DORNBRACHT - Butterfly Trading
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<strong>DORNBRACHT</strong> the SPIRITof WATER Beauty – the last Anarchy<br />
The VULNERABLE and<br />
BIOGRAPHICAL detail, the BRUSH<br />
STROKE, the PERSONAL<br />
SIGNATURE are what we now<br />
regard AS BEAUTIFUL<br />
Dump<br />
NICOLA TYSON, STATEMENTS 6<br />
Installation Drawing<br />
MARK BORTHWICK, STATEMENTS 6<br />
they seek reference to history in their counterpart. The impression of depth,<br />
fullness and complexity is seen as beautiful, precisely that which is also<br />
described as style. The concept of style has absorbed many implications from<br />
beauty, particular in its Anglo-Saxon form, as “style” transcending all areas<br />
of life. Used thus, it ranges from successful personal appearance, consistent<br />
design of films, exhibitions and magazines through to company-specific<br />
branding.<br />
For what applies to the human face under the influence of plastic surgery is<br />
also of significance for the attractiveness of growing brands putting pressure<br />
on global excess supply. The staging of one’s own strengths and traditions and<br />
doing without pleasing everyone also serves as protection from the danger of<br />
being copied and of the temptation to imitate the strategies of other shortlived<br />
victors.<br />
Instead of non-identity and role-play, the solution is authenticity and respectability.<br />
Here resorting to spiritual contexts ensures welcome synergy effects.<br />
They suggest that the individual bears the ideal in itself, is animated in one<br />
way or another and is striving for higher aims than mere sensuality. Here the<br />
aspect of aura, very important for the nature of beauty, comes into play.<br />
Walter Benjamin defines it as “unique manifestation of a distance, however<br />
close it may be”, addressing that distance which makes beauty not necessarily<br />
cold but inconsumable. By withdrawing, it transports it beyond the present<br />
and awakens dreams, thoughts and memories.<br />
But more than anything else, the essence of beauty lies in the abruptness,<br />
with which it enters our consciousness, and it makes a force rise within us like<br />
a hound lying too long on the mat. Then, as if refreshed, we are recharged,<br />
sometimes for days and always reminded of our hopes and strongest convictions.<br />
Beauty could be described as the only form of anarchy needing no political<br />
discourse to release us from all that seems old and anxious. Beauty is<br />
therefore not a certain proportion, not a polished surface, not a mise-en-scène<br />
meeting all the scholarly rules, but the Unknown, which arouses our interest in<br />
the world with an electric shock, so that the way of things again has to reckon<br />
with us.<br />
Ancora in tempi recenti, chi si dedicava al bello era considerato irrimediabilmente<br />
fuori moda. L’era della tecnologia vedeva nel rispetto loro<br />
tributato un retaggio della borghesia colta; la bellezza si riteneva eccessivamente<br />
semplice, e spesso troppo indissolubilmente legata al kitch; troppo<br />
facilmente le sue forme armoniche si potevano massificare in una produzione<br />
industriale e mediatica. Nemmeno le tendenze edonistiche degli anni<br />
’90 se ne sono occupate con eccessivo fervore: la dotcom generation era troppo<br />
occupata a coltivare le proprie opportunità per dedicarsi alla ricerca di<br />
un’estetica fine a se stessa. Desiderabile era unicamente ciò che prometteva<br />
prestigio, godibili erano solo gli oggetti costosi, appariscenti e chiassosi. In un<br />
vortice di possibilità infinite il mondo della globalizzazione si preparava febbrilmente<br />
alla promessa di un nuovo millennio. Poi, l’atmosfera è cambiata.<br />
La crisi del mondo economico e la quotidianità del terrorismo internazionale<br />
hanno impartito a questo occidente ubriaco di se stesso una lezione di<br />
caducità. Svanita l'ebbrezza abbiamo ora una nuova, disincantata consapevolezza:<br />
la terra non si è tramutata in un paradiso. È iniziata un’epoca di riordino,<br />
che riporterà ogni cosa al suo posto e farà finalmente chiarezza. Non a<br />
caso il bello è tornato a far parlare di sé nei dibattiti pubblici così come nelle<br />
esposizioni di respiro internazionale. Il discorso estetico tenta di liberarlo<br />
dalle dinamiche commerciali per renderlo ancora una volta fruibile alla sola<br />
arte. Così come per la moda, che registra così rapidi cambi di tendenza, anche<br />
per l’arte è iniziata una nuova era. In un’epoca in cui le emozioni violente<br />
sono all'ordine del giorno, l'artista ha perduto il desiderio di provocare. Le<br />
case d’asta che a New York si occupano d’arte contemporanea riferiscono un<br />
crescente interesse per l’arte decorativa. Anche la moda dimostra una profonda<br />
passione per i dettagli preziosi, le cuciture ornamentali e una profusione di<br />
<strong>DORNBRACHT</strong> the SPIRITof WATER Beauty – the last Anarchy<br />
accessori. I creatori di moda oggi vogliono risvegliare emozioni, suggestionare<br />
senza sconcertare, affascinare senza urtare. Dal momento in cui i classici<br />
tedeschi vi hanno visto l’incarnazione dell’idea, un certo tipo di bellezza<br />
è stato percepito come misterioso e freddo. Le emozioni che poteva suscitare<br />
le rimbalzavano contro, che si trattasse di un Adone ateniese, di Greta<br />
Garbo o di una poltrona Barcellona. Un tipico sostenitore di questa rigorosa<br />
bellezza è Adolf Loos, architetto viennese principale rappresentante dello<br />
stile “concreto”, che ha paragonato l'ornamento a un crimine. Così la pensava<br />
anche il suo collega Walter Gropius, secondo il quale bello è tutto ciò che<br />
è funzionale e la forma estetica coincide con la funzione in cui si concretizza.<br />
“Come reagirebbe se le dicessi che la sua architettura semplicemente non mi<br />
piace?” gli chiese uno studente americano al termine di una conferenza. “Le<br />
direi che lei è nevrotico” rispose il maestro, che stimava il suo pensiero in<br />
questioni di gusto superiore a qualsiasi altro. Il coraggioso studente divenne<br />
portavoce di una bellezza matematicamente imperfetta e ridotta all’essenziale.<br />
La sua fu una delle prime voci di una postmodernità che nella sua ricerca di<br />
una bellezza non dogmatica avrebbe portato alla luce fenomeni tanto diversi<br />
come Mark Rothko e Roy Liechtenstein, due artisti che in questo autunno<br />
newyorkese hanno ottenuto premi prestigiosi. Un idealista come Hegel<br />
avrebbe disconosciuto qualsiasi bellezza agli aerei rettangoli colorati di<br />
Rothko e ai fumetti di Liechtenstein, dichiarandoli eccessivamente qualunquisti<br />
e sentimentali. Altrettanto rigida si mostra la modernità di Loos nel<br />
giudicare le opere da cui traspare la soggettività dell’artista.<br />
Tuttavia gli odierni allievi di una bellezza tanto frivola ed emozionale dimostrano<br />
che essa è ancora una volta sopravvissuta ai suoi critici. Quello che<br />
percepiamo come bello è proprio il vulnerabile e il biografico, la pennellata,<br />
la firma personale. Le gallerie d’arte di New York e Berlino espongono disegni<br />
che ricordano i primi tentativi dei giardini d’infanzia, o gli scarabocchi<br />
lasciati dalla mano di un avventore su un sottobicchiere, semplici filigrane<br />
tracciate con una pallida matita colorata, intime, private, criptiche. Nel loro<br />
essere anti-monumentali hanno il fascino di stenogrammi pittorici, la freschezza<br />
di uno scatto istantaneo e la semplicità dei primi schizzi. Solo a uno<br />
sguardo più attento l’osservatore si accorge di trovarsi di fronte al frutto di<br />
mani esperte, amanti della leggerezza piuttosto che delle pitture a olio e acriliche.<br />
Si tratta di opere cui accordare fiducia, davanti alle quali inchinarsi, da<br />
assorbire con la mente.<br />
Lo stesso fenomeno si osserva nel cinema, quando una giovane donna come<br />
Sophia Coppola, in “Lost in Translation” porta al centro della scena i processi<br />
interiori di eroi assolutamente normali, invece di perdersi in scene d’azione.<br />
Anche il successo mondiale e improvviso del cinema coreano riflette lo<br />
spostamento delle nostre esigenze culturali. L’ultimo Festival internazionale<br />
del cinema di Berlino ha accolto Im Kwon-Taek con una retrospettiva,<br />
proiettando in sale gremite scene poetiche tratte da cerimonie di sepoltura<br />
tradizionali o film sulla rielaborazione del lutto di un amore giovanile perduto<br />
nella guerra in Corea. Suscita ammirazione anche il giovane Kim Ki-Duk<br />
quando racconta di un microscopico monastero buddista su un'isola remota o<br />
di una coppia di innamorati che scelgono di vivere da nomadi in un contesto<br />
prettamente urbano, senza scambiarsi nemmeno una parola. In questo modo<br />
momenti di concentrazione zen e trascendenza sciamana sfidano un mondo<br />
consumistico e cosmopolita.<br />
Anche il film che Philip Gröning dedica al monastero La Grande Chartreuse<br />
vuole distaccarsi dal vortice di una mobilità febbrile. La bellezza de “Il grande<br />
silenzio” sta nell’audacia di rinunciare all’azione incalzante per scuotere i<br />
sensi dello spettatore. Invece di sopraffarlo, la quotidianità dei monaci<br />
Certosini risveglia nello spettatore il ricordo di se stesso. Commenta il regista<br />
di aver voluto aprire un “luogo di pace” contrapposto a un mondo di “nodi<br />
di panico” per trasmettere l’esperienza di “gioia pura” del vero presente. A<br />
questo cinema è comune lo sguardo fisso sul particolare, sulle manifestazioni<br />
della vita che si staccano dai canoni di giudizio generali e che proprio per<br />
la loro singolarità diventano fragili. Perché della bellezza fa parte anche<br />
l’accettazione dei limiti. La bellezza non si impone, ma lascia all’altro il<br />
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