corpo<br />

dell’uomo. E’ importante una fase dell’aggressione di<br />

Ahriman verso il mondo materiale: questi uccide,<br />

avvelenandolo, il Toro primordiale Abudad dal cui<br />

midollo nascono le piante alimentari e medicinali, e dal<br />

cui sperma vengono prodotti gli animali utili all’uomo;<br />

anche Gayomart viene ucciso da Ahriman, ma non<br />

prima di aver trasmesso la rivelazione alla prima<br />

coppia Mǎsye e Mǎsyane che l’hanno comunicata ai<br />

loro discendenti.<br />

Dall’impostazione Zurvanista nasce la religione<br />

Mazdeista che pone come centrale il dualismo Ahura<br />

Mazda (Ohrmazd) – Ahriman (Angra Mainyu). La<br />

divinità principale è Ahura Mazda, a cui sono<br />

subordinati gli Amesha Spenta 4 , gli spiriti immortali.<br />

E’ anche il protettore di tutte le creature e secondo la<br />

tradizione mazdeista costruì il palazzo Vara di Yima<br />

per proteggerle dal diluvio.<br />

Il Mazdeismo è fortemente influenzato dalle tradizioni<br />

indo-iraniche, ma assistiamo ad una modificazione di<br />

“classi” fra la corrente indiana e quella iranica.<br />

Nell’India vedica i deva (vedi dèi) sono contrapposti agli<br />

asura (figure demoniache), mentre in Persia alcuni asura<br />

vengono divinizzati come deva: è così che nasce il termine<br />

Ahura Mazda (ahura è il corrispettivo del sanscrito<br />

asura, mazda deriva dal greco mègistos, “il più grande”).<br />

Un’immagine del dio Ahura Mazda<br />

4 Questi sono Vohu Manah (buon pensiero, preposto agli esseri animati), Asha Vahishta ( l’ottima legge, preposto al fuoco), Khshathra<br />

vairya (il dominio desiderabile, preposto ai metalli) , Armatay (pietà, preposto alla terra), Haurvatat (integrità, preposto alle acque), Ameretat<br />

(immortalità, preposto alle piante).<br />

Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 25


I MISTERI DI MITHRA<br />

Il mazdeismo è la religione principale durante l’Impero<br />

persiano della I dinastia Achemenide (648 – 330 a.C.).<br />

L’Avesta è il testo sacro ed è diviso in gāthā; le yasna<br />

sono liturgie sacramentali mente gli yasht sono inni<br />

rivolti alle singole divinità. Ahura Mazda è<br />

accompagnato da altre divinità quali Mitra (sole), Mah<br />

(luna), Zam (terra), Atar (fuoco), Apam Napat<br />

(acqua), Vayu (vento). Sotto Antaserse II troviamo la<br />

presenza di una trinità: Ahura Mazda, Mitra come dio<br />

del Sole, dei contratti e della redenzione, e Anahita,<br />

dea delle acque, della fecondità e della procreazione.<br />

Il mazdeismo subì diverse modificazioni sotto diversi<br />

imperatori: nello Yasna dai sette capitoli inizia un<br />

processo complesso di adattamento ed integrazione di<br />

diversi contenuti del mazdeismo. Nel Mihr Yasht<br />

assistiamo alla biforcazione che porterà allo sviluppo<br />

del Mitraismo: l’esaltazione del dio Mithra. Nel tempo<br />

la sua figura aveva subito un ruolo sempre minore, ma<br />

nell’inno citato Ahura Mazda proclama che «Quando<br />

ho creato Mithra dai larghi pascoli, l’ho reso degno di<br />

venerazione e di rispetto come me stesso». Alla fine<br />

dell’inno, per riunire i due dei, viene citata la formula<br />

“Mithra-Ahura”, replica del binomio vedico<br />

“Mitravaruna”.<br />

Mithra subisce comunque delle modificazioni: non è<br />

solo il dio dei contratti, ma anche il violento e crudele<br />

dio della guerra: con la sua mazza, vazra, massacra<br />

furiosamente i deva e gli empi. E’ un dio solare<br />

associato alla luce, ha mille occhi e mille orecchi,<br />

provvede a tutto il creato e garantisce fertilità ai campi<br />

e al bestiame. Ahura Mazda e gli Amesha Spenta gli<br />

costruiscono un palazzo al di sopra del monte Harā.<br />

Dopo essersi lamentato di non essere adorato dalle<br />

creature, nonostante sia loro protettore, attraverso<br />

delle preghiere, viene accontentato e viene nominato<br />

come sacerdote di Mithra, Haoma; in seguito Ahura<br />

Mazda prescrive il rito proprio del culto di Mithra, e<br />

lo compie in prima persona nella Casa del Canto in<br />

Paradiso. Mithra è adorato come la luce che illumina<br />

il mondo intero. L’inno termina con queste parole:<br />

«nella pianta barsom noi adoriamo Mithra e Ahura, i<br />

26<br />

Difesa della Tradizione<br />

gloriosi [Signori] della Verità, liberi per sempre dalla<br />

corruzione: [adoriamo] le stelle, la Luna e il Sole.<br />

Adoriamo Mithra, signore di tutte le genti.»<br />

Il Mitraismo in occidente.<br />

di Alessandro Riccardi<br />

(Gargoyle)<br />

Il culto di Mitra fu introdotto in occidente da pirati<br />

della Cilicia che, vinti e catturati da Pompeo nel 67<br />

a.C., diffusero il culto 5 . Viene però descritto un culto<br />

misterico, e probabilmente il processo attraverso cui il<br />

dio iranico esaltato nel Mihr Yasht si sia trasformato<br />

nel Mitra dei Misteri è opera di uno sviluppo cultuale<br />

nell’ambiente dei magoi che si stabilirono in<br />

Mesopotamia e in Asia minore. La mitologia e la<br />

teologia dei Misteri mitriaci sono accessibili attraverso<br />

monumenti istoriatim netre i poco numerosi<br />

documenti letterari si riferiscono al culto e alla<br />

gerarchia dei gradi iniziatici.<br />

La religione mitriaca si propaga soprattutto attraverso<br />

i militari, probabilmente a seguito dell’associazione del<br />

Mithra iranico come dio della guerra. Passando<br />

attraverso la Grecia intorno al II secolo a.C. Mithra fu<br />

identificato con il dio solare Apollo – Helios. Qui il<br />

sincretismo tra Helios e Mitra diviene mitraismo a<br />

tutti gli effetti. Tuttavia il culto non si sviluppò se non<br />

quando arrivò, nel I secolo a.C., a Roma.<br />

L’origine del dio differisce dalla versione mazdeica ed<br />

hindu: uno dei miti narra che Mitra nacque da una<br />

roccia 6 (de petra natus), con un pugnale in una mano,<br />

una fiaccola nell’altra, indossando un berretto frigio.<br />

Un altro mito narra che il dio decide di venire al<br />

mondo incarnandosi nel ventre della divinità vergine<br />

Anahita 7 , e nasce in una grotta. Nel culto mitriaco i<br />

festeggiamenti per la nascita del dio erano celebrati il<br />

25 dicembre, durante il solstizio d’inverno (in persiano<br />

chiamato Shab-e Yalda), come si conviene ad dio della<br />

luce. Nella sua vita compie diverse gesta: prima fra<br />

tutte soggioga il sole e lo introduce ai suoi misteri: le<br />

due divinità stipulano un patto nel quale Mitra riceve<br />

in dono una corona luminosa, e banchettano assieme.<br />

In seguito colpisce con una freccia la roccia, facendone<br />

5 Plutarco, Pomp., 24, 5<br />

6 Così come l’antropomorfo Ullikummi hurrito-hittita e il mostro ermafrodita Agditis ellenico,<br />

che diviene, dopo la castrazione, Cibele.<br />

7 Il più grande tempio mitriaco è quello Seleucide situato a Kangavar del 200 a.C. Questo è<br />

dedicato ad “Anahita, la immacolata vergine madre del signore Mithras”


scaturire acqua. Cattura un toro e, portatolo nella sua<br />

caverna dopo aver superato delle difficoltà causate da<br />

uno scorpione e da un serpente mandati dal dio<br />

malvagio Ahriman per ostacolarlo, e lo sgozza. Dal<br />

corpo del toro, come abbiamo visto precedentemente<br />

nella mitologia zurvanica nell’episodio<br />

dell’avvelenamento del toro primordiale Abudad,<br />

nascono tutte le erbe e le piante salutari, dal midollo il<br />

grano che dà il pane, dal suo sangue la vite, e dallo<br />

sperma gli animali utili all’uomo. Al termine del suo<br />

mandato, dopo 33 anni, il Dio sarebbe salito in cielo<br />

con l’aiuto del sole.<br />

Il culto assunse sempre più importanza senza tuttavia<br />

divenire mai religione ufficiale: dapprima tramite<br />

militari e schiavi per poi arrivare sino agli imperatori.<br />

Nel II-III secolo d.C. giunse al massimo splendore,<br />

tuttavia nasceva il forte contrasto con l’altra religione<br />

monoteista del tempo, il Cristianesimo. Nel 313 d.C.<br />

l’editto di Costantino segna una prima vittoria cristiana,<br />

mentre la restaurazione pagana di Giuliano Imperatore<br />

(361 – 363 d.C.) permise una ripresa del culto mitriaco<br />

che fermò almeno la distruzione dei templi. Con la<br />

sconfitta di Eugenio per mano di Teodosio nel 394 d.C.<br />

la religione cristiana prevalse su quella mitriaca. Sui<br />

templi vennero erette chiese e basiliche.<br />

Il tempio e il rito<br />

Un’immagine della tauroctonia completa di tutti gli elementi<br />

Il tempio mitriaco riproduce fedelmente gli aspetti<br />

chiave del mitraismo: questo si trova in luoghi<br />

sotterranei che rappresentano una grotta la spelunca,<br />

la cui volta è dipinta con astri e costellazioni per<br />

Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 27


I MISTERI DI MITHRA<br />

rappresentare il macrocosmo nel microcosmo. In fondo<br />

alla spelunca è situata l’immagine del dio dipinta, in<br />

bassorilievo e in forma statuaria. Questi posizionato al<br />

centro, con il sole alla sua sinistra e la luna alla sua<br />

destra, nell’atto di sgozzare il toro8: con una mano<br />

tiene le froge dell’animale, mentre con la destra gli<br />

affonda il pugnale nella gola. Dalla ferita cola del<br />

sangue che viene leccato in prossimità del petto da un<br />

cane, e da un serpente in basso. Uno scorpione attacca<br />

i testicoli del toro con le chele tentando di avvelenarne<br />

il seme. Il serpente e lo scorpione sono mandati da<br />

Ahriman affinché il sacrificio sia vanificato,<br />

impedendo al sangue e allo sperma di fecondare la<br />

terra. La coda del toro, che rappresenta la fine della<br />

colonna vertebrale contenente il midollo, termina con<br />

delle spighe di grano. Il Volto di Mitra è rivolto verso<br />

il sole, come per chiedere il permesso del sacrificio<br />

permesso accordato per mezzo di un messaggio<br />

portato da un corvo in volo, e il suo mantello, come<br />

gonfiato dal vento, racchiude la volta celeste. Ai lati<br />

sono presenti due dadofori gemelli, Cautes e<br />

Cautopates: il primo con una fiaccola alzata, il secondo<br />

con la fiaccola abbassata. Assieme a Mitra<br />

rappresentano i tre momenti del giorno: l’alba, il<br />

mezzogiorno, il tramonto.<br />

Ai lati della spelunca erano presenti delle strutture<br />

murarie rialzare sulle quali i fedeli seguivano il rituale<br />

e assistevano al banchetto e le pareti laterali erano<br />

affrescate con scene inerenti i gradi iniziatici. Oltre la<br />

spelunca erano presenti altre stanze adibite alla<br />

cerimonia del battesimo dell’iniziato, alla preparazione<br />

del cibo per il banchetto, e alla vestizione del Pater.<br />

Mentre grazie ai reperti archeologici ci è possibile<br />

conoscere la struttura del tempio e la scala gerarchica<br />

dei gradi iniziatici, i cui simboli sono presenti in<br />

affreschi e mosaici in mitrei sparsi in tutta Europa,<br />

non ci è possibile conoscere il rituale vero e proprio in<br />

quanto questo non produceva atti scritti ma veniva<br />

tramandato solo oralmente.<br />

28<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Alessandro Riccardi<br />

(Gargoyle)<br />

L’interno del Mitreo del Circo Massimo a Roma<br />

I gradi iniziatici del mitraismo erano sette, accessibili<br />

solo agli uomini: Corax (corvo), Nymphus (ninfo o<br />

sposo) , Miles (soldato), Leo (leone), Perses (persiano),<br />

Heliodromos (corriere del sole) , Pater Patrum (padre).<br />

Quest’ultimo, massimo grado del mitraicismo, era<br />

abbreviato in Pa.Pa.<br />

Ogni grado iniziatico era associato ad un pianeta e a<br />

particolari simboli identificativi e la struttura<br />

iniziatica è rispondente ad altre strutture tradizionali.<br />

8 La tauroctonia mitriaca rappresenta anche il quadro astrale del passaggio dall’età del Toro a<br />

quella dell’Ariete, fedele dunque a quella dottrina dei cicli temporali cardine della dottrina<br />

zurvanista. Il tempo dunque indicato dall’iconografia, ossia il Sole che muore al tramonto in<br />

Toro e ris<strong>org</strong>e all’alba nell’età dell’Ariete, è databile, secondo la precessione degli equinozi, a<br />

circa 3.742 anni fa, nel 1.796 a.C. Ciò rende ipoteticamente valide le ipotesi secondo cui le origini<br />

mitriache risalirebbero intorno al 1.500 a.C.


Il grado più basso è quello di Corax e rappresenta la<br />

morte iniziatica del neofita; in Persia si usava esporre<br />

i cadaveri su torri fuunerarie affinché venissero mangiati<br />

dai corvi. Il neofita muore e rinasce in un corso<br />

spirituale: i suoi peccati sono lavati con l’acqua con il<br />

battesimo per immersione 9 nell’apposita stanza del<br />

tempio. Il neofita si desta dal buio del sonno e si dona al<br />

nuovo cammino nella luce di Mitra. Il grado di Corax è<br />

sotto la protezione di Mercurio, ed alcuni simboli ad esso<br />

associati sono il corvo, il cadduceo, l’ariete.<br />

Il secondo grado è quello di Nymphus, o crisalide: così<br />

come dalla crisalide nasce la farfalla, dal Nymphus<br />

nasce l’iniziato a Mitra: era il suo sposo, o il suo amante.<br />

L’iniziato offriva alla statua di Mitra una coppa<br />

d’acqua: la coppa era il suo cuore, l’acqua il suo amore.<br />

Il Nymphus è sotto la protezione di Venere, ed alcuni<br />

simboli ad esso associati sono il serpente e la lucerna.<br />

Il terzo grado era occupato dalla figura del Miles;<br />

questo grado rappresenta la duplice battaglia.<br />

Dapprima il nofita doveva combattere con la spada<br />

contro un uomo per conquistare la corona: in seguito<br />

veniva spogliato e veniva fatto inginocchiare nudo, con<br />

le mani legate e bendato, a rappresentare la<br />

sottomissione all’autorità religiosa e l’abbandono della<br />

materialità della vecchia vita. Gli veniva offerta una<br />

corona sulla punta della lancia, e dopo l’incoronazione<br />

veniva tolta la benda e tagliate le corde con un colpo<br />

secco di lancia, per rappresentare la liberazione dalla<br />

materialità del mondo. Il Miles, come segno di rinuncia<br />

all’intelletto ed accettazione di Mitra come unica<br />

guida, toglieva la corona e la poggiava sulla spalla<br />

pronunciando la frase “Mitra è la mia unica corona.” 10<br />

Passata tale fase, il Miles iniziava la vera battaglia, quella<br />

contro la parte più bassa di se stesso. Il terzo grado è<br />

sotto la protezione di Marte e alcuni simboli associati<br />

sono lo scorpione, l’elmo, la lancia.<br />

L’iniziazione del Miles in un affresco di un mitreo<br />

Con questo grado termina il gruppo dei “servitori” del<br />

rito ed inizia il gruppo dei “partecipanti” al rito.<br />

Al quarto grado, l’iniziato accede ad un livello di<br />

comprensione superiore inerente il mondo fenomenico,<br />

passaggio che si può compiere esclusivamente con un<br />

vero atto di forza interiore. E’ il grado di Leo,<br />

rappresentativo dell’elemento del fuoco, gradino per<br />

entrare nella porta del non commensurabile. I Leones<br />

non toccavano acqua durante i rituali ma veniva<br />

offerto loro del miele per lavarsi le mani e con lo stesso<br />

veniva unta loro la lingua 11 : erano i custodi del fuoco<br />

9 A volte il battesimo avveniva con il sangue della vittima sacrificale la quale, nonostante la tauroctonia risulti iconograficamente logica,<br />

non era realizzabile in virtù della ristretta dimensione del tempio. La vittima sacrificale era spesso un agnello.<br />

10 Tertulliano, De corona<br />

11 Il miele era il cibo dei beati e dei neonati. Cfr. Porfirio, De antro nimph<br />

Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 29


I MISTERI DI MITHRA<br />

sacro e servivano durante il banchetto rituale i cibi<br />

preparati dai gradi inferiori. Il banchetto rituale, a<br />

base di pane e vino simbolo del frutto del sacrificio del<br />

toro (grano dal midollo e vite dal sangue),<br />

rappresentava l’ultima cena di Mitra con i suoi<br />

compagni sulla terra prima di salire in cielo con il Sole.<br />

Il grado di Leo è sotto la protezione di Giove e alcuni<br />

simboli ad esso riferiti sono il cane, la folgore, l’aquila.<br />

Il quinto grado, quello di Perses, è rappresentato dal<br />

dadoforo Cautopates ed è il Custos delle grotte<br />

mitriache. Simbolo tipico dell’iniziato è l’arma con cui<br />

Perseo decapitò la G<strong>org</strong>one, che rappresenta la vittoria<br />

dell’aspetto più basso dell’iniziato. Attraverso questa<br />

vittoria l’iniziato aveva diritto ad essere affiliato alla<br />

razza persiana, l’unica razza degna di ricevere la<br />

Rivelazione della saggezza del Magio (magoi). Essendo<br />

sotto la protezione della Luna, l’iniziato veniva<br />

purificato con il miele in quanto, nell’antico Iran, si<br />

riteneva che la Luna ne fosse la fonte 12 . Altri simboli<br />

rappresentativi del grado di Perses sono la civetta, la<br />

falce di luna, la brocca.<br />

Heliodromos è il sesto grado, rappresentato da Cautes,<br />

con la torcia alzata a rappresentare il levar del sole.<br />

Heliodromos rappresenta l’alba e il viaggio del sole nel<br />

cielo nelle ore diurne.<br />

In questo grado l’iniziato rappresentava il sole durante<br />

il banchetto rituale, vestito interamente di rosso,<br />

colore della vita, del sole e del fuoco. E’ sotto la<br />

protezione del Sole ed è simbolicamente raffigurato da<br />

una corona a sette raggi, la torcia, il gallo, il globo.<br />

Il settimo e massimo grado della gerarchia iniziatica<br />

mitriaca è il Pater Patrum (Pa.Pa.). Egli rappresenta<br />

l’Età dell’Oro attraverso Saturno 13 , è il rappresentante<br />

30<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Alessandro Riccardi<br />

(Gargoyle)<br />

di Mitra sulla terra, la personificazione della luce<br />

paradisiaca. Era la guida dei gradi inferiori, vestiva<br />

pantaloni persiani rossi, cappello frigio rosso e un<br />

bastone, simbolo del carico spirituale. Il suo grado è<br />

sotto la protezione di Saturno.<br />

Tale struttura gerarchica ci è stata tramandata da<br />

documenti e con l’aiuto di iscrizioni, affreschi e<br />

decorazioni presenti nei mitrei: circa il rituale si fa<br />

riferimento a “vociferazioni” presenti in documenti<br />

successivi il bando della religione mitriaca, pertanto<br />

appare difficile separare la realtà dalla fantastica<br />

necessità di demonizzare il mitraicismo da parte della<br />

chiesa romana. Gli apologeti cristiani polemizzano<br />

spesso contro i sacramenti mitriaci definendolo<br />

“ispirati da Satana”. Tertulliano e Luciano parlano<br />

della conclusione dell’iniziazione al grado di Miles con<br />

la marchiatura a fuoco sulla fronte dell’iniziato 14 , o<br />

purificato con una torcia ardente 15 . Il combattimento<br />

con la spada iniziale del Miles probabilmente avveniva<br />

contro un fantoccio (a rappresentare la facilità della<br />

battaglia materiale, della piccola guerra santa, a<br />

confronto con la battaglia spirituale, la Grande Guerra<br />

Santa), il che potrebbe confermare lo sdegno in un<br />

testo dello storico Lamprida quando parla<br />

dell’Imperatore Commodo che macchia di sangue i<br />

Misteri di Mitra 16 (che avrebbe ucciso, nel ruolo di<br />

Pater, un Miles invece di simularne l’esecuzione).<br />

Anche se in Grecia il mitraicismo non ha<br />

lasciato tracce archeologiche rilevanti, una traccia<br />

documentaristica riguardo il rituale proviene proprio<br />

dal territorio ellenico; il rituale 17 è inserito in una<br />

raccolta di manoscritti ermetici su trentasei fogli di<br />

papiro, acquistati in Egitto dal console generale di<br />

. 12 L’espressione “Luna di miele” denota la continuità della fertilità e dell’amore nella vita<br />

matrimoniale, che oggi giorno è associato al mese dopo il matrimonio.<br />

13 Virgilio, BUCOLICHE, ECLOGA IV: “Ultima Cumaei venit iam carminis aetas; magnus ab<br />

integro saeclorum nascitur ordo. Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna, iam nova progenies<br />

caelo dimittitur alto. Tu modo nascenti puero, quo ferrea primum desinet fave Lucina: tuus iam<br />

regnat Apollo.” (Già arrivò l’ultima età della predizione dei cumani, nasce per intero una grande<br />

serie di secoli; e già ritorna anche la Vergine, tornano i regni di Saturno, già una nuova progenie<br />

è mandata giù dall’alto cielo. Tu, casta Lucina, proteggi il bambino che nasce ora dove per la<br />

prima volta cesserà l’era delle armi: già regna il tuo Apollo.)<br />

14 Tertulliano, De praescr. haret.<br />

15 Luciano, Mennipus<br />

16 Lamprida, Commodus<br />

17 Armando Cepollaro (a cura di), Il rituale di Mithra, grande papiro magico di Parigi, Atanòr


Il Pater Patrum<br />

Svezia M. d’Anastasi e dallo stesso ceduti alla<br />

Biblioteca Nazionale di Parigi nel 1857 18 : scritto in<br />

forma greca, è databile tra il la fine del III e l’inizio<br />

del IV secolo d.C 19 .<br />

L’elemento cardine del rituale è la volontà dell’iniziato<br />

ad imitare il dio che muore e ris<strong>org</strong>e per divenire<br />

partecipe della sua energia ultraterrena 20 , attraverso<br />

un’azione mistico-magica. Il mistero mitriaco ha una<br />

posizione trascendente nei confronti dell’uomo il quale<br />

non giunge mai, anche se scala gerarchicamente i gradi<br />

da corax a pater, ad assimilarsi al dio 21 , ma va solo alla<br />

ricerca della sua protezione chiedendo ed invocando la<br />

sua amicizia al fine della propria salute spirituale. Il<br />

testo del rituale è pervaso di riferimenti simbolici<br />

planetari ed astrali attraverso i quali il teurga compie<br />

l’ascensione all’empireo attraverso le sette sfere di<br />

fuoco. Tali porte si schiudono solo in virtù di formule<br />

sacramentali, lasciando proseguire l’iniziato attraverso<br />

il suo viaggio alla fine del quale è dvo-ja, due volte<br />

nato. Il frasario magico non può essere interpretato<br />

letteralmente: è composto da frasi e sillabe evocatorie<br />

ed invocatorie dotate di potenza e forza visualizzante<br />

nel regno vedico e in quello delle forme: simili ad un<br />

mantra, a parole di potere. Il rituale è composto da<br />

un’iniziale formula propiziatoria, da una preghiera<br />

invocatoria cui seguono nove Logos. Il rituale termina<br />

con l’istruzione per l’impiego del rituale magico e<br />

l’istruzione per l’azione rituale.<br />

Mitraicismo e Cristianesimo.<br />

Leggendo quanto esposto finora sono evidenti diversi<br />

elementi comuni fra la religione Cristiana e lo<br />

Zurvanesimo/Mazdeismo/Mitraicismo: il cristianesimo è<br />

l’ultima grande religione in ordine temporale ed ha risentito<br />

delle influenze della spiritualità preesistente. Anche il<br />

giudaismo e l’islamismo contengono elementi comuni 22 .<br />

L’aspetto trinitario divino (nell’aspetto, non nella<br />

definizione), elementi della genesi del mondo e<br />

dell’uomo (la coppia primordiale Mǎsye-Mǎsyane), il<br />

libero arbitrio tra bene e male (Ohrmazd-Ahriman), il<br />

diluvio (da cui per salvare le creature viene costruito il<br />

palazzo Vara di Yima). Nello Zoroastrismo (riforma<br />

del Mazdeismo da parte di Zarathustra) c’è la figura<br />

18 Papyrus Anastasii, n° 574 del Supplement grec du Recueil magique, Departement des manuscrits, Biblioteca Nazionale di Parigi. Il<br />

rituale mitriaco si estende dalla riga 42 del fogl. 7 recto alla riga 16 del fogl. 10 verso.<br />

19 APATHANATISMOS: Rituale mithriaco del Gran Papiro di Parigi – prima traduzione dal greco con una introduzione, un commento ed<br />

un’appendice; in “UR”, Roma, anno I, Aprile 1927, n. IV.<br />

20 Bousset, Kyrios Kristos; Göttingen, 1921<br />

21 Accade il contrario in altri misteri come quello di Attis, di Sabi, di Osiris.<br />

22 Elementi comuni si riscontrano non solo per quanto concerne la cultualità solare/patristica: vi sono profondissime comunanze anche<br />

con la cultualità lunare/matristica di cui non ci occuperemo in questo articolo.<br />

Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 31


I MISTERI DI MITHRA<br />

di Saoshyant, futuro Salvatore degli uomini, nato da<br />

una vergine: questi assieme ad Ohrmazd, sacrificando<br />

il toro Hatayos dà via al Rinnovamento finale<br />

(frašo-kereti) durante il quale verranno resuscitati tutti<br />

gli uomini per prendere parte alla battaglia finale tra<br />

bene e male.<br />

La nascita di Mitra da una vergine in una grotta il 25<br />

dicembre (la Chiesa stabilirà la nascita di Cristo lo<br />

stesso giorno nel IV secolo d.C.) con la visita del<br />

nascituro da parte dei Re Magi, magoi persiani,<br />

l’episodio della roccia colpita da cui scaturisce acqua<br />

(ritrovato in Mosè e Pietro), il periodo di permanenza<br />

sulla terra di 33 anni, l’ultima cena con il pane e il vino<br />

(frutti del sacrificio del corpo e del sangue del toro) e<br />

successiva ascesa in cielo, corrispondenza del nome del<br />

massimo grado (Papa, dall’abbreviazione di Pater<br />

Patrum, Pa.Pa.). Mitra è anche ritenuto essere il<br />

Salvatore degli uomini e nel giorno del Giudizio<br />

giudicherà le anime che verranno destinate nel<br />

paradiso 23 o nell’inferno. Nel rituale si nota l’analogia<br />

nei tre momenti iniziatici dei gradi inferiori del<br />

mitraicismo e i sacramenti: battesimo (corax),<br />

comunione (nymphus), Cresima (Miles). Anche in altri<br />

elementi del Cristianesimo si nota la sovrapposizione<br />

con il culto di Mitra. Oltre alla figura del Cristo anche<br />

quella dell’Arcangelo Michele offre immediate analogie<br />

con Mitra: l’Arcangelo Michele è un angelo guerriero,<br />

protettore degli spadaccini, il cui colto si trova in<br />

presenza di grotte e cavità naturali. Tale culto nasce<br />

dalla leggenda del cacciatore che, ferito un toro bianco,<br />

lo insegue dentro una grotta dove appare l’Arcangelo.<br />

Michele, nell’iconografia in cui uccide il drago (o il<br />

demonio), rappresenta la vittoria sugli stati più bassi<br />

dell’essere nella costante Grande Guerra Santa, mentre<br />

nell’iconografia in cui appare con la bilancia<br />

rappresenta la psicostasia, la pesatura delle anime<br />

durante il Giudizio Universale; tutti elementi ben<br />

presenti nella storia di Mitra e del suo rituale.<br />

Il culto iranico di Mithra era stato in grado di unire<br />

32<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Alessandro Riccardi<br />

(Gargoyle)<br />

l’eredità iranica al sincretismo greco-romano: i misteri<br />

di Mitra avevano integrato ed assimilato correnti<br />

specifiche dell’età imperiale romana, come l’astrologia,<br />

speculazioni escatologiche, culto solare. Ma nonostante<br />

leredità orientale la lingua liturgica era il latino e i capi<br />

dei Misteri provenivano dalle popolazioni italiche e da<br />

quelle delle province romane: erano inoltre assenti<br />

pratiche mostruose ed <strong>org</strong>iastiche. Queste qualità<br />

stabilirono il successo del mitraicismo tanto da spingere<br />

Ernest Renan a citare la frase “se il cristianesimo fosse<br />

stato fermato nella sua espansione per via di qualche<br />

malattia mortale, il mondo sarebbe stato mitriaco” 24 .<br />

Ma la Grande ruota gira, i cicli si compiono: a nulla<br />

potè la spiritualità mitriaca contro il naturale<br />

decadimento che avanza con le età cosmiche. Nel III<br />

secolo d.C. i culti solari popolari di Mitra ed Apollo<br />

iniziarono a fondersi nel sincretismo del Sol Invictus:<br />

Aureliano, figlio di una sacerdotessa del Sole, rende<br />

ufficiale il culto nel 274 d.C. Costituisce un nuovo<br />

corpo di sacerdoti (pontifex solis invicti) ed attribuisce<br />

al Sol invictus le vittorie in Oriente. La perdita della<br />

Dacia e le invasioni dei popoli del Nord, che distrussero<br />

molti templi, contribuirono al declino del culto. La<br />

crescita del cristianesimo favoreggiata da Costantino e<br />

la vittoria di questo a Ponte Milvio (l’onirico episodio<br />

del “in hoc signo vinces”) segna la fine del mitraicismo.<br />

In seguito l’Imperatore Giuliano cercò di restaurare il<br />

culto e di limitare l’avanzata della religione cristiana,<br />

ma il decreto di Teodosio del 391, nel quale venivano<br />

vietati culti non cristiani, ne sancì definitivamente la<br />

fine. I templi vennero distrutti, o nel migliore dei casi<br />

sopra di essi vennero erette chiese e basiliche.<br />

Tuttavia, grazie alla sopravvivenza archeologica dei<br />

templi e al sincretismo religioso del culto mitriacocristiano,<br />

abbiamo la possibilità di percorrere a ritroso<br />

le origini della spiritualità 25 , in un cammino che ci<br />

riporti all’unione con l’unico Principio generatore<br />

rappresentato nei millenni con tanti volti, tante forme,<br />

tanti nomi.<br />

23 Dal sanscrito paradesha, “paese supremo”, altopiano del primo popolo di lingua sanscrita,<br />

culla dei primi uomini pensanti divini. Successivamente pairidaeza in iranico da pairi-<br />

“attorno” diz- “creare”.<br />

24 Ernest Renan, Marc Aurèle, p. 579<br />

25 Vedi escursioni dell’Associazione Culturale Thule Italia - Gruppo Escursionismo<br />

Archeologico - Sezione regionale LATIVM, presso il monte Soratte, (Rivista Thule Italia n° 19<br />

e 20 del 2007) e presso il Mitreo di S.Prisca.


Alessandro Riccardi / I Misteri di Mithra 33


LA MODERNA<br />

“RELIGIONE DELLA SCIENZA”<br />

Alcuni retroscena di un<br />

equivoco plurisecolare<br />

La scienza è fondamentalmente democratica e<br />

antioligarchica<br />

F. W. Nietzsche<br />

Non è certo impresa facile affrontare una questione<br />

come quella dello sviluppo scientifico e delle sue<br />

conseguenze tecnologiche nella modernità, ma<br />

l’importanza del fenomeno motiva il nostro tentativo<br />

di inquadrarlo e di delinearne anche solo brevemente<br />

tratti distintivi e ombre.<br />

È cosa piuttosto nota che a partire dal XVI secolo,<br />

soprattutto in Europa, una serie di eventi, di scoperte, di<br />

riflessioni abbiano dato una forte spinta accelerativa alla<br />

conoscenza dei meccanismi e delle leggi naturali,<br />

conoscenza alla quale hanno fatto seguito applicazioni<br />

pratiche sotto forma di apparecchiature, di macchine e<br />

in generale di applicazioni finalizzate ai più disparati<br />

scopi, diffuse in una quantità mai vista sino ad allora.<br />

La cosiddetta scienza e soprattutto la sua versione<br />

applicativa che è la tecnologia sono in effetti i caratteri<br />

distintivi della civiltà moderna in rapporto alle civiltà<br />

precedenti: uno sguardo critico sulla modernità deve<br />

pertanto passare attraverso un’analisi attenta del<br />

fenomeno scienza-tecnologia. Noi, però, se da un lato<br />

siamo sospettosi verso l’autocelebrazione della<br />

modernità e dei suoi fasti, non intendiamo per contro<br />

assumere quelle posizioni bigotte e retrive diffuse in certi<br />

ambienti sedicenti tradizionalisti o conservatori di rifiuto<br />

della novità per partito preso, che vedono nel personal<br />

computer un instrumentum diaboli o contrappongono<br />

al darwinismo i miti dell’Antico Testamento.<br />

Ora, nessuno potrebbe seriamente pretendere di<br />

negare gli innumerevoli vantaggi che sono derivati da<br />

questo immenso fenomeno: la scienza moderna è<br />

finalizzata soprattutto ad applicare in forme pratiche<br />

le leggi e i principi enucleati in sede teorica, a rendere<br />

cioè semplicemente più comoda e più agiata la vita<br />

dell’uomo, e in ciò sembra decisamente essere riuscita<br />

nel suo intento. Un confronto tra la medicina antica o<br />

medioevale e quella moderna è sufficiente ad avere la<br />

34<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Michele Russo<br />

(Aries)<br />

misura del cambiamento. Lo scopo del nostro discorso<br />

non sarà quindi un’impossibile requisitoria contro<br />

evidenti successi, quanto piuttosto indagare se dietro<br />

tutto questa gloria e questo fasto vi siano dei lati<br />

oscuri o delle mancanze. E a nostro parere, a ben<br />

guardare, ve ne sono abbastanza per poter affermare<br />

che i costi superano i guadagni.<br />

A cominciare dai termini vi è oggi molta confusione:<br />

quando si parla di scienza viene spesso implicitamente<br />

sottointeso l’aggettivo “moderna”, quasi che prima del<br />

1500 l’umanità vivesse nell’ignoranza. Questa prima<br />

distorsione si basa sull’idea, arbitraria e infondata, che<br />

sia scientifica soltanto quella conoscenza di natura<br />

sperimentale, mentre il sapere non misurabile in<br />

termini matematici sia soltanto favola e opinione. A<br />

partire da questo equivoco, i cui principali responsabili<br />

furono Francis Bacon e René Descartes, gli uomini<br />

hanno iniziato a prestare un’attenzione smisurata allo<br />

studio della natura nei suoi aspetti esclusivamente<br />

materiali - peraltro per la brama di un suo<br />

sfruttamento economico, non certo di una sua pura<br />

conoscenza - tralasciando in misura progressiva quelle<br />

branche del sapere come la metafisica, la psicologia o<br />

l’etica che fino ad allora componevano un tutto<br />

<strong>org</strong>anico. È pur vero che nell’ultimo secolo alcune<br />

discipline come la psicologia sono tornate in voga, ma<br />

appunto scisse e sconnesse da una vera metafisica - che<br />

dopo la fine dell’idealismo tedesco del XIX secolo non<br />

esiste più -, e impostate sul modello epistemologico<br />

proprio delle scienze positive, vale a dire in una<br />

prospettiva strettamente materialista ed empirista.<br />

Peraltro forse è opportuno ricordare che moltissime<br />

teorie e spiegazioni oggi correntemente accettate non<br />

hanno alcunché di sperimentale: basti pensare alla<br />

teoria della gravitazione universale di Isaac Newton, a<br />

quella dell’evoluzione di Charles Darwin o a quella<br />

della relatività generale di Albert Einstein. Con ciò non<br />

intendiamo entrare nel merito sostenendo che simili<br />

teorie non siano valide, ma soltanto che la<br />

sperimentabilità è un criterio per nulla scientifico, e<br />

pertanto che ritenere la scienza - in quanto<br />

sperimentale - più oggettiva e più veritiera del sapere<br />

speculativo è assolutamente infondato.<br />

Di pari passo ai progressi della scienza positiva si è


assistito nell’era moderna al tramonto del sapere<br />

metafisico e di ogni scienza sacra: tradizioni millenarie<br />

che diedero luogo a miti, religioni, riflessioni filosofiche<br />

sono state espunte dall’orizzonte del sapere occidentale<br />

come inutili e infondate chiacchiere, oppure si sono<br />

trasformate in sterili elucubrazioni, prive di ogni<br />

dignità e autorevolezza e ridotte a un giuoco di finezza<br />

logica. Il riflesso e la conseguenza di questa<br />

desertificazione metafisica e spirituale, di questa<br />

perdita di un significato forte dell’esistenza è il caos<br />

morale che oggi possiamo facilmente osservare.<br />

L’uomo moderno, tutto contento per essersi “liberato<br />

dall’oppressione religiosa”, illusosi con facilità di essere<br />

un homo faber “artefice del proprio destino”, si è<br />

ridotto in realtà nella più infamante condizione di<br />

servilismo: l’agire degli uomini nella attuale<br />

prospettiva materialista si configura infatti come un<br />

agire asservito agli aspetti più bestiali e vili<br />

dell’esistere, alle sue brame più cieche e insaziabili, ai<br />

suoi orizzonti più meschini e spregevoli.<br />

Eliminare ogni riferimento a piani della realtà diversi<br />

da quello materiale come hanno fatto le scienze e le<br />

filosofie della modernità ha reso l’uomo un essere i cui<br />

soli scopi sono soddisfare bisogni e perseguire piaceri.<br />

Guardando a un siffatto degrado in ogni uomo normale<br />

nascerebbe spontaneo l’interrogativo “ma è questa una<br />

esistenza degna di essere vissuta?”, domanda che<br />

probabilmente sfiora molti, ma che dimentichiamo con<br />

facilità grazie a tutte quelle distrazioni che proprio la<br />

tecnologia si premura di darci.<br />

Occorre poi notare come l’uomo moderno, ben lungi<br />

da quella serietà e da quel sobrio razionalismo con cui<br />

si raffigura, è in realtà in ogni ambito vittima<br />

inconsapevole di superstizioni e credenze irrazionali,<br />

sul piano morale come su quello politico e culturale, e<br />

non per ultimo su quello scientifico. Il materialismo e<br />

il progressismo sono due buoni esempi di queste<br />

credenze assurde.<br />

Il concetto di materia, elemento centrale in quasi tutte<br />

le filosofie moderne comprese quelle di tendenza più<br />

idealistica, è uno dei concetti più sfuggenti e oscuri di<br />

tutta la storia del pensiero umano. Secondo Aristotele<br />

- che a questo proposito si rifaceva a Platone, il quale<br />

a sua volta interpretava un assioma autoevidente che<br />

il pensiero tradizionale greco aveva fatto suo sin dalle<br />

origini - della materia in senso stretto non può esservi<br />

scienza, ma solo opinione: la materia infatti è “essere<br />

in divenire”, vale a dire in costante mutamento, e<br />

perciò inafferrabile dal pensiero, che invece può<br />

studiare solamente l’essere immobile. Di fronte a una<br />

tesi scientificamente rigorosa come questa ogni<br />

materialismo trova delle serie difficoltà a<br />

controbattere, e così la taccia di arretratezza ed evita<br />

di confrontarvisi seriamente: peraltro, anche<br />

studiando le varie filosofie materialiste che pure si<br />

legittimano appellandosi alla scienza, difficilmente si<br />

troverà una definizione “scientifica” della materia,<br />

entità che sembra piuttosto svolgere il ruolo di mito<br />

fondativo, se non addirittura di rozza superstizione. In<br />

questo senso il noto principio di indeterminazione di<br />

Heisenberg non fa che confermare l’aspetto sfuggente<br />

e scientificamente poco conoscibile della “materia”,<br />

confermando tra le altre cose il concetto Aristotelico.<br />

Un altro dei più profondi equivoci della modernità è il<br />

progressismo, quella confusa convinzione per cui il<br />

presente è meglio del passato e il futuro sarà meglio<br />

del presente. Progresso, evoluzione, positivismo,<br />

ottimismo - teorizzati in sede filosofica, tra gli altri, da<br />

Herbert Spencer nel secolo XIX - sono stati il motore<br />

degli immensi cambiamenti occorsi nei tempi ultimi e<br />

stanno alla base della rivoluzione industriale nonché<br />

del s<strong>org</strong>ere di quelle prospettive politiche quali il<br />

socialismo o il liberalismo.<br />

Che il progressismo o l’evoluzionismo non siano dati<br />

di fatto, ma miti insensati e vaghe aspirazioni,<br />

sintomatici più di stolto ottimismo che non di<br />

scientificità, sarebbe evidente anche a un bambino: la<br />

loro diffusione nell’età moderna rende però l’idea di<br />

come gli uomini oggi non si siano affatto “liberati dalla<br />

superstizione religiosa” come vanno vantandosi, e<br />

abbiano semplicemente sostituito un ordine di illusioni<br />

provvidenziali con un altro equivalente, incentrato su<br />

simili promesse escatologiche riguardanti il destino<br />

terreno.<br />

D’altro canto da quando ha cominciato a prendere<br />

piede una visione progressista sono anche state<br />

avanzate in risposta delle prospettive decadentiste.<br />

Bisogna però notare che il progresso come la<br />

decadenza non sono fatti ma punti di vista: la storia<br />

mostra come le civiltà e gli uomini cambiano<br />

Michele Russo / La moderna “religione della scienza” 35


LA MODERNA<br />

“RELIGIONE DELLA SCIENZA”<br />

semplicemente, migliorando sotto certi aspetti e<br />

peggiorando sotto altri. Su di un piano metastorico è<br />

sì lecito speculare se le sorti dell’universo consistano<br />

nel suo ripetersi ciclico, nel suo riassorbimento nel<br />

creatore, nella sua redenzione o che altro, ma quando<br />

tali discorsi vengono affrontati da chi non ne ha le<br />

competenze finiscono per essere banalizzati e condurre<br />

a esiti fuorvianti. Ciò basti a dire che progressismo o<br />

decadentismo sono legittime opinioni ma non certo<br />

verità scientifiche, e come sia quindi opportuno<br />

prendere le distanze non solo dal progressismo ottuso<br />

di matrice illuminista, ma pure da quel pessimismo<br />

tanto in voga tra molti tradizionalisti, sempre pronti a<br />

lamentare le nequizie del kaliyuga e attendere la<br />

redenzione da una nuova età dell’oro.<br />

Tornando al progressismo vale la pena ricordare come<br />

esso serva tutt’oggi a giustificare e coprire il fallimento<br />

evidente delle ideologie della modernità e delle<br />

istituzioni che di esse sono manifestazione: infatti,<br />

illusi che il futuro riservi ancora innumerevoli<br />

maraviglie per le quali vale la pena di sacrificare il<br />

presente, gli uomini d’oggi non si acc<strong>org</strong>ono della<br />

situazione disastrosa i cui li ha condotti quella stessa<br />

civiltà che promette loro un roseo futuro. Questo vale,<br />

per esempio, in riferimento alla devastazione<br />

dell’ambiente naturale provocata dalla odierna<br />

diffusione anomala della tecnologia: gli uomini hanno<br />

sempre consumato risorse e inquinato il proprio<br />

habitat, ma quando il fenomeno raggiunge proporzioni<br />

tali da mettere a repentaglio la sopravvivenza degli<br />

uomini stessi, allora è opportuno interrogarsi se questo<br />

progresso sia davvero un miglioramento.<br />

Un ultimo aspetto oscuro della moderna tecnologia è<br />

la profondissima distanza che si è venuta a creare tra<br />

i costruttori e i fruitori della stessa: in epoche passate<br />

gli strumenti erano più rozzi, ma chi li utilizzava ne<br />

conosceva, in linea di massima, anche il processo<br />

produttivo: ciò permetteva di padroneggiarli e non<br />

subirli passivamente, di ripararli o ricostruirli nel caso<br />

si guastassero. Io che scrivo queste righe sul mio<br />

portatile non ho la minima idea di come avvenga<br />

l’elaborazioni dei dati che darà luogo alle parole sullo<br />

schermo o sul foglio stampato: inoltre, nel caso il<br />

computer si guastasse, non sarei in grado di fare molto<br />

più di una scimmia, e il mio lavoro dipenderebbe<br />

36<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Michele Russo<br />

(Aries)<br />

dall’intervento di un tecnico riparatore.<br />

Questo che apparentemente sembra un dettaglio<br />

insulso ha in realtà conseguenze enormi sulla<br />

psicologia dell’uomo moderno: è uno degli elementi che<br />

contribuiscono a fare di esso un essere passivo, un<br />

servo, che però, inconsapevole del suo stato, si bea<br />

della comodità e dei lussi che gli vengono forniti.<br />

È impossibile in questa sede trattare analiticamente<br />

tutti gli aspetti del problema in questione, ma i pochi<br />

cenni fati possono bastare per rendere l’idea<br />

dell’importanza dell’argomento e delle sue<br />

implicazioni etiche ed esistenziali.<br />

Occorre precisare, peraltro, che le nostre critiche non<br />

sono rivolte più di tanto agli scienziati e alla scienza,<br />

quanto piuttosto ai divulgatori che banalizzano e<br />

strumentalizzano il sapere e la ricerca per scopi politici<br />

e sociali quando non commerciali, che fanno di Galilei<br />

ed Einstein i profeti della loro religione, che<br />

festeggiano il compleanno di Darwin come il “Natale<br />

dei laici”(1). Quando si divulga l’ipotesi che l’uomo sia<br />

imparentato con le scimmie non si afferma una verità<br />

scientifica, ma si propaganda un’etica, una visione del<br />

mondo e un modello comportamentale: basti pensare<br />

che Karl Marx, quando pubblicò il Capitale, intendeva<br />

dedicarlo a Darwin: e Marx non era certo uno<br />

scienziato naturalista.<br />

A questo cicalare disordinato e plebeo noi opponiamo<br />

ferma la certezza antica che il valore di una teoria<br />

scientifica non si misura dal numero di persone che vi<br />

credono. Che la credibilità di una scienza non si misura<br />

dalla sua utilità applicativa. Che la grandezza di una<br />

civiltà non dipenda dalla speranza media di vita.<br />

Noi non siamo antiscientisti od oscurantisti. Noi<br />

crediamo che le scienze e le tecniche non siano qualcosa<br />

da giudicare, frenare o liberalizzare, ma debbano essere<br />

considerate quali saperi strumentali, quindi sempre al<br />

servizio di qualcosa e mai a dominio di alcunché.<br />

Quello che noi critichiamo è il ruolo di dominio che la<br />

scienza moderna ha invece acquisito nell’orizzonte dei<br />

saperi: infatti se da un lato essa risponde molto bene<br />

alle domande circa il “come” avvengono i fenomeni,<br />

d’altro canto non è minimamente in grado – né<br />

potrebbe esserlo – di spiegare il “perché” di quei<br />

fenomeni, di motivarne l’esistenza. Il problema è che la


scienza attuale - o per meglio dire la sua vulgata -<br />

elude quella domanda, quel “perché”, pretendendo di<br />

rispondere con la più dogmatica delle asserzioni:<br />

l’essere è un “dato di fatto”.<br />

Quando un simile atteggiamento intellettuale diventa<br />

– come è diventato – modello generale di<br />

comportamento, il risultato non può che essere il<br />

riduzionismo etico, la banalizzazione dell’esistenza,<br />

l’annichilimento del senso dell’esistere a mero dato di<br />

fatto, l’autolimitazione della ricerca umana.<br />

Noi – lo ripetiamo – non siamo antiscientisti.<br />

Crediamo che la ricerca scientifica debba sempre essere<br />

promossa, ma non nei termini specialistici, tecnicistici<br />

e settorializzati nei quali opera oggi, ma integrata con<br />

gli altri ambiti del sapere, e la nostra ambizione è verso<br />

quella “chimica delle idee e dei sentimenti morali,<br />

religiosi ed estetici” auspicata da Friedrich<br />

Nietzsche(2).<br />

Noi ci opponiamo alla divulgazione della scienza, alla<br />

sua banalizzazione, al suo diventare una fede laica e<br />

una superstizione. Noi ci opponiamo alla diffusione<br />

abnorme della tecnologia che trasforma gli uomini in<br />

servi inetti e che mette a rischio il nostro ecosistema.<br />

(1) E’ tutto vero: il 12 febbraio, col patrocinio di diversi enti culturali<br />

tra cui le Università, si è celebrato il “Darwin Day” (sic!), giornata<br />

di rievocazione della “nascita del messia” (1809), dedicata a convegni<br />

ed eventi su evoluzionismo e scienza. Anche così nascono le nuove<br />

religioni!<br />

(2) Cfr. Friedrich Nietzsche, Umano, troppo umano, I 1.<br />

Michele Russo / La moderna “religione della scienza” 37


“PLATONE”<br />

Parte Seconda<br />

Dobbiamo innanzitutto dichiarare, per onestà<br />

intellettuale, che la nostra “esegesi tecnica” del pensiero<br />

platonico attinge completamente dallo studio dell’ottimo<br />

ricercatore Franco Trabattoni, sebbene la sua<br />

interpretazione verrà da noi reinserita in una visione del<br />

mondo originale che egli riterrebbe da sé lontana. In<br />

particolar modo, i testi del Trabattoni cui abbiamo attinto<br />

sono: “Platone” e “La filosofia antica”, editi da Carocci.<br />

Nella prima parte del presente articolo abbiamo<br />

esaminato la dottrina platonica delle idee,<br />

sottolineandone l’aspetto di necessità etica, funzionale<br />

alla condizione politica ed alla debolezza del sentire<br />

comune nell’antica Atene.<br />

Dunque, il carattere ontologico delle idee platoniche, in<br />

tale ottica viene ad essere sminuito.<br />

Tempo fa, discutendo con alcuni Associati, concordammo<br />

nell’individuare il carattere funzionale della metafisica:<br />

fui piacevolmente sorpreso da tale accordo d’opinioni.<br />

Difatti, negando la possibilità della conoscenza perfetta<br />

del cosmo da parte dell’uomo, la metafisica può però<br />

continuare a sussistere come veicolo funzionale<br />

all’affermazione di principi adatti ad agire sulla<br />

condizione umana del proprio tempo. Tutte le metafisiche<br />

in sé possono reggersi in piedi. Condizione perché una<br />

metafisica non si riduca ad elucubrazione mentale, sta<br />

nella sua applicabilità nei diversi rami del reale.<br />

Non oseremo mai affermare con una certezza<br />

infondata che Platone davvero fosse convinto, come<br />

noi, della relatività e della funzionalità della<br />

metafisica, perché sarebbe un puro fantasticare, un<br />

insulto alla storiografia filosofica. Eppure la nostra<br />

sensazione rimane questa: Platone pose il suo sistema<br />

filosofico intero, pose la sua metafisica, concentrandosi<br />

sull’unico e vero obiettivo importante: la rifondazione<br />

etica e soprattutto politica della sua Atene, tentando<br />

però contemporaneamente, come è ovvio che fosse, di<br />

presentare un pensiero il meno confutabile possibile.<br />

Se la dottrina delle idee, con la sua affermazione<br />

dell’esistenza di principi etici stabili che esistono<br />

realmente, non avrebbe convinto Platone sulla sua<br />

utilità ad incidere sul pensiero e sulla tenuta<br />

esistenziale di chi ne venisse a contatto e soprattutto di<br />

chi ne venisse convinto, molto semplicemente<br />

crediamo intimamente che Platone l’avrebbe<br />

abbandonata per proporre qualcos’altro, senza troppe<br />

38<br />

Difesa della Tradizione<br />

preoccupazioni relative a ciò che è vero e ciò che non lo<br />

è, perché Platone, come vedremo, nel fatto che l’uomo,<br />

in questo mondo, possa raggiungere la verità assoluta,<br />

non credette affatto.<br />

La reminiscenza.<br />

di Matteo Mazzoni<br />

(Chrysokarenos)<br />

La dottrina delle idee viene posta da Platone<br />

conciliando due visioni contrapposte: quella di<br />

Eraclito e quella di Parmenide.<br />

Eraclito è il filosofo del “tutto scorre”, della realtà in<br />

continuo mutamento. Parmenide è colui che pose<br />

l’”essere” come stabile, immutabile, incorruttibile.<br />

Non è utile qui approfondire ulteriormente questi due<br />

autori. Basta notare che Platone credette nella natura<br />

mobile e transuente del mondo materiale. Ma la sua<br />

necessità di affermare l’esistenza e la stabilità di<br />

principi etico – estetici (le idee) lo ha indotto a<br />

ricondurre tali principi ad un mondo celeste, dove le<br />

regole che dominano il mondo materiale vengono a<br />

decadere, e dove alla dimensione del divenire vengono<br />

sostituiti gli attributi dell’essere di Parmenide.<br />

Parallelamente a tale suddivisione dei “mondi”<br />

Platone divise anche la conoscenza umana in due<br />

generi: al mondo sensibile corrisponde l’opinione<br />

(doxa), una conoscenza che s’appoggia sui sensi e che<br />

risulta incerta ed instabile come il mondo materiale<br />

che conosce; al mondo “celeste” corrisponde invece la<br />

scienza (episteme), conoscenza di carattere intellettivo,<br />

stabile e certa.<br />

Ma come l’uomo conosce le idee? La sua è una<br />

conoscenza che può essere davvero intellettiva, stabile<br />

e certa? Si tratta di una visione intuitiva delle idee,<br />

oppure si tratta di una conoscenza dialettica?<br />

Qui entra in gioco la dottrina della reminiscenza.<br />

In cosa consiste?<br />

In breve, presupponendo una esistenza umana<br />

prenatale, una sorta di soggiorno nel mondo celeste<br />

ove sono le idee, ove dimorano gli dei, Platone,<br />

attraverso il personaggio di Socrate (nel “Menone”, nel<br />

“Fedone”, nel “Fedro” e nel “Timeo”), mette in luce<br />

una fase dell’esistenza dell’anima umana ove questa si<br />

trova in un diretto contatto con le idee (idea,<br />

ricordiamolo, significa “visione”), potendone avere<br />

dunque conoscenza piena, diretta.<br />

Solo con il trauma della nascita, tale conoscenza viene


persa. Con la venuta dell’uomo nel mondo sensibile,<br />

l’anima “dimentica” ciò che aveva conosciuto nel<br />

mondo delle idee.<br />

In questa esistenza materiale, dunque, la sfida che<br />

l’uomo deve affrontare sta nel “ricordare” quanto<br />

dimenticato con la nascita in un corpo fisico.<br />

Nella prima parte del presente scritto, avevamo fatto<br />

notare come l’aspetto “maieutico” del personaggio<br />

platonico di Socrate, sembrerebbe non trovare<br />

riscontro nel Socrate storico. In effetti, il “far nascere<br />

le idee” è un elemento inserito da Platone come<br />

funzionale alla dottrina della reminiscenza. Socrate,<br />

convinto il proprio interlocutore della sua ignoranza,<br />

tenta, in senso vero e proprio, di far “nascere” in chi gli<br />

sta di fronte il “ricordo” di quella conoscenza che<br />

l’uomo ha posseduto nello stato prenatale, e che<br />

tornerà a possedere pienamente dopo la morte.<br />

Questo aspetto del pensiero Platonico per noi è molto<br />

importante perché, lo si ricordi, sottolinea una teoria della<br />

conoscenza che si caratterizza in maniera non razionale:<br />

l’uomo non impara nulla, ma semplicemente ricorda.<br />

Inoltre Platone, introducendo tale forma di<br />

conoscenza, che si configura come un portare alla luce<br />

un sapere innato e preesistente, apre le porte alla<br />

coscienza del fatto che è solo in una dimensione<br />

spirituale che l’uomo può fondare la propria<br />

conoscenza, poiché nel mondo degli dei e delle idee<br />

sono le sue radici.<br />

Alla dottrina della reminiscenza Platone accompagna<br />

la credenza nella metempsicosi, che da più parti, forse<br />

non a torto, è stata vista come la prova maggiore<br />

dell’influenza dell’orfismo e dei suoi culti nel pensiero<br />

platonico. L’anima, secondo il nostro ateniese,<br />

attraversa in alternanza fasi di esistenza celeste a fasi<br />

di incarnazione terrena. In verità, non sapremo mai se<br />

Platone introdusse tale aspetto perché realmente<br />

influenzato dall’orfismo o se per ragioni filosofiche di<br />

offrire una dottrina il meno confutabile possibile e di<br />

rafforzare l’idea dell’immortalità dell’anima. In fondo,<br />

poco ci interessa in questo scritto: se davvero il nostro<br />

scopo è quello di interpretare Platone come esempio di<br />

reazione di fronte alla “zivilizazion” ateniese, non<br />

saremo costretti, dunque, a svolgere un lavoro più<br />

propriamente dossografico o di storiografia filosofica.<br />

La seconda navigazione.<br />

L’aspetto scettico del pensiero platonico è messo ben in<br />

evidenza dalla cosiddetta “seconda navigazione”,<br />

sebbene molto spesso questo aspetto venga<br />

volutamente ignorato o snaturato.<br />

Partiamo da lontano.<br />

Nel “Fedone” si narra di come Socrate, non trovando<br />

nulla di soddisfacente nelle opere dei naturalisti,<br />

decida di modificare il suo metodo d’indagine<br />

rifugiandosi nei logoi (cioè i discorsi), che egli descrive<br />

come “seconda navigazione”. Questo celebre concetto<br />

è stato interpretato a piacimento dagli studiosi per<br />

rafforzare la loro visione del pensiero platonico. Ed in<br />

effetti si tratta di un concetto che si presta a numerose<br />

interpretazioni.<br />

Ad esempio scrive Giovanni Reale:<br />

“Seconda navigazione” è una metafora desunta dal<br />

linguaggio marinaresco, ed il suo significato più ovvio<br />

sembra essere quello fornitoci da Eustazio, il quale,<br />

riferendosi a Pausania, ci spiega: “si chiama seconda<br />

navigazione quella che uno intraprende quando, rimasto<br />

senza venti, naviga con i remi”. La “prima navigazione”<br />

fatta con le vele al vento corrisponderebbe, quindi, a quella<br />

compiuta seguendo i Naturalisti ed il loro metodo; la<br />

“seconda navigazione” fatta con i remi, e quindi assai<br />

più faticosa, corrisponde al nuovo tipo di metodo, il quale<br />

porta alla conquista della sfera del soprasensibile. Le vele<br />

al vento dei fisici erano i sensi e le sensazioni, i remi della<br />

“seconda navigazione” sono i ragionamenti e i postulati:<br />

e appunto su questi si fonda il nuovo metodo.<br />

(G. Reale “Platone e l’Accademia antica” da “Storia<br />

delle filosofia greca e romana”)<br />

Come sempre, noi preferiamo seguire Franco Trabattoni<br />

(“La filosofia antica”), che ci apre la via alla riscoperta<br />

di un Platone differente. La “seconda navigazione” deve<br />

dunque essere interpretata in maniera radicalmente<br />

differente rispetto a quanto fatto da Giovanni Reale: se<br />

la “seconda navigazione” è più faticosa della prima, ciò<br />

significa che la prima è preferibile, ma non disponibile,<br />

poiché il vento manca. “La prima navigazione” sarà da<br />

considerarsi quindi il procedimento che pretende di<br />

giungere al proprio obbiettivo mediante una conoscenza<br />

Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 39


“PLATONE”<br />

Parte Seconda<br />

diretta, simile a quella attuata dai sensi. Mentre la<br />

“seconda navigazione” (i logoi) viene introdotta da<br />

Platone poiché, impossibile la conoscenza diretta delle<br />

idee (che l’uomo potrà avere solo nel mondo postmortem),<br />

è necessario un metodo di ripiego: quel logos,<br />

appunto, che stimola il ricordo delle idee dimenticate<br />

con la nascita. Un metodo conoscitivo più debole<br />

dunque, una sorta di ripiego obbligato.<br />

Un’altra metafora nel “Fedone”, confermerebbe tale<br />

interpretazione: quella degli specchi bruniti, di cui ci si<br />

serve per vedere il sole durante l’eclissi senza rimanere<br />

accecati.<br />

“Perciò i logoi fanno da schermo e da filtro: permettono<br />

sì di conoscere, ma solo attraverso un diaframma che<br />

istituisce una distanza e una differenza. Si tratta<br />

appunto della differenza che separa la conoscenza<br />

intuitiva dell’idea, accessibile solo nell’oltremondo, dalla<br />

conoscenza mondana, che emerge faticosamente<br />

dall’anamnesi e si deve perciò appoggiare ai discorsi“.<br />

(Franco Trabattoni, “La filosofia antica”)<br />

Attraverso il quadro generale fornitoci dalla “seconda<br />

navigazione” possiamo dunque approcciarci al<br />

concetto dell’amore platonico.<br />

Eros. L’amore platonico.<br />

Il motivo dell’eros è affrontato da Platone in più d’un<br />

dialogo (“Simposio”, “Carmide”, “Liside”, ma anche<br />

“Fedro”), ma la trattazione più significativa, e<br />

certamente più famosa, è quella esposta nel<br />

“Simposio”. Per ovvie ragioni di spazio e di<br />

opportunità, solo di questa ci occuperemo.<br />

Lo scenario che Platone ci presenta è quello di un<br />

banchetto <strong>org</strong>anizzato per festeggiare il poeta<br />

Agatone, fresco vincitore di un agone tragico. I<br />

convitati s’accordano per recitare ciascuno, a turno,<br />

un discorso in onore del dio Eros. Quando è il turno di<br />

Socrate, ecco che egli, come di consueto, stravolge<br />

completamente la logica degli elogi e dei discorsi sino<br />

a quel momento pronunciati. Egli sostiene infatti che<br />

se amore è desiderio di bellezza e di bontà,<br />

necessariamente egli non è né buono né bello, poiché si<br />

desidera solo ciò che non si possiede.<br />

40<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Matteo Mazzoni<br />

(Chrysokarenos)<br />

Spianando in tal modo il terreno davanti a sé, Socrate<br />

racconta dunque del suo incontro con la sacerdotessa<br />

Diotima e di quanto ella gli disse, ossia che Eros<br />

nacque da Poros (Espediente) e Penìa (Povertà). Dal<br />

padre, Eros ereditò l’amore per ciò che è bello e buono,<br />

dalla madre, quella mancanza tipica di colui che<br />

desidera qualcosa.<br />

E proprio per questa sua natura di desiderante, Eros<br />

viene paragonato da Diotima al filosofo.<br />

Per quale motivo? La parola “filosofo” è composta dal<br />

prefisso philo- (“amico”) e da –sophos (“sapiente”).<br />

Dunque il filosofo è colui che tende alla sapienza, e vi<br />

tende perché non la possiede, così come Eros tende a<br />

ciò che è bello e buono, senza essere bello e buono.<br />

Difatti, solo gli dèi sono “sophoi” in senso pieno: al<br />

massimo, ci dice Platone, gli uomini possono essere<br />

filosofi, cioè coloro che si pongono in una medietà tra<br />

la sapienza e la semplice opinione, ove sta la cosiddetta<br />

“retta opinione”, in tensione verso l’alto, ma<br />

consapevolmente imperfetta.<br />

Come dice la stessa Diotima, Socrate è l’uomo più<br />

saggio, poiché sa ciò che è fondamentale sapere: cioè<br />

sa di non sapere.<br />

Questo è quanto ci è utile sottolineare di quest’aspetto<br />

del pensiero Platonico, poiché mostra ulteriormente<br />

come il nostro ateniese volle insistere sulla debolezza<br />

della conoscenza mondana in relazione alla conoscenza<br />

piena ultraterrena.<br />

Molti, e molto affascinanti, sono gli altri elementi che<br />

si possono trovare nei dialoghi d’amore platonici.<br />

Lasciamo al lettore la magica esperienza della loro<br />

scoperta. Per quanto ci riguarda, qui ci è stato<br />

possibile trattare solo ciò che è risultato utile al<br />

discorso che intendiamo portare avanti.<br />

Teorie della conoscenza nella Repubblica. La metafora<br />

della linea.<br />

Nella “Repubblica”, nota soprattutto per le<br />

considerazioni politiche in essa contenute, sono<br />

presenti pregevoli passaggi, che mettono più da vicino<br />

in luce le facoltà conoscitive umane e gli oggetti cui si<br />

riferiscono. Questo è il caso della cosiddetta “metafora<br />

della linea”.<br />

Allo scopo di spiegare la differenza tra sensibile ed<br />

intelligibile, il personaggio di Socrate immagina di


disegnare un segmento e di dividerlo in due parti: una<br />

relativa al sensibile, l’altra all’intelligibile, e<br />

successivamente di dividere ciascuna delle due parti in<br />

altre due.<br />

Nella parte inferiore, propria al mondo sensibile, al<br />

quale corrisponde il livello conoscitivo umano<br />

dell’opinione (doxa), si collocano la facoltà inferiore<br />

dell’immaginazione (Eikasia) cui corrispondono le<br />

immagini degli oggetti sensibili, i quali a loro volta<br />

sono oggetto di credenza (Pistis).<br />

La parte superiore della linea, quella propria alla<br />

conoscenza (Episteme), che coglie il mondo<br />

soprasensibile, è suddivisa da Socrate in due facoltà<br />

intellettuali: Dianoia e Noesis (entrambi i termini<br />

significano “pensiero”).<br />

Franco Trabattoni ha già da tempo smentito l’opinione<br />

più diffusa, che vedrebbe la Dianoia come un pensiero<br />

discorsivo avente per oggetto enti matematico –<br />

geometrici, e la Noesis come un pensiero intuitivo che<br />

avrebbe per oggetto le idee vere e proprie. Trabattoni<br />

argomenta le sue opinioni approfonditamente seguendo<br />

il testo della Repubblica. Sarebbe cosa troppo “tecnica”<br />

riportare qui le sue opinioni, che il lettore potrà<br />

approfondire autonomamente.<br />

A noi basti ricordare che l’uomo, nella sua esistenza<br />

terrena, non può avere conoscenza piena delle idee; dato<br />

ciò, non è possibile che la più alta facoltà intellettiva<br />

umana sia considerata la conoscenza intuitiva delle idee<br />

stesse. Se nell’intera opera platonica, il più elevato<br />

metodo di conoscenza è la dialettica, il ricorso ai logoi,<br />

non si capisce come la noesis dovrebbe esser considerata<br />

come conoscenza intuitiva.<br />

Dunque, come Trabattoni evince dal testo: Dianoia è<br />

una conoscenza che fa uso di immagini, ad esempio<br />

enti geometrici. Non è una conoscenza discorsiva<br />

(perché un geometra dovrebbe far ricorso alla<br />

dialettica? Per fare cosa?). La Noesis è invece<br />

introdotta da Socrate per indicare un “pensiero che<br />

risale verso un principio non ipotetico e che non fa uso<br />

di immagini” (Trabattoni, “La filosofia antica”).<br />

La Noiesis è un pensiero dialettico che ci indica come<br />

l’intelletto debba accostarsi alle idee:<br />

“…non deve assumerle come ipotesi (deve mostrare piuttosto<br />

che esistono necessariamente) e deve servirsi solo del logos,<br />

senza fare uso di immagini, né sensibili né mentali.”<br />

(F.Trabattoni, “La filosofia antica”)<br />

Eppure, per Platone, lo vogliamo ripetere, la dialettica<br />

non ci porta ad una piena conoscenza delle idee. Se è<br />

vero che per Platone il pensare è innanzitutto un<br />

dialogare, con sé stessi e con gli altri, è anche vero che<br />

mai l’ateniese trasformò la dialettica in una scienza.<br />

“Essa lavora, in altre parole, mediante la cura dell’anima<br />

e l’esame delle opinioni. Per venire in qualche modo in<br />

contatto con la verità l’uomo non può rivolgersi<br />

direttamente al mondo fuori di sé, per descriverlo e<br />

comprenderlo. Deve piuttosto ripiegare dentro di sé e<br />

rintracciare nella propria anima le impronte di una realtà<br />

trascendente che solo in quel luogo, sia pure in modo<br />

faticoso ed approssimativo, può manifestarsi”<br />

(F.Trabattoni, “La filosofia antica”).<br />

Le dottrine non scritte.<br />

Giovanni Reale ha avuto l’immenso merito d’aver<br />

sottolineato ciò che molti, troppo spesso, tendono ad<br />

ignorare: le opere di Platone che ci sono pervenute<br />

sono solo parte del suo insegnamento. Vi furono<br />

insegnamenti orali, esoterici, riservati ai soli membri<br />

dell’Accademia fondata dall’ateniese.<br />

Ma non ci si deve fermare qui. Nel “Fedro” e nella<br />

Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 41


“PLATONE”<br />

Parte Seconda<br />

“VII Lettera” Platone confessa apertamente di non<br />

aver mai voluto mettere per iscritto gli elementi più<br />

alti del suo pensiero, sia, diciamo così, per non gettar<br />

le perle ai porci, sia perché esistono concetti che un<br />

testo scritto non potrebbe mai spiegare. Che significa?<br />

Significa che il dialogo platonico è una forma di<br />

diffusione filosofica che il nostro ateniese ha ritenuto<br />

utile per una diffusione “esterna” e parziale, ma che<br />

quindi non è il miglior metodo di insegnamento<br />

filosofico! Questo molti lo hanno ignorato. Platone<br />

utilizza il dialogo come mezzo di diffusione ed incisione<br />

esterna, ma contemporaneamente anche come mezzo<br />

“propagandistico” in senso ampio per avvicinare a sé<br />

o alla sua Accademia coloro che sarebbero rimasti<br />

colpiti dal suo messaggio. Solo nell’Accademia gli<br />

insegnamenti Platonici più elevati avrebbero potuto<br />

esser studiati, ma solo dopo un lungo periodo di<br />

tirocinio e disciplina, atto a selezionare coloro che<br />

sarebbero stati degni di sapere.<br />

Certamente nei dialoghi platonici il pensiero più<br />

“interno” traspare, ma in modo molto velato, e sono<br />

ancora troppo pochi gli studiosi che hanno voluto<br />

tenere conto di ciò:<br />

“…possiamo comprendere i dialoghi platonici nella loro<br />

totalità solo se ci rendiamo conto che essi rimandano nei<br />

particolari ed in generale a una giustificazione di vasta<br />

portata che non è esplicita nell’opera scritta, ma che è<br />

presupposta in ogni sua parte.”<br />

(Kaiser, “Platone come scrittore filosofico. Saggi<br />

sull’ermeneutica dei dialoghi platonici”)<br />

Ovviamente, non sapremo mai quali furono tali<br />

insegnamenti esoterici. Certamente sarebbe ridicolo<br />

formulare ipotesi complesse, nonostante il fatto che<br />

Reale indichi l’esistenza di testimonianze – chiave,<br />

presso opere di allievi dell’Accademia, che potrebbero<br />

tornare utili nel tentativo di chiarire il mistero.<br />

Eppure noi, nella nostra azzardata operazione di voler<br />

comprendere le ragioni che mossero il pensiero di<br />

Platone, ossia, in senso ampio e un poco moderno, la<br />

sua psicologia, vorremmo quanto meno provare ad<br />

immaginare un qualche cosa di più.<br />

42<br />

Difesa della Tradizione<br />

Platone cavalca la tigre.<br />

di Matteo Mazzoni<br />

(Chrysokarenos)<br />

Nella prima parte del presente articolo introducemmo<br />

alcuni cenni sulla situazione storico – politica<br />

dell’Atene in cui visse Platone. Lo abbiamo fatto non<br />

per un semplice gusto storiografico, ma per far<br />

comprendere quale fosse la contingenza storica che il<br />

pensiero platonico dovette affrontare.<br />

Abbiamo evidenziato come gli antichi valori<br />

indoeuropei – “omerici”, nel caso della Grecia classica<br />

– in quel tempo avevano iniziato a perdere vitalità, a<br />

svuotarsi del loro senso più alto trasformandosi in un<br />

qualcosa di puramente normativo e formalistico. Di<br />

contro a coloro che, con atteggiamento moralistico ed<br />

ipocrita, tentarono di assumere un atteggiamento<br />

conservatore, sorsero nuove figure intellettuali,<br />

decadenti e relativiste, sostanzialmente ostili alla<br />

cultura tradizionale (con la “t” minuscola) del tempo,<br />

sino ad arrivare, ad esempio, all’estremo rappresentato<br />

da taluni sofisti che, incuranti non solo della verità,<br />

ma anche soltanto dell’opinione comune (al contrario<br />

di quanto fece, va detto, una prima generazione di<br />

sofisti), si concentrarono tecnicamente e tatticamente<br />

alla sola vittoria nei discorsi, a puro scopo arrivistico<br />

o “professionale”.<br />

A tale degenerazione della classe acculturata ateniese<br />

(ossia la classe dirigenziale, a conti fatti), corrispose<br />

quel disordine politico che sconvolse il giovane<br />

Platone, tanto da convincerlo della necessità d’una<br />

rifondazione etica dell’Atene del tempo, nonché di una<br />

nuova integrazione tra etica e politica.<br />

Insomma Atene, detto con Spengler, stava<br />

attraversando una fase di zivilization.<br />

Gli antichi valori non costituivano più un qualcosa di<br />

unificante perché condiviso, e di vitale perché<br />

spontaneamente seguito.<br />

Platone incentrò la sua ricerca sulla necessità di<br />

dimostrare l’esistenza vera di principi etico – estetici<br />

stabili, ma anche socialmente unificanti, condizione di<br />

possibilità perché la società ateniese potesse tentare<br />

una inversione del proprio decadere e disgregare. Così<br />

Platone giunse alla sua dottrina delle idee.<br />

Il fatto che Platone dovette tentare di affermare<br />

l’esistenza di principi etici mediante dimostrazione<br />

dialettica è riprova del fatto che tali principi non erano<br />

ormai più “sentiti” e vissuti. Non erano più parte di


ciò che è l’evidenza, dunque andavano dimostrati.<br />

Platone non avrebbe potuto sperare di incidere sulla<br />

realtà del suo tempo semplicemente affermando :<br />

“esistono dei principi etici, dunque vanno seguiti”.<br />

Non serve a nulla proporre apertamente a qualcuno<br />

concetti che quel qualcuno non sente come vitali in sé<br />

stesso.<br />

Per questo, comprendendo lo spirito del suo tempo,<br />

Platone optò per la dimostrazione dialogica, tanto più<br />

che oramai da tempo la sofistica, nella sua<br />

metodologia, aveva inciso sul modo di pensare<br />

ateniese, al punto che non v’era più alcun filosofo che<br />

non incentrasse il suo metodo su di una razionalità di<br />

tipo discorsivo, a prescindere poi dal metodo letterario<br />

di esposizione del proprio pensiero.<br />

Con ciò il nostro ateniese operò in maniera realmente<br />

rivoluzionaria: tentare di compiere una rifondazione<br />

etica d’un popolo utilizzando, in modo consono, quei<br />

mezzi (i logoi ed il metodo sofista dei discorsi) che<br />

presso quel popolo avevano preso piede, e che<br />

rappresentavano però, con la loro razionalità<br />

ipercritica e distruttiva, la causa stessa della<br />

scomparsa di un’etica condivisa.<br />

Non è questo un cavalcare la tigre? Uno sfruttare per<br />

scopi ordinatori le stesse forze del disordine?<br />

Il fatto che Platone propose Socrate come principale<br />

personaggio dei suoi dialoghi è significativo.<br />

Come abbiamo visto nella prima parte dell’articolo, il<br />

metodo socratico è, a tutti gli effetti, un metodo di tipo<br />

sofistico, con la sostanziale differenza però che Socrate,<br />

al contrario dei sofisti, aveva come obbiettivo del<br />

discorrere l’accordo delle opinioni circa la verità.<br />

Una verità però che, nei dialoghi platonici, non si<br />

configura più soltanto come concordanza tra i<br />

dialoganti, bensì, attraverso l’arte maieutica, come un<br />

riportare alla luce il “ricordo” di ciò che le anime<br />

hanno visto prima della nascita. Si tratta del condurre<br />

al manifestarsi nel mondo umano di un<br />

qualcosa di celeste.<br />

L’interpretazione dataci dal Trabattoni circa lo<br />

scetticismo di Platone riguardo alla possibilità terrena<br />

di conoscere pienamente le idee, qui ci viene incontro<br />

in maniera entusiasmante.<br />

Se il ricordo delle idee può essere riportato ad emergere<br />

in questa esistenza, significa che, in maniera seppure<br />

imperfetta, le idee possono essere ancora vissute,<br />

nonostante tutto. Soltanto non possono essere<br />

conosciute razionalmente. I logoi risvegliano in noi il<br />

ricordo delle idee, ma non ci danno la possibilità di<br />

definirle con certezza o di conoscerle attraverso<br />

l’intelletto. L’intelletto, che come sua funzione più alta<br />

ha il logos (vedi metafora della linea), riporta a<br />

manifestazione quel qualcosa che in noi portiamo dalla<br />

nascita, un qualcosa che ha dell’innato.<br />

Tentiamo un parallelismo? La metafora della seconda<br />

navigazione ci mostra come, dato che non conosciamo<br />

pienamente le idee, che possono essere vedute solo<br />

nell’al di là, siamo costretti ad ammainare le vele ed<br />

iniziare la seconda navigazione, che consiste nell’uso<br />

del logos, dell’opinare rettamente. Tale metodo ci<br />

conduce a risvegliare in noi il ricordo delle idee. Ma si<br />

tratta di un metodo, di un mezzo, non del risultato!<br />

Platone, riguardo alla teoria della conoscenza ed alla<br />

conoscenza stessa delle idee, non giunge mai, nelle<br />

opere scritte, a definizioni certe e dogmatiche: vengono<br />

dati certo degli indirizzi riguardo alla soluzione<br />

conoscitiva dell’argomento trattato, ma tutto rimane<br />

comunque magnificamente aperto e plausibile di<br />

sviluppi e correzioni ulteriori. Questo non soltanto nei<br />

dialoghi aporetici.<br />

La nostra sensazione è che Platone, attraverso la<br />

maieutica, abbia voluto agire, per usare un<br />

parallelismo certamente improprio quanto<br />

esemplificativo, come colui che, basandosi sulle teorie<br />

di C.G. Jung, volesse risvegliare un archetipo<br />

dormiente per tornare a farlo agire. Certamente si<br />

tratta di dottrine ben differenti. L’esempio mi pare<br />

però efficace. Si potrebbe dire che mentre nella<br />

dottrina di Jung possono essere utilizzati simboli, per<br />

risvegliare archetipi, Platone, come si evince dalla<br />

metafora della linea, utilizza il logos e la maieutica per<br />

far ricordare le idee (tralasceremo volutamente<br />

considerazioni riguardanti l’utilizzo di metodi diversi<br />

dal logos, perché non siamo del tutto convinti di dire<br />

cosa sensata, anche se ci pare esistano).<br />

In breve, se le idee possono esser riportate alla luce<br />

nell’uomo, seppur “filtrate” dall’esperienza terrena, se<br />

vengono insomma “ricordate”, ci si deve introdurre ad<br />

esaminare un livello superiore, ove esse si manifestano<br />

nell’individuo - e dall’individuo - in maniera istintuale,<br />

secondo quella modalità che in un nostro precedente<br />

articolo abbiamo definito “spontaneità creativa”.<br />

Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte 43


“PLATONE”<br />

Parte Seconda<br />

Ci si deve porre questa domanda: se le idee vengono<br />

ricordate, in Platone, ciò si limita alla configurazione<br />

nella quale da parte del ricordante vi è una semplice<br />

presa di coscienza del ricordo di esse (o semplicemente<br />

della seppur parziale conoscenza di esse data<br />

dall’accordo di opinioni), oppure può darsi una<br />

situazione nella quale, tali principi celesti, quando<br />

“ricordati” (ma non conosciuti pienamente nella loro<br />

verità), possono iniziare ad agire nell’uomo come un<br />

istinto liberato, come una priorità prorompente?<br />

Noi crediamo in questa seconda ipotesi. Anzi,<br />

“sentiamo” questa seconda ipotesi, che qualunque<br />

buon professore potrebbe facilmente abbattere. Non<br />

ce ne importa.<br />

Giustizia, bellezza, bontà. Le idee. Non crediamo noi,<br />

che Platone, se ebbe veramente di mira il risollevarsi<br />

dell’uomo, di una civiltà, avrebbe potuto contentarsi<br />

di dimostrare che, preso atto della propria ignoranza,<br />

sarebbe stato possibile render sé stessi consci<br />

dell’esistenza delle idee. L’uomo è un essere troppo<br />

debole. O meglio, troppo poco amante della propria<br />

forza. Platone lo sapeva benissimo. Rendersi consci<br />

della realtà dell’esistenza di un’unica giustizia non<br />

significa divenire giusti.<br />

Crediamo piuttosto, forse influenzati dalla nostra<br />

esperienza, che Platone concepisse le idee sì come<br />

principi etici, ma anche come marchi spirituali, come<br />

fuochi che, dividendosi in tante scintille restano in noi<br />

anche dopo la nascita e prima della morte. Le idee<br />

come principi agenti. Le idee come energie che, una<br />

volta liberate nell’individuo, non possono far altro che<br />

condizionarlo.<br />

Se “ricordiamo” parte di una verità celeste conosciuta<br />

in un vissuto ultramondano, tale “ricordo” non può<br />

che condizionare tutto il nostro essere, renderci dei<br />

“risvegliati”. Ridurre tutta la dialettica platonica ad<br />

un puro accordo d’opinioni circa il più verosimile è, se<br />

forse non proprio errato, quantomeno brutto.<br />

Ad uomini in cui la zivilization della propria<br />

comunità ha spento quelle energie – d’origine<br />

metafisica – che definiscono una civiltà come kultur<br />

ed incatenato quei superiori istinti creativi che<br />

rendono degna la vita terrestre, Platone ha tentato<br />

di dare la possibilità di ridestarsi.<br />

Lo ha fatto sfruttando quelle stesse forze che erano<br />

state la causa della degenerazione.<br />

44<br />

Difesa della Tradizione<br />

di Matteo Mazzoni<br />

(Chrysokarenos)<br />

Per questo, crediamo, ha scritto i suoi dialoghi: in un<br />

vero e proprio atto di propaganda e di diffusione<br />

parziale del suo pensiero, tentando di raggiungere il<br />

maggior numero di uomini, nello spazio e nel tempo,<br />

ed attendendo coloro che, “uomini di rango”,<br />

avrebbero avvertito in loro quell’istinto proprio a chi<br />

sente le idee agire in sé, irresistibilmente.<br />

Soltanto costoro, nell’Accademia (la quale,<br />

ricordiamolo, fu tempio alle muse, e non una semplice<br />

e comune scuola, come troppi vorrebbero credere),<br />

durante una vita comunitaria dura e disciplinata,<br />

avrebbero appreso i più profondi insegnamenti del<br />

maestro, che in gran parte per noi, resteranno un<br />

mistero, nonostante la ricerca sugli scritti dei suoi<br />

discepoli, e nonostante le nostre azzardate sensazioni<br />

sulle motivazioni psicologiche del suo pensiero.


Matteo Mazzoni / Platone - seconda parte<br />

45


ISLANDA di Lodovico Ellena<br />

"L'Islanda non è la meta, l'Islanda è il viaggio".<br />

(slogan di una nota ditta di auto a nolo)<br />

"Tutto in Islanda fa paura".<br />

(Luciano Corona)<br />

"Dopo un viaggio in Islanda nulla sarà più come prima".<br />

Prima del viaggio.<br />

L'ultima Thule, il sole a mezzanotte, il paese che fuma,<br />

il freddo che punge, l'acqua che ribolle, mari di lava,<br />

vulcani, iceberg, cavalli, pecore, foche, oceano, balene,<br />

cascate: questo e molto altro ancora è l'Islanda. Meta<br />

di infiniti itinerari possibili questo paese sta<br />

diventando sempre più luogo di interesse da parte di<br />

viaggiatori intenzionati a ripercorrere un intenso<br />

viaggio nel tempo e nello spazio più che compiere una<br />

semplice vacanza, il cui unico scopo sembra invece oggi<br />

essere un dovere obbligatorio delle masse, ossia<br />

divertimento a tutti i costi. In breve l'Islanda è ben<br />

altro che spiagge affollate, discoteche, tintarelle, sballi,<br />

localini e "pupe da lumare", è piuttosto l'esatto<br />

contrario di tutto ciò. Si giunge a Keflavík - di fatto<br />

unico aeroporto internazionale islandese ad una<br />

quarantina di chilometri da Reykjavík - e il primo<br />

impatto rivela immediatamente alcuni imprevisti:<br />

nonostante la temperatura decisamente fresca si<br />

notano infatti alcune grosse mosche ronzare mentre la<br />

luce del sole è decisamente intensa ed è altresì evidente<br />

che l'estetica del paese è decisamente carente e<br />

piuttosto insignificante, fatto che rimarrà una<br />

costante per quasi tutti i centri abitati islandesi. In<br />

effetti molti avvertono di non aspettarsi né cattedrali<br />

né grandi opere sui percorsi dell'isola e forse meglio di<br />

tutti lo studioso Régis Boyer nel suo libro sui vichinghi<br />

(1) ha spiegato che ciò lo si imputa al fatto che il rigore<br />

del clima e la popolazione limitata, nonché l'utilizzo<br />

per millenni di legno e torba, hanno necessariamente<br />

impedito la conservazione di testimonianze urbane,<br />

artistiche o religiose antiche. Basti dire che al presente<br />

l'intera popolazione islandese consta di meno di<br />

trecentomila abitanti e quando si pensa che la sola<br />

Torino ne conta invece circa un milione, il discorso si fa<br />

immediatamente più chiaro. Interessante comunque,<br />

sempre prima di intraprendere un qualsiasi percorso,<br />

48<br />

Thule Soci<br />

definire il tipo etnico dell'islandese; Vichingo senz'altro<br />

- il cosiddetto "fenomeno vichingo" si data tra l'800 ed<br />

il 1050 - si distingue però da altri tipi simili. Tanto i<br />

vichinghi danesi erano infatti noti per la loro innata<br />

abilità nel commercio così quelli norvegesi erano invece<br />

più portati per scelte avventurose, mentre infine i<br />

vichinghi svedesi considerati tra i popoli scandinavi<br />

come quelli più pacifici. Altrettanto differenti gli<br />

orientamenti religiosi: i danesi preferivano Odino,<br />

mentre i norvegesi Thor, mentre ancora gli svedesi<br />

adoravano Freyr. E un mito da sfatare, ossia quello<br />

dell'elmo con le corna divenuto simbolo vichingo tanto<br />

nella cinematografia quanto in certa letteratura:<br />

nessun archeologo ne ha mai trovato uno, sottolinea<br />

ancora Boyer in un passaggio dal sapore revisionista.<br />

Peraltro non sono poche le sorprese addentrando la<br />

materia vichinga: tutti gli dei furono anch'essi<br />

sostituiti dal Cristo, dalla Vergine e da mille altri santi<br />

esattamente come accadde un po’ ovunque, ma assai<br />

più interessante è invece stabilire il confine di ciò che<br />

è possibile definire vichingo. E' qui decisamente arduo<br />

stabilire con assoluta precisione filologica ciò che può<br />

dirsi celtico o germanico o scandinavo o vichingo,<br />

tanto per i costumi quanto per la religione tanto per gli<br />

abiti fino alla mentalità quotidiana, questo campo<br />

rimane tuttora aperto al dibattito tra specialisti della<br />

materia. Per ciò che concerne le rune và infine<br />

aggiunto che questi simboli rimangono testimonianza<br />

fondamentale per lo studio dei vichinghi anche<br />

islandesi; quelle del cosiddetto alfabeto "futhark"<br />

composto da sedici caratteri, sono quelle proprie dei<br />

vichinghi dell'800: il cosiddetto periodo d'oro. Il<br />

dibattito sul presunto valore magico delle rune da<br />

sempre in corso viene assolutamente respinto da taluni<br />

studiosi ma fu Tacito nel 98 d.C. nella "Germania" il<br />

primo che in qualche modo ne diede documento.<br />

Scrisse infatti: "(I Germani) dopo aver tagliato un<br />

ramo da un albero che produce frutti, lo riducono in<br />

schegge e queste, distinte da alcuni segni, spargono<br />

assolutamente a caso sopra una candida veste" (2):<br />

sarebbe infatti stata tale pratica secondo alcuni il<br />

prototipo delle rune utilizzate per presagi e<br />

divinazioni, apparse poi però di fatto soltanto un paio<br />

di secoli più tardi in Germania. Un'ultima<br />

considerazione sulle saghe islandesi; per secoli ritenute<br />

documenti fedeli e per ciò utili alla ricostruzione della


vita e della società vichinga, tendono oggi ad essere -<br />

e solo in questo senso - ridimensionate nella loro<br />

importanza: furono infatti scritte alcuni secoli dopo<br />

l'epoca vichinga, facendo per questa ragione<br />

riferimento a fatti idealizzati e non di quel presente in<br />

fieri, perciò rendendolo meno storico e quindi meno<br />

attinente a quella quotidiana realtà.<br />

Il viaggio.<br />

La principale strada islandese la statale numero 1<br />

congiunge l'isola in un anello ideale consentendo in<br />

questo modo di percorrere il territorio - un nastro di<br />

duemila chilometri circa -, così toccando i quattro<br />

punti cardinali. Vari tratti di questo percorso non sono<br />

asfaltati e un'altra costante accompagnerà il<br />

viaggiatore per tutto l'itinerario: migliaia di pecore del<br />

tutto libere potrebbero in qualsiasi momento pararsi<br />

improvvise di fronte all'auto, per questa ed altre ragioni<br />

il limite di velocità in tutta l'Islanda è rigorosamente<br />

di 90 chilometri orari. Prima tappa del nostro viaggio<br />

la penisola di Snæfellsnes dove ci attende un<br />

pernottamento in una fattoria, o almeno ciò che<br />

dovrebbe esserlo già che questi luoghi immersi nel<br />

silenzio e nella natura più profonda sono in realtà<br />

strutture con decine di camere a disposizioni dei<br />

viaggiatori con tanto di possibilità di ristoro<br />

alimentare. Gli islandesi mostrano immediatamente il<br />

loro carattere: riservati ma gentili in caso di necessità<br />

nonché disponibili a raccontare ciò che le guide non<br />

raccontano: è così che veniamo a sapere di una colonia<br />

di foche visibile nel proprio habitat a pochi chilometri<br />

da noi. Ci avventuriamo sul posto nei pressi del faro di<br />

Garðar e qui tra sterpaglie, dislivelli, sabbia, alghe e<br />

sassi dopo un percorso di mezz'ora si giunge sulla cima<br />

di un'insenatura che sfocia nell'oceano tra evidenti<br />

segni di maree in movimento. Il cielo ed il sole<br />

combinano giochi di luce surreali ed il silenzio viene<br />

rotto soltanto dal respiro dell'acqua: così và per decine<br />

di minuti. Ad un tratto improvviso le foche; adagiate su<br />

alcuni massi si confondevano con il grigio delle pietre,<br />

mentre altre fanno capolino dall'acqua osservando<br />

quegli intrusi. Sembrano interrogarsi sul perché di<br />

questa indiscreta presenza e sembrano spiare ogni<br />

movimento: è una sensazione eccitante e vigile insieme,<br />

già che ci si acc<strong>org</strong>e di essere invasori in un luogo in cui<br />

saremmo senz'altro in difficoltà per un'eventuale<br />

ritirata: cose simili si vanno anche a pensare di fronte<br />

ad un infinito oceano senza certezze civili se non la<br />

propria agilità per battersela alla bisogna. Sono solo<br />

pacifiche foche ma la prima lezione è già arrivata:<br />

quante incertezze recano le moderne certezze.<br />

All'indomani si riparte quindi alla volta di una nuova<br />

meta mentre il viaggio porta su di una vetta<br />

particolare, molto particolare: si tratta di Helgafell,<br />

ossia il monte un tempo venerato dai fedeli del dio<br />

Thor. Nonostante la modesta altezza (73 metri) da lì si<br />

gode una vista inebriante sul territorio circostante e<br />

non si può fare a meno di notare sulla cima dozzine di<br />

piccoli tumuli eretti da qualche visitatore: di questi<br />

tumuli, il cui fine sembra essere propiziatorio, è piena<br />

l'Islanda intera tanto che se ne notano infatti ovunque.<br />

Si tratta di piccoli mucchi di pietre, evidentemente<br />

presente segno di un sentire lontano e ancestrale. La<br />

zona che attornia questo monte è di rara bellezza, e<br />

numerosi vulcani inattivi contribuiscono a rendere il<br />

paesaggio ancora più imponente e selvaggio. Non<br />

distante il vulcano Grabròk che eruttò circa 3000 anni<br />

fa e che numerosi viaggiatori di passaggio vanno ad<br />

ammirare da vicino scalando il sentiero che conduce al<br />

centro del cratere: sensazioni inquietanti, come quella<br />

di percorrere i bordi del medesimo osservando l'interno<br />

e immaginando devastazione e lava. L'Islanda è un<br />

paese che fuma e quel posto è soltanto uno degli<br />

innumerevoli luoghi in cui si è scatenato l'inferno,<br />

quell'inferno che in dozzine di posti è possibile vedere<br />

fisicamente grazie ad eccezionali documentari filmati<br />

di eruzioni, alluvioni, terremoti, esplosioni e<br />

devastazioni. In qualche caso una speciale pedana<br />

rende ancora più realistico il tutto, simulando durante<br />

le proiezioni il movimento del terreno durante una di<br />

queste eruzioni. Ma più di tutto, forse il paesaggio nei<br />

pressi del lago Mývatn rende merito a queste<br />

inquietanti riflessioni; quella zona è infatti cosparsa di<br />

crateri e le acque sono nere di lava, tanto che il "lago<br />

del moscerino" (questa la traduzione letterale di<br />

"Mývatn", dovuta ad orde di piccoli moscerini innocui<br />

ma assai fastidiosi) viene indicato come perfetto<br />

esempio dell'attività geotermica islandese, soprattutto<br />

in considerazione del fatto che un'ennesima grande<br />

eruzione è ritenuta imminente. La zona alterna prati<br />

verdissimi e acque azzurre ad aree di desolato spettrale<br />

Lodovico Ellena / Islanda 49


ISLANDA di Lodovico Ellena<br />

ma altrettanto suggestivo nero lavico: è una visione<br />

irreale, soprattutto verso sera quando la luce del sole<br />

degrada lievemente di intensità pur restando<br />

comunque viva e luminosa. I dintorni di questo lago<br />

sono popolati da innumerevoli specie di uccelli e una<br />

chiesetta risparmiata da un'eruzione che sommerse<br />

tutto il circondario nei pressi di Reykjahlídh che però<br />

miracolosamente si salvò, è meta di curiosi. Peraltro<br />

non è l'unico episodio legato a luoghi sacri, tanto che<br />

questi fatti lasciano realmente senza parole.<br />

Qualche decina di chilometri da quei pressi si trovano<br />

altri luoghi suggestivi ed altrettanto impressionanti:<br />

Námafjall, Krafla e Dimmub<strong>org</strong>ir: nomi per noi<br />

piuttosto improbabili ma ne esistono di peggiori. Se<br />

l'Islanda è un paese che fuma, Námafjall ne è concreta<br />

dimostrazione; si tratta di una vasta area il cui terreno<br />

è bruciato dal calore sotterraneo visibile in alcune<br />

pozze ribollenti dai cui fori fuoriesce un intenso fumo.<br />

La temperatura è elevatissima e l'odore di zolfo -<br />

sovente presente nelle abitazioni che sfruttano<br />

l'energia geotermica portando così acqua calda in casa<br />

- onnipresente; il paesaggio è lunare, tanto che a<br />

perdita d'occhio è possibile scrutare un panorama<br />

giallo ocra, mentre tutto intorno scene da inferno<br />

dantesco restituiscono alla vista un ambiente<br />

assolutamente surreale. E a pochissimi chilometri da<br />

quel luogo il vulcano Krafla maestoso e fumante, caldo<br />

e inquietante dall'alto dei suoi 818 metri. L'ultima<br />

eruzione avvenne nel 1984 e - come scrivono alcuni<br />

autori - in certi punti la lava è calda e fumante<br />

rendendo così ben viva l'impressione di un'imminente<br />

ennesima eruzione: un'esperienza intensa, soprattutto<br />

perché le enormi crepe sul terreno lavico indicano ai<br />

geologi una possibile ripresa dell'attività nel prossimo<br />

futuro. Da quella cima si gode una vista indescrivibile;<br />

tra i possibili percorsi nella lava si giunge al cratere e<br />

da lì è possibile vedere in lontananza un vero e proprio<br />

mare nero. Una colata lavica dalle dimensioni<br />

impressionanti di cui non è dato vedere la fine, come<br />

fosse un immenso fiume nero che stempera<br />

all'orizzonte; da chiedersi come può essere una simile<br />

visione nel momento dell'eruzione, guai però sedersi a<br />

meditare queste elucubrazioni: il terreno scotta.<br />

Ancora una volta non distante - l'intera Islanda è<br />

costellata da simili luoghi tanto che ci si trova<br />

50<br />

Thule Soci<br />

obbligatoriamente a doverne escludere alcuni - il sito di<br />

Dimmub<strong>org</strong>ir, ossia "gli oscuri castelli". Si tratta di un<br />

percorso della durata di circa un'ora tra sentieri e<br />

forme laviche altissime che tempo ed erosione eolica<br />

hanno modellato, così creando una vasta area nella<br />

quale si ha l'impressione di aggirarsi tra castelli<br />

maledetti, ruderi e carcasse di mostri e draghi. Uno dei<br />

punti più visitati del luogo nonché famosi è quello di<br />

Kirkjan, ossia della "chiesa", laddove la natura ha<br />

f<strong>org</strong>iato una cattedrale gotica dal soffitto a volta e<br />

laddove in estate si tengono addirittura concerti: una<br />

visione assolutamente sconcertante. Il luogo, forse<br />

data la conformazione del terreno riparato da queste<br />

notevoli pareti di lava, è particolarmente caldo specie<br />

in condizioni di bel tempo: fatto raro ma gradito a noi<br />

latini abituati a temperature ben più miti.<br />

Islandesi e dintorni.<br />

Alcune osservazioni sugli islandesi; mentre noi<br />

circoliamo intabarrati a vari strati impermeabili, fa<br />

contrasto osservare invece gli indigeni in abiti estivi<br />

leggerissimi: peraltro ognuno è re a casa propria.<br />

Anche le loro abitudini alimentari potrebbero lasciare<br />

a volte sconcertati, ma l'occasione di assaggiare la<br />

"carne" di balena - quando mai ci si sarebbe ancora<br />

presentata un'occasione simile? - non ce la siamo fatta<br />

sfuggire, così come quella di gustare lo "squalo<br />

putrefatto" (golosità locale, ossia l'hákarl) e di bere la<br />

grappa locale: la Brennivin, 40 gradi ottenuti dalle<br />

patate e aromatizzati con cumino. Naturalmente non<br />

sono soltanto questi gli alimenti - ad esempio la<br />

pulcinella di mare (lundi) và fortissimo da quelle parti<br />

-, ma questo è stato il tangibile frutto della nostra<br />

esperienza. La balena; ha una consistenza notevole<br />

come si trattasse di carne di vitello ma il retrogusto è<br />

quello di un pesce: una strana sensazione peraltro<br />

ottimo piatto e non ce ne vogliano gli estremisti<br />

dell'animalismo ecologico, ma qui si tratta nient'altro<br />

che di voler conoscere questa tradizione millenaria<br />

islandese. Il Brennivin; ce ne siamo fatti un bel po’ nel<br />

corso del nostro viaggio ed è possibile affermare che<br />

ha superato senza ombra di dubbio il rigoroso esame a<br />

cui lo abbiamo sottoposto: promosso senz'altro, parola<br />

di alcolisti a tenuta stagna. Lo squalo putrefatto, roba<br />

che le stesse guide consigliano esclusivamente a "chi


ha lo stomaco robusto": qualcosa di non lontano dal<br />

g<strong>org</strong>onzola a ben vedere, così stagionato dopo sei mesi<br />

di macerazione sotterranea a causa del gusto acido di<br />

quel pesce appena pescato. Sembra che nemmeno gli<br />

uccelli che si nutrono di carogne osino toccarlo, non<br />

potevamo perciò non cogliere una simile provocazione<br />

ma alla fine siamo sopravvissuti all'odore pungente di<br />

ammoniaca ed al gusto di carne dal sapore<br />

disorientante: servita in piccoli dadi infilati da uno<br />

stuzzicadenti nonché accompagnata da un bicchierino<br />

di Brennivin, considerato dalle malelingue come<br />

"antidoto" a quel sapore. Peraltro anche il pesce<br />

essiccato è cosa ordinaria da quelle parti;<br />

naturalmente decisamente più potabile per<br />

mediterranei in vena di esperienze, lo si trova in ogni<br />

dove: dagli aeroporti ai mercati, dagli scaffali da<br />

colazione negli alberghi ai banchetti dei bar. E non è<br />

niente male, basta soltanto superare l'imbarazzo<br />

dell'impatto; chi lo consuma come fosse trattarsi di<br />

croccanti patatine, chi invece con fette di pane<br />

imburrato. Artigianato; e qui il discorso si fa invece<br />

più breve soprattutto perché se si escludono capi<br />

d'abbigliamento in lana e gadget vari (assai curioso il<br />

simbolo del martello di Thor, il Mjöllnir, onnipresente<br />

soprattutto su portachiavi), rimane ben poco da dire.<br />

Due oggetti però vanno menzionati; portacandele<br />

ottenuti da pietre laviche levigate e bucate al centro<br />

nonché venduti a prezzi non del tutto economici e -<br />

audite audite!- scatole ermetiche assolutamente vuote<br />

contenente "pura aria di montagna islandese": e ne<br />

devono ben vendere a giudicare da quante ne hanno in<br />

mostra sugli scaffali, oltre a tutto ad un prezzo non del<br />

tutto popolare. Stavamo per cascarci anche noi, non<br />

fosse che un improvviso lampo di saggezza contadina<br />

ci ha fatto riporre quella scatola vuota al proprio<br />

posto: beati gli islandesi e sia fatta lode ai gonzi,<br />

motori dell'economia.<br />

Strade e cascate.<br />

Le strade - o meglio la strada - d'Islanda vanno<br />

affrontate con cautela e giudizio, soprattutto perché<br />

ampi tratti sono del tutto privi di asfalto e a ciò si<br />

aggiunga il rischio - altissimo - di trovarsi<br />

improvvisamente una o più pecore stranite e immobili<br />

sul percorso. Nei 2600 chilometri da noi sviluppati ci<br />

siamo altresì trovati in varie occasioni ad imboccare<br />

un bivio tirando dritto per quella che ritenevamo<br />

essere la strada maestra (la già citata statale numero<br />

1), per acc<strong>org</strong>erci chilometri oltre che quella che<br />

appariva secondaria in quanto più piccola e<br />

malridotta, era in realtà quella principale. I tratti non<br />

asfaltati sono polverosi e zeppi di buche con sassi e<br />

scossoni oltre alle inevitabili pecore lì ancora più<br />

imprevedibili, mentre ripide discese evolvono verso il<br />

nulla civile, tanto che se viene in quei casi alla mente<br />

l'idea di una possibile foratura o di un incidente, è<br />

meglio accantonare subito simili elucubrazioni: ciò<br />

accadesse sarebbero grane grosse. Vagando comunque<br />

per tali sentieri si giunge a stupende cascate: tre quelle<br />

da noi incontrate sul percorso e lo spettacolo della<br />

natura ha ampiamente ripagato quella fatica:<br />

Goðafoss, Skógafoss e Gullfoss.<br />

Goðafoss oltre ad essere straordinariamente<br />

affascinante ha una sua particolare storia. Secondo la<br />

leggenda sarebbe infatti il luogo in cui, assunto dagli<br />

islandesi nell'anno mille il cristianesimo come religione<br />

ufficiale, le statue delle antiche divinità nordiche<br />

furono lì gettate: da qui il nome "cascata degli dei".<br />

L'acqua scorre direttamente su di una colata lavica che<br />

nel corso dei secoli si è modellata e levigata e il salto è<br />

di circa una decina di metri ma la notevole ampiezza<br />

del fiume rende realmente suggestivo quell'imponente<br />

insieme. Skógafoss è invece alta ben 60 metri e anche<br />

qui una leggenda la riguarda: sarebbe infatti custode<br />

del ricco tesoro di un colono peraltro mai trovato da<br />

alcuno. Infine Gullfoss, 32 metri di acque che si<br />

tuffano all'interno di un canyon provocando arcobaleni<br />

che è possibile osservare sul ciglio stesso dell'orrido<br />

accessibile fino all'ultimo millimetro, senza protezioni<br />

di sorta. Anche qui una storia ma assai meno<br />

leggendaria e ben più cruda; si tratta della vicenda<br />

legata alla persona di Sigrídur Tómasdóttir, energica<br />

donna che sul finire del 1800 combatté con tutte le sue<br />

forze il progetto di alcuni imprenditori che avrebbero<br />

voluto sfruttare la forza della cascata<br />

compromettendone così definitivamente la bellezza.<br />

La donna, dopo una lunga questione, la spuntò per<br />

una serie di circostanze che le furono favorevoli: aveva<br />

comunque minacciato di gettarsi tra i flutti qualora le<br />

cascate fossero state violentate. Non a caso gli islandesi<br />

riconoscenti hanno dedicato a Sigrídur un piccolo<br />

Lodovico Ellena / Islanda 51


ISLANDA di Lodovico Ellena<br />

museo ed una lapide commemorativa: esemplare<br />

antesignana dell'ambientalismo più puro e<br />

disinteressato, altro che certa politicaglia nostrana. Ma<br />

il viaggio continua e di cascata in cascata nonché di<br />

vulcano in vulcano, si alternano altri paesaggi irreali<br />

come ad esempio quello offerto dal villaggio di<br />

Glaumbær, completamente costruito in torba e<br />

visitabile al fine di far meglio comprendere come<br />

fossero le abitazioni islandesi di un tempo. In quelle<br />

case si svolgeva la vita domestica nell'antichità e,<br />

soprattutto nei mesi invernali, in quei pochi metri<br />

quadrati si trascorrevano gomito a gomito intere<br />

stagioni. Tutto si svolgeva tra quelle pareti tanto che<br />

rigide regole comportamentali per sopportare quella<br />

coabitazione ravvicinata garantivano la quiete:<br />

immaginato al presente per noi individualisti europei<br />

continentali, un simile tipo di vita desterebbe qualche<br />

ragionevole perplessità. Non distante, a Vidhim<br />

Rarkirkja, ancora la torba protagonista: questa volta<br />

però si và a trattare di una chiesetta, sito tra i più<br />

antichi del paese, piccola ma assai graziosa e molto<br />

visitata anche per via del fatto che in tutta l'Islanda<br />

testimonianze architettoniche o artistiche del genere<br />

restano piuttosto rare.<br />

Iceberg e mostri.<br />

Ma una delle visioni senz'altro più impressionanti<br />

dell'intera Islanda resta quella relativa agli iceberg. Li<br />

abbiamo incontrati a Jökulsárlón, un posto fuori dal<br />

mondo giusto ai piedi dell'immenso ghiacciaio di<br />

Vatnajökull raggiunto al punto in cui scioglie in<br />

impetuoso fiume: una visione realmente immensa e<br />

insieme annichilente. Blocchi di ghiaccio galleggianti<br />

che lentamente degradano verso l'oceano in un punto<br />

dove nuovamente le foche la fanno da padrone e<br />

laddove l'orizzonte perso nel grigio cielo di una<br />

normale estate nordica, stordisce ed invita a ripensare<br />

la propria vita ed al suo relativo senso nonché a<br />

comprendere in un attimo come fu che gli islandesi<br />

videro gli dei. Così come nei fiordi, infiniti come tutto<br />

quel paese, che si incuneano in ogni dove disegnando<br />

contorni sui contorni lavici: un'opera d'arte in<br />

continuo mutamento, questo è l'Islanda. E tale<br />

scenario forse più che altrove lo si vive a Vík ("baia")<br />

il paese delle pulcinella di mare, singolare simpatico<br />

52<br />

Thule Soci<br />

uccello incoronato simbolo dell'isola dai contrasti<br />

cromatici e dall'aspetto unico; gli islandesi lo mangiano<br />

fin dai tempi vichinghi ma la specie è protetta e<br />

rispettata così come lo sono cavalli e pecore, evidente<br />

omaggio all'importanza che questi animali hanno<br />

avuto - ed hanno - per la stessa sopravvivenza umana<br />

in quegli estremi posti. A Vík comunque, oltre alle<br />

ripide e meravigliose scogliere sferzate dal vento<br />

oceanico, è possibile osservare un complesso lavico<br />

tuffato nell'oceano a qualche centinaia di metri dalla<br />

costa che non può fare a meno di ricordare<br />

l'inquietante quadro di Arnold Böcklin "L'isola dei<br />

morti", anche se dai cipressi e dalle irreali rocce dipinti<br />

dal pittore a quelle colonne laviche resta comunque<br />

una certa differenza. Vi è ad ogni modo una sorta di<br />

atmosfera simile, grigia e sospesa allo stesso tempo,<br />

inquietante e misteriosa insieme. E a proposito di<br />

luoghi inquietanti il viaggio ci conduce di lì a poco a<br />

Lagarfljót, ameno lago dai colori suggestivi e<br />

dall'infinita pace di quelle acque non fosse che qui -<br />

proprio come in Scozia a Loch Ness - una tradizione<br />

locale vuole dimori un mostro, addirittura dipinto su<br />

alcuni quadretti appesi alle pareti del locale ristorante.<br />

Si tratterebbe di un enorme serpente acquatico, ma ciò<br />

che più fa specie è la conformazione del lago - lungo e<br />

stretto - quasi identica a quello scozzese: una<br />

somiglianza veramente sconcertante e straordinaria,<br />

anche se qui non se ne è fatto il commercio che invece<br />

domina ingombrante a Loch Ness dove invece si<br />

trovano dozzine di pupazzi di "Nessie", portachiavi,<br />

gadget, nonché un museo su quella vicenda mentre<br />

alcune agenzie <strong>org</strong>anizzano tour sul lago con tanto di<br />

telecamere subacquee che scrutano i fondali del<br />

medesimo, fino all'acqua in bottiglia rigorosamente<br />

targata "Nessie". Come fare palate di soldi su di una<br />

suggestione, tanto meglio la quieta e discreta pace<br />

contemplative di Lagarfljót. E' a questo punto che ci<br />

mettiamo alla ricerca di un angolo - per quanto<br />

possibile - ancora più isolato ed estremo: stiamo infatti<br />

andando a caccia di un posto dal nome per noi<br />

improbabile, Grenjadarstadur, perché è ferma<br />

intenzione di cercare ciò che resta di una lapide con<br />

incisioni runiche: e la nostra ostinazione sarà<br />

premiata. Il posto è bellissimo tra i bellissimi, ospita<br />

un piccolo cimitero (nostra meta) ed un museo del<br />

locale folclore ricavato all'interno di alcune case


antiche costruite in legno e torba. Conterà si e no<br />

cinquanta anime, tanto che esiste un piccolo bar per i<br />

visitatori del museo. E' un luogo immerso in una pace<br />

infinita dove dozzine di mucche pascolano mentre<br />

alcuni bimbi corrono all'orizzonte: difficile dir loro di<br />

non sdraiarsi sulla nuda terra per contemplare la<br />

bellezza di quel cielo, difficile impedir loro di<br />

accarezzare quei pacifici ruminanti, difficile anche<br />

immaginare il paradiso tanto diverso da quel luogo.<br />

Un vento sferzante accompagna quel girovagare tra<br />

lapidi e azzurro e alla fine la ricerca è premiata: eccola,<br />

siamo di fronte a vere rune quelle per il cui semplice<br />

possesso intorno al 1200 la chiesa in Islanda puniva<br />

con la morte. Simboli magici, strumenti del demonio,<br />

paganesimo da estirpare: eppure, sia consentito dirlo,<br />

su di noi un fascino irresistibile: forse il tempo da cui<br />

giungono, forse la palpabile magia che trasmettono,<br />

forse qualcosa di profondo e ancestrale per cui il nostro<br />

essere vibra di fronte al mistero che le penetra. Per noi<br />

le rune significano molto al punto di compiere migliaia<br />

di chilometri per poterle vedere e toccare e ora sono<br />

qui, incise da qualche mano vissuta secoli fa. Le<br />

sfioriamo con timoroso rispetto, le fotografiamo e<br />

cerchiamo di impossessarci di quell'immagine mentre<br />

il vento sibila: rune vere, tra le più antiche esistenti al<br />

mondo: è a questo punto che una birra marca Thule<br />

diventa un dovere più che un piacere. Una nota: oltre<br />

alla "Thule" l'altra birra più bevuta è la "Viking" ma<br />

occorre fare attenzione: in bottiglia hanno gradazione<br />

e gusto intenso, alla spina per noi iscritti all'Ordine<br />

degli Alcolisti, divengono poco più che acqua.<br />

Ultimi passi e Reykjavík.<br />

Stiamo comunque ormai ripiegando verso la capitale,<br />

meta conclusiva di questo peregrinare. Rechiamo<br />

quindi a Thingvellir luogo prescelto dai vichinghi<br />

islandesi che lì tennero nel X° secolo il loro primo<br />

parlamento all'aperto, di fatto così assumendo la<br />

paternità della democrazia in Europa. Il posto è tra i<br />

più belli dell'intero paese; escludendo il panorama di<br />

specchi d'acqua frastagliati misti al verde impossibile<br />

di quella pianura, Thingvellir và famoso soprattutto<br />

perché dal punto di vista geografico si trova<br />

esattamente a cavallo tra nuovo e vecchio mondo, in<br />

quanto situato proprio nel bel mezzo di una<br />

spaccatura provocata dalla deriva dei continenti. Non<br />

a caso qui nel 1944 l'Islanda proclamò la propria<br />

indipendenza dal dominio norvegese e danese. Fu<br />

questo uno dei luoghi che ispirarono Wagner quando<br />

compose l'opera sui Nibelunghi, il che più di tante altre<br />

parole spiega molte cose. Ma il tempo volge al termine<br />

e resta sulla strada un luogo che ha dato a tutti i posti<br />

simili del mondo il proprio nome: Geyser. In realtà si<br />

scrive Geysir (chi ha inventato il correttore automatico<br />

andrebbe appeso per le vergogne) ed altrettanto in<br />

realtà sul posto si può osservare soltanto il fratello<br />

minore, ossia lo "Strokkur", che spara acqua bollente<br />

fino a 40 metri mentre Geysir raggiungeva i 60. Motivo<br />

di quella definitiva quiete quanto di più scemo si possa<br />

immaginare: la gente a forza di lanciare pietre al suo<br />

interno per ragioni analoghe ai fessi che lanciano<br />

monetine nei pozzi o negli specchi d'acqua, lo ha<br />

intasato rendendolo di fatto morto. Uno degli<br />

spettacoli più incredibili della terra svanito nel nulla a<br />

causa di un abisso d'incoscienza nel quale, per quanta<br />

luce si faccia, nessuno è ancora riuscito a vedere il fondo.<br />

E alla fine Reykjavík. Due giorni da dedicare a questa<br />

straordinaria città il cui termine "città" và sempre<br />

inteso in senso islandese già che le loro città nulla<br />

hanno a che spartire con le nostre, vuoi per gli ampi<br />

spazi tra le case, vuoi per il verde onnipresente.<br />

Bohemién, fresca, giovane e frizzante, lo spettacolo<br />

vero è la gente più che l'architettura o i musei. Ne<br />

abbiamo incontrati di tipi umani; dalla ragazza in tuta<br />

subacquea con tanto di maschera e pinne che<br />

girovagava per il mercatino delle pulci a quella vestita<br />

da superman ai giardini, dal gruppo rock che ci dava<br />

dentro secco in pieno centro sotto gli occhi attenti di<br />

dozzine di fan etilici fino ad un gruppo di bevitori in<br />

mutande colorate come cocorite, per giungere ad una<br />

bella coppia di vichinghi con elmo cornuto sul capo<br />

recanti seco un'intera cassetta di lattine di birra<br />

sottobraccio. Bevono questi vichinghi e - continua a<br />

sorprendere questa cosa per quanto noi si sia un<br />

popolo piuttosto ballerino - quando scoprono la nostra<br />

<strong>italia</strong>nità accolgono la notizia con sincera gioia. Tra i<br />

popoli, sembrerà quanto meno curioso, la nostra<br />

esperienza ha rivelato che in giro per i quattro cantoni<br />

del mondo siamo tra quelli che generalmente si<br />

tollerano di più: naturalmente abbiamo anche noi i<br />

nostri buoni nemici qua e là ma ci guarderemo bene<br />

Lodovico Ellena / Islanda 53


ISLANDA di Lodovico Ellena<br />

dal dire che tra loro compaiono gli inglesi: non<br />

faremmo mai un'affermazione simile per albionico<br />

rispetto, va da sé. E' comunque tempo di valige;<br />

quattro ore di volo attendono e l'aereo parte di buon<br />

mattino tanto che la sveglia alle quattro è implacabile.<br />

Attraversiamo quindi per l'ultima volta quella verde<br />

città nell'irreale luce delle cinque mattutine per recarci<br />

all'aeroporto; siamo però ancora in tempo per<br />

rispondere alla reiterante domanda questa volta posta<br />

da un forzuto vichingo: "Vi piace l'Islanda?". "Certo<br />

che ci piace, dopo un viaggio in un paese come il tuo,<br />

tutto sarà diverso amico". L'uomo si illumina, sorride<br />

e ci dona un biscotto: anche questo è l'Islanda, il paese<br />

dove vivono gli dei. E noi li abbiamo visti e sia fatta<br />

lode a Odino e resa gloria a Thor che vegliarono su di<br />

noi concedendoci di percorrere quasi tremila<br />

chilometri in condizioni a tratti estreme, senza aver<br />

avuto il benché minimo problema. L'Islanda fuma,<br />

l'Islanda respira, l'Islanda non è una vacanza: l'Islanda<br />

è l'ultima Thule.<br />

(1) Régis Boyer, La vita quotidiana dei vichinghi (800<br />

- 1050), ed. Fabbri, Milano, 1998.<br />

(2) Tacito, La Germania, ed. Fabbri, Milano, 2001,<br />

54<br />

Thule Soci


EMOZIONI:<br />

THULE ITALIA IN WESTFALIA<br />

7-12 settembre 2007


LO SPECCHIO DI<br />

DIANA<br />

a cura della Sezione Femminile<br />

dell’Associazione Thule-Italia<br />

Dianae<br />

Dianae sumus in fide<br />

puellae et pueri integri:<br />

Dianam pueri integri<br />

puellaeque canamus.<br />

o Latonia, maximi<br />

magna progenies Iovis,<br />

quam mater prope Deliam<br />

deposivit olivam,<br />

montium domina ut fores<br />

silvarumque virentium<br />

saltuumque reconditorum<br />

amniumque sonantum:<br />

tu Lucina dolentibus<br />

Iuno dicta puerperis,<br />

tu potens Trivia et notho es<br />

dicta lumine Luna.<br />

tu cursu, dea, menstruo<br />

metiens iter annuum,<br />

rustica agricolae bonis<br />

tecta frugibus exples.<br />

sis quocumque tibi placet<br />

sancta nomine, Romulique,<br />

antique ut solita es, bona<br />

sospites ope gentem.


Non poteva che cominciare con le meravigliose parole<br />

di Catullo questo articolo dedicato a Diana, frutto di<br />

un’escursione sul lago di Nemi che ha visto come<br />

protagoniste le donne della Sezione Femminile<br />

dell’Associazione Thule Italia.<br />

“Panoramica del Lago di Nemi”<br />

L’analisi del mito di Diana rischia di farsi in ogni<br />

momento troppo lunga e non solo per una predilezione<br />

culturale e religiosa delle autrici.<br />

Sono stati in molti a scrivere della Potnia per<br />

eccellenza, l’incarnazione della regalità femminile, la<br />

Signora delle selve e delle fiere, cercheremo quindi, per<br />

non divagare troppo, di toccare i punti salienti del mito<br />

di Diana cominciando dall’iconografia classica che la<br />

vede con l’arco e il cane, evidentemente cacciatrice. Si<br />

tratta però di una rappresentazione in realtà molto<br />

tarda come tarda è l’associazione della Dea alla luna.<br />

Il nome “Diana” deriva dalla radice sanscrita Div<br />

dalla quale l’aggettivo dius, luminoso, splendente, ma<br />

non di luce lunare, questo è certo; Lucina, “la dea del<br />

luogo chiaro”, splende della luce che filtra attraverso le<br />

fronde degli alberi nei boschi che sono il suo tempio.<br />

L’appellativo di “Luminosa” e anche “Lucifera”, la<br />

sua raffigurazione vicino a fuochi o torce accese e il<br />

fatto che nella selva Ariccia, antica sede del culto di<br />

Diana Nemorense, venisse mantenuto un fuoco<br />

perennemente acceso, fanno pensare a un culto<br />

sovrapponibile a quello di Vesta ma molto più vecchio.<br />

Nelle rappresentazioni più antiche, come spesso accade<br />

per le divinità del Principio, la Dea non aveva forma<br />

umana, veniva invece raffigurata come una torcia o<br />

una fiamma, accompagnata dai cervi o cerva lei stessa.<br />

Il cervo è, nella tradizione indoeuropea, simbolo di<br />

rinnovo e regalità, per fare un esempio a noi vicino e<br />

sicuramente molto più famoso di altri, lo ritroviamo,<br />

in Europa, nelle saghe irlandesi (ricordiamo, fra le<br />

tante, la leggenda della Dea Cerva Sadb, signora dei<br />

Sidhe e legata a Finn mac Cumaill, l’eroe guerriero del<br />

ciclo del Leinster e capo delle Fianna, le bande di<br />

guerrieri a servizio del re d’Irlanda ma, soprattutto,<br />

incarnazione del Dio detto anche “lo Splendente”).<br />

Ancora una volta il Mito, che sia per diffusione o<br />

ancestrale, ci ricorda che un filo conduttore lega la<br />

storia non scritta di numerose popolazioni<br />

tramandandone l’origine senza bisogno di ricorrere<br />

all’archeologia, la storiografia e le scienze “moderne”<br />

in genere.<br />

“Statua che raffigura Diana Cacciatrice<br />

(Piazza principale di Nemi)<br />

Antonella Tucci / Pellegrinaggio a Nemi 57


LO SPECCHIO DI<br />

DIANA<br />

Possiamo in effetti affermare con assoluta convinzione<br />

che la vera essenza e funzione del Mito è insegnare e<br />

raccontare la storia dell’uomo dal principio ad oggi<br />

senza alcun bisogno di prove empiriche.<br />

Prima di addentrarci nel Mito della Potnia italica è<br />

bene però soffermarsi ancora un momento su uno degli<br />

attributi classici della Dea: la verginità, e sul senso che<br />

realmente è doveroso dargli.<br />

E’ curioso come i significati di molti vocaboli, storpiati<br />

nelle moderne accezioni, siano il faro e la prova<br />

lampante della decadenza in mezzo alla quale viviamo<br />

senza neanche acc<strong>org</strong>ercene.<br />

Sull’aggettivo “vergine” già il vecchio vocabolario<br />

degli accademici della Crusca, datato 1612, riportava:<br />

“si dice, sì di femmina, sì di maschio, che non sien venuti<br />

ad atti carnali. Latin. virgo.”; lo stesso Garzanti mette<br />

come prima definizione: “si dice di donna che non ha<br />

mai avuto rapporti sessuali (rar. riferito anche a uomo)”<br />

e solo come quarta: “integro moralmente; intatto, puro:<br />

animo vergine”.<br />

Sull’etimologia dell’aggettivo “vergine” gli studiosi sono<br />

concordi su due possibilità: l’affinità della parola latina<br />

“virgo” con la radice “vir”, ossia la medesima di “vira”<br />

(uomo robusto e forte) o con “vireo” (verdeggiante); Vi<br />

è anche chi fa risalire la parola alla radice “varg” dal<br />

sanscrito “urg” (spingere, gonfiare, essere turgido,<br />

rigoglioso, pieno di succo, forza ed energia).<br />

In ognuno dei tre casi è evidente come l’antica<br />

accezione non si preoccupi tanto dell’integrità di una<br />

membrana quanto di una integrità spirituale della<br />

quale determinati atteggiamenti o, più precisamente,<br />

modi di essere, non sono che il riflesso.<br />

La vergine è l’incarnazione della Madre nel suo aspetto<br />

fertile, sempre giovane e simbolo di rinnovamento, la<br />

cui linfa vitale non si esaurisce mai; E’ la donna che<br />

incarna con dignità e devozione l’archetipo che<br />

rappresenta, colei che è libera da vincoli coniugali<br />

perché non si lega a un uomo indegno così come Diana<br />

non ha solo un compagno ma un paredro: “colui che le<br />

sta accanto come suo pari”, opposto e complementare.<br />

Ma veniamo adesso al mito che lega la Signora delle<br />

Selve allo Speculum Dianae, il Lago di Nemi e ai<br />

boschi che lo circondano.<br />

Si narra che il culto di Diana fu introdotto a Nemi da<br />

58<br />

Thule Soci<br />

a cura della Sezione Femminile<br />

dell’Associazione Thule-Italia<br />

Oreste, figlio di Agamennone e Clitennestra che, dopo<br />

l’uccisione della madre e di Egisto, venne incaricato da<br />

Apollo di trafugare un simulacro di Diana in Tauride<br />

(la Crimea) per sfuggire alla furia delle Erinni<br />

(equivalenti delle Furie, tormentavano chi si<br />

macchiava dei delitti più turpi portandolo alla follia).<br />

Qui, dopo varie vicissitudini e l’uccisione del Re<br />

despota Toante, Oreste si ricongiunse con la sorella<br />

Ifigenia, sacerdotessa della Dea, e con lei fuggì<br />

portando con sé la statua della sanguinaria Diana<br />

Taurica nascosta in una fascina di legno e arrivò,<br />

infine, sulle sponde del lago laziale di Nemi.<br />

Così come la Diana Taurica pretendeva la morte di<br />

ogni straniero che mettesse piede sulla sua terra, anche<br />

la “nostra” Diana era legata a un sacrificio di sangue<br />

benché di diversa natura.<br />

Sotto le pendici di quello che adesso è il paese di Nemi<br />

c’era un bosco ai tempi chiamato il bosco di Aricia e, al<br />

suo interno, un albero sacro alla Dea sotto il quale si<br />

aggirava, come dice Frazer nel suo indimenticabile “Il<br />

Ramo d’Oro”, una truce figura, la spada sguainata,<br />

senza mai abbassare la guardia, perché un solo attimo<br />

di distrazione avrebbe potuto costargli la vita; Era il<br />

Rex Nemorensis, il Re del Bosco, un titolo che solo chi<br />

lo avesse ucciso avrebbe potuto sottrargli per morire<br />

poi a sua volta, appena la vecchiaia lo avesse indebolito<br />

perché uno più giovane e forte potesse prendere il suo<br />

posto. Un titolo legato quindi al vigore dell’uomo<br />

(Vira), al rinnovo e alla ciclicità degli eventi naturali.<br />

Solo uno schiavo fuggitivo poteva però di diritto sfidare<br />

il Rex Nemorensis e unicamente dopo aver colto una delle<br />

fronde dell’albero sacro, probabilmente una quercia.<br />

E se il Rex Nemorensis non si allontanava da<br />

quell’albero non era certo solamente per il timore di<br />

un pretendente al trono, egli gli era devoto e legato<br />

come era devoto e legato alla Signora delle Selve, tanto<br />

da far credere a ragione che l’albero e la Dea fossero<br />

una cosa sola; Il famoso Ramo d’Oro, invece, la fronda<br />

che dava al pretendente al trono il diritto di sfidare a<br />

duello il Re, è facilmente riconducibile all’Aureus<br />

Ramus che Enea dovette raccogliere su ordine della<br />

Sibilla per scendere nel regno degli Inferi, da<br />

Proserpina.


Questo perché non vi è regalità né ascesa senza la<br />

discesa nelle tenebre nigredee, la morte intesa come<br />

rito iniziatico di passaggio e il tramite e il fine in questa<br />

Via è il medesimo, che si tratti dei Misteri di Eleusi o<br />

di Nemi: la Potnia.<br />

Il paredro di Diana e primo, mitico Rex Nemorensis è<br />

stato Virbio, associato in seguito a Ippolito che, nella<br />

tradizione ellenica, per sfuggire a Teseo viene travolto<br />

da un cocchio trainato da cavalli e ucciso per essere poi<br />

riportato in vita da Asclepio, nascosto nei boschi di<br />

Aricia e camuffato, infine, dalla sua Signora, Diana,<br />

che gli dà l’aspetto di un vecchio.<br />

L’associazione di Virbio a Ippolito è senz’altro tarda<br />

ma le motivazioni del divieto di introdurre cavalli nel<br />

Nemus sono da ricercarsi, a livello ben più profondo,<br />

nel significato che poteva assumere la figura del cavallo,<br />

simbolo maschile di forza ed eroismo, in relazione a<br />

quella della Signora delle Selve, indubbiamente Regina<br />

oltre che dispensatrice di regalità.<br />

V’è forse un ultimo collegamento da fare fra la figura di<br />

Virbio/Ippolito e il martire cristiano Sant’Ippolito che<br />

“legato per i piedi al collo di indomiti cavalli, fu crudelmente<br />

trascinato per luoghi aspri e spinosi, e con il corpo tutto<br />

lacerato rese lo spirito.”(tratto dall’opera «Reliquie Insigni<br />

e “Corpi Santi” a Roma» di Giovanni Sicari) la cui<br />

ricorrenza cade guarda caso proprio il 13 Agosto, giorno<br />

in cui, secondo la tradizione romana, si festeggiava la<br />

purezza primigenia e, naturalmente, Diana.<br />

“Numen Inest”<br />

E aleggiava realmente un Nume in quel Tempio<br />

sprofondato in un silenzio innaturale, fuori posto come<br />

solo i resti di un sapere antico possono esserlo in questo<br />

mondo torturato.<br />

Ci siamo raccolte intorno all’altare colme di timore<br />

reverenziale, gli occhi lucidi di fronte alle offerte dei<br />

pellegrini e delle pellegrine.<br />

Ricordo una sensazione simile provata tanto tempo fa,<br />

sulla tomba di una Regina mitica del Connacht, sposa<br />

dei nove più grandi Re d’Irlanda e incarnazione stessa<br />

della Sovranità; Sì, la sensazione era la medesima in<br />

quei momenti di raccoglimento e silenzio nel Tempio di<br />

Diana ma con una differenza sostanziale: eravamo in<br />

molte stavolta a provare lo stesso sentimento, unite in un<br />

sodalizio e sorelle in nome di un principio non del tutto<br />

comprensibile ma certamente buono e giusto come poche<br />

cose arrivano ad esserlo nella vita di una persona.<br />

Sotto: Altare e offerte sull’altare<br />

Antonella Tucci / Pellegrinaggio a Nemi 59


LE DANZE SACRE<br />

FEMMINILI<br />

Prima tappa di un percorso attraverso le Tradizioni<br />

Sapienziali Femminili<br />

Zeus sposa Era e genera Ebe, Ilizia e Ares, ma si unisce<br />

anche a molte donne, mortali e immortali… …da<br />

Mnemosine [gli nascono] le Muse, Calliope per prima,<br />

poi Clio, Melpomene, Euterpe, Erato, Tersicore…<br />

Ed era Tersicore, appunto, la musa della danza e della<br />

lirica, nata da Zeus e Mnemosine, dall’unione<br />

dell’Autorità con la Memoria, l’incarnazione di una<br />

delle Arti più soavi. Raffigurata come una giovane col<br />

capo cinto di fiori e uno strumento a corde fra le mani,<br />

nelle rappresentazioni classiche raramente la sua<br />

figura dà un’idea di staticità.<br />

Saltando letteralmente di palo in frasca (o forse non<br />

poi così tanto) mentre scrivo vedo, con gli occhi del<br />

pensiero, l’opera di un artista giapponese, Hokusai, il<br />

“vecchio pazzo per la pittura”: il monte Fuji, sulla<br />

destra, svetta verso il cielo, imponente e granitico e<br />

sembra che niente possa toccarlo, modificarne la<br />

posizione, offuscarne la potenza; a sinistra un’onda,<br />

60<br />

Thule Soci<br />

di Antonella Tucci<br />

(Argentea)<br />

colta al massimo dell’impennata, esattamente una<br />

frazione di secondo prima che i flutti spumosi si<br />

abbattano nuovamente e con violenza sulla massa<br />

d’acqua sottostante e al centro, infine, in balia delle<br />

forze antitetiche per eccellenza, l’Essere e il Divenire,<br />

sfida la sorte una piccola e fragile barca di pescatori.<br />

La mia attenzione, anche se con gli occhi della mente,<br />

viene catturata come sempre dalla gigantesca onda e<br />

non a caso perché è naturale per una donna<br />

riconoscersi in tutto ciò che diviene e fluisce.<br />

“Divenire” è una parola che spesso gli ignoranti hanno<br />

adoperato, riferendosi alle donne, come sinonimo di<br />

incoerenza e instabilità. Niente di più falso.<br />

L’acqua del mare resta sempre acqua, per quanto<br />

torbida o agitata possa essere, sensibile com’è ai venti<br />

e alle correnti e la terra resta sempre terra<br />

indipendentemente dalle nascite e dalle morti, dal<br />

susseguirsi delle stagioni e dei cicli vitali.<br />

La donna è naturalmente più vicina dell’uomo a questi<br />

cicli, ne sente interiormente il ritmo, la sua esistenza ne<br />

è scandita a livello più o meno consapevole, una<br />

vicinanza che in passato era parte integrante del


misticismo femminile e che veniva (e in certi casi viene<br />

ancora) spesso comunicata attraverso la più ovvia delle<br />

esternazioni in questo senso: la danza.<br />

Parlare di “danze sacre” in età moderna è alquanto<br />

difficile, le prove scritte diventano sempre più scarse<br />

tanto più si viaggia a ritroso nel tempo e alla fine,<br />

qualunque affermazione fatta in base allo studio delle<br />

tradizioni, dei miti e dei documenti non scritti, viene<br />

relegata nel limbo delle congetture. Poco male in<br />

realtà, visto che è in questo limbo che a noi piace<br />

muoverci, libere dalle catene della storiografia ma<br />

consce della memoria di ciò che è stato e che, ne siamo<br />

convinte, non muore mai: deve solo essere risvegliata.<br />

Irina Naceo nel suo “Delle antiche danze femminili”<br />

(edizioni della Terra di Mezzo) pone inizialmente<br />

l’attenzione sulla moderna danza classica<br />

paragonandola alla maggior parte delle danze<br />

tradizionali femminili sopravvissute nelle popolazioni<br />

che, ai giorni nostri, hanno mantenuto a tratti integre<br />

le usanze del passato.<br />

Nella danza classica, miracolo di postura ed eleganza,<br />

il bacino deve restare assolutamente immobile, lo studio<br />

della tecnica delle punte, se praticato precocemente, può<br />

provocare gravi danni, anche irreversibili, quali scoliosi,<br />

problemi alle ginocchia e alle anche ed infine, per<br />

raggiungere quella grazia artificiosa e artificiale nei<br />

movimenti, le ballerine pagano uno scotto non<br />

trascurabile: l’estrema magrezza e rigidità dei muscoli,<br />

nel complesso l’impressione è di trovarsi davanti una<br />

figura eterea e androgina, essenzialmente priva dei tratti<br />

distintivi femminili.<br />

Non a caso la danza classica è un’arte moderna, nel<br />

passato i movimenti tipici delle danze femminili erano<br />

sicuramente meno artificiosi perché, anche quando<br />

necessariamente costruiti, sottolineavano ed<br />

esaltavano la figura della donna celebrando il mistero<br />

della creazione e dei ritmi della natura.<br />

Le tracce in Europa delle antiche danze sacre<br />

femminili si trovano senza fatica: Snorri ci racconta di<br />

una pratica sciamanica riservata solo alle donne, il<br />

seidhr, magia femminile volta alla divinazione dove il<br />

raggiungimento della trance si otteneva grazie alla<br />

musica, abbiamo poi le descrizioni dei baccanali, delle<br />

danze a Demetra e Persefone nei Misteri Eleusini, si sa<br />

delle attività coreutiche delle fanciulle istruite da Saffo<br />

e non è un mistero la presenza femminile nelle danze<br />

dei Salii a Roma (Le Virgo Saliari); se diamo al<br />

Simbolo la validità storiografica che gli è dovuta non<br />

possiamo tralasciare inoltre le infinite pitture,<br />

statuette e graffiti raffiguranti donne nell’atto di<br />

danzare, la spirale neolitica stessa, così diffusa in<br />

Europa, è probabilmente la rappresentazione grafica<br />

della più antica danza primordiale di cui si ha notizia,<br />

e poi poesie e miti e fiabe. Un panorama immenso del<br />

quale ad oggi non è rimasto assolutamente niente.<br />

E qui il paragone, in uno dei soliti voli pindarici che,<br />

oramai l’avrete capito, sono parte di me, viene<br />

spontaneo: la Danza Sacra e la Via della Spada in<br />

occidente e il loro corrispettivo in oriente.<br />

Ad oggi, chiunque voglia in Europa intraprendere la<br />

Via della Spada sa di non potersi rivolgere ai sedicenti<br />

maestri d’occidente.<br />

La Scrimia, (così viene chiamata adoprando un termine<br />

relativamente giovane) l’arte marziale italica, è<br />

sopravvissuta, è vero, ma come privilegio di pochi, dove<br />

a fare la selezione non è l’Arte stessa ma l’appunto<br />

sedicente maestro, modus agendi di stampo squisitamente<br />

massonico sicuramente corretto in certi campi ma che<br />

poco ha a che vedere con la Via della Spada.<br />

Ecco perché, come l’uomo che intenda intraprendere<br />

realmente l’Arte che per diritto naturale dovrebbe<br />

poter imparare deve necessariamente volgere lo<br />

sguardo a oriente, così è costretta a fare la donna che<br />

intenda riscoprire la Danza nella sua accezione sacra<br />

tesa al ricongiungimento con l’Archetipo.<br />

Con questo, sia chiaro, non intendo “promuovere” o<br />

“preferire” le altrui tradizioni, al contrario il fine è di<br />

risvegliare nella nostra Terra e fra la nostra Gente quelle<br />

che sono tradizioni ancestrali e immutabili perché, come<br />

il Guerriero è senza tempo e senza luogo, così lo è la<br />

Danzatrice quale che sia l’iconografia e la collocazione<br />

geografica che l’essere umano le ha attribuito nel corso<br />

della sua storia e delle sue peregrinazioni.<br />

Del perché presso alcune popolazioni, spesso e non a<br />

caso definite “primitive” o “barbare” dall’occidentale<br />

moderno, molte Tradizioni Sapienziali siano<br />

sopravvissute non è il caso di discutere in questa sede<br />

poiché il discorso porterebbe lontano allontanandosi<br />

troppo dall’argomento in oggetto.<br />

Antonella Tucci / Le danze sacre femminili 61


LE DANZE SACRE<br />

FEMMINILI<br />

La Danza del Ventre<br />

Brevi cenni storici<br />

È pensiero comune che la danza volgarmente detta<br />

“del ventre” sia nata negli Harem dove le concubine<br />

la praticavano per ingannare il tempo in attesa che la<br />

scelta del Califfo cadesse su di loro.<br />

Solo due cose sono vere in questo luogo comune<br />

occidentale, entrambe identificabili fra le righe: la<br />

danza del ventre non era una danza nata “per gli<br />

uomini” ed effettivamente le concubine dei califfi<br />

venivano istruite nelle attività coreutiche, nelle arti e<br />

nelle scienze.<br />

Non ci dilungheremo troppo su un aspetto che<br />

riguarda strettamente la cultura islamica e in un<br />

periodo relativamente moderno perché a noi piace, per<br />

quanto possibile in quanto limitatamente legate a un<br />

corpo umano e inevitabilmente figlie della decadenza,<br />

viaggiare a ritroso verso l’origine e non fermarci alle<br />

degenerazioni della stessa.<br />

In realtà “Danza del Ventre” è il nome che i viaggiatori<br />

occidentali orientalisti del diciottesimo secolo diedero<br />

a questo ballo dalle movenze morbide e sensuali,<br />

principalmente concentrate nel bacino, percependone<br />

erroneamente un erotismo volto alla seduzione del<br />

maschio.<br />

Il diciottesimo secolo era però piena decadenza anche<br />

per il medioriente ed è vero che le ballerine, già da<br />

tempo, danzavano per “professione” alle feste e ai<br />

matrimoni al fine di mostrarsi e intrattenere e non<br />

certo in un contesto sacro o rituale.<br />

Putroppo l’assenza di documenti scritti antecedenti il<br />

1700 rende difficile ricostruire la storia della danza del<br />

ventre, ma vi sono, ad esempio, statuette<br />

antropomorfe e decorazioni su ceramiche<br />

predinastiche (3800- 3500 a.C) egiziane che fanno<br />

pensare a danze a carattere magico-rituale; le origini<br />

sono però molto probabilmente ancora più antiche e<br />

si riallacciano ai culti mesopotamici di fertilità relativi<br />

alla dea Inanna o Ishtar nella versione akkadica.<br />

Ma i movimenti che compongono questa danza si<br />

slegano da qualunque appartenenza geografica,<br />

riproducendo, non solo con il ventre ma anche con la<br />

parte superiore del corpo, le braccia e le mani, i<br />

simboli archetipici che sono da sempre parte<br />

62<br />

Thule Soci<br />

integrante del misticismo femminile, i medesimi che<br />

qualunque donna riprodurrebbe, seppure ignara della<br />

tecnica e della postura e scevra da qualunque<br />

insegnamento in merito e, ovviamente, in uno stato<br />

non dico d’estasi ma sicuramente consapevole,<br />

ballando istintivamente al ritmo di strumenti<br />

“primitivi”, percussioni o fiati.<br />

Simboli archetipici nei movimenti della Danza del<br />

Ventre<br />

La posizione di base prevede i piedi ben piantati per<br />

terra, le gambe leggermente flesse e le articolazioni il<br />

più possibile morbide e rilassate.<br />

A differenza della danza classica dove si cerca in ogni<br />

modo di vincere la forza di gravità, la Danza del Ventre<br />

permette alla donna di abbandonarsi al richiamo<br />

ctonio della Madre.<br />

L’Infinito<br />

di Antonella Tucci<br />

(Argentea)<br />

Il primo movimento in cui ci si imbatte muovendo i<br />

primi passi in questa danza e che raramente risulta<br />

“nuovo” agli occhi di qualunque donna, è una<br />

oscillazione e torsione del bacino alternativamente a<br />

destra e a sinistra che, se ininterrotta, riproduce quello<br />

che viene chiamato “otto orizzontale”, due cerchi<br />

gemelli uniti su un lato: il simbolo dell’infinito,<br />

rappresentazione grafica di tutto ciò che, ciclico,<br />

eternamente ritorna.


Questo simbolo viene riprodotto molto spesso nella<br />

Danza del Ventre, orizzontalmente, verticalmente o<br />

lateralmente interessando sostanzialmente la zona<br />

addominale e il bacino dove risiede uno dei centri di<br />

forza più importanti, quello che gli indiani chiamano<br />

Svadhisthana, raffigurato come una falce di luna<br />

inscritta in un cerchio e circondato da sei petali nei<br />

toni dell’arancione e del rosso; Anche lo Shimmy, la<br />

rapida vibrazione del corpo prodotta dal rilassamento<br />

e l’irrigidimento alternato dei muscoli delle gambe,<br />

stimola questo Chakra, simbolo affine all’acqua<br />

intesa come brodo primordiale in cui si sviluppa la<br />

vita, risvegliando e distribuendo uniformemente<br />

le energie legate alla sessualità e alla forza vitale.<br />

Il Sole<br />

La lenta rotazione del busto effettuata<br />

mantenendo la schiena dritta, tramite il solo<br />

spostamento del peso del corpo prima a destra,<br />

poi indietro, ancora a sinistra e infine in avanti,<br />

viene chiamata “Il Sole” e riproduce in effetti un<br />

cerchio perfetto assimilabile, come tutto ciò che è<br />

curvo e flessibile nella Geometria Sacra, alla<br />

polarità femminile.<br />

Viene così naturale pensare a Ouroboros, il<br />

serpente che si morde la coda, che racchiude in sé<br />

non solo la simbologia del cerchio ma anche quella<br />

di uno degli animali sacri alla Madre.<br />

Quello della Donna e il Serpente fu infatti un<br />

connubio millenario, spezzato da chi volle<br />

trasformare il sangue che rigenera in una<br />

maledizione.<br />

Il Serpente<br />

Il movimento sinuoso del corpo e delle braccia che<br />

ricorda l’incedere del serpente si rifà al periodo in<br />

cui i cristiani non avevano ancora imposto a Maria<br />

di schiacciare il rettile col piede demonizzando in<br />

quel modo il principio femminile e decidendo che<br />

il Divino non poteva avere volto di donna.<br />

Il serpente è sempre stata una delle principali<br />

ierofanie zoomorfe della Dea e animale a Lei sacro<br />

ma fu trasformato in un demone tentatore<br />

quando era invece simbolo di cambiamento,<br />

rinascita e soprattutto di fecondità (basti pensare<br />

alla dea Tiamat, a Visnù addormentato fra le spire<br />

del serpente o alla leggenda dell’unione di Fauno<br />

con Bona Dea), profeta e custode di segreti e<br />

misteriosi tesori spesso ipogei (ricordiamo<br />

l’<strong>italia</strong>nissima Dea Serpente, la Sibilla<br />

Appenninica e Medusa, custode degli Inferi).<br />

Nel suo “Il corpo delle Dea”, Selene Ballerini cita<br />

la psichiatra junghiana Esther Harding che<br />

segnala un’associazione fra il serpente e la prima<br />

mestruazione causata, secondo alcune antiche<br />

credenze, dal suo morso; Anche in questo caso il<br />

serpente vine inteso, quindi, come colui dal quale<br />

ha origine il sangue inteso come principio creativo<br />

e non come punizione per il più grande dei peccati.<br />

Antonella Tucci / Le danze sacre femminili 63


LE DANZE SACRE<br />

FEMMINILI<br />

Reali effetti benefici sul corpo della donna<br />

La cosa più complicata per una donna che muove i suoi<br />

primi ed è il caso di dire, timidi, approcci alla danza del<br />

ventre è sicuramente “liberare” il bacino e le anche,<br />

muoverli cioè sinuosamente e in modo naturale,<br />

indipendentemente dal resto del corpo.<br />

La motivazione risiede probabilmente nel fatto che la<br />

maggior parte delle donne si “mantiene in forma” in<br />

sala pesi o facendo spinning o just pump, attività che<br />

non prevedono certo l’utilizzo del bacino o la capacità<br />

di muovere diverse parti del corpo indipendentemente<br />

l’una dall’altra e che “legano” anzi le giunture, se non<br />

accompagnate da allungamenti e respirazioni profonde.<br />

Giusto chi ama i balli latino americani spesso si trova<br />

più avvantaggiata rispetto alle altre anche se i<br />

movimenti risultano sempre più volgari di quelli di una<br />

danzatrice orientale che pure muova il bacino nello<br />

stesso modo.<br />

Ad ogni modo, limiti fisici a parte, la mia idea è che siano<br />

stati secoli di de-femminilizzazione della donna a farci<br />

trovare innaturali dei movimenti che, non solo sono<br />

naturalissimi per il corpo femminile, ma lo rendono più<br />

forte dove è giusto che lo sia, in previsione per esempio<br />

della gravidanza, del parto o dei dolori mestruali.<br />

La posizione base della Danza del Ventre prevede il<br />

bacino chiuso senza per questo contrarre innaturalmente<br />

i glutei, questo porta ad un graduale allungamento e<br />

raddrizzamento della colonna vertebrale.<br />

Grazie a questa posizione è possibile riabituarsi alla<br />

respirazione profonda, quella “addominale”, cosa che<br />

soltanto chi pratica una disciplina, quale che sia la danza,<br />

lo Yoga o un’arte marziale, oramai è in grado di fare.<br />

Donne e uomini del ventunesimo secolo respirano<br />

freneticamente come frenetici sono i loro ritmi, la<br />

paura di arrivare in ritardo o la documentazione da<br />

consegnare al capoufficio, le bollette da pagare e le<br />

relazioni interpersonali condotte in modo sbagliato,<br />

tutti questi stimoli negativi, se presi come fossero la<br />

parte realmente importante della vita, portano alla<br />

respirazione ansiosa che, anche quando non sfocia in<br />

patologia (molti di voi si stupirebbero di scoprire di<br />

non saper respirare), è la causa principale di una serie<br />

di problemi fisici quali emicranie, mal di stomaco,<br />

difficoltà a ricordare le cose, fatica a svegliarsi la<br />

mattina, insonnia.<br />

64<br />

Thule Soci<br />

La respirazione profonda aiuta inoltre a riscoprire il<br />

proprio ventre e l’atto di contrarre e decontrarre i<br />

muscoli senza sforzarli troppo ma per periodi<br />

prolungati, li rende tonici e al contempo elastici, senza<br />

l’irrigidimento innaturale che le sedute di ore in<br />

palestra provocano e, soprattutto, senza l’aberrante<br />

effetto “tartaruga” dell’addominale scolpito, primo<br />

sintomo della de-femminilizzazione di cui sopra.<br />

Inoltre la capacità di rilassare il ventre aiuta nei dolori<br />

mestruali e, di conseguenza, durante il parto dove la<br />

donna diviene parte attiva rendendo più sopportabili<br />

le contrazioni e più efficaci le spinte.<br />

Possiamo tranquillamente affermare che i corsi preparto,<br />

gratuiti o a pagamento che siano, le moderne<br />

ginnastiche “dolci”, gli “innovativi” metodi americani<br />

et similia, cerchino di insegnare quello che per secoli le<br />

fanciulle di tutto il mondo hanno imparato dalle madri<br />

e dalle sacerdotesse in modo sicuramente più<br />

divertente ed efficace: danzando il mistero della vita.<br />

Naturalmente anche le spalle risentono positivamente<br />

di una postura corretta e della respirazione profonda e<br />

soprattutto la schiena, sulla quale siamo solite<br />

scaricare inconsapevolmente le tensioni della giornata,<br />

si rilassa finalmente, allungandosi.<br />

Conclusioni<br />

di Antonella Tucci<br />

(Argentea)<br />

E’ giunto il momento di tirare le somme di quanto<br />

scritto e non v’è niente di più complicato.<br />

Forse l’unica cosa, la sola che vale veramente la pena<br />

di sottolineare è che non si deve essere ballerine per<br />

danzare. Il mondo moderno ci ha insegnato che o si<br />

impara a ballare fin da bambine o ci si accontenta delle<br />

discoteche o dei balli di coppia. Tutto ciò è falso. Siamo<br />

danzatrici per natura, danziamo la vita e la gioia<br />

d’essere donne, danziamo perché rifiutiamo le catene<br />

imposte da coloro che decidono cosa è bello e cosa è<br />

giusto: gli stilisti, i media, le aberrazioni moderne che<br />

oramai conosciamo bene, danziamo perché amiamo<br />

abitare il nostro corpo finché la nostra anima dovrà<br />

restarvi legata in questo mondo e in questo tempo,<br />

perché l’unico canone di bellezza al quale rispondiamo<br />

è quello dell’archetipo femminile al quale tendiamo,<br />

danziamo perché danzando facciamo sì che la memoria<br />

di ciò che è stato non si perda. Mai.


Ringraziamenti<br />

Sono forse strani i ringraziamenti alla fine di un<br />

articolo tanto breve ma ho preferito ringraziare coloro<br />

che hanno scritto i testi che mi hanno aiutata nella<br />

stesura dello stesso piuttosto che stilare una sterile<br />

bibliografia.<br />

Ringrazio dunque Irina Naceo autrice di “Delle<br />

antiche danze femminili” (Edizioni della Terra di<br />

Mezzo); Maria Strova autrice de “Il Linguaggio<br />

segreto della Danza del Ventre, I Simboli, la<br />

Sessualità, la Maternità, le Radici dimenticate”<br />

(Macroedizioni) e Selene Ballerini, autrice de “Il corpo<br />

della Dea” (Edizioni Atanòr).<br />

Ringrazio inoltre la mia Maestra di danza perché la<br />

teoria non è niente se non si applica alla pratica con<br />

costanza e sacrificio.<br />

Ringrazio mia Madre e le mie Sorelle e Beatrice, i cui<br />

disegni parlano della gioia d’essere donne meglio di<br />

cento bei discorsi.<br />

Ringrazio inoltre gli Uomini che fanno parte della mia<br />

vita e grazie ai quali divenire quello che sono acquista<br />

un senso.<br />

E ringrazio anche Me Stessa per tutte le volte che avrei<br />

potuto mollare ma non l’ho fatto.<br />

Il tutto, ovviamente, non in ordine d’importanza.<br />

“Tutto nella danza del ventre è segretamente intenzionale,<br />

in essa si racchiude un linguaggio eterno”<br />

Maria Strova<br />

Antonella Tucci / Le danze sacre femminili 65


UNO SCRITTORE<br />

BENINTENZIONATO di Valerio Raimondi<br />

Se il libro che andremo tra poco ad esaminare (“Con le<br />

peggiori intenzioni”, Mondadori 2005) non avesse<br />

vendute frotte di copie in giro per l’Italia, sarebbe ridicolo<br />

solo il prendere in esame la possibilità di occuparsene; se<br />

in ogni biblioteca pubblica romana (l’autore dell’articolo<br />

ha preso in esame la sola città di Roma ma non dispera<br />

che le cose stiano così anche altrove) non campeggiasse<br />

fiera almeno una copia di tale romanzo, giù a ridere<br />

all’idea di occuparsene; se ancora oggi, a due anni dalla<br />

pubblicazione, l’autore non venisse invitato a pispolare<br />

allegramente del suo remunerativo scritto a destra e a<br />

manca in televisione, ancora risate.<br />

Ma le cose stanno proprio così. E non c’è scappata<br />

neanche una risata.<br />

Ai suoi tempi, Federico Nietzsche, postumo in vita,<br />

asseriva che “chi conosce in profondità, si sforza<br />

d’essese chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla<br />

moltitudine, si sforza d’essere oscuro”; oggi, il postero<br />

Alessandro Piperno, autore de “Con le peggiori<br />

intenzioni”, ha d’un colpo riguadagnato alla chiarezza<br />

e alla profondità la moltitudine: non si rammenta,<br />

infatti, una profluvie di unanimi giudizi su un singolo<br />

testo letterario – che non sia già stato sanzionato come<br />

immortale – pari a quella che ha investito l’opera<br />

prima del Piperno.<br />

Come ha fatto il romanziere romano, già professore a<br />

contratto all’università di Tor Vergata, a salvare capra<br />

e cavoli? È sobillati da tale rovello che si è deciso di<br />

sondare più a fondo.<br />

Come romanzo, Con le peggiori intenzioni, a onor del<br />

vero, non vale una cicca. È letteratura fiacca e<br />

maldestramente accozzata. E vi è una teoria di motivi<br />

oggettivi (che l’autore sembra aver disseminato<br />

dall’inizio alla fine per venirci incontro<br />

nell’operazione) a corroborare tale apparente assioma.<br />

Anzitutto formali, lessicali e stilistici. I due più<br />

evidenti: la verbosità e il turpiloquio. Piperno è uno di<br />

quegli incontinenti che sublima i guasti della propria<br />

debole vescica con inchiostro e carta bianca. Non c’è<br />

requie per il lettore che s’avventuri senza macete nella<br />

selva parolaia: serpentine sinonimiche prive di alcun<br />

significato a parte quello di stancare l’occhio,<br />

proliferazioni aggettivali che ammorbano, con<br />

l’accelerazione riproduttiva di cellule impazzite, il più<br />

dei sostantivi, come scialbe infiorescenze; un fottìo di<br />

68<br />

Recensioni<br />

iperboli e un uso smodato di maiuscole (quanto alle<br />

prime, per Piperno tutto è superlativo, tutto è<br />

“issimo”; per le seconde, l’autore si spassa a creare<br />

nuove categorie dello Spirito: l’Impoderabile, la Storia<br />

– quale? – il Padre, l’Oblio, per non omettere la coppia<br />

di contrari, d’ascendenza illustre, “salvati/sommersi”<br />

– evidentemente in maiuscolo – tanto per limitarsi alle<br />

primissime pagine); uno spreco di cultismi e un salasso<br />

di forme auliche, fastidiose e puntuali come una goccia<br />

cinese; un periodare non “a lunga gittata”, ché in tal<br />

caso avrebbe avuto la parvenza di una classica<br />

complessità, ma fitto di frasette veloci, voraci<br />

accumulazioni, esasperanti cumuli verbaioli.<br />

Insomma, in breve: un linguaggio barocco. Ma nulla<br />

condivide tale sperpero da grafomane compulsivo col<br />

nobile e alto uso che riusciva a farne un Gadda (tanto<br />

per dire del migliore), inappuntabile uomo d’ordine<br />

oltre che grande scrittore. Questi cristallizzava<br />

l’ipertrofia in stile, Piperno ne fa scarico di sciacquone;<br />

l’uno torceva lo stile col gesto drammatico d’una<br />

scultura michelangiolesca, l’altro lo stile lo inamida<br />

delle proprie polluzioni.<br />

Il turpiloquio, poi. Vi si rompe, il Piperno, con gaio<br />

sollazzo e rapace calcolo assieme. Quale traccia ha<br />

lasciato nella pagina pipernesca Celine, colui che<br />

magistralmente più di ogni altro seppe dosare nei suoi<br />

romanzi, con altissima capacità mimetica, il rude e<br />

aspro gergo soldatesco o l’argot parigino? Nulla. Il<br />

“pipernismo” (come è stata non senza brillantezza<br />

definita la “maniera” del nostro) sembra assediato<br />

dalla smania di un non meglio precisato modernismo<br />

letterario. Tutto tramato di volgarità becere ma<br />

laccate e come tirate a lucido dal cultismo che in<br />

genere segue, a controbilanciare facili concessioni alla<br />

gratuità volgare di matrice televisiva. (Ma, del resto,<br />

quello dello “specchio riflettente”, meccanismo<br />

principe innescato dal tubo catodico, è il grimaldello<br />

di molta produzione letteraria – e non solo – attuale, e<br />

il nostro dimostra di conoscerne i meccanismi e di<br />

saperli oliare con perizia)<br />

Un tale pastrocchio stilistico produce invero un malloppo<br />

duro a digerirsi se non da tripli stomaci, una prosa<br />

insulsa, macchinosa, un testo farraginoso che fa acqua<br />

dovunque. Solo noia (del lettore) e boria (dello scrittore).<br />

Ecco allora la domanda cruciale: perché la Mondadori,<br />

nel 2005, decise di fare, del romanzo in questione, il


prodotto editoriale dell’anno? Un libro che, come<br />

informano gli amanti dei numeri, vendette 90.000<br />

copie solo nelle prime due settimane e 200.000 in<br />

appena due mesi, dalle numerevoli ristampe (anche in<br />

formato economico) e dalla meritata consacrazione<br />

(l’anno successivo) come allegato al Corriere delle sera?<br />

Il dato incontrovertibile è che il mercato editoriale<br />

nostrano è comandato con fermezza da un grappolo di<br />

case editrici. Fare di un libro il best-seller dell’anno è<br />

un problema solo all’inizio, lo scegliere l’uno o l’altro<br />

titolo. Poi entra in scena la macchina collaudata,<br />

quella della pubblicità già uno o due mesi prima che il<br />

titolo venga stampato, l’allerta dei maggiori critici dei<br />

quotidiani che si prendano la briga d’una lettura in<br />

anteprima per saggiarne il valore, il tonante megafono<br />

una volta stampato e distribuito in libreria dei mezzi<br />

di informazione sollecitati senza esclusione, i salotti<br />

televisivi e via discorrendo.<br />

E su Piperno ecco scatenarsi un ecumenico consenso<br />

(paradossale per uno scrittore di origini ebree – anche<br />

non conoscendole, lo proverebbe il nome e il profilo<br />

adunco). Ancora più paradossale perché su tutti i libri<br />

italioti che nell’ultimo decennio hanno monopolizzato<br />

il mercato, sono piovuti, con un manicheismo sospetto,<br />

tanti elogi quante, se non stroncature (quest’ultima è<br />

una tradizione che non ha mai attecchito nel Bel<br />

Paese), almeno remore all’incenso e critici dubbi. E<br />

invece, nel 2005, finalmente un romanzo “sontuoso,<br />

comico, tragico, miracolosamente e mirabilmente<br />

incerto tra sciagura e parodia” (Sette); “uno dei più<br />

brillanti esordi della nostra letteratura recente”<br />

(Corriere della sera), che “rinverdisce la gloriosa<br />

tradizione del romanzo b<strong>org</strong>hese moderno” (Il Foglio);<br />

“magico è il talento di Piperno” (Diario), “Piperno, un<br />

ebraico re Mida che fa meraviglie” (Tuttolibri),<br />

“stilisticamente molto elegante; divertente e<br />

corrosivo” (Il Giornale), “la narrazione scorre<br />

inesorabilmente esilarante, senza peli sulla lingua”<br />

(Famiglia Cristiana) e, come non bastasse, il premio<br />

Viareggio e il premio Campiello in sequenza. Un coro<br />

di plauso e di allori le cui vesti di corifeo l’ha<br />

degnamente indossate Antonio d’Orrico (“un romanzo<br />

prodigioso, un libro che fa paura per la sua bellezza”),<br />

critico capo del Corriere.<br />

Il libro di Mellissa P, mi dico, ignobile mostro editoriale<br />

degli ultimi tempi, era almeno tarato sul latente<br />

bigottismo b<strong>org</strong>hese, pronto a vellicarne le bassissime<br />

prurigini, e in questo stava la sua giustificazione a<br />

posteriori. Ma con Piperno come la si mette? Dacché la<br />

eventuale – e folle – giustificazione di un libro<br />

commerciale, oggi, non la si può certo ricavare per<br />

deduzione, ma solo per induzione – come s’è detto<br />

sopra è la grossa casa editrice che sceglie prima quale<br />

sarà il libro che immancabilmente venderà trequattrocentomila<br />

copie, forse un milione, al di là del<br />

bene e del male. Piperno è il vuoto pneumatico<br />

agghindato a festa con spillette e lustrini, e ogni<br />

giustificazione formale, come quelle che hanno fatto a<br />

gara a tirar fuori dal cilindro i critici di cui sopra, è ora<br />

sordida mistificazione, ora appecoronamento all’incenso<br />

già bruciato e al subisso di copie già vendute.<br />

Ma c’è di più. Una seconda questione, cruciale in<br />

questo scritto: perché mai nessuno – dico nessuno – fra<br />

gli illustri critici (come fra gli improvvisati che a<br />

centinaia si sono accapigliati su blog e su siti internet<br />

dedicati), perché mai, dicevo, nessuno fra costoro ha<br />

neanche solo accennato, se non, e nel migliore dei casi,<br />

con brevissime e innocue sinossi, alla vera sostanza<br />

pulsante del romanzo piperniano?<br />

Vediamo allora di cosa parla, questo capolavoro.<br />

Quanto alla sinossi, per insulsaggine e vietume della<br />

medesima, basta riportare pedissequamente le poche<br />

righe vergate in seconda di copertina:<br />

“L’epopea dei Sonnino, ricca famiglia di ebrei romani,<br />

dai tempi eroici dello sfrenato nonno Bepy e del suo socio<br />

Nanni Cittadini – la cui irriducibile competizione peserà<br />

in modo fatale sui rispettivi eredi – ai giorni assai meno<br />

grandiosi dello sgangherato nipote Daniel. Le avventure,<br />

gli amori, le ossessioni e i tradimenti degli eroi vitalisti<br />

degli anni Sessanta e dei loro rampolli dorati e imbelli,<br />

dei giovani e dei vecchi, delle famiglie antiche e dei<br />

parvenu, dei fortunati e dei falliti, si succedono di festa<br />

in festa, di scandalo in scandalo, in un romanzo<br />

spettacolare”. Tutto chiaro? Perché è questo il nocciolo<br />

oltre il quale nessuno ha avuto l’ardire di spingersi.<br />

Invece a me, per esempio, è venuto l’uzzolo di capire di<br />

più sull’endoscheletro, di vedere come è stato<br />

accozzato il modellino in plastica.<br />

Il dispositivo narrativo si fonda su di un bipolarismo<br />

essenziale dall’inizio alla fine: da un canto la famiglia<br />

Valerio Raimondi / Uno scrittore benintenzionato 69


UNO SCRITTORE<br />

BENINTENZIONATO di Valerio Raimondi<br />

Sonnino, il cui “Padre” è Bepy; dall’altro, Sonnino<br />

Daniel, l’ultimo di detta famiglia in quanto il di lui<br />

nipote minore. Tale bipolarismo di fondo viene<br />

letteralmente innervato dal tipo di narratore che tiene<br />

banco per tutto il testo: un narratore in prima<br />

persona. In realtà, che il narratore sia in prima<br />

persona e chi sia effettivamente lo si scopre solo verso<br />

pagina 50, quando attacca il pieno di spirito capitolo<br />

terzo “L’eroico trafugatore di collant”; prima di allora<br />

la netta impressione è che si tratti di una terza persona<br />

onnisciente, dalla feroce ironia e dal tagliente<br />

sarcasmo, a parte due o tre flebili tracce che mettono<br />

sull’attenti il lettore esperto. Proprio per questo la<br />

bipolarità strisciante famiglia Sonnino/ Daniel si regge<br />

su un originario e incongruo rapporto di forze: poiché<br />

il narratore – prima persona – è lo stesso Daniel<br />

Sonnino, il quale, nel doppio ruolo di narratorepersonaggio,<br />

è il vero centro focale della narrazione. Si<br />

dà il caso, dunque, che le vicende dei Sonnino siano<br />

tutte filtrate dalla lente deformante di chi narra, e<br />

plasmate sulla scorta del suo giudizio corrosivo e<br />

moraleggiante. “Un ebreo che attacca gli ebrei” è lo<br />

stesso autore a suggerire a un certo punto (e con quale<br />

buona fede!), una sorta di moralizzatore severo e<br />

intellettuale che mette all’indice la propria famiglia in<br />

quanto sentina del vizio, che condanna senza appello<br />

il vitalismo, incarnato in nonno Bepy, di formidabile<br />

donnaiolo, di scialacquatore senza fondo, di<br />

materialista della prima ora, e infine, bancarottiere, di<br />

truffatore e ladro, ma sempre ben contento di esserlo.<br />

La sferza del narratore-personaggio, però, si fa<br />

incalzante, implacabile: la condanna è verso la<br />

rimozione dei tempi che furono, poiché “questi giudei<br />

della Roma bene avevano sostituito […] al terrore per<br />

Mussolini e Hitler, la mimetica venerazione per Clark<br />

Gable e per Liz Taylor”.<br />

L’autore, che sulle prime avvezza lo sprovveduto<br />

lettore a pensare che il narratore sia terzo alla storia e<br />

purtuttavia onnisciente, dà fulmineo una scossa,<br />

introducendo ufficialmente come legittimo proprietario<br />

di quei giudizi salaci, scoccati senza remore, Daniel<br />

Sonnino: così facendo imprime pesantemente, nella<br />

mente sferzata di chi legge, come sigillo nella cera, la<br />

costante presenza di questi come censore e moralista.<br />

Ma proprio quando tale personaggio nodale fa la sua<br />

comparsa, questo Minosse giusto rivendicante la<br />

70<br />

Recensioni<br />

memoria dei cari estinti, è proprio lui a presentarsi (chi<br />

scrive scrive appunto di se stesso!) come un depravato<br />

della prima ora, onanista incallito, un’anima di fango<br />

che s’eccita sessualmente alla vista – e all’odore – della<br />

calze usate della zia israeliana, trafugandone una scorta<br />

per i clandestini e furiosi smaneggiamenti; ragazzozerbino<br />

rispetto alle ragazze della classe scolastica,<br />

smidollato e erotomane fino al parossismo.<br />

E cos’è peggio di un giudice corrotto? La credibilità<br />

del giudice giusto e salace viene annientata<br />

miseramente nel giro di poche righe, quella stessa<br />

credibilità che l’autore, al giudice-personaggio, aveva<br />

cercato di conferire (si capisce ora con quale sforzo<br />

farisaico) sin dall’attacco del romanzo.<br />

Le rivendicazioni post-olocausto di Bepy e dei suoi, a<br />

bruciare una vita di sfrenatezze e sregolatezze<br />

iperboliche, appaiono tanto più legittime in quanto chi<br />

sembrava avere i galloni per condannare con piglio<br />

tranciante se ne dimostra fragorosamente indegno.<br />

Così Bepy, per chi legge, può essere non più “il<br />

dissolutore, il vitalista accecato da donne e denaro”, ma<br />

più bonariamente una vecchia canaglia; la nonna Ada<br />

non più quella “megalomane, vedova nera”, ma una<br />

simpatica arteriosclerotica, e così di questo passo nel<br />

catalogo famigliare, un rovesciamento parodico dopo<br />

l’altro: la trasformazione è riuscita, e con successo.<br />

Non mancano, peraltro, disseminate nel testo,<br />

puntuali allusioni per far intendere che Daniel Sonnino<br />

è niente di meno che alter-ego di Alessandro Piperno:<br />

il narratore-personaggio sarebbe una chiara proiezione<br />

dell’autore, la vicenda nient’altro che biografica,<br />

individuale, isolata.<br />

E no!, caro (e furbo) Piperno. Vuoi forse dare a bere<br />

che la vicenda di cui straparli abbia quasi<br />

un’ascendenza dantesca, di auctor (dunque narratore)<br />

e personaggio assieme? (poiché Dante il suo viaggio<br />

ascensionale l’aveva compiuto veramente, ma in altri<br />

termini da quelli esplicitati dalla lettera – e i<br />

contemporanei, loro sì baluardi di una popolare e<br />

ingenua faciloneria, arrivarono a credere che un ciuffo<br />

canuto della propria chioma il fiorentino se lo fosse<br />

procurato realmente tra i gironi infernali!). Altro che<br />

individualità (che certo in Piperno non potrebbe mai<br />

eternarsi in universalità come l’esperienza dantesca –<br />

ci mancherebbe), il professore a contratto non fa altro<br />

che inserirsi, molto maldestramente, in un usato filone


letterario cui ha dato linfa Philip Roth, scrittore<br />

americano noto ai più (pure lui ebreo d’origine): il<br />

topos dell’ebreo intellettuale e moralista che disprezza<br />

fino al dileggio la propria famiglia, pia delle formali<br />

consuetudini religiose, per poi rivelarsi un fervente<br />

maniaco sessuale, un corrotto, un’anima bassa: la<br />

famiglia vituperata per tutto il libro risulta giocoforza<br />

simpatica a chi legge, in quanto vittima del ribelle; ma<br />

il ribelle idem, poiché, dall’inaccettabile ruolo<br />

autoassegnatosi di giudice inflessibile, dunque<br />

antipatico come può esserlo un qualsiasi pedante, si<br />

dimostra “sfigato”, pieno di problemi esistenziali (ci<br />

passi, il lettore, tali espressioni di stampo giovanilistico<br />

che pure ben s’attagliano alla materia): pari e patta!<br />

Si prenda la pagina di un libro, e la si avvicini<br />

lentamente al viso fino a farla cozzare contro il proprio<br />

naso: le paroline, intelligibili con efficacia in un primo<br />

tempo, si faranno indistinguibili segni grafici,<br />

ghirigori, e il risultato finale dell’esperimento sarà<br />

quello di poter dire, al massimo, che il materiale sul<br />

quale sono impresse è carta. Questa medesima cosa<br />

sembrano aver fatto Piperno e i suoi critici: il primo<br />

inzuppando a tal grado la storia dentro alla questione<br />

ebraica (non mancano, infatti, amplissimi riferimenti<br />

alla questione dello stato d’Israele, poiché uno zio di<br />

Daniel ne è un fervido abitante) da renderla<br />

praticamente invisibile; i secondi, ingoiandosi il<br />

beverone preparato a bella posta con la placidità<br />

bovina tipica del filisteo d’oggi, hanno dato forza a tale<br />

paradossale invisibilità.<br />

“Con le peggiori intenzioni” non è un libro politico,<br />

come direbbe invece un Vermijon qualunque, né<br />

tantomeno un libro sottilmente e subliminalmente<br />

politico; prova ne sia, attesterebbe, nonostante le<br />

nostre resistenze, un Vermijon dei nostri giorni, che<br />

non solo gli ardimentosi critici italioti (che sono pagati<br />

per farlo, ma cosa poi… i critici?), ma tutti coloro che<br />

ne hanno parlato e scritto (e non sono stati pochi date<br />

le copie vendute) persino sul Web (vedere per credere),<br />

hanno omesso, come l’avessero freudianamente<br />

rimossa, anche un minimo accenno alla questione<br />

ebraica sottesa a questo insulso testo, così come del<br />

resto è sottesa a ogni testo che si inscriva in tale filone<br />

aureo (dati gli incassi) più che letterario, e che<br />

disponga dei medesimi topoi oramai facilmente<br />

decodificabili, da quando almeno per Roth, ogni anno,<br />

si reclama da più angoli del globo, e a squarciagola, il<br />

meritato Nobel. Ma non per questo ci faremmo<br />

prendere la mano dalla mania cospiratoria; e certo non<br />

ce la faremo prendere neanche quando, potrebbe<br />

obiettare il nostro Vermijon, è palese, suvvia, che ogni<br />

testo che metta in mezzo gli ebrei, oggi, rimanda<br />

irrimediabilmente alla questione israeliana. E chissà<br />

che colui che – calcherebbe la mano Vermijon – dopo<br />

essersi inspiegabilmente sorbito il pappone sciapo di<br />

300 pagine che colora tutti i personaggi di una scialba<br />

luce di simpatia, sempre meno nebbiosa invero man<br />

mano che ci si avvicina verso la fine delle medesime<br />

300 pagine, non si identifichi alla fine in questo o in<br />

quel campione di furfanteria, di perversione, di<br />

sciatteria morale e compagnia cantante (ecco lo<br />

specchio riflettente per il b<strong>org</strong>hese piccino! –<br />

gongolerebbe Vermijon), e chissà che tale avido lettore<br />

piperniano non diventi, dopo tutto, molto più<br />

indulgente nei confronti delle brutture che ci vengono<br />

riferite, come acqua calda, provenire da certa parte del<br />

mondo; chissà che certe questioni non vengano<br />

liquidate con un bel sospiro di sollievo, pensando che in<br />

fondo gli ebrei son simpatici, di natura, e hanno<br />

ragione da vendere a fare quel che fanno.<br />

Noi, che non siamo Vermijon, ci si accontenta d’aver<br />

messo il dito goloso nel vasetto di marmellata rimasto<br />

finora inviolabile e inviolato, pur essendo invitante e<br />

gratuitamente disponibile.<br />

1) Un capitolo de “Il lamento di Portnoy” (uno dei numerosi romanzi<br />

di Roth che ha sostanziato questo filone letterario, guarda caso<br />

anch’esso fornito di un noioso impianto monologante) si intitola,<br />

senza possibilità di equivoci, “Seghe”; è incentrato sul protagonistanarratore<br />

Alex e sulle sue convulsioni masturbatorie sollecitate<br />

dall’odore delle mutande della zia. Il Piperno ne esce, dopo non troppo<br />

attenta lettura, quasi come plagiatore.<br />

Valerio Raimondi / Uno scrittore benintenzionato 71


LA DISOCCUPAZIONE<br />

IN PILLOLE<br />

Un uomo che desidera lavorare, ma non riesce a trovare<br />

un’occupazione, è forse la visione più triste che la sorte<br />

esibisce sotto il sole.<br />

(Thomas Carlyle)<br />

Per analizzare il fenomeno “disoccupazione” è<br />

necessario partire dalla triste, ma non tanto,<br />

constatazione che un certo tasso di disoccupazione è<br />

non solo ineliminabile ma anche necessario al<br />

benessere di una economia nazionale.<br />

La questione è lapalissiana: nell’economia in cui<br />

viviamo vi sono settori in continua espansione ed altri<br />

che, di contro, si contraggono. Un certo tasso di<br />

lavoratori che definiamo disoccupati, ma sarebbe più<br />

corretto definirli in attesa di occupazione, permettono<br />

proprio a tali settori in espansione di avere una vera e<br />

propria riserva di manodopera senza la quale la loro<br />

espansione non sarebbe possibile. Tale tasso di<br />

lavoratori viene detto “disoccupazione naturale” a cui,<br />

peraltro, l’economia tende nel lungo periodo.<br />

Partendo da tale principio analizziamo ora la<br />

disoccupazione come la somma di due tipologie. Il<br />

primo tipo di disoccupazione con cui è necessario fare<br />

i conti è quella di tipo frizionale. Essa è dovuta a delle<br />

frizioni nel mercato del lavoro e proprio a quei settori<br />

di cui parlavamo prima che si contraggono ed<br />

espandono come polmoni dell’economia. Quando un<br />

settore si espande ed uno si contrae non è per niente<br />

certo che esso avvenga nella stessa misura; questo<br />

purtroppo causa disoccupazione.<br />

La disoccupazione di tipo frizionale è aggravata dai,<br />

purtroppo amati, “sussidi di disoccupazione” che, nel<br />

nostro Paese, sono particolarmente generosi.<br />

I lavoratori disoccupati sono meno invogliati a cercare<br />

lavoro finché parte delle loro necessità è garantita dal<br />

sussidio e da qualche lavoro occasionale o “in nero” ed<br />

in secondo luogo il salario a cui le imprese saranno<br />

costrette a retribuire i lavoratori diverrà più alto di<br />

quanto dovrebbe essere in un regime di sussidi<br />

normale.<br />

Un lavoratore pretende dall’impresa una notevole<br />

quantità di denaro in più rispetto a quello garantitogli<br />

dal sussidio e l’impresa è, dal canto suo, costretta ad<br />

aumentargli il salario altrimenti il lavoratore potrebbe<br />

ritenere molto più conveniente licenziarsi in modo da<br />

74<br />

Società<br />

di Enrico Gavassino<br />

(Celto)<br />

poter godere del sussidio. Il risultato è che molte<br />

imprese sono costrette, per pagare stipendi più alti, a<br />

licenziare lavoratori.<br />

La seconda tipologia di disoccupazione, non certo<br />

meno insidiosa, è quella strutturale. Essa è causata<br />

dalla rigidità dei salari che, a sua volta, vede la propria<br />

origine innanzitutto nell’eccesso di sindacato ossia<br />

nell’eccessivo potere dei sindacati all’interno della<br />

nostra economia.<br />

I sindacati contrattano con le imprese per ottenere,<br />

come sappiamo, salari più alti possibile e<br />

normalmente, anche se meno delle loro pretese, il<br />

salario aumenta.<br />

Come notato nel caso dei sussidi, aumentando il salario<br />

le imprese sono costrette a licenziare. Vi è poi un vero<br />

e proprio trucco machiavellico a cui ricorrono i<br />

sindacati in modo da ottenere salari più alti. In<br />

preparazione alla concertazione nazionale, il sindacato<br />

normalmente calcola il salario che ha intenzione di<br />

chiedere tenendo conto unicamente del tasso di<br />

disoccupazione del nord, notevolmente più basso di<br />

quello del sud, giungendo quindi a chiedere salari<br />

particolarmente alti che non tutte le imprese, sia del<br />

nord che, soprattutto, del sud sono in grado di<br />

garantire. Il risultato, di nuovo, è il licenziamento di<br />

molti lavoratori in modo da garantire alti salari a<br />

pochi; licenziamento che si sarebbe potuto evitare<br />

esprimendo una politica sindacale più razionale.<br />

Vi è poi un altro sistema di tutela sociale eccessivo per<br />

una economia in crescita: il salario minimo. Esiste un<br />

salario detto “di equilibrio” in cui vi è una perfetta<br />

identità tra la domanda e l’offerta di lavoro: con tale<br />

salario tutti coloro che vogliono lavoro lo hanno e chi<br />

vuole assumere trova immediatamente i propri<br />

lavoratori.<br />

Il salario minimo imposto per legge, tuttavia, è più<br />

alto del salario di equilibrio, il che crea uno squilibrio<br />

tra domanda ed offerta.<br />

Tra gli altri indiziati vi è poi il cosiddetto sistema dei<br />

salari incentivanti: al fine di evitare che i lavoratori<br />

lavorino male e, magari, cerchino un altro lavoro<br />

meglio retribuito (labour turnover), le imprese pagano<br />

salari il più generosi possibile in modo da inserire un<br />

costo virtuale che i lavoratori subirebbero se<br />

lavorassero male (difatti verrebbero licenziati e<br />

perderebbero l’alto salario!) o al fine di evitare che il


lavoratore cerchi una paga migliore; in tempi di lavoro<br />

qualificato ed altamente qualificato è bene per le<br />

imprese tenersi stretti i propri lavoratori.<br />

Come detto in precedenza i salari alti portano le<br />

imprese a dover licenziare in modo da avere il denaro<br />

per pagare le persone a cui hanno aumentato il salario.<br />

Normalmente, e in maniera anche sciocca a mio<br />

avviso, il licenziamento avviene sulla base del criterio<br />

dell’esperienza: normalmente i giovani, quindi “meno<br />

esperti”, vengono licenziati. Non ho usato il termine<br />

sciocco a caso: è evidente che, malgrado la sua<br />

esperienza lavorativa sia minore rispetto ad altri<br />

lavoratori anziani, sarebbe molto più intelligente<br />

confrontare il curriculum; normalmente il giovane ha<br />

effettuato studi specifici e possiede capacità che il<br />

lavoratore anziano non possiede.<br />

Non si deve pensare poi che la disoccupazione abbia<br />

dei riflessi solo sulle nostre tasche e sui nostri<br />

frigoriferi. In periodo di forte disoccupazione<br />

normalmente i tassi di interesse aumentano<br />

fortemente per cui gli investimenti diminuiscono<br />

(questo invero causa stagnazione poiché meno<br />

investimenti normalmente significa anche meno<br />

assunzioni che aggravano la situazione di<br />

disoccupazione già creata).<br />

Ultima, ma non ultima vittima, è il PIL: il paese è più<br />

povero e, stando così le cose e dovendo essere il nostro<br />

rapporto deficit/PIL al massimo al 3%, l’Unione<br />

Europea ce la farà pagare e anche cara!<br />

Se i nostri governanti volessero renderci davvero felici<br />

dovrebbero fare i conti con questi problemi contando<br />

che siamo “una Repubblica fondata sul lavoro”.<br />

Basta poco per essere felici! Lo ammette anche la<br />

Euro-Baromoter Survey Series: una famosa ricerca<br />

statistica effettuata tra il 1975 e il 1990 in numerosi<br />

paesi d’Europa che ha fatto emergere il dato per cui<br />

nei paesi con minore disoccupazione ed inflazione i<br />

cittadini, interrogati sulla propria soddisfazione<br />

personale, si dichiaravano particolarmente felici. Ma<br />

capisco benissimo che salari minimi più bassi e cedere<br />

di meno alle pretese sindacali siano provvedimenti<br />

poco popolari e per il meccanismo del voto è meglio<br />

lasciare la gente a spasso piuttosto che avere il<br />

coraggio di mettere in atto certi provvedimenti.<br />

Enrico Gavassino / La disoccupazione in pillole 75


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Altre produzioni Thule-Italia<br />

per informazioni: Cell. - 340 4948046 – email: <strong>thule</strong>@<strong>thule</strong>-<strong>italia</strong>.<strong>org</strong><br />

Dietrich Eckart:<br />

Dialoghi tra me e Hitler<br />

Dietrich Eckart. Prima traduzione <strong>italia</strong>na<br />

del libello "Il bolscevismo da Mosè a Lenin:<br />

Un dialogo tra Adolf Hitler e me".<br />

35 pagine<br />

La strana morte di<br />

Heinrich Himmler<br />

La strana morte di Himmler primo studio<br />

in lingua <strong>italia</strong>na sulle anomalie del<br />

"suicidio" del Reichfuhrer SS. Foto inedite<br />

49 pagine


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La strana morte di<br />

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