ANIMALI, MINERALI e ROCCE - Banca Popolare di Sondrio
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I talcoscisti della Caurga, al Para<strong>di</strong>so <strong>di</strong><br />
Chiavenna, vennero utilizzati per secoli come<br />
“pietre per fare lavezzi”. Foto C. Bedogné.<br />
Nella pagina a fianco: la Val <strong>di</strong> Mello è incisa<br />
entro il Ghiandone del plutone Masino-Bregaglia.<br />
Foto C. Bedogné.<br />
Note storiche<br />
Le prime notizie sulle rocce della provincia <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong> risalgono a Plinio il Vecchio<br />
che, nella Naturalis Historia (77 d.C.), accenna alla pietra verde del territorio<br />
comasco, che viene tornita in vasi per cuocere i cibi. Se è certo il riferimento alla<br />
pietra ollare, resta il dubbio sulla località <strong>di</strong> provenienza, che potrebbe essere<br />
la Valmalenco o, più probabilmente, il Chiavennasco. La pietra da fare lavezzi<br />
viene citata in numerosi testi soprattutto del 1500 e del 1600, come nella “Descrittione<br />
<strong>di</strong> tutta Italia, et isole pertinenti ad essa” <strong>di</strong> Fra’ Leandro Alberti<br />
(1596).<br />
Una prima, alquanto nebulosa, segnalazione <strong>di</strong> minerali rinvenuti in provincia<br />
si ritrova nell’Almanacco e<strong>di</strong>to dal tipografo sondriese G.B. Della Cagnoletta nel<br />
1833. L’ignoto Autore elenca, accanto al marmo statuario e sanguigno ed all’argilla<br />
pura ad uso <strong>di</strong> porcellana, la pirite marziale, la galena <strong>di</strong> piombo, le granate<br />
e l’amianto.<br />
In quegli anni esistevano in <strong>Sondrio</strong> due collezioni <strong>di</strong> minerali, le prime <strong>di</strong> cui<br />
si abbia notizia, una <strong>di</strong> proprietà del dottor fisico Pietro Martire Ferrari, l’altra<br />
della famiglia Sertoli. Nel 1835 il dott. Cesare Sertoli dona alla “Scuola elementare<br />
maggiore” <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong> una collezione <strong>di</strong> minerali, rocce e fossili esotici ed<br />
in<strong>di</strong>geni. Tra i minerali elencati nell’atto <strong>di</strong> cessione compaiono, insieme con<br />
molte varietà <strong>di</strong> pirite, <strong>di</strong> quarzo e <strong>di</strong> amianto, molibdena, tormalina ed epidoto<br />
<strong>di</strong> Lanzada, salgemma della Valle del Braulio e gesso <strong>di</strong> Bormio. La “molibdena”<br />
dovrebbe essere molibdenite; il salgemma non è mai, o non è più, stato<br />
rinvenuto, ma in effetti nel Bormiese affiorano rocce che potrebbero contenerlo.<br />
Nell’inventario dei minerali in dotazione alla scuola, conservato nell’archivio<br />
storico del Comune <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong>, figurano il cristallo <strong>di</strong> rocca <strong>di</strong> Chiavenna, lo<br />
zinco <strong>di</strong> Cagnoletti, il peridoto, oltre ad un campione della miniera d’oro d’Arigna.<br />
È probabile che lo zinco <strong>di</strong> Cagnoletti sia sfalerite e che il peridoto sia una<br />
varietà trasparente <strong>di</strong> forsterite. È un vero peccato non poter controllare queste<br />
ipotesi, in quanto <strong>di</strong> questa raccolta <strong>di</strong>dattica si è persa ogni traccia.<br />
Verso la metà del secolo scorso cominciano ad occuparsi delle montagne valtellinesi<br />
e valchiavennasche i geologi svizzeri, inaugurando una tra<strong>di</strong>zione che<br />
dura tutt’ora. B. Studer, bernese, descrive il Ghiandone della Val Codera e della<br />
Val Masino, in cui «emergono grossi cristalli geminati <strong>di</strong> ortoclasio che superano<br />
sovente i due pollici <strong>di</strong> lunghezza».<br />
Sulle guide turistiche e<strong>di</strong>te negli ultimi decenni dell’Ottocento compaiono invece<br />
notizie molto meno atten<strong>di</strong>bili, che sembrano attingere alla fantasia popolare.<br />
E. Bassi riferisce che l’oro si estraeva in tre località della Valmalenco:<br />
«In fondo alla valle, vicino al Passo del Muretto, in luogo elevato che <strong>di</strong> rado resta<br />
scoperto dalla neve ....., in prossimità dei Laghetti <strong>di</strong> Sassersa e sul monte detto<br />
appunto dell’Oro». È stato rintracciato solo il giacimento dei Laghetti <strong>di</strong> Sassersa,<br />
costituito da magnetite e pirrotite associate con calcopirite, un minerale <strong>di</strong><br />
ferro e rame con un colore ed una lucentezza che possono anche far pensare<br />
all’oro, tanto che «viene dal volgo chiamato l’oro degli sciocchi». Le miniere <strong>di</strong><br />
Sassersa, situate «in una selvaggia e rocciosa testata» <strong>di</strong> serpentiniti ed oficalci,<br />
erano state descritte, con scrupolo scientifico non <strong>di</strong>sgiunto da sottolineature<br />
romantiche, dal geologo G. Theobald in un volume pubblicato in Svizzera<br />
alcuni anni prima: «Nelle <strong>di</strong>scariche si ritrovano magnetite ed ilmenite, pirite,<br />
tetraedrite e calcopirite. Il 10 agosto 1863 i pozzi erano riempiti <strong>di</strong> ghiaccio e <strong>di</strong><br />
neve. Alcune ossa <strong>di</strong> pecore e maiali, che si trovavano tra le rovine, sono state<br />
ricoperte da malachite ed hanno assunto un color turchese. Una miniera in questa<br />
regione polare e con minerali improduttivi non poteva dare alcun vantaggio».<br />
Un primo, peraltro lacunoso, tentativo <strong>di</strong> delineare un quadro delle ricchezze<br />
minerarie provinciali viene compiuto da G. Jervis nella monumentale opera I<br />
tesori sotterranei dell’Italia (1873). Vengono in<strong>di</strong>cate le località <strong>di</strong> ritrovamento<br />
dell’amianto in filacce bianchissime, del talco indurito, varietà steatite, del<br />
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