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IL TRAGICO, L'UMORISTICO, IL GROTTESCO - Aracne Editrice

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Livio Bottani<br />

<strong>IL</strong> <strong>TRAGICO</strong>, L’UMORISTICO,<br />

<strong>IL</strong> <strong>GROTTESCO</strong>


Copyright © MMIX<br />

ARACNE editrice S.r.l.<br />

www.aracneeditrice.it<br />

info@aracneeditrice.it<br />

via Raffaele Garofalo, 133 a/b<br />

00173 Roma<br />

(06) 93781065<br />

ISBN 978–88–548–2303–7<br />

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,<br />

di riproduzione e di adattamento anche parziale,<br />

con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.<br />

Non sono assolutamente consentite le fotocopie<br />

senza il permesso scritto dell’Editore.<br />

I edizione: gennaio 2009


7 Introduzione<br />

Indice<br />

41 Tragico, umoristico e grottesco in Pirandello<br />

189 Il tragico e il grottesco in Beckett<br />

229 Il tragico e il grottesco in Dürrenmatt<br />

269 Indice dei nomi


Introduzione<br />

, soprattutto in quella giovanile,<br />

a essere fondamentale non è tanto la dimensione del grottesco<br />

quanto quella umoristica. Il grottesco anzi, come si vedrà<br />

oporrò dei suoi testi sia saggistici sia letterari,<br />

e come verrà segnalato alla conclusione di questa introduzione,<br />

è da lui considerato un tratto secondario e non centrale della sua<br />

opera. Il suo impegno letterario pare essere determinato dalla<br />

riflessività accentuata della disposizione psichica. Egli tende a<br />

aspetti di<br />

nto<br />

e smascheramento delle strutture mediante le quali tentiamo<br />

di proteggerci dal vuoto di senso, dal denudamento di ogni condizione<br />

di esistenza e di esperienza. Si rende operante così un<br />

relativismo psicologico che risolve queste condizioni nei ruoli e<br />

nelle regole peculiari della rispettiva società in cui sono collocati<br />

gli individui che li abbracciano. Le forme in cui questi ruoli e<br />

regole si stabilizzano possono ricondursi a irrigidimenti di situazioni<br />

socioculturali, utili a permettere di adeguarsi a un universo<br />

di contenuti vitali che semplificano i comportamenti da<br />

tenere in condizioni complesse, evitando il ricorso continuo al<br />

libero movimento della ricerca di un senso, di una verità. Difatti,<br />

men<br />

condizione compassionevole in grado di originare un sorriso di<br />

comprensione, la riflessione si rivela in generale strumento problematico<br />

al servizio della vita. Volere sempre la verità, la nuda<br />

e cruda verità, senza riguardo alle convenzioni e alle regole della<br />

società in cui si vive, questo può condurre ad accentuare la<br />

disvvero alla pazzia. Essere o pretendere di<br />

essere sempre fedeli a se stessi e alla propria identità comporta<br />

una radicaliz<br />

di essere essenzialmente disgregato e mai sostanzialmente unitario<br />

come vorrebbe.


8 Introduzione<br />

Si tratta di una scoperta che ha in sé qualcosa di drammatico.<br />

Non essere mai se stessi ed essere sempre altro e altro ancora,<br />

ma non sapere mai esattamente nemmeno che sia questo altro, è<br />

qualcosa di tragico. Ciò, tuttavia, può assumere molto facilmente<br />

sfumature grottesche, umoristiche e ironiche. Non è esattamente<br />

vero che, come sembra ritenere Pirandello, fra il tragico e<br />

il grottesco non vi siano espliciti elementi in comune. Questo<br />

vale certo nel caso che il grottesco venga inteso nel senso limitato<br />

e debole da lui talora prospettato in alcuni punti dei suoi<br />

<br />

come vedremo, corrisponde a un atteggiamento adottabile dallo<br />

teggiamento ritenuto confacente a suscitare<br />

il sorriso nel lettore.<br />

Tra le varie possibilità di atteggiarsi secondo Pirandello nei<br />

confronti della identificazione di un certo relativismo della po-<br />

a condizione, sono state<br />

segnalate dalla critica reazioni che possono essere passive, ironico-umoristiche<br />

e drammatiche. La prima corrisponde alla ras-<br />

-<br />

dividuo tende a non rassegnarsi<br />

alla maschera, pur accettando il ruolo che la designa,<br />

opponendole un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico.<br />

Nella terza egli vorrebbe togliersi la maschera impostagli, ma<br />

non riuscendovi finisce per precipitare nella disperazione e nella<br />

follia, ossia con conseguenze per lo più senza vie di uscita. Il<br />

ventaglio di queste possibilità e al<br />

di un loro rimescolamento nella realtà della vita, nel senso che<br />

le dimensioni di tali alternative possono intrecciarsi secondo le<br />

più differenti modalità.<br />

come si<br />

sa qualcosa di estremamente ambiguo. La moltiplicazione delle<br />

identità, adicale riguardo a<br />

individuale, potrebbe celare elementi problematici che vanno al<br />

di là di una semplice questione di differenza dei ruoli. Il fatto è<br />

<br />

essenziale integrazione


Introduzione 9<br />

dentità stessa, come sostanza di tutto ciò che la trascende,<br />

ifiuto<br />

di un resto, ossia di esclusione. La differenza che identifica<br />

una certa persona può dunque costruirsi sulla base dellterità<br />

esterno, delle cose che vi si colgono attraverso la<br />

ttività,<br />

oppure semplicemente costituirsi a partire da una proiezione<br />

verso di esso. Ma essa può anche essere costruita rima-<br />

<br />

ovrabbondanza<br />

psichica o a processi di immunizzazione nei con-<br />

ar <br />

<br />

risultato di eccedenza o di esclusione. Quello che però va rileva<br />

orporata, ma rifiutata.<br />

Il richiamo pirandelliano a identità plurime riguarda tutto il<br />

<br />

irandello<br />

si richiama appunto alla visione, inquietante e talora<br />

spaventosa, di un tale sviluppo. Si tratta di una visione che ha<br />

tormentato molti autori. Basti pensare alle figure perturbanti di<br />

E.T.A. Hoffmann, al Sosia , al Nechljudov<br />

di Tolstoj, agli studi di Freud sulla schizofrenia, al<br />

Gregor Samsa di Kafka. Il tema del doppio, alternativo, accettato<br />

o rifiutato, attraversa molta letteratura e molta analisi psico-<br />

<br />

di tragico e insieme grotte<br />

<br />

sovra- tica di<br />

molti dei suoi personaggi a partire da Mattia Pascal fino a quelli<br />

delle sue ultime opere teatrali. Come vedremo, tutto questo implica<br />

una revisione radicale delle opinioni che circondano le idee<br />

di verità e di libertà. E ciò porta a chiedersi fino a che punto<br />

ibertà di scelta e<br />

considerare la pulsione alla verità qualcosa tendente a ricono-


10 Introduzione<br />

<br />

Dürrenmatt questi problemi si evidenziano in tutta la loro pregnanza.<br />

Una frase fulminante e centrale per avvicinarsi a una com-<br />

è quella che egli formula in una<br />

lettera a Roger Blin, il regista della prima messinscena di Aspettando<br />

Godot. Il senso di questa commedia sarebbe che «nulla è<br />

più grottesco del tragico» 1 . Che cosa significa esattamente questa<br />

espressione nel con <br />

In primo luogo potremmo considerare che il tragico sia una dimensione<br />

non solo inattuale e obsoleta, ma anche ammantata<br />

ormai di aspetti che sfiorano il ridicolo e possono essere definiti<br />

Può dunque significare che non<br />

vi sia più nulla di tragico, e che proprio il pensare che vi sia abbia<br />

qualcosa di grottesco. Oppure che fra il tragico e il grottesco<br />

si delinei un binomio molto stretto, per cui ove si evidenzi una<br />

delle due diPossiamo<br />

in ogni caso provare a individuare il senso di quella frase connettendola<br />

con altre due che mi paiono altrettanto fondamentali.<br />

Si tratta, in primo luogo, della frase enunciata da Nell, la madre<br />

di Hamm, uno dei due protagonisti di Finale di partita, secondo<br />

<br />

vuol dire per estensione della sofferenza (SB 97). Essa è<br />

considerata dallo stesso Beckett come la frase più importante<br />

frase, che intendo correlabile<br />

alle prime due, è di Raymond Federman. Il quale, interpretando<br />

Film, unica sceneggiatura cinematografica beckettiana,<br />

come sosterrebbe «uno dei creatori-eroi di Beckett, fallire è un<br />

imo caso, non si ca-<br />

-, se si tratti<br />

di un autore di riferimento come Joyce, o di un personaggio dei<br />

suoi drammi o delle sue opere. Di perso<br />

è u-<br />

1 S. Beckett, Teatro completo, edizione presentata e annotata da Paolo Bertinetti,<br />

trad. di C. Fruttero, Einaudi-Gallimard, Torino 1994, p. 806. Citato in seguito con la<br />

sigla SB.


Introduzione 11<br />

tore, e non vi sarebbe che imbarazzo della scelta. Ma la frase<br />

non pare attribuibile in maniera particolare a nessuno di essi. È<br />

forse però nel mondo della mente di Murphy, o almeno nella<br />

zona luminosa di tale mondo (il quale comprende anche le due<br />

<br />

fiasco completo nel mondo fisico diveniva un eclatante successo».<br />

In questa sfera per così dire meta-fisica o extra-fisica, ma<br />

anche nella penombra, Murphy si sentiva ancora sovrano e libe-<br />

ttosto<br />

pulviscolo della libertà assoluta, punto di indeterminabile<br />

generazione e corruzione della chiarezza 2 .<br />

Nella zona intermedia di penombra si dà lo «stato di grazia<br />

Belacqua osa, indolente e tuttavia paziente in<br />

cui «il piacere era contemplazione», stadio che non aveva collegamenti<br />

col primo e neanche col terzo e non aveva bisogno di<br />

corrispettivi, come stadio tipico della maggioranza dei personaggi<br />

di Beckett. Belacqua è un personag torio<br />

dantesco. Nel Quarto Canto del Purgatorio, Dante e Virgilio<br />

ascendono alla ripa in cui sono relegati i negligenti a convertirsi.<br />

Trovano Belacqua, un liutaio fiorentino noto per la sua pigrizia,<br />

in posizione seduta con le braccia intorno alle ginocchia<br />

e il capo chino. Egli vorrebbe salire al Purgatorio, ma non si<br />

espingerebbe, e dunque non gli resta<br />

che attendere. Belacqua Shuah, studente di Dublino, è il personaggio<br />

di More pricks than kicks 3 (Più pene che pane), giovanile<br />

raccolta di dieci racconti che evidenzia in Beckett <br />

di Joyce, ma anche la sua predilezione per la Divina commedia<br />

dantesca. In questa zona intermedia anche Murphy aveva la sua<br />

«fantasia Belacqua» (M 57):<br />

Murphy, per cinque minuti sulla sua sedia a dondolo, avrebbe<br />

di buon grado rinunciato alle sue speranze di Antipurga<br />

2 S. Beckett, Murphy (1936), Calder, London 1963; trad. it. a cura di G. Frasca, Einaudi,<br />

Torino 2003, p. 80. Citato con la sigla M.<br />

3 Chatto & Windus, Londra 1934; trad. di A. Roffeni, SugarCo, Milano 1994.


12 Introduzione<br />

ivoglia<br />

espiazione, almeno fino a quando non gli sarebbe stato<br />

dato di sognare, in uno schietto sogno infantile, ogni cosa interamente<br />

di nuovo, dallo spermario al crematorio. Aveva una<br />

grande opinione di questa situazione post mortem esto<br />

caso, difatti, avrebbe avuto a disposizione molto tempo per<br />

<br />

estrema pigrizia e della rassegnazione,<br />

, ma il personaggio<br />

della raccolta giovanile di racconti lo è concretamente, e<br />

non solo nel mondo della mente di un Murphy: egli si aggira<br />

per Dublino facendo i più diversi incontri ed esperienze, vivendo<br />

situazioni dalle quali però si esclude, rifiutando di farne par-<br />

-<br />

<br />

nei confronti del signor Knott (M 200). Lo scacco, in questo universo<br />

fisico di incontri e di situazioni si evidenzia appunto<br />

come straordinario successo nel mondo della mente di Murphy.<br />

senso,<br />

insomma una sorta di esercizio di epoché, non completamente<br />

rinunciatario, e forse più attendista che scettico, è la<br />

strategia di difesa attuata da Beckett-Murphy per non farsi tra-<br />

e-<br />

e così uno strumento di lotta e di resistenza.<br />

La grottesca risata dianoetica non è una difesa del genere.<br />

itamente al<br />

<br />

esso non fa che aore:<br />

dopo la risata e dentro la risata tutto resta pressoché immutato,<br />

solo un piccolo e momentaneo sollievo, ma senza possibilità<br />

di rielaborazione o di rimozio<br />

della menzognsso,<br />

mentre lo stesso non è mai propriamente se stesso, come sostanza<br />

immutabile rispecchiante il non- a-<br />

esto<br />

grottesco e di que-


Introduzione 13<br />

dividuo, nella sua presunta soggettività ultima, è adornianamente<br />

divenuta inattendibile. Altrettanto inattendibile risulta<br />

per Beckett la via proustiana di ritrovare narrativamente la propria<br />

egoità, immergendosi in sé per ritrovare il tempo perduto.<br />

Una interprete della sua opera lo sottolinea chiaramente: «Crol-<br />

<br />

possa dare permanenza e eternità a quel che è provvisorio e<br />

transeunte, che il lavoro dello scrittore sia davvero quello, come<br />

credeva Proust, di edificare con le parole una cattedrale che<br />

vince la morte e la rende inoffensiva e non temibile. Si polve-<br />

unga tradizione, di cui Proust è un alto<br />

<br />

un giacimento immenso» 4 . Il punto cruciale è proprio che Beckett,<br />

per esempio col personaggio di Krapp, rileva la presa di<br />

coscienza <br />

e sensato da tramandare a una posterità forse prossima più al<br />

inferno da quattro soldi<br />

della menone è presa dal<br />

testo per la televisione , SB 419), quello delle «lunghe<br />

chiacchierate al mormorio del Lete rievocando i bei tempi anda-<br />

<br />

di Ceneri a parlare, secondo radiodramma del nostro autore, SB<br />

lleviata<br />

o superata per mezzo della parola: la svalutazione del<br />

linguaggio si può solo equiparare alla conversazione ridotta a<br />

una pratica convenzionale e sostanzialmente vuota, a un ausilio<br />

per ingannare il tempo, il che in ultima analisi conduce alla definitiva<br />

incomunicabilità.<br />

Cercare di vincere la morte attraverso la narrazione è cosa<br />

che avviene normalmente. Mentre confabuliamo sulla vita e sulla<br />

morte, raccontandocene delle storie sia sulla loro essenza sia<br />

sul presunto mistero di ciò che dopo la fine potrebbe accadere<br />

4 A. Cascetta, eckett,<br />

Le Lettere, Firenze 1997, p. 102. Cfr. F. Belbusti, Samuel Beckett e il grottesco,<br />

tesi di laurea emonte<br />

Orientale (Vercelli) il 15 luglio 2008, pp. 43 sg.


14 Introduzione<br />

alla nostra coscienza, la vita prosegue e pare perfino assumere<br />

aspetti sempre più articolati e profondi. In ogni caso, si tratta di<br />

diversioni narrative che hanno contribuito essenzialmente a fog-<br />

one<br />

della sua straordinaria capacità immaginativa, delle sue arti<br />

inventive e affabulatorie: una capacità che deve aver trovato<br />

sviluppo, come si diceva, da quando ha cominciato a riflettere<br />

sulla propria mortalità cercando di venirne a capo. Ossia da<br />

oscienza<br />

ancora animale a sviluppare una coscienza umana. Da<br />

quando si è dato il caso, guidato da una qualche tendenza a un<br />

ordine sempre più alto e complesso (una tendenza che non va<br />

però troppo frettolosamente concepita come soprannaturale),<br />

che una coscienza si trovasse lacerata dal suo sapersi mortale e<br />

doversi per questo riscattare o trovare riscatto attraverso strate-<br />

zione<br />

di storie intese ad assegnarsi un senso, umano ma soprattutto<br />

sovrumano, sono fondamentali. Dunque, ancor prima dei<br />

tempi pur lontanissimi delle storie raccontate intorno al fuoco<br />

adarsi<br />

sulla via della civiltà. Cultura e civiltà, da questa prospettiva,<br />

significano vivere e sognare vite immaginarie, inventarsi destini<br />

umani e sovrumani, narrarsi per esempio di essere progenie di<br />

divinità benevole più che figli dei propri genitori naturali. Esse<br />

hanno contribuito a riscattarsi dalla ferocia degli inizi. Sebbene<br />

ciò sia avvenuto anche attraverso le altre arti, la musica, la danza,<br />

la pittura rupestre (che tuttai-<br />

<br />

suo complesso), fu soprattutto mediante il canto e la poesia, i<br />

racconti e le narrazioni che la fantasia ha condotto gli uomini ad<br />

ammansire la primitiva bestialità da cui provenivano. Queste<br />

narrazioni hanno trasformato esseri non ancora umani in esseri<br />

azione al<br />

bisogno di vita alternativa da parte della appena sorta coscienza<br />

umana, di vagheggiare un destino diverso, affinando la sensibi-<br />

f-


Introduzione 15<br />

francandola dalle mortificazioni e frustrazioni di esistenze in<br />

gran parte ancora ferine.<br />

E tuttavia, tutta questa grande opera affabulatrice e confabulatrice<br />

mediante la quale tentiamo di venire a capo della vita e<br />

della morte ha anche del grottesco, quel grottesco che si accompagna<br />

al sospetto della loro sostanziale insensatezza, che si cerca<br />

continuamente di attenuare, di circoscrivere e differire attraverso<br />

le diversioni con cui inganniamo il tempo pretendendo di<br />

allontanarne per sempre le minacce. Nonostante ogni affabula-<br />

<br />

un nu<br />

il quale nascono tutte le storie, un qualcosa che resta incomunicabile<br />

ma sulla cui base prende avvio ogni affabulazione. Che<br />

essa non porti a nulla non è esattamente vero, al punto che tutta<br />

la civiltà ne deriva. Ma essa non porta a nulla almeno nel senso<br />

che non se ottiene mai quella ricomposizione risolutiva e assoluta<br />

della cesura e quel senso perspicuo che ci si ripromette da<br />

ogni strategia restitutiva, narrativa, confabulatrice o altro. È per<br />

lo meno ironico, ma anche grottesco, che tutte le intraprese tentate<br />

allo scopo di ottenere una risposta o una qualche sicura evidenza<br />

esplicativa appaiano fallire, condurre allo scacco <br />

della profonda ironia nel fatto che di tutto ciò che ci ripromet-<br />

nito<br />

e otrebbe<br />

prima o poi farci desistere, mentre invece ciò diventa<br />

stimolo per sempre nuovi tentativi di comprensione e interpretazione<br />

del reale. I quali vanno poi a comporre le trame di ogni<br />

tessuto tronde paradossale, e fondamentalmente<br />

ironico e grottesco, che si sappia la morte e il finito,<br />

ma anche non li si voglia riconoscere nella loro necessità,<br />

ri<br />

inoltre della profonda ironia nel fatto che noi si pretenda<br />

con forza sapere e verità, ma anche li si rifugga, per esempio<br />

abbracciando credenze del tutto assurde e incredibili per culture<br />

nel fatto che si pretenda<br />

libertà assoluta, ma anche la si eviti con cura, preferendo


16 Introduzione<br />

piuttosto situazioni di comodo, che paiono poggiarsi su condizioni<br />

che della libertà han<br />

<br />

tragico? Possiamo qui pensare inizialmente alle definizioni del<br />

grottesco da parte di Victor Hugo nella sua prefazione al Cromwell,<br />

secondo il quale nella rappresentazione artistica il deforme<br />

si trova connesso al grazioso, il grottesco è inseparabile<br />

du<br />

a-<br />

nteriore,<br />

il tragico alla buffoneria. Tutte le cose, del resto, appaiono<br />

tenersi per mano, manifestando corrispondenze misteriose<br />

ma anche cesure inattese. Il dramma viene ora inteso come<br />

il grottesco più il sublime, una tra<br />

una commedia. Nel dramma, in cui sfocia la poesia nata dal cri-<br />

<br />

-<br />

-<br />

atura<br />

e terribile irreversibilità della deliberazione, di abusata libertà<br />

e scientifica necessità. Tutto ciò che pareva chiaro diventa<br />

ora confuso, privo ormai di fondamenti certi cui potersi riallac-<br />

Si tratta, in parte, di temi<br />

che vengono in luce anche Estetica del brutto (1857) di<br />

Karl Rosenkranz, nella quale vengono posti in primo piano an-<br />

ato, il<br />

meschino, il debole, il vile, il bana <br />

quelli del ripugnante, che consistono nel goffo, nel moribondo,<br />

bolico.<br />

Si tratta di momenti che, , Hugo mette in<br />

risalto: lo sp <br />

sembrava assente almeno nella tradizione ufficiale, vale a dire<br />

la coorte di lupi mannari e vampiri, di fantasmi e di orchi, tutte<br />

le manifestazioni della lussuria, cupidigia e sete di sangue della<br />

bestia umana, eredi dei mostri diabolici nei capitelli e doccioni<br />

delle cattedrali romaniche e gotiche, delle morti falciatrici, degli


Introduzione 17<br />

scheletri e teschi macabri e perturbanti presenti negli affreschi<br />

e nelle raffigurazioni dal medioevo al barocco.<br />

Se vogliamo considerare la cosa da un altro lato, possiamo<br />

per esempio riferirci al modo in cui Vittorio Strada, nel suo<br />

saggio introduttivo, , alla<br />

Idiota di Dostoevskij vede (in relazione alla fi-<br />

<br />

come del tutto particolare, nel senso che esso assume qui tratti<br />

comici e perfino arlecchineschi, toni culminanti in rovesciamenti<br />

che rendono ridicole situazioni che sono invece drammatiche<br />

per chi ne fa esperienza da protagonista. Il rovesciamento<br />

del climax in anticlifetto<br />

tragico delle vicende, piuttosto lo rafforza. Il senso che ne<br />

risulta è accentuato infatti da una ulteriore deriva tensionale, da<br />

una contraddittorie <br />

<br />

Esso viene raf<br />

di scampo che non siano la risata beffarda, il grottesco o lo<br />

scherno. Ma la questione è qui ancora più radicale, se si pensa<br />

ane. Quello<br />

che alla fine potrebbe risultarne come vedremo meglio nel<br />

prosieguo è che tutti gli uomini sono in fondo esseri religiosi,<br />

anche i criminali e i persecutori, nessuno escluso. Tutti richie-<br />

-<br />

ame e di un<br />

s<br />

e del vuoto, di una vita che viene sospettata essere una folle<br />

carnevalata. Se Dio potrebbe essere ritenuto cifra della trascendenza<br />

e paradigma di ogni imperscrutabilità, potrebbe però benissimo<br />

risultarlo anche quale distruttore e devastatore della<br />

-<br />

agica<br />

buffonata, enigmatica disposizione dalla logica implacabile<br />

per raggiungere un obbiettivo completamente vano, come nel<br />

Cuore di tenebra di Conrad o nel Processo di Kafka. Da un lato,<br />

dunque, affidiamo nelle mani di Dio la speranza del riscatto


18 Introduzione<br />

e della ricomposizione di un ordine; dadolorosamente<br />

ciò che potrebbe non essere che demolizione di<br />

ogni speranza. Questa paradossalità potrebbe tuttavia essere ancora<br />

proposta come il vero senso di un Dio del paradosso, sebbene<br />

possa essere forse più semplice e certo maggiormente economico<br />

risparmiarsi di confidare nelle proprietà paradossali di<br />

un tale Dio affidandogli le nostre sorti, come sembra più onesto<br />

non sbilanciarsi così in ipotesi troppo fantasiose.<br />

Possiamo allora riallacciarci alle considerazioni di Gianni<br />

Vattimo in relazione proprio al Processo di Kafka 5 . Egli cita in<br />

un suo articolo la Storia della letteratura tedesca di Ladislao<br />

Mittner, che riferisce come Kafka avesse riso fino alle lacrime<br />

nel leggere agli amici il primo capitolo del Processo. La situazione<br />

descritta nella storia è infatti grottesca: il protagonista non<br />

sa perché deve essere processato, quale colpa gli venga attribuita,<br />

e la sua ricerca di saperlo sfocia nel nulla. Lo svolgimento<br />

del processo sembra proseguire per forza propria. Il racconto<br />

mette in luce, dice Vattimo, una mescolanza di tragedia inspie-<br />

ina<br />

perfettamente inutile quella che si è messa in moto. Le sordide<br />

soffitte, i corridoi sporchi e soffocanti in cui ha sede il tribunale,<br />

le camerette squallide e polverose, rappresentano la dimensione<br />

architettonica e ambientale degli sforzi vani di K. di<br />

nclusione<br />

lascia pensare a uno squallido meccanismo sacrificale,<br />

appropriato solo grottescamente a una qualche tragedia antica:<br />

o<br />

pietra, sotto una pallida luce lunare, scannato mentre i suoi tagliagole,<br />

due maschere teatrali, lo fissano negli occhi. Lo stesso<br />

Mittner dice Vattimo si chiede quanta parte vi sia in essa di<br />

tragico e quanto di umorismo patibolare nel minuzioso realismo<br />

delle descrizioni kafkiane dei particolari più insignificanti. Questo<br />

miscuglio di tragico, di umorismo e grottesco non lascia pe-<br />

5<br />

La stampa, Torino 2008 (31 luglio),<br />

p. 38.


Introduzione 19<br />

rò sperare nulla di buono. Al contrario di quanto commenta<br />

Vattimo, nessuna risata omerica appare davvero salvare alcunché<br />

di questa tragica buffonata, e certo nemmeno la risata sbellicata<br />

e a crepapelle dello stesso Kafka sulla sua opera, la quale<br />

<br />

insieme a tutti i suoi altri manoscritti.<br />

In ciò la logica del racconto di Kafka è inesorabile, come<br />

quella di una vera tragedia greca. Ma questa logica è destinata a<br />

condurre verso obbiettivi completamente vani, appunto insensati,<br />

determinata da sforzi che non portano certo a una qualche<br />

salvezza, e nemmeno simbolizzano un percorso seguendo il<br />

qua<br />

senso che si è spalancata davanti a noi, senza recriminazioni residue<br />

nei confronti del ritrarsi di fondamenti trascendenti che<br />

hanno protetto le nostre coscienze per millenni e che paiono talora<br />

dissolversi come neve al sole, tendendo tuttavia a riprendere<br />

vigore ogni volta a causa della difficoltà che esse hanno a<br />

itardo<br />

e in anticipo su se stesso, mai presente totalmente a sé,<br />

con tutte le sue mancanze e intenzionalità, memorie e speranze,<br />

eguato<br />

e forse obsoleto? Il suo essere produttore di tecnica, determinata<br />

come complesso di risultanze e sostegni del proprio<br />

fondamento culturale alla ricerca di ricomposizioni della cesura,<br />

segna anche il suo destino di assoggettamento e illibertà nei<br />

confronti della tecnica stessa, la quale prende il sopravvento su<br />

di lui rendendolo strumento dei propri strumenti. Ciò che era<br />

stata espressione di una parte essenziale della grande macchina<br />

di strategie di ricomposizioni incrociate di questa cesura segnata<br />

dal sapere la morte, diventa proditoriamente manifestazione della<br />

servitù di un essere che ha la pretesa di dirsi sostanzialmente<br />

ggiamento<br />

che la coscienza pretende, e la servitù della libertà resta<br />

decisiva anche se la coscienza ferita rappresentasse il marchio<br />

del superamento della animalità e delle culture animali e


20 Introduzione<br />

cui pure è espressione. Il riconoscimento della meraviglia e dello<br />

stupore provocati dalle capacità di sacrificio e di oltrepassa-<br />

omo, con tutta la<br />

ativa,<br />

di potenzialità di bene, di riscatto delle proprie miserie, di<br />

innalzamento sui propri limiti e di autotrascendimento, di incredibili<br />

potenzialità teoretiche e conoscitive, costruttive e pratiche,<br />

non riescono a convincere del tutto che qui si tratti pur<br />

sempre di espressioni potenti di complessità naturale, come di<br />

spiritualità e religiosità del tutto naturali, poiché anche il credere<br />

che vi sia qui qualcosa di trascendente la mera naturalità è<br />

ancora qualcosa di naturale, così come il nostro poterci trascendere<br />

è ancora qualcosa di immanente alla naturalità di cui siamo<br />

manifestazione. Forse, però, la cosa davvero tragica e grottesca<br />

è che pian piano si mostra sempre più chiaramente non solo<br />

otrebbe<br />

superare di gran lunga la sua grandezza. Forse, ormai,<br />

ibertà<br />

paradossalmente illimitata e situata, finita e irriducibile,<br />

non è altro che un modo per consolarsi del sospetto di insignificanza<br />

e irriducibile miseria, che egli fa di tutto per rimuovere o<br />

riscattare.<br />

Il venir meno dei fidati fondamenti metafisici, e perfino di<br />

quelli della fisica tradizionalcanza<br />

cui è essenzialmente esposta la nostra coscienza, la spinge<br />

dunque a cercare compensazioni in supplementi di senso in<br />

grado di risarcirne le presentite carenze e la costitutiva finitezza.<br />

Il fatto è che la coscien<br />

inconscio che non può padroneggiare, è lacerata da istanze che<br />

ne compongono dilaniandola <br />

individui ne formassero la sostanza: una ridda di personaggi e<br />

coscienze proustiane che nascono e muoiono, avvicendandosi e<br />

scio, del resto,<br />

non si riduce certo alle sole dimensioni freudiane di ciò che esprime<br />

la repressione, la regressione o il rimosso, ma è indicativo<br />

anche di tutti i processi mentali e fisiologici della formazione


Introduzione 21<br />

mprende<br />

caratteristiche strutturali e funzionali, neurobiologiche,<br />

circuiti cerebrali il cui modus operandi resta costitutivamente<br />

inconscio e che non sono aoro<br />

presenza è rilevabile non dalla coscienza, bensì mediante i metodi<br />

sperimentali della psicologia empirica. Si tratta di strutture<br />

adattative estremamente efficaci che rappresentano la maggior<br />

parte delle normali funzioni del cervello/mente. Di tutto ciò,<br />

mentre è in funzione, la mente non sa nulla né si rende conto di<br />

nulla. La coscienza, volendo riempire e comprendere anche<br />

questo nulla, finisce per trasformarsi in meccanismo di interpretazione<br />

di dati che sono propriamente risultati di processi esclusi<br />

tuttavia da ogni possibilità di visione da essa attivabili. A tale<br />

scopo il soggetto finisce per costruire ragioni ad hoc sulla base<br />

di pregiudizi e influenze culturali le più varie, che si presentano<br />

articolate secondo recite e narrazioni che vogliono essere credute<br />

assolutamente vere o così si vuole siano credute.<br />

È dunque ironico e grottesco che si attribuisca questa verità<br />

assoluta che, per altro, se non è assoluta appare non essere verità<br />

a elementi costruiti dalla coscienza che essa inserisce nei<br />

propri ritardi su se stessa, posticipandosi e anticipando in sé<br />

frammenti narrativi e significati che le sfuggono nel suo presente<br />

non essendo mai completamente presente a sé, padrona del<br />

senso di verità di cui desidera intendersi portatrice, assegnataria<br />

e infine testimone. Essa tende a considerare queste narrazioni,<br />

sapienzialità, mitologie come racconti che conservano in sé<br />

tracce di verità destinate a colmare il vuoto creatosi col suo sapere<br />

la morte. Non può e non deve essa si rassicura trattarsi<br />

solo di una qualche mera corrispondenza, aleatoria in quanto<br />

fittizia, al nostro bisogno metafisico di affidamento e significatività,<br />

che si accontenterebbe di qualsiasi storia le appaia dar<br />

senso alla sua vita semplicemente destinata alla morte e da questa<br />

necessitata alla sua costitutiva caducità e transitorietà. Deve<br />

cioè trattarsi di una verità alla quale richiamino tutte le cosiddette<br />

tracce di essa che si intendono depositate nelle tradizioni<br />

mitiche e religiose, tracce perciò che non possono ridursi a mere


22 Introduzione<br />

proiezioni del desiderio e dei bisogni umani. Infine, però, noi<br />

pretendiamo verità tanto quanto in realtà saremmo disposti ad<br />

accettare di non verità, che tuttavia sia tale da corrispondere appunto<br />

ai nostri bisogni di rassicurazione, fondamento, ricompo-<br />

<br />

di soddisfarci, di essere utile dunque a dar senso alla nostra vita,<br />

<br />

Anche questa non verità, peraltro, fa forse parte della verità di<br />

cui la coscienza appare aver bisogno. E anche ciò è ironico, se<br />

non grottesco. Tutto ciò, in realtà, va sottolineato quantunque<br />

<br />

principio almeno da una prospettiva strettamente logica da<br />

riferi<br />

Resta il fatto che, di una verità che non abbia alcun rapporto<br />

ata<br />

indifferente a questo essere e alla sua esistenza, non possiamo<br />

sapere nulla e in fondo, seppur , non sapremmo che<br />

fare. Ma anche di quella verità con cui dovremmo essere in rapporto,<br />

di cui qualcosa dovremmo conoscere essendo suoi interpreti,<br />

conosciamo sempre troppo poco rispetto a quanto vorremmo.<br />

In assenza di un riferimento certo a una qualche verità assoluta,<br />

nuda e senza maschere, anche quello alla libertà vacilla<br />

paurosamente. La libertà, infatti, sembrerebbe stare in relazione<br />

con la verità dano.<br />

Abbiamo però visto che gran parte degli elementi che fanno<br />

parte integrante della mente umana e delle sue capacità di deliberazione,<br />

ovvero le caratteristiche funzionali e strutturali, i<br />

processi mentali e fisiologici, i circuiti cerebrali, restano esclusi<br />

da qualsiasi introspezione da parte della coscienza volontaria, la<br />

quale è sempre in ritardo su se stessa e sui suoi medesimi anticipi,<br />

che sono in special modo connessi al suo sapere la morte.<br />

Ne resta esclusa perciò anche la sua portata utopica e anticipatrice,<br />

la cui evidenza veritativa sembrerebbe tuttavia connettersi<br />

a questo sapere, essendone al contempo espressione concomi-


Introduzione 23<br />

a rito-<br />

<br />

rispetto al sapere, e nella coscienza che la riguarda viene dopo<br />

tutta una strutturazione di elementi che parrebbero piuttosto farne<br />

risultare qualcosa di molto più costruito, e cioè narrativo, del<br />

sapere. Ciò vale, dunque, non solo per quello che viene ritenuto<br />

da certa ontologia della libertà come aspetto etico della libertà,<br />

vale a dire il libero arbitrio, ma anche per la libertà considerata<br />

da tale ontologia come originaria, la libertà come inizio puro, la<br />

quale è intesa come protagonista di una storia che essa fonda<br />

nella sua assolutezza e illimitatezza. Questo puro inizio è parte<br />

e soprattutto<br />

col cristianesimo, una storia che vuole essere anche una bella<br />

favola di salvezza e riscatto dalla finitezza e dal male, che fa<br />

anche della libertà divina una immagine riflessa che ci ritorna<br />

indietro dalartire dal nostro<br />

interno. opravvalutazione<br />

della libertà. Anche la libertas maior della tradizione antica,<br />

consistente nella corrispondenza al bene, e diversa perciò dalla<br />

libertas minor, come libertà illimitata di scelta (insieme di libertas<br />

spontaneitatis e libertas indifferentiae), fa parte di questa<br />

one<br />

occidentale cui apparteniamo, a cui possiamo però riferirci<br />

come da una certa distanza, scorgendone il lato per noi incredi-<br />

<br />

non è affatto illimitata <br />

come sappiamo, questa libertà non si riduce alla sua dimensione<br />

etica, poiché alcuni meccanismi facenti parte della scelta di<br />

zione che pure parrebbero mettere in gioco il<br />

libero arbitrio precedono questa dimensione pratica. Inoltre la<br />

libertà maggiore, quella da cui si attende ciò che resiste al male<br />

e compie il bene, è essa stessa (per la maggior parte dei processi<br />

con la sostanza dei quali oscienza<br />

volontaria. Solo la libertà infinita o assoluta di un dio<br />

potrebbe essere totalmente voluta e padroneggiabile in tutte le<br />

sue fasi. Pretenderlo per la coscie


24 Introduzione<br />

la sua volontà fi<br />

magine del divino, ma pensarlo uguale a Dio. Alcuni intendono<br />

finito,<br />

risul fica di Dio come infinito.<br />

Questi elementi di arci-metafisica potrebbero non essere così<br />

positivi come si vuole figurarli, nel senso che varrebbero invece<br />

come spunti appropriati per una metafisica fondante ed esplica-<br />

dispiegare esaustivamente<br />

il senso ultimo del finito umano e della libertà finita facendolo<br />

risalire afinito divino e alla libertà divina. Il non farsi<br />

immagini di Dio è già contraddetto in termini dal credersi paolinamente<br />

e credere il mondo immagini di Dio nella narrazione<br />

trinitaria che vede il Figlio (a) immagine del Padre.<br />

-<br />

ino,<br />

assegnato da questo alla libertà, mentre la medesima immagine<br />

del divino è un risultato complementare al suo rendersi<br />

isca<br />

per sostituirsi alla divinità, pretendendo di prenderne il posto:<br />

in verità, non fa con ciò se non narrarsi delle storie al<br />

fine di costruirsi con esse un ruolo significativo nella realtà e<br />

una sostanziale necessità, sentendo precario il primo e minacciata<br />

alla base la seconda dalla propria consapevolezza di essere<br />

mortale. Egli intende, attraverso queste costruzioni, venire a capo<br />

della cesura che gli fa dubitare di essere effettivamente centrale<br />

nella storia del mondo. Ciò gli insinua il sospetto di esserci<br />

non per una necessità intrinseca a un qualche disegno intelligen-<br />

so, un progetto assolutamente libero e infinito che<br />

lo comprenda come insostituibile nella sua economia ultraterrena,<br />

come nella mente di un Dio dalla memoria e dalla pietà infinitamente<br />

ospitali, bensì per qualche catena sia pur complicatissima<br />

e immensamente intricata di causalità estrinseche a<br />

tutto questo. La sua stessa libertà, che pensa illimitata, è estre-<br />

ome<br />

parte di una trama narrativa nella quale avere un ruolo determinante,<br />

centrale negli eventi che costituiscono la realtà del


Introduzione 25<br />

nfinita<br />

non tanto la messa in chiaro del paradosso che nasce dal<br />

suo rapporto alla libertà finita, quanto la costruzione di una paradossalità<br />

legata a una narrazione riguardante il nostro posto<br />

nella realtà: una collocazione intesa per lo più come fondamentale<br />

nella costituzione del reale. Il paradosso è qui costruito dal<br />

pensiero in funzione di trovare una costellazione di senso in cui<br />

-<br />

<br />

p-<br />

del mondo.<br />

Se fosse poi la questione del senso e del non senso a essere<br />

forse <br />

otrebbero<br />

avere in sé un qualche senso in quanto sono qualcosa e<br />

non nulla, importa tutta<br />

nudo essere non vale per noi come ciò che possiamo ritenere<br />

sostanzialmente detentore di senso: altrimenti si potrebbe asserire<br />

che qualsiasi cosa che sia, già solo per questo suo essere, sia<br />

di per sé sensata. Allora tutto avrebbe senso. Ma se tutto avesse<br />

senso, nulla in realtà lo avrebbe. Se qualcosa può avere senso,<br />

<br />

non avere senso, qual<br />

è piuttosto la questione, legata a quella del senso e del non sen-<br />

lla<br />

sua coscienza, che alcuni pongono in rapporto alla libertà infinita<br />

di Dio a partire da un rac<br />

damentale,<br />

che vuole essere fondante di un mondo interpretato in base a es-<br />

azione della verità,<br />

interpretazione vera della verità del reale come enigma del cosmo,<br />

comprensione ed esperienza religiosa di una verità origi-<br />

Questo è paradossale. Il paradosso<br />

è però quanto di più lontano esiste dalla mediazione dei con-<br />

<br />

i affa-


26 Introduzione<br />

bulatorie della coscienza, alla quale interessa risolvere enigmi,<br />

misteri e paradossi, senza che tuttavia essi si lascino davvero<br />

esplicare esaustivamente. Per esempio, dalla nostra prospettiva,<br />

re la domanda<br />

filosofica è una qualche verità confabulata come origine<br />

del pensiero ma più in generale di tutte le costruzioni culturali.<br />

Il paradosso fondamentale potrebbe essere allora per la coscienza<br />

umana la verità originaria, realmente perfetta e indistruttibile,<br />

della cesura di sapere la morte senza saperne il senso, dovendosene<br />

immediatamente inventare o lasciandosene suggerire uno<br />

qualsiasi che la ponga al centro della narrazione come recita<br />

e ricomposizione<br />

della cesura. Questa ricerca di ricomposizione fa parte<br />

integrante del paradosso della verità, comprendente anche un<br />

bi<br />

di una chiusura o soluzione totale della scissione e di una conclusività<br />

della ricomposizione.<br />

Di fatto, la libertà come origine ontologica del reale e della<br />

stessa libertà umana è qualcosa narrato non solo da alcuni filosofi,<br />

ma anche da certi scienziati: per esempio Ilia Prigogine,<br />

che basa le sue conclusioni su un autore come Schelling, a partire<br />

dal quale il nostro Luigi Pareyson tologia<br />

della libertà. Ma, mentre lo scienziato ne parla proponendo<br />

ipotesi metafisiche ma non scientifiche sulla base della<br />

sua ragione scientifica, il pensatore lo fa in base al suo pensiero<br />

nigma del<br />

mondo, proposta a partire dalla ragione religiosa e filosofica o<br />

di quella scientifica e metafisica, è tuttavia soggetta alla costitutiva<br />

narratività della coscienza umana, la quale in ultima ana-<br />

amente<br />

tende a pensare di sé, della propria coscienza e del proprio<br />

ruolo, al centro o alla sommità di questo enigma. Che questa<br />

narratività si declini in senso scientifico o filosofico o religioso,<br />

oppure si articoli in senso speculativo ed esplicativo o in<br />

senso comprendente e puramente interpretativo, le cose non<br />

cambiano in maniera sostanziale. La nostra originaria esperien-


Introduzione 27<br />

za della verità non è perciò quella della libertà o il paradosso<br />

come appena detto è sapere<br />

la morte (come il finito) senza saperne il senso (come infinito).<br />

In maniera che non ci si può contentare della sua naturalità<br />

e si debba sùbito ricercare narrativamente una costruzione<br />

spirituale che ne rappresenti un <br />

prospettare alla coscienza il suo ruolo insostituibile e centrale<br />

eterno.<br />

<br />

del mondo (mediante la libertà o altro), negli interessi principali<br />

tta,<br />

la quale ci avrebbe installati in essa per chissà quali suoi<br />

scopi trascendenti e ultramondani. Tutto questo è semplicemen-<br />

<br />

tto,<br />

dal sentore di non avere quel ruolo fondamentale che si anela<br />

ad assicurarsi a partire dal sapere la morte. Bisognerebbe con-<br />

micità<br />

di queste storie di fondazione. La seriosità austera di<br />

queste storie potrebbe andare in conto a una dialettica estremamente<br />

dispendiosa, e dunque antieconomica, di mantenimento<br />

<br />

pensiamo che il comico è costituito già secondo Freud da un<br />

alleggerimento del dispendio psichico, e che un analogo dispendio<br />

è anche quello che intende risparmiarsi il fondazionalismo<br />

per venire incontro al bisogno di compensare la dissipazione<br />

connessa al sapere la morte, tuttavia richiedendo il ricorso a ben<br />

altri antieconomici dispendi con le sue trame compensative, si<br />

potrebbe pensare che tra il comico e le teorie di fondazione vi<br />

siano prossimità più o meno nascoste. Se il fondazionalismo,<br />

infatti, si può intendere anche come volontà economica di risparmiare<br />

un dispendio: quello che attiene, in ogni<br />

caso, al sapere la morte, per sopportare il quale lo psichismo<br />

patisce una sofferenza primaria, esso ottiene però questo risparmio<br />

attraverso altri più gravosi dispendi, che supplementano<br />

perciò il primo mediante costruzioni narrative straordinaria-


28 Introduzione<br />

mente dispendiose, talora incredibili e assurde per ogni soggettività<br />

o comunità che non si riferisca a esse come a radici primarie<br />

di appartenenza e riconoscimento culturale. Anche il comico<br />

varrebbero come risparmi di un dispendio attraverso<br />

un certo dispendio, un dispendio che neutralizza il primo<br />

ottenendone un guadagno nel differenziale. Ovvero, la differenza<br />

nel guadagno tra i due dispendi appare, nel caso della comicità,<br />

superiore rispetto a quello che si impone nello squilibrio<br />

fra il dispendio iniziale richiesto dal sapere la morte (col quale<br />

deve certamente confrontarsi ogni fondazionalismo, e anche<br />

quello religioso o comunque sapienziale) e il bisogno compensativo<br />

di fondazione e di rassicurazione del senso. Il che significa,<br />

in sostanza, che la perdita è sicuramente inferiore. La vita, in<br />

ogni modo, è anche fare economia della morte, oltre che di-<br />

nomia della vita, la quale è essa<br />

stessa resistenza insieme nei confronti sia del dispendio energetico<br />

che del troppo poco dispendio, ossia neghentropia nel ples-<br />

n <br />

morte. È qui in gioco ciò che il nostro dispositivo psichico e<br />

spirituale intraprende a fare fin da subito, non appena gli esseri<br />

umani ricevono il dono avvelenato (la grazia) sia pur fantastico<br />

e inebriante, per la gran messe di risultati culturali cui ha<br />

condotto ricercandone la compensazione e o la ricomposizione<br />

di diventare tali, ossia esseri sapienti del proprio dover morire.<br />

Sùbito infatti essi devono aver dovuto cercare di fare economia<br />

sia della vita che della morte, ricercando il risparmio culturale<br />

contro la necessaria dispersione, al-<br />

mento pulsionale eccessivo (Freud,<br />

nel saggio sui Motti di spirito, parlava in tal caso di catessi).<br />

Dalla complessa economia risultante da queste dissipazioni incrociate<br />

e risparmi nei dispendi derivano perciò tutte quelle<br />

conquiste di cui ci piace sostenere facciano la grandezza del-<br />

gli animali. Esse fanno tuttavia anche la sua<br />

miseria e sproporzione rispetto a tutto ciò che nelle bestie rap-<br />

isparmiata dal sapere.<br />

Si deve ora ammettere che il risparmio nello sperpero ri-


Introduzione 29<br />

guardante un certo investimento psichico inopportuno sia un<br />

Qualsiasi<br />

impegno serio di vita è estremamente dispendioso dal punto di<br />

vi<br />

qualsiasi risultato significativo il dispositivo psichico tende a<br />

investire notevoli quantità di energia al fine di differire in senso<br />

controentropico il decremento pericoloso. Ossia quello che porta<br />

alla dissipazione tendente a ricercare continuamente nel presente<br />

soddisfazioni immediate derivanti dal rilassare economi-<br />

controentropico del genere<br />

implica differimento del piacere momentaneo e della dispersione<br />

connessa a quella disgregazione entropica delle energie che<br />

ntropico<br />

e neghentropico è dunque da intendersi sia come investimento<br />

tendente al differimento della morte la quale si impone<br />

già nel rilassamento delle resistenze, i cui prodromi stanno<br />

di un guadagno immediato,<br />

che però richiama la tendenza al disordine disorganizzato e<br />

, sia come volontà di restanza<br />

cremento<br />

minaccioso della dissipazione. Tra volontà di differimento<br />

e volontà di restanza (volontà che, in entrambi i casi, non<br />

è detto debba risolversi in processi del tutto coscienti) si produce<br />

un connubio tendente a rispondere alla sfida imposta da quel-<br />

o filogenetico nella co-<br />

co-<br />

iflessione<br />

di un tale sapere, a partire dal quale la coscienza ormai<br />

lacerata e scissa deve immediatamente mettersi in cerca di rimedi<br />

e strategie in grado di differirne la potenziale minacciosità.<br />

Tra sapere la morte e non volerne sapere si evidenzia così<br />

<br />

one fondante dunque<br />

in analogo senso la sfera della comicità.<br />

Ma anche il male igione,<br />

che è una o la modalità primaria di venire a capo del-


30 Introduzione<br />

la cesura, del dubbio di senso affacciatosi col sapere la morte, il<br />

quale, ripetendo cose già dette altrove, non significa affatto sapere<br />

ciò che la morte sia, ma semplicemente sapere che si deve<br />

morire, presto o tardi, senza saperne il senso, sapendo la necessità<br />

della fine con grande anticipo, potendocelo immaginare,<br />

non potendoci impedire di sospettare che con la fine della vita<br />

corporea e materiale termini anche la nostra intera vita spiritua-<br />

<br />

spetta di diritto tale denominazione, sta in rapporto immediato<br />

col suddetto sapere, sotto forma di un rancore e di un risenti-<br />

a-<br />

nde<br />

tutto dalla libertà, la quale piuttosto ne è in sostanza una certa<br />

risposta, nel senso o di una resistenza al risentimento o di una<br />

acquiescenza ai moti del rancore. Molto più originario della libertà<br />

è dunque quel sapere, con la cui provocazione la coscienza<br />

si trova costretta in ogni modo a confrontarsi più o meno<br />

liberamente attraverso un corrispondere pienamente al richiamo<br />

del risentimento e del rancore che possono derivarne,<br />

oppure un atteggiamento di implicita o esplicita resistenza. La<br />

religione richiama, mediante la libertà, alla consapevolezza del<br />

male ossia al sapere della sua esistenza, sapere che può essere<br />

inteso come vero e proprio peccato originale della coscienza<br />

umana cercandone una ragione o una giustificazione.<br />

Se qui si può parlare di caduta, la si deve però intendere non<br />

certo in senso letterale. Possiamo talora verificare che qualcosa<br />

sia caduto, una pietra o un uomo, e credere che possa essere risollevato.<br />

Possiamo anche ritenere, forse con maggiore giustificazione,<br />

che abbia rappresentato una caduta filogenetica del-<br />

mo il venire a sapere la morte, a causa forse di un mutamento<br />

improvviso in un qualche dispositivo psichico, nella coscienza<br />

di un qualche primate in una lontana plaga africana o asiatica,<br />

come evento pressoché insignificante della sua mente primi-<br />

igine abissale dei tempi. Questa<br />

metabolé dovette forse illuminare la sua coscienza, e al contempo<br />

oscurarla. Una tale caduta si reitera a livello ontogenetico


Introduzione 31<br />

nel caso del dispositivo psichico e della mente di ogni singolo<br />

essere umano. E dunque, da quel lontano momento nascosto<br />

nelle pieghe di un abisso del tempo, chi è caduto, riflessosi improvvisamente<br />

in se stesso nella sua caducità, cerca di risollevarsi.<br />

La storia di questa caduta vale quella mitologica propria<br />

del racconto biblico, del giardino edenico che narra la cacciata<br />

dei primi esseri umani usciti dalle mani e dal soffio divino.<br />

Come vedremo proprio commentando le opere di Beckett, nel<br />

radiodramma Tutti quelli che cadono questo autore fa capire<br />

come sia grottesco pensare come nel Salmo biblico che tutti<br />

quelli che cadono vengano rialzati, poiché vi sono, vi saranno e<br />

vi sono state miriadi di persone, di culture e civiltà che nessuno<br />

ha potuto o potrà risollevare dalla condizione deietta in cui sono<br />

cadute o cadranno. La risata cupa dei personaggi scoppiata al<br />

solo nominare il titolo della predica annunciata testimonia come<br />

il ridicolo e il senso della più grande assurdità possano accom-<br />

ilosofico<br />

o sapienziale. Se qualcosa di tragico qui sussiste, questo corrisponde<br />

al fatto che quelli che cadono a parte i fortunati che<br />

, i quali tuttavia alla fine non possono<br />

non ricadere e non precipitare non abbiano alcuna<br />

possibilità di rialzarsi. Il grottesco, invece, sta proprio nella credenza<br />

assurda che tutti quelli che cadono si rialzino o possano<br />

rialzarsi.<br />

osa<br />

e tragica della libertà viene celebrata. Si tratta del romanzo Il<br />

sospetto di Dürrenmatt, che nella figura del medico torturatore<br />

umana, troppo umana di chi gode nel<br />

mpo<br />

feroce e spietato nella narrazione di Dürrenmatt. Come vedremo,<br />

il suo chirurgo esalta la propria libertà assoluta consistente<br />

nel torturare i suoi pazienti senza anestesia, godendo il<br />

suo trionfo riflettendolo nello sguardo follemente vitreo e nelle<br />

bocche urlanti delle sue vittime. Ne <br />

nella sua intensità, tale che forse nem<br />

corrispondervi, in cui egli affonda le sue lame nelle carni bian-


32 Introduzione<br />

che rendendole ammassi sanguinolenti, egli celebra il suo libero<br />

arbitrio, la sua libertà come coragsere se<br />

stesso fino in fondo, come essere diventato se stesso, come un<br />

semidio, trasformando il proprio sé in puro istante, tempo col-<br />

<br />

ogni giustizia, innalzandosi fino a raggiungere ciò che per lui di<br />

-senso<br />

di questo mondo, nel mistero della sua materia morta, che come<br />

<br />

morte. Neanche in Dostoevskij o in Camus troviamo figure del<br />

genere, che però si possono scoprire nelle cronache della Shoah,<br />

e sappiamo che per molti esseri umani far soffrire e procurarsi<br />

sofferenze sono da annoverare tra i massimi piaceri e tremori<br />

<br />

o-<br />

i<br />

alla ricerca del senso perduto e della presunta riconquista di una<br />

qualche identità e insostituibi<br />

Sempre si tratterà di una richiesta di attestazione da parte di<br />

qualcuno di essere qualcosa e non nulla, di vincere anche facendo<br />

del male e facendosene di avere un senso e non nessuno,<br />

che la sua miserabile esistenza non è del tutto vana ma è<br />

qualcosa, che ha una sua necessità, una logica in grado di debellare<br />

la logica della morte. Il tragico della libertà è qui di manifestarsi<br />

come positiva o negativa senza che si possa affermare una<br />

ismo<br />

e della spiritualità che tende a ricomporre, vale a dire al sapere<br />

il finito.<br />

<br />

spirituale preceda e segua la cesura. Questo potrebbe valere al<br />

massimo in senso ontologico e naturalistico: nel senso cioè che<br />

nella grande sfera del mondo ogni cosa venga riassorbita e in<br />

fondo resa indifferenziata e anonima. Nella condizione umana<br />

ivamente rappres <br />

<br />

in quanto tale, ritorno della complessità organica dei suoi mem-


Introduzione 33<br />

bri alle sue componenti più semplici, la sua restituzione alla pura<br />

e semplice naturalità del non vivente. Il tragico consiste nella<br />

impossibilità della certezza di un transito dalla non unità della<br />

ce<br />

grottesco nella credenza<br />

che tale transito sia necessario o garantito. Non è così de-<br />

o-<br />

<br />

sia qualcosa di flessibile e organizzato che contempli in sé sia<br />

una cesura sia una pluralità di recite di lacerazione e ricomposizione.<br />

La lacerazione per noi decisiva, dunque, non è tanto<br />

quella on<br />

come rottura della relazione finito e infinito, bensì quella spirituale<br />

della coscienza attinente al sapere il finito e la morte e non<br />

volerne né poterne sapere se non apprestando più o meno complesse,<br />

articolate, paradossali o assurde strategie di ricomposizione.<br />

In sostanza, la cesura significativa per la condizione umana<br />

è tutta interna al finito, ed è nel finito che si individuano<br />

recite di ricomposizione, ricercando così di venire a capo an-<br />

del male, della sofferenza, della morte. Ed è<br />

qui che si sviluppano le percezioni di benessere, felicità, incanto,<br />

stupore, che possono pareggiare e anche essere superiori a<br />

quelle di orrore, disincanto, infelicità, malessere. Esse possono<br />

tutte liberamente accordarsi con le narrazioni di cui la coscienza<br />

si rende capace allo scopo di resistere al destino del finito o di<br />

accettarne il verdetto sopportandolo.<br />

Il male non è perciò inspiegabile, come si potrebbe pensare.<br />

Esso ha ragioni che si possono annoverare. Queste ragioni si<br />

annidano innanzitutto nelle risposte negative che la coscienza<br />

dà alla sfida rappresentata dalla cesura con cui sidentifica, ovvero<br />

dal sapere la finitezza e la caducità. Esso consiste nelle sue<br />

radici ultime, come si era detto, nel risentimento e nel rancore<br />

nei confronti di questo sapere, nella replica aberrante della co-<br />

ato originale di sapere<br />

la morte la porta a questa risposta che spetta alla libertà, come<br />

risultanza di negoziazione di differenti istanze interiori, da


34 Introduzione<br />

interpretare e defini<br />

primario né secondario rispetto al bene. Entrambi dipendono<br />

dalla risposta narrativa che la coscienza dà, attuandosi con la<br />

mediazione di quelle istanze della libertà, al sapere la morte e il<br />

come la responsabilità<br />

disinteressata nei confronti degli altri, ciò che traluce<br />

-<br />

<br />

del bene, non sono né inspiegabili né ingiustificabili, essendo la<br />

loro essenza comprensibile proprio nella risposta positiva della<br />

coscienza alla provocazione della cesura e di quel negativo che<br />

si dà e si dona come sapere la morte. Quanto può essere giustificato<br />

riallacciarsi a qualcosa di trascendente, forse una grazia,<br />

alza e sapienza divina, un disegno<br />

intelligente e un progetto sovrasensibile da cui provenga il senso<br />

ultimo della deliberazione al bene, come se fosse necessario<br />

<br />

del bene? Se è vero che è per lo più e in generale a partire dalla<br />

provocazione del negativo che la coscienza si induce ad appro-<br />

ibilità culturale,<br />

nella costru<br />

molte recite che si articolano nella nostra mente rendendo complesso<br />

il ruolo della libertà di scelta, la maggior parte degli elementi<br />

micrologici della quale non le sono in alcun modo accessibili<br />

e non dipendono dalla sua deliberazione consapevole, è<br />

anche vero che è proprio in questi elementi che si ha la limita-<br />

<br />

omenti<br />

extra-coscienziali trascendenti in senso sovrasensibile per<br />

cercare di spiegare e giustificare gli elementi della deliberazione<br />

inaccessibili alla consapevolezza. Di questi elementi sensibili,<br />

e-<br />

rcare<br />

di attribuire a quello di una qualsiasi trascendenza verticale<br />

o ultraterrena.<br />

La questione dunque non è la distinzione di ciò che precede


Introduzione 35<br />

e ciò che segue la scelta, ma ciò che nella coscienza della scelta<br />

rappresenta un ritardo tale da poter essere riempito da frammenti<br />

narrativi tendenti a esplicitare o interpretare post hoc la deliberazione.<br />

Si tratta di una ricostruzione che pone radicalmente<br />

in dubbio il primato della libertà illimitata come scelta, tale da<br />

far ritenere che non vi siano dimensioni ontologiche e un essere<br />

<br />

<br />

coscienza tende a ricostruire secondo i suoi interessi più o meno<br />

immediati e i suoi bisogni fondamentali di giustificazione, comprensione,<br />

ricomposizione (anche della cesura). Ogni tale ricostruzione<br />

appare come una scommessa sul senso del<br />

quale dunque è immanente a ogni scelta intenzionale e a ogni<br />

deliberazione consapevole. Ma se ciò significa la sua necessità<br />

anche in rapporto alla domanda su Dio e la sua esistenza o me-<br />

-<br />

<br />

rappresenti la domanda fondamentale in rapporto alla quale la<br />

scommessa sia decisiva nella serie di scelte importanti della vita,<br />

che la sua sostanziale non neutralità rappresenti un unicum<br />

nella serie. Infatti, in ogni agire consapevole sussiste un elemento<br />

narrativo e finito che richiama una certa alea, dichiarata<br />

o meno, e un tentare la sorte sulla sua corrispondenza a una<br />

qualche verità infinita ed eterna. E dunque ciò vale anche per<br />

quelle interpretazioni filosofiche della verità che tendono a presentare<br />

le ragioni che le sostengono come peculiari della loro<br />

capacità espale<br />

enigmaticità. Ma questo vale in ultima analisi soprattutto per<br />

quelle interpretazioni filosofiche tendenti a ricondurre le loro<br />

<br />

religiose di queste ragioni, dichiarando per esempio o lasciando<br />

tacitamente supporre che la sofferenza redentrice di un Dio redentore<br />

sfugga alle dimensioni di una mera naturalità della sofferenza.<br />

Rispetto alla presunta spiritualità del male, la sofferenza<br />

viene talora intesa come natura. Non quella però della sofferenza<br />

redentrice del Dio che redime il male, che si distingue-


36 Introduzione<br />

rebbe perciò da quella che è naturale per gli esseri umani, essenzialmente<br />

non divini, come da quella dei tanti redentori e<br />

trickster semi-divini di cui è stata costellata la storia e la prei-<br />

rvasa<br />

la nostra coscienza e perfino il nostro inconscio, tutte le<br />

nostre fantasie più segrete e audaci.<br />

unica via per accedere a Dio,<br />

potremmo con un certo sforzo anche crederlo; e tuttavia ciò<br />

sembra partire dal presupposto che solo se si vuole accedere a<br />

<br />

presupposto completamente errato, poiché il male, oltre alla sofferenza<br />

che in questo non si differenzia radicalmente dal male<br />

stesso , in cui<br />

sussiste insieme a essa senza distinguersene radicalmente. Inoltre,<br />

quando si afferma la sofferenza redentrice come tale che<br />

soprattutto nel caso della divinità si presenta quale aggravio del<br />

, si lascia supporre che vi sia<br />

un parallelismo se non una equivalenza del male e della sofferenza,<br />

anche se non un identico aggravio, almeno per quanto<br />

ica che esiste<br />

anche una sofferenza redentricezione<br />

dostoevskiano-pareysoniana della colpa universale e del-<br />

ndo.<br />

Questa sofferenza umana non sarebbe dunque semplice na-<br />

udizio<br />

fideistico specificare che altre vie possibili verso la trascendenza<br />

finiscano per deformare in senso immanentistico la<br />

<br />

male in ragione di una comprensione del divino stesso. In tal<br />

caso viene posto il primato della colpa religiosa, e in primo luogo<br />

cristiana, nella concezione del male, il quale prima di essa<br />

non sarebbe altro che sofferenza. Questa non sarebbe male autentico<br />

se non da un punto di vista soggettivo, ossia individuale<br />

e personale. Tuttavia, né il male né la colpa sarebbero in realtà<br />

qualcosa di solamente spirituale o trascendente o innaturale, ma<br />

avrebbero in sé peculiari dimensioni di naturalità, già solo pen-


Introduzione 37<br />

sando banalmente che entrambi si verificano in natura (e, se no,<br />

dove?) facendo parte integrante degli eventi che accadono nel<br />

mondo. Ove naccettabilità<br />

della sofferenza n-<br />

, bisogna però premet-<br />

<br />

sofferenzzonte<br />

di finitezza radicale non giustifichi pienamente la resistenza<br />

nei suoi confronti, o presupponga il riferimento a una assolutezza<br />

che si vorrebbe invece esplicitamente negare, anche<br />

questo è un pregiudizio che è determinato da un esplicito fideismo.<br />

Di una natura qual era in un presunto progetto di Dio, quale<br />

avrebbe appunto dovuto essere, possiamo solo fare supposizioni<br />

dettate da chiari pregiudizi, più o meno interessati, più o<br />

meno fideisticamente connotati. Neanche della natura qual è at-<br />

nché,<br />

né possiamo sapere quale sia la distinzione tra queste immagini<br />

della natura a prescindere dai pregiudizi e presupposti<br />

che possiamo averne.<br />

Anche <br />

potrebbero manifestarsi molteplici riserve, poiché qui possiamo<br />

tutti sbizzarrirci fino a ritenere che Dio sia capace di realizzare<br />

Ma il mondo è orrore tanto<br />

quanto amore. Il riferimento a un éschaton come a ciò che ri-<br />

<br />

verrebbe confermato e sottratto al male tutto ciò che è stato<br />

prodotto dalla storia come degno di essere conservato, è un riferimento<br />

troppo interessato per non suscitare qualche dubbio o<br />

sospetto. Potremmo sempre chiederci che cosa sia degno di essere<br />

conservato e cosa non lo sia. Qui i pareri potrebbero essere<br />

completamente contrastanti. Ma già il semplice presupposto che<br />

si cela dietro quel dato riferimento, potrebbe suscitare altri dubbi:<br />

quello della durata eterna della conservazione, nei secoli dei<br />

secoli, ossia nella serie infinita dei miliardi e miliardi di anni<br />

che durerà il nostro mondo e al di là di esso, nella serie dei<br />

mondi che potrebbero susseguirsi e durante i quali delle nostre


38 Introduzione<br />

miserabili esistenze dovrebbe conservarsi qualcosa degno di essere<br />

conservato. Per noi tutto potrebbe esserlo, almeno quello<br />

che ci appare decisivo per la definizione della nostra identità<br />

insostituibile nella storia del mondo. Ma credere che ciò avvenga<br />

e che per lo meno qualcosa venga conservato nel per sempre<br />

<br />

è presunzione di un essere che sa la morte e al contempo non fa<br />

altro tutta la vita che negarne il verdetto ultimo perché lo intende<br />

<br />

umana che il rifiuto di un tale verdetto, necessità infinitamente<br />

più potente di ogni nostra misera e insignificante quantunque<br />

finita e al con <br />

e grottesco di questo presupposto della conservazione infinita e<br />

<br />

disposta a credere ciecamente nella sua inalienabile libertà al<br />

solo scopo di conservare di sé la propria identità personale, a<br />

terno.<br />

La risata cupa del signor Rooney in Tutti quelli che cadono<br />

risuona qui sempre più alta. Proprio Spinoza potrebbe essere<br />

portato a testimone di questa insipienza o fiducia nel credere<br />

che dal riferimento alla nostra libertà possa risultare qualcosa di<br />

possibilità di accettare<br />

la finitezza radicale della vita, la sua dipendenza assoluta<br />

agliano a<br />

credersi liberi; questa opinione è basata sul fatto che sono consci<br />

delle loro azioni, e ignari delle cause che li determinano. La<br />

loro idea di libertà, dunque, consiste semranza<br />

delle cause delle loro azioni» (Ethica ordine geometrico<br />

demonstrata<br />

più radicale di libertà, e non certo quella sug logia<br />

della libertà che si fonda su un esplicito fideismo e su una<br />

potenza esplicativa della verità dai problematici presupposti.<br />

<br />

finiti, da cui direttamente dipende, debba essere necessariamente<br />

pensato come Dio e come Dio personale in grado di redimere<br />

il male. Esso, col suo grande corpaccione, potrebbe starsene per


Introduzione 39<br />

conto suo completamente indifferente nei nostri confronti, ai<br />

quali è attribuito il compierlo o, come dice Pareyson<br />

Così che è irril <br />

essere divino come sostanza creatrice e ordinatrice del mondo.<br />

Ma anche questa, che è una storia come molte altre sul nostro<br />

rapporto con la divinità, come ogni storia su Dio, non fa altro<br />

che esprimere il desiderio di una giustificazione per la nostra<br />

travagliata esistenza, il cui nucleo è una coscienza lacerata e divisa,<br />

incerta sul senso o sul non senso della propria sostanza, e<br />

dunque alla ricerca di ricomposizione per tale incertezza radicale,<br />

della cesura di cui è traccia tra sapere il finito e bisogno di<br />

infinito.<br />

Il religioso è quindi un tema che si manifesta sottotraccia<br />

con una certa rilevanza negli autori che sono oggetto di studio<br />

nel volu<br />

o con esplicito sarcasmo e una certa blasfemia, soprattutto in<br />

Beckett ma anche in Dürrenmatt, o (in Pirandello) interpretan-<br />

<br />

tradizionale di Dio. Molto del grottesco o del comico presente<br />

nelle loro opere si sviluppa in rapporto al religioso e al tragico.<br />

Questo vale però soprattutto per quanto concerne i primi due<br />

autori, mentre il ca manifesta un<br />

certo distacco e non si lega così strettamente al tema del religioso,<br />

ma certamente al tragico. In Pirandello me<br />

vedremo, si lega strettamente alla riflessione e viene legata<br />

al sentimento del contrario. Sentimento e riflessione si troverebbero<br />

perciò connessi in un unico movimento decisivo che<br />

fferenziarsi dal comico inteso come semplice<br />

avvertimento del contrario rispetto al vero e proprio sentimento<br />

del contrario. Nel comico, sec <br />

non sussiste quel riferimento alla riflessione determinante per la<br />

sua concezione del tesco<br />

non comporta nelle sue opere, e soprattutto nello studio<br />

iche che esplicitamente esso<br />

acquista nelle opere di Beckett e di Dürrenmatt. Vediamo come<br />

in lui esso si risolva in un concetto abbastanza debole, sebbene


40 Introduzione<br />

<br />

ealtà.<br />

Questa esplicita dimensione umoristica si applica a situazioni<br />

che sono perciò spesso descritte in maniera grottesca, tali<br />

da lasciar trasparire il grottesco delle realtà che delimitano.

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