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Primitivo.

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Università degli Studi di Pavia<br />

Facoltà di Ingegneria<br />

Corso di laurea in Ingegneria Edile Architettura<br />

<strong>Primitivo</strong>.<br />

Tesi di Stanislao Spezziga<br />

Relatore Prof. Arch. Tiziano Cattaneo<br />

Anno accademico 2009-2010


<strong>Primitivo</strong>.<br />

Tesi di Stanislao Spezziga<br />

Relatore Prof. Arch. Tiziano Cattaneo


Università degli Studi di Pavia, Facoltà di Ingegneria, Corso di laurea in Ingegneria Edile Architettura, anno<br />

accademico 2009-2010


<strong>Primitivo</strong><br />

Indice<br />

1. Introduzione. (pag 10)<br />

pesci combattenti<br />

Ritornerò allontanandomi. un metodo<br />

Analisi. Teoria. e Tesi. tre movimenti<br />

2. Prologo. (pag 30)<br />

where are we going?<br />

Un manifesto incompleto per la crescita.<br />

dove stiamo andando?<br />

evoluzione. due teorie<br />

3. Analisi. (pag. 42)<br />

Verso il precipizio…<br />

l'Uomo.<br />

il Paesaggio.<br />

Il paesaggio come immagine<br />

Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione dell'identità culturale<br />

Scompaginazione dei luoghi e perdita dell'identità<br />

Memoria e conservazione.<br />

l'Architettura<br />

Architettura. Otto definizioni<br />

Liquefazione<br />

Sperimentazione<br />

Codice ovvio<br />

Straniamento<br />

Decontestualizzazione<br />

Sostituzione<br />

Inclusione<br />

Smontaggi/Rimontaggi<br />

Salto di scala<br />

Analogia<br />

Innovazione<br />

Il contesto dell'innovazione<br />

Progettazione digitale<br />

Architettura. la musa depositaria del tempo e della conoscenza<br />

Riproduzione di forme e la teoria di Derrida<br />

Derrida<br />

Architettura normale in un paese normale.<br />

Infinità dei materiali<br />

Periodo di sovrapproduzione<br />

Tamara<br />

Morte della Composizione.<br />

Novecento<br />

esito progettuale. studio di uno spazio aperto<br />

quale futuro?<br />

uomo o macchina?<br />

Devoluzione.


4. Teoria. (pag 154)<br />

la lontananza<br />

l'Uomo<br />

il Desiderio<br />

Zenobia<br />

Prologo<br />

Dominio natura<br />

Dominio altri uomini<br />

Immortalità<br />

Perfezione<br />

Volare<br />

Felicità<br />

gli Dei<br />

i Dialoghi<br />

La nube<br />

Epilogo<br />

evoluzione.<br />

manifestazione di un desiderio<br />

la concezione di Hilberseimer<br />

I Murales di Orgosolo<br />

il Paesaggio<br />

Luoghi<br />

Ethos<br />

l'Architettura<br />

Un'unica strada, architettura, uomo, arte<br />

Un riferimento nell'arte<br />

Continuità dell'esperienza classica<br />

Identità<br />

Identità e composizione<br />

il pensiero di Khan<br />

il pensiero di Le Corbusier<br />

La ricerca della forma<br />

Abitare il paesaggio<br />

Il carattere degli edifici<br />

<strong>Primitivo</strong> vs. Riproduttivo<br />

La ricerca dell'essenziale nell'arte<br />

Frammenti.<br />

segni, tracce, suoli<br />

Tela.<br />

Aldo Rossi, Tessiture Sarde<br />

micro-urbanistica soffice<br />

5. Tesi. (pag. 236)<br />

<strong>Primitivo</strong>. l'Architettura deve tornare alle origini<br />

paesaggio primitivo<br />

Ombre<br />

il Potenziale<br />

desiderio. la terra deve tornare ai contadini<br />

verso un'agricoltura urbana<br />

progetti<br />

le ipotesi tempo libero, ecologia e produzione<br />

un riferimento imprescindibile


desiderio. smilitarizzazione<br />

manifestazione di un desiderio<br />

un'esperienza. i laogai cinesi<br />

un diario<br />

perché parlare dell'inferno<br />

vederla crescere<br />

esito progettuale. Pieve Emanuele<br />

Architettura primitiva<br />

una visione. una città di uomini volanti<br />

la costruzione di un'idea di città<br />

Isaura<br />

scenari futuri<br />

il Pensiero di Aldo Rossi<br />

un pezzo di cielo. il segreto dei Nuraghi<br />

identità dei Nuraghi<br />

un desiderio<br />

manifestazione<br />

Pietra<br />

lo sviluppo di un'idea di città<br />

il sonno della ragione genera mostri<br />

Architettura come costruzione<br />

5+1 abstract<br />

Rifondazione!<br />

esito progettuale. Cagliari<br />

conclusione


Ai miei Genitori.<br />

"sono storie facili.<br />

come quelle che ti raccontavano da piccolo.<br />

e tu credevi vere.<br />

com'è stato facile restare fermo.<br />

immobile.<br />

chiudendo gli occhi.<br />

e rinunciando a vedere.."<br />

tratto da Fantasma.<br />

(Linea 77)


Introduzione.


pesci combattenti.<br />

qualcuno dovrebbe rimetterli nel fiume..<br />

-Perchè stanno separati?-<br />

sono pesci combattenti.<br />

si ucciderebbero tra loro.<br />

è vero sai?<br />

sono pesci combattenti siamesi.<br />

guarda..<br />

se gli metti uno specchio davanti al vetro<br />

cercando di uccidere se stessi<br />

in quell'immagine.<br />

chissà se lo farebbero nel fiume..<br />

appartengono al fiume.<br />

non combatterebbero se fossero nel fiume.<br />

se avessero..<br />

spazio.<br />

12<br />

Monologo tratto dal film Rumble Fish (1983)<br />

diretto da Francis Ford Coppola<br />

e basato sull'omonimo romanzo di Susan E. Hinton


13<br />

a lungo mi son interrogato sul significato di spazio.<br />

tuttavia ancora oggi nè ho solo l'idea.<br />

ed è tutta un casino.<br />

ho sempre rifiutato le cose che mi venivano imposte.<br />

tutte.<br />

comprese quelle che ti porti dentro fin dalla nascita.<br />

e che dipendono dal dove.<br />

nasci.<br />

non solo.<br />

ho sempre reputato anche persone stupide e limitate<br />

tutte quelle che parlavano sempre e solo della propria<br />

cultura tradizionale.<br />

e che asfissiati dai luoghi comuni del "dover esser"<br />

rinunciavano a capire le altre culture.<br />

a priori.


non ho mai avuto un rapporto facile con la mia terra.<br />

con la sua cultura. troppo chiusa in se stessa. troppo<br />

poco capace di rinnovarsi continuamente.<br />

troppo schiava di ignoranza e stagnazione.<br />

e con le sue monumentali architetture. i nuraghi.<br />

così pesanti. e noiosi. da sempre troppo carichi di<br />

superflui significati e pagine di storia.<br />

..eppure nessuno li ha mai capiti.<br />

per questo mi sono allontanato.<br />

e oggi posso dire che niente. davvero niente.<br />

come tornare in un luogo rimasto immutato.<br />

mi fa capire quanto sono cambiato.<br />

anche il rapporto con la scuola pavese è sempre stato<br />

complicato.<br />

l'ho sempre vista come un fabbrica di persone<br />

lobotomizzate. dove viene premiata la costanza.<br />

non la qualità. una sorta di catena di montaggio.<br />

che inizia sempre dalla prima fila.<br />

io son sempre stato in ultima. in tutti i sensi.<br />

avevo più spazio.<br />

14


man mano che il tempo passava gli esami si<br />

susseguivano con ritmo più o meno regolare.<br />

q u e s t o p e r c h è s o p r a t t u t t o n e i p r i m i a n n i<br />

comportavano uno studio molto faticoso.<br />

perchè ero consapevole di sacrificare la mia<br />

libertà.<br />

non so ancora di che tipo di libertà si tratti.<br />

so solo che son sempre riuscito a difenderla. non<br />

sempre con l'impegno.<br />

a volte con la dimenticanza. la distrazione. la<br />

fuga. la malattia.<br />

poi qualcosa è cambiato.<br />

ho finalmente trovato dei Maestri.<br />

dei riferimenti.<br />

che tutt'oggi cerco sempre di celebrare.<br />

conservo nella memoria le prime parole del Prof.<br />

Angelo Bugatti.<br />

p e r i l q u a l e h o s e m p r e n u t r i t o u n a s t i m a<br />

particolare.<br />

parole di lotta.<br />

contro i nemici di sempre.<br />

15<br />

la banalità. i luoghi comuni. il compromesso. la<br />

superficialità.<br />

"togliere i veli che ricoprono l'essenza delle<br />

cose".<br />

"chiamarle con il loro nome".<br />

e "mai prendersi troppo seriamente".<br />

sono lezioni che porto ogni giorno nella mia tasca<br />

più intima.<br />

già. perchè in quegl' anni in realtà sapevo da che<br />

parte schierarmi.<br />

da quale sponda del fiume stare. ma ero ancora<br />

troppo istintivo.<br />

miravo sempre a stupire. a meravigliare. andando a<br />

creare architetture improbabili<br />

e che spesso "somigliavano più a quadri surrealisti<br />

o sculture".<br />

devo molto al Prof. Giacomo De Amicis..<br />

"non siamo animali. non possiamo fare quello che<br />

vogliamo."


17<br />

passavo le giornate tra il profumo delle pagine di<br />

libro nella aule dell'Università<br />

e il puzzo delle magliette sudate nelle palestre di<br />

pugilato.<br />

devo molto anche al pugilato.<br />

e oggi nel formato quadrato di questo scritto cerco di<br />

celebrarlo.<br />

la prima volta che entrai li dentro capii subito non<br />

c'era una logica.<br />

o meglio che ve n'era una meno razionale.<br />

la gente si batteva. ma era sempre uno contro uno. con<br />

delle regole.<br />

se ti batteva significa che era stato più bravo.<br />

e comunque dall'altro non avevi che da imparare.<br />

avevo gambe secche. collo lungo. e polsi fini.<br />

nessuno mi avrebbe mai dato due lire.<br />

eppure non so. mi veniva naturale boxare. sollevavo le<br />

spalle. facevo andare il sinistro.<br />

e mi muovevo cercando l'armonia. una sorta di lentezza.<br />

non mi importava di esser colpito.<br />

non mi è mai importato un caxxo della mia faccia.<br />

e forse era questo che piaceva alla gente. non mi<br />

coprivo. io schivavo.<br />

in realtà non l'ho mai confidato a nessuno ma a me<br />

sembrava di ritornare a suonare il violino.<br />

facevo lunghe arcate. lente. nostalgiche. poi saltavo<br />

la corda. andavo a quella del mi. un suono secco.<br />

violento.


icordo che non avevo nemmeno un match quando<br />

iniziarono a parlarmi di universiadi e cinture.<br />

riuscivo ogni giorno a vedere i miei limiti. imparavo.<br />

ma non solo.<br />

riuscivo anche a capire la città dai racconti degli<br />

extracomunitari. ero a contatto con delle persone<br />

"povere". ma non in senso tradizionale. mi riferisco<br />

al fatto vivevano con l'essenziale. affrontavano ogni<br />

giorno i problemi e le difficoltà del quotidiano.<br />

c'era chi aveva una famiglia. chi faceva il meccanico.<br />

chi il ladro. lo spacciatore. l'avvocato.<br />

e qui trovai una persona che mi seguì sin dal primo<br />

giorno in ogni cosa.<br />

dai passi allo specchio alle lezioni universitarie<br />

alle scelte di vita.<br />

e oggi nonostante molte delusioni che gli ho dato<br />

fabio acerbi è ancora uno dei miei Maestri.<br />

è ancora uno che mi da spazio.<br />

grazie ai suoi insegnamenti avevo il rispetto di<br />

tutti. e qui ho capito che un domani per esser un buon<br />

capitano bisogna conoscere tutte le rotte. le<br />

correnti. tutti i venti. i mulinelli. ma soprattutto i<br />

pirati..<br />

e che questa sensazione di esser rispettato ovunque.<br />

in ogni spazio. gli altri la sentono. lo so perchè<br />

anch'io per primo la sentivo stando vicino al Prof.<br />

Roberto De Lotto. da lui ho appreso uno degli<br />

insegnamenti più importanti di Mau: saltare gli<br />

steccati. attraversare i campi. pentagramma. ring.<br />

mi sento davvero bene dentro questi spazi.<br />

18


ho solo accennato di limiti. e di delusioni. non mi<br />

va di parlarne.<br />

anche perchè non ho ancora ben capito quest' angolo<br />

del mio carattere.<br />

so solo che quando qualcosa diventa troppo<br />

importante o troppo ombrosa vado via.<br />

e non mi importa più. o almeno per un pò.<br />

eppure succede qualcosa ogni volta che scappo.<br />

sembra che impari a conoscermi meglio.<br />

così credo che la volta in cui mollai il pugilato<br />

per gli studi segnò il mio passaggio dalla fase<br />

istintiva a quella collettiva. mi pesavano sulle<br />

spalle i sacrifici dei miei genitori. il fatto che<br />

ormai la gente che avevo intorno mi rispettasse per<br />

i pugni. non per le mani. e che ogni giorno per tre<br />

ore mi rintanavo nello stesso spazio. guardando le<br />

stesse facce. sentendo le stesse storie. pensando<br />

"ho quello che volevo?"<br />

a questa fine è subito seguito un inizio. una nuova<br />

passione. la fotografia.<br />

persi il libretto di istruzioni della macchina<br />

fotografica il giorno stesso in cui me la<br />

regalarono.<br />

tutt'oggi credo sia il mio strumento più bello.<br />

quello che mi permette di arrivare agli altri.<br />

di entrargli sotto la pelle. grazie ad essa mi son<br />

legato a tante e nuove e interessanti persone.<br />

19<br />

le soddisfazioni personali. la fama. i match. sono<br />

ormai un qualcosa di lontano.<br />

voglio altro. voglio vedere lo stupore negli occhi<br />

della gente. ma non solo.<br />

voglio render giustizia a quelle cose che il buon<br />

gusto comune (che forse non è poi così comune..)<br />

giudica invisibili. forse volgari.<br />

gli scoppiati. i pazzi. i fuorilegge. mi interessano<br />

soprattutto loro.<br />

ricordo ancora la prima volta in cui mostrai a due<br />

amici una foto scattata ad un pazzo nel centro di<br />

pavia.<br />

nessuno si era mai posto la domanda di quale fosse<br />

la sua pazzia.<br />

eppure lui aveva nelle sue mani tutto l'equilibrio<br />

dell'universo. metteva il bastone sul naso. e<br />

ballava.<br />

ballava. e ancora ballava..<br />

senza farlo cadere.<br />

trovava la mezzeria perfetta.<br />

e ogni qual volta questo si sbilanciava troppo<br />

riusciva a riprenderlo sbilanciando anche tutto il<br />

corpo.<br />

poi metteva le cose una sopra l'altra. grandi.<br />

piccole. rotonde. quadrate. scavate. lisce.<br />

superfici sferiche sopra cubiche sopra piane sopra<br />

piani inclinati.<br />

io lo chiamavo l'Equilibrista..


21<br />

mi sentivo più maturo. iniziai persino ad odiare gli<br />

esaltati. quelli che volevano sempre attirare<br />

l'attenzione.<br />

quelli che si ritenevano e avevano un'opinione di se<br />

talmente egocentrica da pensar di poter essere al di<br />

sopra della storia dei luoghi. della memoria. che con<br />

le loro architetture fatte di gesti e non di principi<br />

andavano a macchiare o meglio timbrare un luogo. e<br />

capii forse una delle lezioni più belle di loos. la<br />

moda maschile.<br />

un uomo se vuole vestirsi in modo corretto non deve<br />

dare nell'occhio.<br />

ecco l'importanza della presa di coscienza della<br />

collettività.<br />

saper stare in mezzo agli altri. vivere con gli altri.<br />

per gli altri. gli altri.<br />

condividere. contaminare. contaminarsi.<br />

esperienze. gioie. ma soprattutto difficoltà.<br />

c'è una scritta sul gomito di una ragazza.<br />

!"#$<br />

significa Ānanda<br />

beatitudine assoluta.<br />

pura felicità senza oggetti. condizione inerente<br />

all'essere consapevole della pienezza del proprio<br />

Essere.


è una preghiera.<br />

"non chiedo di essere esentato dai pericoli. chiedo<br />

il coraggio per affrontarli. non prego che il mio<br />

dolore sia alleviato. prego di avere il coraggio per<br />

affrontarlo. non cerco alleati sul campo di<br />

battaglia della vita. cerco la mia forza. non prego<br />

con ansiosa paura di essere salvato. ma spero di<br />

avere la pazienza di conquistare la mia libertà.<br />

un indiano nel porto di Doha ne ha riconosciuto il<br />

carattere antico.<br />

eravamo di ritorno da Shanghai. trenta giorni lunghi<br />

una vita.<br />

nè sono sempre più convinto. bisogna partire per<br />

trovare se stessi. lontano. dove la tua vita non<br />

vale niente.<br />

il mestiere del viaggiatore. del vento. ma<br />

soprattutto la sua nostalgia. il fatto di aver quasi<br />

sempre il cuore in un luogo diverso dal quale si<br />

trovano.<br />

non so se tutto questo o solo una parte lo abbia<br />

appreso dal Prof. Carlo Berizzi (anche se lui non lo<br />

sa..)<br />

son stato per certi versi un suo apprendista oscuro.<br />

distaccato. quasi sempre disinteressato.<br />

ricordo che fu lui per la prima volta a mostrarmi il<br />

"sonno della ragione" di Goya.<br />

un dipinto che ancora oggi ha un forte impatto<br />

emotivo in me. una libra.<br />

22


poi succede che un giorno prendi in mano un giornale.<br />

uno speciale di domus. sardegna.<br />

in primo piano un concorso. il nuovo museo dell'arte<br />

nuragica. betile.<br />

vinto da zaha hadid.<br />

[…]<br />

alcune pagine più avanti Aldo Rossi. i suoi ultimi 25<br />

anni trascorsi nell'isola.<br />

i suoi tappeti. i suoi studi sui nuraghi. del quale<br />

afferma di non esserne riuscito a capire il segreto..<br />

seppur tracciandone in maniera chiara l'identità. la<br />

composizione. il rapporto fra cielo e terra.<br />

ricordo che anche aldo mi fu imposto. come studio. e<br />

f o r s e p e r t r o p p a i m m a t u r i t à i m m e d i a t a m e n t e<br />

accantonato..<br />

in un attimo mi riavvicinai alla mia cultura.<br />

sentii di poterla capire. studiai l'architettura dei<br />

nuraghi.<br />

e nel frattempo iniziai a sognare uomini con le<br />

sembianze di dei. con teste animali e ali per volare.<br />

credo fosse l'influenza delle culture primitive che<br />

da sempre mi hanno affascinato a<br />

23<br />

dettarne le forme. eppure mi pareva un futuro sempre<br />

più reale. sempre più prossimo. e realizzabile.<br />

già perchè un'altra cosa alla quale pensavo già da un<br />

pò era "dove stiamo andando?"<br />

quale sarà il prossimo passo dell'evoluzione<br />

dell'uomo. quali sono i suoi desideri. come posso dar<br />

forma ai suoi desideri. come posso ispirarne invece<br />

il comportamento. come posso favorire il nascere di<br />

un'evento. come posso riuscir a far volare quegli<br />

uomini..<br />

iniziai a disegnare città di uomini volanti. skyline<br />

fatti di nuraghi. sin dall'inizio li immaginai in<br />

pietra. e paesaggi agricoli di grande estensione.<br />

davo forma ai desideri degli uomini che ritrovavo nei<br />

murales di Orgosolo.<br />

già perchè è alla voce sottile e silenziosa a volte<br />

impercettibile degli artisti che dobbiamo porgere<br />

l'orecchio. perchè nelle loro opere c'è sempre una<br />

dose di coraggio. un qualcosa di pericoloso. che sa<br />

di idea.<br />

(spero che un giorno questi ritornino nelle strade.<br />

nelle piazze. e allora tornerà anche la gente..)<br />

eppure non riuscivo a dargli un senso. ero ad un<br />

passo dal ricadere nella fase istintiva..


mi serviva una guida.<br />

la trovai in tiziano cattaneo. da subito.<br />

rimase affascinato da quest'idea.<br />

e mi diede spazio.<br />

son passati quasi due anni da quando ne parlammo per la<br />

prima volta..<br />

in tutto questo tempo mi ha sempre lasciato libero.<br />

lui non è mai stato uno di tante parole.<br />

ma di poche e profonde cose.<br />

mi ha buttato nel fiume.<br />

e oggi son tornato.<br />

consapevole di aver attraversato una fase individuale<br />

fondata sui principi di quella collettiva.<br />

e l'ho fatto anche per celebrare il suo insegnamento.<br />

perchè credo che lontano da questa università mi<br />

rimarrà una convinzione a consolazione della vita.<br />

il fatto di appartenere. e quindi di appartenerci.<br />

24


Ritornerò allontanandomi.<br />

un metodo.<br />

26


27<br />

Daniel Egneus, the pelicanthief and other stories.


Analisi. Teoria. e Tesi.<br />

tre movimenti.<br />

vi sono tre movimenti in questo scritto.<br />

analisi. teoria. e tesi.<br />

nel primo movimento ho analizzato la realtà. quello<br />

che guardo.e in funzione del tempo ne ho evidenziato<br />

le criticità.<br />

vi è poi un secondo movimento nel quale mi sono<br />

impegnato nella costruzione logica di una teoria<br />

scientifica e oggettiva che mira ad una rifondazione<br />

generale della disciplina. una via. per affermare<br />

una scelta ben precisa: la teoria si costruisce<br />

partendo dal confronto con una realtà specifica e<br />

complessa. sempre nel secondo movimento ho raccolto<br />

una serie di studi, di analisi e di considerazioni<br />

maturate e approfondite nel periodo della mia<br />

formazione nell'ambito della scuola pavese: con<br />

scritti, saggi e riflessioni dei miei stessi<br />

professori. ne ho rielaborato alcuni in forma<br />

sintetica, altri invece li ho trascritti. di pugno.<br />

come esercizio. perché credo che solo provando a<br />

riscrivere un qualcosa al quale non riusciresti ad<br />

aggiungere o togliere niente che riesci ad<br />

avvicinarti al "senso". alla sua metrica. e poetica.<br />

come ho sempre fatto con gli scritti i bukowski.<br />

e infine un terzo movimento. in cui la necessità di<br />

una teoria diviene in sostanza definizione di una<br />

poetica, in cui alla memoria storica collettiva,<br />

civile e oggettivabile si sovrappone la memoria<br />

individuale, la necessità dell'autodescrizione,<br />

l'inevitabilità della componente soggettiva.<br />

mostrerò quindi dei binomi che non sono in<br />

opposizione fra loro. ma che anzi convivono<br />

semplicemente su piani diversi.<br />

in una lettera Aldo ha scritto:<br />

" per quanto io ritenga l'architettura un fatto<br />

positivo, un argomento concreto, penso che alla fine<br />

ci scontriamo contro qualcosa che non può essere del<br />

tutto razionalizzato: questo qualcosa è in gran<br />

parte l'elemento soggettivo." e più avanti..<br />

"i principi sono pochi e immutabili, ma moltissime<br />

sono le risposte concrete che l'Architettura e la<br />

società danno ai problemi che via via si pongono nel<br />

tempo".<br />

28<br />

Credo che la mia più grande aspirazione fosse la città<br />

analoga di Aldo (foto di fianco a destra).<br />

in cui l'Architettura si incontra con quello che ha<br />

dentro. già perchè Aldo vive.<br />

(e bisogna diffidare da chi afferma che sia morto.<br />

perchè è solo qualcuno che non è riuscito a capirlo..)<br />

come delle meduse i cui tentacoli urticanti si<br />

intrecciano con i gentili capelli di una donna.<br />

ma mi sento ancora così immaturo..<br />

e poi che senso avrebbe?!<br />

Heinrich Tessenow ha scritto che "le opere migliori o<br />

le più importanti oggi dovranno necessariamente<br />

comportare qualcosa di dichiaratamente primitivo, di<br />

primitivo non in senso infantile, ma nel senso di una<br />

maggiore consapevolezza, così per esempio una casa,<br />

nella sua soluzione migliore, avrà la forma di un<br />

parallelepipedo, se ascoltiamo il nostro istinto<br />

infantile, la casa dovrà essere variopinta; […] ma la<br />

nostra coscienza e le nozioni che possediamo del lavoro<br />

artigianale ci insegnano che dobbiamo respingere tutto<br />

ciò che è variopinto come superficiale, dilettantesco e<br />

malfatto."<br />

e ancora continua nella sua introduzione a -<br />

Osservazioni elementari sul costruire- dicendo:<br />

"non vogliamo nè una cosa dritta, nè storta, nè<br />

intelligente, nè stupida, non la vogliamo nè grossolana<br />

nè raffinata, dobbiamo conoscere ogni cosa, cosi<br />

potremo prendere da tutto l'insieme soltanto ciò che è<br />

veramente essenziale e importante. Per poterci<br />

avvicinare il più possibile a ciò che è giusto dovremo<br />

essere sempre molto scrupolosi; nulla ci sarà tanto<br />

nemico quanto la superficialità, dovremo continuamente<br />

ripetere a noi stessi: se questo è necessario, che sia<br />

poco, ma che sia l'essenziale da ogni punto di vista."<br />

oscillerò costantemente fra i movimenti.<br />

universale - arbitrario. collettivo - individuale.<br />

oggettivo - soggettivo. permanente - mutevole.<br />

razionale - visionario. con accostamento e addizione<br />

tra rigore logico e fantasia.<br />

Ritornerò allontanandomi.


Prologo.


where are we going?<br />

32


Bruce Mau.<br />

33


Un manifesto incompleto per la crescita.<br />

testo da Text di Bruce Mau<br />

Nel 1998 Bruce Mau, designer poliedrico, scrittore e<br />

artista “It’s not about the world of design. It’s<br />

about the design of the world..“, scrisse il<br />

“Manifesto (incompleto) per la crescita“, nel quale<br />

espresse i suoi convincementi e le sue idee sulla<br />

vita e su come renderla avvincente e soddisfacente.<br />

Ovvero quarantatre brevi indicazioni per affrontare<br />

il Ventunesimo secolo con animo libero e aperto.<br />

Premessa indispensabile per guardare avanti<br />

migliorandosi, come persone e come progettisti.<br />

E quindi eletto in questa occasione a preambolo per<br />

il dossier sulle possibili vie del prodotto<br />

industriale prossimo venturo.<br />

Ho letto questo testo per la prima volta durante il<br />

terzo anno di Università. Il prof. De Amicis, per il<br />

quale nutrivo e nutro ancora profonda stima , ce lo<br />

donò su carta pece. con scritte bianche. il titolo<br />

era chiaro.<br />

“where are we going?”<br />

una domanda che iniziò a rimbombarmi in testa.<br />

e se devo essere sincero diventò un’ossessione. così<br />

come lo stesso manifesto. del quale conservo in un<br />

angolo di muro quella stessa copia..<br />

più che un manifesto si potrebbe definire una<br />

‘ m a n i f e s t a z i o n e ’ d i i n d i r i z z i , m o d a l i t à ,<br />

suggerimenti per chi ogni giorno utilizza gli<br />

strumenti della creatività per esprimersi e<br />

comprendere il mondo che ci circonda. Una sorta di<br />

maieutica. L’aspetto più interessante di questo<br />

testo, concepito nell’ambito del design, sta nella<br />

sua componente propositiva e al tempo stesso di<br />

f o r t e s t i m o l o a l l ’ a u t o c r i t i c a . U n a v i s i o n e<br />

34<br />

‘economica’ della creatività, dove viene rispettata<br />

l a p r e d i s p o s i z i o n e d e l l ’ a m b i e n t e a l n o s t r o<br />

approccio, prima che avvenga il contrario. Una<br />

promozione della libertà dell’individuo prima ancora<br />

che dell’artista. L’intuizione sta nella ricerca<br />

dello spiazzamento e del paradosso, indotto per<br />

osservare le cose da più angolazioni, considerando i<br />

successi e gli insuccessi, promuovendo la crescita.<br />

Frasi come “una risposta sbagliata è la risposta<br />

giusta per una domanda differente” sono emblematiche<br />

per un condurre ricerca che costruisce i propri<br />

risultati mediante la constatazione degli errori<br />

come elementi del processo.<br />

1 Lascia che gli avvenimenti ti trasformino.<br />

Devi avere la volontà di crescere. La crescita non è<br />

una cosa che ti succede. Sei tu a farla. Sei tu a<br />

produrla. Requisiti preliminari della crescita:<br />

apertura a vivere a fondo gli eventi e disponibilità<br />

a farsi trasformare da essi.<br />

2 Dimenticati del buono.<br />

Il buono è una quantità nota. Il buono è quello su<br />

cui tutti siamo d’accordo. La crescita non è<br />

necessariamente buona. La crescita è un’esplorazione<br />

di recessi oscuri che possono rivelarsi fruttuosi<br />

per la nostra ricerca oppure no. Finché te ne starai<br />

attaccato al buono non crescerai veramente.<br />

3 Il percorso è più importante del risultato.<br />

Quando è il risultato a guidare il percorso<br />

arriviamo sempre e soltanto dove siamo già stati. Se<br />

è il percorso a fare da guida al risultato, magari<br />

non sappiamo dove stiamo andando ma ci renderemo<br />

conto che volevamo arrivare proprio là.


4 Ama i tuoi esperimenti (come ameresti un bambino<br />

cattivo). Il motore della crescita è la gioia.<br />

Sfrutta appieno la libertà organizzando il tuo<br />

lavoro in forma di esperimenti, iterazioni,<br />

tentativi, prove ed errori interessanti. Prendi le<br />

distanze e concediti ogni giorno il gusto di<br />

sbagliare.<br />

5 Vai fino in fondo.<br />

Più a fondo vai, più è probabile che tu scopra<br />

qualcosa di prezioso.<br />

6 Fa’ collezione di incidenti.<br />

Una risposta sbagliata è una risposta giusta in<br />

cerca di una domanda diversa. Raccogli le risposte<br />

sbagliate come parte del percorso. Poni domande<br />

diverse.<br />

7 Studia.<br />

Uno studio è un luogo per studiare. Usa le esigenze<br />

produttive come scusa per studiare. Tutti ne<br />

trarranno beneficio.<br />

8 Vai alla deriva.<br />

Permettiti di vagare senza meta. Esplora i dintorni.<br />

Non giudicare. Rimanda le critiche.<br />

9 Comincia da un punto qualunque.<br />

John Cage ci dice che non sapere da dove cominciare<br />

è una forma comune di paralisi. Il suo consiglio:<br />

cominciare da un punto qualunque.<br />

10 Tutti quanti sono capi.<br />

La crescita arriva. Quando lo fa, lasciala venire a<br />

galla. Quando è sensata impara a seguirla. Lascia<br />

che tutti siano capi.<br />

11 Fa’ tesoro delle idee, elabora le applicazioni.<br />

Per mantenersi in vita, le idee hanno bisogno di un<br />

a m b i e n t e d i n a m i c o , f l u i d o , g e n e r o s o . L e<br />

applicazioni, invece, traggono vantaggio dal rigore<br />

critico. Fa’ in modo che il rapporto tra idee e<br />

applicazioni sia alto.<br />

12 Spostati continuamente.<br />

Il mercato e le sue attività hanno la tendenza a<br />

rafforzare il successo. Opponiti a essi. Lascia che<br />

il fallimento e la migrazione siano parte della tua<br />

pratica professionale.<br />

13 Rallenta.<br />

De-sincronizzati rispetto agli schemi temporali<br />

ordinari: ti si potranno presentare delle occasioni<br />

sorprendenti.<br />

35<br />

14 Non essere freddo.<br />

La freddezza è timidezza conservatrice vestita di<br />

nero. Liberati da limiti di questo genere.<br />

15 Fa’ domande stupide.<br />

Il carburante della crescita è fatto di desiderio e<br />

ingenuità. Valuta la risposta, non la domanda.<br />

Immagina di imparare per tutta la vita al ritmo con<br />

cui impara un bambino.<br />

16 Collabora.<br />

Lo spazio tra le persone che lavorano insieme è<br />

pieno di conflitti, frizioni, lotte, risate,<br />

divertimento e di un immenso potenziale creativo.<br />

17 ..............................<br />

Intenzionalmente lasciato vuoto. Riserviamo spazio<br />

alle idee che non hai ancora avuto, e alle idee<br />

degli altri.<br />

18 Sta’ su fino a tardi.<br />

Strane cose accadono quando sei andato troppo in là,<br />

sei stato su troppo a lungo, hai lavorato troppo e<br />

sei separato dal resto del mondo.<br />

19 Lavora sulla metafora.<br />

Ogni oggetto ha la capacità di rappresentare<br />

qualcos’altro rispetto a ciò che appare. Lavora su<br />

ciò che rappresenta.<br />

20 Il tempo è genetico.<br />

L’oggi è il figlio dello ieri e il padre del domani.<br />

Il lavoro che produci oggi creerà il tuo futuro.<br />

Sta’ attento ai rischi che corri.<br />

21 Ripetiti.<br />

Se ti piace, rifallo. Se non ti piace, rifallo.<br />

22 Costruisciti i tuoi strumenti.<br />

Rendi ibridi i tuoi strumenti per costruire oggetti<br />

unici. Anche strumenti semplici, purché ti<br />

appartengano, possono aprirti direzioni di ricerca<br />

completamente nuove. Ricorda: gli strumenti<br />

moltiplicano le nostre capacità e perciò anche uno<br />

strumento piccolo può fare una differenza grande.<br />

23 Sali sulle spalle di qualcuno.<br />

Se ti fai trasportare dai risultati di chi ti ha<br />

preceduto puoi andare più lontano. E il panorama è<br />

decisamente migliore.<br />

24 Evita il software.<br />

Il problema del software è che ce l’hanno tutti.<br />

25 Non mettere in ordine la scrivania.


Domattina potresti trovare qualcosa che stanotte non<br />

hai visto.<br />

26 Non metterti in competizione.<br />

Non farlo. Non fa per te.<br />

27 Leggi solo le pagine di sinistra.<br />

Lo faceva Marshall McLuhan. Diminuendo la quantità<br />

di informazione lasciamo spazio a ciò che egli<br />

chiamava il nostro “filo conduttore”.<br />

28 Crea parole nuove, allarga il vocabolario.<br />

Le condizioni nuove richiedono un nuovo modo di<br />

p e n s a r e . I l p e n s i e r o r i c h i e d e n u o v e f o r m e<br />

d ’ e s p r e s s i o n e . L ’ e s p r e s s i o n e g e n e r a n u o v e<br />

condizioni.<br />

29 La creatività non dipende dalle apparecchiature.<br />

Dimenticati la tecnologia. Pensa con il tuo<br />

cervello.<br />

30 Organizzazione e libertà.<br />

Nella progettazione, e in qualunque altro campo, la<br />

vera innovazione si verifica nel contesto. Questo<br />

contesto di solito consiste in una forma di impresa<br />

gestita in cooperazione. Frank Gehry, per esempio, è<br />

stato in grado di realizzare il Guggenheim Museum di<br />

Bilbao solo perché il suo studio è stato capace di<br />

realizzarlo rispettando il preventivo. Il mito del<br />

divario tra ‘creativi’ ed ‘esecutivi’ è ciò che<br />

Leonard Cohen chiama “un affascinante artefatto del<br />

passato”.<br />

31 Non chiedere prestiti.<br />

Ancora una volta, il punto di vista di Frank Gehry.<br />

Conservando il controllo finanziario conserviamo il<br />

c o n t r o l l o c r e a t i v o . N o n è u n c o n c e t t o<br />

particolarmente astruso, ma è curioso quanto sia<br />

difficile osservare questo principio e quanti<br />

abbiano fallito.<br />

32 Ascolta con attenzione.<br />

Ogni collaboratore che entra nella nostra orbita<br />

porta con sé un mondo più strano e complesso di<br />

quanto mai avremmo potuto sperare di immaginare.<br />

Prestando ascolto fin nei particolari e nelle<br />

sottigliezze alle sue esigenze, ai suoi desideri e<br />

alle sue ambizioni, inseriamo il suo mondo nel<br />

nostro. Né l’uno né l’altro saranno più gli stessi.<br />

33 Copia.<br />

Non te ne vergognare. Cerca di imitare quanto più<br />

pedissequamente: non ci riuscirai mai fino in fondo<br />

e la differenza sarà veramente interessante. Basta<br />

36<br />

guardare la versione del Grande Vetro di Duchamp<br />

fatta da Richard Hamilton per capire quanto ricca,<br />

screditata e poco utilizzata sia l’imitazione come<br />

tecnica.<br />

34 Sbaglia più in fretta.<br />

Non è un’idea mia, l’ho presa in prestito. Credo che<br />

sia di Andy Grove.<br />

35 Canterella.<br />

Se ti dimentichi le parole, fa’ come faceva Ella<br />

[Fitzgerald]: metti insieme qualcosa d’altro, non<br />

parole.<br />

36 Rompilo, stiralo, curvalo, schiaccialo, spezzalo,<br />

piegalo.<br />

37 Esplora l’altro lato.<br />

Se si evita di affidarsi a scatola chiusa alla<br />

tecnologia si acquista una grande libertà. Non<br />

riusciamo a trovare il bandolo della matassa perché<br />

ce l’abbiamo sotto i piedi. Cerca di usare<br />

tecnologie vecchie, utensili resi obsoleti dai cicli<br />

economici ma ancora ricchi di potenzialità.<br />

38 Pause caffé, corse in taxi, sale d’attesa.<br />

La crescita vera spesso si verifica fuori dei luoghi<br />

in cui la si aspetta. Negli spazi interstiziali<br />

( q u e l l i c h e i l d o t t . S e u s s c h i a m a “ l u o g h i<br />

d’attesa”). Hans Ulrich Obrist, curatore di mostre<br />

parigino, una volta organizzò un convegno di scienza<br />

e arte con tutte le infrastrutture di un convegno<br />

(ricevimenti, colloqui, accoglienza all’aeroporto)<br />

ma senza il convegno vero e proprio. Si rivelò un<br />

grande successo e fruttò l’avvio di parecchie<br />

collaborazioni.<br />

39 Viaggia sul territorio.<br />

La larghezza di banda del mondo è maggiore di quella<br />

del tuo televisore, o di Internet, e perfino di<br />

quella di un ambiente computerizzato di simulazione<br />

grafica in tempo reale, mirata al raggiungimento di<br />

u n o b i e t t i v o , a v i s u a l i z z a z i o n e d i n a m i c a ,<br />

interattivo, a immersione totale.<br />

40 Lascia perdere i campi, salta gli steccati.<br />

I confini tra le discipline e i regolamenti<br />

prescrittivi sono tentativi di tenere sotto<br />

controllo la vita creativa, che è selvatica. Spesso<br />

sono tentativi comprensibili di mettere in ordine<br />

quelli che sono processi molteplici, complessi,<br />

evoluzionistici. Il nostro lavoro è saltare gli<br />

steccati e attraversare i campi.


41 Ridi.<br />

I visitatori del nostro studio spesso osservano che<br />

ridiamo molto. Da quando me ne sono reso conto, uso<br />

questo aspetto come barometro di quanto siamo a<br />

nostro agio nell’esprimerci.<br />

42 Ricorda.<br />

La crescita è possibile solo in quanto prodotto<br />

della storia. Senza memoria l’innovazione è soltanto<br />

ciò che è novità. La storia dà alla crescita una<br />

direzione. Ma la memoria non è mai perfetta. Ogni<br />

ricordo è un’immagine degradata o composita di un<br />

momento o di un evento precedenti. È ciò che ci<br />

rende consci della sua qualità di passato e non di<br />

presente. Ciò significa che ogni ricordo è nuovo, un<br />

costrutto parziale diverso dalla sua fonte e, in<br />

quanto tale, esso stesso è un elemento potenziale di<br />

crescita.<br />

43 Potere al popolo.<br />

Il gioco funziona solo quando si capisce di avere il<br />

controllo della propria vita. Non possiamo essere<br />

agenti di libertà se non siamo liberi.<br />

Bruce Mau Design and the Institute without Boundaries<br />

37


dove stiamo andando?<br />

38<br />

Qual è il prossimo grande passo nell’evoluzione<br />

dell’umanità? Chi siamo? Da dove veniamo? Dove<br />

stiamo andando?<br />

il tema contiene una domanda che dovremmo porci<br />

regolarmente, a vari intervalli della nostra vita,<br />

per acquistare un po più di chiarezza ed obiettività<br />

su quello che stiamo vivendo, su cosa desideriamo,<br />

discutiamo e facciamo, così come su quello che sta<br />

succedendo nel mondo e dove esso stia andando.


icordo che questa non fu l’unica domanda che iniziò<br />

a tormentarmi. ve n’era un altra. molto meno<br />

oggettiva. e alla quale forse in qualche angolo<br />

della mia memoria sapevo rispondere.<br />

(anche se in maniera non del tutto chiara..)<br />

“dove vogliamo andare?”<br />

di seguito trascriverò due teorie.<br />

e ne lascerò libera l’interpretazione.<br />

perchè non è influente nella mia tesi.<br />

e soprattutto perchè le trovo identiche. forse a<br />

causa della mia miopia culturale. non so.<br />

so solo che sono un nostalgico.<br />

e credo che siano ancora gli Uomini a scegliere il<br />

loro destino.<br />

40


41<br />

due teorie.<br />

Due sono le grandi teorie e visioni per quanto<br />

riguarda l’evoluzione umana: la prima, la più<br />

antica (che ha sempre fatto parte della tradizione<br />

spirituale) ma nello stesso tempo, la più moderna<br />

in quanto la troviamo ora in quello che viene<br />

considerato il fior fiore della scienza attuale,<br />

presume che esiste un piano divino, un intelligent<br />

Design, e che la vita e l’universo hanno un fine,<br />

uno scopo e traguardo ben definiti. Questo “scopo”<br />

o fine, che la tradizione cristiana orientale<br />

chiama la theosis, è l’unione cosciente con Dio, il<br />

n o s t r o C r e a t o r e c h e a l l o r a c i m e t t e r à a<br />

d i s p o s i z i o n e t u t t i i m i s t e r i e t e s o r i<br />

dell’universo. Praticamente parlando, veniamo dallo<br />

Spirito per ritornare allo Spirito, ma questa volta<br />

una coscienza individualizzata da un’enorme e lunga<br />

esperienza nel mondo. La seconda, invece, asserisce<br />

che non esiste alcun scopo, destino o meta globale,<br />

sia a livello individuale che collettivo; in<br />

realtà, siamo noi a definire e creare quello che<br />

diventiamo e quello che succederà nel mondo; in<br />

altre parole veniamo dal nulla per tornare al<br />

nulla.


Analisi.


Verso il precipizio...<br />

testo di Bruce Mau<br />

44<br />

Daniel Egneus, cityscapes.


Verso il precipizio. Come sempre.<br />

Verso dove ci porta la controcorrente, verso<br />

sensazioni epidermiche e mercato globale.<br />

Verso miscele sorprendenti, impensabili, esplosive.<br />

Allontanandoci dall'irrimediabile presente,<br />

avvicinandoci dal passato con la pretesa di incidere<br />

sullo sviluppo futuro.<br />

Andiamo verso mille strade diverse e contrapposte,<br />

ma che viste da lontano sono come una scia, sembrano<br />

seguire la stessa direzione.<br />

Andiamo a romperci in mille pezzi, cadendo nel fosso<br />

o aprendo nuove vie. Rimbalzando, barcollando da una<br />

parte all'altra.<br />

Andiamo ad uccidere i padri, con gli omaggi e con<br />

l'oblio.<br />

Ci avviamo ad essere tutti diversi, ogni volta ancor<br />

più diversi perché sappiamo di essere uguali. Come<br />

lo sono tutti gli oggetti nati dall'industria.<br />

Andiamo a confondere la carne con un polimero.<br />

Andiamo verso una cultura immateriale dove la<br />

materia sarà una cosa preziosa.<br />

Andiamo a mescolare i desideri con le ipotesi, senza<br />

alcun tipo di vergogna.<br />

Andiamo verso il numero più impegnativo dello<br />

spettacolo.<br />

Incominciamo a odiare parole come nomadismo,<br />

multidisciplinare e ubiquità.<br />

Ci avviamo a contestare ciò che comincia con trans,<br />

poli, multi e inter e a diffidare di ciò che finisce<br />

con ismo. A essere saturi di ciber e tele, a odiare<br />

digitale e virtuale.<br />

Andiamo a rivendicare discipline pure – ancora una<br />

volta – e discorsi endogamici. Tornano sempre.<br />

Andiamo a cercare pubblici concreti e ristretti,<br />

che risulteranno milioni.<br />

Andiamo verso dove abbiamo sempre scivolato<br />

nell'imperturbabile divenire storico. Verso luoghi<br />

non scelti, non desiderati e nemmeno comprensibili.<br />

Ma convinti di essere gloriosi condottieri, pionieri<br />

ed esploratori.<br />

Andiamo verso l'ecatombe della glorificazione del<br />

dollaro.<br />

45<br />

Andiamo a consolarci raccogliendo bei ciottoli in<br />

riva al mare.<br />

Ci muoviamo seguendo la legge della gravità. Cadendo<br />

ineluttabilmente nelle grinfie della massa. Ma anche<br />

cosÌ pensando di sfuggirle.<br />

Andiamo a rivalorizzare il corpo, a prolungarlo, a<br />

tecnicizzarlo e renderlo eterno. A schiavizzarci per<br />

il suo controllo. Andiamo a essere da molto giovani<br />

ogni volta più vecchi volendo agire come bambini.<br />

Andiamo a vuotare la casa e le tasche degli oggetti.<br />

A n d i a m o v e r s o l a c o n t r o r i v o l u z i o n e<br />

dell'informazione, verso la santificazione del bit<br />

al di sopra di tutto.<br />

Andiamo a dare del tu alle molecole e ai protoni.<br />

Andiamo verso il luogo contrario di quello ove ci<br />

portano. Eternamente insoddisfatti e incazzati.<br />

Mostrando i denti e guardando di traverso.<br />

A dividerci radicalmente in caste apparentemente<br />

omogenee all'interno di tribù elettive.<br />

Andiamo verso dove ci porta l'industria militare nei<br />

prossimi secoli.<br />

O forse non andiamo da nessuna parte, vagando prima<br />

senza la coscienza sporca, convinti dell'inutilità<br />

di qualsiasi gesto.<br />

Andiamo a ridere un momento, a prendere in giro la<br />

materia. Verso oggetti stravaganti, figli di oggetti<br />

bastardi, tutti discendenti sempre dall'ascia.<br />

V e r s o o g g e t t i p e r s o n a l i z z a t i , r o b o t i z z a t i ,<br />

autocostruiti e autonomi.<br />

A trasformarci tutti in designer e demiurghi.<br />

A cercare di abbandonare le parole.<br />

Ci interrompiamo e poi riprendiamo, andiamo e<br />

torniamo, in eterna agitazione, con una illusoria<br />

sensazione di progresso.<br />

Andiamo a creare oggetti ipertecnologici, umili,<br />

miti, versatili, semplici, ibridi, genetici,<br />

naturali, intriganti, minuti, ipercomunicativi,<br />

inventati, sostenibili...<br />

Andiamo a vedere come tutto finisce in polvere.<br />

Andiamo, il che non è poco.


l’Uomo.<br />

46<br />

foto tratta dalla copertina del testo Barbari


47<br />

Arrivano da tutte le parti, i barbari. E un po’<br />

questo ci confonde, perché non riusciamo a tenere<br />

in pugno l’unità della faccenda, un’immagine<br />

coerente dell’invasione nella sua globalità. Ci si<br />

mette a discutere delle grandi librerie, dei fastfood,<br />

dei reality show, della politica in<br />

televisione, dei ragazzini che non leggono, e di un<br />

sacco di cose del genere, ma quello che non<br />

riusciamo a fare è guardare dall’alto, e scorgere<br />

l a f i g u r a c h e g l i i n n u m e r e v o l i v i l l a g g i<br />

saccheggiati disegnano sulla superficie del mondo.<br />

Vediamo i saccheggi, ma non riusciamo a vedere<br />

l’invasione. E quindi a comprenderla.<br />

Credetemi: è dall’alto, che bisognerebbe<br />

guardare.<br />

Barbari, di A.Baricco.


il Paesaggio.<br />

1. Il paesaggio è un’immagine?<br />

Senso e iden<br />

Luis<br />

La figura del Viandante sul mare di neb<br />

per molti versi in un’interrogazione sul paesaggio<br />

Innanzitutto il dipinto presenta gli elemen<br />

Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich (1818)<br />

48


49<br />

è forte in me la convinzione che il Paesaggio. l’idea<br />

di Paesaggio. non sia in realtà in quello che<br />

guardiamo.<br />

ma sia invece in quello che vediamo.<br />

potrebbe sembrare un ossimoro.<br />

vedo in quello che guardo.<br />

e mi hanno spiegato che dal punto di vista clinico in<br />

realtà questa affermazione è illogica.<br />

tuttavia ciò non toglie che molti medici siano<br />

d’accordo con me nel sostenerla.<br />

Falso specchio, di Renè Magritte


il Paesaggio ha avuto origine quando l’Uomo guardando<br />

un orizzonte ne ha visto la sua trasformazione. lo ha<br />

immaginato diverso. ha dato una forma logica al suo<br />

desiderio.<br />

anche se ho notato che a volte questa definizione può<br />

essere troppo rigida. perchè potrebbe esser<br />

fraintesa. l’occhio umano si ferma ad un orizzonte<br />

solo. il Paesaggio no.<br />

ma senza ombra di dubbio si può dire allora che abbia<br />

avuto origine dal pensiero dell’Uomo. dal suo<br />

desiderio.<br />

e nella sua mente.<br />

50


La figura del Viandante sul mare di nebbia di Caspar<br />

David Friedrich (1818) appare esemplare per molti<br />

versi in un’interrogazione sul paesaggio.<br />

Innanzitutto il dipinto presenta gli elementi<br />

costitutivi del paesaggio come costrutto culturale<br />

della modernità: lo sguardo di un soggetto che<br />

contempla, ritratto en abîme, lo spazio che gli sta<br />

di fronte, delimitato dalla chiusura dell’orizzonte;<br />

una natura rappresentata significativamente nel<br />

registro del sublime romantico (montagne, nuvole).<br />

In questa mise en abîme, leggiamo anche l’origine<br />

artistica della parola e dell’idea di paesaggio,<br />

coniata per designare un genere di pittura (la<br />

pittura di paesaggio, o meglio quell’inserzione nel<br />

dipinto, tramite il riquadro di una finestra o di<br />

un’altra apertura, di una porzione di spazio esterno<br />

il “paese”, appunto). Nell’evoluzione dall’accezione<br />

d i r a p p r e s e n t a z i o n e a r t i s t i c a a l l ’ o g g e t t o<br />

rappresentato, il termine “paesaggio” (Landskap, da<br />

cui Landschaft, Landscape, e nelle lingue neolatine,<br />

dal tardolatino pagus e pagensis, paese, paesaggio),<br />

conio linguistico e genere di rappresentazione di<br />

origine fiamminga risalente al XV secolo, non va mai<br />

definitivamente perduta la memoria della condizione<br />

di possibilità che aveva dato luogo a questa<br />

creazione: quella prospettiva artificiale, vera<br />

“forma simbolica” occidentale tramite la quale la<br />

cultura dell’incipiente modernità pone alla giusta<br />

distanza e nelle debite condizioni scientifiche lo<br />

s p a z i o d a r a p p r e s e n t a r e , o r d i n a n d o l o e<br />

razionalizzandolo, fino a mettere in ombra la<br />

definizione locale e singolare di terra abitata che<br />

si esprimeva nel termine. La vediamo ancora<br />

51<br />

Il paesaggio come immagine.<br />

tratto da Senso e identità del paesaggio<br />

di Luisa Bonesio<br />

rappresentata, in citazione, nella posizione del<br />

viandante, che pure ha ormai conquistato un punto di<br />

vista più allargato e panoramatico. Ma quel che<br />

conta sottolineare è la ineliminabile connotazione<br />

artistica ed estetica della parola paesaggio, che si<br />

tende spesso a usare come sinonimo di spazio,<br />

territorio o ambiente, ma di cui, in ogni caso, si<br />

assume la connotazione di valore estetico (che era<br />

i m p l i c i t o n e l f a t t o d i r a p p r e s e n t a r l o<br />

artisticamente).L’intelligenza filosofica di<br />

Friedrich si rivela nella genialità di dare a vedere<br />

il dispositivo dello sguardo paesaggistico così come<br />

è stato messo in atto dalla cultura moderna<br />

occidentale, e soprattutto di svelarne l’intrinseca<br />

connotazione faustiana. Basta osservare la posa<br />

rilassata e signorile del gentiluomo che osserva il<br />

paesaggio: in cima alla rupe da cui domina<br />

l’intorno, il viandante mostra di avere ormai<br />

consuetudine con le escursioni e le altitudini<br />

alpestri, inaugurate in tempi recenti proprio grazie<br />

alle poetiche e alla sensibilità del sublime e del<br />

pittoresco, non meno che – come ha ribadito<br />

Farinelli alla domesticazione delle montagne e<br />

all’inserimento nel mondo culturale di porzioni di<br />

terra selvaggia. Che cosa vede, se dal compatto mare<br />

di nubi emergono solo alcune vette e un sole al<br />

tramonto (o all’alba)? Friedrich esibisce, per così<br />

dire, la verità estrema dello sguardo estetico<br />

portato alla natura (come a qualunque altro<br />

oggetto): non importa che cosa si vede; rilevante,<br />

nel giudizio di gusto, è la disposizione suscitata<br />

nel soggetto contemplante, la sua sensazione<br />

soggettiva, lo stato d’animo.


Semplice occasione o pretesto, anche il paesaggio<br />

non è che la quinta per rispecchiarvi il sentimento<br />

del soggetto. D’altra parte, però, è significativo<br />

che il viandante scruti l’orizzonte: bella<br />

r a p p r e s e n t a z i o n e d e l l ’ a n s i a f a u s t i a n a<br />

d e l l ’ o l t r e p a s s a m e n t o , d e l l a S e h n s u c h t p e r<br />

l’infinito, per il travalicamento di ogni limite.<br />

Qui è possibile riconoscere la verità profonda e il<br />

ruolo, nella mappa della ragione occidentale, dello<br />

sguardo estetico sul paesaggio (ma di ogni<br />

“estetica” in senso moderno e post-cartesiano): in<br />

fondo, uno stesso anelito faustiano si esprime tanto<br />

n e l p r o g e t t o d i d o m i n i o s u l r e a l e ,<br />

nell’assoggettamento, tramite la scienza e la<br />

tecnica, della natura che porterà in breve tempo<br />

alla irreversibile trasformazione del volto della<br />

terra e alla rapida scomparsa dei “paesaggi”, quanto<br />

nel vagheggiamento estetico (e da subito nostalgico)<br />

della natura bella o sublime o pittoresca. Esiste<br />

un’intrinseca e necessaria coappartenenza tra il<br />

gesto conoscitivo e disponente, tramite la certezza<br />

della razionalità metodica e calcolante, del<br />

soggetto (la res cogitans di Cartesio) che si<br />

rapporta a una natura intesa come mera estensione<br />

q u a n t i t a t i v a e i n e r t e ( l a r e s e x t e n s a ) d a<br />

a s s o g g e t t a r e a l l a p r o p r i a v o l o n t à , e l a<br />

marginalizzazione, nella dimensione umbratile e<br />

soggettiva, non passibile di conoscenza oggettiva e<br />

comunicabile, indimostrabile e tendenzialmente<br />

intraducibile, del mondo delle qualità, del sentire<br />

(aisthesis), della sensazione, del non-razionale,<br />

per il quale, non a caso, proprio nel XVIII secolo,<br />

viene “inventata” un’apposita disciplina filosofica:<br />

l’Estetica.<br />

Così la natura sarà al contempo lo spazio del più<br />

disincantato e brutale assoggettamento, e l’oggetto<br />

di un vagheggiamento nostalgico e idealizzante, che<br />

culmina nel “culto” romantico della natura come<br />

p a e s a g g i o . Q u e l l o , a p p u n t o , e s e m p l a r m e n t e<br />

rappresentato nella pittura di Friedrich.<br />

Ma nell’un caso come nell’altro, la “natura”, il<br />

“mondo” sono rimessi come oggetto alla fruizione di<br />

un soggetto che vi si pone di fronte, in una<br />

asimmetrica contrapposizione, e si arroga la libertà<br />

di disporne senza limiti. In un caso come<br />

nell’altro, si verifica una soggettivizzazione, una<br />

riconduzione di tutto alla misura imposta dal<br />

soggetto. E la stessa pulsione al travalicamento di<br />

ogni orizzonte e limite, che porta alla violazione<br />

di tutti i segreti della natura, si manifesta nel<br />

consumo estetico dei paesaggi. “Inventati” in rapida<br />

successione tra XVIII e XIX secolo, scoperti, fruiti<br />

e goduti in misura crescente e intensiva anche<br />

grazie a una progressiva divulgazione letteraria,<br />

pittorica, iconografica, oltre che grazie alla<br />

52<br />

possibilità, tramite il viaggio prima e alle<br />

progressive forme di turismo e all’apertura di<br />

sempre nuove vie di comunicazione poi, i paesaggi si<br />

riducono a icona o cliché, mentre la curiosità<br />

estetica spinge a scoprirne e a valorizzarne sempre<br />

nuovi. Anche in questo modo, il paesaggio finisce<br />

per entrare nella temporalità propria della<br />

modernità, fatta di consumo e accelerazione<br />

crescente, e, in ultima istanza, di distruzione.


Se si pone mente alla rapida trasformazione e<br />

avvicendamento di modelli nell’ambito del gusto,<br />

d e l l e p o e t i c h e e d e l l e f o r m e d i a r t e e d<br />

estetizzazione della vita, dal Settecento a oggi,<br />

secondo un’accelerazione crescente, un’innovazione<br />

molto simile, nei ritmi e nella logica, alla moda,<br />

non si può non notare la straordinaria persistenza<br />

(e certamente banalizzazione) dei modelli di<br />

fruizione e apprezzamento estetico in ambito<br />

paesaggistico. In fondo, almeno fino a poco tempo<br />

fa, si sono apprezzati e ricercati i paesaggi<br />

codificati e “messi in forma” all’epoca della loro<br />

scoperta (le Alpi, la natura selvaggia, le campagne<br />

pittoresche, ecc.). Non solo più o meno gli stessi<br />

luoghi, ma – è possibile dimostrarlo tramite<br />

un’analisi di immagini pittoriche, fotografiche,<br />

commerciali, turistiche, amatoriali, ecc. – gli<br />

stessi modi di inquadratura, di prospettiva, di<br />

selezione dei particolari. In fondo, come si<br />

verificò da subito, si va a cercare, in un<br />

paesaggio, quello che è stato visto all’inizio,<br />

replicando incessantemente e inconsapevolmente la<br />

forma di quella prima valorizzazione. Fenomeno<br />

osservabile, fatte le debite proporzioni, anche<br />

nell’odierna industria turistica, in cui ci si reca<br />

a verificare in loco la congruenza del paesaggio<br />

reale con l’immagine che ci si è fatti a casa<br />

propria, dal dépliant o dalle foto degli amici. È<br />

possibile mostrare come la persistenza di modelli<br />

estetici che grosso modo ricalcano le poetiche del<br />

pittoresco e del sublime oppure la valorizzazione di<br />

un’idea regionale (tipica) del territorio, orienti<br />

ancora oggi il giudizio e la “domanda” (e dunque i<br />

modi della valorizzazione) di paesaggio, spesso<br />

scontrandosi con la percezione e gli usi degli<br />

abitanti locali6. La persistenza del paradigma<br />

estetico “visibilistico” è stata riscontrabile per<br />

lungo tempo nelle disposizioni legislative in<br />

materia di protezione del paesaggio, e la si può<br />

riconoscere, coerentemente, nelle teorie che<br />

identificano il paesaggio con l’identità estetica di<br />

u n t e r r i t o r i o . E s s o , r i s p e c c h i a n d o a p p i e n o<br />

l’ambiguità soggettivistica, è impotente (o comunque<br />

molto debole) di fronte all’obiezione di difendere<br />

una concezione passatista di bellezza (connessa a<br />

stili di abitare e di uso del territorio fatalmente<br />

obsoleti) a discapito delle logiche effettive di uso<br />

dei territori. In positivo, esso non può che<br />

condurre alla fissazione dell’immagine (fino al<br />

cliché) estetica dei luoghi, con effetti che vanno<br />

dalla imbalsamazione museale a scopo di tutela,<br />

all’utilizzazione del valore di icona di un<br />

paesaggio a fini commerciali, produttivi e<br />

turistici, fino alla rappresentazione di identità e<br />

tradizionalità inesistenti.<br />

53<br />

Dal fienile walser restaurato filologicamente per<br />

essere usato come casa di vacanza di prestigio, fino<br />

all’estremo, rivelatore, delle ricostruzioni dei<br />

mondi passati nelle Disneyworld o a Las Vegas e<br />

persino negli ecomusei all’aperto come lo svizzero<br />

Ballenberg vengono prodotti luoghi senza profondità<br />

né sostanza storica, che cercano di corrispondere al<br />

proprio ipersemplificato cliché, fungendo come una<br />

sorta di icona a scala reale. Questa logica di<br />

conservazione di una mera sembianza estetica,<br />

analoga, sotto certi aspetti, a un allestimento<br />

museale, crea la convinzione che le esigenze della<br />

tecnoeconomia moderna siano compatibili con la<br />

salvaguardia di dimensioni residuali della memoria<br />

storica e identitaria sotto forma di icone o riserve<br />

(parchi, aree protette) tutto sommato rassicuranti,<br />

in cui ci si può recare la domenica o in vacanza. Le<br />

complesse conseguenze di questa convinzione,<br />

perfettamente rispondente alla logica dell’industria<br />

turistica come di altre forme di interessi<br />

economici, sono state analizzate sia dalla geografia<br />

del turismo che dalla geofilosofia.


Sono ricadute “pesanti” e spesso devastanti a lungo<br />

termine, anche se spesso non immediatamente<br />

percepibili come tali dalle comunità locali,<br />

mostrandosi spesso sotto le mentite spoglie di una<br />

soluzione ragionevole e forse inevitabile. Anzi,<br />

come ha brillantemente mostrato Bernard Crettaz nel<br />

caso della Svizzera, la celebrazione del passato,<br />

assunto come mito di fondazione identitaria, può<br />

indurre a guardare ancor più fiduciosamente al<br />

presente, al futuro, al “progresso”: in un certo<br />

senso, la distruzione della natura e il disordine<br />

dei paesaggi in nome dell’innovazione possono<br />

trovare compensazione nei simboli della permanenza,<br />

dell’ordine, e dell’immutabilità naturale.<br />

Se in precedenza ci si è richiamati all’etimologia e<br />

alla genealogia del sostantivo fiammingo usato per<br />

designare il paesaggio come genere pittorico e poi,<br />

per traslazione, il paesaggio come realtà della<br />

c o n f i g u r a z i o n e t e r r i t o r i a l e a p p r e z z a b i l e<br />

esteticamente, non è meno importante richiamarsi ad<br />

un’altra ascendenza linguistica. Nelle lingue<br />

neolatine, il termine “paesaggio” deriva da “paese”,<br />

discendente dall’aggettivo tardolatino pagensis, da<br />

pagus = villaggio, ma più originariamente cippo<br />

confinario, recinto, limite. Il paesaggio, secondo<br />

la logica di questo etimo, appare come una regione<br />

rurale definita da confini o comunque chiaramente<br />

r i c o n o s c i b i l e n e i s u o i l i m i t i ; a c c e z i o n e<br />

individuabile anche nel senso antico di Landschaft,<br />

la campagna lavorata, opera della comunità: dunque<br />

una realtà che allude all’insediamento, all’abitare,<br />

coltivare, abbellire e venerare11 da parte di una<br />

comunità sul territorio scelto per viverci.<br />

Quando, per contro, la cultura fiamminga riprende il<br />

termine Landschaft ricontestualizzandolo nell’ambito<br />

artistico, è già in via di consumazione la scissione<br />

tra la dimensione urbana, con la sua specifica<br />

cultura, e la campagna, un “fuori” da allontanare o<br />

da riconquistare attraverso quella messa in forma<br />

regolata della distanza rappresentata esemplarmente<br />

dalla finestra prospettica. Non a caso, nella storia<br />

della pittura, il paesaggio fa le sue prime<br />

apparizioni nel riquadro di una finestra o di<br />

un’altra apertura dell’ambiente domestico o urbano,<br />

da cui si scorge una campagna (il lavoro e il<br />

contesto di vista di altri) godibile come fenomeno<br />

estetico, spettacolo che la cultura urbana<br />

rappresenta nella forma artistica, o come sfondo<br />

delle proprie città.<br />

Per misurare intuitivamente la separazione accaduta<br />

tra le due dimensioni, è sufficiente pensare agli<br />

affreschi di Ambrogio Lorenzetti rappresentanti gli<br />

effetti del buono e del cattivo governo nel Palazzo<br />

comunale di Siena, nei quali un unico paesaggio è<br />

articolato e pensato unitariamente nelle sue varie<br />

54<br />

componenti, la città, le campagne, le strade, le<br />

selve, i terreni incolti, ecc.<br />

Queste considerazioni mostrano la necessità di<br />

risalire, oltre la predominante accezione artistico<br />

estetica del concetto di paesaggio, a un pensiero<br />

dell’identità dei paesaggi come un’incessante<br />

r e a l i z z a z i o n e d i a t t i t e r r i t o r i a l i z z a n t i ,<br />

espressione armonica del peculiare stile di<br />

insediamento (e dunque di interazione con la natura)<br />

da parte di una cultura situata (non necessariamente<br />

autoctona!), in cui la qualità estetica non può<br />

essere scissa, come un’efflorescenza senza radici,<br />

dall’identità culturale del luogo.


Lungi dal risolversi in municipalismo difensivo,<br />

chiusura automonumentalizzante, patetismo museale,<br />

questa ottica è la condizione di riconoscibilità di<br />

u n p r o f i l o d i f f e r e n z i a l e n e l l ’ i n c e s s a n t e<br />

trasformazione del volto del mondo, che a buon<br />

diritto ha potuto esprimersi nell’idea fisiognomica<br />

per alludere alla manifestazione sempre singolare<br />

del genius loci, al modo coerente ma sempre<br />

rinnovato del mantenersi in accordo con il carattere<br />

del luogo che una cultura sceglie di evidenziare. In<br />

questa prospettiva, “tradizione” e “innovazione” non<br />

si collocano in irriducibile antagonismo: la<br />

continuità dello stile di una cultura (e dunque del<br />

suo modo di produrre-conservare paesaggio) si<br />

r e a l i z z a a t t r a v e r s o i n n u m e r e v o l i a t t i d i<br />

trasformazione, adattamento, riassetto.<br />

Il paesaggio come spazio simbolico della comunità<br />

insediata è la questione si è riproposta con forza<br />

ineludibile agli urbanisti in questi anni, in<br />

r e l a z i o n e a l l a p r o g e t t a z i o n e d i f o r m e d i<br />

territorializzazione che non si limitino a una mera<br />

criogenizzazione dell’esistente o, per converso,<br />

alla nichilistica rassegnazione di fronte a<br />

un’omologazione azzerante che si effettua anche<br />

tramite forme costruttive e logiche territoriali<br />

uniformi, informi o palesemente deformi. Se il<br />

paesaggio è creazione di una cultura, la sua<br />

perpetuazione e incremento è correlativa a ciò che è<br />

stata indicata come “la ricostruzione della<br />

comunità”14. Se “la comunità che sostiene se stessa<br />

fa sì che l’ambiente naturale possa sostenerla nella<br />

sua azione”, il primo requisito per mantenere la<br />

peculiarità di un paesaggio è quello di non imporre<br />

sul luogo logiche economiche esogene ed estranee,<br />

modelli e ritmi di sviluppo che non tengano conto<br />

delle peculiarità locali. Questo progetto di<br />

ricostituzione di un paesaggio mira a instaurare<br />

d e l l e a p p a r t e n e n z e s o c i a l i l o c a l i , a<br />

un’identificazione con i luoghi dell’abitare15. Come<br />

ribadisce il documento preparatorio della Conferenza<br />

nazionale per il Paesaggio del 1999, “per evitare<br />

indebiti appiattimenti, occorre far comprendere con<br />

assoluta chiarezza che il paesaggio è specificità, è<br />

differenza, è localismo. Non sono dunque ammissibili<br />

disinvolte operazioni di trasferimento a diversi<br />

contesti di soluzioni che vanno cercate di volta in<br />

volta sulla base delle singolarità delle situazioni<br />

da trattare”16, anche se rimane, ineludibile<br />

orizzonte, la lacerazione – se non probabilmente<br />

irreversibile comunque molto profonda – di quella<br />

relazione tra dimensione urbana e campagna che<br />

costituiva in senso proprio il “paese”, dando luogo<br />

al “paesaggio” come forma rappresentativa e<br />

visibile17 di una cultura.<br />

55<br />

Foto di Gabriele Basilico<br />

Pag. 30, Beirut, 1991<br />

Pag. 31, Milano (ritratti di Fabbriche), 1981<br />

Pag.32, Istanbul 2010 (in alto), Istanbul 2005 (in basso),<br />

Pag 33, Istanbul 2010(in alto), Istanbul 2005 (in basso)


Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione<br />

dell’identità culturale.<br />

56<br />

*L'immagine accanto al titolo è lo stemma della città<br />

di Zernez in Bassa Engadina.


Scompaginazione dei luoghi e perdita dell’identità.<br />

La modernità scardina il senso dei luoghi, il loro<br />

orientamento - spaziale e simbolico -, perché il suo<br />

pensiero dispone e misura estensioni, senza<br />

soffermarsi sugli aspetti qualitativi; perché<br />

l’accelerando è il suo "tempo" mentre il territorio<br />

è t e m p o l u n g o , s e d i m e n t a z i o n e , t e n d e n z i a l e<br />

incompatibilità strutturale con il mutamento troppo<br />

rapido; perché l’innovazione è la sua ragion<br />

d’essere mentre niente più di alcuni territori (p.<br />

es. la montagna) è strutturalmente conservatore;<br />

p e r c h é l a m a s s a è l ’ a n o n i m i t à s r a d i c a t a ,<br />

secolarizzata e cosmopolita del denaro mentre la<br />

cultura tradizionale dei luoghi è stata soprattutto<br />

senso comunitario, avvedutezza, pietas, adesione al<br />

genius loci. Retrospettivamente si potrebbe dire che<br />

è stato grazie all’accettazione del limite del<br />

territorio (organico e ciclico naturale) che le<br />

culture hanno realizzato la propria specifica<br />

interpretazione delle possibilità dei luoghi.<br />

Inevitabilmente, quando la strapotenza della<br />

modernità urbana finisce con il cancellare i tratti<br />

millenari delle culture locali, e la progettazione a<br />

tavolino dell’architettura e dell’ingegneria<br />

sostituiscono nel ruolo di costruttori gli abitanti,<br />

che avevano plasmato il territorio in un’accorta<br />

alleanza secolare con la natura, il risultato è<br />

l’aspazialità, ossia lo slegamento, reso possibile<br />

dalla tecnica, della specificità dei caratteri del<br />

luogo dalla funzione cui viene destinato in<br />

un’ottica di sfruttamento economico, che ne accentua<br />

la dipendenza dai centri economici, decisionali o<br />

politici, dall’utilizzazione da parte di logiche<br />

esogene, dotate di simboli, storia, obiettivi e<br />

Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione dell’identità culturale<br />

57<br />

di Luisa Bonesio<br />

stili diversi. La "crisi" del tessuto territoriale<br />

altro non è che la "caduta di validità di strutture,<br />

di relative capacità di lettura e inserzione nella<br />

realtà, nei flessi ciclici di trapasso e scala<br />

economica". Quello stadio di nuova consapevolezza<br />

civile, che ormai quarant’anni fa invocava Saverio<br />

Muratori, sembra incontrare ancora molti ostacoli<br />

sul proprio cammino. Eppure solo da una lettura<br />

consapevole del territorio locale, nelle sue<br />

interconnessioni globali, può essere compresa la<br />

s t r a o r d i n a r i a p o r t a t a c u l t u r a l e , c i v i l e e<br />

comunitaria (oltre che ecologica) di un modo nuovo<br />

(in realtà tradizionalissimo) di intendere il<br />

progetto e la realizzazione architettonica: come un<br />

prendersi cura di tutto ciò che concorre alla vita<br />

della irripetibile singolarità dei luoghi, nei loro<br />

tratti paesistici, tradizionali, memoriali,<br />

differenziali, con la spontanea sollecitudine con la<br />

quale si cerca di evitare il degrado, l’abbandono,<br />

l’imbruttimento, il malfunzionamento della propria<br />

d i m o r a . " I l t e r r i t o r i o è u n a s t r u t t u r a<br />

essenzialmente unitaria, concreta, totale e univoca;<br />

che tuttavia, appunto perché è insieme unitaria,<br />

cioè permanente, e concreta, cioè polivalente, non<br />

p u ò c h e e s s e r e s t a b i l e e c r e s c e n t e , c i o è<br />

conservativa e accumulativa; e che appunto per<br />

essere insieme totale, cioè molteplice, e univoca,<br />

cioè individuale, non può che essere ciclica e<br />

asintotica, cioè integrativa e confermativa di se<br />

stessa all’infinito". Se ogni cultura, finché è<br />

vivente e consapevole di sé, opera in accordo con il<br />

nomos dei luoghi per poter fiorire e mantenersi, la<br />

contemporaneità mercantile e speculativa, con una


caratteristica miopia che fa il paio con la sua<br />

intrinseca ignoranza, anche in fatto di gusti,<br />

finisce con l’interrompere in modo tendenzialmente<br />

definitivo il circolo virtuoso territorio-cultura,<br />

anche a partire dal profondo misconoscimento<br />

dell’idea stessa di "conservazione", il cui solo<br />

suono, alle nostre orecchie diveniristiche e<br />

progressistiche, appare blasfemo e impronunciabile.<br />

Eppure, "conservare" significa tenere presso di sé<br />

(cum-serbare), preservare nella cura, trattenendolo<br />

dalla sparizione, ciò che si ha a cuore, dunque con<br />

un’intensità che può concernere solo ciò che davvero<br />

conta per noi: tutto il contrario dell’accezione<br />

freddamente museale, asetticamente imbalsamatoria<br />

con la quale per lo più risuona alle nostre orecchie<br />

questa parola, e che presuppone un automatico<br />

disinteresse e una subitanea dimenticanza per<br />

quanto, essendo stato catalogato, può essere<br />

abbandonato in un virtuale deposito di memorie da<br />

cui sembra poter essere momentaneamente estratto<br />

ogni volta che lo si voglia. Una paradossale forma<br />

d i c o n s e r v a z i o n e , q u e l l a d e l l a m o d e r n i t à ,<br />

l’approntare istituzioni che consentano la buona<br />

coscienza dell’oblio e della distruzione, siano esse<br />

musei o parchi a tema, oppure "riserve" etnografiche<br />

di vario tipo, con tanto di "mediatori culturali".<br />

Un illusorio trattenere dalla scomparsa definitiva<br />

quei mondi che lo stesso Occidente - dentro e fuori<br />

di sé - ha incessantemente sfigurato e cancellato;<br />

non a causa di un generico processo di inevitabile<br />

entropia ("Il mondo è cominciato senza l’uomo e<br />

finirà senza di lui") che dalla perfezione<br />

dell’origine porterebbe ineluttabilmente il mondo<br />

alla sua fine, ad una disintegrazione concepita in<br />

termini meccanici o energetici, bensì in una precisa<br />

destinalità connessa all’affermazione della cultura<br />

dell’illimite faustiano, che ancora oggi, in quasi<br />

ogni atto o scelta le nostre società esprimono. La<br />

modernità che svelle con la potenza tecnica<br />

omologante il nomos dei luoghi, cultura da<br />

cosmopoli, di sradicamento e meticciato, di<br />

livellamento ed elementarizzazione, non può generare<br />

un’architettura abitativa che non sia l’edilizia<br />

anonima, la macchina per abitare, la perdita di un<br />

nesso significativo con il luogo e la natura, o il<br />

titanismo che attira su di sé il fulmine della<br />

distruzione. Ed è la profonda sconnessione rispetto<br />

a l l a f i s i o n o m i a d e i l u o g h i i l t r a t t o c h e<br />

maggiormente caratterizza l’architettura abitativa<br />

r e a l i z z a t a n e g l i u l t i m i d e c e n n i i n z o n e<br />

particolarmente "sensibili" per configurazione<br />

paesaggistica e culturale (montagna, territori a<br />

forte identità estetica e anche turistica):<br />

profondamente impensato - o forse impensabile per il<br />

moderno - è il senso dell’abitare un luogo, ogni<br />

58<br />

volta singolare e inconfondibile, non solo per i<br />

suoi caratteri "naturali" o "fisici", ma ancor prima<br />

per i tratti simbolici, culturali e comunitari che<br />

vi sono impressi. È l’identità dei luoghi a essere<br />

misconosciuta e violata: e come ormai si riconosce<br />

da più parti, questi reiterati attacchi alla<br />

riconoscibilità delle fisionomie locali inferti da<br />

un’edilizia proterva o sciatta, guidata solo dalla<br />

logica del denaro o della sua esibizione, finiscono<br />

col distruggere il senso dell’appartenenza, aprendo<br />

le porte ad ogni sorta di ulteriore degrado. È la<br />

storia di molti centri dotati un nobile passato<br />

s t o r i c o e a r c h i t e t t o n i c o , t r a v o l t i d a u n<br />

apparentemente inarrestabile involgarimento delle<br />

forme, della vita, e dunque da un progressivo<br />

deperimento ambientale, che mostra eloquentemente<br />

come può entrare in possesso del suo patrimonio solo<br />

chi è capace di conservazione e di memoria. Solo<br />

coloro che ereditano consapevolmente potranno<br />

accedere al futuro: come scriveva Nietzsche, l’uomo<br />

dell’avvenire è colui il quale è dotato di più lunga<br />

memoria, chi, si potrebbe dire, ha le radici più<br />

profonde e ramificate, saldamente piantate nel<br />

terreno delle sue tradizioni; a differenza di quanto<br />

ha pensato la cultura faustiana dell’Occidente, non<br />

è andando via, nel nomadismo senza riferimenti né<br />

orizzonti, nella scelta "oceanica" dell’illimitato e<br />

immisurabile che si trova la promessa dell’avvenire,<br />

bensì in una rinnovata consapevolezza del proprio<br />

orizzonte nella sua ineliminabile embricazione con<br />

gli altri orizzonti, accessibili uno alla volta,<br />

nella propria specificità: non quindi nella "grande<br />

discarica" dell’omologazione, dove nel mercato si<br />

trovano i detriti e le caricature di tutte le<br />

culture del mondo, L’orizzonte negativo in cui di<br />

fatto si è mossa la progettazione contemporanea è<br />

quello oscillante tra le ragioni "oggettive" del<br />

mondo tecnoeconomico e l’irrelatezza soggettivistica<br />

di un’idea residenziale a sua volta divisa tra legge<br />

del numero ed enfatizzazione del proprio status<br />

(economico, estetico), producendo luoghi senza<br />

qualità estetica, senza memoria e dunque senza<br />

comunità. È mancata quasi sempre la comprensione del<br />

senso del paesaggio, che invece possedevano le<br />

comunità tradizionali, ossia che ogni luogo, anche<br />

nei suoi aspetti "naturali", nella sua morfologia,<br />

nella sua ricchezza estetica e simbolica, non è un<br />

bene di cui appropriarsi, ma una comunità cui<br />

appartenere, di cui condividere il linguaggio. Al<br />

tentativo dell’assimilazione nei codici di una<br />

pianificazione astratta, e omologante, che azzera le<br />

specificità e le salienze singolari di un luogo<br />

nella mera performatività del rendimento economico o<br />

della realizzazione tecnologica fine a se stessa, le<br />

fisionomie territoriali, immagine visibile di


tradizione e identità culturali, vengono cancellate<br />

fino all’invisibilità, trasformandosi in lembi di<br />

territorio che diventano a tutti gli effetti<br />

estensioni periferiche urbane, non solo nella<br />

concezione costruttiva, ma soprattutto nella<br />

impossibilità di costituirsi in luoghi per una<br />

comunità, essendo soltanto spazi inerti del<br />

transito, del sonno o della vacanza, aggregazioni<br />

morte di edifici che non potranno mai costituire<br />

luogo di un abitare. Se è forse corretto dubitare<br />

dell’ideologia che proietta in un intatto passato<br />

l’ideale della perfezione, nondimeno, come scriveva<br />

un filosofo certo non sospettabile di passatismo,<br />

" f i n t a n t o c h e i l p r o g r e s s o d e f o r m a t o<br />

dall’utilitarismo violenta la superficie della<br />

terra, non si lascia completamente tacitare,<br />

nonostante tutte le dimostrazioni in contrario, la<br />

sensazione che ciò che è al di qua della tendenza di<br />

sviluppo e anteriore ad essa è, nella sua<br />

arretratezza, più umano e migliore": è quel che<br />

Adorno chiama, significativamente, "un momento di<br />

diritto correttivo", che, sospendendo l’adesione al<br />

culto del "progresso", consente di gettare uno<br />

sguardo distaccato e consapevole sulla distruttività<br />

dell’epoca. Liquidare semplicemente il retaggio del<br />

passato perché la sua conservazione sarebbe<br />

reazionaria o patetica di fronte alle adulte ragioni<br />

dell’economico, è nichilistico e autolesionistico.<br />

Non è possibile l’abitare in un mondo accettabile<br />

senza continuità di forme e tradizioni, né,<br />

tantomeno, pensare che esso possa possedere<br />

significati estetici, che non siano cosmetizzazione<br />

commerciale, in assenza di consapevolezza culturale:<br />

"senza memoria storica non ci sarebbe alcuna<br />

bellezza", e al massimo la natura può essere "parco<br />

naturale e alibi". Per farlo, è necessario arrivare<br />

a c o n s i d e r a r e l a " a r c h i t e t t u r a " p r o p r i a<br />

(appropriata) di un luogo, ossia quella di chi,<br />

abitandovi da tempi immemorabili ne ha distillato<br />

u n a s a p i e n z a e s t e t i c a c o n s e q u e n z i a l e e<br />

un’avvedutezza nell’uso e nel mantenimento delle<br />

risorse, anche simboliche e immateriali. Il rischio<br />

è quello di scivolare nella retorica della baita o<br />

della casa colonica e di un’integrità di vita e di<br />

armonia con la natura giocata in una troppo facile<br />

contrapposizione alla disincantata sventatezza<br />

m o d e r n a , o d i f a v o r i r e , p e r l ’ a p p u n t o , l a<br />

museificazione di quanto ancora c’è di vivo delle<br />

tradizioni abitative locali o la loro ulteriore, e<br />

m a g a r i p i ù s o t t i l m e n t e i n s i d i o s a ,<br />

commercializzazione. "Ma se per tale ragione alla<br />

gioia che ci dà ogni vecchio muricciolo, ogni<br />

casamento medievale è mescolata una cattiva<br />

coscienza, nondimeno quella gioia sopravvive alla<br />

scoperta che la rende sospetta": quasi un senso di<br />

59<br />

sollievo per ciò che ancora non è andato distrutto,<br />

ossia lo stile di costruzione proprio del luogo, che<br />

anche in frammenti diruti, ne reca l’inconfondibile<br />

impronta: non tanto in quanto autoctono e originale,<br />

ma in quanto modello che con una relativa stabilità,<br />

con il suo ben definito repertorio di varianti<br />

regionali, è stato il linguaggio condiviso di tutta<br />

una cultura oppure di territori molto vasti<br />

accomunati da medesime caratteristiche geografiche e<br />

culturali (come per esempio è accaduto - caso limite<br />

- nell’ecumene alpina, relativamente insensibile a<br />

scansioni storiche, a divisioni nazionali o<br />

politiche, mondo omogeneo e trasversale nel cuore<br />

dell’Europa). Le costruzioni di questo genere di<br />

a r c h i t e t t u r a a n o n i m a e s p e s s o c o m u n i t a r i a<br />

corrispondevano innanzitutto non a dei "residenti" o<br />

turisti, ma ad abitanti reali, che dal territorio<br />

traevano sostentamento, la cui vita era resa<br />

possibile dall’equilibrio e dalla conservazione del<br />

territorio nei suoi tratti propri e specifici;<br />

dunque per i quali "abitare" e "costruire" era<br />

tutt’uno che "produrre territorio" o "salvaguardare"<br />

il luogo.


memoria e conservazione.<br />

Spaesamento, perdita di luogo e rilocalizzazione dell’identità culturale<br />

di Luisa Bonesio<br />

Concepire lo spazio come una dimensione puramente<br />

geometrica da riempire con volumetrie arbitrarie<br />

significa anche aver lasciato spegnere quella che<br />

Ruskin chiamava la "lampada della memoria". Al<br />

contrario del gesto iconoclasta della modernità, il<br />

compito dell’architettura è anche quello di<br />

tramandare, non per un citazionismo eclettico o una<br />

patinatura kitsch, ma per la scelta di accogliere<br />

consapevolmente un’eredità trasmessaci. "Quante<br />

pagine di incerte ricostruzioni del passato<br />

potremmo spesso risparmiare in cambio di pochi<br />

massi di pietra rimasti in piedi l’uno sull’altro",<br />

scriveva Ruskin, affidando all’architettura il<br />

compito di darsi una dimensione storica e di<br />

"conservare quella delle epoche passate come la più<br />

preziosa delle eredità". È così che essa "congiunge<br />

epoche dimenticate alle epoche che seguono, e quasi<br />

costituisce l’identità delle nazioni", in modo<br />

simile all’operare in conformità al riconoscimento<br />

del fatto che "la terra l’abbiamo ricevuta in<br />

consegna, non è un nostro possesso". Il primo<br />

compito che l’architettura dovrebbe darsi è quello<br />

di liberare molti spazi da molti dei suoi stessi<br />

prodotti recenti, decostruire il proprio orizzonte<br />

progressistico, la propria tecnolatria, demolendo,<br />

letteralmente, quanto costituisce solo sfregio<br />

estetico e sprezzo dei luoghi. Per accedere a<br />

questa determinazione, occorre dotarsi di uno<br />

sguardo capace di leggere e interpretare il<br />

territorio come un processo storico di cui siamo<br />

60<br />

diretti eredi e prosecutori, dunque responsabili.<br />

Con meno paradossalità di quanto appare, l’etica<br />

dell’architettura dovrebbe contemplare una<br />

necessaria opera di pulizia, una preliminare tabula<br />

rasa che restituisca molti luoghi alle loro<br />

p e c u l i a r i p r o p r i e t à f o r m a l i , s i m b o l i c h e e<br />

ambientali, senza aspettare che quest’opera sia<br />

attuata qua e là dalla natura, dal tempo o dalla<br />

intrinseca babelicità che attira la distruzione. Se<br />

fin dai suoi inizi tardo-ottocenteschi, la tecnica<br />

ha ridotto l’orbe a un paesaggio fabbrile e a un<br />

immenso, disarmonico cantiere, facendo del dissesto<br />

perenne la legge strutturale della sua avanzata,<br />

"occorre tener presente che, se vogliamo riferirci<br />

al mondo odierno dell’uomo, cioè a una civiltà per<br />

quanto in crisi estesa a tutto il globo e quindi<br />

non più estensibile materialmente, ma solo<br />

qualitativamente, si tratta di una costruzione a<br />

stadio molto avanzato. L’area assegnata definita,<br />

occupata prima parzialmente da sporadiche e<br />

precarie strutture, poi totalmente da più strutture<br />

separate, ma stabili e intensive, ha finito per<br />

raggiungere i limiti di sfruttamento". Allora in<br />

questo cantiere che ha estensione tendenzialmente<br />

planetaria ma che esercita una devastante incidenza<br />

in luoghi sempre specifici, è giunto il momento di<br />

pensare non più in termini di ulteriore espansione<br />

e intensificazione dello sfruttamento, ma di riuso,<br />

manutenzione, restauro, abbellimento, di periodico<br />

riassetto e di correzione di abusi ed eccessi.


Non si tratta di opzioni di basso profilo,<br />

rinunciatarie, se si pensa che è proprio a causa<br />

della perdita di consapevolezza dei limiti<br />

intrinseci di ogni costruzione umana (e del<br />

contesto che la rende possibile), che la civiltà<br />

corre il rischio di autodistruggersi: "La<br />

trasformazione della terra da parte dell’uomo,<br />

dapprima per lunghissimo tratto irrilevante, è<br />

andata accentuandosi man mano che crescevano forze<br />

o p e r a t i v e d e l l a s o c i e t à u m a n a , g i u n t e a<br />

condizionare la vita biologica spesso in modo<br />

devastatorio autolesivo": ci troviamo su quella<br />

linea (o forse l’abbiamo già oltrepassata) in cui<br />

la Terra richiede uno sguardo unitario, che non sia<br />

solo quello unilaterale e disponente della tecnica<br />

o quello, ancor più miope, dell’economia; ma questa<br />

consapevolezza globale di aver raggiunto il limite<br />

dell’equilibrio deve essere declinata ogni volta<br />

nella specificità delle configurazioni territoriali<br />

e dei loro peculiari punti di equilibrio e di<br />

conservazione. E ogni tessuto territoriale è un<br />

organismo complesso e delicato, non appiattibile a<br />

semplice superficie disponibile per qualsiasi<br />

manomissione; bensì una plurima sedimentazione di<br />

temporalità e intenzionalità funzionali diverse,<br />

scale differenti e orientamenti differenziati che<br />

non si sovrappongono o si elidono meccanicamente,<br />

come strati inerti, ma piuttosto si armonizzano in<br />

una vitale integrazione e collaborazione resa<br />

possibile dalla presenza articolante e vivificante<br />

di una stessa matrice di interpretazione e<br />

configurazione spaziale e simbolica. Così nei<br />

nostri territori "convivono e si integrano la<br />

centuriazione romana e i grandi percorsi naturali,<br />

gli insediamenti locali propri delle età iniziali<br />

ribaditi intatti nel Medio Evo e la città comunale,<br />

ricalcante quasi costantemente la colonia romana e<br />

la polis preromana; il tessuto e la struttura<br />

stessa dei campi è un acquisto sostanzialmente mai<br />

perduto, sempre ritrovato, perché intrinseco alla<br />

natura dei luoghi e all’uso che dei luoghi l’uomo<br />

può farne e seguiterà a farne. Questa è la lezione<br />

che il tessuto ci dà: ed è, per chi la sa leggere,<br />

una alta lezione al tempo stesso di realtà e di<br />

umanità".I rapporti tra aree ad elevata densità e<br />

i m p a t t o a b i t a t i v o o i n d u s t r i a l e d e v o n o<br />

necessariamente essere controbilanciate da aree<br />

vuote o rade, e non è possibile alterare un certo<br />

equilibrio sia all’interno del territorio stesso<br />

che fra territori diversi: "Negarli è solo futile,<br />

velleitario, dispersivo e alla fine destinato<br />

all’insuccesso, al rovesciamento con risultati<br />

opposti, accendendo un processo depressivo tanto<br />

più grave, quanto più grave è la manomissione<br />

compiuta".<br />

61<br />

Foto di Gabriele Basilico<br />

In alto: Valencia, 1998<br />

In basso: San Francisco


l’Architettura.<br />

62<br />

Daniel Egneus, cityscapes.


63<br />

Se le arti hanno, come le altre discipline, una storia<br />

e una mutazione nei territori di ricerca oltre a<br />

teorie e fondamenti, allora anche l'architettura può<br />

essere considerata una disciplina. E il territorio<br />

disciplinare dell'architettura si è modificato nel<br />

tempo, insieme alle condizioni tecniche del suo farsi<br />

e al suo posto nella società.<br />

Da ultimo, il cambiamento nelle condizioni di<br />

produzione e riproduzione delle immagini delle arti<br />

nella vita quotidiana è stato tanto traumatico da<br />

mettere in discussione i confini della disciplina<br />

architettonica. Fino a confonderne i compiti e i<br />

fondamenti, al limite della liquefazione.<br />

Vittorio Gregotti, protagonista dell'architettura<br />

italiana e internazionale, torna a interrogarsi sullo<br />

statuto di un'arte che è anche disciplina dotata di<br />

senso autonomo e di responsabilità sociale.<br />

«L'architettura rischia la liquefazione, sulla spinta<br />

del cambiamento nella produzione e riproduzione delle<br />

immagini. Da qui l'urgenza di ripensarne i confini,<br />

nel contesto dell'interdisciplinarietà, come pratica<br />

artistica dotata di senso proprio».<br />

di Vittorio Gregotti


Architettura.Otto definizioni.<br />

A.Monestiroli,La metopa e il triglifo, nove lezioni di architettura. Editori Laterza, Milano 2002.<br />

Cercare una definizione dell’architettura è di per<br />

sé testimonianza della volontà di definire i<br />

principi di costruzione, di fondare l’architettura<br />

su un sistema teorico razionale trasmissibile e<br />

condivisibile. L’architettura è una scienza,<br />

appartiene in generale al processo di conoscenza e<br />

si costruisce attraverso un insieme di regole<br />

individuate. Per questo motivo è necessario darne<br />

una definizione generale, che comprenda obiettivi e<br />

metodi, che descriva il fine e i mezzi propri di<br />

questa disciplina, che sia una descrizione<br />

abbreviata dei suoi principi costitutivi. Tutti i<br />

maestri dell’architettura nel corso dei secoli ne<br />

hanno dato una loro definizione o si sono<br />

r i c o n o s c i u t i i n u n a d i q u e s t e t r a m a n d a t a<br />

storicamente. La definizione di architettura<br />

manifesta il valore attribuito a essa nel momento in<br />

cui è formulata: non ce n’è una sola, ma tante che<br />

rappresentano sinteticamente diversi modi di<br />

intendere l’architettura nel tempo. Dunque è legata<br />

a un idea di architettura e contiene una teoria<br />

dell’architettura. Le definizioni che analizzeremo<br />

appartengono tutte a una famiglia di architetti che<br />

si sono tramandati una certezza: che l’architettura<br />

si forma razionalmente. Partiamo dalla definizione<br />

fondativa, che costituisce un punto di partenza con<br />

cui tutti, anche noi, dobbiamo misurarci: quella di<br />

Vitruvio. L’architettura è una scienza che è<br />

adornata di molte cognizioni e con le quali si<br />

regolano tutti i lavori che si fanno in ogni arte.<br />

Si compone di Pratica e Teorica. La Pratica è una<br />

continua e consumata riflessione sull’uso e si<br />

esegue con le mani dando una forma propria alla<br />

materia necessaria di qualunque genere essa sia. La<br />

Teorica è quella che si può dimostrare e dare conto<br />

delle opere fatte con il raziocigno. L’architettura<br />

si compone di Ordinazione, Disposizione, Euritmia,<br />

64<br />

Simmetria, Decoro, Distribuzione. Questa definizione<br />

è costituita di tre parti. La prima, perentoria,<br />

colloca l’architettura tre le scienze, tra quelle<br />

attività regolate da principi trasmissibili. La<br />

seconda sottolinea una necessità di una teoria verso<br />

cui orientare la pratica. La terza elenca i principi<br />

d i c u i s i c o m p o n e l a t e o r i a . O r d i n a z i o n e ,<br />

disposizione, distribuzione sono i principi che<br />

regolano i caratteri distributivi degli edifici, i<br />

rapporti tra forma e destinazione. Euritmia,<br />

simmetria, decoro sono principi propriamente formali<br />

che sottintendono un importante obiettivo: che la<br />

forma di ogni edificio sia rappresentativa<br />

dell’identità dell’edificio stesso. L’euritmia<br />

contiene la nozione di equilibrio fra le parti, la<br />

simmetria quella di proporzione fra le parti e il<br />

tutto, il decoro di adeguatezza delle forme alla<br />

destinazione. La proporzione è il principio generale<br />

su cui si fonda l’architettura; è intesa come<br />

sistema di rapporto fra le parti, rivelatrice del<br />

senso dell’edificio. Ho detto prima che la<br />

definizione di Vitruvio può essere considerata<br />

fondativa. E’ la prima che ci viene tramandata, che<br />

contiene l’elaborazione precedente degli architetti<br />

della Grecia antica e su cui si fonda tutto il<br />

pensiero successivo. Leon Battista Alberti,che<br />

inaugura la teoria dell’architettura classica in<br />

epoca moderna, costruisce il suo pensiero sul testo<br />

v i t r u v i a n o a s s u m e n d o n e l a d e f i n i z i o n e d i<br />

architettura e approfondendone il senso. Il valore<br />

del testo albertiniano sta nella riscoperta del<br />

nucleo teorico di Vitruvio, operata attraverso la<br />

cultura del Rinascimento. Abbiamo visto che è il<br />

rapporto con la natura, proprio del pensiero<br />

rinascimentale, che consente ad Alberti di<br />

riscoprire il senso della teoria delle proporzioni<br />

vitruviana.


L’obiettivo generale, proprio di ogni architettura<br />

classica, è quello dell’architettura come sistema di<br />

rappresentazione. Questa affermazione consente la<br />

continuità dei principi, dall’antichità all’<br />

architettura moderna, attraverso un momento<br />

fondamentale per la teoria dell’architettura e del<br />

progetto: l’Illuminismo. In questo periodo,<br />

i m p o r t a n t e p e r c h é r i f o n d a t i v o n o n s o l o<br />

dell’architettura ma della cultura occidentale, si<br />

delineano due posizioni riconoscibili in due diverse<br />

definizioni di architettura. Francesco Milizia<br />

riprende la definizione di Vitruvio: l’architettura<br />

è l’arte di costruire e si fonda sui principi già<br />

elencati da Vitruvio. Etienne Louis Boullèe la<br />

ribalta e apre la discussione su ciò che sta a monte<br />

d e l l e r e g o l e d e l m e s t i e r e , s u i f i n i<br />

dell’architettura, sul suo significato. La questione<br />

del significato non era mai stata posta prima in<br />

modo così esplicito. Non ci si era mai preoccupati<br />

di definire il significato dell’arte di costruire.<br />

Questo è sempre stato inteso con naturalezza, come<br />

cosa ovvia su cui non era necessario interrogarsi.<br />

Porre la questione del significato alla base della<br />

definizione di architettura è una scelta propria di<br />

questo momento storico. Si domanda Boullèe:<br />

Cosa è l’architettura? La definirò io con Vitruvio<br />

l’arte del costruire? Certamente no. Vi è in una<br />

definizione un errore grossolano. Vitruvio prende<br />

l’effetto per la causa. La concessione dell’opera ne<br />

precede l’esecuzione. I nostri antichi padri<br />

costruirono le loro capanne dopo averne creata<br />

l’immagine. E’ questa produzione dello spirito che<br />

costruisce l’architettura e che noi di conseguenza<br />

possiamo definire come l’arte di produrre e di<br />

portare fino alla perfezione qualsiasi edifici[…].<br />

P o r t a r e u n a c o s t r u z i o n e q u a l s i a s i p e r s u a<br />

perfezione. In cosa consiste questa perfezione?<br />

Nell’offrirci una decorazione relativa a quel tipo<br />

di costruzione a cui si trova applicata; ed è<br />

attraverso una distribuzione conveniente alla sua<br />

destinazione che si può presumere di portarla a<br />

perfezione.<br />

La perfezione dell’architettura è definita dal<br />

rapporto tra la forma e la destinazione. Per Boullèe<br />

la forma è forma rappresentativa: ciò che viene<br />

rappresentato in architettura è il carattere degli<br />

edifici. La nozione di carattere, già presente<br />

nell’architettura dell’antichità, diviene per gli<br />

architetti dell’Illuminismo la chiave di volta di<br />

t u t t o i l l o r o s i s t e m a t e o r i c o . L e f o r m e<br />

architettoniche saranno rivelatrici del carattere<br />

degli edifici e degli elementi che li compongono.<br />

Nel momento in cui gli ordini dell’architettura<br />

65<br />

classica vengono progressivamente abbandonati, ci si<br />

trova di fronte al problema di costruire un nuovo<br />

linguaggio e di doverlo fondare teoricamente. In<br />

questo momento la nozione di carattere diventa<br />

risolutiva. Il carattere degli edifici è riferito<br />

alla loro destinazione, al valore attribuito loro<br />

dalla cultura di un certo momento storico: il valore<br />

della Casa, del Tempio,del Sepolcro, ecc. Ma com’è<br />

possibile la rappresentazione del carattere degli<br />

edifici? Boullèe risponde proseguendo la sua<br />

definizione di architettura: Sarà la disposizione<br />

delle masse fra di loro, con la luce e con le ombre<br />

che, come avviene in natura comunicherà le<br />

sensazioni relative al carattere degli edifici.<br />

E’ ribadito il punto di vista dell’architettura<br />

classica: l’architettura come sistema di forme<br />

rappresentative si esplicita attraverso il rapporto<br />

fra le parti e attraverso il loro proporzionamento.<br />

C i ò c h e s i r e n d e e s p l i c i t o n e l l a t e o r i a<br />

dell’architettura e dell’Illuminismo è che questi<br />

rapporti dovranno essere significativi. D’altronde<br />

la teoria del bello come sistema di rapporti è<br />

assunta come punto di riferimento del pensiero<br />

estetico di tutto il periodo ed è enunciata<br />

ufficialmente da Denis Diderot nell’Encyclopèdie.<br />

Gli ordini sono ormai inessenziali, vengono<br />

considerati puro ornamento. Si possono citare, ma<br />

non possono essere assunti come elementi del nuovo<br />

linguaggio architettonico. Tuttavia, liberarsi dagli<br />

ordini non vuol dire negare i principini costruzione<br />

della forma architettonica. Questa è pur sempre il<br />

risultato di rapporti significativi come lo era<br />

stato per Vitruvio e per Alberti. Ma vediamo gli<br />

architetti moderni. Le Corbusier dà una definizione<br />

di architettura molto simile a quella di Boullèe:<br />

L’architettura è il gioco sapiente, corretto,<br />

magnifico dei volumi sotto la luce […]. Mediante<br />

l’uso di materiali grezzi deve stabilire rapporti<br />

emotivi […]. L’architettura è arte nel senso più<br />

elevato, è ordine matematico, armonia compiuta<br />

grazie all’esatta proporzione di tutti i rapporti.<br />

Questa definizione contiene tutti i passi di una<br />

t e o r i a d e l l ’ a r c h i t e t t u r a . F i n e u l t i m o<br />

dell’architettura è commuovere; Le Corbusier ripete<br />

sovente che ciò che distingue gli architetti dagli<br />

ingegneri è proprio il fatto che le forme<br />

a r c h i t e t t o n i c h e s a p r a n n o c o m m u o v e r e p e r c h é<br />

rappresentative di un significato propriamente<br />

umano. E’ il significato dei manufatti legati alla<br />

vita degli uomini, nelle cui forme si riconosce il<br />

valore attribuito loro: la commozione legata a<br />

questo riconoscimento di questo significato.


La forma architettonica si rende esplicita nel gioco<br />

sapiente, corretto, magnifico dei volumi sotto la<br />

luce. E’ il volume la forma elementare attraverso<br />

cui si costruisce l’architettura moderna. I volumi<br />

di cui è composto un edificio, resi evidenti dalla<br />

luce che li distingue, stabiliscono rapporti<br />

significativi; l’esatta proporzione di questi<br />

r a p p o r t i r e n d e i n t e l l i g i b i l e l a f o r m a<br />

architettonica. Per Le Corbusier ciò che conta è il<br />

rapporto fra le parti (il gioco dei volumi) che sarà<br />

rivelatore del significato propriamente umano<br />

dell’edificio. I tre aggettivi con cui egli<br />

definisce il gioco dei volumi sotto la luce sono<br />

indicativi della struttura logica del suo pensiero.<br />

Il gioco del sapiente, si fonda cioè sulla<br />

conoscenza del rapporto fra una forma e la sua<br />

destinazione. Le forme non saranno definite<br />

arbitrariamente, ma rispetto all’appropriatezza alla<br />

loro destinazione (la forma della casa sarà<br />

appropriata alla vita domestica, la forma del tempio<br />

alla sua destinazione collettiva). E’ corretto,<br />

assoggettato a regole che per Le Corbusier sono<br />

sempre quelle dell’architettura classica, della<br />

concinnitas albertiana, della simmetria vitruviana,<br />

le regole che conducono all’armonia dell’opera,<br />

analoga all’armonia dell’universo. E’ l’armonia che<br />

rende il gioco dei volumi sotto la luce magnifico.<br />

Terzo importante aggettivo della definizione,che<br />

testimonia la capacità dell’architettura di far<br />

g r a n d i g l i u o m i n i c h e l ’ a b i t a n o e c h e l a<br />

c o s t r u i s c o n o . L a q u e s t i o n e c h e d o b b i a m o<br />

approfondire, per andare oltre ogni sospetto di<br />

formalismo che la definizione di Le Corbusier ci può<br />

lasciare, riguarda il rapporto fra la forma e la sua<br />

destinazione. Per chiarire definitivamente questo<br />

rapporto ci rivolgiamo alla definizione di<br />

architettura di Adolf Loos, da questo punto di vista<br />

esemplare:<br />

Se in un bosco troviamo un tumulo lungo sei piedi e<br />

largo tre, disposto con la pala a forma di piramide,<br />

ci facciamo seri e qualcosa dice dentro di noi: qui<br />

è sepolto un uomo. Questa è architettura.<br />

Se analizziamo questa definizione parola per parola,<br />

ci rendiamo conto della sua chiarezza e profondità.<br />

Il luogo dell’architettura è un bosco, un luogo<br />

naturale con cui una forma, costruita dall’uomo, si<br />

confronta. Questa forma, il tronco di piramide,<br />

possiede precisi rapporti dimensionali (tre piedi<br />

per sei) e quindi chiare proporzioni; è costruita<br />

dall’uomo attraverso l’uso di uno strumento, la<br />

pala. Le proporzioni della piramide sono chiare e<br />

rappresentano con evidenza la sua destinazione.<br />

Provocano in noi un’emozione. Ci facciamo seri, dice<br />

66<br />

Loos, e qualcosa dice dentro di noi; qui è sepolto<br />

un uomo. La forma è rappresentativa della sua<br />

destinazione: questa è architettura. In questa<br />

definizione è posta con evidenza la questione del<br />

significato, del rapporto che si stabilisce fra<br />

forma e ciò di cui essa è evocativa. Un rapporto<br />

sempre esistito fin dall’infanzia della cultura<br />

o c c i d e n t a l e , m a c h e n o n h a m a i r i c h i e s t o<br />

spiegazioni. La bellezza degli edifici è tutta<br />

comprese nell’armonia dei loro rapporti, rapporti<br />

che contengono un significato: la nostra emozione è<br />

legata al riconoscimento di quel significato. Questo<br />

è ciò che Loos ha reso esplicito con la sua<br />

definizione di architettura.<br />

Tre importanti filosofi, Schelling, Hegel, Lukàcs,<br />

si sono cimentati nella loro Estetica con il<br />

difficile tema dell’Architettura. Dal loro punto di<br />

vista hanno formulato tre importanti definizioni di<br />

architettura.<br />

Hegel:<br />

L’architettura classica sviluppa a bellezza il tipo<br />

fondamentale della casa […]. La casa è una<br />

costruzione assolutamente rispondente, creata<br />

dall’uomo per fini umani. In essa l’uomo si<br />

manifesta.<br />

Lukàcs:<br />

L’architettura è la costruzione di uno spazio reale,<br />

adeguato, che evoca visivamente l’adeguatezza.<br />

Queste due definizioni sono molto simili fra loro.<br />

N o i s a p p i a m o c h e i l p e n s i e r o d i L u k à c s è<br />

strettamente legato a quello di Hegel, da cui<br />

dipende, ed è molto vicino anche a quello degli<br />

architetti moderni che abbiamo citato, soprattutto a<br />

quello di Loos. I due filosofi chiariscono dal punto<br />

di vista il significato profondo del nostro<br />

mestiere: Hegel assume un tipo fondamentale della<br />

c a s a c o m e t e m a p r o p r i o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a .<br />

L ’ a r c h i t e t t u r a d e l l a c a s a d e g l i u o m i n i è<br />

innanzitutto costruzione rispondente (adeguata,dice<br />

Lukacs) ai fini umani. Gli uomini costruiscono la<br />

casaper loro stessi, in modo rispondente alla loro<br />

cultura dell’abitare. Nella forma della casa, nella<br />

sua architettura quindi, l’uomo manifesta se stesso.<br />

L o s t e s s o c o n c e t t o è e s p r e s s o d a L u k a c s :<br />

l’architettura è spazio reale, adeguato ai fini per<br />

cui è stato costruito, e il suo vero scopo consiste<br />

nell’evocare la sua adeguatezza. Attraverso tale<br />

evocazione l’architettura compie il proprio ruolo.<br />

L’architettura è spazio costruito in cui si svolge<br />

la vita degli uomini diverso quindi dallo spazio<br />

allegorico della pittura; le sue forme saranno<br />

evocative dei valori propri della loro cultura.


Il tumulo di Loos è costruzione di uno spazio<br />

reale, adeguato (alla sepoltura), che evoca<br />

visivamente la sua adeguatezza. Le definizioni di<br />

Hegel e Lukacs dunque ribadiscono il legame<br />

necessario in architettura, tra forma e significato.<br />

Ribadiscono il valore rappresentativo delle forme<br />

architettoniche, stabilendo che l’architettura non<br />

rappresenta valori estranei all’architettura stessa,<br />

ma quelli profondamente legati ai fini per cui essa<br />

è costruita. La casa rappresenterà il senso più<br />

profondo della vita domestica, il tempio valore<br />

evocativo del culto per cui è costruito, e allo<br />

stesso modo la forma di una porta o di una finestra,<br />

della colonna, ecc. ,rappresenterà il significato<br />

proprio di questi elementi. Così attraverso<br />

l’architettura gli uomini rappresentano se stessi,<br />

la loro cultura, che tramanda e riconoscono nelle<br />

forme in cui l’architettura si costruisce. Prima di<br />

concludere con la definizione di architettura di<br />

Schelling, e perché questa risulti più chiara,<br />

vogliono ricordare quella di un altro grande<br />

architetto, Mies van der Rohe:<br />

Chiarezza costruttiva portata alla sua espressione<br />

esatta. Questo è ciò che io chiamo architettura.<br />

Mies van der Rohe divide la sua definizione in due<br />

parti. Nella prima dice: chiarezza costruttiva.<br />

Dunque l’architettura è costruzione razionale, una<br />

costruzione in cui ogni elemento è al posto che gli<br />

compete e le cui interconnessioni obbediscono alle<br />

leggi della ragione. Questa prima parte della<br />

d e f i n i z i o n e h a u n a s u a l a r g a o g g e t t i v i t à<br />

condivisibile da ogni costruttore, in ogni tempo. La<br />

seconda restringe e individua il campo specifico<br />

dell’architettura, chiarezza costruttiva portata<br />

alla sua espressione esatta. Questo è ciò che<br />

distingue l’architettura da qualsiasi altra<br />

costruzione. L’architettura non può limitarsi<br />

all’atto costruttivo. La costruzione deve essere<br />

rappresentativa del suo proprio valore, e questa<br />

rappresentazione non può essere approssimativa.<br />

Perché il suo valore venga riconosciuto è necessario<br />

che la rappresentazione sia precisa, compiuta con<br />

esattezza. Questa definizione insiste, nel solco di<br />

quelle precedenti, sulla forma dell’architettura<br />

come forma rappresentativa.<br />

E ora concludiamo con la definizione che considero<br />

p i ù i l l u m i n a n t e l a p r o p r i e t à s p e c i f i c a<br />

dell’architettura, quella di Schelling, non molto<br />

distante da questa di Mies van der Rohe. Schelling,<br />

l’idealista tedesco compagno di Hegel, dice che<br />

l’architettura è metafora della sua costruzione. Le<br />

sue parole esatte sono:<br />

67<br />

L’architettura è rappresentazione di se stessa in<br />

quanto costruzione rispondente a uno scopo.<br />

Questa definizione, a prima vista sibillina,<br />

chiarisce quanto detto fin qui. Pensiamo alla<br />

disputa a distanza fra Vitruvio e Boullèe. Vitruvio<br />

dice che l’architettura è l’arte di costruire, è<br />

costruzione; Boullèe che l’architettura non è<br />

costruzione, ma rappresentazione. Schelling compone<br />

questa disputa sostenendo che l’architettura è la<br />

rappresentazione dell’atto costruttivo, appunto<br />

metafora della sua costruzione. Comprende cioè un<br />

momento che la distingue come arte, che consiste nel<br />

voler esaltare – direbbe Boullèe - , rappresentare –<br />

diciamo noi – il senso della costruzioni e dei suoi<br />

elementi. Non è forse questa la bellezza dell’ordine<br />

dorico che fissa in forme stabili la costruzione e<br />

la rappresenta nella sua necessaria generalità? Non<br />

è questo allo stesso modo il pensiero di Mies van<br />

der Rohe che cerca le forme rappresentative della<br />

costruzione? Non è questo ciò che Mies intende<br />

quando parla di chiarezza costruttiva portata alla<br />

sua espressione esatta? Credo che questa definizione<br />

sia di grande importanza per noi e che faccia<br />

chiarezza nei confronti di tutti coloro che si<br />

a f f i d a n o a l l e f o r m e t e c n i c h e , c o l o r o c h e<br />

identificano l’architettura e costruzione. Allo<br />

stesso modo credo che chiarisca l’equivoco di chi,<br />

contrapponendosi ai tecnicisti, considera la<br />

costruzione un momento secondario dell’architettura.<br />

Con Schelling diciamo che l’architettura è<br />

costruzione, e che la sua proprietà estetica<br />

consiste nella rappresentazione in forme stabili del<br />

senso dell’insieme e delle parti. Gli ordini<br />

dell’architettura assolvevano a questo compito,<br />

l’architettura moderna è ancora alla ricerca delle<br />

sue forme rappresentative. Loos, Le Corbusier, Mies<br />

si sono avviati in questa direzione e le loro<br />

definizioni di architettura lo testimoniano. Al di<br />

là della confusione delle ricerche contemporanee sul<br />

linguaggio possiamo riconoscere nel loro lavoro un<br />

solido punto di partenza per il nostro.


69<br />

A t a l e m u t a m e n t o s u c c e d e u n p r o c e s s o d i<br />

globalizzazione diffusa che se anche riflette la<br />

nuova condizione dell'abitare, all'interno nasconde<br />

le contraddizioni più profonde: la un lato la crisi<br />

" d e l l ' i d e n t i t à c o l l e t t i v a d i u n a c u l t u r a<br />

architettonica.. non più fondibile nè su una<br />

continuità di stile e di linguaggio…, ne tantomeno<br />

sull'unità di luogo geografico" (1), d'altro lato la<br />

ricerca di differenze locali come riscatto al<br />

processo di omologazione dilagante, nel tentativo di<br />

ridefinire, proprio attraverso la loro presenza, una<br />

nuova verità dello specifico.<br />

(1) V. Gregotti, L'identità dell'architettura europea e la<br />

sua crisi, Einaudi, Torino 1999.<br />

Guya Bertelli,<br />

Frammenti, scritti di architettura, Milano 2005.


Liquefazione<br />

V.Gregotti, Contro la fine dell’architettura, Einaudi Editore, Milano 2008.<br />

L’argomento preso in esame da Vittorio Gregotti in,<br />

Contro la fine dell’architettura, è quello della<br />

crisi in cui versa l’architettura e dell’urgenza di<br />

recuperare i propri obiettivi disciplinari e le<br />

proprie finalità sociali. Le cause che individua<br />

sono fondamentalmente tre, che analizza nei primi<br />

tre capitoli del libro.La prima, riguarda un uso<br />

dogmatico della teoria e soprattutto l’eccesso della<br />

comunicazione che ha messo in crisi i caratteri<br />

della disciplina. L’impiego esorbitante dei suoi<br />

m e z z i c h e h a c r e a t o u n a s o v r a e s p o s i z i o n e<br />

dell’immagine architettonica, mettendo in secondo<br />

piano la sua identità e il suo fine. Tale processo<br />

di “liquefazione” è stato vissuto, in un primo<br />

tempo, come una sorta di liberazione che ha<br />

i n n e s c a t o u n p r o c e s s o d i e s t e t i z z a z i o n e<br />

generalizzato entro cui è andata smarrendosi la<br />

necessità e il senso del fare architettura. «Il<br />

nuovo diventa novità e abbandona ogni pretesa<br />

fondativa di costituzione di differenze. Tutto è<br />

sostanzialmente fermo pur nell’incessante turbinio<br />

delle proposte, fermo in un tempo che si pretende<br />

senza storia» (p. 9).<br />

L’autore si sofferma sul contributo del pensiero<br />

t e o r i c o i n c a m p o a r c h i t e t t o n i c o , s u l s u o<br />

significato, sulla sua attualità e le sue aporie,<br />

una delle quali è «[...] il sospetto di rigidità e<br />

di astrazione che riduce forzatamente il nostro<br />

agire progettuale ai principi teorici in quanto<br />

modelli», mentre invece l’arte dovrebbe avere il<br />

compito di «[...] sottrarsi alla realtà empirica<br />

criticandola senza negarla, per costruire per mezzo<br />

della forma una metafora della realtà strutturale<br />

70<br />

del presente e delle sue possibili alternative con<br />

cui confrontarsi» (p. 20).<br />

Quello che sembra cruciale, nell’attuale incapacità<br />

a costruire delle distanze critiche da cui estrarre<br />

indicazioni alternative è l’attuale “avanguardismo<br />

consumistico” che ha cancellato buona parte dei<br />

valori critici delle avanguardie dei primi decenni<br />

dello scorso secolo e rovesciato il senso della loro<br />

“faticosa”, quanto “dolorosa rottura delle regole”;<br />

in questo modo, esse ora sono diventate la prima<br />

legge del “mercato dell’arte postsociale”.<br />

L a s e c o n d a c o n c e r n e i p r o b l e m i p o s t i<br />

dall’interdisciplinarietà alla teoria e alla prassi<br />

architettonica. E questo, sulla base delle<br />

convinzioni di molti progettisti di successo dei<br />

nostri anni per i quali la fuoriuscita dal proprio<br />

campo di lavoro è una manifestazione dell’espansione<br />

della “creatività”, anche se questo avviene «nel<br />

vuoto di un nuovo senza necessità» (p. 56). Questa<br />

interpretazione dell’interdisciplinarietà come<br />

superamento della distinzione tra cultura umanistica<br />

e scientifica, in realtà si è manifestata come una<br />

forma di soggezione, da parte delle arti, al<br />

pensiero scientifico. In effetti, il mondo delle<br />

tecnoscienze rappresenta una notevole attrazione per<br />

le arti, pur facendo appello ad obiettivi diversi,<br />

perseguiti con modalità dissimili da quelli della<br />

scienza. La conseguenza, osserva Gregotti, è «[...]<br />

una volontaria dissipazione dell’idea di sostanza<br />

dell’arte stessa, della coscienza della sua<br />

tradizione (coscienza indispensabile al suo stesso<br />

superamento) in cui ogni specificità delle pratiche


artistiche o si trasforma in specializzazione<br />

estrema o diventa tessitrice dell’incessante<br />

trasformazione della superficie delle cose l’una<br />

nell’altra» (p. 57).<br />

Anche l’architettura, nota l’autore, pur avendo<br />

obiettivi più empirici, anche se assolutamente<br />

p r e c i s i n e l l e r e g o l e d e l p r o p r i o f a r e , h a<br />

un’importante cultura di produzione, le cui modalità<br />

realizzative un tempo erano in grado di mettere in<br />

opera «[...] una edilizia corrente, prezioso tessuto<br />

di connessione di ogni sistema urbano, sviluppata<br />

nel rispetto di un comune senso civile.<br />

Ciò che però sembra indispensabile evitare è che,<br />

tutto questo, passi attraverso la liquefazione della<br />

propria specificità disciplinare; evitare, cioé che<br />

si producano processi di affrettata deduzione dalle<br />

s u g g e s t i o n i o f f e r t e d a i c a m p i d i s c i p l i n a r i<br />

altri» (p. 71-72).<br />

La terza, è data dal nuovo assetto del mondo del<br />

lavoro, la cui trasformazione, non senza una certa<br />

forzatura egli vede dipendente dall’assenza di un<br />

terreno metodologico comune tra gli architetti,<br />

dalla loro incapacità ad organizzarsi in gruppi<br />

fondati su base teorica: perseguendo, piuttosto,<br />

q u e l l a d e l l e l o b b i e s o d e l l a s o l i d a r i e t à<br />

telecomunicativa sulla base del fatto che il<br />

successo mediatico ha maggiore ascolto, interesse,<br />

attenzione rispetto ad una manifestazione di senso.<br />

Un ulteriore cambiamento è dato dal rovesciamento<br />

dei valori per cui la cultura dell’architettura è di<br />

coloro che la eseguono e il processo di dispersione<br />

culturale è tale che l’unico valore che prevale è<br />

quello del rapporto costo, moda, efficienza. Le<br />

qualità artigianali si sono fatte ormai rare e ciò<br />

che resta disponibile nell’edilizia sono i<br />

semilavorati che fanno capo a una tradizione di<br />

diversa provenienza. Tutto questo ha a che vedere<br />

con un cambio di ruolo del progetto, nel ciclo della<br />

produzione edilizia. L’architettura, in questo<br />

senso, si sta trasformando in un’organizzazione che<br />

concentra in sé un coacervo di differenti attività e<br />

l’architetto è solo uno specialista della forma<br />

all’interno di un team che produce il manufatto<br />

edilizio. Per altro verso, bisogna registrare,<br />

altresì, il fatto che l’architettura sta diventando<br />

« u n a d i s c i p l i n a e s t e t i c a d e l m e r c a t o d e l<br />

consenso» (p. 79).<br />

Ma il fenomeno più importante e per certi versi più<br />

preoccupante perchè non è semplice misurarne le<br />

conseguenze, nota Gregotti, è quello della<br />

dilatazione del mercato a livello planetario che ha<br />

portato alla «[...] ideologia delle tecnoscienze e<br />

dei mercati finanziari, di produzione e di<br />

consumo» (p. 88); che è «[...] diffusa dal<br />

p o t e n t i s s i m o s t r u m e n t o d e l l e c o m u n i c a z i o n i<br />

71<br />

immateriali di massa nelle diverse forme, aspetti di<br />

un sistema in continuo, apparente mutamento pur<br />

senza trasformazioni strutturali» (p. 88).<br />

Un ultimo aspetto da considerare, in questo quadro<br />

di trasformazioni del fare progettuale è quello<br />

rappresentato dall’azione esercitata dalle grandi<br />

real estate il cui monofunzionalismo immobiliare sta<br />

p o r t a n d o a l l a c r e a z i o n e d i g r a n d i g h e t t i<br />

sorvegliati, per ricchi e per poveri. Tale indirizzo<br />

ha come conseguenza la trasformazione della città e<br />

della sua tradizione di luogo di scambio e di<br />

cultura.<br />

Di fronte a tutto questo, in architettura sono<br />

possibili solo due atteggiamenti: aderire alla<br />

condizione della globalizzazione, accettandone nel<br />

contempo l’aspetto ideologico che si riassume<br />

nell’adesione allo stato delle cose, oppure assumere<br />

una posizione critica nei confronti della realtà<br />

nella forma in cui viene a delinearsi.<br />

Nel quarto capitolo conclusivo, Gregotti porta<br />

avanti una riflessione complessiva sullo stato delle<br />

cose dell’architettura e sulla necessità di<br />

ridefinizione dei suoi margini per un cambiamento<br />

che porti alla riaffermazione di alcuni dei suoi<br />

v a l o r i p e r d u t i . P e r l a s u a s a l v e z z a d a l l a<br />

“liquefazione” indica, dunque, come strada, il<br />

recupero del suo aspetto identitario. Così, dopo<br />

aver preso in esame il quadro delle avvenute<br />

modificazioni dell’assetto sociale, produttivo e<br />

culturale con cui la disciplina progettuale è<br />

impegnata a confrontarsi, l’autore riafferma la<br />

necessità di ripensare tali confini, sia nel<br />

contesto dell’interdisciplinarietà, attraverso una<br />

pratica artistica dotata di senso proprio, che in<br />

q u e l l o d e l l a d e f i n i z i o n e d e l l ’ i m m a g i n e<br />

architettonica che, aldilà della sua essenza<br />

dovrebbe tornare ad essere «[...] sostanza che<br />

produce interpretazione» (p. 121).<br />

Daniel Egneus, cityscapes


Sperimentazione.<br />

72<br />

Daniel Egneus, Milano.


“Non so se vi ho convinti, ma volevo spiegarvi che i<br />

barbari hanno una logica. Non sono una cellula<br />

impazzita. Sono un animale che vuole sopravvivere, e<br />

ha le sue idee su quale sia l’habitat migliore per<br />

riuscirci. Il punto esatto in cui scatta la loro<br />

d i f f e r e n z a è l a v a l u t a z i o n e d i c o s a p o s s a<br />

significare, oggi, “fare esperienza”. So potrebbe<br />

dire: “incontrare il senso”. E’ lì che loro non si<br />

riconoscono più nel galateo della civiltà che li<br />

aspetta: e che, ai loro occhi, riserva solo<br />

cervellotiche non-esperienze. E vuoti di senso. E’<br />

lì che scatta questa loto idea di uomo orizzontale,<br />

di senso distribuito in superficie, di surfing<br />

dell’esperienza, di rete di sistemi passanti: l’idea<br />

che l’intensità del mondo non si dia nel sottosuolo<br />

delle cose, ma nel bagliore di una sequenza<br />

d i s e g n a t a i n v e l o c i t à s u l l a s u p e r f i c i e<br />

dell’esistente.<br />

... Dico spettacolarità, ma è per usare un<br />

eufemismo. In realtà parlo di tutta un’area di cose<br />

fastidiose che ruota intorno a espressioni come<br />

“seduzione, virtuosismo, doping” .<br />

73<br />

... Se volete, il termine totemico di kitsch<br />

d e f i n i s c e a b b a s t a n z a b e n e i l c o n f i n e d i<br />

quell’equilibrio: quando il tratto seduttivo<br />

straborda oltre il lecito, o peggio, di esibisce in<br />

assenza di qualsiasi sostanza degna di nota, scatta<br />

il kitsch.<br />

Dovete ricordarvi di monsieur Bertin e di uno dei<br />

suoi ideali: la fatica. Ciò che spesso dà fastidio,<br />

nella spettacolarità, è il suo nesso con la<br />

facilità, e quindi con l’attenuarsi della fatica.<br />

...quella spettacolarità, e quell’uso dopato del<br />

l i n g u a g g i o c r e a n o d i f f i c o l t à n o n f a c i l i t à :<br />

moltiplicano la fatica e attraverso di essa<br />

conducono nel sottosuolo. In un certo senso sono il<br />

meglio che la civiltà sia portata a desiderare:<br />

tutto il piacere della spettacolarità, del<br />

virtuosismo, della seduzione, legittimato da una<br />

grande fatica, e da un riconoscibile viaggio in<br />

profondità.<br />

Ma la spettacolarità dei barbari non produce<br />

fatica.”<br />

da I barbari, A. Baricco.


Codice ovvio<br />

74<br />

Renè Magritte, Il tradimento delle immagini, 1929


75<br />

Bruno Munari, da "Codice Ovvio


Straniamento<br />

[ Julio Cortàzar, Storie di Cronopios e di Famas,<br />

p. 18-19 ]<br />

Istruzioni per salire le scale<br />

Nessuno può non aver notato che sovente il suolo si<br />

piega in modo che da una parte sale ad angolo retto<br />

rispetto al piano del suolo medesimo mentre la<br />

parte che segue si colloca parallelamente a questo<br />

piano per dar luogo ad un'altra perpendicolare,<br />

comportamento che si ripete a spirali o secondo una<br />

linea spezzata fino ad altezze sommamente<br />

variabili. Chinandoci e mettendo la mano sinistra<br />

su una delle parti verticali e quella destra sulla<br />

corrispondente orizzontale ci troveremo in<br />

momentaneo possesso di un gradino o scalino.<br />

Ciascuno di questi scalini, formati come si vede da<br />

due elementi, si trova ubicato un po' piú in alto e<br />

un po' piú in avanti rispetto al precedente,<br />

principio che dà significato alla scala, dato che<br />

qualsiasi altra combinazione determinerebbe forme<br />

magari piú belle o pittoresche, ma inadatte a<br />

trasportare da un pianterreno a un primo piano.<br />

76<br />

Peter Eisenman, House II, 1969/70


Peter Eisenman, House II, 1969/70<br />

77<br />

Le scale si salgono frontalmente, in quanto<br />

all'indietro o di fianco risultano particolarmente<br />

scomode. La posizione naturale è quella in piedi,<br />

le braccia in giù senza sforzo, la testa eretta ma<br />

non tanto da impedire agli occhi di vedere gli<br />

scalini immediatamente superiori a quello sul quale<br />

ci si trova, e respirando con lentezza e ritmo<br />

regolare. Per salire una scala si cominci con<br />

l'alzare quella parte del corpo posta a destra in<br />

basso, avvolta quasi sempre nel cuoio o nella pelle<br />

scamosciata; e che salvo eccezioni è della misura<br />

dello scalino. Posta sul primo scalino la suddetta<br />

parte, che per brevitá chiameremo piede, si tira su<br />

la parte corrispondente sinistra (anch'essa detta<br />

piede, ma da non confondersi con il piede<br />

menzionato), e portandola all'altezza del piede la<br />

si fa proseguire fino a poggiarla sul secondo<br />

scalino, sul quale grazie a detto movimento<br />

riposerà il piede mentre sul primo riposerà il<br />

piede. (I primi scalini sono sempre i più<br />

difficili, fino a quando non si sarà acquisito il<br />

coordinamento necessario. Il fatto che coincidano<br />

nel nome il piede e il piede rende difficoltosa la<br />

spiegazione. Fare attenzione a non alzare<br />

contemporaneamente il piede e il piede).


Giunti con questo procedimento sul secondo scalino,<br />

basta ripetere a tempi alterni i suddettì movímenti<br />

fino a trovarsi in cima alla scala. Se ne esce<br />

facilmente con un Ieggero colpo di tallone che la<br />

fissa al suo posto, dal quale non si muoverà fino al<br />

momento della discesa.<br />

78<br />

Peter Eisenman, House II, 1969/70


[ Viktor Sklovskij, Una teoria della prosa, p.<br />

16-18 ]<br />

«Con lo straccio della polvere in mano feci il giro<br />

della mia camera; ma quando arrivai al sofà non<br />

sapevo più se lo avessi già spolverato o no. Poiché<br />

nello spolverare i movimenti sono abituali e<br />

inconsci, non riuscivo a ricordarmi se li avevo già<br />

compiuti e sentivo per di più che non sarei mal<br />

riuscito a ricordarmelo. Se ho spolverato e poi ho<br />

dimenticato di averlo fatto, cioè, se ho agito<br />

inconsapevolmente, è proprio come se non fosse<br />

successo niente...<br />

Se la vita di molti uomini, con tutta la sua<br />

complessità, scorre inconsapevolmente, allora è<br />

come se non ci fosse stata» (Diari di Lev Tolstoj,<br />

28 febbraio 1897, Nikolskoe, Letopis, dicembre<br />

1 9 1 5 ) . C o s ì l a v i t a p a s s a , s i a n n u l l a .<br />

L'automatizzazione inghiotte tutto: cose, abiti,<br />

mobili, la moglie e la paura della guerra. «Se la<br />

vita di molti uomini, con tutta la sua complessità,<br />

scorre inconsapevolmente, allora è come se non ci<br />

fosse stata.» Per risuscitare la nostra percezione<br />

della vita. per rendere sensibili le cose, per fare<br />

della pietra una pietra, esiste ciò che noi<br />

chiamiamo arte. Il fine dell'arte è di darci una<br />

sensazione della cosa, una sensazione che deve<br />

essere visione e non solo agnizione. Per ottenere<br />

questo risultato l'arte si serve di due artifici:<br />

lo straniamento delle cose e la complicazione della<br />

forma, con la quale tende a rendere più difficile<br />

la percezione e prolungarne la durata. Nell'arte il<br />

processo di percezione è infatti fine a se stesso e<br />

deve essere protratto. L'arte è un mezzo per<br />

esperire il divenire di una cosa; per essa ciò che<br />

è già stato non ha alcuna importanza. [...] In<br />

Tolstoj l'artificio dello straniamento consiste nel<br />

non nominare per nome le cose ma nel descriverle<br />

come se le vedesse per la prima volta.<br />

79<br />

Renè Magritte, Golconde, 1953


Decontestualizzazione<br />

80<br />

Renè Magritte, La bonne aventure, 1937


81<br />

Leon Battista Alberti, chiesa di S. Andrea a Mantova,<br />

1470


82<br />

Roma, arco di Tito


83<br />

Andrea Palladio, villa Malcontenta, 1560<br />

Paestum, tempio di Era II (Posidone)


Sostituzione<br />

L'omino di vetro<br />

Dato un personaggio, reale (come la Befana o<br />

Pollicino) o uno immaginario (come l'uomo di vetro,<br />

per dire il primo che mi viene in mente) le sue<br />

avventure potranno essere logicamente dedotte dalle<br />

sue caratteristiche. «Logicamente» qui è detto in<br />

rapporto a una logica fantastica o a una logicalogica?<br />

Non saprei. Forse a tutt'e due.<br />

Sia, per l'appunto, un uomo di vetro. Egli dovrà<br />

agire, muoversi, contrarre relazioni, subire<br />

incidenti, provocare eventi solo obbedendo alla<br />

natura della materia di cui lo immaginiamo fatto.<br />

L'analisi di questa materia ci offrirà la regola<br />

del personaggio.Il vetro è trasparente. L'uomo di<br />

vetro è trasparente. Gli si leggono i pensieri in<br />

testa. Non ha bisogno di parlare per comunicare.<br />

N o n p u ò d i r e b u g i e p e r c h é s i v e d r e b b e r o<br />

immediatamente, a meno che egli non porti il<br />

cappello. Brutto giorno, nel paese, degli uomini di<br />

vetro, quello in cui viene lanciata la moda del<br />

cappello, cioè la moda di nascondersi i pensieri.<br />

Il vetro è fragile. La casa dell'uomo di vetro<br />

dovrà dunque essere tutta imbottita. I marciapiedi<br />

saranno tappezzati di materassi. Vietata la stretta<br />

i mano (!). Proibiti i lavori pesanti. Il vero<br />

medico del paese è il vetraio.<br />

Il vetro può essere colorato. E' lavabile.<br />

Eccetera. Nella mia enciclopedia, al vetro sono<br />

dedicate quattro grandi pagine, e quasi ad ogni<br />

riga s'incontra una parola che potrebbe acquistare<br />

il suo significato nella storia degli uomini di<br />

vetro. Sta lí, nero su bianco, accanto a ogni sorta<br />

di notizie chimiche, fisiche, industriali,<br />

storiche, merceologiche, e non lo sa: ma il suo<br />

posto in una fiaba è assicurato. [...]<br />

Gianni Rodari, GRAMMATICA DELLA FANTASIA, Einaudi,<br />

Torino 1973<br />

84<br />

Renè Magritte, La battaglia delle Argonne, 1959


85<br />

Parigi, Hotel particulier, pianta


86<br />

Franco Purini, torri delle Halles, 1979


87<br />

Alessandro Anselmi, cimitero di Parabita, 1967,


Inclusione<br />

88<br />

Renè Magritte, L'importance de merveilles, 1927


89<br />

Oswald Mathias Ungers, progetto per la Solarhaus a<br />

Landstuhl


Smontaggi/<br />

Rimontaggi<br />

90<br />

Renè Magritte, Il pellegrino, 1966


91<br />

Andrea Palladio, Palazzo Chiericati, Vicenza 1550,<br />

particolare di due finestre sul cortile interno


92<br />

Bernardo Buontalenti, Porta delle Suppliche<br />

agli Uffizi, 1574


93<br />

Franco Purini, Museo per piccoli quadri, 1978


Salto di scala<br />

94<br />

Renè Magritte, La legende des siecles, 1950


95<br />

Adolf Loos, progetto per il concorso del Chicago<br />

Tribune, 1922


96<br />

Franco Purini, ampliamento del municipio di<br />

Castelforte, 1983


97<br />

Robert Venturi, progetto per Times Square, 1984


Analogia<br />

98<br />

Renè Magritte, Le passeggiate di Euclide, 1955


99<br />

Claude Nicolas Ledoux, officina del bottaio, 1773


100<br />

Cecil Beaton, ritratto di Aldus Huxley, 1936


101<br />

Fabio Ghersi, Huxley Museum, 1979


102<br />

Piet Mondrian, Victory Boogie Woogie, 1943-44


103<br />

John Hejduk, Diamond House A, 1963 -<br />

tratto dagli studi del Prof. Ghersi


innovazione.<br />

è un’attività di pensiero che perfeziona un<br />

processo migliorando il tenore di vita dell'uomo.<br />

è cambiamento che genera progresso umano e che<br />

porta con sé valori e risultati positivi,<br />

mai negativi.<br />

104<br />

Behind the Expo, Shanghai 2010.


105<br />

trovo che sia imbarazzante. quasi volgare. definire<br />

innovazione la soluzione dei problemi. il risparmio<br />

energetico. la stessa eco-architettura. perchè<br />

trovo che siano semplicemente insite quasi ovvie<br />

nell’appropriatezza dell’odierna Architettura.<br />

trovo davvero ingrato per la disciplina che questi<br />

aspetti vengano erroneamente scambiati per<br />

caratterizzanti. e non per caratteristici.<br />

barbarie. celate dietro il seduttivo paravento di<br />

mode tecnologiche. di materiali sempre più<br />

interattivi. ma che nulla hanno a che fare con il<br />

rigore della memoria del passaggio da materia a<br />

materiale della pietra. è davvero brutto veder le<br />

necessità prendere il sopravvento sui desideri<br />

degli Uomini. basti pensare alla maleducazione con<br />

la quale la facciata a led della Rinascente si<br />

mostra al marmo bianco del Duomo di Milano. è tutto<br />

frutto di questo periodo di pressapochismo in cui<br />

la gente capisce solo quello che è scritto a<br />

caratteri cubitali. il senso della fatica nel<br />

costruire un qualcosa che non passa ma resta e che<br />

ispira ogni giorno l’Uomo capace di udirne quel<br />

silenzioso eco a egregie cose ne rimane soffocato.<br />

asfissiato.<br />

credo di aver anche sempre tenuto in gran<br />

considerazione le persone capaci di raggiungere le<br />

peggiori forme di avvilimento rispetto a quelle a<br />

cui tutto riusciva facile.<br />

per me innovazione significa inevitabilmente<br />

ragionare in funzione del tempo. significa capire<br />

quali potrebbero essere gli scenari futuri. e<br />

cambiarli. in positivo. mai in negativo.<br />

ma allora come può un qualcosa essere innovativo<br />

senza comportare fatica? dietro l’innovazione c’è<br />

l’idea. che in quanto tale deve esser pericolosa.<br />

deve cioè aver una dose di coraggio. ed esso da<br />

sempre comporta sacrificio.<br />

e fatica..


Il contesto dell’innovazione<br />

da Costruire in laterizio, n. 83<br />

di A. Campioli<br />

L’innovazione tecnologica nell’ambito delle<br />

costruzioni si propone con un carattere ambiguo che<br />

spesso ha reso più facile e immediato cogliere i<br />

segni di una continuità con il passato, rispetto a<br />

quelli di una rottura e di un nuovo inizio. Essa<br />

segue modi di affermazione contraddittori,cogliendo<br />

spesso riferimenti da settori“altri”,dai quali è<br />

trasferita,e richiede sempre,comunque,tempi di<br />

affermazione molto lunghi prima di trovare<br />

applicazioni corrette e coerenti. Scrive in tal<br />

senso Marisa Bertoldini:“In quanto concretizzazione<br />

di una cultura materiale, le tecnologie costruttive<br />

sono per definizione testimonianza di conoscenze<br />

solidamente acquisite, sedimentate, diffuse, a<br />

volte originali, ma spesso contaminate e in alcuni<br />

casi persino sopraffatte da estranee pressioni<br />

culturali. Infatti, la storia delle tecnologie<br />

costruttive nel tempo è fatta di una miriade di<br />

esempi di cosiddetta innovazione che, se analizzati<br />

a fondo, rivelano piuttosto radicamento e<br />

tradizione; rivelano la presenza di lacci, di<br />

cronicità che, sia per quanto riguarda i materiali<br />

che le tecniche di approntamento o di assemblaggio,<br />

raramente sono testimonianza di novità assoluta.<br />

Vale a dire:le innovazioni in ambito costruttivo<br />

faticano ad affermarsi in quanto tali, perché<br />

forzatamente rallentate, ai diversi livelli del<br />

loro espletamento, da indugi, vischiosità,<br />

mascheramenti che ne appannano la forza”.(1)<br />

Se si guarda però alla storia più recente, il tema<br />

dell’innovazione tecnologica nell’ambito delle<br />

costruzioni si afferma in modo inequivocabile,<br />

nella sua accezione più estensiva, caratterizzando<br />

ricerche e sperimentazioni e delineando in alcuni<br />

casi anche nuovi orizzonti espressivi. Ciò non<br />

significa che il progetto contemporaneo si sia<br />

affrancato definitivamente dalle “radici antiche”:<br />

106<br />

(2) l’architettura è pur sempre attività fortemente<br />

radicata al patrimonio culturale della società che<br />

la esprime. Piuttosto mette in evidenza come le<br />

radici del progetto contemporaneo traggano sempre<br />

più spesso energia dalle novità insite nei<br />

materiali, nei processi di produzione, nelle<br />

tecnologie organizzative, piuttosto che dal<br />

r i f e r i m e n t o a u n a t r a d i z i o n e c o s t r u t t i v a<br />

plurimillenaria. Pur nel loro lento fluire, gli<br />

aspetti esecutivi hanno infatti conosciuto, negli<br />

ultimi anni, una radicale trasformazione rispetto<br />

al repertorio<br />

tecnologico della tradizione costruttiva e, in<br />

alcune esperienze architettoniche, si è assistito<br />

p e r f i n o a l p a r a d o s s o d e l p e r s e g u i m e n t o<br />

dell’innovazione fine a se stesso. La spiegazione<br />

di questi mutamenti implica un riferimento alla<br />

matrice economica del concetto di innovazione<br />

tecnologica. Nato nell’ambito delle discipline<br />

economiche, il termine è stato coniato per<br />

collegare i cambiamenti avvenuti sul piano delle<br />

tecniche e delle tecnologie di produzione alle<br />

implicazioni di carattere commerciale:innovazione è<br />

u n ’ i n v e n z i o n e c h e h a t r o v a t o p o s t o n e l<br />

mercato.Anche in architettura, quando si parla di<br />

innovazione tecnologica, occorre dunque introdurre<br />

una dimensione economica. Mentre solo fino a<br />

qualche decennio fa l’architettura poteva essere<br />

considerata un ambito produttivo al di fuori delle<br />

logiche del mercato (l’architettura non è mai stata<br />

considerata una merce nella piena accezione del<br />

termine e molto probabilmente non lo sarà mai),<br />

oggi appaiono molti segnali che mostrano un’inedita<br />

attenzione ai risvolti economici del costruire,<br />

allineando il settore delle costruzioni agli altri<br />

settori produttivi.


In altre parole, si può affermare che, oggi, la<br />

visione di un’architettura nella quale gli aspetti<br />

economici rivestivano un ruolo marginale rispetto ai<br />

contenuti culturali, alla rappresentatività, alla<br />

espressività artistica, sta man mano cedendo<br />

posizioni a favore di una visione del costruire che<br />

si confronta sempre più da vicino con le logiche del<br />

profitto. Questa inevitabile “contaminazione” tra<br />

architettura e mercato - come molti esempi<br />

contemporanei dimostrano - implica il rischio di un<br />

appiattimento dei contenuti culturali del progetto<br />

di architettura. Ma, d’altra parte, la centralità<br />

assunta dalle valutazioni economiche all’interno di<br />

un progetto, la sempre più elevata competitività tra<br />

le imprese e tra gli studi di progettazione, il<br />

ruolo sempre più propulsivo delle industrie<br />

produttrici di semilavorati e componenti, il sempre<br />

p i ù v e l o c e c o n s u m o d e l l ’ i m m a g i n e s t e s s a<br />

dell’architettura, impongono un confronto aperto del<br />

progetto con l’innovazione tecnologica e solo in<br />

questa prospettiva è possibile coglierne a pieno i<br />

connotati. Innanzitutto, nel costruire, più che in<br />

ogni altro settore produttivo, si evidenzia il<br />

carattere di molteplicità tipico dell’innovazione.<br />

Molti sono infatti gli elementi che si influenzano<br />

i n m o d o s i n e r g i c o e c h e c o n t r i b u i s c o n o a<br />

caratterizzare un processo innovativo.Alcuni sono<br />

ricorrenti: per esempio, l’“immaginazione” e la<br />

propositività del progettista e del committente, gli<br />

studi condotti nell’ambito dei materiali, delle<br />

tecniche e delle tecnologie di produzione, le<br />

ricerche sviluppate sul versante delle tecnologie<br />

organizzative e gestionali, le strategie politiche,<br />

gli assetti normativi, gli equilibri economici, le<br />

filosofie, la ricerca di riconoscibilità del-<br />

l’immagine del committente. In secondo luogo,<br />

l ’ i n n o v a z i o n e t e c n o l o g i c a n e l c o s t r u i r e è<br />

caratterizzata simultaneamente dai fenomeni che i<br />

teorici dell’innovazione(3) definiscono di need pull<br />

(l’innovazione trainata dalla domanda) e di<br />

technology push (l’innovazione spinta dalla<br />

tecnologia). Da un lato (need pull), si è in<br />

presenza di una forte richiesta di architetture<br />

s e m p r e p i ù e f f i c i e n t i , s i a s u l p i a n o d e l<br />

funzionamento, sia su quello delle prestazioni di<br />

comfort. Dall’altro lato (technology push), si<br />

assiste alla pressione, da parte dell’industria,<br />

affinché le tecnologie a disposizione siano<br />

applicate in modo diffuso e affinché si provveda a<br />

migliorarne le prestazioni attraverso la ricerca e<br />

risultare quindi più competitivi sul mercato. In<br />

questo senso, il ruolo dei progettisti risulta<br />

particolarmente ambiguo: spesso è la necessità di<br />

raggiungere alcuni obiettivi e alcune prestazioni a<br />

indurre sperimentazione e quindi innovazione; in<br />

107<br />

altri casi è la disponibilità delle tecnologie e la<br />

promozione che i produttori ne fanno a indurre i<br />

progettisti a sperimentare nuovi linguaggi (è il<br />

caso questo di molti esponenti della cosiddetta<br />

corrente high-tech).<br />

In terzo luogo, nel costruire quotidiano sono in<br />

realtà poche le innovazioni so- stanziali,<br />

a f f i a n c a t e p e r ò d a u n a g r a n d e q u a n t i t à d i<br />

innovazioni marginali, basate semplicemente<br />

sull’applicazione di una tecnica o di una tecnologia<br />

importata da un campo differente (una innovazione,<br />

cioè, di tipo adattivo), o orientate a migliorare<br />

prodotti e processi di tecnologia tradizionale (una<br />

innovazione, cioè, di tipo funzionale). Questo è il<br />

contesto di riferimento con cui confrontarsi.<br />

Note<br />

1. Bertoldini Marisa, Quale innovazione, quale ambiente, in<br />

Massimo Perriccioli, a cura di, Incontri del- l’Annunziata<br />

Prima edizione. Giornate di studio su innovazione e ambiente,<br />

Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno, Università degli<br />

Studi di Camerino, 16 giugno 1998, Dipartimento di<br />

Progettazione e costruzione dell’ambiente, Atti 1/99, 1999,<br />

pp. 45-64.<br />

2. Guido Nardi, Le nuove radici antiche, Franco Angeli,<br />

Milano, 1986. 3. Patrice Flichy, L’innovation technique,<br />

Éditions La Découverte, Paris, 1995 (tr. it. di Massimiliano<br />

G u a r e s c h i , L ’ i n n o v a z i o n e t e c n o l o g i c a : l e t e o r i e<br />

dell’innovazione di fronte alla rivoluzione digitale,<br />

Feltrinelli, Milano, 1996).


Progettazione digitale<br />

108<br />

nel 2007 alla facoltà di Architettura del Politecnico<br />

di Milano assistetti ad una conferenza a dir poco<br />

sbalorditiva. quasi irreale.<br />

sulla base di premesse quali “diamo delle risposte a<br />

domande che ancora non esistono” e “noi prendiamo degli<br />

organismi preistorici li inseriamo in un programma che<br />

grazie ad un algoritmo ne calcola la forma e poi<br />

tramite una società di ingegneria molto rinnomata ne<br />

studiamo la fattibilità” un ingegnere italiano che<br />

lavorava presso lo studio dell’architetto Zaha Hadid ci<br />

illustrava la sua idea di Architettura. senza tuttavia<br />

proporre alcun modello di città. ho sempre pensato che<br />

la cosa più difficile da fare sia tenersi una risposta<br />

in attesa della domanda giusta. è questa per me<br />

l’appropriatezza. e pur non essendo mai stato un<br />

cultore del fenomeno tuttavia la domanda mi sorgeva<br />

spontanea: “ma la funzione di questi spazi?”<br />

e soprattutto. che fine farà la mano dell’architetto?<br />

mistero della fede.


109<br />

Quando attraverso un incrocio col semaforo so che /<br />

rosso/ significa “non-passaggio” e /verde/ significa<br />

“passaggio”. Ma so anche che l’ordine di /nonpassaggio/<br />

significa “obbligo” mentre il permesso /<br />

passaggio/ significa “libera scelta” (posso anche non<br />

passare). In più so che /obbligo/ significa “pena<br />

pecuniaria” mentre la /libera scelta/ significa,<br />

poniamo, “sbrigarsi a decidere. Questa meccanica<br />

semiotica fa sì che esistano dei significanti luminosi<br />

il cui piano del significato è costituito da<br />

opposizioni di carattere viario. L’insieme del segno<br />

(segnale luminoso più disposizione viaria) diventa però<br />

il significante di una disposizione giuridica, e il<br />

complesso dei precedenti diventa il significante di una<br />

sollecitazione emotiva “sarai multato” o “devi<br />

sbrigarti a decidere” secondo questo schema: [figura al<br />

lato]<br />

I l p r i m o l i v e l l o d i s i g n i f i c a n t i - s i g n i f i c a t i<br />

costituisce una semiotica denotativa. Il secondo<br />

livello è una semiotica connotativa in cui i<br />

significanti sono segni (significanti + significati) di<br />

una semiotica denotativa. Il terzo livello è una<br />

semiotica connotativa alla seconda potenza i cui<br />

significanti sono segni di una semiotica che è<br />

denotativa rispetto al livello più alto ma già<br />

connotativa secondo il livello più basso.


Architettura,<br />

la musa depositaria del tempo e della conoscenza<br />

Di Alessandro Visconti<br />

E’ importante vedere come la gente sceglie i nomi.<br />

M o r i r e e d a r e n o m i “ n o n s i f a a l t r o d i<br />

sincero…” (Alessandro Baricco, Questa storia)<br />

L’unico stato o modo, giusto per accontentare i più<br />

pedanti cultori di grammatica, in cui noi, uomini<br />

mortali, ad eccezione di qualche stregone, possiamo<br />

conoscere il tempo è quello del tempo passato,<br />

dell’imperfetto, del passato remoto, di quello<br />

prossimo, del trapassato prossimo, di quello remoto.<br />

E’ il tempo della storia di lunga durata, quella<br />

illustrata e raccontata nei sussidiari di scuola,<br />

dei grandi avvenimenti, perlomeno secondo i teorici<br />

della scuola degli Annales, quella degli Antiquaria<br />

di Nietzsche, che conserva e venera pedissequamente<br />

il passato, scadendo spesso in repertorio, in<br />

emporio di stili, in enciclopedia, in bazar<br />

d’antiquariato. Ma è anche quella delle storie,<br />

delle cronache, delle saghe e dei miti, delle fiabe,<br />

dei racconti dei nonni, bisavoli, trisavoli, la<br />

petite histoire, quella monumentale di Nietzsche,<br />

che sopravvaluta il passato mescolando sogno e<br />

realtà. E’ il tempo della nostalgia e del rimpianto,<br />

del rimorso e della collera “se io fossi, se io<br />

fossi stato, io sarei, io sarei stato”.<br />

E’ il tempo delle mele, perlomeno per i più<br />

romantici, delle occasioni perdute, in barba al<br />

carpe diem d’Orazio.<br />

Noi, uomini mortali, comuni architetti, critici,<br />

possiamo perorare solo la certezza del tempo<br />

passato, delle sue forme, già del tutto riconosciute<br />

110<br />

e consolidate, non potendo invece ragionare o<br />

scrivere del tempo futuro, di quello presente,<br />

dell’esserci di Heidegger. Persino il tempo reale,<br />

come scrive Ugo Rosa, l’immediatezza di Dietrich<br />

Bonhoefer, è ormai un falso, un trucco da esperti<br />

prestigiatori, una cabala, un’impostura, dal momento<br />

che l’avidità del mostro della rappresentazione<br />

annulla il tempo, la possibilità di confrontarsi con<br />

la magia del reale, e quindi col presente e col<br />

futuro.<br />

L’architettura come sostanza di cose sperate,<br />

Persico<br />

Oggi, i più potenti software di rendering, una<br />

catasta di milioni di pixel, attraverso i più<br />

recenti studi di ingegneria, si vantano di poter<br />

annullare il gap tra l’ideazione e la realizzazione<br />

del progetto, tra i primi indecifrabili schizzi “a<br />

v e r e e p r o p r i e o p e r e d ’ e s p r e s s i o n i s m o e<br />

d’astrattismo, firme d’artista” e l’impilatura,<br />

l’accatastarsi meticolosa dei mattoni, la distanza<br />

tra il tempo presente e quello futuro. Questi<br />

programmi riescono ormai a decifrare ed interpretare<br />

gli schizzi più fantasiosi, psichedelici e<br />

allucinogeni, in centinaia di progetti esecutivi,<br />

che attendono sole le ruspe, le gru, gli escavatori…<br />

E tutto ciò tenendo conto di ogni tipo di<br />

sollecitazioni, sforzo, carico, dalle travi ai<br />

piedritti, dai bulloni ai chiodi, fino alle maniglie<br />

di porte e finestre. Basta un clic del mouse. Una<br />

frazione infinitesima di secondo… ed il gioco è<br />

fatto.


Tuttavia, questi potentissimi software non possono<br />

anche funzionare come macchine del tempo, non<br />

riusciranno mai a ricostruire la realtà e mondi<br />

f u t u r i c o n d e i m a r g i n i d i e r r o r e d a v v e r o<br />

trascurabili. C’è sempre quel dubbio con cui fare i<br />

conti, la fiducia, l’attesa, l’ansia del domani. Il<br />

tempo resta ancora una prerogativa di alcune anime<br />

nobili, degli eroi laici e religiosi. Del resto, si<br />

dice che la punizione più atroce e crudele per<br />

l’uomo non sia la morte, ma l’eterno vagabondaggio,<br />

l’esilio nel tempo, fuori dal tempo. Come il più<br />

popolare poeta fiorentino, anche l’architetto di<br />

t u r n o , q u e l l o c o n t e m p o r a n e o , d o v r à s e m p r e<br />

confrontarsi col demone del tempo. Per alcuni,<br />

addirittura, tutti i mali che affiggono il fare<br />

architettonico dipendono proprio dal rapporto con la<br />

storia. Qual è il giusto rapporto da stabilire col<br />

p a s s a t o , u n a t t e g g i a m e n t o d i t o l l e r a n z a o<br />

insofferenza, di assoluta riverenza o totale<br />

rottura, di soggezione o trasgressione, un<br />

atteggiamento romantico o conflittuale, di difesa o<br />

superamento, alla maniera di Karl Friedrich<br />

Schinkel.<br />

E a proposito, Peter Zumthor, in preda ad<br />

un’inaspettata nevrosi, si chiede se riuscirà mai<br />

col tempo a “progettare anche l’effetto reale di<br />

un’opera architettonica”.<br />

Parlare e ragionare di vera architettura, non di<br />

architettura da intrattenimento, come dice Francesco<br />

Dal Co, significa confrontarsi con le metamorfosi<br />

del tempo, con l’evoluzione della società, costumi<br />

ed abitudini, con l’accumularsi “nel tempo” di nuove<br />

esperienze, nuovi metodi costruttivi e nuovi<br />

materiali.<br />

Del resto, non di rado si afferma che le opere<br />

architettoniche sono soprattutto espressione del<br />

tempo, appartengono al tempo loro proprio.<br />

L’altrove è uno specchio in negativo. Il viaggiatore<br />

riconosce il poco che è suo, scoprendo il molto che<br />

non ha avuto e non avrà.<br />

(Calvino, Le città invisibili)<br />

Certo, in qualità d’apprendista stregone, dovrei<br />

sentirmi un disperato a parlare di architettura al<br />

tempo passato, rinunciando così all’aspirazione di<br />

ogni addetto ai lavori, sciamano o architetto, di<br />

prevedere l’immediato futuro, la meta utopistica<br />

degli ultimi pianificatori, di radicare il presente<br />

nel futuro, di plasmare il presente in funzione del<br />

prossimo futuro, a sua immagine e somiglianza. Molti<br />

dei miei colleghi, invece, profeti molto più<br />

111<br />

gloriosi, furbi di tre cotte, avrebbero destato<br />

l’attenzione dell’Oracolo di Delfi mettendo in scena<br />

diversi espedienti. Alcuni, vestiti di un’ampia<br />

tunica bianca, come candele, al ritmo incalzante di<br />

un cimbalo o d’un tamburo, come fossero in cimbali,<br />

roteano su se stessi, veloci, alla cieca, disegnando<br />

n e l l ’ a r i a a m p i c e r c h i , p r o n u n c i a n d o p a r o l e<br />

incomprensibili e cascando a terra come pere cotte.<br />

Per altri, invece, la ricetta per l’esercizio della<br />

pratica e la riuscita dell’incantesimo richiede<br />

sangue di vergini, con qualche altro ingrediente,<br />

non meno indispensabile, zampe di gallina, testicoli<br />

di bue, budella di scrofa, coda di sorcio… Quindi,<br />

eventuali suggerimenti ed ammonimenti, predizioni e<br />

moniti, appaiono immediatamente, più o meno, a<br />

seconda dell’abilità del chiromante, sul fondo del<br />

recipiente, brocca o piatto. Altri, invece, si<br />

dilettano ancora a leggere tarocchi, una sfera di<br />

c r i s t a l l o , u n a p a l l a d i g o m m a , a l a v o r a r e<br />

all’uncinetto i propri capelli, a tostare la pelle,<br />

ad infilzarsi d’aghi e di spilli, a macchiarsi il<br />

volto…<br />

Ci sono sogni, sogni nei quali andando in cerca<br />

della principessa si rimane affondati in delle<br />

pozzanghere sporche, in vicoli sudici e male<br />

odoranti. (Herman Hesse, Demian)<br />

Però, in qualità di futuro architetto, per predire<br />

il domani, per affrancarmi da questo pesante<br />

fardello del tempo, devo inventarmi altri artifici,<br />

farmi forza, confidare nella mia logica, pensare di<br />

plasmare non solo l’oggi, ma anche l’avvenire, il<br />

tempo ,appunto. Un po’ come suggerisce lo stesso<br />

Zumthor. Altro che software, rendering, pixel…<br />

Io amo la foresta. Nelle città è brutto vivere: vi è<br />

troppa gente in fregola.<br />

(Nietzsche)<br />

Questo tempo, quello passato, quello già trascorso,<br />

effettivamente incorruttibile ed inviolabile, certo<br />

irreversibile, è riconoscibile, a noi uomini<br />

mortali, comuni architetti, critici, nella propria<br />

traduzione formale d’architettura e città. La città<br />

e la sua architettura sono i luoghi in cui abita<br />

ancora la storia, il tempo, il passato. E in<br />

effetti, solo l’architettura è capace di restituire<br />

una veste a questo fantasma, al tempo. Tutti noi,<br />

alla fine, dobbiamo fare i conti con il tempo, col<br />

nostro passato, con la memoria ricordi, rimpianti,<br />

frustrazioni, pentimenti, dolori. Una sensazione di<br />

smarrimento, d’ansia, di paura, un tonfo e un tuffo,<br />

a capofitto. Solo così, alla fine, riconosciamo il<br />

volto dell’assassino, diventiamo consapevoli del<br />

fatto che ogni passo, verso il presente o il futuro,<br />

ci riporta indietro, al passato.


“I’m going home”, scrive a proposito Ugo Rosa,<br />

rappresentando bene questo paradosso temporale.<br />

La terra è madre e tomba della natura:<br />

il suo sepolcro è il grembo dal quale ha origine<br />

la sua vita. (Shakespeare, Romeo e Giulietta)<br />

L’architettura e la città, e più in generale il<br />

paesaggio “urbano o naturale a seconda del<br />

contesto”, custodiscono le rovine e le tracce del<br />

nostro passato, quasi come un’anfora etrusca in un<br />

museo, con buona pace dell’ultima fatica di Alberto<br />

Magnaghi, mettendole poi a disposizione di tutti,<br />

esperti ed interessati, in qualsiasi tempo e luogo.<br />

La città è il luogo migliore in cui si consuma il<br />

tempo. “Le nostre città – scrive giustamente Cerdà –<br />

sono l’opera perseverante e continua di molte<br />

generazioni, di molti secoli, di molte civiltà […]<br />

Ogni secolo ed ogni civiltà ha aggiunto al suo<br />

passaggio una nuova pietra.”<br />

[…] l’architettura, documentando i gusti, i costumi<br />

di generazioni, eventi pubblici, tragedie private,<br />

fatti vecchi e nuovi, è il palcoscenico fisso e<br />

immutabile degli eventi umani. (Aldo Rossi)<br />

L’architettura e la città, e più in generale il<br />

paesaggio, inteso come tecnica antica “qualche<br />

cumulo di pietre, ancestrali cerchi, qualche<br />

movimento di terra, qualche traccia, sparsa qua e<br />

là, negli angoli più remoti”, almeno secondo la<br />

t e o r i a d i A n g e l o B u g a t t i , s o n o d e l t u t t o<br />

paragonabili alla scrittura. In entrambi i casi<br />

infatti, architettura e scrittura sono strumenti<br />

prodigiosi, magici, quasi miracolosi, terapeutici,<br />

capaci d’incrementare il dialogo e la comunicazione,<br />

la storia, le relazioni tra le persone, nella spazio<br />

e nel tempo, strumenti progettuali a fortissima<br />

valenza mistica, mitica, spirituale.L’architettura<br />

si presta gratuitamente senza compensi da capogiro<br />

alla diffusione e alla trasmissione della memoria<br />

storica, di quella solida, di cui scrive Filippo<br />

Innocenti. E la massima manifestazione della<br />

sedimentazione di questa memoria è rappresentata<br />

proprio dalle nostre città, un’enciclopedia e un<br />

emporio di stili, di mode del passato, un abaco<br />

d’architetture, bric-à-brac, collezione di spazi e<br />

di tempi sovrapposti, alla maniera di Tadao Ando. La<br />

città come testimone vigile dei cicli della storia<br />

dibe bene Alessandro Busà parlando di Berlino. La<br />

città come parete attrezzata di una libreria o di<br />

una biblioteca di libri, trascritti e tradotti in<br />

una unica lingua. E’ come guardare al MoMa il<br />

112<br />

ciclopico muro della Cattedrale del cielo di Louise<br />

Nevelson. Cornicioni, modanature, fregi, lesene e<br />

capitelli sono sistemati all’interno di una serie di<br />

scatole, un’antologia di spazi e tempi, appunto.<br />

Tutti questi pezzi o tasselli di memoria non vanno<br />

confusi, però, con una ripetizione ossessiva, quasi<br />

maniacale, la convulsione della ripetizione di<br />

Freud.<br />

La città come parete attrezzata di una libreria o di<br />

una biblioteca di libri, trascritti e tradotti in<br />

una unica lingua. E’ come guardare al MoMa il<br />

ciclopico muro della Cattedrale del cielo di Louise<br />

Nevelson. Cornicioni, modanature, fregi, lesene e<br />

capitelli sono sistemati all’interno di una serie di<br />

scatole, un’antologia di spazi e tempi, appunto.<br />

Tutti questi pezzi o tasselli di memoria non vanno<br />

confusi, però, con una ripetizione ossessiva, quasi<br />

maniacale, la convulsione della ripetizione di<br />

Freud.<br />

Con me di donne generose non ce n’è,<br />

rubo l’amore in Piazza Grande,<br />

e meno male che briganti come me qui non ce n’è.<br />

(Lucio Dalla)<br />

Se in architettura la più alta espressione della<br />

sedimentazione della memoria è rappresentata proprio<br />

dalle città, in città la massima rappresentazione di<br />

questa memoria si scopre nella piazza, in centro. E,<br />

non a caso, la piazza corrisponde di solito al luogo<br />

dove si addensano tutti i valori della civiltà,<br />

dalla religiosità (con le chiese), al potere<br />

politico e amministrativo (con il municipio), dal<br />

denaro (con le banche) alle merci (con i grandi<br />

magazzini), fino alla parola (con i luoghi<br />

pubblici).<br />

L’architettura in cui abita il segno è la pagina.<br />

(Juan Navarro Baldeweg)<br />

Fino all’altro ieri fare dell’architettura voleva<br />

dire scrivere nel tessuto urbano, nella città, sulla<br />

città. La città come un romanzo, una fiaba o una<br />

poesia, che mostra la corda, cioè una fitta trama di<br />

segni, icone e simboli. Oggi, invece, la situazione<br />

è piuttosto diversa. Ogni persona, ogni addetto ai<br />

lavori, ogni architetto che opera nella città, sulla<br />

città e per la città, è allo stesso modo narratore e<br />

scrittore, spettatore ed attore. Un compositore, un<br />

artista, un creatore, un dio, un superuomo e l’eroe<br />

tragico di Nietzsche, liberato dai tabù, dalla<br />

routine, dalle consuetudini, dal tempo, né ciclico<br />

n é l i n e a r e , c e r t o n o n c o n s e q u e n z i a l e , n é<br />

progressivo.


I segni, le icone ed i simboli, sedimentati nella<br />

città attraverso l’architettura, prima unicamente<br />

letti, adesso vengono catturati, re incantati ed<br />

interpretati continuamente, attraverso un uso<br />

indiscriminato del computer e di internet.<br />

In ogni caso, architettura, città e scrittura,<br />

restano concetti intimamente legati tra loro.<br />

L’architettura e la scrittura sono strumenti<br />

p o r t e n t o s i p e r b a r a t t a r e e d a c c u m u l a r e<br />

l’informazione, unico farmaco contro il morbo del<br />

tempo.<br />

L’architettura, come la parola, quella scritta o<br />

orale, è simile all’arte della levatrice, alla<br />

maieutica del filosofo ateniese, è uno strumento che<br />

ci aiuta a partorire il nostro genuino punto di<br />

vista sulle cose, sulla storia, sul tempo.<br />

[…] si lasciò trasportare dalla sua convinzione che<br />

gli esseri umani non nascono sempre il giorno in cui<br />

le loro madri li danno alla luce, ma che la vita li<br />

costringe ancora molte volte a partorirsi da sé.<br />

(Gabriel García Márquez, L’amore ai tempi del<br />

colera)<br />

L’altro motivo, altrettanto valido, per cui continuo<br />

sempre ad insistere su questo rapporto tra tempo,<br />

architettura, città e scrittura, è strettamente<br />

legato al desiderio di studiare e osservare<br />

l’architettura a trecentosessanta gradi, senza<br />

requie, senza tabù, spaziando dalla letteratura al<br />

cinema, dalla filosofia, alla scienza, dalla musica<br />

alla fotografia, fino all’arte. Un desiderio mutuato<br />

proprio dal concetto di cultura, inteso come volontà<br />

di conoscenza, disinteressata, spassionata,<br />

aspirazione alla conoscenza, curiosità, interesse,<br />

al di là del bene e del male, parafrasando il titolo<br />

di copertina di un più popolare volume.<br />

Spirito ricercatore, fame e sete di conoscenza,<br />

piuttosto che ricerca sconsiderata della verità o<br />

momento puramente pratico e teorico. Bisogna<br />

imparare ad evitare “come la peste”, avrebbe detto<br />

B o c c a c c i o n e l p r o l o g o d e l l ’ o p e r a , i l<br />

rappresentazionismo e il solipsismo, il momento<br />

puramente applicativo e la conoscenza teorica,<br />

l’azione e il pensiero. Il topo da biblioteca è in<br />

trappola, come d’altronde il padrone del vapore,<br />

rinchiuso tra le quattro mura della sua sontuosa<br />

stanza dei bottoni. Ancora una volta, la risposta<br />

sta nel mezzo, méson te kai ariston, in medio stat<br />

virtus… nel mezzo è la virtù.<br />

113<br />

La conoscenza è scoperta, conquista e avventura,<br />

un’esperienza personale, un po’ come predicava,<br />

qualche tempo fa, il brutto Socrate.<br />

Del resto, è pur vero che qualsiasi evento che<br />

fornisce informazione ci aiuta nel conoscere, allora<br />

l’architettura gioca un ruolo strategico.<br />

Daniel Egneus, cityscapes.<br />

Bibliografia (giusto l’essenziale, lo stretto necessario, il<br />

minimo sindacale...)<br />

S.D’Urso, Tempi storici e tempi architettonici, in Paesaggio<br />

di Angelo Bugatti<br />

A. Magnaghi, Patrimonio territoriale, Statuto dei luoghi e<br />

valorizzazione delle risorse<br />

U. Rosa, Scenografia iperattuale: dalla rappresentazione del<br />

reale al reale come rappresentazione, in Casabella n.733,<br />

maggio 2005<br />

P.Zumthor, La magia del reale, in Casabella n. 747,<br />

settembre 2006<br />

F. Innocenti, La forma del tempo nell’architettura<br />

dell’informazione, in web<br />

A. Saggio, Tempo prima dimensione dello spazione, web<br />

A. Busà, La variabile tempo nella forma della città, Le<br />

vicende del Palasi der Republik a Berlino, web


Riproduzione di forme e<br />

la teoria di Derrida.<br />

114<br />

Anima<br />

Vi ricordate quando si andava in giro per villaggi<br />

saccheggiati?<br />

Adesso abbiamo capito che tutto ciò che registravamo<br />

come distruzione era in realtà una sorta di<br />

ristrutturazione mentale e architettonica: quando il<br />

barbaro arriva lì e tende a ricostruire, col materiale<br />

che ha trovato, l'unico habitat che gli interessa: un<br />

"sistema passante". In pratica svuota, alleggerisce,<br />

velocizza il gesto a cui si sta applicando, fino a<br />

quando non ottiene una struttura autosufficiente aperta<br />

da assicurare il transito di un qualche movimento.<br />

Adesso sappiamo perché lo fa: la sua idea di esperienza<br />

è una traiettoria che tiene insieme tessere differenti<br />

del reale.<br />

Il movimento è il valore supremo. A quello, il barbaro<br />

è capace di sacrificare qualsiasi cosa. "Anche<br />

l'anima". Questo davvero suona sconcertante. Lo<br />

registravano a ogni villaggio: se c'era un luogo, lì,<br />

più alto, nobile, profondo, regolarmente i barbari<br />

finivano per svuotarlo. In questo istinto, la civiltà<br />

barbara, l'uomo si Google, il pesce, il mutante,<br />

sembrano davvero incomprensibili. Possibile che davvero<br />

vogliamo una cosa del genere?<br />

E' possibile. Non solo: ma proprio lì sta il tratto<br />

potenzialmente più affascinante della mutazione.<br />

Sospetto perfino che sia, consciamente o meno, il suo<br />

obiettivo principale. Il barbaro non perde l'anima per<br />

caso, o per leggerezza, o per un errore di calcolo, o<br />

per semplice miseria intellettuale: è che sta cercando<br />

di farne a meno. Vogliamo parlarne?<br />

A. Baricco, I barbari, Feltrinelli, 2006.


Regium waterfront, Reggio Calabria, 2007<br />

Munch Stenersen museum Oslo, Norway 2009<br />

Grand Theatre Rabat, Rabat, Morocco, 2010<br />

Vilnius museum and cultural centre, Vilnius, Lithania, 2007.<br />

115<br />

Chanel Mobile Art Pavilion, Hong Kong , New York, Tokio, Paris,<br />

2008-2010<br />

Nuragic and contemporary art museum, Cagliari, 2006<br />

Abu Dhabi Performing Arts centre, Abu Dhabi, UAE, 2007


Derrida<br />

Di Diego Fusaro, Jacques Derrida, differenza, traccia, e supplemento.<br />

«La decostruzione passa per essere iperconcettuale e certamente lo è, dal momento che<br />

fa un grande consumo di concetti, concetti che genera almeno tanto quanto eredita.<br />

Essa tenta di pensare oltre i confini stessi del concetto»<br />

Nell'analisi genealogica della filosofìa socraticoplatonica,<br />

condotta in "La farmacia di Platone",<br />

D e r r i d a m o s t r a u n ' a t t i t u d i n e t i p i c a m e n t e<br />

nietzscheana. Ma l'emergenza del tema della<br />

scrittura sposta l'attenzione verso un ambito<br />

tematico più propriamente psicoanalitico: la messa<br />

in luce di uno schema familiare, al fondo della<br />

cosiddetta metafisica della presenza - schema in cui<br />

il logos occupa la posizione del padre - si avvale<br />

di tutto un armamentario interpretativo in cui<br />

c o n c e t t i p s i c o a n a l i t i c i c o m e " r i m o z i o n e " ,<br />

"castrazione", "sublimazione", "pulsione di morte",<br />

"coazione" ecc. giocano un ruolo di primo piano.<br />

L'analisi stessa del testo è condotta come un<br />

tentativo di individuazione di atti mancati, lapsus,<br />

mascheramenti, sintomi e brecce che la decostruzione<br />

sfrutta per inserirsi in sistemi che a prima vista -<br />

diremmo, nei loro "meccanismi di difesa" - appaiono<br />

s o l i d i e i n a t t a c c a b i l i . D i q u e s t a d e r i v a<br />

psicoanalitica Derrida aveva dato una chiara<br />

anticipazione già in "La voce e il fenomeno",<br />

scrivendo: " ed è proprio intorno al privilegio<br />

dell'adesso, dall'adesso, che si svolge, in ultima<br />

istanza, questo dibattito, che non può somigliare a<br />

nessun altro, tra la filosofia, che è sempre<br />

filosofia della presenza, e un pensiero della nonpresenza,<br />

che non è forzatamente il suo contrario,<br />

né necessariamente una meditazione dell'assenza<br />

negativa, anzi, una teoria della non-presenza come<br />

inconscio " ("La voce e il fenomeno"). Questa teoria<br />

della non-presenza è riassunta nel concetto di<br />

"traccia". La traccia (e qui Derrida riprende la<br />

definizione di Emmanuel Lévinas) è " un passato che<br />

116<br />

non è mai stato presente ", cioè la dimensione di<br />

un'alterità che non si è mai presentata ne potrà mai<br />

presentarsi, che Derrida non esita ad assimilare<br />

alla nozione psicoanalitica di inconscio: " con<br />

l'alterità dell'"inconscio" abbiamo a che fare non<br />

con degli orizzonti di presenti modificati - passati<br />

o a venire - ma con un "passato" che non è mai stato<br />

presente e che non lo sarà mai, il cui "avvenire"<br />

non sarà mai la produzione o la riproduzione nella<br />

forma della presenza.<br />

Il concetto di traccia è dunque incommensurabile con<br />

quello di ritenzione, di divenir passato di ciò che<br />

è stato presente. Non si può pensare la traccia - e<br />

dunque la différance - a partire dal presente, o<br />

dalla presenza del presente " ("La diffèrance").<br />

Come la nozione freudiana di inconscio, il concetto<br />

di traccia assume una funzione antifenomenologica,<br />

nel senso che costituisce un ordine di alterità per<br />

definizione irrappresentabile, o rappresentabile<br />

soltanto attraverso un insieme di sostituzioni: " e<br />

per descriverle, per leggere le tracce delle tracce<br />

"inconsce" (non c'è traccia "cosciente"), il<br />

linguaggio della presenza o dell'assenza, il<br />

discorso metafisico della fenomenologia è inadeguato<br />

". Ed è infatti proprio questo l'esito principale<br />

consentito dalla nozione di traccia: quello di far<br />

intendere l'ordine del senso - della coscienza,<br />

della presenza, e di tutto il sistema concettuale da<br />

esse regolato, cioè l'insieme stesso della<br />

metafisica - come un ordine supplementare,<br />

radicalizzando con ciò quella che, secondo una tale<br />

metafisica, era una condizione limitata alla<br />

semplice scrittura.


Vale a dire che l'impresentabilità della traccia<br />

t e n d e a f a r l e g g e r e o g n i p r e s e n t a z i o n e o<br />

rappresentazione come ciò che sta al posto della<br />

traccia "originaria", la sostituisce, ne è insomma<br />

la scrittura, così come la coscienza, in un testo<br />

famoso in cui Freud la paragona ad un notes magico e<br />

che Derrida discute in "La scrittura e la<br />

differenza", è la traccia "visibile" dell'inconscio.<br />

Questa "logica del supplemento" è ovviamente<br />

impensabile all'interno della logica ("Della<br />

grammatologia"): il supplemento supplisce una<br />

m a n c a n z a , u n a n o n - p r e s e n z a , n e l s e n s o c h e<br />

rappresenta il momento di una strutturazione non<br />

preceduta da nulla, ma a partire dalla quale<br />

qualcosa "appare". " Il supplemento viene al posto<br />

di un cedimento, di un non-significato o di un nonrappresentato,<br />

di una non-presenza. Non c'è nessun<br />

presente prima di esso, è quindi preceduto solo da<br />

se stesso, cioè da un altro supplemento. Il<br />

s u p p l e m e n t o è s e m p r e i l s u p p l e m e n t o d i u n<br />

supplemento ". Una tale "logica del supplemento" o<br />

della traccia (supplementarità originaria) è quindi<br />

il "concetto fondamentale" di una nuova scienza (se<br />

e s s a f o s s e p o s s i b i l e ) , c h e D e r r i d a c h i a m a<br />

"grammatologia": la grammatologia fa dell'essere<br />

dell'ontologia - di "ciò che c'è" - la traccia di<br />

ciò che "non c'è", che non si presenta ne può mai<br />

presentarsi; la grammatologia costituisce in breve<br />

l'introduzione, all'interno dell'ontologia da sempre<br />

dominata dal principio di identità, di una<br />

differenzialità originaria, di uno scarto, di una<br />

cesura, che Derrida riassume nella nozione di<br />

différance.<br />

La decostruzione della metafisica della presenza non<br />

può essere più radicale: non potendosi esprimere<br />

nella forma del discorso letico e apofantico "S è P"<br />

la decostruzione, attraverso l'indecidibile, si<br />

richiama a forme di discorso tradizione mente non<br />

apofantiche: quelle, come vedremo, dell'invocazione,<br />

del giuramento dell'invito, del ringraziamento, del<br />

perdono e finanche della preghiera Nella sua<br />

medietà, la provenienza terminologica dal participio<br />

del verbo différer allude al doppio significato, a<br />

un tempo sincronico e diacronico, di différance: 1)<br />

sincronico: la différance è da questo punto di vista<br />

u n a r a d i c a l i z z a z i o n e ( e p e r c i ò a n c h e u n a<br />

decostruzione) di quel gioco sincronico delle<br />

differenze in cui lo strutturalismo saussuriano<br />

faceva consistere il significato.<br />

" Nella lingua non ci sono termini positivi, ma solo<br />

differenze ", scriveva Saussure: è dal rapporto<br />

sincronico tra i vari termini, nel loro gioco<br />

differenziale, che si genera l'identità di un<br />

significato (è noto esemplo di Saussure della<br />

lettera "t", che può essere scritta in mille modi<br />

117<br />

diversi ma l'importante è che "non si confonda",<br />

cioè si differenzi dalle altre lettere)- 2)<br />

diacronico-, la différance indica il movimento di<br />

"differimento" temporale (ritardo o anticipazione)<br />

che disloca continuamente l'origine in un altrove,<br />

in un luogo e in un tempo "altri". Anche qui abbiamo<br />

a che fare con una radicalizzazione, quella della<br />

"differenza ontologica" heideggeriana, che si<br />

risolve iperbolicamente, e dunque paradossalmente,<br />

nella sua cancellazione: il senso ultimo (il<br />

significato trascendentale) non è "riappropriabile",<br />

la differenza resta "assoluta", e perciò cancellata<br />

(Derrida si richiama al proposito al concetto<br />

hegeliano di "differenza", nella "Scienza della<br />

Logica"). Questo espacement (semento in sé privo di<br />

significato, ma condizione del significato: Derrida<br />

ricorda la funzione della spaziatura nella<br />

scrittura) indica quindi allo stesso tempo un<br />

differimento temporale e spaziale: ciò che è<br />

percepibile, intelligibile, cosciente ecc. non e che<br />

traccia di questo movimento, traccia della<br />

différance. In tal modo Derrida capovolge il sistema<br />

logocentrico, facendo del logos la traccia di<br />

un'origine perduta e portando m primo piano questo<br />

sistema di tracce in quanto scrittura. La scrittura<br />

è la traccia di un'origine assente, differenzialità<br />

pura, traccia che ha cancellato la sua origine come<br />

la ricerca della verità in Nietzsche, così la<br />

ricerca dell'origine giunge qui a un esito<br />

nichilistico, quello di risolvere o dissolvere il<br />

fondamento nel gioco dei rimandi senza termine<br />

ultimo. E, questa, quella nozione di "testualità<br />

generale" cui il decostruzionismo di Derrida è<br />

approdato e che ha avuto ampi sviluppi soprattutto<br />

in sede di critica letteraria.


118


119<br />

In quanto aderente alla tesi della «liquefazione»<br />

delle arti all' interno della multimedialità ed<br />

alla loro «coincidenza» con l'immagine intesa come<br />

comunicazione riproducibile, le sue illustrazioni<br />

hanno la pretesa di fondare un gusto figurativo la<br />

cui bizzarria è tutt' altro che gratuita. Ma che,<br />

i n v e c e , r a p p r e s e n t a b e n e l e n e c e s s i t à d i<br />

singolarità di forma indispensabile al commercio di<br />

ogni oggetto di consumo e la sua coincidenza con il<br />

conveniente successo del soggetto «creativo», come<br />

oggi si definiscono quasi tutte le attività.<br />

Peraltro, poiché le merci sono anche immateriali,<br />

esse comprendono anche la loro configurazione<br />

immaginaria come merce. Quindi, quando tutto è<br />

immagine e obbligatoriamente «estetico», niente è<br />

più distinguibile, né giudicabile.<br />

Vittorio Gregotti


Architettura normale<br />

in un Paese normale.<br />

da Casabella 764, marzo 2008<br />

120<br />

Foto dell’autore, Cagliari, 2009.


"Impossibile lavorare in Italia!". "Com'è difficile<br />

costruire nel vostro Paese!". "Come fanno i vostri<br />

colleghi italiani a superare vincoli, lentezze,<br />

rinvii che ostacolano la strada ad ogni appalto?".<br />

"Possibile che in Italia i concorsi producano<br />

soltanto ricorsi?".Quante volte parlando con un<br />

architetto straniero abbiamo ascoltato esclamazioni<br />

e domande di questo genere. Eppure…., eppure, come<br />

abbiamo cercato di visualizzare nella pagine che<br />

s e g u e , r i p r e n d e n d o u n a c o s t r u z i o n e g r a f i c a<br />

futurista, sono numerosi gli architetti stranieri<br />

che lavorano in Italia, dove alcuni di loro hanno<br />

trovato anche conveniente attrezzare degli studi.<br />

Questo fenomeno ha attirato l'attenzione non<br />

soltanto della stampa specializzata che ne ha colto<br />

l e i m p l i c a z i o n i ( a v o l t e c o n a r g o m e n t i<br />

fastidiosamente xenofobi) senza spiegarne però le<br />

ragioni. Indubbiamente sono molti gli architetti<br />

stranieri che lavorano in Italia, anche se rimane da<br />

dimostrare che ciò costituisca, anche dal punto di<br />

vista meramente quantitativo, una anomalia rispetto<br />

a quanto accade in altri Paesi. Limitarsi però a<br />

prendere in considerazione l'aspetto quantitativo<br />

della questione è fuorviante. Il fenomeno ha radici<br />

profonde ed è il prodotto di una situazione che non<br />

è semplice descrivere, anche se è necessario farlo a<br />

dispetto dei limiti dello spazio di cui disponiamo.<br />

Rispetto ai Paesi europei più avanzati, in Italia, a<br />

partire dalla fine degli anni Ottanta sono diventate<br />

e v i d e n t i l e c o n s e g u e n z e d e l l a s i s t e m a t i c a<br />

demolizione degli apparati di controllo, di governo,<br />

di progettazione e programmazione dello Stato,<br />

ovvero degli Uffici Tecnici di cui erano dotate le<br />

diverse Amministrazioni pubbliche, centrali e<br />

periferiche, e che in tempi non lontani hanno<br />

consentito di realizzare la spina dorsale delle<br />

infrastrutture e dei servizi nel nostro Paese.<br />

Quest'opera di smantellamento, intrapresa per miopia<br />

p o l i t i c a e i n s i p i e n z a a m m i n i s t r a t i v a , e r a<br />

a p p a r e n t e m e n t e g i u s t i f i c a t a d a l l ' i n t e n t o<br />

s t r u m e n t a l m e n t e c o n d i v i s o d i f a v o r i r e l a<br />

liberalizzazione dei mercati e la crescita delle<br />

capacità imprenditoriali. Con sorprendente ed<br />

eloquente rapidità, a queste dimissioni ha fatto<br />

seguito il diffondersi del malaffare. La capillarità<br />

del malaffare ha indotto la Magistratura, all'inizio<br />

degli anni Novanta, a intraprendere azioni che hanno<br />

decapitato classi di amministratori, professionisti<br />

e tecnici, e determinato la scomparsa di interi<br />

partiti politici.<br />

L ' i n t e r v e n t o d e l l a M a g i s t r a t u r a h a p o r t a t o<br />

all'adozione di nuove norme, leggi e procedure.<br />

Concepite per impedire e riprodursi del malaffare,<br />

queste prescrizioni hanno posto le premesse per il<br />

completamento del processo di annullamento delle<br />

121<br />

c a p a c i t à d e c i s i o n a l i e g e s t i o n a l i<br />

dell'Amministrazione pubblica. Senza peraltro<br />

ottenere gli effetti sperati, i poteri discrezionali<br />

d e g l i a m m i n i s t r a t o r i e l e t t i s o n o s t a t i<br />

ridimensionati, mentre gli apparati burocratici sono<br />

stati costretti a rispettare norme che, lungi<br />

dall'imporre comportamenti volti all'efficienza e a<br />

favorire l'efficacia delle scelte tecniche, hanno<br />

i n c e n t i v a t o q u e l l i d e t t a t i d a l l ' i s t i n t o d i<br />

autoconservazione.<br />

Nell'Amministrazione pubblica italiana si sono così<br />

diffuse procedure che consentono di surrogare<br />

l'assunzione di responsabilità con l'interpretazione<br />

della norma. Questa tendenza, che non ha certo<br />

favorito la selezione e la formazione di un<br />

personale tecnico all'altezza, si è poi consolidata<br />

grazie all'eccesso di produzione legislativa e<br />

normativa verificatasi in seguito al consolidarsi<br />

del decentramento amministrativo e al trasferimento<br />

di poteri e prerogative attuati con l'istituzione<br />

delle Regioni.<br />

Per queste ragioni chi opera oggi in Italia<br />

nell'industria delle costruzioni deve scontare la<br />

mancanza di un quadro unitario di riferimento, di<br />

procedure e di regole generalmente valide (per fare<br />

un cenno a un tema di evidente attualità, basterebbe<br />

mettere a confronto le prescrizioni elaborate dalle<br />

singole Regioni per favorire la sostenibilità della<br />

produzione edilizia per aver una prova di come la<br />

frammentazione, contraddittorietà e incoerenza delle<br />

n o r m e e d e l l e p r e s c r i z i o n i i m p e d i s c a n o<br />

oggettivamente lo sviluppo delle ricerche, il<br />

coordinamento degli sforzi produttivi e la<br />

concentrazione delle risorse in assenza dei quali le<br />

norme in vigore spesso sono soltanto cause di<br />

sprechi populistici).<br />

I fattori e i fenomeni sin qui elencati hanno<br />

c o m p o r t a t o u n a r a d i c a l e t r a s f o r m a z i o n e<br />

dell'industria delle costruzioni. Imprese celebri<br />

per la competenza dei tecnici e la qualità della<br />

mano d'opera impiegati sono scomparse. Non di rado<br />

al loro posto operano società nelle quali la figura<br />

del costruttore è stata sostituita da quella del<br />

legale - società che non hanno alcun interesse a<br />

realizzare le opere loro commissionate e che puntano<br />

unicamente a sfruttare i vantaggi economici che<br />

p o s s o n o g a r a n t i r s i i n t e r p r e t a n d o n o r m e e<br />

prescrizioni tanto farraginose.<br />

Logicamente, date le premesse, a partire dagli anni<br />

Novanta le procedure per l'assegnazione degli<br />

incarichi e degli appalti, limitative anche per la<br />

committenza privata, sono diventate sempre più<br />

complicate.<br />

Le commesse pubbliche e i concorsi banditi da<br />

pubbliche amministrazioni vengono assegnate e


g i u d i c a t i s u l l a b a s e d i p r o t o c o l l i c h e ,<br />

coerentemente con quanto si è notato, hanno come<br />

fine quello di deresponsabilizzare l'apparato<br />

burocratico. Non a caso, in questo campo si è venuto<br />

a f f e r m a n d o i l p r i n c i p i o s e c o n d o i l q u a l e<br />

direttamente è la valutazione di parametri meramente<br />

quantitativi, ritenuti oggettivamente misurabili e<br />

pertanto indiscutibili. Accade così che molto<br />

f r e q u e n t e m e n t e l a p r o v a d e c i s i v a c h e u n<br />

professionista (o uno studio o una società di<br />

progettazione) è chiamato a fornire a sostegno della<br />

propria aspirazione ad aggiudicarsi una commessa<br />

pubblica è la propria solidità economica. "Il<br />

fatturato", come capita di leggere nei bandi di<br />

gara, è ritenuto il parametro più adeguato per<br />

misurare non soltanto il successo ma anche la<br />

professionalità e, infine, la qualità delle<br />

prestazioni che un concorrente può offrire.<br />

All'attribuzione di un simile peso al dato<br />

economico, "il fatturato" appunto, si unisce spesso<br />

la valutazione della "competenza specifica", ovvero<br />

si considera se il concorrente abbia già avuto modo<br />

di realizzare opere analoghe a quella messa in gara.<br />

L'insistenza con cui questo intreccio si ripresenta<br />

obbliga a una digressione. Anche chi condivide il<br />

principio secondo il quale è perfettamente lecito<br />

che un committente si affidi al professionista che<br />

ritiene più affidabile, non può non notare come, nel<br />

c a s o d e l l e g a r e p u b b l i c h e , l a c o n n e s s i o n e<br />

"fatturato-competenza specifica" sia simile a un<br />

nodo di Gordio. Come può un giovane professionista,<br />

per esempio tentare di scioglierlo visto che è<br />

probabile non abbia a disposizione la spada di<br />

A l e s s a n d r o ? P e r f a r e u n e s e m p i o c o n c r e t o :<br />

considerate le loro non brillantissime, all'epoca,<br />

condizioni economiche, fosse stata in vigore questa<br />

regola, Piano e Rogers come avrebbero potuto<br />

partecipare al concorso per il Center Pompidou? E se<br />

un giorno un'Amministrazione comunale decidesse di<br />

bandire un concorso per la costruzione di un asilo<br />

nido, come potrebbe Alvaro Siza parteciparvi visto<br />

che asili nido non ha mai avuto modo di progettarne?<br />

Per fortuna anche il Consiglio Nazionale degli<br />

Architetti italiani ha deciso di denunciare questa<br />

situazione e di porre sotto accusa la prassi diffusa<br />

tra le pubbliche Amministrazioni di favorire<br />

l'assegnazione degli incarichi ai concorrenti dotati<br />

"dei migliori requisiti economici". Questa usanza<br />

non favorisce gli architetti e la crescita di una<br />

evoluta cultura professionale, mentre spiega, almeno<br />

in parte, le ragioni per le quali molti architetti<br />

stranieri vengono chiamati a lavorare in Italia. Ma<br />

soprattutto questa prassi favorisce e ha favorito le<br />

"società di ingegneria", che non a caso nelle<br />

occasioni più impegnative "ingaggiano" noti<br />

122<br />

progettisti stranieri. Le "società di ingegneria"<br />

sono i soggetti che più hanno beneficiato dei<br />

processi fin qui descritti, al punto che viene da<br />

chiedersi se quanto è accaduto nel nostro Paese a<br />

partire degli inizia Novanta non sia anche il<br />

risultato di un disegno concepito per favorirne lo<br />

sviluppo e l'affermazione. Tuttavia neppure questa<br />

condizione privilegiata ha prodotto effetti<br />

apprezzabili, tanto è vero che tra le numerose<br />

società di ingegneria attive in Italia poche sono in<br />

grado di garantire prestazioni paragonabili con<br />

quelle che possono offrire analoghe formazioni<br />

straniere. Inoltre, la neghittosa pigrizia con cui<br />

viene applicata nel nostro Paese la Direttiva<br />

e u r o p e a 1 8 / 2 0 0 4 , c h e s t a b i l i s c e c h e l e<br />

amministrazioni pubbliche devono assegnare gli<br />

incarichi per concorso, non contribuisce a<br />

p r o m u o v e r e l a c r e s c i t a d e l l e c o m p e t e n z a<br />

professionali e il ricambio generazionale, mentre<br />

favorisce ancora una volta le società di ingegneria.<br />

Per porre rimedio a questo stato delle cose non<br />

basta però richiedere il rispetto di quella<br />

Direttiva (nelle diverse nazioni europee il numero<br />

dei concorsi banditi è da 10 a 25 volte superiore a<br />

quello che si registra in Italia); è necessario<br />

affrontare la clausola riguardante i fatturati e di<br />

concerto il problema della verifica delle competenza<br />

e delle capacità progettuali delle società di<br />

ingegneria. I limiti culturali della committenza, la<br />

miopia e la scarsa propensione degli pesatori<br />

economici a valutare le implicazioni etiche delle<br />

proprie decisioni rappresentano un corollario di<br />

questo quadro che ne ingrigisce le tinte. Un quadro,<br />

inoltre, che risulta ancora più inquietante se si<br />

considera come l'opinione pubblica non sia in Italia<br />

attrezzata a fornire informazioni adeguate e a<br />

svolgere un ruolo critico all'altezza. La stampa e<br />

gli altri organi di informazione allorché si<br />

occupano di questioni inerenti l'architettura,<br />

d i m o s t r a n o d i p o s s e d e r e r i f l e s s i t a l m e n t e<br />

condizionati da apparire simili a quelli che Pavlov<br />

descrisse dopo aver osservato i comportamenti di<br />

a l c u n i t o p o l i n i r i n c h i u s i i n u n a g a b b i a .<br />

L'impreparazione degli addetti e l'occasionalità<br />

degli interventi rappresentano la norma. Nei casi in<br />

cui gli organi di informazione si avvalgono di<br />

operatori qualificati non è raro però avvertire il<br />

pericolo dell'insorgere di conflitti di interesse,<br />

come può facilmente accadere allorché ci si affida a<br />

un professionista di successo per informare il<br />

p u b b l i c o d i q u a n t o a c c a d e n e l m o n d o d e l l a<br />

professione da lui frequento (per quanto possa<br />

suonare paradossale viene da chiedersi: che<br />

credibilità potrebbe avere agli occhi di Sergio<br />

Marchionne, amministratore delegato della FIAT, di


Dieter Zetche, presidente del gruppo Daimler-<br />

Mercedes o di Carlos Ghosn amministratore delegato<br />

della Renault, una rivista o un giornale che<br />

affidasse la rubrica dedicata alla valutazione delle<br />

qualità delle automobili prodotte in Europa a<br />

Norbert Reithofer, presidente della BMW?) I limiti<br />

culturali della committenza, la miopia e la scarsa<br />

propensione degli pesatori economici a valutare le<br />

implicazioni etiche delle proprie decisioni<br />

rappresentano un corollario di questo quadro che ne<br />

ingrigisce le tinte. Un quadro, inoltre, che risulta<br />

ancora più inquietante se si considera come<br />

l'opinione pubblica non sia in Italia attrezzata a<br />

fornire informazioni adeguate e a svolgere un ruolo<br />

critico all'altezza. La stampa e gli altri organi di<br />

informazione allorché si occupano di questioni<br />

inerenti l'architettura, dimostrano di possedere<br />

riflessi talmente condizionati da apparire simili a<br />

quelli che Pavlov descrisse dopo aver osservato i<br />

comportamenti di alcuni topolini rinchiusi in una<br />

g a b b i a . L ' i m p r e p a r a z i o n e d e g l i a d d e t t i e<br />

l'occasionalità degli interventi rappresentano la<br />

norma. Nei casi in cui gli organi di informazione si<br />

avvalgono di operatori qualificati non è raro però<br />

avvertire il pericolo dell'insorgere di conflitti di<br />

interesse, come può facilmente accadere allorché ci<br />

si affida a un professionista di successo per<br />

informare il pubblico di quanto accade nel mondo<br />

della professione da lui frequento (per quanto possa<br />

suonare paradossale viene da chiedersi: che<br />

credibilità potrebbe avere agli occhi di Sergio<br />

Marchionne, amministratore delegato della FIAT, di<br />

Dieter Zetche, presidente del gruppo Daimler-<br />

Mercedes o di Carlos Ghosn amministratore delegato<br />

della Renault, una rivista o un giornale che<br />

affidasse la rubrica dedicata alla valutazione delle<br />

qualità delle automobili prodotte in Europa a<br />

Norbert Reithofer, presidente della BMW?)<br />

Inevitabilmente svolgendo la propria funzione in<br />

maniera pavloviana, i media italiani si occupano di<br />

a r c h i t e t t u r a u n i c a m e n t e q u a n d o d a l m o n d o<br />

dell'architettura o da quanto intorno ad esso accade<br />

g i u n g o n o " n o t i z i e " a s s i m i l a b i l i a i g e n e r e<br />

"spettacolo" e "scandalo" di cui sono soliti<br />

occuparsi. Degli architetti ci si interessa quasi<br />

unicamente quando è possibile parlarne alla stregua<br />

di una stella del cinema o di un celebre cantanteuna<br />

assimilazione, questa, resa evidente dal termina<br />

"archiatra" entrato a far parte del linguaggio<br />

comune ma che non ha corrispettivi in altre<br />

professioni: "avvistar", "dottostar", fiscalstar"<br />

non sono espressioni cui si fa abitualmente ricorso<br />

parlando di avvocati, medici o fiscalisti. Gli<br />

architetti invece, sono star. La loro fama è<br />

123<br />

alimentata molto spesso dalle performance offerte su<br />

palcoscenici esotici operabili committenti, oppure<br />

quando vengono sollecitate da triste afflitti da<br />

benessere e complessi di inferiorità eccessivi. Ma<br />

accanto a questo mondo ve ne è un altro, per il<br />

quale l'opinione pubblica non nutre alcune<br />

interesse, dove i progettisti operano in maniera<br />

normale, dando risposte più o meno adeguate a<br />

bisogni e richieste altrettanto normali, pur<br />

scontrandosi con le anormali difficoltà che ciascuno<br />

di loro deve superare per lavorare nel nostro Paese.<br />

In questo mondo normale, come accade nel mondo<br />

moderno, professionisti provenienti da Paesi diversi<br />

competono tra di loro, senza dare spettacolo né<br />

suscitare scandalo, infastidendo soltanto coloro che<br />

vorrebbero la loro mediocrità difesa da qualche<br />

barriera protezionistica.<br />

Gli architetti italiani, per le ragioni cui abbiamo<br />

fatto prima cenno, vivono ed operano in una<br />

condizione professionale arretrata e disagiata. Gli<br />

studi sono piccoli, scarsamente attrezzati, per lo<br />

più inadeguati ad affrontare la competizione con le<br />

formazioni professionali straniere. La pratica<br />

professionale si svolge in gran parte in condizioni<br />

di marginalità e così come è attualmente organizzata<br />

non ha molte possibilità id imporre le necessarie<br />

riforme riguardanti le leggi, norme, funzionamento<br />

degli apparati burocratico-amministrativi in assenza<br />

d e l l e q u a l i è d i f f i c i l e i m m a g i n a r e c h e i<br />

professionisti italiani possano crescere, competere<br />

sul mercato internazionale, rinnovarsi. Ma per<br />

garantire il rinnovamento della professione non è<br />

neppure sufficiente una effettiva riforma del quadro<br />

istituzionale in cui viene esercitata. Ancor prima<br />

che della professione, infatti, bisognerebbe<br />

occuparsi della formazione e dell'educazione<br />

universitaria che nel nostro Paese ha subito un<br />

degrado forse irreversibile. Impietosamente questo<br />

degrado è fotografato dalla crescita esponenziale<br />

del numero delle Facoltà dove viene impartito<br />

l'insegnamento dell'architettura (o affini), cui fa<br />

riscontro il decremento drammatico del numero di<br />

studenti stranieri che le frequentano.


Infinità dei materiali.<br />

124<br />

Fedora, Colleen Corradi Brannigan, 2003.


125<br />

“Al centro di Fedora, metropoli di pietra grigia, sta<br />

un palazzo di metallo con una sfera di vetro in ogni<br />

stanza. Guardando dentro ogni sfera si vede una città<br />

azzurra che è il modello d’un’altra Fedora. Sono le<br />

forme che la città avrebbe potuto prendere se non<br />

fosse, per una ragione o per l’altra, diventata come<br />

oggi la vediamo. In ogni epoca qualcuno, guardando<br />

Fedora qual’era, aveva immaginato il modo di farne la<br />

città ideale, ma mentre costruiva il suo modello in<br />

miniatura già Fedora non era più la stessa di prima, e<br />

quello che fino a ieri era stato un suo possibile<br />

futuro ormai era solo un giocattolo in una sfera di<br />

vetro.<br />

Fedora ha adesso nel palazzo delle sfere il suo museo:<br />

ogni abitante lo visita, sceglie la città che<br />

corrisponde ai suoi desideri, la contempla immaginando<br />

si specchiarsi nella peschiera delle meduse che doveva<br />

raccogliere le acque del canale (se non fosse stato<br />

prosciugato), di percorrere dall’alto del baldacchino<br />

il viale riservato agli elefanti (ora banditi dalla<br />

città), di scivolare lungo la spirale del minareto a<br />

chiocciola (che non trovò più la base su cui sorgere).<br />

Nella mappa del tuo impero, o grande Kan, devono<br />

trovar posto sia la grande Fedora di pietra sia le<br />

piccole Fedore nelle sfere di vetro. Non perchè tutte<br />

ugualmente reali, ma perchè tutte solo presunte. L’una<br />

racchiude ciò che è accettato come necessario mentre<br />

non lo è ancora; le altre ciò che è immaginato come<br />

possibile e un minuto dopo non lo è più.”<br />

Da Le città invisibili di Italo Calvino.


Periodo di sovrapproduzione.<br />

126<br />

Tamara, Colleen Corradi Brannigan, 2005.


L’uomo cammina per giornate tra gli alberi e le<br />

pietre. Raramente l’occhio si ferma su una cosa, ed<br />

è quando l’ha riconosciuta per il segno d’un’altra<br />

cosa: un’impronta sulla sabbia indica il passaggio<br />

della tigre, un pantano annuncia una vena d’acqua,<br />

il fiore dell’ibisco la fine dell’inferno. Tutto il<br />

resto è muto e intercambiabile; alberi e pietre sono<br />

soltanto ciò che sono. Finalmente il viaggio conduce<br />

alla città di Tamara. Ci si addentra per vie fitte<br />

d’insegne che sporgono dai muri. L’occhio non vede<br />

cose ma figure di cose che significano altre cose:<br />

la tenaglia indica la casa del cavadenti, il boccale<br />

la taverna, le alabarde il corpo di guardia, la<br />

stadera l’erbivendola. Statue e scudi rappresentano<br />

leoni delfini torri stelle: segno che qualcosa –<br />

chissà cosa – ha per segno un leone o delfino o<br />

torre o stella. Altri segnali avvertono di ciò che<br />

in un luogo è proibito – entrare nel vicolo con i<br />

carretti, orinare dietro l’edicola, pescare con la<br />

canna dal ponte – e di ciò è lecito – abbeverare le<br />

zebre, giocare a bocce, bruciare i cadaveri dei<br />

parenti. Dalla porta dei templi si vedono le statue<br />

degli dei, raffigurati ognuno coi suoi attributi: la<br />

cornucopia, la clessidra, la medusa, per cui il<br />

fedele può riconoscerli e rivolgere loro le<br />

127<br />

preghiere giuste. Se un edificio non porta nessuna<br />

insegna o figura, la sua stessa forma e il posto che<br />

occupa nell’ordine della città bastano a indicarne<br />

la funzione: la reggia, la prigione, la zecca, la<br />

scuola pitagorica, il bordello. Anche le mercanzie<br />

che i venditori mettono in mostra sui banchi valgono<br />

non per se stesse ma come segni d’altre cose: la<br />

benda ricamata per la fronte vuol dire eleganza, la<br />

portantina dorata potere, i volumi di Averroè<br />

sapienza, il monile per la caviglia voluttà. Lo<br />

sguardo percorre le vie come pagine scritte: la<br />

città dice tutto quello che devi pensare, ti fa<br />

ripetere il suo discorso, e mentre credi di visitare<br />

Tamara non fai che registrare i nomi con cui essa<br />

definisce se stessa e tutte le sue parti.<br />

Come veramente sia la città sotto questo fitto<br />

involucro di segni, cosa contenga o nasconda, l’uomo<br />

esce da Tamara senza averlo saputo. Fuori s’estende<br />

la terra vuota fino all’orizzonte, s’apre il cielo<br />

dove corrono le nuvole. Nella forma che il caso e il<br />

vento dànno alle nuvole l’uomo è già intento a<br />

riconoscere figure: un veliero, una mano, un<br />

elefante…<br />

da Le Città invisibili, Italo Calvino<br />

Tamara


Morte della Composizione.<br />

128<br />

" O r a t u p e n s a : u n p i a n o f o r t e . I t a s t i<br />

iniziano. I tasti finiscono.<br />

Tu sai che sono 88, su questo nessuno può<br />

fregarti. Non sono infiniti, loro.<br />

T u , s e i i n f i n i t o , e d e n t r o q u e i t a s t i ,<br />

infinita è la musica che puoi fare. Loro<br />

sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace.<br />

Questo lo si può vivere. Ma se tu/<br />

Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti<br />

a me/<br />

Ma se io salgo su quella scaletta e davanti<br />

a me si srotola una tastiera<br />

di mioni di tasti, milioni e miliardi/<br />

M i l i o n i e m i l i a r d i d i t a s t i , c h e n o n<br />

finiscono mai e questa è la vera verità,<br />

che non finiscono mai e quella tastiera è<br />

infinita/<br />

Se quella tastiera è infinita, allora/<br />

Su quella tastiera non c'è musica che puoi<br />

suonare.<br />

T i s e i s e d u t o s u l s e g g i o l i n o s b a g l i a t o :<br />

quello è il pianoforte su cui suona Dio..."<br />

Da Novecento di Baricco<br />

(in questa pagina, foto Berlino, 2010; nella pagina<br />

accanto Aldo Rossi, Piazza Segrate, 1965


129


Novecento.<br />

di A. Baricco<br />

[...]<br />

Primo gradino. Secondo gradino. Terzo gradino.<br />

Non è quel che vidi che mi fermò, ma quello che non<br />

vidi.<br />

Lo cercai ma non c'era in tutta quella sterminata<br />

città c'era tutto tranne.<br />

C'era tutto.<br />

Ma non c'era una fine. Quel che non vidi era dove<br />

finiva tutto quello. La fine del mondo.<br />

Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I<br />

tasti finiscono. Tu sai che sono 88, su questo<br />

nessuno può fregarti. Non sono infiniti loro. Tu sei<br />

infinito. Questo a me piace. Questo lo si può<br />

vivere.<br />

Ma se tu.<br />

Ma sei io salgo sulla scaletta e davanti a me si<br />

srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e<br />

miliardi.<br />

Milioni e miliardi di tasti che non finiscono mai e<br />

questa è la verità che non finiscono mai e quella<br />

tastiera è infinita.<br />

Se questa tastiera è infinita allora.<br />

Su quella tastiera non c'è musica che puoi suonare.<br />

Ti sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il<br />

pianoforte su cui suona Dio.<br />

Cristo ma le vedevi le strade?<br />

Anche solo le strade ce n'era a migliaia come fate<br />

voi laggiù a sceglierne una.<br />

A scegliere una donna.<br />

Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio<br />

da guardare, un modo di morire.<br />

Tutto quel mondo.<br />

Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce.<br />

E quanto ce nè.<br />

130<br />

Non avete mai paura voi di finire in mille pezzi<br />

solo a pensarla, quell'enormità, solo a pensarla? A<br />

viverla...<br />

Io sono nato su quetsa nave. E qui il mondo passava<br />

ma a duemila persone per volta. E di desideri ce<br />

n'erano anche qui ma non più di quelli che ci<br />

potevano stare tra una prua ed una poppa. Suonavi la<br />

tua felicità su una tastiera che non era infinita.<br />

Io ho imparato così. La terra, quella nave è troppo<br />

grande per me. E' un viaggio troppo lungo. E' una<br />

don a troppo bella. E' un profumo troppo forte. E'<br />

una musica che non so suonare. Perdonami ma io non<br />

scenderò. Lasciami tornare indietro.<br />

Per favore.<br />

Adesso cerca di capire fratello, cerca di capire se<br />

puoi.<br />

Tutto quel mondo negli occhi.<br />

Terribile ma bello.<br />

Troppo bello.<br />

E la paura che mi riportava indietro.<br />

La nave di nuovo e per sempre. .<br />

Piccola nave.<br />

Quel mondo negli occhi tutte le notti, di nuovo.<br />

Fantasmi.<br />

Ci puoi morire se li lasci fare.<br />

La voglia di scendere.<br />

La paura di farlo.<br />

Diventi matto così.<br />

Matto.<br />

Qualcosa devi farlo e io l'ho fatto.<br />

Ogni giorno per anni.<br />

Dodici anni.<br />

Miliardi di momenti.<br />

Un gesto invisibile e lentissimo.


Io che non ero stato capace di scendere da questa<br />

nave per salvarmi sono sceso dalla mia vita. Gradino<br />

dopo gradino. E ogni gradino era un desiderio a cui<br />

dicevo addio.<br />

Non sono pazzo.<br />

Non siamo pazzi quando troviamo un sistema per<br />

salvarci. Siamo astuti come animali affamati.<br />

Non c'entra la pazzia.<br />

E' genio, quello. E' geometria. Perfezione. I<br />

desideri stavano strappandomi l'anima. Potevo<br />

viverli ma non ci sono riuscito.<br />

Allora li ho incantati.<br />

E ad uno ad uno li ho lasciati dietro di me.<br />

Geometria, un lavoro perfetto.<br />

Tutte le donne del mondo le ho incantate suonando<br />

una notte intera per una donna, una, la pelle<br />

trasparente, le mani senza un gioiello, le gambe<br />

sottili, ondeggiava la testa al suono della mia<br />

musica, senza un sorriso, senza piegare lo sguardo<br />

mai una notte intera.<br />

Quando si alzò non fu lei che uscì dalla mia vita ma<br />

tutte le donne del mondo.<br />

Il padre che non sarò mai l'ho incantato guardando<br />

un bambino morire per giorni seduto accanto a lui<br />

senza perdere niente di quello spettacolo tremendo e<br />

bellissimo volevo essere l'ultima cosa che guardava<br />

al mondo.<br />

Quando se ne andò guardandomi negli occhi non fu lui<br />

ad andarsene ma tutti i figli che mai ho avuto.<br />

La terra che era la mia terra da qualche parte nel<br />

mondo l'ho incantata sentendo cantare un uomo che<br />

veniva dal nord e tu lo ascoltavi e vedevi la valle,<br />

i monti intorno, il fiume che adagio scendeva e la<br />

neve d'inverno, i lupi nella notte.<br />

Quando quell'uomo finì di cantare finì la mia terra<br />

ovunque essa sia.<br />

Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando<br />

per te e con te quella sera, nella faccia che avevi,<br />

negli occhi, io li ho visti tutti, miei amici amati.<br />

quando te ne sei andato sono venuti via con te.<br />

Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli<br />

immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal<br />

Gli amici che ho desiderato li ho incantati suonando<br />

per te e con te quella sera, nella faccia che avevi,<br />

negli occhi, io li ho visti tutti, miei amici amati.<br />

quando te ne sei andato sono venuti via con te.<br />

Ho detto addio alla meraviglia quando ho visto gli<br />

immani iceberg del mare del Nord crollare vinti dal<br />

caldo. Gli amici che ho desiderato li ho incantati<br />

suonando per te e con te quella sera, nella faccia<br />

che avevi, negli occhi, io li ho visti tutti, miei<br />

amici amati. quando te ne sei andato sono venuti via<br />

con te. Ho detto addio alla meraviglia quando ho<br />

131<br />

visto gli immani iceberg del mare del Nord crollare<br />

vinti dal caldo.<br />

Ho detto addio ai miracli quando ho visto ridere<br />

degli uomini che la guerra ha fatto a pezzi.<br />

Ho detto addio alla rabbia quando ho visto riempire<br />

questa nave di dinamite.<br />

Ho detto addio alla musica, la mia musica, il giorno<br />

in cui sono riuscita a suonarla tutta in una sola<br />

nota di un istante.<br />

Ho detto addio alla gioia incatenandola quando t ho<br />

visto entrare qui.<br />

Non è pazzia.<br />

Geometria.<br />

E' lavoro di cesello.<br />

Ho disarmato l'infelicità.<br />

Ho sfilato via la mia vita dai desideri.<br />

Se tu potessi risalire il mio cammino li troveresti<br />

uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì<br />

per sempre a segnare la rotta di questo viaggio<br />

strano che a nessuno ho mai raccontato se non a te.


esito progettuale.<br />

studio di uno spazio aperto


133


134


135


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147


148


Testo<br />

149


quale futuro?<br />

150<br />

Behind the Expo, Shanghai 2010.


[…] Oggi tanti materialisti scienziati della natura<br />

si sentono soddisfatti della credenza in un mondo<br />

che dovrebbe avere il suo equivalente e la sua<br />

misura nel pensiero umano, in umani concetti di<br />

valore; in un "mondo della verità", a cui si<br />

potrebbe in definitiva accedere con l'aiuto della<br />

nostra quadrata piccola ragione umana. Come?<br />

Vogliamo davvero far sì che l'esistenza si avvilisca<br />

in un esercizio di contabili e in una vita da talpa<br />

per matematici? Innanzitutto non si deve voler<br />

spogliare l'esistenza del suo carattere polimorfo:<br />

lo esige il buon gusto, signori miei, il gusto del<br />

rispetto di fronte a tutto quello che va al di là<br />

del vostro orizzonte! Che abbia ragion d'essere una<br />

sola interpretazione del mondo, quella in cui voi vi<br />

sentite a posto, quella in cui si può investigare e<br />

continuare a lavorare scientificamente nel vostro<br />

senso (per voi, in realtà, meccanicistico?), una<br />

siffatta interpretazione, che altro non ammette se<br />

non numeri, calcoli, uguaglianze, cose visibili e<br />

palpabili, è una balordaggine e una ingenuità, posto<br />

che non sia una infermità dello spirito, un'idiozia!<br />

[... ] Un'interpretazione scientifica del mondo,<br />

come l'intendete voi, potrebbe essere pur sempre una<br />

delle più sciocche, cioè, tra tutte le possibili<br />

interpretazioni del mondo, una delle più povere di<br />

senso: sia detto ciò per gli orecchi e per la<br />

coscienza dei signori meccanicisti che oggi<br />

s'intrufolano volentieri tra i filosofi, e sono<br />

assolutamente dell'opinione che la meccanica sia la<br />

teoria delle leggi prime e ultime, sulle quali ogni<br />

esistenza dovrebbe essere edificata come sopra le<br />

sue fondamenta. Tuttavia un mondo essenzialmente<br />

meccanico sarebbe un mondo essenzialmente privo di<br />

senso. Ammesso che si potesse misurare il valore di<br />

una musica da quanto di essa può essere computato,<br />

calcolato, tradotto in formule, come sarebbe assurda<br />

una tale "scientifica" misurazione della musica! Che<br />

cosa di essa avremmo mai colto, compreso,<br />

conosciuto? Niente, proprio un bel niente di ciò che<br />

propriamente in essa è "musica". (F. Nietzsche :La<br />

gaia scienza, 373)<br />

Si vede che anche la scienza riposa su una fede, che<br />

non esiste affatto una scienza "scevra di<br />

presupposti". La domanda se sia necessaria la<br />

verità, non soltanto deve avere avuto già in<br />

precedenza risposta affermativa, ma deve averla<br />

151<br />

uomo o macchina?<br />

avuta in grado tale da mettere quivi in evidenza il<br />

principio, la fede, la convinzione che "niente è più<br />

necessario della verità e che in rapporto a essa<br />

tutto il resto ha soltanto un valore di secondo<br />

piano". Questa incondizionata volontà di verità, che<br />

cos'è dunque?[ ... ] Ebbene, si sarà compreso dove<br />

voglio arrivare, vale a dire che è pur sempre una<br />

fede metafisica quella su cui riposa la nostra fede<br />

nella scienza; che anche noi, uomini della<br />

conoscenza di oggi, noi atei e antimetafisici,<br />

continuiamo a prendere anche il nostro fuoco<br />

dall'incendio che una fede millenaria ha acceso,<br />

quella fede cristiana che era anche la fede di<br />

Platone, per cui Dio è verità e la verità è<br />

divina... Ma come è possibile, se proprio questo<br />

diventa sempre più incredibile, se niente più si<br />

rivela divino salvo l'errore, la cecità, la<br />

menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più<br />

lunga menzogna? (F. Nietzsche :La gaia scienza, 344)<br />

Scritta nel 1882, in La gaia scienza, Nietzsche<br />

sostiene che l’uomo ha ucciso Dio. "Dio è morto e<br />

noi l’abbiamo ucciso"( fr. 125). La civiltà<br />

occidentale ha ucciso Dio a poco a poco, ma,<br />

uccidendo, ha perso ogni punto di riferimento.<br />

Dicendo che "Dio è morto!" Nietzsche vuol indicare<br />

insomma che sono morti gli ideali ed i valori del<br />

mondo occidentale. Dio è stato ucciso perché in Lui<br />

era sintetizzato tutto ciò che era contro la vita.<br />

Però, ora che Dio è morto, l’uomo non sa più che<br />

cosa fare: è privo di valori ed è quindi solo,<br />

sperduto "nel gran mare dell’essere", senza punto<br />

d’appoggio. Non c’è che una alternativa : è l’uomo<br />

stesso che deve creare i valori. Ma quali ?<br />

"Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo<br />

ucciso! […]<br />

Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio<br />

tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada<br />

e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato<br />

fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono<br />

vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole<br />

tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere<br />

state compiute, perché siano vedute e ascoltate".<br />

[Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, af. 125]


Devoluzione.<br />

152


153


teoria.


la lontananza.<br />

un riferimento imprescindibile.<br />

156<br />

Una delle suggestione che sempre mi ha colpito di<br />

Aldo Rossi è il senso della "lontananza". Ovvero lo<br />

scarto metafisico rispetto alla durezza del mondo<br />

reale e l'evocazione di scenari lontani e immobili,<br />

dove finalmente esistano l'arcadia e la pace. Un<br />

coinvolgimento cioè nelle geometrie e nei colori<br />

delle proto-forme architettoniche, assunte come<br />

garanzie di racconto con la profondità della<br />

storia. Garanzie reperite anche nella poetiche<br />

delle materie e nelle tecniche anch'esse basiche e<br />

lontane, così distanti da risultare incontaminate e<br />

pure, come partecipi della geografia e della crosta<br />

terrestre. Lontananza fuori dalla violenza del<br />

tempo corrente, ma dentro la misura senza mutamento<br />

della grandiosità dello spazio.<br />

Alessandro Mendini, 2007


Cratos. Ma tu sai cosa sono gli uomini? Miserabili<br />

cose che dovranno morire, più miserabili dei vermi o<br />

d e l l e f o g l i e d e l l ' a l t r ' a n n o c h e s o n m o r t i<br />

ignorandolo. [...]<br />

Bia. Ma non ne segue che il suo cenno sia scaduto.<br />

Sono invece scaduti i signori del Caos, quelli che<br />

un tempo hanno regnato senza legge. Prima l'uomo la<br />

belva e anche il sasso era dio. Tutto accadeva senza<br />

nome e senza legge. Ci voleva la fuga del dio, la<br />

grossa empietà del suo confino tra gli uomini quando<br />

ancora era bimbo e poppava alla capra, e poi la<br />

crescita sul monte tra le selve, le parole degli<br />

uomini e le leggi dei popoli, e il dolore la morte e<br />

il rimpianto, per fare del figlio di Crono il buon<br />

Giudice, la Mente immortale e inquieta. [...] Il<br />

bambino rinato divenne signore vivendo tra gli<br />

uomini. [...] La parola dell'uomo, che sa di patire<br />

e si affanna e possiede la terra, rivela a chi<br />

l'ascolta meraviglie. [...] Si conosce la bestia, si<br />

conosce l'iddio, ma nessuno, nemmeno noialtri,<br />

sappiamo il fondo di quei cuori. C'è persino, tra<br />

157<br />

l’Uomo.<br />

loro, chi osa mettersi contro il destino. Soltanto<br />

vivendo con loro e per loro si gusta il sapore del<br />

mondo. (Gli uomini)<br />

Dioniso. Non sarebbero uomini, se non fossero<br />

tristi. La loro vita deve pur morire. Tutta la loro<br />

ricchezza è la morte, che li costringe industriarsi,<br />

a ricordare e prevedere. [...] Ma che vuoi che gli<br />

diamo? Qualunque cosa ne faranno sempre sangue.<br />

Demetra. C'è un solo modo, e tu lo sai. [...] Dare<br />

un senso a quel loro morire. [...] Insegnargli la<br />

vita beata. [...] Insegnargli che ci possono<br />

eguagliare di là dal dolore e dalla morte. Ma<br />

dirglielo noi. Come il grano e la vite discendono<br />

all'Ade per nascere, così insegnargli che la morte<br />

anche per loro è nuova. [...] Moriranno e avran<br />

vinta la morte. Vedranno qualcosa oltre il sangue,<br />

vedranno noi due. Non temeranno più la morte e non<br />

avranno più bisogno di placarla versando altro<br />

sangue. (Il mistero)<br />

C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino<br />

1999.


il Desiderio.<br />

Il desiderio umano e la sua struttura,<br />

da Etica fondamentale del Prof. Paolo Pagani<br />

Premessa.<br />

Partiamo da una folgorante annotazione che Cesare<br />

Pavese fa nel suo diario: «Qualcuno ci ha mai<br />

promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?»[1].<br />

È la realtà stessa ad essere una promessa di bene; e<br />

noi siamo “simboli”[2] di questa promessa che sta<br />

nelle cose, cioè siamo fatti in modo tale da<br />

recepirla. “Desiderio” è la parola che indica<br />

l’attesa di bene che noi siamo. “Bene” è la parola<br />

che qualifica l’essere, come oggetto del desiderio.<br />

“Bene”, dunque, è l’essere (la realtà) in quanto,<br />

almeno potenzialmente, desiderabile.<br />

L’aggettivo italiano “buono” traduce il greco<br />

agathón, che vuol dire “ciò che merita attenzione e<br />

stima”. Ma traduce anche il latino bonum: bonum<br />

viene dal latino arcaico duonum e, remotamente,<br />

dalla radice indoeuropea DVE, che è la stessa che dà<br />

origine al verbo dveo o beo (“rendo beato”). Ora,<br />

nella duplice indicazione che ci viene, dal termine<br />

greco e da quello latino, è già presente l’interno<br />

dinamismo dell’essere come buono: esso attrae, ma<br />

anche dona se stesso; promette, e mantiene. I due<br />

lati sono tra loro complementari: l’essere è un<br />

invito, seguendo il quale l’uomo si perfeziona.<br />

Non si può parlare del desiderio, senza parlare del<br />

suo termine di tendenza: il bene. Il desiderio è<br />

infatti una realtà “intenzionale”, cioè è una realtà<br />

che consiste nel “tendere-in” qualcosa d’altro da<br />

sé: tanto che un “desiderio di niente” sarebbe un<br />

“niente di desiderio”.<br />

1) Il significato di “desiderio”.<br />

Consideriamo l’etimologia della parola. Nell’antico<br />

latino, de-siderare significa osservare le stelle<br />

158<br />

(sidera) con attenzione (la particella de ha infatti<br />

un valore intensivo). Si allude con ciò alla<br />

tensione ad un qualcosa di non determinato, che però<br />

attrae (determina) lo sguardo, stando al di sopra<br />

delle cose che sono a disposizione nell’esperienza.<br />

Diverso dal desiderio è il “bisogno”. La parola<br />

deriva dall’antico latino bi-somnium e, remotamente,<br />

dal gotico sunia (che dice “necessità” e insieme<br />

“impedimento”). Il bisogno è la tensione ad un<br />

soddisfacimento determinato, tale da colmare una<br />

precisa mancanza.<br />

L’italiano “desiderio” corrisponde nel greco di<br />

Aristotele ad órexis: sostantivo che deriva dal<br />

verbo orégo(“porgo, sporgo, tendo”); e nel latino di<br />

Tommaso d’Aquino corrisponde ad a d p e t i t u s<br />

intellectivus sive rationalis (“appetizione<br />

intellettiva o razionale”): dove adpetitus deriva da<br />

ad-petere (“tendere a”)[3].<br />

NB: Precisiamo che il “desiderio” non coincide<br />

strettamente con la volontà. Si può dire che<br />

“volontà” è il momento pratico del desiderio: cioè<br />

la tendenza attiva al bene che il desiderio ha in<br />

vista.<br />

2) Il desiderio dà forma a ogni umana tendenza.<br />

Il desiderio ha la stessa ampiezza intenzionale (la<br />

stessa ampiezza d’orizzonte) dell’intelligenza; e<br />

l’intelligenza non ha confini. Se provassimo a dare<br />

d e i c o n f i n i a l l ’ i n t e l l i g e n z a , s u b i t o e s s a<br />

sporgerebbe – sia pure problematicamente – al di là<br />

di essi. Il desiderio è la forma di ogni tensione<br />

dell’uomo alla realtà. Gli stessi bisogni umani sono<br />

in-formati (cioè ricevono forma) dal desiderio. E la<br />

volontà, ultimamente, è il movimento verso l’oggetto<br />

proprio del desiderio: un oggetto che non può che


essere infinito, visto che infinito è l’orizzonte<br />

cui il desiderio è rivolto.<br />

3) Desiderio e immaginazione.<br />

L’apertura del desiderio supera dunque ogni realtà<br />

finita. E noi abbiamo appunto esperienza di realtà<br />

finite. Non solo, ma ciò che immaginiamo, è la<br />

riproduzione (modificata, magari dilatata e<br />

perfezionata) di ciò di cui abbiamo esperienza.<br />

Anche il mondo immaginario dell’uomo è dunque un<br />

m o n d o f i n i t o . I l d e s i d e r i o s a r à a l l o r a<br />

s p r o p o r z i o n a t o a n c h e r i s p e t t o a g l i o g g e t t i<br />

dell’immaginazione.<br />

Q u e s t a c o n s i d e r a z i o n e h a c o n s e g u e n z e m o l t o<br />

rilevanti. Si pensi infatti alle utopie, che sono<br />

progetti di una convivenza sociale perfetta per il<br />

futuro: esse nascono dall’immaginazione, e quindi<br />

non possono soddisfare veramente il desiderio. Così,<br />

se anche l’uomo riuscisse a realizzare il più ricco<br />

e armonico dei suoi progetti utopici, il progetto in<br />

questione - nascendo dall’immaginazione - non<br />

potrebbe dargli quella soddisfazione completa che si<br />

chiama “felicità”. Già Aristotele, nel IV secolo<br />

a.C., annotava che l’uomo può essere felice solo per<br />

un dono divino[4] (e non per la sola forza delle<br />

proprie mani). L’uomo è nella vertiginosa condizione<br />

di essere proteso ad un compimento, che non può<br />

venirgli da lui stesso.<br />

Questa semplice annotazione è un giudizio radicale<br />

su tutte le ideologie[5] che promettono il paradiso<br />

in terra; le quali, sperimentando l’impotenza a<br />

raggiungerlo, finiscono per far violenza alla realtà<br />

sociale, generando, al posto del paradiso,<br />

l’inferno.<br />

4) La qualità del desiderio.<br />

È normale che i filosofi delle grandi tradizioni<br />

classiche e moderne convengano nel riconoscere al<br />

desiderio una ampiezza d’orizzonte sconfinata<br />

(ovvero “trascendentale”, cioè tale da abbracciare e<br />

superare ogni realtà determinata). È anche vero,<br />

però, che non sempre i filosofi concordano sulla<br />

qualità (cioè sulla “stoffa”) del desiderio. In che<br />

senso il desiderio desidera? In che modo sta aperto<br />

sulla realtà?<br />

Pensatori come Hobbes, Kant, Freud, Sartre (per fare<br />

qualche nome di rilievo) presentano il desiderio<br />

come una tendenza assimilatrice, divoratrice,<br />

predatoria: da controllare o da conciliare con le<br />

esigenze della realtà. Per loro il desiderio si<br />

esprime usando (dal verbo latino: utor, uteris, usus<br />

sum, uti) la realtà, riconducendola all’uomo<br />

singolo, e al suo immediato bisogno.<br />

Pensatori come Aristotele, Tommaso d’Aquino, ma<br />

anche Hegel (per fare anche qui qualche nome<br />

importante) presentano invece il desiderio come una<br />

tendenza a fruire (dal latino: fruor, frueris,<br />

159<br />

fruitus sum, frui) della realtà, cioè a godere di<br />

e s s a l a s c i a n d o l a e s s e r e c i ò c h e è , e n o n<br />

assimilandola a sé.<br />

Ora, è chiaro che solo la seconda, tra queste due<br />

concezioni, salva il desiderio dalla sua riduzione<br />

al bisogno, cioè dal suo snaturamento. Se l’oggetto<br />

appropriato del desiderio si profila come una realtà<br />

infinita, è chiaro che una tale realtà non potrà<br />

essere usabile o assimilabile. Ciò rivela la<br />

concezione predatoria del desiderio come una<br />

concezione inappropriata, che profila il desiderio<br />

sul modello del semplice bisogno.<br />

[1] Cfr. C. Pavese, Il mestiere di vivere, Einaudi, Torino<br />

1952 (annotazione del 27-11-1945).<br />

[2] “Simbolo” deriva dal greco syn+bállein (mettere insieme).<br />

I Greci chiamavano “simbolo” la metà di un oggetto (di un<br />

anello o di un bastone) che due amici spezzavano, prima di<br />

lasciarsi per un lungo periodo. Mettendo insieme le due metà<br />

combacianti, essi infatti avrebbero potuto riconoscersi anche<br />

dopo molti anni.<br />

[3] Nel latino filosofico, la parola desiderium non<br />

corrisponde al nostro “desiderio”, ma piuttosto indica una<br />

delle tante passioni dell’anima: la nostalgia per un<br />

determinato bene, ora assente.<br />

[4] Cfr. Aristotele, Etica Nicomachea, I, 1099 b 11-13.<br />

[5] La parola “ideologia” – non a caso – deriva dalla radice<br />

indoeuropea VID, che allude al vedere. Ideologia è una<br />

visione (immaginaria) dell’assetto sociale che renderebbe<br />

felici gli uomini.


Zenobia.<br />

Ora dirò della città di Zenobia che ha questo di<br />

mirabile: benché posta su terreno asciutto essa<br />

sorge su altissime palafitte, e le case sono di<br />

bambù e di zinco, con molti ballatoi e balconi,<br />

poste a diversa altezza, su trampoli che si<br />

scavalcano l'un l'altro, collegate da scale a pioli<br />

e marciapiedi pensili, sormontate da belvederi<br />

coperti da tettoie a cono, barili di serbatoi<br />

d'acqua, girandole marcavento, e ne sporgono<br />

c a r r u c o l e , l e n z e e g r u . Q u a l e b i s o g n o o<br />

comandamento o desiderio abbia spinto i fondatori<br />

di Zenobia a dare questa forma alla loro città, non<br />

si ricorda, e perciò non si può dire se esso sia<br />

stato soddisfatto dalla città quale noi oggi la<br />

vediamo, cresciuta forse per sovrapposizioni<br />

successive dal primo e ormai indecifrabile disegno.<br />

Ma quel che è certo è che chi abita Zenobia e gli<br />

si chiede di descrivere come lui vedrebbe la vita<br />

felice, è sempre una città come Zenobia che egli<br />

immagina, con le sue palafitte e le sue scale<br />

sospese, una Zenobia forse tutta diversa,<br />

sventolante di stendardi e di nastri, ma ricavata<br />

sempre combinando elementi di quel primo modello.<br />

Detto questo, è inutile stabilire se Zenobia sia da<br />

classificare tra le città felici o tra quelle<br />

infelici. Non è in queste due specie che ha senso<br />

dividere le città, ma in altre due: quelle che<br />

continuano attraverso gli anni e le mutazioni a<br />

dare la loro forma ai desideri e quelle in cui i<br />

desideri o riescono a cancellare la città o ne sono<br />

cancellati.<br />

da Le città invisibili di Italo Calvino<br />

160<br />

Zenobia, Colleen Corradi Brannigan, 2003.


In principio di questa storia c'è la città. La città<br />

è una città piuttosto piccola che grande, piuttosto<br />

brutta che bella, piuttosto sfortunata che fortunata<br />

e però e nonostante tutto questo che s'è appena<br />

detto, piuttosto felice che infelice. Era – ed è –<br />

collocata in una grande pianura, su una sorta di<br />

dosso formato, qualche milione di anni fa, dal moto<br />

delle maree o dai sedimenti dei fiumi di un mondo<br />

ancora inconsapevole delle nostre vicende, ancora<br />

beato dei suoi dinosauri e delle sue felci grandi<br />

come alberi; e si affaccia su un orizzonte di<br />

montagne cariche di neve come sulle quinte di un<br />

immenso palcoscenico, in un paesaggio che gli Dei<br />

hanno voluto sistemare in questo modo, perché fosse<br />

il loro teatro. Lassù sopra le nostre teste,<br />

infatti, negli spazi senza tempo che noi chiamiamo<br />

universo, di tanto in tanto gli Dei – quelli di<br />

Omero – vengono ad assistere allo spettacolo delle<br />

nostre passioni e delle nostre lotte; e un'eco delle<br />

loro risate è forse percepibile nello scroscio delle<br />

acque che in primavera straripano tutt'attorno alla<br />

città, allagando i terreni coltivati, e nel rumore<br />

del vento che, d' autunno, fa turbinare le foglie<br />

sui viali, spingendo le nuvole verso le montagne<br />

lontane. Gli Dei – già il vecchio Omero ne era<br />

consapevole – non hanno alcuna pietà delle sciagure<br />

161<br />

Prologo.<br />

Sebastiano Vassalli, Cuore di pietra, Einaudi, 1996<br />

degli uomini e hanno un senso dell' umorismo<br />

piuttosto bizzarro, perché conoscono l'esito delle<br />

nostre vicende prima ancora che siano incominciate;<br />

sanno il giorno e l'ora in cui moriremo, e in quali<br />

circostanze; e ridono fino alle lacrime vedendoci<br />

lottare per cose che non ci apparterranno, e che<br />

saranno comunque diverse da come le abbiamo<br />

immaginate. Ciò che soprattutto li diverte, però,<br />

sono i nostri progetti e i nostri sforzi per dare un<br />

senso al futuro; e la storia che si racconta in<br />

queste pagine, di una casa e degli uomini e delle<br />

donne che ci abitarono, e del sogno di un mondo più<br />

libero e più giusto che si sognò nella città di<br />

fronte alle montagne e nella grande pianura, li<br />

avrebbe forse fatti morire dal ridere, se gli Dei<br />

potessero morire. Era dai tempi di Omero, e della<br />

guerra di Troia, che i nostri vicini del piano di<br />

sopra non spalancavano così larghe le loro bocche e<br />

non facevano risuonare così forte le loro voci, da<br />

un capo al!'altro dell'universo. Chi leggerà questa<br />

storia, se tenderà l'orecchio, potrà sentire quasi<br />

in ogni pagina un'eco affievolita di quel lontano<br />

clamore; e, ancora dopo avere chiuso il libro, di<br />

tanto in tanto gli sembrerà di riascoltare le risate<br />

degli Dei, lassù oltre l'azzurro del cielo dove loro<br />

vivono..


Dominio natura.<br />

Daniel Egneus, Milano.<br />

162


163<br />

Dominio altri uomini.<br />

Daniel Egneus, The French CookBook.


Immortalità.<br />

Daniel Egneus, The pelicanthief and other stories<br />

164


165<br />

Perfezione.<br />

Daniel Egneus, Zoo Ballet.


Volare.<br />

Daniel Egneus, cityscapes.<br />

166


167<br />

Felicità.<br />

Daniel Egneus, Zoo Ballet.


gli Dei.<br />

168<br />

Meleagro. Non so. Ma ho sentito narrare di libere<br />

vite di là dai monti e dai fiumi, di traversate,<br />

di arcipelaghi, d'incontri con mostri e con dèi.<br />

Di uomini più forti anche di me, più giovani,<br />

segnàti da strani destini.<br />

Prometeo. Tutti avete una rupe, voi uomini. Per<br />

questo vi amavo. Ma gli dèi sono quelli che non<br />

sanno la rupe. Non sanno ridere né piangere.<br />

Sorridono davanti al destino. [...] Ma ricòrdati<br />

sempre che i mostri non muoiono. Quello che muore<br />

è la paura che t'incutono. Così è degli dèi.<br />

Quando i mortali non ne avranno più paura, gli dèi<br />

spariranno. (La rupe)<br />

C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino<br />

1999.


169<br />

i Dialoghi.<br />

Meleagro. Non so. Ma ho sentito narrare di<br />

libere vite di là dai monti e dai fiumi, di<br />

traversate, di arcipelaghi, d'incontri con<br />

mostri e con dèi. Di uomini più forti anche<br />

di me, più giovani, segnàti da strani<br />

destini.<br />

Dialoghi con Leucò è il libro che non puoi non aver<br />

letto se vuoi conoscere veramente Cesare Pavese. Non<br />

c'è nessuna introduzione, né prefazione. Niente: sei<br />

direttamente dentro al libro. Ti trovi davanti a un<br />

dialogo. Parlano Nefele (la Nube) e Issione. Non ci<br />

sono spiegazioni, nè antefatti, (se non 6 righe di<br />

Pavese, 6 di numero) che commenta a suo modo il<br />

dialogo (se avete letto il diario sapete come).<br />

Entri nel mondo dei titani, e Nefele ti dice (perché<br />

è a tutti gli uomini che parla): "C'è una legge,<br />

Issione, cui bisogna ubbidire. Una legge che prima<br />

non c'era." E' il passaggio temporale dall'Olimpo<br />

dei titani, in cui le diverse nature convivevano e<br />

si mischiavano liberamente, e quello ordinato del<br />

limite e delle classificazioni, l'ultimo Olimpo in<br />

cui i mortali (si)sono definitivamente rassegnati e<br />

relegati lontano dagli immortali.<br />

Là, invece, gli Dei parlano ancora agli uomini, e<br />

figure mitologiche commentano tra loro eventi e<br />

personaggi, sorti e destini. Eracle, Tiresia, Edipo,<br />

Patroclo e Achille, Leucotea (Leucò), Saffo, Orfeo e<br />

tanti altri. Tutto è ancora possibile.<br />

E' importante conoscere la mitologia greca, e non<br />

solo superficialmente, perché Pavese, al solito, non<br />

spiega niente, (se non quelle 4 righe prima di ogni<br />

dialogo) e si perdono molti significati.<br />

E' del destino dell'uomo, del senso delle cose,<br />

della morte, della vita e del coraggio: è di questo<br />

che si parla. E gli dei non ne escono vincitori.<br />

Pur nei limiti della sua natura, stretto dai lacci<br />

degli eventi e destinato inevitabilmente alla<br />

perdita, qui è l'uomo il titano.


E' il libro eroico di Pavese, e non a caso ce<br />

l'aveva con sé nella stanza d'albergo in cui si<br />

suicidò. Un libro serrato, concentrato in cui le<br />

parole sono pietre, in cui i significati si<br />

intrecciano strettamente come i fili in una corda e<br />

creano una tensione straordinaria.<br />

In realtà, l'uomo è più del dio e anzi gli dei lo<br />

invidiano.<br />

Loro che hanno il controllo della vita tutt'attorno<br />

a loro, dentro, sono vuoti.<br />

L'uomo invece non ha nessun potere eppure, anche se<br />

inconsapevole, ha una cosa che nessun dio possiede.<br />

Bacca: "E che vuol dire che un destino non<br />

tradisce?"<br />

Orfeo: "Vuol dire che è dentro di te, cosa tua; più<br />

profonda del sangue, di là da ogni ebbrezza. Nessun<br />

dio può toccarlo."<br />

"Ho cercato me stesso. Non si cerca che questo."<br />

Calipso "Immortale è chi accetta l'istante."<br />

Odisseo: "Io credevo immortale chi non teme la<br />

morte."<br />

Calipso: "Chi non spera di vivere."<br />

Alcuni déi minori e semidei, si struggono per il<br />

destino degli uomini. Altri capiscono che nascondono<br />

un segreto inviolabile, oscuro a tutti, uomini e<br />

dei:<br />

Bia: "Sono poveri vermi, ma tutto fra loro è<br />

imprevisto e scoperta. Si conosce la bestia, si<br />

conosce il dio, ma nessuno, nemmeno noialtri,<br />

sappiamo il fondo di quei cuori. C'è persino, tra<br />

loro, chi osa mettersi contro il destino."<br />

Dioniso: Noi sappiamo le cose e loro (i mortali) le<br />

fanno. Senza di loro mi chiedo cosa sarebbero i<br />

giorni"<br />

"Sanno darci dei nomi che ci rivelano a noi stessi"<br />

Demetra: "Chi direbbe che nella loro miseria hanno<br />

tanta ricchezza?"<br />

Amadriade: "Loro trattano il destino e l'avvenire,<br />

come fosse un passato."<br />

Satiro: "Questo vuol dire, la speranza. Dare un nome<br />

di ricordo al destino".<br />

Faccio queste citazioni per rendere l'atmosfera che<br />

si respira.<br />

Non leggetelo se siete depressi.<br />

Non leggetelo se siete distratti.<br />

L'ultimo dialogo non ha più nomi, parlano due<br />

uomini. Sono spariti i grandi personaggi, i Nomi. Il<br />

destino è uscito da loro e si è diffuso nel mondo<br />

degli eventi. Il tempo è mutato. Non è più il tempo<br />

degli incontri tra uomini e dei, è il tempo del<br />

tardo Olimpo, quello della netta distinzione tra il<br />

170<br />

mortale e l'immortale:<br />

"Mi domando se è vero che li hanno veduti" (gli dei)<br />

"Videro cose tremende, incredibili, e nemmeno<br />

stupivano. Si sapeva cos'era. Se mentirono quelli,<br />

anche tu allora, quando dici "è mattino" o "vuol<br />

piovere" hai perduto la testa."<br />

Pavese, il titano malinconico, che è in grado di<br />

screditare gli immortali e di rendere credibili i<br />

mortali. In grado di tentare di padroneggiare il<br />

Destino e la Morte.<br />

L'ultimo dialogo non ha più nomi, parlano due<br />

uomini. Sono spariti i grandi personaggi, i Nomi. Il<br />

destino è uscito da loro e si è diffuso nel mondo<br />

degli eventi. Il tempo è mutato. Non è più il tempo<br />

degli incontri tra uomini e dei, è il tempo del<br />

tardo Olimpo, quello della netta distinzione tra il<br />

mortale e l'immortale:<br />

"Mi domando se è vero che li hanno veduti" (gli dei)<br />

"Videro cose tremende, incredibili, e nemmeno<br />

stupivano. Si sapeva cos'era. Se mentirono quelli,<br />

anche tu allora, quando dici "è mattino" o "vuol<br />

piovere" hai perduto la testa."<br />

Pavese, il titano malinconico, che è in grado di<br />

screditare gli immortali e di rendere credibili i<br />

mortali. In grado di tentare di padroneggiare il<br />

Destino e la Morte.<br />

Antonio Canova, Le tre Grezie, marmo, 1813, particolare


171<br />

La Nube.<br />

Ho paura. Ho veduto le cime dei monti.<br />

Ma non per me, Issione. Io non posso patire. Ho<br />

paura per voi che non siete che uomini. Questi<br />

monti che un tempo correvate da padroni, queste<br />

creature nostre e tue generate in libertà, ora<br />

tremano a un cenno. Siamo tutti asserviti a una<br />

mano più forte. I figli dell'acqua e del vento, i<br />

Centauri, si nascondono in fondo alle forre. Sanno<br />

di essere mostri. [...]<br />

La morte, ch'era il vostro coraggio, può esservi<br />

tolta come un bene.<br />

Lo sai questo? [...] Per te la morte è una cosa che<br />

accade, come il giorno e la notte. Tu sei uno di<br />

noi, Issione. Tu sei tutto nel gesto che fai. Ma<br />

per loro, gli immortali, i tuoi gesti hanno un<br />

senso che si prolunga. Essi tastano tutto da<br />

lontano con gli occhi, le narici, le labbra. Sono<br />

immortali e non san vivere da soli. (La nube)<br />

La Nube: C'è una legge, Issione, cui bisogna<br />

ubbidire.<br />

Issione: Quassù la legge non arriva, Nefele. Qui la<br />

legge è il nevaio, la bufera, la tenebra. E quando<br />

viene il giorno chiaro e tu ti accosti leggera alla<br />

rupe, è troppo bello per pensarci ancora.<br />

C. Pavese, Dialoghi con Leucò, Einaudi, Torino 1999.


172


Ogni tanto gli Dei tornano ad affacciarsi sul golfo<br />

della pianura delimitato dalle montagne lontane, e<br />

applaudono e gridano stando sospesi lassù sopra le<br />

nostre teste, mentre assistono alle rappresentazioni<br />

di un autore che sa mescolare come nessun altro la<br />

tragedia e la farsa, e che si esprime con le vicende<br />

degli uomini pur restandone assolutamente estraneo:<br />

il tempo! Se gli uomini non esistessero sulla terra,<br />

lo spettacolo del tempo si ridurrebbe a ben poca<br />

cosa; ed è per questo motivo che gli Dei li hanno<br />

fatti esistere. Gli Dei di Omero – è risaputo – sono<br />

degli eterni bambini, e tutto li diverte: anche<br />

l'aggregarsi e il dissolversi delle nuvole, anche il<br />

cadere delle foglie in autunno e lo sciogliersi<br />

delle nevi in primavera hanno il potere di fargli<br />

schiudere le labbra, e di far scintillare i loro<br />

denti immortali; ma perché l'universo intero<br />

rimbombi delle loro risate bisogna mettere in scena<br />

ciò che il tempo sa fare con gli uomini, dappertutto<br />

e in quella pianura circondata dalle montagne che è,<br />

appunto, il loro teatro. Bisogna mostrargli la<br />

nostra protagonista com' è adesso, vuota e buia e<br />

con i suoi saloni ingombri di calcinacci, di<br />

siringhe, di sterchi, di coperte insanguinate, di<br />

frammenti di vetro... Oppure, bisogna fargli vedere<br />

l'immensa pianura percorsa in ogni direzione da<br />

milioni di quei contenitori di metallo che noi<br />

chiamiamo automobili, e le piazze e le strade della<br />

città di fronte alle montagne, dove passarono<br />

cantando e schiamazzando i cortei delle bandiere<br />

rosse e quelli delle camicie nere, divenute percorsi<br />

obbligati per i nuovi mostri meccanici. Tutto sembra<br />

reale, adesso come allora e come sempre, ma è uno<br />

173<br />

Epilogo<br />

Sebastiano Vassalli, Cuore di pietra, Einaudi, 1996.<br />

spettacolo del tempo: un'illusione, che di qui a<br />

poco svanirà per lasciare il posto a un'altra<br />

illusione. È perciò che le risate degli Dei<br />

rimbombano e rotolano da una parte all'altra del<br />

cielo con i temporali d'aprile, e che le loro grida<br />

d'incitamento spazzano la pianura con i venti<br />

d'ottobre. I personaggi di questa storia che è<br />

finita, e gli altri delle infinite storie che ancora<br />

devono incominciare, le loro futili imprese, le loro<br />

tragicomiche morti non sono altro che alcune<br />

i n v e n z i o n i t r a l e t a n t e d i q u e l l ' e t e r n o ,<br />

meraviglioso, inarrivabile artista che è il tempo. È<br />

lui che ci parla con la nostra voce, che ci guida,<br />

che manipola i nostri desideri e i nostri sogni e<br />

alla fine cancella le nostre vite per sostituirle<br />

con altre vite, di altri uomini che noi non<br />

conosceremo mai. È lui che ci fa credere di essere<br />

il centro e la ragione di tutto, mentre ci ispira<br />

comportamenti e pensieri così stupidi che gli Dei ne<br />

ridono ancora quando ritornano lassù nel loro eterno<br />

presente, abbandonandoci agli sbalzi d'umore e ai<br />

capricci del nostro autore e padrone. Un suo battito<br />

di ciglia, e l'uomo che ha scritto questa storia non<br />

esisterà più; un altro battito di ciglia, e al posto<br />

della grande casa sui bastioni ci sarà un edificio<br />

di cristallo in cui si rifletteranno le nuvole e le<br />

montagne lontane; un terzo battito di ciglia, e i<br />

contenitori chiamati automobili saranno a loro volta<br />

scomparsi... Perché no? Soltanto gli Dei sono<br />

immortali, mentre tutto ciò che esiste nel tempo è<br />

destinato a perire. Homo humus, fama fumus, finis<br />

cinis.


evoluzione.<br />

174


175


176


177<br />

manifestazione di un desiderio.<br />

nel monologo finale di American History X il ragazzo<br />

scrive una lettera al padre. e spiega che nel corso<br />

della storia c’è sempre stato qualcuno che ha detto<br />

ciò che noi vorremmo dire nella maniera più bella<br />

possibile.<br />

e allora direi che il mio pensiero può esser<br />

racchiuso in maniera sublime in queste tre righe.<br />

l’arte oltrepassa i limiti nei quali il<br />

tempo vorrebbe comprimerla, e indica il<br />

contenuto del futuro.<br />

Vasilij Kandinskij, Punto, linea, superficie


la concezione di Hilberseimer.<br />

elementarismo vs espressionismo<br />

F. Bruno, Ludwig Hilberseimer, La costruzione di un’idea di città, il periodo tedesco, Libraccio-<br />

Lampi di stampa, Milano 2008.<br />

Per rendere evidente quali siano le categorie<br />

g e n e r a l i a c u i H i l b e r s e m e r f a r i f e r i m e n t o<br />

nell'esposizione della propria concezione dell'arte,<br />

ritengo importante riproporre una parte del saggio<br />

Kunst und Wissen del maggio 1919. In questo passo<br />

Hilberseimer, rapportandosi alle condizioni storiche<br />

e quindi a quelle che egli ritiene le principali<br />

categorie artistiche, presenta con chiarezza una<br />

distinzione tra Espressionismo ed Impressionismo.<br />

.<br />

Oltre a rivendicare il valore creativo delle culture<br />

primitive, Hilberseime, in questo passo, prendendo<br />

c h i a r a m e n t e p o s i z i o n e n e l d i b a t t i t o t r a<br />

Impressionisti, distinti dall'analiticità del fare,<br />

ed Espressionisti, orientati ad un atteggiamento<br />

sintetico, sottolinea un'importante distinzione dei<br />

processi conoscitivi che differenziano gli empiristi<br />

dai razionalisti.


E' interessante notare inoltre come Hilberseimer, in<br />

questi scritti giovanili, condivida pienamente gli<br />

ideali dell'Espressionismo, non proponendo ancora<br />

apertamente le successive differenziazioni tra<br />

Espressionisti ed Elementaristi introdotte negli<br />

anno '60 in Architettura a Berlino negli anno Venti.<br />

(7)<br />

Anche se dall'esame del solo passo citato potrebbe<br />

risultare un'operazione forzata, ma da non ridurre a<br />

m e r a q u e s t i o n e t e r m i n o l o g i c a , m i i n t e r e s s a<br />

sottolineare come in questo momento Hilberseimer<br />

sembri accennare a una qualche identità tra<br />

Elementarismo (8) ed Espressionismo, probabilmente<br />

inteso come aspetto formale di un atteggiamento più<br />

ampio da contrapporre al processo figurativo<br />

impressionista.<br />

E' una distinzione che diventerà fondamentale e che<br />

comprende, come ben descritto da Fritz Neumayer, (9)<br />

i l p a s s a g g i o d a l l a s p i r i t u a l i t à a s t r a t t a<br />

espressionista, di cui la cattedrale del futuro era<br />

simbolo, alla spiritualità razionalizzata che lo<br />

Zeitgeist impone come adesione all'oggettualità del<br />

mondo concreto di cui la società industriale è<br />

motivo e riflesso.<br />

Questa contrapposizione tra Espressionismo ed<br />

Elementarismo, che corrisponde altresì alla<br />

normalizzazione dei miti comunitari sorti a seguito<br />

delle conseguenze del primo conflitto mondiale, sarà<br />

a s s u n t a d a H i l b e r s e i m e r c o m e d i s c r i m i n a n t e<br />

d e l l ' a g i r e a r t i s t i c o , c o m e s u p e r a m e n t o<br />

dell'astrattezza e della condotta improntata alla<br />

più evidente soggettività di molti esponenti dei<br />

gruppi espressionisti.<br />

note<br />

7 - Cfr. ROBERTO GABETTI, CARLO OLMO, Le Corbusier<br />

e ,,L'Esprit Nouveau" Giulio Einaudi, Torino 1988, pag. 23.<br />

8 - LUDWIG HILBERSEIMER, Konstruktivismus, op. cit., cito:<br />

.<br />

9 - Cfr. LUDWIG MIES VAN DER ROE, Conferenza, in: Fritz<br />

Neumayer, Mies van der Rohe. Das Kunstlose Wort. Gedanken zur<br />

Baukunst, op. cit., pag. 265 cito: "La meccanizzazione non<br />

può mai essere il fine. Deve sempre restare il mezzo. Il<br />

mezzo per un fine spirituale".


I Murales di Orgosolo.<br />

O r g o s o l o , u n a c o m u n i t à p o s t a a l m a r g i n e<br />

settentrionale della Barbagia, raccoglie in sé<br />

immagini e simboli della cultura barbaricina: alcune<br />

di esse si proiettano vistosamente sui muri delle<br />

abitazioni e gli occhi del viaggiatore non possono<br />

fare a meno di notarle.Sono i famosi murales, circa<br />

100 suggestivi ritratti di memoria e vita sociale.<br />

Tinte sui muri che narrano le fatiche, le denunce e<br />

le grandi conquiste di una piccola comunità,<br />

colorati racconti di storia quotidiana che si<br />

intrecciano armonicamente alla raffigurazione di<br />

eventi e di lotte politiche di respiro mondiale.<br />

I "muri che parlano": lo stile e i colori<br />

I tratti, i modi d'espressione e l'accostamento<br />

degli oggetti rappresentati ricordano spesso<br />

Guernica di Picasso e lo stile cubista in generale;<br />

le linee di alcuni ritratti ricordano i dipinti di<br />

Léger.<br />

A volte sembra di ritrovare i codici espressivi dei<br />

muralisti messicani degli anni '20. Le figure sono<br />

squadrate, solide e voluminose, i profili netti e<br />

taglienti, i colori brillano su uno sfondo scuro.<br />

Molte immagini sono di evidente derivazione cubista:<br />

matrone dai fianchi larghi e sovrabbondanti stanno<br />

in fronte a patriarchi dalle mani nodose e<br />

ipertrofiche.insieme.<br />

Benché non manchino i murales estetizzanti (alcuni<br />

tra i più recenti), stile trompe-l'oeil, l'effetto<br />

180<br />

decorativo è in genere funzionale all'effetto<br />

espressivo.<br />

Nell'insieme, i murales esprimono un linguaggio<br />

semplice e quando l'immagine non basta alla<br />

comunicazione, il muralista ricorre alla didascalia,<br />

alla citazione letteraria o politica, alla frase<br />

memorabile, che non passa.Lo stile adottato è<br />

conforme al messaggio che i murales intendono<br />

trasmettere.<br />

La storia dei murales<br />

Le vivaci forme artistiche dei murales sono anche<br />

una testimonianza storica. Come molte altre<br />

e s p r e s s i o n i d i v i t a o r g o l e s e , c o m u n i c a n o<br />

all'osservatore una vasta gamma di impressioni che<br />

forse è impossibile riscontrare altrove: vi si<br />

leggono i malesseri, le speranze, i disagi e gli<br />

aneliti di una comunità che ha vissuto, forse, il<br />

senso di esclusione e di non appartenenza ad un<br />

mondo dai troppi volti contraddittori. Sotto questo<br />

segno, sul finire degli anni '60, comparvero i<br />

murales.<br />

Sin dall'origine i bersagli dei muralisti furono i<br />

governi sopraffattori e i fautori di ingiustizie<br />

sociali, soprattutto lo stato italiano e l'America<br />

imperialista e guerrafondaia.<br />

Il primo murale fu realizzato nel 1969, negli anni<br />

della contestazione giovanile, dal gruppo anarchico<br />

milanese "Dioniso".


Il numero dei muri tinteggiati crebbe a partire dal<br />

1975 quando un insegnante senese, Francesco del<br />

Casino, insieme ai suoi alunni volle commemorare,<br />

raffigurandolo sui muri degli edifici orgolesi, il<br />

trentesimo anniversario della Liberazione d'Italia.<br />

Circa il 90 per cento dei murales di Orgosolo sono<br />

opera di Del Casino: il suo è un singolare e<br />

inconfondibile stile pittorico. Si cita con ironia<br />

Alfredo Niceforo, si motteggia sul presidente Leone,<br />

si riporta il telegramma del partigiano e scrittore<br />

Emilio Lussu solidale con le contestazioni anti-NATO,<br />

si denunciano le ingiuste reclusioni, la condizione<br />

delle carceri, la sofferenza di detenuti e familiari,<br />

la mesta esistenza di latitanti e briganti braccati<br />

dai carabinieri. L'effigie di Gramsci invita alla<br />

riflessione e all'intelligenza e il volto mite di un<br />

capo indiano denuncia i soprusi dei bianchi. Negli<br />

anni '80, con l'attenuarsi della tensione politica,<br />

Del Casino e gli altri dipinsero scene di vita<br />

quotidiana: uomini a cavallo, donne con in grembo i<br />

propri figli, pastori che tagliano il vello alle<br />

pecore e contadini con in mano la falce. E' del 1994<br />

un murale che rappresenta i conflitti della ex<br />

Jugoslavia e la distruzione di Sarajevo: la storia<br />

locale può farsi storia mondiale. Ad Orgosolo, da<br />

trent'anni le mura del municipio e della biblioteca,<br />

dell'ambulatorio e dei bar prestano i loro fianchi<br />

alla creatività di artisti che hanno affidato e<br />

affidano ai murales le immagini e le voci non solo di<br />

una comunità, ma di un'isola intera. I murales<br />

costituiscono un'eccezionale attrattiva e molto<br />

ancora hanno da dire a chi li osserva.<br />

Rivolts di Pratobello, 1969, dove la popolazione di Orgosolo<br />

si oppone ai reparti dell’esercito italiano che avevano<br />

occupata un’area del territorio comunale, fino ad allora<br />

adibita a pascolo libero con l’intenzione di creare un nuovo<br />

poligono di addestramento. L’esercitò si ritirò.<br />

“A Duvilinò, il quindici giugno del millenovecentosessantanove<br />

e i pastori di Orgosolo<br />

e i le donne di Orgosolo<br />

e i figli dei pastori di Orgosolo<br />

erano la lotta dell'uomo.<br />

A Duvilinò ho visto i pastori di Orgosolo<br />

erano grandi<br />

avevano il pugno chiuso<br />

A Duvilinò<br />

ho visto i macigni di granito<br />

guardavano i pastori<br />

A Duvilinò<br />

ho visto i poliziotti dei padroni<br />

Erano piccoli<br />

guardavano il pugno chiuso dei pastori.”<br />

181


182


183


il Paesaggio.<br />

“la definizione del concetto di Paesaggio si basa<br />

sul suo carattere ambiguo e polisemico. Nella storia<br />

è descritto e classificato in conformità a due<br />

fulcri di indagine.<br />

Il primo in cui il Paesaggio è inteso come relazione<br />

percettiva estetica e culturale fra una realtà<br />

naturale e territoriale e l’uomo.<br />

E’ quindi un’immagine del territorio in cui sono<br />

identificati un oggetto -il territorio- e un<br />

s o g g e t t o - l ’ U o m o - c h e n e e l a b o r a l a<br />

rappresentazione.<br />

Il secondo intende il Paesaggio come entità fisica<br />

in cui prevale la sua dimensione fisico-morfologica,<br />

dagli elementi naturali alle strutture insediative,<br />

dagli elementi eterogenei per tipo e funzione che<br />

m e s s i i n r e l a z i o n e c o s t i t u i s c o n o u n ’ e n t i t à<br />

organica.”<br />

forse la cosa più difficile da accettare è che in<br />

questo scritto tratto da “Progettazione del<br />

Paesaggio” di Tiziano Cattaneo non vi è una verità<br />

assoluta.<br />

leggerlo mi fa pensare al -paradosso di Russell- (o<br />

paradosso del barbiere).<br />

184<br />

l’Uomo. la Natura.<br />

nemmeno Paulo Mendes da Rocha sa da che parte<br />

s c h i e r a r s i . è i n f o r t e i n f a t t i i n l u i l a<br />

consapevolezza che se osservassimo la Terra da un<br />

satellite durante la notte questa ci apparirebbe<br />

come una sfera buia del quale riusciamo a percepire<br />

solo alcune luci delle città. qui l’uomo è natura..<br />

se l’uomo fa parte dell’insieme natura allora è<br />

paradossale provare a definire un insieme del quale<br />

lo stesso è sottoinsieme.<br />

perchè se cosi fosse si arriverebbe alla conclusione<br />

del filosofo americano Willard Van Orman Quine che<br />

considera il paradosso un caso classico della<br />

"reductio ad absurdum": non è possibile che il<br />

barbiere esista.<br />

tuttavia non possiamo esentarci dal fatto di dover<br />

prendere una scelta. e allora posso affermare che di<br />

sicuro la mia idea di Paesaggio appertenga al primo<br />

fulcro.<br />

“come luogo ed espressione insopprimibile<br />

dell’identità culturale.”<br />

definizione di paesaggio di Luisa Bonesio


185<br />

una definizione.<br />

una scelta.<br />

liberare il paesaggio dall’ambiguità della<br />

sua stessa denominazione concettuale.<br />

Disegno accanto Escher, Liberation, 1955


Luoghi.<br />

«La responsabilità verso i luoghi è primaria almeno quanto il rispetto dell’alterità umana e<br />

culturale: il riconoscimento dell’identità dei luoghi è basato sull’esperienza dell’altrove e del<br />

diverso.»<br />

di Luisa Bonesio<br />

Da più parti si è iniziato a riscoprire la<br />

centralità del senso del luogo18, di cui il<br />

paesaggio è la manifestazione più visibile (anche se<br />

non tutta immediatamente v i s i b i l e ) , c o m e<br />

coappartenenza di territorio e comunità degli<br />

abitanti, ma anche di tutta una serie insopprimibile<br />

(pena la virtualizzazione del paesaggio) di<br />

dimensioni, dalla memoria e tradizionalità – dunque<br />

il rapporto con gli ascendenti – agli aspetti della<br />

c o n f o r m a z i o n e n a t u r a l e e d e c o l o g i c a , a l l e<br />

simbolizzazioni rituali e sacrali depositate come<br />

segni nel territorio, alla responsabilità verso i<br />

venturi. L’idea che una vera e propria personalità,<br />

uno stile peculiare si esprima nella singolarità di<br />

ciascun paesaggio, è utile a comprendere il<br />

significato e l’importanza della coerenza che ogni<br />

atto territorializzante deve possedere per non<br />

essere aggressivo e potenzialmente dissolutore<br />

dell’unità espressiva del luogo. Quando interventi<br />

inopportuni, disordinati, dissonanti vengono attuati<br />

sul territorio, esso finisce in una progressiva<br />

illeggibilità e disorganizzazione che si ripercuote<br />

come impossibilità di riconoscimento da parte della<br />

comunità, con effetti di ulteriore degrado, incuria,<br />

vandalismo ma anche disgregazione e malessere<br />

sociale. Gran parte della responsabilità del degrado<br />

o della distruzione irreversibile delle identità<br />

t e r r i t o r i a l i r i c a d e s u l l ’ i d e o l o g i a<br />

dell’indiscutibile primato di un’economia incurante<br />

e miope degli effetti a lungo termine, e sulla<br />

convinzione che rispetto alla centralità del suo<br />

valore non sia possibile porre limiti reali, tanto<br />

meno quelli legati a significati apparentemente<br />

immateriali come la bellezza o la conservazione<br />

186<br />

d e l l a m e m o r i a ; m a a l t r e t t a n t o , e f o r s e<br />

inscindibilmente, su forme di amnesia sociale, di<br />

trascuratezza, deresponsabilizzazione come sul<br />

proliferare di non-luoghi.<br />

L’importante contromovimento di consapevolezza e<br />

riflessione di questi anni, invece, riscopre<br />

l’esistenza di un nomos intrinseco nel luogo, ossia<br />

un insieme individuabile di invarianti che<br />

costituiscono quello che gli urbanisti chiamano lo<br />

“statuto del luogo”: una griglia di caratteristiche<br />

che definiscono l’irriducibile singolarità, la<br />

fisionomia propria di un luogo, la sua specificità<br />

differenziale, la sua cifra espressiva.<br />

Sono caratteri non riducibili alla pura sembianza<br />

estetica, che ne è, casomai, la modalità in cui ne<br />

leggiamo l’attuazione culturale e storica. Non va<br />

dimenticato, infatti, che uno stesso “territorio”,<br />

medesimo quanto a morfologia, dati climatici,<br />

vegetazione, struttura geologica, (“ambiente”), può<br />

essere interpretato in modalità diverse da culture<br />

differenti: i “dati oggettivi” dell’ambiente<br />

ecologico e del territorio geografico costituiscono<br />

un insieme di condizioni di possibilità che possono<br />

venire, entro certi limiti, selezionate, realizzate<br />

o sottolineate diversamente a seconda della cultura<br />

che le assume come proprio “paesaggio materno”.<br />

Il che ricorda opportunamente come termini (e<br />

concetti) come “territorio”, “ambiente”, “paesaggio”<br />

non siano affatto sinonimi; in particolare, come<br />

vada evitata la riduzione del “paesaggio”, che è<br />

sempre una costruzione culturale, all’“ambiente”,<br />

che ne è la condizione di possibilità naturale ed<br />

ecologica.


Il che comporta anche la parzialità di ogni<br />

riduzione alla pura dimensione ambientale o<br />

ecologica della conservazione e/o valorizzazione del<br />

paesaggio, anche se, ovviamente, la conoscenza e il<br />

rispetto della struttura e degli aspetti naturali –<br />

che comunque a noi si danno negli aspetti di<br />

ripetute e complesse trasformazioni storiche e<br />

innesti culturali, dunque di una “natura storica” -<br />

costituisce il grado preliminare, fondante e<br />

inaggirabile di ogni azione volta a costruirvi o a<br />

riconoscervi un “paesaggio”22. Se tutti i luoghi<br />

esprimono, in misura e riconoscibilità diverse,<br />

un’identità, per quanto mai fissabile una volta per<br />

tutte, allora il concetto di paesaggio non può che<br />

ampliarsi da un’accezione estetica, ristretta e<br />

alta, calibrata su salienze eccezionali, alla<br />

designazione di ogni realtà territoriale di cui si<br />

riconosce la specificità. Se non tutti i luoghi<br />

posseggono, evidentemente, le stesse qualità<br />

estetiche, tutti, almeno in linea di principio,<br />

esprimono identità culturali locali, meritevoli di<br />

essere conservate e trasmesse, non come morti<br />

reperti, ma come un’eredità ogni volta seleziona e<br />

riattualizza quanto il passato consegna. Paesaggi di<br />

diversa consistenza simbolica, identitaria ed<br />

estetica, ma tutti “teatro” di comunità degne di<br />

potere continuare a riconoscersi nella fisionomia,<br />

impressa lungo il tempo, nel proprio luogo. Quando<br />

si verifica una polarizzazione del valore esteticopaesaggistico<br />

su alcune località eccezionali, si<br />

diffonde l’idea che le altre non siano meritevoli di<br />

cura, attenzione, preservazione o potenziamento<br />

della propria identità paesaggistica, facendole così<br />

degradare progressivamente a “nonluoghi”, a<br />

territori di pura destinazione funzionale. Questa<br />

direzione di estensione del concetto di paesaggio<br />

all’insieme territoriale, che supera l’accezione<br />

vedutistica e visibilistica di certo riduzionismo<br />

estetico verso un concetto di paesaggio come luogo<br />

ed espressione insopprimibile di identità culturale,<br />

si trova espressa a chiare lettere nella Convenzione<br />

sul Paesaggio (2000) del Consiglio d’Europa che,<br />

distinguendo tre categorie di paesaggio (i paesaggi<br />

“eccezionali”, i paesaggi “degradati”, i paesaggi<br />

“del quotidiano”), opera il passaggio da una<br />

concezione puramente vincolistica, adottata<br />

n o r m a l m e n t e p e r l a t u t e l a d e i p a e s a g g i<br />

“eccezionali”, ma problematicamente applicabile ad<br />

altri, ad una progettuale, di miglioramento o di<br />

gestione di tutti i luoghi, compresi quelli della<br />

quotidianità o della produzione. E questo perché<br />

“ogni paesaggio rappresenta un quadro di vita per la<br />

popolazione interessata; esistono complesse<br />

interazioni tra i paesaggi urbani e quelli rurali;<br />

la maggior parte degli europei vive nelle città<br />

187<br />

Foto di Gabriele Basilico


Foto di Gabriele Basilico<br />

188<br />

(grandi o piccole) e la qualità paesistica di queste<br />

ultime incide profondamente sulla loro esistenza;<br />

infine, i paesaggi rurali rivestono un ruolo<br />

importante nella sensibilità europea”25.<br />

Il riconoscimento dell’effettiva differenziazione<br />

delle caratteristiche locali, non riconducibili a un<br />

metro comune, induce a prefigurare “politiche”<br />

flessibili, al di là delle misure vincolistiche per<br />

aree specifiche, che si occupino progettualmente e<br />

responsabilmente del paesaggio espresso in tutti i<br />

luoghi o del suo recupero e miglioramento. Questa<br />

impostazione presuppone l’esplicito e forte<br />

richiamo, nell’art. 5 delle “Misure generali”, a<br />

riconoscere il paesaggio come identità culturale:<br />

“ O g n i p a r t e s i i m p e g n a a : a ) r i c o n o s c e r e<br />

giuridicamente il paesaggio come componente<br />

essenziale del quadro di vita delle popolazioni,<br />

come espressione della diversità del loro patrimonio<br />

comune culturale e naturale e come fondamento della<br />

loro identità; b) definire e mettere in opera<br />

politiche del paesaggio finalizzate alla protezione,<br />

la gestione e la pianificazione dei paesaggi<br />

attraverso l’adozione delle misure particolari<br />

individuate dall’art. 6.; c) elaborare procedure di<br />

partecipazione pubblica, delle autorità locali e<br />

regionali, e di tutti gli attori interessati al<br />

concepimento e alla realizzazione delle politiche<br />

del paesaggio summenzionate; d) integrare il<br />

paesaggio nelle politiche di pianificazione<br />

territoriale e urbanistica e nella politica<br />

culturale, ambientale, agricola, sociale ed<br />

economica, così come in altre politiche dagli<br />

effetti diretti o indiretti sul paesaggio”26.<br />

Questa importante riconcettualizzazione di come vada<br />

i n t e s o i l “ p a e s a g g i o ” c o n s e n t e d i e v a d e r e<br />

dall’alternativa inaccettabile tra congelamento e<br />

museificazione da un lato, e dall’altro libera (il<br />

p i ù d e l l e v o l t e a r b i t r a r i a ) i n i z i a t i v a e<br />

manomissione del territorio, chiamando le parti in<br />

causa a una articolata responsabilità della gestione<br />

e degli interventi e finalmente riconoscendo ai<br />

singoli paesaggi l’unitarietà non scomponibile in<br />

logiche differenziate, ma tale da richiedere una<br />

concezione della necessità della visione e della<br />

gestione unitaria, e non puntiforme e irrelata, per<br />

mantenere il “senso” di un luogo e la fisionomia<br />

paesaggistica.<br />

Il processo di de-culturazione e la progressiva<br />

scomparsa dei tratti peculiari che si esprimono<br />

innanzitutto nella qualità del paesaggio, nella cura<br />

e coerenza delle modalità abitative e costruttive,<br />

nella tutela e valorizzazione della territorialità<br />

agraria storica, non meno che del patrimonio<br />

artistico- monumentale, ma anche di tutti i valori<br />

simbolici, ancestrali e religiosi che caratterizzano


in modo assolutamente singolare un territorio, è un<br />

rischio da cui la legislazione di tutela nazionale e<br />

regionale, come pure i documenti di indirizzo della<br />

Convenzione europea del paesaggio, intendono mettere<br />

in guardia, riconoscendo che “ogni paesaggio<br />

rappresenta un quadro di vita per le popolazioni<br />

interessate” e che “esistono complesse interazioni<br />

tra i paesaggi urbani e quelli rurali”. Ma<br />

soprattutto, come si è già ricordato, fra le misure<br />

della Convenzione viene affermata la necessità di<br />

“ i n t e g r a r e i l p a e s a g g i o n e l l a p o l i t i c a d i<br />

pianificazione territoriale e urbanistica e nella<br />

politica culturale, ambientale, agricola, sociale ed<br />

economica, così come in altre politiche dagli<br />

effetti diretti o indiretti sul paesaggio”.<br />

Dichiarazione che discende da un’affermazione più<br />

forte, che consiste nel “riconoscere giuridicamente<br />

il paesaggio come una componente essenziale del<br />

quadro di vita delle popolazioni, come espressione<br />

della diversità del loro patrimonio comune culturale<br />

e naturale e come fondamento della loro identità”.<br />

Intenti non dissimili si possono trovare espressi,<br />

almeno in linea teorica, in vari Piani di Indirizzo<br />

Territoriale a livello regionale.<br />

Foto di Gabriele Basilico.<br />

189


Ethos<br />

«Il tema dell’abitare, della responsabilità verso la singolarità dei luoghi, si trova così<br />

concretamente declinato in condivisione della gestione, del recupero e del progetto dei territori<br />

tra esperti, amministratori e cittadini.»<br />

L. Bonesio, Senso e identità del paesaggio, da Conoscere il paesaggio, Sondrio 2004.<br />

D’altra parte, se il paesaggio viene definito come<br />

manifestazione e quadro di vita di una cultura e non<br />

m e r a p a t i n a t u r a e s t e t i c a p r o i e t t a t a d a u n<br />

osservatore esterno, trasmissibile nella sua<br />

c o n c r e t e z z a e n e l s u o v a l o r e s i m b o l i c o e<br />

differenziale grazie alla partecipazione a una trama<br />

di memoria, valori e tradizionalità, e negli<br />

abitanti e negli appartenenti alla comunità locale<br />

si identifica la principale e normale figura di<br />

produttori e conservatori della territorialità, in<br />

un’epoca in cui la tradizionalità è stata in tutto o<br />

in parte interrotta, i linguaggi comunitari e le<br />

sapienze locali si sono perduti, impoveriti o sono<br />

diventati inintelligibili e la residenzialità ha<br />

a s s u n t o f o r m e e t e m p o r a l i t à e s t r a n e e a l l a<br />

sostanziale stabilità del mondo rurale, occorre<br />

interrogarsi sulla nuova figura dell’abitante che<br />

esprime la sua appartenenza al luogo.<br />

Per certi aspetti, l’appello heideggeriano alla<br />

considerazione dell’abitare come luogo della<br />

convergenza di terra e cielo, mortali e divini, che<br />

ne identifica il senso ontologico, oggi è più che<br />

mai problematico; né, d’altra parte, è possibile<br />

sempre riconoscere negli abitanti locali i portatori<br />

di consapevolezza identitaria e di responsabilità e<br />

cura del proprio patrimonio paesaggistico e<br />

memoriale. Al contrario, molto spesso avviene che la<br />

richiesta di protezione e conservazione dei beni<br />

paesaggistici provenga da soggetti esterni, e non<br />

solo a scopo di valorizzazione e sfruttamento<br />

turistico. La crescente mobilità lavorativa e<br />

residenziale, d’altra parte, è un potente agente di<br />

d e l o c a l i z z a z i o n e , a s s i e m e a l l a c o m p l e s s a<br />

dislocazione delle attività produttive, che lacera<br />

l’originario tessuto territoriale e ne scompone la<br />

190<br />

percezione e l’uso, facendone smarrire l’unità<br />

profonda a favore di percorsi accentuatamente<br />

funzionali.<br />

In questo contesto epocale, nondimeno, si assiste a<br />

una crescente domanda di “orizzonte”, di luoghi<br />

concreti e riconoscibili in cui l’abitare ritrovi<br />

almeno le sembianze di una domesticità perduta, di<br />

una Heimlichkeit che talora assume il carattere di<br />

una nuova consapevolezza e ricerca di identità.<br />

Dalla “rurbanizzazione” di massa a crescenti<br />

esperienze di riuso e restauro di borghi rurali,<br />

abbandonati a seguito della fase più devastante<br />

dell’industrializzazione, si delinea la tendenza, in<br />

vari gradi di intensità e di consapevolezza, anche<br />

da parte di “cittadini”, a costituire nuove comunità<br />

che trovano nei caratteri locali la loro ragion<br />

d’essere.<br />

È una sorta di progetto di appartenenza elettiva,<br />

c h e p r e s c i n d e d a r a g i o n i a n a g r a f i c h e o<br />

professionali, a un luogo di cui si riconosce il<br />

c a r a t t e r e s i n g o l a r e , v a l o r i z z a n d o l o e<br />

r i c o s t i t u e n d o n e , p e r q u a n t o p o s s i b i l e , l a<br />

significatività, riattivandone la memoria, i saperi,<br />

le pratiche virtuose, gli stili edilizi, le pratiche<br />

agricole, i simboli e i percorsi della ritualità e<br />

d e l l a r e l i g i o s i t à , e c c . Q u e s t a s c o p e r t a e<br />

v a l o r i z z a z i o n e d e i p a e s a g g i l o c a l i c o m e<br />

riattivazione delle comunità e riscoperta di<br />

identità culturali consegue anche da una presa<br />

d’atto della obsolescenza (o comunque insufficienza)<br />

ermeneutica del paradigma produttivo, dovuta anche<br />

allo scollamento progressivo della “base” economica<br />

rispetto ai paesaggi locali.


Non più un “dato”, come nel passato, una provenienza<br />

o una condanna, oggi il luogo diventa, in un mondo<br />

in cui drammaticamente prevale il deserto dei nonluoghi,<br />

una meta cui tendere, uno spazio di senso<br />

che deve essere riconquistato attraverso una cura e<br />

una consapevolezza spesso difficile da ridestare.<br />

“Nella contemporaneità [...] la pratica della cura e<br />

della conoscenza del luogo scardina totalmente<br />

l’alternanza fra insiders e outsiders. [...] Gli<br />

insiders (gli interni, quelli che risiedono da tempo<br />

in un luogo) possono essere delocalizzati, possono<br />

cioè non intessere nessuna relazione conoscitiva e<br />

attiva che rimetta in gioco le valenze di<br />

rappresentatività e di valore simbolico, mentre gli<br />

outsiders (gli esterni, coloro che arrivano da<br />

f u o r i , d a l o n t a n o , r e s i d e n t i d a p o c o , o<br />

semplicemente imprenditori che non vivono nel luogo)<br />

p o s s o n o i n t e r p r e t a r e v a n t a g g i o s a m e n t e l e<br />

p o t e n z i a l i t à l o c a l i ” 3 2 . I l c h e e q u i v a l e a<br />

riconoscere che l’agire secondo una logica<br />

localizzata, prendendosi cura di un territorio, non<br />

coincide più necessariamente con l’essere “locali”<br />

in senso etnico; piuttosto “si tratta di coloro che<br />

riconoscono i molteplici valori di un luogo, e per<br />

questo lo amano (sono disposti a creare con il luogo<br />

stesso una relazione densa di significato), e di<br />

conseguenza se ne prendono cura. Il luogo oggi<br />

esiste solo dove è curato, indipendentemente dal<br />

tipo di proprietà a cui è sottoposto: non sono gli<br />

insiders e gli outsiders che possiedono il luogo, ma<br />

solo chi lo cura, chi lo ri-conosce come proprio,<br />

chi continuamente lo salvaguarda e lo fa rivivere,<br />

interno o esterno alla comunità insediata”33.<br />

Naturalmente non è possibile sottovalutare le<br />

tensioni e i conflitti in queste “riappropriazioni”<br />

dei paesaggi: basti pensare allo scontro di<br />

concezioni, logiche e tempi progettuali tra<br />

industria del turismo e conservazione del patrimonio<br />

culturale ed ecologico, tra agricoltura intensiva e<br />

industrializzata e produzioni locali di qualità; tra<br />

uso “estetico” e di svago della residenzialità in<br />

campagna e logiche economiche ad alto impatto; tra<br />

valorizzazione degli aspetti “rurali” o selvatici e<br />

aspirazione delle comunità locali a entrare nel<br />

circuito allargato della comunicazione e degli<br />

i n t e r s c a m b i ; t r a d e s i d e r i o d i s t a b i l i t à e<br />

ricomposizione dei quadri simbolici, percettivi e<br />

abitativi, da un lato, e dinamizzazione crescente<br />

dei territori dall’altro. Da un certo punto di<br />

vista, è possibile affermare che, ancora una volta,<br />

la richiesta di conservazione dei paesaggi locali<br />

proviene prevalentemente dalla cultura urbana, che<br />

li mette in forma a scopi turistici, di svago, di<br />

stili alternativi di vita, producendo paesaggi<br />

rurali sempre più calibrati sulla propria richiesta<br />

191<br />

di natura, ricreazione e bellezza (addomesticata o<br />

selvaggia).<br />

Questa stilizzazione – che avviene prevalentemente<br />

come restauro o reinvenzione – dei territori nonurbani<br />

si accompagna inevitabilmente all’abbandono<br />

di altri spazi a logiche di sfruttamento o di<br />

produzione più o meno devastanti, che producono<br />

degrado, abbandono, abuso34. Così come non è<br />

p o s s i b i l e n o n s o t t o l i n e a r e i l p a r a d o s s o<br />

contemporaneo, in base al quale si cerca la<br />

“campagna” per trovare i modi e le forme di una<br />

residenzialità gratificante, salubre e non alienata,<br />

mentre sempre minore è il numero di coloro che<br />

dovrebbero mantenere la campagna (o la montagna) nei<br />

caratteri che la rendono appetibile ai “cittadini”.<br />

Quella che ho chiamato “la comunità di paesaggio”35<br />

appare allora come il prodotto di una complessa<br />

interazione di fattori: il “prendersi cura”, la<br />

r i a t t i v a z i o n e d e l l a m e m o r i a e d e l l a s u a<br />

trasmissione, in cui un aspetto centrale è quello<br />

della riscoperta di modalità accorte e rispettose di<br />

usare le risorse, l’individuazione e l’assunzione<br />

delle “invarianti” che costituiscono lo “statuto”<br />

del luogo, e dunque l’attuazione o il ripristino di<br />

uno stile di territorializzazione coerente con la<br />

fisionomia del luogo e la sua sostenibilità<br />

ambientale e culturale. È evidente che, soprattutto<br />

in società che hanno perduto i riferimenti e gli<br />

orientamenti tradizionali e le simboliche in grado<br />

di costituire un tessuto condiviso di significati,<br />

all’individualità (identità) di un luogo si accede<br />

ormai, per lo più, attraverso un cammino di<br />

ricostruzione della “biografia territoriale”36,<br />

della sua perduranza, e dunque delle ragioni<br />

intrinseche della sua stabilità dinamica lungo archi<br />

temporali molto lunghi, di contro alla rapidissima<br />

trasformazione e caoticizzazione contemporanea del<br />

t e r r i t o r i o c h e n e d i s s o l v e o g n i m e m o r i a e<br />

consapevolezza del limite costitutivo. Questa<br />

attività di ricostituzione dei fili interrotti della<br />

memoria locale e territoriale37 non può non passare<br />

attraverso l’educazione, la trasmissione di<br />

consapevolezza e di saperi, la condivisione del<br />

valore fondativo dell’identità paesaggistica<br />

rispetto alla possibilità di una comunità stabile,<br />

esperta delle possibilità e dei limiti consentiti<br />

dal luogo, in grado di costruire sempre più<br />

finemente la sua identità culturale a partire dalla<br />

sua appartenenza al luogo condiviso che la ospita.<br />

Nella pagina successiva foto di Gabriele Basilico.


192


tutti i luoghi esprimono identità culturali locali<br />

meritevoli di essere trasmesse.<br />

paesaggi di diversa consistenza simbolica<br />

identitaria ed estetica, ma tutti “teatro” di<br />

comunità degne di poter continuare a riconoscersi<br />

nella fisionomia, impressa lungo il tempo, nel<br />

proprio luogo.<br />

nel tema dell’appartenenza e dell’identità dei<br />

luoghi, è da leggersi anche un riannodare di fili<br />

interrotti della memoria in racconti identitari e<br />

fondativi, con un ritrovato accesso alla dimensione<br />

cognitiva e simbolica del paesaggio. oltre che<br />

l’identificazione “estetica” del paesaggio come mera<br />

immagine.<br />

L. Bonesia, Peasaggio, identità e comunità tra locale e<br />

globale. Diabasis, 2009 Reggio Emilia<br />

193<br />

Escher, Three worlds, 1955


l’Architettura.<br />

Espressione della vita di una società, manifestata<br />

nelle opere della costruzione. E' lo specchio di una<br />

civiltà. Ciò che una civiltà può, l'architettura lo<br />

mostrerà; e la sua opera costituirà un insieme di<br />

elementi materiali e di suggerimenti spirituali.<br />

Le Corbusier<br />

194<br />

penso che se si riconosce qualche significato alla mia<br />

opera di architetto è a questa segreta fatica che se ne<br />

deve attribuire il valore profondo


Cimitero di San Cataldo, Modena, foto di Gabriele Basilico.<br />

195<br />

dietro un’azione reale un pensiero di<br />

filosofia d’azione.


Un’unica strada, architettura, uomo, arte<br />

di Angelo Bugatti<br />

Le mostre di architettura oggi tendono a evidenziare<br />

l’attenzione dell’azienda “sistema edilizio” alla<br />

qualità urbana e al vivere bene e addirittura alla<br />

sostenibilità, come il lancio pubblicitario di<br />

un’automobile nuova o restaurata che si può ammirare<br />

anche di sabato e domenica, facendo conoscere<br />

l’impegno dell’azienda alla comodità con i disegni<br />

di nuove tecnologie. Intanto le automobili sono<br />

sempre più raffinate all’interno, con sensori che<br />

proiettano dati su vetri scuri, in strade più<br />

intasate e più brutte, e stupefacenti palazzi<br />

terziari e collettivi fanno bella mostra di sé in<br />

territori devastati dall’ignoranza e dalla<br />

t r a s a n d a t e z z a . D a q u e s t e m e r a v i g l i o s e<br />

rappresentazioni rimane fuori l’uomo che si rifugia<br />

nell’intimità dei suoi spazi interni, visto che la<br />

sua casa non può competere con le meraviglie dei<br />

manufatti-moda.<br />

“Io sostengo soltanto che l’espansione scientifica<br />

non ha nulla di umano. Forse il nostro cervello non<br />

è che il portatore provvisorio di un processo di<br />

complessificazione. L’informatica, la genetica, la<br />

fisica e l’astrofisica, l’astronautica, la robotica,<br />

… non vedo in che cosa sia umano, se per umano si<br />

intendono la collettività con le loro tradizioni<br />

culturali, stabilitesi da questa o da quell’epoca in<br />

regioni precise di questo pianeta. Che questo<br />

processo – a umano – possa avere, accanto ai suoi<br />

196<br />

effetti distruttivi, qualche ricaduta positiva per<br />

l’umanità, è una cosa di cui non dubito affatto. Ma<br />

q u e s t o n o n h a n i e n t e a c h e v e d e r e c o n<br />

l’emancipazione dell’uomo.”<br />

Questa riflessione, fatta 25 anni fa, sembra più<br />

attuale che mai.<br />

Con i nuovi modi delle relazioni, si è smarrita la<br />

capacità dell’architettura di offrire risposte<br />

adeguate, e su questo, appunto, bisogna fare ricerca<br />

all’interno delle Università, che è il luogo<br />

d e p u t a t o a i m p o s t a r e u n p r o g r a m m a c o n u n a<br />

ripartizione invertita, cioè invece dell’unità della<br />

natura e la molteplicità delle culture, la<br />

molteplicità degli ambienti e l’unità della cultura.<br />

Che sia un bene o un male non spetta a me dirlo, ma<br />

è mio compito, come quello dell’Università, prendere<br />

consapevolezza di questo, per elaborare nuovi<br />

progetti, nuove forme, nuovi spazi.<br />

Bisogna invertire le tre strategie descritte da<br />

Latour : “in primo luogo la separazione sempre più<br />

decisa tra il polo della natura (le cose in sé) e<br />

quello della società o del soggetto (gli umani tra<br />

loro); in secondo luogo l’autonomizzazione del<br />

linguaggio o del senso; e infine la decostruzione<br />

della metafisica occidentale”.<br />

Oppure bisogna umilmente ripercorrere altre strade,<br />

ascoltare quello che ci dicono oggi gli unici<br />

rappresentanti di un mondo cultura/natura senza


cesure, gli artisti, perché questi sopperiscono alla<br />

mancanza di libertà: “Come ognuno può constatare non<br />

siamo più liberi non abbiamo più chance. Non<br />

disponiamo più del nostro tempo per pensare le<br />

nostre risposte, poiché dobbiamo darle subito e di<br />

corsa…” . Soprattutto siamo obbligati a essere in<br />

rete, in nuovi apparecchi subito comprati e<br />

conosciuti, ed avere il cellulare più sofisticato.<br />

“Non esistono apparecchi singoli. La totalità è il<br />

vero apparecchio. Ogni singolo apparecchio è, dal<br />

canto suo, solo una parte di apparecchio, solo una<br />

vite, un pezzo del sistema di apparecchi. Non<br />

avrebbe senso affermare che questo sistema di<br />

apparecchi, questo macroapparecchio è un mezzo che è<br />

a nostra disposizione per la libera scelta dei fini.<br />

Il sistema di apparecchi è il nostro mondo. E mondo<br />

è qualcosa di diverso da mezzo. Appartiene a una<br />

categoria diversa”.<br />

Infatti Galimberti pone lucidamente la questione che<br />

la nuova tecnologia sia una merce d’obbligo, la<br />

mancanza della quale mette a repentaglio la<br />

relazione con il mondo e cita una bella pagina di M.<br />

McLuhan: “Archimede disse una volta: . Oggi ci<br />

avrebbe indicato i nostri mezzi di comunicazione<br />

elettronici dicendo: . Ma una volta che<br />

abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi<br />

nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di<br />

trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi,<br />

le orecchie, i nervi e il cervello, il risultato<br />

sarà che non avremo più diritti” .<br />

Allora non abbiamo che prendere coscienza delle<br />

condizioni in cui operiamo e difendere il nostro<br />

lavoro, che può risultare utile solo se risponde<br />

alle esigenze dell’uomo.<br />

Per fare questo è bene sviluppare la ricerca<br />

all’interno dell’università con le culture più<br />

lontane come quella cinese, e dobbiamo allearci con<br />

i rappresentanti della nuova molteplicità della<br />

natura, del pluriverso: gli artisti.<br />

Questo cammino insieme può consentire a loro e a noi<br />

p r o g e t t i s t i n u o v e s u g g e s t i o n i ; e n o i a l l a<br />

composizione architettonica rivendichiamo il ruolo<br />

principale di una enorme, seducente e doverosa<br />

innovazione disciplinare.<br />

Foto del cretto di Gibellina, Burri<br />

197


Un riferimento nell’arte.<br />

198<br />

[…]<br />

Credo che per fare arte sia importante avere un<br />

forte senso del proprio tempo e della propria<br />

cultura. Un forte senso del passato. E un forte<br />

senso della propria individualità.<br />

[…]<br />

Io provengo dalla tradizione italiana dell’arte. Per<br />

fare un esempio: Young British Artist discendono da<br />

Francis Bacon, io discendo da Burri e Fontana. Ecco,<br />

devo dire questo perché nel processo quotidiano di<br />

affrontare il mio lavoro sia da un punto di vista<br />

intellettuale che pratico, devo fare i conti con ciò<br />

che mi ha preceduto, e devo fare delle scelte<br />

precise. Devo prendere una posizione sia sociale che<br />

morale verso ciò che faccio. Mi appartengono certe<br />

cose, e non altre. Mi sento più medievale che Pop.<br />

[…]<br />

Il mio non è un elogio al cemento. Mi interessa la<br />

sua lavorabilità e la sua valenza sociale. Inoltre<br />

non riesco a sfuggire dal fare qualcosa di<br />

fisicamente pesante.<br />

[…]<br />

L’azione di colare un materiale così sprecabile e<br />

informe in modo irriverente su di un nylon steso per<br />

terra è intimamente e fisicamente catartica. (In sé<br />

è una performance, ma è solo il primo degli aspetti<br />

del lavoro).<br />

[…]<br />

Il risultato deve condensare complicazioni nuove<br />

relative alla forma.<br />

[…]<br />

Poi attacco questi lavori sul muro.<br />

Non è virtuosismo. Questa azione rivendica la mia<br />

identità.<br />

E’ necessario che siano lì.<br />

Il loro peso silenzioso non si annulla, ma tiene in<br />

continua tensione statica il supporto, una sorta di<br />

espiazione per la materia.<br />

[…]<br />

Mi piace pensare all’idea di un crocefisso laico.<br />

[…]<br />

Per me fare arte è un tentativo di riconciliare la<br />

coscienza di esistere con il resto della realtà.<br />

Della realtà ho una visione piuttosto scabrosa.<br />

Arcangelo Sassolino


199


Continuità dell’esperienza classica.<br />

la Ricerca dell’Identità come unica via per la salvezza<br />

A. Monestiroli, La metopa e il triglifo, Editori Laterza, Milano 2002.<br />

V o g l i o p a r t i r e d a u n a c o n s i d e r a z i o n e :<br />

l’architettura non ha mai definito una teoria per la<br />

sua costruzione al di fuori dell’esperienza<br />

classica. Non c’è stata una teoria dell’architettura<br />

barocca come non c’è una teoria dell’architettura<br />

dell’espressionismo. Vi sono architetture in cui è<br />

possibile leggere intenzioni comuni che però non<br />

definiscono un corpo di regole cui attenersi. Ogni<br />

qualvolta si è cercato di costruire una teoria è<br />

stato con l’esperienza classica. L’architettura<br />

classica si pone in positivo, come unica tendenza<br />

progressiva, fondata su principi e regole che<br />

consentono ai costruttori di operare senza affidarsi<br />

ogni volta a un punto di vista personale, ma<br />

esercitando il proprio giudizio su un corpo teorico,<br />

costruito collettivamente. Il trattato di Leon<br />

Battista Alberti è alla base di tale corpo teorico,<br />

ne inaugura la tradizione moderna. E’ all’origine di<br />

una costruzione nel tempo che si attua come<br />

riflessione continua sui temi enunciati. La teoria<br />

dell’architettura classica è caratterizzata da<br />

alcuni punti fermi che la unificano nel tempo. Fra<br />

questi i principali sono due. Il primo riguarda il<br />

rapporto fra architettura e realtà. L’architettura<br />

classica è sempre realista; questa sua peculiarità<br />

lega saldamente architettura e conoscenza e consente<br />

di intendere l’architettura come conoscenza e<br />

rappresentazione del reale. A questo segue il<br />

secondo carattere dell’architettura classica,<br />

l’intelligibilità delle forme, assunto come<br />

obiettivo proprio e insostituibile, come carattere<br />

200<br />

distintivo. Obiettivo generale è la bellezza e il<br />

bello è ciò che si accorda con la realtà e la<br />

ragione. Il sistema di norme razionali su cui si<br />

basa l’apparato teorico della classicità riguarda i<br />

tre grandi capitoli dell’architettura: il rapporto<br />

architettura-città e la questione della tipologia<br />

edilizia, la questione della costruzione, le regole<br />

del linguaggio. Possiamo dire che la teoria<br />

dell’architettura classica concerne i passaggi dalla<br />

città tipo alla costruzione, dalla costruzione alla<br />

forma. L’aspirazione al tipo è il primo carattere<br />

distintivo della teoria; significa riconoscere a<br />

ogni genere di edificio una propria identità<br />

rappresentata con elementi fissi e ripetuti, appunto<br />

con elementi tipizzati. Questo è il primo momento in<br />

cui si manifesta la volontà di definire un ordine<br />

razionale per costruire e rendere riconoscibile un<br />

aspetto del reale, un’istituzione. Pensiamo alla<br />

casa, alla sua tipizzazione nella storia: si<br />

stabilisce una corrispondenza fra una forma e una<br />

c u l t u r a d e l l ’ a b i t a r e , l ’ u n a s i g i u s t i f i c a<br />

nell’altra, l’una si rende palese attraverso<br />

l’altra. Se la cultura dell’abitare è un aspetto<br />

della nostra cultura civile, la forma della casa, il<br />

tipo in cui questa si fissa, la rende concreta ed<br />

e v i d e n t e . T u t t a l a t r a t t a t i s t i c a , f i n<br />

dall’antichità, si cimenta con la questione del<br />

tipo: Leon Battista Alberti, il Filarete, Francesco<br />

di Giorgio Martini, Andrea Palladio, fino agli<br />

architetti moderni come Adolf Loos, Le Corbusier,<br />

Ludwig Mies van der Rohe, Ludwig Hilberseimer.


Il processo di tipizzazione riguarda sia la<br />

città sia gli edifici che la compongono e giunge<br />

a d e f i n i r e g l i e l e m e n t i s t e s s i d e l l a<br />

costruzione. Su tale questione si è discusso<br />

molto in questi ultimi anni e si è compreso che<br />

il tipo non è mai un a priori, ma è sempre<br />

relativo alla realtà di ciò che si costruisce.<br />

Il tipo non costituisce un modello da ripetere<br />

acriticamente, ma è la definizione progressiva<br />

dei caratteri che corrispondono più o meno<br />

stabilmente, in modo più o meno duraturo, a ciò<br />

che si costruisce. Così è certo che il tipo,<br />

come insieme di caratteri generali e stabili,<br />

non si dà una volta per tutte, ma viene ogni<br />

volta verificato attraverso l’analisi delle<br />

corrispondenze. Ciò significa affermare che il<br />

processo di tipizzazione coincide con il<br />

processo di conoscenza e definizione di ciò che<br />

si costruisce. La questione della costruzione,<br />

cioè la questione delle regole del buon<br />

costruire, è un capitolo tecnico sempre presente<br />

nella trattatistica. Possiamo affermare che i<br />

vincoli tecnici della costruzione costituiscono<br />

gran parte dell’architettura, che si adegua alle<br />

leggi della natura disvelandole e riconoscendole<br />

come leggi da non contraddire. La logica<br />

contenuta nel sistema trilitico, evocata dal<br />

sistema colonna-architrave, è un dato costante<br />

che caratterizza tutta l’architettura della<br />

classicità. E’ il ripetersi di un atto nel quale<br />

si rinnova perennemente un modo di porsi nei<br />

confronti della natura. Ma contro ogni riduzione<br />

t e c n i c i s t i c a v a d e t t o l a q u e s t i o n e<br />

costruttiva,nella tendenza classica, riguarda<br />

sempre la corrispondenza fra sistema costruttivo<br />

ed elementi architettonici. Siamo di fronte al<br />

p r o b l e m a d e l l a r i d u z i o n e d i u n a r e a l t à<br />

complessa, com’è quella del mondo tecnico della<br />

costruzione, a un numero discreto di elementi<br />

architettonici che consentano di rappresentarne<br />

stabilmente la logica. Attraverso questo<br />

processo di riduzione troveremo gli elementi<br />

semplici con cui intraprendere la costruzione<br />

dei nostri edifici. Dunque l’impegno maggiore<br />

della teoria dell’architettura classica sta<br />

nella definizione delle forme della costruzione<br />

e dei suoi elementi. Per far ciò vengono messe<br />

in campo alcune regole con l’obiettivo di<br />

definire le forme appropriate a ciò che si<br />

costruisce. Queste regole sono riferite a due<br />

scelte generali che mantengono le forme<br />

all’interno di una famiglia con caratteri<br />

riconoscibili (le forme classiche si rendono<br />

riconoscibili in quanto tali e in questo senso<br />

si distinguono da tutte le altre): la prima è<br />

201<br />

quella per cui le forme si definiscono sempre in<br />

funzione dell’identità di ciò che si costruisce,<br />

che attraverso di esse si rende intelligibile;<br />

la seconda che sulle forme adottate viene<br />

stabilita una convenzione. Nella teoria per la<br />

costruzione dell<br />

Vitruvio, De Architectura


Leon Battista Alberti, Firenze, Palazzo Rucellai, 1456<br />

202<br />

concetto: quello della definizione delle forme come<br />

processo di conoscenza e quello della necessità di un<br />

linguaggio comune, fondato, come ogni linguaggio, su<br />

elementi convenzionali; due punti saldi che unificano<br />

nel tempo l’esperienza classica e ne stabiliscono la<br />

continuità. Alla base della teoria dell’architettura<br />

del Rinascimento sta la nozione di individualità,<br />

nozione che risulta dalla mimesi con la natura. La<br />

natura è un insieme di individualità, la città e<br />

l’architettura saranno un insieme di elementi<br />

individuati. Tutta la versione antropomorfica<br />

dell’architettura rinascimentale può essere riportata<br />

alla nozione di individualità: individualità urbana<br />

(la città avrà una sua forma chiusa, corrispondente al<br />

suo statuto, una forma che lo rappresenta; così, una<br />

volta determinata, la forma urbana si tipizza);<br />

individualità degli edifici (allo stesso modo un<br />

edifico assume una forma propria che lo distingue<br />

all’interno della varietà delle istituzioni della<br />

città del Rinascimento); individualità degli elementi<br />

architettonici (si pensi agli studi sulla colonna;<br />

essa è intesa come corpo vivente e in quanto tale la<br />

sua forma deve rappresentare la vita che contiene;<br />

l’entasis è la rappresentazione dello sforzo cui<br />

questo elemento è sottoposto). Insomma, la nozione di<br />

individualità risulta dall’analogia con la natura. La<br />

nozione di individualità consente agli architetti di<br />

stabilire con la natura un’analogia non direttamente<br />

formale, tra forme naturali e architettoniche, ma più<br />

evoluta. La nozione di individualità è tratta dalla<br />

natura; attraverso di essa si crea una seconda natura<br />

analoga alla prima nelle sue leggi costitutive, ma<br />

costruita con forme proprie e distinte. Così si spiega<br />

l’orgoglio con cui Raffaello considera ingenue le<br />

forme gotiche perché troppo simili alle forme<br />

naturali. Così si spiegano i principi fondamentali<br />

della teoria delle forme classiche: la concinnitas e<br />

la regola del nihil addi, la mediocritas e la regola<br />

del giusto mezzo. Le forme architettoniche devono<br />

contenere i caratteri delle forme naturali, il<br />

rapporto fra le parti e la loro disposizione<br />

definiscono e rappresentano un’individualità. Si<br />

tratta di trovare le forme appropriate a questa<br />

rappresentazione, senza che si possa aggiungere o<br />

togliere nulla. E’ la generale filosofia della natura<br />

che consente ad Alberti di comprendere e interpretare<br />

il testo di Vitruvio. Per Alberti il trattato di<br />

Vitruvio è uno spunto iniziale per la costruzione del<br />

suo trattato che, altrimenti, si fonda nel pensiero<br />

rinascimentale. La seconda grande scelta che sta alla<br />

base della teoria dell’architettura classica è quella<br />

di operare attraverso l’uso di forme convenzionali.<br />

Questa scelta conduce Alberti e la cultura del<br />

Rinascimento alla seconda grande analogia, quella con<br />

le forme storiche dell’architettura.


La ricerca della corrispondenza tra forme e vita nel<br />

Rinascimento, infatti, non produce nuove forme<br />

costruite sulla mimesi della natura direttamente, come<br />

è s t a t o p e r i l G o t i c o , m a r i c o n o s c e q u e s t a<br />

corrispondenza nell’antichità classica. E’ questo<br />

riconoscimento delle forme classiche in quanto forme<br />

vitali che consente ad Alberti, come agli altri<br />

trattatisti, di non assumere gli ordini come modelli<br />

da copiare, ma di disegnarli ogni volta di nuovo,<br />

interpretando originalmente il rapporto tra forme e<br />

vita teorizzato al momento della loro assunzione.<br />

Bisogna riconoscere che rispetto alla questione del<br />

rapporto con le forme storiche il classicismo mantiene<br />

a p e r t a l a c o n t r a d d i z i o n e f r a d u e d i v e r s i<br />

atteggiamenti: il primo, di coloro che le assumono<br />

come modelli cui assoggettarsi in nome di una presunta<br />

supremazia del momento storico cui si riferiscono; il<br />

secondo, più avanzato, che riconosce in esse contenuti<br />

che si definiscono via via nel tempo e che si<br />

costruiscono nelle forme più appropriate nella loro<br />

rappresentazione. In ogni caso, riprendendo gli ordini<br />

dell’antichità, il Rinascimento si assicura un<br />

repertorio di forme convenzionali con cui costruire il<br />

suo nuovo linguaggio, antigotico appunto, in nome di<br />

una più avanzata analogia con la natura. L’analogia<br />

con la storia mette a disposizione un sistema di forme<br />

riconoscibili dalla collettività e proprio questo<br />

r i c o n o s c i m e n t o d à s i c u r e z z a a g l i a r c h i t e t t i<br />

rinascimentali nella consapevolezza che l’analogia con<br />

la storia di per sé non consente alcun avanzamento. Il<br />

progresso è possibile solo misurandosi con la natura.<br />

Una progressiva modificazione delle forme è legata a<br />

una sempre più approfondita conoscenza del mondo e a<br />

una sempre più larga coscienza di sé. L’architettura<br />

classica, nel suo arco di svolgimento, stabilisce<br />

dunque nel rapporto fra due sistemi di riferimento i<br />

termini del suo progredire: la natura che offre il<br />

movente, la storia che indica la direzione. Qui si<br />

stabilisce la nozione di continuità della ricerca<br />

dell’architettura classica. Il riferimento a questi<br />

due sistemi è talmente radicato e forte nel pensiero<br />

di tutti gli architetti della classicità che rimane la<br />

guida concettuale anche nel momento di maggior<br />

difficoltà della tendenza quando, con la prima<br />

rivoluzione industriale, vengono abbandonati gli<br />

ordini architettonici. Nella teoria dell’architettura<br />

dell’Illuminismo la nozione di individualità rimane<br />

forte, addirittura si introduce quella di carattere.<br />

Il progressivo abbandono degli ordini(che quando<br />

permangono assumono il significato del tutto nuovo di<br />

citazione, diventando forme simboliche è il risultato<br />

di un diverso rapporto con la natura. Della natura si<br />

cercano i caratteri<br />

203


Adolf Loos, Villa Muller, Praga 1930<br />

204<br />

originari, al pari degli uomini; analogamente le forme<br />

dell’architettura dovranno essere ricondotte ai loro<br />

caratteri originali. Questo è il senso della . Il programma generale è quello della<br />

riduzione delle forme alla loro essenza. A fronte di<br />

questo generale programma scientifico gli ordini<br />

dell’antichità non possono resistere. Questa nuova<br />

direzione di ricerca, su una progressiva dialettica<br />

fra essenza e apparenza, anche se genera quella che<br />

dopo il Gotico è certamente la più grande rottura nei<br />

confronti del passato, non impedisce di ricercare<br />

ancora nella storia dell’architettura un saldo<br />

riferimento. Gli architetti dell’Illuminismo non<br />

rinunciano alla generale direzione indicata nella<br />

precedente esperienza attraverso i suoi due capisaldi:<br />

la nozione di individualità degli edifici e dei loro<br />

elementi e la definizione di forme convenzionali con<br />

cui rappresentarla. L’architettura dell’Illuminismo<br />

non rinuncia dunque al primo grande assunto della<br />

tendenza classica che è quello dell’architettura come<br />

conoscenza e rappresentazione della realtà. Questo è<br />

il motivo per cui i principi della trattatistica<br />

dell’antichità permangono (basta leggere il trattato<br />

di Francesco Milizia per rendersene conto), perché<br />

appartengono a una generale teoria della conoscenza.<br />

I l p e r m a n e r e d i q u e s t a t e o r i a o b b l i g a u n a<br />

modificazione delle forme nel tempo. Per mantenersi<br />

fedeli ai principi è necessaria una continua verifica<br />

delle forme, una sempre più approfondita conoscenza<br />

del loro senso e una sempre più perfetta aderenza a<br />

esso. Per realizzare questo programma l’architettura<br />

classica si costruisce sull’intreccio dei riferimenti<br />

con la natura e con la storia fino al Movimento<br />

m o d e r n o . C o s ì A d o l f L o o s , i l g r a n d e e r e d e<br />

dell’esperienza classica, si batte contro ogni<br />

cedimento alle nuove forme di naturalismo dello<br />

Jugendstil e riprende con forza la direzione della<br />

conoscenza della verità delle cose e della costruzione<br />

come rappresentazione di tale identità. Ricerca<br />

dell’identità come ricerca del rapporto fra forme e<br />

vita in una rinnovata analogia con la natura. Pensiamo<br />

al concetto ricorrente negli scritti di Mies van der<br />

Rohe: . Ma questa analogia, se abbandonata a se<br />

stessa, può generare le forme più disparate. E’ il<br />

rapporto con la storia, il riferimento alla grande<br />

strada maestra dell’esperienza classica che consente a<br />

Loos, Le Corbusier, Mies van der Rohe il dominio della<br />

fantasia. Ripercorrendo tale esperienza questi nostri


maestri hanno compreso che l’obiettivo è sempre<br />

quello dell’intelligibilità delle forme, un obiettivo<br />

antico, che li conduce a riflettere sui tre momenti<br />

fondamentali della costruzione del progetto propri di<br />

tutta l’esperienza classica: la tipizzazione degli<br />

edifici come definizione dei caratteri fissi e<br />

ripetibili, la costruzione come definizione degli<br />

elementi necessari, la forma come sistema di<br />

identificazione degli elementi e della costruzione<br />

s t e s s a . R i a f f e r m a n d o c h e o g n i t e o r i a<br />

dell’architettura riguarda il passaggio dalla città<br />

al tipo, dal tipo della costruzione, dalla<br />

costruzione alla forma. Ma la ricerca dei maestri<br />

dell’architettura moderna non si è compiuta. Come<br />

vedremo, la tensione allo stile, per quanto forte in<br />

ogni singolo architetto, non ha condotto a un<br />

risultato unitario. Dal tempo in cui sono stati<br />

abbandonati gli ordini si è intrapresa una ricerca<br />

che è ancora in corso. Oggi dobbiamo ridiscuterne le<br />

premesse, ritrovare il senso dei riferimenti.<br />

Ludwig Mies Van Der Rohe, IIT campus, Chicago<br />

205


Identità.<br />

206<br />

La piccola capanna primitiva che ho appena descritto<br />

costituisce il modello a partire dal quale ogni<br />

magnificenza architettonica è stata concepita; e solo<br />

approssimandosi alla semplicità di questo primo<br />

modello, nella pratica dell'arte, sarà possibile<br />

evitare i difetti più radicali e raggiungere<br />

l'autentica perfezione.<br />

I tronchi eretti verticalmente ci hanno fornito l’idea<br />

della colonna; quelli orizzontali, quella della<br />

trabeazione; e quelli inclinati, che formano il tetto,<br />

quella del frontone.<br />

[…]<br />

Ormai è facile distinguere gli elementi essenziali<br />

nella composizione di un ordine architettonico, da<br />

quelli dettati dalla necessità, o che vi si sono<br />

aggiunti per puro capriccio. Ma ogni bellezza risiede<br />

soltanto nelle parti essenziali, mentre quelle dettate<br />

dal bisogno rappresentano tutte licenze ed in quelle<br />

aggiunte per capriccio consistono tutti i difetti.<br />

[…]<br />

Non perdiamo di vista la nostra piccola capanna<br />

primitiva: io non vedo altro che le colonne, la<br />

trabeazione ed un tetto a due falde, le cui estremità<br />

costituiscono ciò che oggi chiamiamo frontone. Fin<br />

q u i , n i e n t e v o l t a . a n c o r m e n o a r c h i , n e s s u n<br />

piedistallo, né attico, e neppure porte e finestre.<br />

N e c o n c l u d o a f f e r m a n d o c h e i n o g n i o r d i n e<br />

architettonico non vi sono che la colonna, la<br />

trabeazione ed il frontone, che possano intervenire in<br />

modo essenziale nella composizione; e se ciascuno di<br />

questi elementi è al posto giusto ed ha la forma che<br />

gli compete, non vi sarà più nulla da aggiungere<br />

perché l’opera sia completa.<br />

Marc Antoine Laugier, SAGGIO SULL’ARCHITETTURA, capitolo I,<br />

Principi generali dell’Architettura


207<br />

La colonna del Filarete, Venezia<br />

Fontivegge, Perugia, Aldo Rossi


identità e composizione.<br />

A. Bugatti, Composizione architettonica e identità, Preogetti di riqualificazione urbana a Pavia, Edizioni<br />

Cusl, Pavia 2001<br />

La progettazione ha due riferimenti principali, la<br />

tradizione ed il contesto, con esiti molto<br />

differenti tra loro ma con quei denominatori comuni<br />

che conducono all'identità dei luoghi. L'identità di<br />

un'architettura si basa sulla qualità e sula<br />

compitezza del progetto, non è il risultato di una<br />

ricerca conservativa o di un'espressione "locale, è<br />

uno sforzo continuo di evitare indifferenza e<br />

omologazione e al contrario di proporre relazioni di<br />

qualsiasi tipo con il contesto"."La costruzione di<br />

identità - scrive il filosofo Sergio De La Pierre -<br />

è una dimensione irrinunciabile dell'essere umano,<br />

una riposta al bisogno di punti di riferimento che<br />

diano un senso all'inevitabile carattere della<br />

socializzazione in tutte le comunità umane<br />

attraverso una cultura".<br />

E' necessario capire cosa è oggi la città,<br />

testimonianza monumentale e forza propulsiva, campo<br />

di innovazione e di opportunità, diversa dal passato<br />

nell'organizzazione del lavoro e del tempo, nel<br />

sistema di occupazione del suolo e di comunicazione<br />

interpersonale.<br />

Sono cambiate le scene e i protagonisti, sono nati i<br />

centri commerciali, le stazioni, le attrezzature<br />

208<br />

infrastrutturali, i grandi insediamenti direzionali:<br />

davanti a questi cambiamenti bisogna disegnare una<br />

nuova qualità urbana senza perdita di identità,<br />

bisogna coniugare due principi apparentemente<br />

contrastanti, nel periodo della globalizzazione,<br />

radicamento al luogo e punti singolari di un sistema<br />

a rete.<br />

La città non ha più confini di fronte alla<br />

interconnessioni telematiche, fa parte di un sistema<br />

globale: ma i progettisti devono adeguare i loro<br />

strumenti alla scala e al carattere dei problemi,<br />

rispondere con progetti di qualità, anziché<br />

esasperare le forme personali, verso atteggiamenti<br />

coerenti che la cultura del progetto non ha mancato<br />

d i e s p r i m e r e a t t r a v e r s o g r a n d i i n t e r p r e t i<br />

contemporanei.<br />

Un grande architetto italiano, interprete di tale<br />

atteggiamento è stato Aldo Rossi, attraverso la cui<br />

opera meglio possiamo esemplificare i contenuti<br />

prima evocati. In Rossi riconosciamo capacità di<br />

realizzare progetti in grado di reinterpretare il<br />

luogo verso anche nuove configurazioni, ad un tempo,<br />

capaci di esprimere l'appartenenza all'architettura<br />

contemporanea e rispettose del contesto.


" La città è qualcosa che permane attraverso le sue<br />

trasformazioni e le funzioni cui essa via via<br />

assolve, sono momenti nella realtà della sua<br />

struttura" scriveva Aldo Rossi per ricordare di come<br />

attraverso movimento incessante delle città, sono<br />

riconoscibili i monumenti e gli elementi che meglio<br />

degli altri interpretano il tema dell'identità.<br />

Si può rispettare l'identità anche attraverso il solo<br />

uso dei materiali come nell'albergo Duca di Milano<br />

dove Rossi prevede l'uso della pietra e del mattone,<br />

e nell'aeroporto di Linate dove utilizza lo stesso<br />

marmo con cui è stato costruito il Duomo 800 anni fa,<br />

materiale -il marmo- impiegato in una piccola fontana<br />

( m o n u m e n t o a P e r t i n i ) a l t e r m i n e d i V i a<br />

Montenapoleone a Milano, accompagnata da lampioni e<br />

alberi tipici della Lombardia.<br />

Anche le case milanesi di Rossi propongono aspetti di<br />

profonda identità senza rinunciare ad elementi<br />

innovativi: il loggiato riproduce i ripidi ballatoi<br />

di distribuzione; non sono riproposti a ringhiera, ma<br />

con aperture regolari continue, i portici sono<br />

elementi di definizione architettonica, il mattone<br />

i d e n t i f i c a c o n l a g r a n d e c o l o n n a d ' a n g o l o<br />

dell'isolato.<br />

(…)<br />

valenza della ricerca di identità anche per la nuova<br />

architettura, attraverso l'individuazione dei<br />

caratteri costitutivi di ogni realtà e degli<br />

interventi che questa realtà chiede. Identità<br />

perseguibile attraverso gli elementi tipologici, i<br />

materiali, gli assetti funzionali. il carattere,<br />

riuscendo ad esprimere quella sintesi tra innovazione<br />

e tradizione, tra composizione e struttura,<br />

indispensabile in ogni progetto di architettura.<br />

Aldo Rossi,<br />

In alto: Duca di Milano Hotel, 1988<br />

In basso: Monumento a Pertini, Milano 1988<br />

209


il pensiero di Khan.<br />

“L’architettura ha poco a che fare con la soluzione di<br />

problemi. I problemi sono ordinari. Risolvere problemi è<br />

quasi un compito ingrato per l’architettura” Quando si<br />

entra nel mondo dell’architettura ci si rende conto che<br />

si è a contatto con le sensazioni fondamentali<br />

dell’uomo”.<br />

(...) Nella mente esiste il tempio, non ancora<br />

realizzato. Una manifestazione del DESIDERIO e non della<br />

necessità. La necessità è un panino al prosciutto”<br />

210


L o u i s K a h n e i l s e n s o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a<br />

“l'architetto deve, in qualche modo, ritornare alle<br />

origini”<br />

Louis Kahn è uno dei personaggi che più ha<br />

contribuito all’evoluzione dell’architettura, forse<br />

perchè egli sembra rifondarla, sembra sempre voler<br />

partire dalle fondamenta, tant’è che affermava:<br />

” L’architetto deve, in qualche modo, ritornare alle<br />

origini”.<br />

In questi ultimi anni ho molto meditato sulle opere<br />

e sulle parole del maestro “americano” ed ho<br />

raccolto alcune sue frasi che, a mio modo di vedere,<br />

sono fondamentali e stimolanti, sono “pietre<br />

miliari” che, di tanto in tanto, mi piace<br />

rispolverare, ed in quest’ottica vorrei fare alcune<br />

considerazioni. Innanzitutto occorre sottolineare il<br />

grande senso etico dell’architetto, l’etica del<br />

mestiere: “In quanto individuo responsabile è dovere<br />

dell’architetto cercare di creare un mondo migliore,<br />

sapendo che non è restando fermi stesi al sole che<br />

si costruisce l’avvenire ma attraverso un faticoso<br />

lavoro mantenendo stretti contatti con la realtà<br />

attuale”. Premesso questo possiamo introdurre quelli<br />

ci appaiono come i principi fondamentali della<br />

poetica di Kahn: la costruzione della forma a<br />

p a r t i r e d a l l a “ n a t u r a d e i m a t e r i a l i ” ;<br />

l’architettura concepita come organismo; il rispetto<br />

del processo costruttivo in sè; il “luogo”; le<br />

“connessioni”.<br />

211<br />

“Qual è il parassita più resistente?<br />

Un’idea.<br />

Una singola idea della mente umana<br />

può costruire città.<br />

Un’idea può trasformare il mondo e<br />

riscrivere tutte le idee.<br />

Ed è per questo che devo rubarla.”<br />

(Dom Cobb)<br />

La natura dei materiali viene espressa benissimo con<br />

questa citazione: “Una rosa vuol’essere una rosa e<br />

un’ampia apertura nel muro di mattoni vuol’essere un<br />

arco” (possiamo ad esempio citare l’ Indian<br />

Institute of Management ad Ahmedabad in India,<br />

1962-74 o il muro in blocchetti della First<br />

Unitarian Church a Rochester 1959-69)<br />

L’architettura concepita come organismo è resa con<br />

la frase: “Non funziona niente finchè non funziona<br />

tutto” ed è testimonianza di quella ricerca profonda<br />

di coerenza e di verità che non può che portare a<br />

considerare la progettazione di ogni singolo<br />

edificio come la realizzazione di un “tema”<br />

costituito da parti che dialogano tra loro in modo<br />

organico e naturale, senza forzature o costrizioni.<br />

L’amore per il rispetto del processo costruttivo<br />

viene ben definito attraverso queste due frasi: “Io<br />

credo che ogni artista, istintivamente, rispetti le<br />

tracce che rivelano come una cosa è stata fatta” ed<br />

ancora: “Se ci fossimo abituati a disegnare come<br />

costruiamo, dal basso verso l’alto, fermando la<br />

nostra matita in modo tale da lasciare una traccia<br />

ai punti di giuntura,di colata o di montaggio,<br />

l’ornamento risulterebbe dal nostro amore per<br />

l’espressione di un metodo(...) il desiderio di<br />

esprimere come avvengono le cose” (un esempio<br />

illuminante è il Parlamento di Dacca in Bangladesh<br />

1962-83, ove i punti di ripresa del getto in cemento<br />

armato non sono nascosti ma addirittura evidenziati<br />

ed impreziositi da inserti in marmo)


Il “luogo” è inteso da Kahn come un “sito” al quale<br />

si applica un “programma” capace di dotarlo di un<br />

senso profondo attraverso una forma architettonica.<br />

In tal senso i Laboratori Salk sono emblematici:<br />

freddi e seri laboratori, luoghi di ricerca e di<br />

produzione, divengono un luogo di incontro e<br />

discussione serena tra esseri umani. Ecco il senso di<br />

“luogo” e la forza dello “spazio”: “Lo spazio ha una<br />

grande forza e determina i comportamenti.” Ogni<br />

spazio deve essere definito dalla sua struttura e dal<br />

carattere della luce naturale”: non è quindi<br />

invenzione di forme ma equilibrio sapiente degli<br />

elementi primari della “disciplina” Architettura.<br />

Abbiamo infine le connessioni: date diverse parti<br />

occorre metterle in relazione tra loro; ci sono molti<br />

m o d i d i f a r l o ( a d e s e m p i o l ’ a s s i a l i t à , l a<br />

prospettiva, l’articolazione complessa,..): Kahn<br />

identifica la “connessione” con la “struttura”.<br />

La struttura (intesa nel suo senso elementare di<br />

struttura portante) crea una regola, un ritmo,<br />

un’ordine e questo ordine è assoluto perchè proviene<br />

non da leggi esterne ma dalla natura stessa<br />

dell’architettura: la costruzione corretta. Abbiamo<br />

a c c e n n a t o a l l a “ l u c e ” c o m e a d u n e l e m e n t o<br />

fondamentale, tanto da affermare: “L’architettura ha<br />

avuto luogo quando i muri si divisero e divennero<br />

colonne” ed ancora “la struttura è artefice della<br />

luce. Una colonna e una colonna: in mezzo c’è la<br />

luce. Si ha quindi oscurità-luce-oscurità-luce...”<br />

Posiamo inoltre osservare, quasi come corollari dei<br />

cinque principi fondamentali, quanto segue: recupero<br />

della storia (in particolare viene rivalutato il<br />

senso di “pesantezza”, lo spessore delle murature, il<br />

senso della monumentalità) con un fermo rifiuto del<br />

“revival” utilizzo delle forme platoniche (cerchio,<br />

quadrato, triangolo,...) investite dalla luce;<br />

creazione di spazi quasi “mistici” in cui regna il<br />

silenzio necessario alla riflessione ed alla<br />

introspezione: non solo una architettura che si fa<br />

oggetto delle nostre attenzioni ma che diventa anche<br />

strumento per la comprensione del mondo e di noi<br />

stessi. La divisione dello spazio in “spazi<br />

serventi” (ad esempio per collegamenti verticali o<br />

impianti) e “spazi serviti” (che sono quelli in cui<br />

si vive o lavora): una distinzione che evidenzia la<br />

presenza di un “ordine superiore” e della complessità<br />

dell’organismo edilizio (si veda, ad esempio, i<br />

Laboratori Richards di Philadephia 1957-65). Assieme<br />

a l s e n s o e t i c o c i t a t o i n a p e r t u r a o c c o r r e<br />

sottolineare anche il grande “senso dell’umano” di<br />

Kahn: “l’uomo non è natura, l’uomo è originato della<br />

natura” distinguendo così l’animale dall’essere<br />

evoluto che ha coscienza di sè e che si esprime<br />

attraverso un linguaggio evoluto: l’arte: l’unico<br />

linguaggio in grado di esprimere i significati più<br />

212


profondi dell’uomo.<br />

E’ proprio partendo dal’uomo, dalle sue esigenze,<br />

dalle sue necessità, dai suoi desideri più profondi<br />

che Kahn ha saputo regalarci la sua grande<br />

architettura. Straordinaria è la sua definzione:<br />

“L’architettura ha poco a che fare con la soluzione<br />

di problemi. I problemi sono ordinari. Risolvere<br />

p r o b l e m i è q u a s i u n c o m p i t o i n g r a t o p e r<br />

l’architettura” Quando si entra nel mondo<br />

dell’architettura ci si rende conto che si è a<br />

contatto con le sensazioni fondamentali dell’uomo”.<br />

(...) Nella mente esiste il tempio, non ancora<br />

realizzato. Una manifestazione del DESIDERIO e non<br />

della necessità. La necessità è un panino al<br />

prosciutto” Kahn parte dunque da queste “sensazioni<br />

fondamentali” e “desideri” per chiedersi: “Cosa<br />

vuol’essere questo edificio?” E, nel caso di una<br />

scuola, risponde: “L’insegnamento ha avuto inizio<br />

quando un uomo seduto ai piedi di un albero si mise<br />

a discutere, senza sapere cosa fosse un maestro,<br />

con persone che ignoravano a loro volta di essere<br />

scolari(...) e si auguravano per i propri figli un<br />

incontro con un uomo così.”<br />

Emergono quindi due elementi: il complesso<br />

desiderio di discutere, apprendere, raccontare ed<br />

un luogo che sia in grado di permette tutto questo<br />

(...ai piedi di un albero). Questo mi ricorda le<br />

parole di Aldo Rossi nella sua “Autobiografia<br />

scientifica”:“...ho riguardato l’architettura come<br />

lo strumento che permette lo svolgersi di una cosa<br />

(...) e nei miei ultimi progetti cerco solo di<br />

porre delle costruzioni che, per così dire,<br />

favoriscano un evento”.Si trata quindi di scegliere<br />

un sito adeguato a cui applicare un programma<br />

a d e g u a t o . E c c o a l l o r a c h e K a h n r o m p e c o l<br />

funzionalismo (almeno quello più ingenuo legato<br />

allo slogan “la forma segue la funzione”)<br />

dichiarando esplicitamente: “ la forma evoca la<br />

funzione” ed ancora: “l’uomo aspira a trascendere<br />

la funzione” citando espressamente le Terme di<br />

Caracalla : “ In questo edificio c’era la volontà<br />

di costruire una struttura voltata alta cento piedi<br />

(...). Sarebbero stati sufficienti otto piedi”<br />

sottolineando quindi la differenza tra “necessità”<br />

e “desiderio” che fa sì che un edificio possa<br />

diventare Architettura.<br />

Nel concludere, invitando a osservare con molta<br />

attenzione quattro opere di Kahn che ritengo<br />

esemplari dei punti visti sin’ora (ovvero: First<br />

Unitarian Church a Rochester, la sede del<br />

Parlamento di Dacca in Bangladesh, i laboratori<br />

Richards a Philadelphia e l’Istituto Salk di La<br />

Jolla) desidero citare una frase di Vittorio<br />

Gregotti: “Kahn è simile a Brunelleschi: con i<br />

sistemi e perfino il linguaggio del gotico inaugura<br />

213<br />

il Rinascimento” : infatti Kahn inaugura una nuova<br />

era ricca di relazioni con la storia, abolisce il<br />

pregiudizio nei confronti di forme o materiali e<br />

influenza architettidel calibro di Rossi, Stirling,<br />

Ungers, Gregotti e Moneo.<br />

Bibliografia essenziale:<br />

L.I. Kahn, di D.B. Brownlee e D.G. De Long ed<br />

Rizzoli L.I. Kahn, a cura di R. Giurgola e J. Metha<br />

ed Zanichelli L.I.Kahn: l’uomo e il maestro, a cura<br />

di A. Latour ed Kappa


il pensiero di Le Corbusier<br />

L ' a r c h i t e t t u r a è u n f a t t o d ' a r t e , u n<br />

fenomeno che suscita emozione, al di fuori<br />

dei problemi di costruzione, al di là di<br />

e s s i . L a c o s t r u z i o n e è p e r t e n e r e s u ,<br />

l ' a r c h i t e t t u r a è p e r c o m m u o v e r e . C ' è<br />

emozione architettonica quando l'opera suona<br />

dentro al diapason di un universo di cui<br />

o s s e r v i a m o , r i c o n o s c i a m o e a m m i r i a m o l e<br />

leggi. Quando certi rapporti sono raggiunti,<br />

s i a m o p r e s i d a l l ' o p e r a . A r c h i t e t t u r a è<br />

" r a p p o r t o " , è " p u r a c r e a z i o n e d e l l o<br />

s p i r i t o " . L ' a r c h i t e t t u r a è i l g i o c o<br />

sapiente, rigoroso e magnifico dei volumi<br />

assemblati nella luce. I nostri occhi sono<br />

fatti per vedere le forme nella luce: le<br />

ombre e le luci rivelano le forme; i cubi, i<br />

coni, le sfere, i cilindri o le piramidi<br />

sono le grandi forme primarie che la luce<br />

e s a l t a ; l ' i m m a g i n e c i a p p a r e n e t t a e<br />

tangibile, senza ambiguità. E' per questo<br />

che sono belle forme, le più belle forme.<br />

L ' o c c h i o o s s e r v a n e l l a s a l a l e s u p e r f i c i<br />

multiple dei muri e delle volte; le cupole<br />

d e t e r m i n a n o s p a z i ; l e v o l t e d i s p i e g a n o<br />

superfici; le colonne, i muri si allineano<br />

seguendo un ordine razionale comprensibile.<br />

Tutta la struttura s'innalza dalla base e si<br />

sviluppa secondo una regola impressa nella<br />

pianta: belle forme, varietà di forme, unità<br />

d i p r i n c i p i o g e o m e t r i c o . T r a s m i s s i o n e<br />

p r o f o n d a d i a r m o n i a : q u e s t a è<br />

architettura. L ' a r c h i t e t t u r a è p e r<br />

eccellenza l'arte che raggiunge uno stato di<br />

g r a n d e z z a p l a t o n i c a , o r d i n e m a t e m a t i c o ,<br />

s p e c u l a z i o n e , p e r c e z i o n e d e l l ' a r m o n i a ,<br />

m e d i a n t e r a p p o r t i c h e s o l l e c i t a n o<br />

l'emozione. Ecco il fine dell'architettura.<br />

214<br />

L'architettura opera su degli standard. Gli<br />

standard sono fatti di logica, di analisi,<br />

d i s t u d i o s c r u p o l o s o . G l i s t a n d a r d s i<br />

stabiliscono a partire da un problema ben<br />

posto. L'architettura è invenzione plastica,<br />

è speculazione intellettuale, è matematica<br />

s u p e r i o r e . L ' a r c h i t e t t u r a è u n ' a r t e<br />

nobilissima. L ' a r c h i t e t t u r a è a l d i l à<br />

dell'utile. L ' a r c h i t e t t u r a è f a t t o<br />

plastico. Si impiega pietra, legno, cemento;<br />

s e n e f a n n o c a s e , p a l a z z i : q u e s t o è<br />

c o s t r u i r e . L ' i n g e g n o s i t à l a v o r a . M a , d i<br />

colpo, il mio cuore è commosso, sono felice,<br />

dico: è bello. Ecco l'architettura. L'arte è<br />

qui. La mia casa è pratica. Grazie, come<br />

grazie agli ingegneri delle Ferrovie e alla<br />

Compagnia dei Telefoni. Non mi avete toccato<br />

il cuore. Ma i muri si alzano verso il cielo<br />

secondo un ordine che mi commuove. Capisco<br />

le vostre intenzioni. Siete dolci, brutali,<br />

incantevoli o dignitosi. Me lo dicono le<br />

vostre pietre. Mi incollate a questo posto e<br />

i miei occhi guardano. I miei occhi guardano<br />

qualche cosa che esprime un pensiero. Un<br />

pensiero che si rende manifesto senza parole<br />

e s e n z a s u o n i , m a u n i c a m e n t e a t t r a v e r s o<br />

prismi in rapporto tra loro. Questi prismi<br />

s o n o t a l i c h e l a l u c e l i r i v e l a n e i<br />

p a r t i c o l a r i . Q u e s t i r a p p o r t i n o n h a n n o<br />

n i e n t e d i n e c e s s a r i a m e n t e p r a t i c o o<br />

d e s c r i t t i v o . S o n o l a c r e a z i o n e m a t e m a t i c a<br />

d e l l o s p i r i t o . S o n o i l l i n g u a g g i o<br />

dell'architettura. Con materiali grezzi, su<br />

un programma più o meno utilitario, che voi<br />

superate, avete stabilito rapporti che mi<br />

hanno commosso.


E' l'architettura. A t t e n z i o n e ,<br />

l'architettura non è che ordine. L'ordine è<br />

u n a d e l l e p r e r o g a t i v e f o n d a m e n t a l i<br />

dell'architettura. L'architettura c'è quando<br />

interviene emozione poetica. L'architettura<br />

è fatto plastico. La dimensione plastica è<br />

c i ò c h e s i v e d e e s i m i s u r a c o n g l i<br />

occhi. L'architettura è il gioco sapiente,<br />

rigoroso e magnifico dei volumi nella luce;<br />

la modanatura è ancora ed esclusivamente il<br />

g i o c o s a p i e n t e , c o r r e t t o e m a g n i f i c o d e i<br />

volumi nella luce. La modanatura abbandona<br />

l'uomo pratico, ardito, ingegnoso; essa si<br />

appella alle doti plastiche. L ' a r t e è<br />

poesia: l'emozione dei sensi, la gioia dello<br />

s p i r i t o c h e v a l u t a e a p p r e z z a , i l<br />

riconoscimento di un principio assiale che<br />

colpisce il fondo del nostro essere. L'arte<br />

è questa pura creazione dello spirito che ci<br />

m o s t r a , a c e r t e v e t t e , l a v e t t a d e l l e<br />

creazioni cui l'uomo è capace di arrivare. E<br />

l'uomo prova una grande felicità a sentirsi<br />

creatore. L'arte è una cosa austera che ha<br />

le sue ore sacre. L'arte della nostra epoca<br />

è a l s u o p o s t o q u a n d o s i r i v o l g e a l l e<br />

élites. L'arte non è cosa popolare, ancora<br />

meno una "cortigiana di lusso". L'arte è un<br />

alimento necessario solo alle élites che si<br />

devono concentrare per poter guidare. L'arte<br />

è s u p e r b a p e r e c c e l l e n z a . La decorazione è<br />

i l s u p e r f l u o n e c e s s a r i o , i l q u a n t u m d e l<br />

contadino, e la proporzione è il necessario<br />

superfluo, il quantum dell'uomo colto. In<br />

a r c h i t e t t u r a i l q u a n t u m d i i n t e r e s s e è<br />

raggiunto mediante il raggruppamento e la<br />

proporzione dei vani e dei mobili, compito<br />

dell'architetto. La bellezza? E' una cosa<br />

i m p o n d e r a b i l e , n o n p o t e n d o a g i r e c h e<br />

attraverso la presenza formale delle basi<br />

primordiali: soddisfazione razionale dello<br />

s p i r i t o ( u t i l i t à , e c o n o m i a ) ; p o i , c u b i ,<br />

s f e r e , c i l i n d r i , c o n i , e c c e t e r a<br />

( s e n s o r i a l i ) . D o p o . . . l ' i m p o n d e r a b i l e , i<br />

rapporti che creano l'imponderabile: è il<br />

g e n i o , i l g e n i o i n v e n t i v o , i l g e n i o<br />

p l a s t i c o , i l g e n i o m a t e m a t i c o , q u e s t a<br />

capacità di misurare l'ordine, l'unità, di<br />

o r g a n i z z a r e s e c o n d o l e g g i c h i a r e t u t t e<br />

q u e s t e c o s e c h e e c c i t a n o e s o d d i s f a n o<br />

pienamente i nostri sensi visivi.<br />

estratti dai testi di Le Corbusier; Vers une<br />

architecture, Parigi, Cres, 1923; Urbanisme, Parigi, Cres,<br />

1925<br />

215


La ricerca della forma<br />

F. Bruno, Ludwig Hilberseimer, La costruzione di un0idea di città, il periodo tedesco, Libraccio-<br />

Lampi di stampa, Milano 2008.<br />

La ricerca del reale in architettura, secondo<br />

Hilberseimer, ha una strada obligata in cui la forma<br />

è regolata da leggi proprie: (18). Nella<br />

216<br />

direzione di una scrupolosa risolutezza formale,<br />

come fa notare Marco De Michelis in Ritratto di un<br />

architetto come giovane artista (19), Giorgio<br />

Grassi sembra rivedere la sua posizione iniziale sul<br />

valore esclusivamente archetipico delle architetture<br />

di Hilberseimer. Egli, infatti, nell'introduzione a<br />

Architettura a Berlino negli anni Venti individua in<br />

esse un valore non riconducibile al puro schema o al<br />

modello solamente abbozzato riconoscendo quindi la<br />

loro importanza in quanto figure di una precisa idea<br />

architettonica ed urbana (20).<br />

Si potrebbe aggiungere che la loro importanza<br />

risiede nell'essere espressione di una precisa idea<br />

architettonica e urbana resa attraverso il ricorso a<br />

strumenti compositivi corrispondenti ad una rigorosa<br />

idea figurativa lontana dalla volontà di lusingare<br />

con la propria esteriorità.<br />

NOTE<br />

18 - Cfr. LUDWIG HILBERSEIMER, Der Wille zur Architektur,<br />

op. cit.<br />

19 – Cfr. MARCO DE MICHELIS, Ritratto di un architetto come<br />

giovane artista, op. cit.<br />

20 – Cfr. GIORGIO GRASSI, L’architettura di Hilberseimer,<br />

prefazione all’edizione italiana di Architettura a Berlino<br />

negli anni venti, op. cit., pag. 18


La libertà di espressione è progetto per opere<br />

collettive, pur tenendo conto che l’autore ha la<br />

responsabilità sociale di disegnare la scena fissa<br />

delle vicende dell’uomo e che un manufatto senza<br />

relazioni può essere bello come una locomotiva, un<br />

carro armato fermo, rientrando quindi nelle<br />

categorie delle opere artistiche autoreferenziate;<br />

quella lbertà di espressione e progetto, che deve<br />

essere mantenuta, può per esempio riferirsi a<br />

“l’essere è differenze ed è irriducibile a qualsiasi<br />

forma d’identità perchè già in se stesso è dfferente<br />

da sè” o direttamente al decostruttivismo, dove “si<br />

produce una semplice inversione della nozione postmodernista<br />

dei concetti di luogo, identità,<br />

significato (considerando) la funzionalità ed ogni<br />

aspetto pratico, elemento di intralcio” (Jacques<br />

Derrida). In questo caso il giudizio del rapporto<br />

del progetto/contesto può essere vagliato attraverso<br />

il controllo della misura: “altezza e luoghi non<br />

misurabili non appartengono solo ad un modo onirico<br />

od etico: il problema della misura è uno dei<br />

problemi fondamentali dell’architettura. Ho sempre<br />

associato alla misura lineare un senso più<br />

complesso, essendo il più preciso apparecchio<br />

dell’architettura e determinando il senso delle<br />

217<br />

Abitare il paesaggio<br />

di A. Bugatti, R. Dell’Osso, R. De Lotto<br />

distanze”. Solo le relazioni e la misura sono i veri<br />

parametri condivisibili, che posso opporsi alle<br />

banalità o all’iperformalismo e alle molteplici<br />

teorie e interpretazioni che li giustificano e che<br />

ogni giorno vengono scritte sulla città e il<br />

territorio.<br />

In qualunque modo si consideri la città, letta da<br />

Sprengler “come un mondo, il mondo.solo se<br />

considerata come un tutto essa ha un significato di<br />

umana abitazione. Le case sono gli atomi di cui si<br />

compone”: dunqqu in qualunque modo la si interpreti<br />

si pone il problema della tutela dell’esistente<br />

attraverso la corretta lettura del contesto,<br />

morfologico, strutturale, simbolico, vedutistico, e<br />

attraverso un’analisi che deve saper mettere in<br />

rilievo gli elementi della storia, affinchè non ne<br />

siano danneggiati.<br />

Afferma Ruskin: “in vero la più grande gloria di un<br />

edificio non risiede ne nelle pietre ne nell’oro di<br />

cui è fatto. La sua gloria risiede nella sua età, e<br />

in quel senso di larga risonanza, di severa<br />

vigilanza, di misteriosa partecipazione, persino di<br />

approvazione e di condanna che noi sentiamo presenti<br />

nei muri che a lungo sono stati lambiti dagli<br />

effimeri flutti della storia degli uomini”.


Il carattere degli edifici<br />

di Giorgio Grassi<br />

(da Casabella 722)<br />

In "Il carattere degli edifici" Giorgio Grassi<br />

affronta, sviscerandola, la questione del<br />

carattere, inteso come problema tecnico/<br />

pratico. "…cosa succede in un progetto (in<br />

s e n s o t e c n i c o / p r a t i c o ) n e l p a s s a g g i o<br />

dall'oggetto necessario alla cosiddetta forma<br />

eloquente,… eloquente, cioè espressione del<br />

suo proprio carattere." Grassi analizza, due<br />

esempi, il museo romano di Merida di Rafael<br />

Moneo, e il teatro romano di Sagunto, suo<br />

personale progetto. Ciò che interessa è<br />

l'approccio progettuale, "l'origine.. quello<br />

che ha determinato appunto il carattere di un<br />

edificio e dell'altro."<br />

" Infatti nel caso di Merida (ma questo,<br />

secondo me, si verifica sempre nel caso di<br />

Moneo) l'oggetto del progetto e l'oggetto<br />

dell'evocazione (ciò che viene evocato dalla<br />

forma finale del progetto) sono chiaramente<br />

distinti, divergono, anzi, nel museo di Merida<br />

sono in aperta contraddizione fra loro e,<br />

malgrado ciò, coesistono entrambi nella figura<br />

finale, cioè di sovrappongono pur restando<br />

chiaramente distinti (probabilmente per Moneo<br />

il carattere di questo progetto vien fuori<br />

proprio da questa sovrapposizione lasciata<br />

218<br />

aperta, irrisolta). Nel secondo caso, invece,<br />

nel caso di Sagunto (ma questo si verifica<br />

sempre nel mio caso) l'oggetto del progetto e<br />

l'oggetto dell'evocazione coincidono, anzi,<br />

sono proprio la stessa cosa (o almeno questo è<br />

l'obiettivo del progetto, la sua ambizione)."<br />

Nascono da qui tutte le differenze.<br />

A Merida, l'oggetto del progetto è un museo,<br />

di tipo ottocentesco, come ottocentesca è<br />

l ' i d e a d i c r e a r e u n a s c e n o g r a f i a c h e<br />

riproduca, alluda al suo suo contenuto. Manca,<br />

secondo Grassi, la relazione con la città<br />

romana, benché accolga l'edificio.<br />

" I n q u e s t o m o d o , e s o l o a l l ' i n t e r n o<br />

dell'edificio, viene messo in opera non la<br />

r e a l t à d e l l ' a r c h i t e t t u r a , m a i l s u o<br />

spettacolo. Non una messa in opera quindi, ma<br />

una messa in scena all'interno dell'edificio."<br />

Questa scelta è resa chiara dall'approccio<br />

operativo, che esprime la preoccupazione del<br />

progettista di interpretare il legame con<br />

l'architettura romana soprattutto sul piano<br />

visivo: uso di murature ad "archi-diaframma"<br />

tipicamente gotici, lo spessore esiguo delle<br />

murature in contrasto con l'impiego di mattoni<br />

"alla romana".


"Qui l'architettura romana è un "surplus" e diventa<br />

"ornamento" nel senso più loosiano del termine.."<br />

tanto che Moneo, a Merida, sembra affermare che "il<br />

carattere di un edificio consiste prevalentemente<br />

nel suo spettacolo (afferma cioè che il carattere<br />

di un edificio non può prescindere dal ruolo che<br />

gli viene imposto dal suo autore)", mentre Grassi a<br />

Sagunto vuole "affermare che il carattere di un<br />

edificio consiste esclusivamente nella sua realtà e<br />

c h e i l s u o s p e t t a c o l o n e è s o l t a n t o u n a<br />

conseguenza, cioè a dire, un derivato un suo<br />

sottoprodotto."<br />

Nel progetto di Sagunto "l'oggetto del progetto e<br />

quello dell'evocazione sono lo stesso oggetto"<br />

d i c h i a r a G r a s s i . N o n c ' è n i e n t ' a l t r o c h e<br />

l'architettura romana, l'architetto si cura<br />

esclusivamente dell'autenticità, a costo di far<br />

risultare il progetto un teatro incompleto.<br />

"Dato per scontato che il carattere di un edificio<br />

deriva da ciò che questo esprime o evoca attraverso<br />

la sua forma, per me questa qualità espressiva è<br />

una qualità implicita di un'architettura, cioè<br />

appartiene alla sua forma già prima della sua<br />

apparizione ed è inscindibile da quella forma". "La<br />

scelta di questa linea operativa, che a prima vista<br />

pio anche sembrare una scelta di liberà e<br />

rinnovamento, in realtà è la conseguenza di una<br />

rinuncia, consapevole e definitiva, a misurarsi con<br />

l'architettura com'è sempre stata, una rinuncia a<br />

suo modo tragica, viste le conseguenze" e ancora<br />

"pretendere di agire sul carattere di un edificio,<br />

cioè che un edificio debba darsi, quasi per forza,<br />

un carattere, per poter apparire quello che è o che<br />

vogliamo appaia, è già di per sè una dichiarazione<br />

di resa e fallimento."<br />

219<br />

"Angemessenheit versus Zweckmabigkeit. Cioè<br />

conformità versus convenienza/opportunità"<br />

Grassi spiega "il termine "conforme" presuppone una<br />

relazione lineare e diretta fra l'oggetto e ciò ciò<br />

questo si conforma, significa che per essere se<br />

stesso, per rappresentare se stesso con spirito di<br />

v e r i t à , l ' o g g e t t o d e v e i n c l u d e r e , c i o è<br />

rappresentare anche ciò a cui si conforma, qualcosa<br />

che viene prima di lui e da cui lui stesso<br />

proviene" e ancora "il termine "conforme" afferma<br />

la continuità, significa il riconoscimento di<br />

principi validi e di cingoli qualificanti proprio<br />

in quanto tali, implica la reiterazione, significa<br />

in sostanza. per quanto riguarda la questione<br />

dell'evocazione, l'autoreferenzialità del suo<br />

oggetto".<br />

"il termine "conveniente/opportuno" presuppone<br />

invece un giudizio e rimanda piuttosto a un'idea, a<br />

un programma, a un mondo più ampio, cioè a qualcosa<br />

che in ogni caso sta anche fuori dall'oggetto<br />

stesso."<br />

"In realtà per prima cosa presuppone un soggetto<br />

che osserva e giudica, un soggetto che è quindi<br />

portato ad agire con maggior libertà sull'oggetto e<br />

sul suo carattere, fino a trasformare e perfino<br />

sostituire l'oggetto stesso dell'evocazione.<br />

E' il soggetto che stabilisce il grado di<br />

"convenienza" e di "opportunità" dell'oggetto,<br />

rispetto all'idea a cui deve uniformarsi. Il che<br />

s i g n i f i c a i n q u e s t o c a s o u n a s o s t a n z i a l e<br />

predisposizione a rappresentare altro da sè del suo<br />

oggetto."<br />

Nel primo caso quindi è l'oggetto del progetto<br />

l'unico riferimento per definire il carattere di<br />

un'architettura, carattere che si esprime<br />

soprattutto in ciò che si ripete. Nel secondo caso<br />

il riferimento può essere anche esterno all'oggetto<br />

considerato, e definisce il carattere in ciò che si<br />

modifica, ovvero in ciò che si oppone al suo<br />

ripetersi.<br />

" O l t r e a e d i f i c i c h e m i m a n o a p e r t a m e n t e<br />

l'annientamento dell'architettura, contorti o<br />

pericolosamente ripiegati, …vediamo sempre di più<br />

edifici che assomigliano a osé completamente<br />

diverse da quello che è il loro oggetto."<br />

Grassi ribadisce infatti come tutto questo derivi<br />

dal fatto che si voglia intervenire sul carattere<br />

come se fosse qualcosa di isolato e isolabile.<br />

Disegni del teatro di Sagunto, Giorgio Grassi.


<strong>Primitivo</strong> vs Riproduttivo.<br />

220


La ricerca dell’essenziale<br />

nell’arte.<br />

F . B r u n o , L u d w i g H i l b e r s e i m e r , L a<br />

costruzione di un’idea di città, il<br />

periodo tedesco, Libraccio-Lampi di<br />

stampa, Milano 2008.<br />

Progetto per l’università a Berlino, 1937<br />

Città verticale, 1926<br />

221<br />

Le gravi difficoltà dovute alle conseguenze della<br />

sconfitta nel primo conflitto mondiale e la critica al<br />

capitalismo, inteso come fine e non come strumento di<br />

rinnovamento della società, sono elementi che<br />

concorrono alla volontà di ridiscussione e di<br />

ricostruzione di un’epoca che nella Germania post<br />

bellica sembra essere giunta ormai al tramonto.<br />

Hilberseimer, come i principali esponenti delle<br />

avanguardie artistiche, ritiene l’arte e, quindi,<br />

l’architettura uno degli strumenti in grado di<br />

determinare e indirizzare il processo di rinnovamento.<br />

L’arte è intesa come strumento di conoscenza, ma anche<br />

come quadro sintetico con cui definire i caratteri<br />

f o n d a m e n t a l i d e l l a s o c i e t à e d e l l a c u l t u r a .<br />

Hilberseimer scrive: (1). Con questo richiamo alla<br />

Kunstwollen, la teoria Riegeliana che afferma il<br />

p r i m a t o d e l l ’ i n t e n z i o n e a r t i s t i c a e q u i n d i<br />

l’equiparazione dell’autorevolezza di tutte le culture<br />

che abbiano prodotto risultati caratterizzati<br />

dall’espressione di valori autentici e collettivi,<br />

Hilberseimer si contrappone al concetto di sviluppo<br />

d e l l ’ a r t e i n t e s o c o m e a b i l i t à o e s p r e s s i o n e<br />

individuale. L’opera d’arte per divenire espressione<br />

dei contenuti spirituali di un’epoca non può<br />

risolversi nell’evoluzione personale di quanto già<br />

creato o nell’interpretazione soggettiva della realtà.<br />

In conseguenza di ciò e con l’intento di ritrovare il<br />

grado zero di ogni agire, solo nell’intenzione<br />

originaria, primigenia e collettiva si possono<br />

rivelare i caratteri di autenticità e rinnovamento. Il<br />

ricorso alla teoria di Nietzsche sulla distinzione tra<br />

aspetto Apollineo e Dionisiaco aiuta Hilberseimer a<br />

precisare il proprio pensiero sul concetto di<br />

primitivo. Egli interpreta il passo de La nascita<br />

d e l l a t r a g e d i a i n c u i N i e t z s c h e r i c o n o s c e<br />

nell’evoluzione del ruolo de dio Dioniso la differente<br />

struttura teatrale della tragedia. Dionisio, l’eroe<br />

centrale della rappresentazione tragica, nelle forme<br />

arcaiche della tragedia è evocato esclusivamente<br />

attraverso il Coro, mentre in quelle classiche subisce<br />

una caratterizzazione e quindi ad una rappresentazione<br />

sensibile. In questa evoluzione Hilberseimer individua<br />

un fattore di perdita della carica trascendente del<br />

mito che e’ neutralizzato e privato della forza<br />

primigenia a causa della volontà di imitazione e<br />

riproduzione naturalistica.(2)


A l c o n t r a r i o , i n o r i g i n e l a t r a g e d i a e r a<br />

esclusivamente un’opera concettuale nella quale<br />

sopravviveva l’elemento magico-spirituale.<br />

Hilberseimer riconosce nell’identità tra concettuali<br />

originaria e la nozione di primitivo (3) una sorta<br />

di grado zero da cui procedere nella definizione dei<br />

caratteri ideali del processo artistico. Nel proprio<br />

r a g i o n a m e n t o e g l i r e i n t r o d u c e l a t e m a t i c a<br />

espressionista del ritorno alle origini ed alla<br />

fanciullezza. E’ importante rilevare come nel tema<br />

dell’originarietà sia contenuto il concetto di<br />

insofferenza per la funzione civilizzatrice della<br />

cultura e, quindi, per la nozione di accademia con<br />

due obbiettivi sottointesi.<br />

Da un lato si pone in aperto confronto con il<br />

processo di definizione formale della cultura<br />

ottocentesca le cui espressioni artistiche, ottenute<br />

t r a m i t e l a c o n t i n u a r i v i s i t a z i o n e e i l<br />

perfezionamento di figure e stilemi ormai “aridi”,<br />

originano una sorta di accademismo figurativo. La<br />

forma divenuta fine è ostacolo al reale processo<br />

creativo, occorre far ritorno alla forma come<br />

t e r m i n e s u b o r d i n a t o , c o m e e s c l u s i v o m e z z o<br />

espressivo, per ribadire la centralità dell’elemento<br />

ideale. La forma è il tramite tra idea e materia, se<br />

la forma diventa il fine, il bello, il lato ideale<br />

si svuota di contenuti e subentra esclusivamente un<br />

atteggiamento rinunciatario o individualista nei<br />

confronti della realtà. L’altro punto di vista<br />

sottolineato da Hilberseimer e’ connesso con il<br />

ruolo che l’arte riveste nei confronti della<br />

società; il tema dei contenuti ideali, il tema degli<br />

aspetti spirituali della cultura, il tema della<br />

contrapposizione al materialismo individualista<br />

della società borghese e del capitalismo.<br />

I valori spirituali, valori collettivi, su cui<br />

impostare ogni esperienza conoscitiva sono gli unici<br />

in grado di riscattare l’indolenza di una cultura<br />

formalista ed individualista. Le culture in declino<br />

non hanno forza creativa, si accontentano di<br />

ricercare l’aspetto formale attraverso l’ideale del<br />

b e l l o a s s o l u t o t r a s f o r m a n d o s i i n c u l t u r e<br />

riproduttive. Nel concetto primitivo, al contrario,<br />

si racchiude l’essenza delle culture “creative”.<br />

Solo loro possiedono unità tra volontà e azione, tra<br />

materia e forma, la rappresentazione rivela la<br />

natura collettiva del sapere attraverso l’opera del<br />

singolo; l’arte, e quindi l’estetica, diventa<br />

esclusivamente un riflesso delle condizioni etiche e<br />

collettivamente condivise di una determinata<br />

cultura.<br />

Secondo Hilberseimer, Nietzsche, istituendo il<br />

principio della distinzione tra Dionisiaco ed<br />

Apollineo, ha quindi restituito dignità alle<br />

manifestazioni artistiche cosiddette primitive,<br />

222<br />

quelle ostracizzate dall’esclusivo ritorno ai canoni<br />

estetici della classicità. In un periodo di evidenti<br />

trasformazioni, Hilberseimer riconosce in questo<br />

principio una possibilità di superamento delle<br />

culture eclettiche e dottrinarie. Solo le culture<br />

primitive, attraverso le loro forme essenziali<br />

d’espressione, possono essere assunte a modello di<br />

comportamento.<br />

La determinazione di Hilberseimer di ricorrere a<br />

forme elementari contrapposte alle immagini<br />

apparentemente raffinate delle cosiddette culture<br />

progredite deve essere ulteriormente messa in<br />

relazione al pensiero di Goethe per il quale la<br />

forma, nel processo di separazione dall’idea per<br />

d i v e n i r e m a t e r i a , s u b i s c e u n p r o c e s s o d i<br />

amplificazione che determina un’alterazione e un<br />

indebolimento rispetto al concetto ideale. L’idea, o<br />

intenzione, aspetto sostanziale di ogni processo<br />

creativo, deve, secondo Hilberseimer(4), essere<br />

formalizzata nella maniera più semplice ed<br />

elementare per ridurre al minimo le distorsioni<br />

dovute al processo creativo. In questa capacità di<br />

contenimento formale, dovuta principalmente alla<br />

resistenza del materiale ad accettare la forma,<br />

forma intesa come foggia apparente di un aspetto<br />

ideale, si rivela la spontaneità e l’autenticità del<br />

risultato artistico e, conseguentemente, l’efficacia<br />

degli strumenti in possesso alla cultura di<br />

un’epoca.<br />

Nell’ambito delle creazioni artistiche, Hilberseimer<br />

assimila la possibilità di sviluppo, concetto<br />

direttamente riferito alla nozione di stile, ad un<br />

aspetto illusorio delle forme espressive, poiché<br />

l’intenzione e la carica primigenia, condizioni<br />

indispensabili per la creazione del nuovo, tendono<br />

ad offuscarsi con il processo soggettivo di<br />

perfezionamento stilistico (5).<br />

L'idea estetica di Hilberseimer, recupera allora il<br />

concetto di caos come forza generatrice del nuovo.<br />

Il Caos conferisce all'agire artistico la tensione<br />

necessaria perchè si generino forze realmente<br />

creative.<br />

Lafayette Park, Detroit, 1955-56


NOTE<br />

1 - LUDWIG HILBERSEIMER, Form und Individuum, in: Der<br />

Einzige, n 3, 1919<br />

2 - LUDWIG HILBERSEIMER, Der Naturalismus und das Primitive<br />

in der Kunst, in: Der Einzige, n. 8, 1919, cito >.<br />

5 - Ibidem, cito: . E ancora continuando il<br />

ragionamento aggiunge: .<br />

223<br />

Progetto per Berlino, 1930<br />

Vorschlag zur Citybebauung, 1923


Frammenti.<br />

224


(…) Come un testo ripetutamente scritto, la città<br />

rivela livelli interferenti, rispondenti a differenti<br />

forme di “paesaggi e di immagini; di antropizzazioni<br />

e di luoghi; di memorie e di segni…..”(1), testimoni<br />

delle molteplici fasi del suo sviluppo. Non semplice<br />

‘superficie’ abitata dunque, ma ‘suolo’ costruito nel<br />

tempo secondo complesse stratificazioni, essa è “….il<br />

risultato di un processo di assimilazione nella<br />

trasformazione e di sedimentazione nel mutamento (2).<br />

Lo stesso termine ‘suolo’, di origine molto antica,<br />

appare legato a un doppio significato, se letto<br />

etimologicamente: da un lato la radice ‘sol’ lo lega<br />

al concetto di ‘soglia’ in quanto tramite, passaggio,<br />

frontiera, di cui rappresenta una determinazione<br />

specifica; d’altro lato la stessa particella lo<br />

conette direttamente al termine ‘solea’, ovvero<br />

suola, impronta, orma del viandante che dis-pone il<br />

passo sui suoli della storia, ogni volta segnandoli,<br />

trasformandoli e costruendoli razionalmente lungo il<br />

cammino. In questo senso il suolo può essere<br />

interpretato come luogo-limite, punto neutro, area<br />

intermedia tra la terra e il cielo, tra il sotto e il<br />

sopra, tra la natura e l’artificio. Un luogo-limite<br />

che segna il passaggio traumatico tra physis (natura)<br />

e techne (cultura), dove in ogni artificio si rivela<br />

il ‘dramma’ stesso della costruzione, che si rinnova<br />

ogni volta nel segno di fondazione dei luoghi. Dunque<br />

s u o l o c o m e ‘ p a l i n s e s t o ’ c o s t r u i t o , m a t e r i a<br />

stratificata, deposito sedimentato di elementi<br />

inerferenti come diagrammi materializzati nel tempo<br />

dai differenti processi di trasformazione. Ma suolo<br />

anche come territorio profondamente scritto, segnato<br />

dalle molteplici vicende che lo hanno de-formato,<br />

Guya Bertelli, FRAMMENTI, scritti di architettura, Milano 2005.<br />

225<br />

segni, tracce, suoli*<br />

solcato,attraversato. Come tale viene letto oggi in<br />

quanto ‘testo’ complesso, segnato da un numero<br />

infinito di ‘segni’, che per essere tradotto ha<br />

b i s o g n o d i u n c o d i c e n u o v o , u n c o d i c e d i<br />

‘traduzione’, capace di interpretare, ogni volta, i<br />

profondi ‘crinali’ che lo hanno definito, le diverse<br />

trame che lo hanno segnato, le molteplici ‘pieghe’<br />

che lo hanno solcato, poiché ogni volta si è trattato<br />

di una-formazione del precedente assetto. Un testo<br />

‘spesso’ dunque, composto da più suoli, sovrapposti,<br />

stratificati, interferenti, per i quali lo ‘scavo’<br />

diviene operazione preliminare di conoscenza,<br />

procedimento selettivo privilegiato che opera per<br />

sezioni, per tagli, per attraversamenti. Proprio lo<br />

‘scavare’ porta infatti alla luce la complessità dei<br />

suoli scoperti, suoli naturali e suoli artificiali,<br />

suoli tecnici e suoli virtuali, i cui segni tuttavia<br />

nascondono una complessità la cui trascrizione<br />

diviene operazione difficile ma necessaria. La stessa<br />

architettura è inscritta, secondo Simmel (3), nella<br />

eterna lotta tra forma creativa e forma distruttiva,<br />

rappresentata dal movimento perenne tra forza<br />

gravitazionale della natura, che spinge verso il<br />

basso e lo “spirito vitale” dell’uomo, che tende<br />

verso l’alto. Un movimento rapresentato in modo<br />

esplicito dall’immagine della ‘rovina’ in quanto<br />

‘materia sospesa’, residuo incompiuto di un’unità<br />

definitivamente perduta: proprio la rovina infatti<br />

“mostra l’equilibrio di questo movimento (…)<br />

equilibrio che manca sia quando l’opera è completa,<br />

poiché piena espressione dello spirito creativo, sia<br />

quando non resta più nulla ed è tornata elemento<br />

naturale” (4).


"Sezione longitudinale della piramide di Cheope", Ghizeh<br />

(Egitto).<br />

"Struttura d’accesso alla grotta di Niaux", Massimiliano<br />

Fuksas, Niaux, (Francia), ,1988.<br />

"Cappella sul monte Rokko", Tadao Ando, Kobe, (Giappone),<br />

1986.<br />

226<br />

Un movimento rapresentato in modo esplicito<br />

dall’immagine della ‘rovina’ in quanto ‘materia<br />

s o s p e s a ’ , r e s i d u o i n c o m p i u t o d i u n ’ u n i t à<br />

definitivamente perduta: proprio la rovina infatti<br />

“mostra l’equilibrio di questo movimento (…)<br />

equilibrio che manca sia quando l’opera è<br />

completa, poiché piena espressione dello spirito<br />

creativo, sia quando non resta più nulla ed è<br />

t o r n a t a e l e m e n t o n a t u r a l e ” ( 4 ) . P r o p r i o<br />

nell’immagine della rovina sembra così riflesso il<br />

s e n s o p r o f o n d o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a , p o i c h é<br />

“l’architettura adopera e ripartisce la gravità e<br />

il senso della materia”(5) nella eterna lotta tra<br />

artificio e natura.<br />

(….) Tra distruzione creativa e creazione<br />

distruttiva sembra essersi retto il dramma stesso<br />

dell’umanità, continuamente sospeso tra la volontà<br />

di recidere il legame con il passato rinnovando il<br />

gesto di ‘fondazione del nuovo ’ e la necessità di<br />

trasformarsi attraverso un recupero attivo delle<br />

’ r o v i n e ’ , c a p a c e d i l e g g e r e n e l l e o r m e<br />

profondamente impresse nei suoli della storia le<br />

matrici della sua modificazione futura. Nonostante<br />

una vasta letteratura abbia letto pertanto la<br />

’rovina’ nella sua accezione negativa, in quanto<br />

senso della perdita e dunque della distruzione,<br />

della lacerazione, della dissoluzione, come lo<br />

stesso etimo ricorda (6), la rivisitazione del<br />

termine in senso trasformativo lo interpreta<br />

nuovamente in quanto parte integrante del processo<br />

di trasformazione stesso. Al limite si potrebbe<br />

dire che una vasta parte dell’architettura di<br />

questo periodo appartenga ad un ’immaginario’<br />

figurativo in gran parte ’distruttivo’, legato<br />

cioè ad immagini rispondenti a “figure della<br />

demolizione” (7); un paesaggio “originario”,<br />

s e c o n d o F r a n c o P u r i n i , “ l u o g o i n i z i a l e e<br />

iniziatico di ogni processo trasformativo di un<br />

intorno del mondo fisico” (8).<br />

Le ’rovine’ della storia<br />

Tale asserzione “consente di riconnettersi alle<br />

sorgenti della vicenda evolutiva relativa ad un<br />

determinato contesto permettendo di ricostituire<br />

l’avvio tramite la potenziale ‘riscrittura’ del<br />

‘principio insediativo (…). Essa richiede un<br />

progetto complesso come quello che serve per<br />

costruire (..) perché il suo effetto principale è<br />

quello di provocare una trasformazione semantica<br />

d i t u t t o i l c a m p o e d i l i z i o i n t e r e s s a t o<br />

dall’operazione di ‘sottrazione’ (9). Se il culto<br />

della rovina può apparire un gesto


Se il culto della rovina può apparire un gesto<br />

regressivo dunque, conservativo e passivo, il suo<br />

recupero in quanto principio attraverso cui fondare<br />

il ‘nuovo’ e non solo in quanto testimonianza<br />

d e l l ’ ’ a n t i c o ’ , a s s u m e l a v a l e n z a d i u n<br />

atteggiamento trasformativo, modificativo e<br />

proiettivo: “nella rovina passato e futuro<br />

coincidono”, poiché “la rovina introduce in una<br />

dimensione diversa del tempo, dove s’annulla ogni<br />

gerarchia…” (10). Essendo dunque il progetto<br />

proiezione del futuro, esso non può che nascere dal<br />

“rudere antico che è in noi” (11); non in quanto<br />

‘oggetto’ dimenticato, ma in quanto processo<br />

ritrovato di un “archeologia del futuro” (12), come<br />

recupero dei principi strutturanti. Tra Viollet Le<br />

Duc e Piranesi sembra dunque aprirsi una terza<br />

possibilità, che rilege le tracce della storia non<br />

come restauro o ricomposizione dei suoi frammenti,<br />

né come ‘fascino’ del rudere legittimante la sua<br />

riproduzione; bensì come impronta ancora attiva<br />

capace di rinnovare ogni volta il gestp della<br />

‘costruzione’; proprio attraverso la tra-scrizione<br />

dei segni, profondamente inscritti nelle tracce del<br />

suolo, è possibile rendere nuovamente comprensibile<br />

la ‘foresta pietrificata’ del paesaggio odierno.<br />

Le ‘tracce’ della forma<br />

Traccia come “principio di decifrazione dei<br />

luoghi”, ma anche “traccia come filo di Arianna<br />

nel labirinto urbano”(13), inscrizione profonda<br />

capace di restituire significato e identità alle<br />

singole parti, in quanto geneticamente impressa<br />

nella loro ragione correlativa. In questo senso<br />

torna ad essere “indizio, o insieme di indizi che,<br />

connessi sapientemente da un principio di<br />

‘ragione’, rivelano la struttura profonda di uno<br />

spazio che ad uno sguardo disattento sembrerebbe<br />

frammentario” (14).<br />

Traccia come ‘logos’ della forma, “paradigma<br />

indiziario che si confronta con il carattere<br />

qualitativo degli eventi”(15), facendosi tramite<br />

necessario per il loro riconoscimento. In questo<br />

senso diviene concetto significativo in quanto<br />

operabile progettualmente, poiché la sua capacità<br />

cognitiva si trasforma nel processo in principio<br />

attivo di trasformazione dei luoghi, ora assumendo<br />

il valore di “tracciato”, in quanto “fissazione<br />

della traccia che ne è all’origine”, ora<br />

definendosi come “tracciamento”, in quanto<br />

prefigurazione di una regola di cui esprime il<br />

principio di generalità.<br />

In questo senso diviene matrice generativa dei<br />

nuovi insediamenti” (16), di cui anticipa la<br />

d i s p o s i z i o n e f u t u r a d i v e n e n e d o p r i n c i p i o<br />

insediativo della loro formazione. "Città Proibita", Pechino (Cina).<br />

227


" Santuario di Kompira", Giappone.<br />

"Museo della memoria", Andrea Bruno,<br />

penisola di Maà, (Cipro) 1987.<br />

228<br />

Se la traccia indica ciò che permane nel processo di<br />

costruzione dei luoghi, essa appartiene dunque al<br />

movimento epigenetico della forma, alla sua logica<br />

profonda, di cui eprime fisicamente il segno.<br />

N o n p i ù r i f e r i m e n t o i n a t t i v o , c o m e s o l o<br />

l’atteggametno romantico era in grado di evocare,<br />

richiamando al ‘modello’ in quanto archetipo, ne<br />

‘residualità’ della forma, come nel caso del<br />

frammento, elemento intermedio tra l’univocità della<br />

rovina e la molteplicità del segno.<br />

Traccia invece come elemento ‘formativo’, che supera<br />

l’indeterminazione polisemica del palinsesto urbano<br />

permanendo come inscrizione profonda nel sostrato<br />

generativo dei luoghi, di cui fissa la logica formale<br />

e la complessa sostanza culturale.<br />

Memoria, misura, materiale<br />

Poiché imprime le profonde ragioni del mutamento nei<br />

suoli della storia, l’immagine della ’traccia’ è<br />

legata da un lato ad un principio di ’misura’, in<br />

quanto materiale necessario alla costruzione dello<br />

spazio, d’altro lato ad un principio di ’memoria’ che<br />

ne garantisce la resistenza nel tempo.<br />

Non memoria passiva però, ricordo nostalgico di tempi<br />

perduti e ormai archiviat negli strati profondi della<br />

storia, ma memoria ’viva’, attiva, dinamica, come già<br />

aveva introdotto la filosofia platonica, ponendo una<br />

netta distinzione tra mnemè, ’memoria naturale’ e<br />

hypomnesis, ’memoria artificiale’, coincidente con il<br />

concetto ’scrittura’ (17). Proprio questa distinzione<br />

consente oggi di poter interpretare la ’memoria’ non<br />

in modo univoco, ma in senso lato come processo di<br />

rinnovamento della forma riconoscibile ai differenti<br />

livelli:<br />

- della ’memoria fisica’, in quanto materiale di<br />

conoscenza che procede per confronto tra riferimenti<br />

formali, assetti fisici, elementi spaziali che, anche<br />

se distanti, vengono nuovamente messi in relazione<br />

p r o p r i o g r a z i e a l l ’ a t t o m n e m o n i c o , p o i c h é<br />

simultaneamente appartenenti ad un medesimo tempo<br />

storico;<br />

- della ‘memoria culturale’, in quanto riconoscimento<br />

di eventi sociali accaduti nello spazio e memorizzati<br />

nel tempo, e dunque resi universalmente noti proprio<br />

attraverso il processo di memorizzazione dell’evento<br />

stesso; processo estremamente evidente nei rituali di<br />

passaggio, che rinnovano il riconoscimento del luogo<br />

nella ’ripetizione’ temporale del gesto;<br />

- della ’memoria genetica’ infine, impressa nelle<br />

tracce profonde che segnano i suoli della storia,<br />

ogni volta richiamate nell’atto progettuale, unico in<br />

grado di riattivarne la contemporaneità attuando e<br />

rendendo ’viva’ la potenzialità trasformativa


latente (….). Oggi il significato della memoria<br />

viene messo in crisi dalla crescente accelerazione<br />

degli eventi, prodotta dai noti processi di<br />

informatizzazione e tecnologizzazione. Riassorbita<br />

nelle memorie artificiali dei media e dei computer,<br />

“l’identità sociale memorizzata dalla società<br />

tradizionale sembra aver cessato di esistere” (18),<br />

e con essa il significato di memoria corporea,<br />

regolata e normalizzata dal flusso del tempo. Mentre<br />

il concetto di città si indebolisce dunque<br />

nell’immagine globale della ’città universale’,<br />

torna ad essere importante rivelare le specificità<br />

dei segni impressi nella storia, unica a poter<br />

resistere a questo processo di annullamento<br />

generalizzato. Solo in questo modo le tracce<br />

geneticamente impresse nella memoria dei luoghi<br />

possono diventare, se riportate alla luce, la chiave<br />

di decifrazione del labirinto urbano e dunque<br />

l’inizio della sua trasformazione futura. Poiché<br />

proprio la memoria dei luoghi, resa nuovamente<br />

attiva dell’evento progettuale, agisce sulle<br />

variazioni di forma, rinnovando quel passaggio che<br />

lega l’assetto precedente a quello futuro, in virtù<br />

di una nuova configurazione riconoscibile come<br />

variazione strutturale.<br />

NOTE<br />

1 - Mario G. Cusmano, Misura misurabile, Franco Angeli,<br />

Milano 1997, p. 31<br />

2 - Mario G. Cusmano, ibidem, p. 35<br />

3 - G. Simmel, Cultura filosofica, 1911<br />

4-5 - P. Panza, G. Simmel, Die Ruine, Estetica ed<br />

architettura, Milano 1998<br />

6 - Ruinam da ruere: precipitare, cadere giù crollare<br />

7 - A. Criconia (a cura di) “Figure della demolizione”, Costa<br />

& Nolan, Genova-Milano 1998<br />

8 - F. Purini, “Costruire la demolizione”, in: “Figure della<br />

demolizione”, cit, pag. 77<br />

9 - F. Purini, cit<br />

10 - A. Anselmi, in: C. Conforti (a cura di), Alessandro<br />

Anselmi, 1995<br />

11 - A. Anselmi, cit<br />

12 - S. Crotti, Verso un’archeologia del futuro urbano, in<br />

Urbanistica n. 88, aprile 1987<br />

1 3 - S . C r o t t i , S t r a d e , f r o n t i e r e i n t e r n e d e l l a<br />

trasformazione urbana, im Urbanistica n. 83, Maggio 1986<br />

14 - F. Zanni, Scritti d architettura (a cura di M. Tadi),<br />

Milano 1998<br />

15 - F. Zanni, ibidem<br />

1 6 - S . C r o t t i , S t r a d e , f r o n t i e r e i n t e r n e d e l l a<br />

trasformazione urbana, cit.<br />

17 - F. Choay, “L’orizzonte del posturbano” (a cura di E.<br />

D’Alfonso), Officina Edizioni, Roma 1992<br />

18 - F. Choay, “L’orizzonte del posturbano”, cit.<br />

229<br />

Le Corbusier, Piano per Algeri


Tela.<br />

230


231<br />

Aldo Rossi, Tessiture Sarde<br />

Per 25 anni, fino alla sua morte e senza nessun<br />

clamore, Aldo Rossi ha frequentato la Sardegna. Qui,<br />

spesso incredulo, accompagnato dall'amico Bimbia<br />

F r e s u , h a i n c o n t r a t o o p e r e m i l l e n a r i e c h e<br />

risuonavano negli archetipi della sua architettura;<br />

ha scoperto luoghi e costruzioni antichissime che<br />

sembravano conferme esemplari dei suoi studi di<br />

analisi urbana. Seguendo un filo mai interrotto con<br />

l'isola, Rossi ha dato forma con il linguaggio della<br />

tessitura alla ricerca di una geometria "disfatta".<br />

Nella composizione dei suoi tappeti si può infatti<br />

cogliere l'espressione di quell'ordine "meno<br />

astratto e definitivo" che andava indagando nei suoi<br />

ultimi lavori.<br />

“Un mondo vivente e nel contempo scomparso, di una<br />

bellezza che no possiamo misurare con il metro<br />

classico… come i cocci e i vetri che si trovano<br />

nella sabbia collegati tra loro solo dalla<br />

d i s t r u z i o n e , i n c a p a c i d i f o r n i c i i l s e n s o<br />

dell'ordine perduto. Così la mia geometria si<br />

sgretolava. Oppure cresceva in modo singolare come<br />

capita al corpo dei ragazzi dopo una lunga febbre. I<br />

miei primi disegni erano esaltati da questo stato<br />

febbrile e si rivelava come l'ordine di queste<br />

composizioni non cercasse certo disordine, come<br />

possono credere gli stolti, ma un ordine meno strato<br />

e definitivo. Il tutto si ricompone soltanto nel<br />

monumento di Santa Cristina dove la discesa<br />

nell'acqua avviene in forme geometriche assolute che<br />

riscattano il disegno osteologico dell'intorno<br />

nuragico. In questo tempo immobile la genesi e la<br />

storia sono solo disagio. Cerco di capire le cose<br />

come gli gnostici, privilegiando il fenomeno in sè,<br />

piuttosto che la sua genesi e la sua estensione. Non<br />

so come e se da tutto questo e altro ancora siano<br />

nati i disegni dei tappeti nuragici.”<br />

(Aldo Rossi, la cifra del tappeto, in Aldo Rossi<br />

Tessiture Sarde, 1988)


Tappeto, Aldo Rossi


Tappeto, Aldo Rossi


micro-urbanistica soffice<br />

234<br />

Una delle suggestione che sempre mi ha colpito di<br />

Aldo Rossi è il senso della "lontananza". Ovvero lo<br />

scarto metafisico rispetto alla durezza del mondo<br />

reale e l'evocazione di scenari lontani e immobili,<br />

dove finalmente esistano l'arcadia e la pace. Un<br />

coinvolgimento cioè nelle geometrie e nei colori<br />

delle proto-forme architettoniche, assunte come<br />

garanzie di racconto con<br />

la profondità della storia. Garanzie reperite anche<br />

nella poetiche delle materie e nelle tecniche<br />

anch'esse basiche e lontane, così distanti da<br />

risultare incontaminate e pure, come partecipi<br />

della geografia e della crosta terrestre.<br />

Lontananza fuori dalla violenza del tempo corrente,<br />

ma dentro la misura senza mutamento della<br />

grandiosità dello spazio. Leggo in quest'ottica<br />

l'eccezionale sequenza dei "tappeti sardi" di<br />

Rossi, espressi come un infinito viaggio disegnando<br />

con la lana a volo d'uccello sopra le sue più amate<br />

forme architettoniche, sopra i nuraghi e la<br />

Sardegna. Mi ricorda qualcosa di diminuente<br />

intenso, quando chiedemmo ad Aldo di disegnare una<br />

caffettiera: anche quella occasione innescò in lui<br />

un forte innamoramento, che diede luogo ad infiniti<br />

disegni con skyline di città lontane, protette da<br />

enorme caffettiere fatte come cupole. L'artigianato<br />

del tappeto sardo è basico, profondo e schematico,<br />

e queste virtù bene le ha capite Aldo nel collegare<br />

il proprio stile allo stile sardo, un rapporto<br />

misterioso che raramente riesce fra il genius lochi<br />

e il progettista distante. Il piacere, forse<br />

irraggiungibile nel reale, di vedere calpestata e<br />

vissuta la propria "micro-urbanistica soffice",<br />

penso abbia ispirato questi tappeti finora quasi<br />

sconosciuti. Indubbiamente questa serie è un<br />

capolavoro che mostra pure un aspetto nascosto<br />

della sua opera, quello della tenerezza. Che alla<br />

fine però si trasforma e si ribalta in una<br />

rappresentazione tragica nell'ultimo trittico<br />

chiamato Prima della storia, dove una calligrafia<br />

ipnotica, quasi da grafitista, rappresenta agitati<br />

cumuli di ossa compressi in abitacoli strettissimi:<br />

il tappeto sotto il tappeto.<br />

di A. Mendini da Domus, Speciale Sardegna, marzo<br />

2006


Tappeto “I Nuraghi”, Aldo Rossi<br />

235


Tesi.


<strong>Primitivo</strong>.<br />

l’Architettura deve tornare alle origini.<br />

238


239<br />

Autenticità<br />

Una splendida espressione che di coltivava con<br />

fervore ai tempo della civiltà era: "l'autentico".<br />

Spesso lo mettevano in connessione strettissima con<br />

in altro termine che ci era caro: "l'origine".<br />

Avevamo questa idea che in profondità, all'origine<br />

delle cose e dei gesti, dimorasse il luogo aurorale<br />

del loro affacciarsi alla creazione: lì, dove essi<br />

iniziavano, si porgeva scorgere il loro profilo<br />

"autentico". Lo immaginavamo, ovviamente, alto e<br />

nobile: e si misurava la tensione morale di un gesto<br />

o di un'idea o di un comportamento proprio misurando<br />

la sua prossimità all'autenticità originaria. Era un<br />

modo modo di impostare le cose piuttosto fragile, ma<br />

era chiaro, e felicemente normativo. Faceva<br />

intravedere una regola: ed era una regola "bella".<br />

Esteticamente apprezzabile, e dunque in qualche modo,<br />

fondata.<br />

Ma adesso? Se c'è una cosa che i barbari tendono a<br />

polverizzare sono proprio le nozioni di autentico e<br />

di origine. Sono convinti che il senso si sviluppi<br />

solo dove le cose si mettono in movimento, entrando<br />

in sequenza le une con le altre, per cui la categoria<br />

di "origine" suona loro piuttosto insignificante. E'<br />

quasi un luogo di immobile solitudine in cui il senso<br />

delle cose è ancora tutto da venire. Dove noi<br />

v e d e v a m o i l n i d o s a c r o d e l l ' a u t e n t i c o ,<br />

dell'originario, loro vedono l'antro di una<br />

preistoria in cui il mondo è poco più che una<br />

promessa. Dove noi collocavamo l'esistere per<br />

l'eccellenza, autentico e puro, loro leggono soltanto<br />

un iniziale momento di pericolosa fragilità: la forza<br />

del senso, per loro, è altrove. E' dopo.<br />

A. Baricco, I barbari, Feltrinelli, 2006.


Paesaggio primitivo.<br />

240


241<br />

Metamorphose<br />

il quadrato deve tornare quadrato


Ombre.<br />

Paesaggi con ombra e paesaggi senza ombra.<br />

Escher, Day and Night, 1938.<br />

242


Le ombre diventano uno strumento di analisi<br />

morfologica e insediativa in un suolo composto da<br />

impronte del viandante e paesaggi senza ombra in<br />

cui la physis (natura) incontra la techne<br />

(cultura).<br />

i paesaggi con ombra quali case. edifici. salite. e<br />

costruzioni deli uomini si intrecciano con quelli<br />

senza ombra dei campi. delle strade. del movimento.<br />

e dalla loro unione nascono altri paesaggi. dove<br />

hanno luogo incontri chiacchere giochi litigi<br />

invidie corteggiamenti e orgoglio. luoghi. che in<br />

quanto tali avranno una loro riconoscibilità.<br />

memoria. e identità.<br />

243


il Potenziale.<br />

carattere individuale di un paesaggio.<br />

244


245<br />

ogni paesaggio dev’essere trasformato.<br />

continuamente.<br />

l’idea di potenziale espressivo del paesaggio è<br />

ciò che permette di pensare che la radice della<br />

bellezza r della disarmonia di un luogo sia da<br />

rintracciarsi appunto nel riconoscimento o nel<br />

m i s c o n o s c i m e n t o d e l “ c a r a t t e r e<br />

individuale” (genius) del luogo: nell’accordarsi o<br />

generare cacofonie.<br />

il progetto potrebbe esser la realizzazione di un<br />

dialogo con il luogo, di una relazione con”ciò che<br />

vuole” il luogo e suggerisca la memoria inserita<br />

in esso.<br />

ma il termine “potenziale” sottolinea come la<br />

relazione non sia affatto da pensarsi in termine<br />

di determinismo, e come, almeno entro certi<br />

limiti, l’interpretazione possa essere rinnovata e<br />

approfondita, con sempre nuovi (ma consonanti)<br />

arricchimenti.


desiderio.<br />

la terra deve ritornare ai contadini.<br />

246<br />

Murales di Orgosolo, Sardegna


247<br />

Murales di Orgosolo, Sardegna.


verso un’agricoltura urbana.<br />

progetti città-campagna.<br />

248<br />

Escher, Puddle, 1952


249<br />

Oggi l’agricoltura urbana torna ad essere oggetto<br />

d i s t u d i o p e r i r i c e r c a t o r i , s t u d i o s i ,<br />

pianificatori e architetti. “Utilizzato nei paesi<br />

in via di sviluppo, il concetto di urban<br />

agricolture designa tutte le attività agricole<br />

intra- e peri urbane con finalità precipuamente<br />

alimentari” scrive Pierre Donadieu sottolineando<br />

la volontà di valorizzazione dell’agricolo in<br />

rapporto alla “domanda economica, ecologica,<br />

sociale e culturale del mercato cittadino vicino<br />

ai luoghi di produzione”. Partendo da analisi<br />

svolte a scala globale atte a definire i caratteri<br />

e i connotati dell’agricoltura urbana emergono<br />

alcune pratiche volte a creare un interazione<br />

città-campagna. Si possono distinguere tre filoni<br />

di ricerca e sperimentazione volte al ripensamento<br />

del rapporto città-campagna che si concretizzano<br />

in forma di diversi interventi e progetti.<br />

Appendice della città, la campagna doveva essere<br />

addomesticata, colonizzata, annessa alla vita<br />

urbana” per cui il legame città campagna è<br />

strettissimo e risale alle prime definizioni del<br />

concetto di campagna, termine introdotto in<br />

rapporto alla città.


progetti.<br />

Esempi di progetti integrati città- campagna<br />

La sezione “esempi di progetti integrati città-<br />

campagna” del sito è rivolta all’identificazione di<br />

piu’ declinazioni dell’agricoltura urbana: l’<br />

interpretazione e la lettura del territorio rurale,<br />

l’utilizzo della risorsa tempo libero e la<br />

produzione, intesa come domanda di prodotti<br />

alimentari che si concretizzano nell’offerta di<br />

circuiti brevi di commercializzazione o attività di<br />

raccolta diretta nei campi (modello pick your own di<br />

alcune tipologie di intervento in forma di progetti<br />

ipotizzati e realizzati, alle diverse scale e in<br />

diversi ambiti europei). Questa analisi intende<br />

evidenziare i caratteri comuni ai diversi interventi<br />

alle diverse scale del progetto, nella definizione di<br />

un nuovo scenario progettuale legato allo spazio<br />

rurale ripensato in funzione dei cambiamenti di tale<br />

aree nel terzo millennio “La pianificazione di<br />

campagne urbane attorno alle città presuppone il<br />

ricorso a forme di agricoltura urbana ma anche<br />

periurbana e rurale, e soprattutto la capacità di<br />

costruire relazioni sensibili con lo spazio rurale,<br />

tali da consentire la definizione di una nuova<br />

ruralità non piu’ limitata alle mere attività<br />

agricola e forestale.”<br />

Da un analisi di diversi approcci disciplinari si<br />

delineano alcune linee di pensiero che rimettono in<br />

discussione il rapporto tra città e campagna e<br />

introducono un nuovo modo di avvicinarsi al progetto<br />

dell’agricoltura urbana. Analizzando i diversi<br />

progetti a livello europeo e nello specifico anche<br />

alcuni progetti relativi all’area metropolitana<br />

250<br />

Milanese si cerca di definire quali sono gli approcci<br />

oggi utilizzati.<br />

Interpretazione e lettura del territorio rurale<br />

Il primo approccio riguarda l’ interpretazione e la<br />

lettura del territorio rurale, a questo proposito<br />

emergono alcuni interventi significativi a livello di<br />

analisi territoriale come la Barcelona Land Grid<br />

(1996-1999) di Actar Architectura, presentato in<br />

occasione della mostra: “1856-1999 : Barcelona<br />

Contemporania” tenuta al Contemporary Cultural Centre<br />

in Barcelona, nel 1995. Appare una mappatura del<br />

territorio agricolo che rivela la presenza di una<br />

griglia basata su infrastrutture ed orientata al<br />

paesaggio, fortemente legata alla geografia e<br />

articolante il territorio. Un altro progetto di<br />

questa sezione è il parco Unimetal, Caen Francia, di<br />

Dominque Perrault. Il progetto si colloca in unarea<br />

di 700 ettari che dopo la dimissione di un’industria<br />

metallurgica è rimasta libera. La proposta di<br />

progetto introduce una griglia geometrica con un<br />

orditura di 100metri per 100 metri, che organizza il<br />

disegno del parco e definisce un “pre-paesaggio” Il<br />

parco è disegnato da pochi elementi, la grigia, un<br />

vuoto centrale ed un viale alberato. Nella griglia<br />

vengono ipotizzate colture e orditure differenti. Il<br />

disegno del rurale in questo caso è dato “a priori”.<br />

Si evidenzia da questi esempi progettuali la<br />

necessità di ridare un valore figurativo alla<br />

rappresentazione del rurale che permetta di far<br />

emergere le relazioni con il contesto relazionale e<br />

circostante. condizione di possibilità di ogni<br />

pratica e percezione paesistiche.”


Altre tendenze emergono nella progettazione del<br />

paesaggio rurale, nelle pratiche di progetto<br />

applicate, e si concretizzano nell’utilizzo della<br />

risorsa tempo libero e produzione. Il tempo libero<br />

comprende sia servizi di natura pedagogica, come<br />

visite alle fattorie, turistico ricettiva, come<br />

agriturismi e industria alberghiera e ricreativa<br />

nella tutela e valorizzazione dei paesaggi rurali<br />

(caccia pesca, paesaggi minimi, frequentazione per<br />

svago). Per incentivare la frequentazione vengono<br />

proposte iniziative legate alla land-art, come<br />

l’installazione di Marta Swartz a Mechtenberg,<br />

nell’Emscher Park. L’intervento fa parte di un piu’<br />

ampio progetto di riqualificazione legato alla<br />

creazione di parchi a livello regionale e copre un<br />

area di 290 ettari dove viene sperimentato<br />

l’utilizzo di installazioni che uniscano all’uso<br />

agricolo la risorsa tempo libero: l’arte opera<br />

direttamente sulla base naturale “ in situ”. In<br />

tempi piu’ recenti le pratiche di progetto di<br />

paesaggio rurale prevedono la valorizzazione del<br />

prodotto, inteso sia come prodotto alimentare che<br />

nell’agricoltura peri urbana è tradizionalmente<br />

focalizzato sui prodotti freschi e fragili<br />

(agricoltura, orticoltura), sia come prodotti legati<br />

all’ecologia come il bio- diesel e bio-carburanti.<br />

Una suggestione arriva dagli Flk, presentata alla<br />

b i e n n a l e d i A r c h i t e t t u r a 2 0 0 7 , “ C i t t à e<br />

trasformazioni” Il progetto riguarda gli spazi<br />

rurali in Irlanda e prevede una rete stradale, con<br />

corsie per mezzi pubblici ed aree agro-energetiche<br />

necessarie al servizio pubblico.<br />

Infine l’agricoltura urbana si presta all’offerta di<br />

servizi legati all’ecologia, come il riciclo dei<br />

rifiuti e la fito depurazione. Esemplari sono i<br />

p r o g e t t i d i V i e t N g o e L e m n a C o r p o r a t i o n<br />

rispettivamente a Boulder City, Nevada e a<br />

Gorgonzola, Italia. I progetti con tecnologia Lemna<br />

System sono disegnati come “corridoi verdi”e segni<br />

riconoscibili nel paesaggio ed allo stesso tempo<br />

permettono il processo di depurazione delle acque.”<br />

L a s f i d a è t r a s f o r m a r e q u e s t i p r o g e t t i i n<br />

significative e interessanti parti del nostro<br />

paesaggio” scrive Viet Ngo.<br />

251<br />

le ipotesi tempo libero,<br />

ecologia e produzione.<br />

Intervento di Martha Swartz<br />

Progetto di Viet Ngo


un riferimento imprescindibile<br />

Réaménagement du site UNIMETAL,<br />

Caen<br />

di Dominique Perrault<br />

Il progetto si colloca in un’area di 700 ettari che<br />

dopo la dimissione di un’industria metallurgica è<br />

rimasta libera. La proposta di progetto introduce<br />

una griglia geometrica con un orditura di 100metri<br />

per 100 metri, che organizza il disegno del parco e<br />

definisce un “pre-paesaggio” Il parco è disegnato<br />

da pochi elementi, la grigia, un vuoto centrale ed<br />

un viale alberato. Nella griglia vengono ipotizzate<br />

colture e orditure differenti. Il disegno del<br />

rurale in questo caso è dato “a priori”. Si<br />

evidenzia da questi esempi progettuali la necessità<br />

d i r i d a r e u n v a l o r e f i g u r a t i v o a l l a<br />

rappresentazione del rurale che permetta di far<br />

emergere le relazioni con il contesto relazionale e<br />

circostante. Nasce una nuova estetica del rurale<br />

volta a elaborare dei modelli rappresentativi<br />

autonomi attraverso cui lo sguardo, intriso di tali<br />

modelli, agisce indirettamente sul paesaggio (in<br />

visu) e restituisce la nozione di “nature<br />

artialisèe”, artificiata. “L’ artificiazione è<br />

dunque la condizione di possibilità di ogni pratica<br />

e percezione paesistiche.”<br />

252<br />

Modello e planimetria Reamenagement du site Unimetal, Caen


253<br />

dettagli.<br />

Réaménagement du site UNIMETAL,Caen<br />

di Dominique Perrault


desiderio.<br />

smilitarizzazione.<br />

254<br />

Murales di Orgosolo, Sardegna


Murales di Orgosolo, Sardegna<br />

255


manifestazione di un desiderio.<br />

So elli<br />

Figlioli di stu sole chì piccia le cuscenze<br />

E scrivenu a storia contr'a le preputenze<br />

Fratelli di stu ventu chi porta le sperenze<br />

Di populu Corsu elli so le sustenze<br />

Anu fattu a scelta di campà per dumane<br />

Acelli di a notte ch'un temenu L'arcane<br />

A l'orlu di a machja Quandu s'arriza a mane<br />

Stendenu lu volu versu d'altre montagne<br />

Sò elli<br />

E si tù è so eiu à porghjelli la manu<br />

E simu centu milla è un populu sanu<br />

Quandu fiurisce a machja à l'entre di lu branu<br />

A custruì l'avvene è suminà lu granu<br />

Sò elli è simu noi machjaghjolu è cappiaghju<br />

Fiaccule mai spente da sparghje lu messaghju<br />

In lettere di focu à lu mese di maghju<br />

Quandu a la turchina cumminciò lu viaghju<br />

Sò elli<br />

Senza mai stancià nè mai rifiatà<br />

Cumbattenti d'onore di Santa Lihertà<br />

Parechji sò spariti à o fior' di l'età<br />

Surghjent'è acque linde di lu fium'unità<br />

Parechji sò spariti à o fior' di l'età<br />

Surghjent'è acque linde di lu fium'unità.<br />

256


la prima volta in cui proposi quest’idea al Prof.<br />

Stevan mi sentii rispondere che “ormai non ci sono più<br />

i contadini..”<br />

è vero. ma solo in parte.<br />

non vi sono più i contadini. di un tempo.<br />

e soprattutto questo non significa che anche<br />

l’agricoltura sia morta. tutt’altro.<br />

oggi. come mai. se ne avverte il bisogno.<br />

la necessità di un ritorno.<br />

ma se ci affidassimo solo ed esclusivamente ad un<br />

nostalgica speranza ricadremmo nella visione opposta<br />

della tesi.<br />

l’idea di ricercare altrove “le mani” pare invece<br />

essere tutt’oggi l’unico appiglio a cui aggrapparsi.<br />

e forse rappresenta anche un gran passo nell’evoluzione<br />

della civiltà.<br />

il sistema delle carceri italiani è un fallimento<br />

culturale ancor prima che economico.<br />

va rivisto.<br />

257


Oggi in Cina vi sono almeno 1045 LAOGAI, dove<br />

milioni di uomini donne e bambini sono condannati ai<br />

lavori forzati a vantaggio economico del regime<br />

comunista cinese e di numerose multinazionali che<br />

investono o producono in Cina.<br />

Mao Zedong inaugurò i LAOGAI nel 1950, seguendo il<br />

modello staliniano dei GU-LAG. Mentre i LAGER<br />

nazisti furono chiusi nel 1945 ed i GU-LAG sovietici<br />

sono in disuso dagli anni ’90, i LAOGAI cinesi sono<br />

tuttora operanti. La parola LAOGAI è in realtà una<br />

sigla ricavata da “LAODONG GAIZAO DUI” e significa<br />

“riforma attraverso il lavoro”.<br />

I LAOGAI sono tuttora strettamente funzionali allo<br />

stato totalitario cinese per un doppio scopo: a.<br />

perpetuare la macchina dell’intimidazione e del<br />

terrore, con il lavaggio del cervello per gli<br />

oppositori politici; b. fornire un’inesauribile<br />

forza lavoro a costo zero. Le condizioni di vita nei<br />

LAOGAI sono orribili. L’orario di lavoro arriva fino<br />

a 16 ore al giorno, secondo il tipo di attività<br />

praticata (industria, campi o miniere). Sicurezza ed<br />

igiene non esistono. Il giaciglio è sulla nuda<br />

pietra. Il cibo è inadeguato e sempre somministrato<br />

in proporzione al lavoro eseguito. La fame è la<br />

fedele compagna del detenuto. Fortunato chi lavora<br />

nei campi perché può trovare serpenti, rane e tane<br />

di ratti con chic¬chi di soia o grano per sfamarsi.<br />

Sfortunato il detenuto che lavora nell’industria in<br />

città. I pestaggi e le torture sono all’ordine del<br />

giorno. Frequenti le scariche elettriche e la<br />

sospensione per le braccia. Manfred Nowak, inviato<br />

delle Nazioni Unite che ispezionò nel dicembre 2005<br />

alcune prigioni in Cina, ha denunciato il continuo<br />

abuso della tortura e chiesto al Governo di Pechino<br />

di eliminare le esecuzioni capitali per crimini non<br />

violenti o per ragioni economiche. Nel suo rapporto<br />

del 10 marzo 2006 ha denunciato anche le confessioni<br />

estorte con la tortura. Le punizioni nei LAOGAI<br />

includono pure l’isolamento forzato per numerosi<br />

258<br />

un’esperienza. i laogai cinesi.<br />

giorni, quasi sempre senza cibo, in cellette di<br />

circa due-tre metri cubi, in compagnia dei propri<br />

escrementi. Non è sorprendente che tale clima di<br />

abusi, fame, continui maltrattamenti e vessazioni<br />

induca i detenuti persino al suicidio.<br />

La peculiarità del sistema LAOGAI, rispetto ai<br />

precedenti modelli sovietici e nazisti, è il<br />

sistematico lavaggio del cervello del detenuto.<br />

Questo si attua mediante l’indottrinamento politico<br />

quotidiano sulle verità infallibili del comunismo e<br />

mediante l’autocritica. L’indottrinamento politico<br />

si effettua con “sessioni di studio” giornaliere,<br />

che hanno luogo dopo le lunghe e dure ore di lavoro<br />

forzato. L’autocritica ha, invece, luogo davanti ai<br />

sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata<br />

a “riformare” la personalità di chi si auto-accusa.<br />

Innanzitutto si devono elencare e analizzare le<br />

proprie colpe. Successivamente ci si deve accusare<br />

pubblicamente di averle commesse, procedendo alla<br />

riforma della propria personalità, per diventare una<br />

“nuova persona socialista”. E’ necessario infine<br />

mostrare - con i fatti - la propria lealtà al<br />

Partito, spesso denunciando i propri amici e<br />

parenti, i quali a loro volta sono costretti ad<br />

accusare e condannare il detenuto.<br />

Tutto ciò continua ancora oggi, nel terzo millennio.<br />

Lu Decheng, uno dei tre famosi giovani che<br />

lanciarono gusci d’uova pieni di vernice sul<br />

ritratto di Mao Zedong in Piazza Tian An Men il 23<br />

maggio del 1989, detenuto nei LAOGAI per 9 anni,<br />

durante la sua intervista con l’agenzia di stampa<br />

Asianews, il 4 giugno 2007, illustra la sua<br />

esperienza nei LAOGAI. Ha detto Lu Decheng “Ho<br />

passato 9 anni in un laogai (campo di lavoro<br />

forzato, di “riforma attraverso il lavoro”). Era in<br />

realtà una fabbrica che produceva autoveicoli.<br />

Eravamo costretti al lavoro forzato per 15-16 ore al<br />

giorno.. Dopo il lavoro dovevamo seguire le<br />

‘sessioni di studio’, di indottrinamento forzato,


dovevano trasformarci in persone fiduciose nel<br />

socialismo. La situazione oggi in molte fabbriche<br />

della Cina è come ai lavori forzati.<br />

Tuttora gli arresti e le uccisioni nei LAOGAI<br />

continuano.<br />

Una parte della grande struttura dei LAOGAI si<br />

chiama LAOJIAO (Laojiaosuo o rieducazione attraverso<br />

il lavoro). Il LAOJIAO è un sistema di “detenzione<br />

amministrativa” per cui si può essere imprigionati<br />

direttamente dalla polizia senza nessuna sentenza,<br />

fino a 3 anni. Il LAOJIAO è infatti, principalmente,<br />

usato per le persecuzioni contro dissidenti,<br />

religiosi e credenti di tutte le religioni.<br />

Il Governo Cinese ha recentemente comunicato una<br />

proposta di legge che riformera’ il sistema dei<br />

campi di lavoro forzato, LAOJIAO. Secondo Amnesty<br />

International, però, il tema della riforma della<br />

“rieducazione attraverso il lavoro” (LAOJIAO) è<br />

nell’agenda legislativa cinese da oltre due anni.<br />

Nel suo comunicato del 18 ottobre 2007, la stessa<br />

organizzazione ha chiesto al Comitato Permanente del<br />

Congresso Nazionale del Popolo di garantire che<br />

qualsiasi normativa sostituisca quella oggi in<br />

vigore sia perfettamente in linea con gli standard<br />

internazionali sui diritti umani, compresi il<br />

diritto a un giusto processo e la libertà dagli<br />

arresti arbitrari.<br />

Purtroppo spesso le “riforme” proposte all’interno<br />

del regime cinese sono solo modifiche cosmetiche<br />

dirette alla “ricostruzione di immagine” del paese,<br />

che deve apparire “armonioso” in ogni suo aspetto.<br />

Infatti, secondo un articolo di Voice of Asia del 1°<br />

marzo 2007. Luo Gan, capo della Commissione<br />

Giustizia, ha confermato l’importanza di mantenere<br />

il sistema del LAOJIAO.<br />

Il LAOJIAO è lo strumento prioritario di repressione<br />

contro il Falun Gong, una pratica religiosa cinese<br />

con elementi di confucianesimo, buddismo, taoismo ed<br />

esercizi fisici. Infatti, dal 1999 è in corso una<br />

durissima persecuzione contro i Falun Gong, che<br />

vengono arrestati e uccisi e i cui organi,<br />

principalmente il fegato, i reni e la cornea,<br />

vengono venduti a clienti cinesi, asiatici e<br />

o c c i d e n t a l i p e r a l t i p r o f i t t i . L a s t a m p a<br />

internazionale, il Congresso USA e numerosi politici<br />

hanno denunciato questo crimine.<br />

David Kilgour, ex segretario di stato canadese, e<br />

David Matas, avvocato, hanno pubblicato un rapporto<br />

sulla “Conferma di espianti di organi a praticanti<br />

del Falun Gong”. Questo rapporto è stato rivisto ed<br />

aggiornato nel gennaio 2007.<br />

Come abbiamo detto, il secondo scopo dei LAOGAI è<br />

quello di fornire un’enorme forza lavoro a costo<br />

zero. L’importanza economica dei LAOGAI per il<br />

regime cinese è anche fondamentale per conquistare i<br />

259<br />

mercati stranieri. Mentre, inizialmente, la<br />

produzione nei LAOGAI riguardava articoli e prodotti<br />

di facile esecuzione, destinati soprattutto al<br />

mercato interno, oggi, nei LAOGAI si produce di<br />

tutto: giocattoli, scarpe, articoli per la casa,<br />

mobili, macchinari di ogni genere, prodotti tessili<br />

ed agricoli, computer, componenti elettronici,<br />

autobus, etc., coprendo ogni settore merceologico.<br />

La produzione ora non è più solo per il mercato<br />

interno, ma soprattutto per l’esportazione.<br />

Poiché nasce da una forza lavoro a costo zero, la<br />

produzione dei LAOGAI è in continua crescita. In<br />

Cina vige ancora la dittatura del Partito Comunista<br />

che controlla i tre poteri, legislativo, esecutivo e<br />

giudiziario. Il sindacato, di proporzioni minime con<br />

centoquarantamila membri su una popolazione di oltre<br />

un miliardo e trecento milioni di persone, è anche<br />

sottoposto al regime. Il lavoratore senza diritti è,<br />

quindi, anche senza difesa.<br />

Escher, Relativity, 1953


un diario.<br />

di Federico Nicolaci<br />

mi ha profondamente commosso questo diario.<br />

scritto durante il periodo di permanenza nell’ospedale<br />

psichiatrico giudiziario di Castiglione delle Stiviere<br />

in provincia di Mantova.<br />

vivere in un stanza. misurare ogni singola parola.<br />

restare. venir legati. drogati. non mollare. neppure<br />

quando tutti intorno a te cercano di convincerti che<br />

sei pazzo. mi ha ricordato un passo de -Il silenzio<br />

delle allodole-.<br />

“una volta mia nonna mi disse che imprigionare<br />

un'allodola è una delle cose più crudeli che si<br />

possano fare. me ne parlava spesso. mi raccontò la<br />

storia di un uomo che ne aveva rinchiuso una in una<br />

gabbia miniscola. l'allodola soffriva perchè non era<br />

più libera. e non cantava più perchè non era più<br />

felice. ci provò in tutti i modi..<br />

eppure lei si rifiutò ancora di cantare. non le diede<br />

più nulla da mangiare. non pulì più la gabbia. lasciò<br />

che lei marcisse nello sporco.<br />

nonostante tutto l'allodola restò muta.”<br />

e nel silenzio Federico trovò sfogo nella scrittura.<br />

nel disegno. sublime. di chi ha visto “qualcosa”..<br />

le sue parole. i suoi schizzi. mi hanno fatto aprire<br />

gli occhi su tanti temi. tra cui il ruolo di grande<br />

responsabilità che l’architetto ha all’interno della<br />

società. delegato a ben altri disegni più grandi.<br />

già. ne son sempre più convinto.<br />

l’architetto deve tornare a dar forma ai desideri<br />

della gente come Federico. e oggi in questo scritto io<br />

cerco di dargli giustizia..<br />

260


261


262


263


perchè parlare dell’inferno.<br />

il passo dell’allodola citato prima racconta la<br />

storia di Bobby Sands. pubblicata interamente in -Un<br />

giorno della mia vita- sottotitolato -L'inferno del<br />

carcere e la tragedia dell'Irlanda in lotta.-<br />

(Feltrinelli, Milano marzo 1996).<br />

Nell’introduzione Sean MacBride scrive:<br />

"Risolvete, o saggi uomini, quest'enigma:<br />

Che accadrà se il sogno si avvera?<br />

Che accadrà se il sogno si avvera?<br />

E se milioni di non nati dimorassero<br />

Nella casa cui ho dato forma nel mio cuore,<br />

La nobile casa dei miei pensieri?<br />

Fu follia o grazia?<br />

Non saranno gli uomini a giudicarmi:<br />

Sarà Dio”.<br />

[...]<br />

“Risolvete, o saggi uomini”..<br />

264<br />

Escher, The Hell


Escher, Butterfly<br />

265<br />

vederla crescere.<br />

e darle spazio.<br />

in un cella in cui tutto resta uguale.<br />

nella quale passi la maggior parte del tempo a<br />

dormire. a fissare il muro.<br />

in cui ti son concesse poche ore d’aria.<br />

avere una pianta.<br />

qualcosa che cresce.<br />

è forse l’unico segnale che ti fa accorgere del<br />

passare del tempo.<br />

ma non solo.<br />

è forse l’unica cosa che ti fa sentire ancora<br />

importante. necessario.<br />

l’Agricoltura è la strada che può portare davvero<br />

a l l a r i e d u c a z i o n e a t t r a v e r s o i l l a v o r o .<br />

all’autosufficienza delle carceri.<br />

e a condizioni di vita più umane.<br />

più dignitose.


esito progettuale.<br />

Pieve Emanuele


268


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277


280


281


Architettura primitiva.


L’architettura deve ritornare a ispirare il comportamento degli Uomini


una visione.<br />

una città di uomini volanti.<br />

284


Prometeo e Orfeo<br />

"La salita in ascensore", secondo Michel de<br />

Certeau, "trasforma il mondo stregato da cui era<br />

posseduto in un testo che giace sotto i suoi<br />

occhi; permette di leggerlo, di essere un Occhio<br />

solare, di guardare giù come un Dio".(1) Lo<br />

sguardo, estraniato dal contesto, cancella i<br />

confini del reale proiettandoli in un orizzonte<br />

altro dove "… ogni cosa ha un alone di alterità,<br />

ondeggia nel suo stato fluido, è attraversata<br />

dalla sola corrente del tempo". Successivamente<br />

"l'esperienza della vita di strada non potrà che<br />

acquistare un nuovo significato", alla cui<br />

comprensione sarà necessario accedere attraverso<br />

la costruzione di nuove mappe cognitive, capaci di<br />

fissare una rete di coordinate che restituiscano<br />

il principio di riconoscimento dei luoghi, i cui<br />

contorni, seppure fluttuanti, divengono i meriggi<br />

i n d i s p e n s a b i l i d i u n n u o v o p r o c e s s o d i<br />

individuazione, il cui paradigma torna ad essere<br />

quello dell'apparenza al sito.<br />

Prefigurazione inquietante, il paesaggio descritto<br />

da M. de Corteau rimanda al tema del luogo e alla<br />

sua riconoscibilità, nel momento in cui la<br />

"terribile corsa al movimento" conduce alla<br />

"dissoluzione di qualsiasi senso tradizionale di<br />

c o m u n i t à " , n e g a n d o q u a l s i v o g l i a f o r m a d i<br />

appartenenza o stanzialità, sino alla definizione<br />

estrema di una nuova "comunità senza luogo", già<br />

riflessa nelle note immagini di Melvin Webber di<br />

inizio secolo.<br />

Guya Bertelli, FRAMMENTI, scritti di architettura,<br />

Milano 2005.<br />

(1) La citazione di M. de Certeau (1984) è riportata da D.<br />

Harvey nell'introduzione a "L'esperienza urbana, metropoli<br />

e trasformazioni sociali", Il Saggiatore, Milano 1998.<br />

la costruzione di un’idea di città.<br />

285<br />

Daniel Egneus, cityscapes


Isaura.<br />

Isaura, città dai mille pozzi, si presume sorga sopra<br />

un profondo lago sotterraneo. Dappertutto dove gli<br />

abitanti scavando nella terra lunghi buchi verticali<br />

sono riusciti a tirar su dell’acqua, fin là e non<br />

oltre si è estesa la città: il suo perimetro<br />

verdeggiante ripete quello delle rive buie del lago<br />

sepolto, un paesaggio invisibile condiziona quello<br />

visibile, tutto ciò che si muove al sole è spinto<br />

dall’onda che batte chiusa sotto il cielo calcareo<br />

della roccia. Di conseguenza religioni di due specie<br />

si danno a Isaura. Gli dei della città, secondo<br />

alcuni, abitano nella profondità, nel lago nero che<br />

nutre le vene sotterranee. Secondo altri gli dei<br />

abitano nei secchi che risalgono appesi alla fune<br />

quando appaiono fuori della vera dei pozzi, nelle<br />

carrucole che girano, negli argani delle norie, nelle<br />

leve delle pompe, nelle pale dei mulini a vento che<br />

tirano su l’acqua delle trivellazioni, nei castelli<br />

di traliccio che reggono l’avvitarsi delle sonde, nei<br />

serbatoi pensili sopra i tetti in cima a trampoli,<br />

negli archi sottili degli acquedotti, in tutte le<br />

colonne d’acqua, i tubi verticali, i saliscendi, i<br />

troppopieni, su fino alle girandole che sormontano le<br />

aeree impalcature d’Isaura, città che si muove tutta<br />

verso l’alto.<br />

da Le città invisibili di Italo Calvino Isaura, Colleen Corradi Brannigan, 2003.<br />

286


287<br />

scenari futuri.<br />

Uomini alati


il Pensiero di Aldo Rossi.<br />

lo spazio ha una grande forza,<br />

e determina i cambiamenti.<br />

288<br />

Escher, Sky and water II, 1938


Nuraghe, Sardegna<br />

289<br />

un pezzo di cielo.<br />

il segreto dei Nuraghi.


identità dei Nuraghi.<br />

290<br />

" A volte vedo il tempo come una costruzione plastica<br />

dove si depositano rottami di cui abbiamo perso la<br />

conoscenza originaria e insieme ad essi frammenti di<br />

una costruzione meravigliosa. Ma sempre non possiamo<br />

ricomporre ciò che è stato rotto, non ci interessa di<br />

comprendere ciò che è perduto. E l'architettura? Vi è<br />

un monumento in Sardegna della civiltà nuragica che<br />

sempre cerco di capire e nel contempo di copiare. Esso<br />

scende nella terra, è solo una scala verso un fronte<br />

che è illuminata dall'alto. Come ingegneri possiamo<br />

capirlo in qualche modo nella sua sezione se accettiamo<br />

una geometria non euclidea dove il confluire<br />

dell'ordine è un'opera oscura. E sempre mi sembra<br />

incredibile che quest'opera sublime di architettura sia<br />

estranea all'architettura e vedo come un disastro che<br />

l'antico significato se mai sia esistito sia solo<br />

un'opera oscura. "<br />

Aldo Rossi


“Non negatemi quel pezzo di cielo<br />

uomini maniaci del cemento.<br />

Non negatemi la volta delle stelle<br />

uomini incapaci di pensare<br />

... e triste aspettare la notte<br />

senza avere un sogno nel cuore”<br />

un desiderio.<br />

G.M. Cannas Murales Orgosolo, Sardegna<br />

291


manifestazione.<br />

292<br />

BOGHES DE PEDRA<br />

Boghes de pedra nos amèntan gherra, boghes de<br />

gherra nos amèntan terra,<br />

terra ifusta<br />

Sambene chi su tempus no at mai firmadu<br />

pedras amuntonadas no l'amèntan.<br />

Terra ifusta de sambene, terra ifusta.<br />

Trumas de isperàntzia e libertade disizos de<br />

bramare cun boghe 'e tronu<br />

disizos chi sùlcan s'istoria de custa terra sempre<br />

aversada.<br />

Boghes de pedra nàran est ora de bìvere in paghe.<br />

Imponente massicciu e amiradu fisti unu tempus o<br />

Nuraghe antigu.<br />

Dae Fieros e Fortes Sardos abitadu,<br />

semper prontos a cumbàter s'inimigu, a gualdia, a<br />

difesa 'e s'amigu.<br />

Oje ses dae totus abandonadu, in mesu a frascas<br />

totu in intrigu<br />

isfidendhe su tempus inclemente.<br />

Arrea solenne ciclopicu Nuraghe<br />

incompresu, impoltante e gloriosu.


VOCI DI PIETRA<br />

Voci di pietra ci ricordano la guerra,<br />

voci di pietra ci ricordano la terra<br />

terra intrisa di sangue, terra intrisa.<br />

Sangue che il tempo non ha mai fermato,<br />

pietre ammucchiate ce lo ricordano<br />

terra intrisa di sangue, terra intrisa.<br />

Branchi di cavalli* di speranza e libertà,<br />

desideri di [ ] con voce di tuono<br />

desideri solcano la storia<br />

di questa terra sempre avversata.<br />

Voci di pietra dicono:<br />

"è ora di vivere in pace".<br />

Imponente massiccio e ammirato<br />

fosti un tempo, nuraghe antico.<br />

Dai fieri e forti sardi abitato,<br />

sempre pronti a combattere il nemico<br />

a guardia, a difesa dell'amico,<br />

in mezzo all'intrico della vegetazione<br />

ti sta disfacendo il tempo inclemente.<br />

Fermo**, solenne, ciclopico Nuraghe<br />

incompreso, importante e glorioso.<br />

*Così per truma dal dizionario del Martelli; ma<br />

potrebbe essere una variante di trumba "tromba"?<br />

**Arre' "fèrmati!", arreare "fermarsi"?<br />

293


Pietra.<br />

Bisogna capire fino in fondo il fascino del<br />

materiale che per eccellenza rappresenta lo<br />

strumento dell'architettura: la pietra.<br />

Quale architetto non vorrebbe affidare alla pietra<br />

la testimonianza del proprio lavoro?<br />

Questo materiale naturale è riuscito nel tempo a<br />

mantenere la sua attualità rinnovandosi ogni volta<br />

nei tagli e negli accostamenti, mettendo in luce di<br />

volta in volta le caratteristiche di durabilità,<br />

stabilità, bellezza e naturalezza.<br />

I e r i v e n i v a s c e l t o p e r l a s u a s o l i d i t à e<br />

durevolezza, oggi che dilagano le discipline<br />

orientali per la sua bellezza suggestiva ma anche<br />

per l'energia che trasmette. I nove capitoli che<br />

compongono il volume ripercorrono la storia<br />

dell'architettura di pietra e analizzano tecniche di<br />

realizzazione e applicazione in progetti del passato<br />

e contemporanei. Il volume si apre con la storia<br />

delle prime pietre d'Egitto: "Risulta sbalorditivo<br />

pensare come dal nulla sia stato concepito e<br />

raggiunto un livello tecnologico così evoluto". Il<br />

capitolo dedicato ai muri è introdotto dalla<br />

spiegazione dei vari metodi: "opus incertum",<br />

"quadratum" e altre utilizzate dai romani fino ai<br />

giorni nostri, con la presentazione, tra gli altri,<br />

del Cimitero di guerra tedesco al passo della Futa<br />

di Dieter Oesterlen: monumentale il suo sperone<br />

294<br />

murario culmine di un unico muro che con la sua<br />

spirale "rimodella le pendici di un rilevo naturale,<br />

dando vita a terrazzamenti". Capolavoro linguistico<br />

e compositivo è la Casa Alessi sul lago Maggiore<br />

disegnata da Aldo Rossi, con una singolare copertura<br />

ad arco ribassato contenuta da due setti in pietra<br />

del luogo e il fonte sul lago in cotto. Ma gli<br />

esempi di architettura sono molti: per le superfici,<br />

i l p a d i g l i o n e d e l l a f a c o l t à d i M e d i c i n a<br />

dell'ospedale di Arrixaca a Murcia, di Sancho-<br />

Madridejios architecture office, in cui il<br />

rivestimento in pietra rende incisiva "l'eleganza<br />

compositiva di questo edificio" che "traspare dalla<br />

sua apparente elementarità"; oppure gli uffici del<br />

presidente progettati da Gruber e Kleine Kraneburg a<br />

Berlino con la sua superficie esterna di granito<br />

sudafricano Nero Impala di 4 cm di spessore, "sobria<br />

e preziosa, allo stesso tempo". La piazza di<br />

Palmanova è invece un esempio completo e ben<br />

equilibrato di composizione di superfici per il<br />

capitolo intitolato Suolo, con particolari sia<br />

disegnati, sia fotografati. Una pubblicazione ricca<br />

di fotografie e disegni, ma anche di descrizioni per<br />

fornire un panorama completo sull'architettura di<br />

pietra che vanta meraviglie storiche ben descritte,<br />

come il Pantheon e il Partenone.<br />

a cura di Angelo Bugatti


295<br />

Nuraghe, Sardegna


lo sviluppo di un’idea di città.<br />

tratto da F. Scotti, Ludwig Hilberseimer, Lo sviluppo di un’idea di città, il periodo americano, Libraccio-<br />

Lampi di stampa, Milano 2008.<br />

Sempre, nella storia, gli insediamenti umani sono<br />

stati espressione della società che li ha creati,<br />

risultato più o meno diretto di aspirazioni<br />

spirituali e di esigenze materiali di una società.<br />

nella ricerca paziente di un modello per la città<br />

contemporanea, non si può che considerare questi<br />

presupposti secondo un atteggiamento razionale e<br />

trovare nella realtà le ragioni e i caratteri della<br />

sua idea di città futura.<br />

"L'architettura razionale non è una visione estetica<br />

o morale, un modo di vivere, ma l'unica risposta<br />

sistematica ai problemi posti dalla realtà"<br />

sosteneva Aldo Rossi nell’introduzione a Hans<br />

Schimidt (Contributo all'architettura 1924-1964,<br />

Franco Angeli).<br />

E per Le Corbusier l'urbanistica è "espressione<br />

della vita di una società, manifestata nelle opere<br />

della costruzione. E' lo specchio di una civiltà.<br />

Ciò che una civiltà può, l'urbanistica lo mostrerà;<br />

296<br />

e la sua opera costituirà un insieme di elementi<br />

materiali e di suggerimenti spirituali".<br />

I l l a v o r o d i H i l b e r s e i m e r i n v e c e i n i z i a<br />

sostanzialmente mettendo in luce una prima<br />

contraddizione delle città contemporanee: " Ho<br />

s e m p r e c a p i t o b e n e l ' e s s e n z a d i t u t t i g l i<br />

insediamenti primitivi delle città greche e romane,<br />

delle città del Medioevo, del Rinascimento e del<br />

Barocco, e tutto in esse era intelligente e sensato.<br />

Quando ho confrontato quei piani con quelli attuali,<br />

ho scoperto che questi nuovi piani non erano<br />

l ' e s p r e s s i o n e d i p r i n c i p i - g u i d a , m a e r a n o<br />

sostanzialmente caotici". Il dato di contraddizione<br />

sta nella impossibilità di comprendere la città<br />

contemporanea, nella sua non corrispondenza ad<br />

alcuna idea di città; soprattutto la città<br />

c o n t e m p o r a n e a , p e r H i l b e r s e i m e r , n o n è<br />

rappresentativa della società che la vive, dello<br />

sviluppo culturale e tecnologico dell'epoca.


« La fantasía abandonada de la razón<br />

produce monstruos imposibles: unida con<br />

ella es madre de las artes y origen de<br />

las maravillas. »<br />

« La fantasia priva della ragione<br />

produce impossibili mostri: assieme a<br />

lei è madre delle arti e origine di<br />

meraviglie. »<br />

(Goya, manoscritto conservato al museo del Prado. Testo<br />

originale in Helman)<br />

« Portada para esta obra: cuando los<br />

hombres no oyen el grito de la razón,<br />

todo se vuelve visiones. »<br />

« Frontespizio di quest'opera: quando<br />

gli uomini non ascoltano il pianto della<br />

ragione, tutto muta in visione. »<br />

(Anonimo, manoscritto conservato alla Biblioteca Nacional.<br />

Testo originale in Helman)<br />

il sonno della ragione genera mostri.<br />

297


“la progettazione di un edificio deve<br />

iniziare con l’incommensurabile<br />

(forma), quindi passare attraverso il<br />

m i s u r a b i l e , p e r f i n i r e a n c o r a<br />

nell’incommensurabile: come un nuovo<br />

contributo all’architettura e alla<br />

s t o r i a , p e r c h é , a l l a f i n e ,<br />

l’architettura esiste solo nelle sue<br />

opere”.<br />

Louis Kahn<br />

298


Architettura come costruzione<br />

Architettura senza costruzione (1) è il titolo<br />

della Biennale di Venezia del 2008(2). Se ancora<br />

qualcuno avesse avuto dubbi, l’undicesima mostra<br />

internazionale di architettura di Venezia conferma<br />

la direzione che anche l’architettura, in quanto<br />

arte, sta prendendo, spostandosi verso il mondo<br />

dell’ideazione, della concettualizzazione, della<br />

c o m u n i c a z i o n e . L ’ a r c h i t e t t u r a c o m e f a t t o<br />

c o s t r u t t i v o è i n v i a d i e s t i n z i o n e ( 3 ) .<br />

L’architettura oggi vive nelle mostre, sulle<br />

riviste, sui media. La costruzione di edifici delle<br />

nostre città –almeno in Italia- non è affidata<br />

nella maggior parte dei casi agli architetti, che,<br />

dunque, si ritrovano altri spazi di lavoro e potere<br />

in cui operare. L’architetto non può più essere<br />

l’artigiano che “fa, plasma” in cantiere (si pensi<br />

a Carlo Scarpa), ma –quando riesce a fare, e spesso<br />

fa solo quando è star, firma- è diventato un<br />

regista di progetti di grande dimensione, e come<br />

tale progetta l’assemblaggio di pezzi fatti da<br />

altri. O fa concorsi e progetti utopici che poi non<br />

si realizzano. E pensa a comunicarli. Così come ha<br />

già fatto l’arte, anche l’architettura sta<br />

procedendo verso l’astrazione, e opponendosi alla<br />

sua natura fisica, materica, costruttiva. Quello<br />

che conta è il concept, la strategia comunicabile.<br />

Ma la vera architettura non è dunque più l’opera,<br />

quello che rimane, come diceva Kahn, risposta<br />

concreta, intelligenza applicata a vincoli e<br />

problemi, piuttosto che libero pensiero? Ma non<br />

sono allora puri formalismi, il contrario di quanto<br />

la mostra dichiara, queste libere scenografie (4)<br />

p r e s e n t a t e a l l e C o r d e r i e d e l l a B i e n n a l e ?<br />

Addirittura Betsky arriva a volere “un’architettura<br />

che non risolva i problemi, ma li ponga…”. Dunque<br />

l’architetto si arrende alle logiche del nuovo<br />

mondo e depone le armi?<br />

1


Sembra che oggi tutte le arti (cinema, pubblicità,<br />

grafica, architettura, design, moda,…), stiano<br />

convergendo verso la comunicazione. L’unicità del<br />

fatto artistico è stata relegata alla sola idea (con<br />

tutti i problemi e i paradossi portati da copyright<br />

connessi). Ma cosa fa di un messaggio concettuale<br />

un’opera d’arte (5)? (Di chi è un’idea finchè<br />

rimane tale?).<br />

Il mondo contemporaneo investe la maggior parte<br />

delle proprie energie su simulazioni piuttosto che<br />

sulle opere reali (7). Tutto ciò delinea un più<br />

ampio processo di teorizzazione della nostra<br />

cultura, nel quale si avverte il pericolo della<br />

perdita del rapporto con la realtà come unica nostra<br />

vera esperienza possibile, e, per questo, fonte<br />

inesauribile di “ispirazione” (realtà intesa dunque<br />

come Natura, come già sosteneva Gillo Dorfles (8);<br />

realtà che sempre dimostra una complessità superiore<br />

a quello che di essa si è capito; infatti la<br />

realizzazione è sempre differenza; la costruzione,<br />

i l p a s s a g g i o a l l a c o n c r e t e z z a p o r t a a l l a<br />

diversificazione, alla crescita, alla complessità,<br />

all’autenticazione, mentre nell’idea astratta la<br />

copia vale tanto quanto l’originale, così come<br />

accade nella realtà virtuale dei computer. “…La<br />

m a c c h i n a d e l l ' a s s i m i l a z i o n e , d e l l ' a n a l o g i a ,<br />

dell'identità (la macchina dei concetti isolati<br />

dalle cose) continuerà a trascinarci e a soffocarci<br />

in un mondo, questo sì davvero fittizio e illusorio,<br />

di automatismi e semplici ripetizioni, in un mondo<br />

che alla fine è morto…” (9) .<br />

Oggi non siamo più interessati, sembra, né in arte,<br />

né in architettura ad ottenere un “prodotto finale”,<br />

una realtà ultima, che rimanga e possa anche essere<br />

u t i l e , a c r e a r e d e g l i o g g e t t i “ f i n i t i ” e<br />

“ b e l l i ” ( b e l l o n o n c o m e f o r m a i m p o s t a ,<br />

precostituita, ma derivata dalla intelligenza<br />

applicata che fa corrispondere a una forma, una<br />

funzione ed una ricerca di equilibri,…). Troppa<br />

fatica e tempo (sottratto alla veloce generazione di<br />

nuove idee) per arrivarci, incapacità di fermarsi<br />

poi ad apprezzarlo in una fase contemplativa, molta<br />

critica all’oggetto “finito”; ma il progresso non è<br />

mai stato fatto da idee eclatanti (percentualmente<br />

poche, in quanto tali); come si capisce che un’idea<br />

è migliore di un’altra se non proprio per<br />

corrispondenza alla realtà?<br />

il “bello” non è solo forma riproducibile (o in arte<br />

le copie varrebbero quanto l’originale); come<br />

distinguere, infatti, il valore di un’architettura<br />

se questo non è più nel fatto oggettivo del dat<br />

300


finale (la costruzione), né in quello tecnico,<br />

costruttivo, funzionale? Se non lo si deve cercare<br />

più in se stessa (rinunciando anche alla valenza<br />

estetica? perché?…), se l’architettura contemporanea<br />

si rifiuta di essere oggetto, imposizione, durata,<br />

memoria? La difficoltà che molti trovano ad<br />

accettare e ad apprezzare gran parte dell’arte (e<br />

dell’architettura) contemporanea sta proprio qui,<br />

nel fatto che, essendo queste concettuali, dunque<br />

riproducibili senza gravi perdite (la qualità di<br />

queste sta nell’idea, nel significato più che nella<br />

matericità dell’opera), non ne è più misurabile il<br />

valore con il valore dell’oggetto, il parametro<br />

della capacità tecnica, del virtuosismo, del gesto<br />

(dunque dell’unicità), dell’espressività, della<br />

piacevolezza/emozione estetica (della bellezza?).<br />

Dall’arte non si deve stare distanti, spaventati da<br />

un timore reverenziale. La si deve invece vivere,<br />

sentire. Ma l’arte non è neanche solo l’idea. L’arte<br />

c’è solo nella vita, nell’unica forma in cui ci è<br />

dato di conoscerla, fatta di fisicità, di spazio, di<br />

tempo. Non è solo l’oggetto; non è solo l’idea.<br />

L’arte esiste nell’uomo, nel suo pensiero e nella<br />

sua fisicità. Solo se un uomo la riconosce l’arte<br />

esiste. Per questo non la si può possedere o<br />

comprare. E’ di chi la sa vedere, riconoscere,<br />

esiste negli attimi in cui questo succede. E’ il<br />

valore che l’uomo dà alle cose. L’arte è l’incontro<br />

invisibile di pensiero e materia. E’ l’idea che<br />

dall’uomo si trasferisce alle cose, perchè le fa<br />

secondo il suo pensiero; è il suo lavoro, materia<br />

plasmata, con valore aggiunto. E’ l’oggetto fatto,<br />

che ispira il pensiero di ritorno, il riconoscimento<br />

della stessa o di altre e più idee, da parte dello<br />

stesso o di altri uomini. Un museo senza visitatori<br />

non è arte, sono oggetti. Mi sembra che oggi,<br />

nonostante i fenomeni di turismo artistico, l'arte<br />

non sia mai stata tanto lontana dalla vita delle<br />

persone, che la guardano ma non la vedono e non<br />

sanno più cosa essa sia; e spesso questo distacco<br />

avviene, nonostante i proclami, anche per l’arte e<br />

l’architettura contemporanea, che a volte perdono di<br />

vista l’unico obiettivo che ha il fare dell’uomo,<br />

che è l’uomo e la sua vita. L’idea della merda<br />

d’artista è geniale e dissacrante. Ma l’opera rimane<br />

merda. Neanche l’arte contemporanea è tale se rimane<br />

d i s t a n t e d a l l a v i t a d e l l ’ u o m o , d a l l a s u a<br />

sensibilità, dai suoi desideri. Se non crea gli<br />

oggetti, la bellezza, l’architettura dove vivere.<br />

note<br />

(1) Out there: Architecture Beyond Building, di Aaron Betsky<br />

(2) 14 settembre-23 novembre 2008<br />

301<br />

(3) “…quello che dovrebbe essere un fatto ovvio:<br />

l’architettura non è il costruire…Gli edifici sono oggetti e<br />

l ’ a t t o d e l c o s t r u i r e p r o d u c e o g g e t t i - e d i f i c i , m a<br />

l’architettura è qualcosa d’altro. E’ il modo di pensare e<br />

parlare sugli edifici. E’ il modo di rappresentarli…allo<br />

stesso tempo possiamo godere di spazi ideali nei film e<br />

nell’arte, che spiegano ai nostri occhi mondi immaginari…”,<br />

Aaron Betsky<br />

(4) Installations e Manifestos di: Asymptote, Atelier Bow<br />

Wow, Barkow Leibinger Architects, Nigel Coats, Coop<br />

Himmemblau, Diller Scofidio+Renfro, Droog Design<br />

+Kesselkramer, Vincent Guallart, Frank O. Ghery, Zaha Hadid,<br />

Ante Liu, Greg Lynn, M-A-D, Massimiliano Fuksas, MVRDV,<br />

Penezic e Rogina, Philippe Rahm, Matthew Ritchie con Aranda<br />

Lasch e Daniel Bosia, ARUP AGU, Kramervanderveer, Thonic e Un<br />

Studio. Interessanti e pieni di accadimenti vari non<br />

riferibili a questo unico discorso, invece, le opere dei<br />

Padiglioni dei Giardini.<br />

(5) L’arte rappresentativa è stata, da sempre, artificio, ma<br />

non falsità, bensì ricerca. La rappresentazione, quando è<br />

arte, è “cosa vista tramite”, non copia.<br />

(6) Oltre che la realtà sembra viaggiare più lenta dell’idea,<br />

e d è a p p a r e n t e m e n t e , r i s p e t t o a q u e s t a , s e m p r e<br />

insoddisfacente.<br />

(7) Si può forse dire che la conoscenza moderna si attui<br />

attraverso la simulazione, non essendoci più il tempo per<br />

l’esperienza.<br />

(8) “…dal ristabilimento dell’equilibrio uomo-natura dipende<br />

buona parte delle possibilità di recupero di molte condizioni<br />

esistintive e creative (…) si dovrebbe riscattare<br />

l’innaturale, trasformare eventi artificiali in eventi<br />

naturali, attraverso un’azione di volontà e conoscenza…”<br />

Gillo Dorfles, Artificio e Natura, 1968, riedizione Skira,<br />

Milano 2008<br />

(9) Gilles Deleuze, differenza e ripetizione. L a<br />

riproducibilità è la strada che l’architettura contemporanea<br />

utilizza per sopravvivere nel tempo e che sostituisce la<br />

durata.


5+1 abstract<br />

Costruendo nel tempo, intorno alla centralità del<br />

progetto, un importante team interdisciplinare,<br />

affrontano la città, il suo superamento e la sua<br />

riaffermazione, confrontandosi con la trasformazione<br />

e la descrizione della realtà, perseguendo azioni<br />

quali il dialogo con la realtà del banale e del<br />

”brutto”, l’estetica della “povertà”, l’etica della<br />

percezione. L’attenzione per il pubblico e il<br />

sociale, i suoi linguaggi contemporanei e la<br />

relativa contaminazione, unita al conforto della<br />

memoria, creano gli elementi di riferimento per<br />

un’architettura che si esprime come un gioco<br />

d’incontro tra azioni e reazioni, verso una<br />

sperimentazione del reale e sul reale. La ricerca<br />

progettuale si svolge sulla sottile linea di confine<br />

che separa e unisce il pubblico con il privato, il<br />

dialogo ed il contrasto, tra il territorio che<br />

diviene città e la città che vi si perde. Un<br />

pragmatismo visionario, un realismo magico, un nuovo<br />

contestualismo.<br />

Praticare la realtà è la sola modalità con cui<br />

riteniamo sia possibile affrontare l’architettura.<br />

Proponendo dubbi attraverso la riflessione che lo<br />

strumento del progetto ci offre abbiamo sempre preso<br />

p o s i z i o n i c r i t i c h e n e i c o n f r o n t i d e l<br />

“ g a l l e g g i a m e n t o ” i n c u i o g g i s i t r o v a<br />

l’architettura. Ormai non solo quella italiana,<br />

purtroppo.<br />

E' difficile per noi pensare l'architettura senza<br />

avere una coscienza del territorio, dello spazio che<br />

diventa città attraverso il territorio, della città.<br />

302<br />

E' ancora più difficile in Italia dove un luogo e il<br />

suo contesto cambia rapidamente kilometro dopo<br />

kilometro.<br />

Riteniamo l’architettura non una questione di<br />

esclusiva forma o linguaggio. La nostra visione<br />

dell’architettura come trasformazione della realtà,<br />

gli delega un ruolo di forte responsabilità, nel suo<br />

massimo significato etico, poetico e professionale.<br />

L'architettura dovrebbe essere pensata con un’idea<br />

di responsabile piacere. Ricercare la meraviglia e<br />

l o s t u p o r e a t t r a v e r s o i d i s p o s i t i v i<br />

dell'architettura.<br />

L’architettura come “luogo” e riflessione di<br />

incontro tra territori e città si traduce per noi<br />

come una risposta specifica ad un contesto<br />

specifico.<br />

Ciò che troviamo ormai dilagante, e a cui ci<br />

rifiutiamo categoricamente di aderire, è l’imperante<br />

cinismo e superficialità con cui l’architettura<br />

recentemente, nella sua condizioni di strumento di<br />

consenso e comunicazione, affronti la maggior parte<br />

delle occasioni importanti non occupandosi così<br />

della realtà.<br />

Si rivelano così tutti i limiti umani dell’essere<br />

architetto, dove alla realtà, alla responsabilità,<br />

all’eticità, alla consapevolezza degli effetti di un<br />

progetto, fa prevalere il narcisismo e la ricerca<br />

vacua di una propria posizione all’interno del museo<br />

delle cere della contemporaneità. Quale futuro?


Il progetto di architettura non è la ricerca della<br />

perfezione e non è il luogo dove devono prevalere<br />

personalismi e autoreferenzialità. E’ il luogo del<br />

tempo, del futuro, è il luogo di tutti e comunque<br />

degli uomini che abitano e abiteranno il mondo.<br />

Noi, sbagliando, essendo imperfetti, provando ad<br />

essere coraggiosi, con sano e corretto “eroismo”<br />

affrontiamo il difficile mestiere dell’architetto<br />

oggi, consci di essere pochi in mezzo ad una<br />

moltitudine di saggi e capaci, ma quei pochi a noi<br />

sono sufficienti per continuare a credere e per far<br />

persistere la coscienza di una sincera e consapevole<br />

responsabilità.<br />

I sentimenti umani sono rari. Più raro è trovare<br />

qualcuno con cui condividerli. L’architettura non<br />

può non essere un sentimento. Oggi può essere la sua<br />

sola salvezza. Nel sentimento c’è il desiderio della<br />

l o t t a e l a l o t t a è l ’ u n i c a r i s o r s a a c u i<br />

aggrapparsi. La lotta risiede nell’atto del<br />

progetto.<br />

Conformismo, prevaricazione formale e distacco dalla<br />

realtà sono le caratteristiche più proprie<br />

dell’architettura contemporanea. Insieme al senso di<br />

colpa nei confronti della forma e della bellezza.<br />

La meraviglia, lo stupore sono gli elementi propri<br />

della poetica italiana e del suo territorio.<br />

La creazione di meraviglia e di stupore da parte<br />

dell’architettura, non ha niente a che fare con la<br />

r i c e r c a d i c o n s e n s o e d i s p e t t a c o l a r i t à<br />

contemporanea. Più esattamente la creazione di<br />

meraviglia è lo strumento per raggiungere la<br />

conoscenza del reale. Ecco lo scopo. Ritornare a<br />

vedere la realtà.<br />

E, per quanto la realtà del territorio, delle città,<br />

degli uomini sia difficile e dolorosa, il dovere<br />

dell’architettura è di non rinunciare a immaginare<br />

un futuro. Migliore. Anche romanticamente.<br />

La negazione del reale, l’atteggiamento che da blasè<br />

d i v i e n e c i n i c o , p r o p r i o d e l l ’ a r c h i t e t t u r a<br />

contemporanea, dev’essere sconfitto. Questa<br />

battaglia, etica e culturale, sarà combattuta<br />

attraverso un’architettura che sia invenzione<br />

specifica, che nasca con libertà dal Contesto e<br />

dalla Storia. Il suo linguaggio è libero. Il suo<br />

linguaggio è contemporaneo.<br />

C’è una cosa che dobbiamo ammettere: non si può<br />

avere un’altra infanzia oltre a quella che si è<br />

vissuta.<br />

La nostra generazione di architetti ha negli occhi<br />

il dolore della violenza sul territorio e del suo<br />

oblio. Non può credere che lo Sviluppo coincida con<br />

il Progresso.<br />

Può però credere che l’unica identità possibile sia<br />

quella plurale che caratterizza il nostro paese,<br />

303


dove non è mai stata immaginabile un’uniformità di<br />

linguaggio. (Oggi meno ancora).<br />

Può credere che questo sia il ruolo del nostro Paese<br />

nella Modernità e nella Contemporaneità: il lavoro<br />

sull’identità plurima e specifica, usando la<br />

possibilità dell’architettura italiana contemporanea<br />

di essere realista nelle modalità del cinema di<br />

Fellini, Antonioni e Ferreri o della fotografia di<br />

Luigi Ghirri.<br />

Capace d’invenzione nello specifico attraverso<br />

edifici che siano macchine della percezione, che<br />

usino lo Stupore e la Meraviglia come strumenti di<br />

conoscenza.<br />

L’architettura è un fatto collettivo, che vive di<br />

regole.<br />

Il progetto vive di regole.<br />

Sfidarle, violarle, contravvenirle, portarle fino al<br />

limite di rottura è la nostra missione romantica.<br />

Il mondo occidentale, il nostro perfetto e superiore<br />

mondo occidentale fatto di regole, sta crollando.<br />

Incontriamo ogni giorno, su ogni marciapiede, maree<br />

di morti viventi.<br />

Come indiani americani, capitati chissà come<br />

sull’asfalto o su un binario della nostra provincia,<br />

appoggiamo l’orecchio a terra e sentiamo uno strano<br />

suono. Incomprensibile.<br />

E’ l’eco.<br />

L’eco di quelle regole, di quei valori, di quei<br />

sentimenti: la democrazia, la laicità, la giustizia,<br />

la solidarietà. La libertà.<br />

La storia.<br />

L’Italia è (stato) spesso un Paese di mascalzoni.<br />

Furbastri, buffoni. Conformisti.<br />

L a f u r b i z i a è l a p r e s u n z i o n e d i v i r t ù<br />

dell’individualismo. Che non sopporta le regole.<br />

Oppure ne è servo per conformismo e comodità.<br />

Ma l’altra faccia della medaglia dell’individualismo<br />

è l’umanità.<br />

Ecco a che cosa possiamo ancora servire: vogliamo<br />

essere architetti portatori sani di romanticismo e<br />

di umanità.<br />

Decifratori di quest’eco, pratichiamo l’umanità del<br />

nostro Paese, combattendone l’individualismo, il<br />

cinismo ed il conformismo.<br />

Apparteniamo a quest’eco, a questo fiume familiare.<br />

Quest’eco che ascoltiamo attraversando il<br />

nostro Paese, è deformato, sporco, non<br />

facilmente comprensibile.<br />

Talvolta è poco più di niente.<br />

E’ la bellezza.<br />

La bellezza salverà il mondo. Daniel Egneus, Beautyshow<br />

304


305<br />

E’ stato questo il messaggio di Cesare Stevan<br />

all’ultima conferenza tenuta nella mia Università.<br />

“Rifondazione!”<br />

un messaggio chiaro.<br />

tra pathos e realtà.<br />

ho avuto un rapporto complicato con lui. ma d’altro<br />

canto mi ha profondamente fatto maturare.<br />

fu lui infatti ad impormi di confrontarmi con il<br />

reale. di costruire l’esistente.<br />

“quando disegni una strada, una casa, un grattacielo<br />

pensa alla città.”<br />

una sintesi che ben conosce chi condivide l’idea di<br />

totalità contenuta in l’Architettura della città.<br />

“la prima cosa da fare è prendere uno sgabello e<br />

sederti al centro del tuo lotto. guardare fuori..”<br />

e ancora<br />

Rifondazione!<br />

“il progetto della tua area deve servire come parte di<br />

un progetto più ampio di trasformazione del<br />

territorio. bisogna aver quindi un’idea di città ben<br />

chiara in testa. altrimenti ognuno continuerà sempre a<br />

far ciò che vuole..”


esito progettuale.<br />

Cagliari


308


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343


344


345


Tesi.<br />

Pavia


La teoria si costruisce partendo dal confronto con<br />

una realtà specifica e complessa. Questa realtà non è<br />

una dimensione fisica e oggettiva ma è il mondo<br />

i n t e r i o r e d e l s o g g e t t o c h e d e v e r i c e r c a r e ,<br />

riscoprire, ritrovare nella propria memoria quelle<br />

“immagini primitive” senza le quali l’uomo non<br />

avrebbe mai costruito. La teoria, dunque, non come<br />

semplice postulato universale e oggettivabile, ma<br />

come modo di vedere e interpretare il mondo. dal<br />

greco theorèin “vedere”. la teoria come presupposto<br />

necessario e fondamentale per comprendere e<br />

descrivere i processi dell’invenzione alla luce<br />

dell’esperienza del progetto e delle contaminazioni<br />

tra soggetto e realtà.<br />

348


Identità e Composizione.<br />

Pavia, 2010<br />

349


Perchè?<br />

perchè bisogna allontanarsi.<br />

per poi tornare.<br />

[...]<br />

perchè la mia gente vuole<br />

Rinascita!<br />

350


351<br />

ai miei Maestri<br />

credo di esser stato uno dei<br />

peggiori studenti<br />

della Nave di Pavia..<br />

Scuse


352

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