I fondamenti fisici e fisiologici del tocco nel ... - Euterpe Venezia
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I <strong>fondamenti</strong> <strong>fisici</strong> e <strong>fisiologici</strong><br />
<strong>del</strong> <strong>tocco</strong> <strong>nel</strong> pianoforte<br />
A proposito di un brevetto<br />
per il pianoforte verticale<br />
<strong>del</strong> pianoforte verticale rispetto al pianoforte<br />
a coda non è dovuta solo alle dimensioni e al<br />
L’inferiorità<br />
volume di suono, ma anche ad altri motivi che spesso<br />
non sono ben compresi. Alcuni pensano che la differenza<br />
stia <strong>nel</strong>la mancanza di dispositivi come la doppia ripetizione<br />
o il doppio scappamento. Altri sentono la differenza tra<br />
un tasto che «solleva» qualcosa e uno che risponde solo a una<br />
qualche generica resistenza. Ma la causa reale è ben più complessa,<br />
e intreccia strettamente la fisica <strong>del</strong>lo strumento (acustica<br />
e meccanica) alla fisiologia (soprattutto neuro-fisiologia)<br />
<strong>del</strong>l’esecutore. Tale causa è senza ombra di dubbio il «<strong>tocco</strong>»,<br />
che è possibile <strong>nel</strong> pianoforte a coda, ma di norma non è possibile<br />
<strong>nel</strong> pianoforte verticale. Nel suo significato intuitivo,<br />
questa parola indica una qualità <strong>del</strong> pianista che consiste <strong>nel</strong>la<br />
capacità di dare significati musicali al suono, e anche di dare<br />
un «bel suono» al pianoforte. La qualità che si richiede invece<br />
al pianoforte è semplicemente di render possibile tutto<br />
questo, ma tale qualità in realtà è molto meno intuitiva, e non<br />
è stato facile definirla in termini obiettivi.<br />
Esiste un problema di fondo per qualsiasi tipo di pianoforte,<br />
come per qualsiasi tipo di strumento che frapponga una<br />
struttura meccanica tra l’esecutore e l’origine reale <strong>del</strong> suono<br />
(in pratica per gli strumenti a tastiera). Questo problema riguarda<br />
il rapporto tra il musicista e lo strumento musicale, e<br />
tocca l’idea stessa <strong>del</strong> far musica. Con questo tipo di strumenti,<br />
c’è il rischio di trovarsi di fronte, invece che a una «voce»<br />
mediante la quale il musicista può esprimersi, a una «macchina<br />
sonora». Purtroppo <strong>nel</strong>l’attuale pianoforte verticale il più<br />
<strong>del</strong>le volte ci troviamo di fronte alla seconda ipotesi e le conseguenze,<br />
sul piano musicale e sul piano didattico, non sono<br />
di poco conto. È ragionevole infatti pensare che, anche per<br />
57<br />
Cose di musica<br />
di Paolo Pancino<br />
un pianista di qualche esperienza, uno studio condotto esclusivamente<br />
sul pianoforte verticale possa compromettere, almeno<br />
in una qualche misura, i processi inconsci che sono alla<br />
base <strong>del</strong>l’esecuzione musicale, mentre in un principiante tali<br />
processi ben difficilmente possono instaurarsi.<br />
Nel cercare una soluzione <strong>del</strong> problema, ho a lungo pensato<br />
(insieme alla maggioranza degli «addetti ai lavori») che si<br />
trattasse di un problema insuperabile. Per fortuna la mia curiosità<br />
è stata più forte <strong>del</strong>l’insuperabile. Osservando gli effetti<br />
(che inizialmente mi erano sembrati casuali) di una modifica<br />
che avevo fatto effettuare su un vecchio piano verticale<br />
(uno strumento di grande formato e di ottima qualità, elemento<br />
questo non secondario), ho deciso di continuare la ri-<br />
cerca, che dopo parecchi anni mi ha portato a risultati inattesi.<br />
Le intuizioni che mi hanno portato a tali risultati sono nate<br />
dalla constatazione che il martello <strong>del</strong> pianoforte verticale<br />
costituisce, insieme con le parti a esso rigidamente collegate<br />
(stiletto noce e nasello) una leva di particolare struttura, il cui<br />
baricentro durante l’esecuzione avanza verso la corda fino a<br />
superare la verticale <strong>del</strong> perno. Ciò significa che la resistenza<br />
a un certo momento dopo una rapida diminuzione si annulla,<br />
e quindi il martello scompare dalla percezione <strong>del</strong>l’esecutore<br />
proprio <strong>nel</strong> momento decisivo <strong>del</strong>la percussione <strong>del</strong>la<br />
corda. Il <strong>tocco</strong> diviene quindi impossibile, e rimane possibile<br />
solo il controllo <strong>del</strong> volume <strong>del</strong> suono, che il pianista può<br />
decidere con l’energia iniziale <strong>del</strong> lancio, quando un momento,<br />
benché inferiore a quello <strong>del</strong> pianoforte a coda, c’è ancora.<br />
Mi è sembrato evidente che tutti i tentativi di «ricostruire» artificialmente<br />
la resistenza finale <strong>del</strong> martello mediante molle<br />
(come la molla di ritorno <strong>del</strong> martello) o magneti non possono<br />
che peggiorare la situazione, proprio perché, introdu-
Cose di musica<br />
cendo elementi automatici, diminuiscono la reale possibilità<br />
di controllo da parte <strong>del</strong>l’esecutore anziché aumentarla.<br />
Nella mia ricerca, con tentativi e riflessioni che hanno occupato<br />
lo spazio di parecchi anni, ho fatto realizzare sullo stesso<br />
strumento altre modifiche, che hanno alterato di poco l’impianto<br />
<strong>del</strong>la meccanica tradizionale, ma ne hanno modificato<br />
sostanzialmente la dinamica, consentendo all’esecutore di<br />
percepire la resistenza <strong>del</strong> martello anche <strong>nel</strong>la fase finale <strong>del</strong>la<br />
sua corsa verso la corda quando, per capacità innate o acquisite<br />
con lo studio, le sue dita decidono il tipo di suono desiderato.<br />
Proprio la modestia <strong>del</strong>le modifiche apportate allo<br />
strumento mi ha indotto, quando già avevo fatto i primi passi<br />
per il deposito all’ufficio brevetti di una prima stesura <strong>del</strong><br />
testo, a una serie di ulteriori verifiche. Temevo infatti che i risultati<br />
raggiunti fossero dovuti a particolari caratteristiche <strong>del</strong><br />
pianoforte sul quale avevo effettuato gli esperimenti, o a elementi<br />
casuali di qualche altra natura. Tali verifiche hanno richiesto<br />
ancora molto tempo, e competenze che in parte non<br />
possedevo 1 , e mi hanno aiutato anche a rispondere al dubbio,<br />
che da qualche parte mi era stato avanzato, che il <strong>tocco</strong> sia solo<br />
un problema psicologico <strong>del</strong> pianista.<br />
Questa verifica dei termini scientifici <strong>del</strong> problema mi ha<br />
consentito in primo luogo di definire i risultati <strong>del</strong>l’invenzione<br />
in un sistema di rapporti di pesi e misure sufficientemente<br />
ben definiti, e quindi generalizzabili e applicabili, con diverse<br />
ipotesi progettuali, a pianoforti di nuova costruzione, ma<br />
applicabili anche, con modifiche da valutare caso per caso, a<br />
buona parte dei pianoforti già costruiti. Ma soprattutto, in secondo<br />
luogo, sul piano dei principi scientifici la verifica mi è<br />
sembrata una sicura conferma <strong>del</strong>la validità <strong>del</strong>l’invenzione.<br />
Vediamo dunque questi principi, che ci portano sia <strong>nel</strong> campo<br />
<strong>del</strong>la fisica (acustica e meccanica) che <strong>del</strong>la fisiologia (soprattutto<br />
neuro-fisiologia).<br />
In primo luogo, dal punto di vista <strong>del</strong>l’acustica, il <strong>tocco</strong> consiste<br />
<strong>nel</strong>la determinazione <strong>del</strong> transitorio d’attacco, cioè di<br />
quella fase di vibrazioni apparentemente caotiche che precede<br />
l’onda stazionaria. Nel pianoforte (a differenza di quanto<br />
avviene in uno strumento ad arco o a fiato) l’esecutore non<br />
può influire sull’onda stazionaria che si ha, dopo l’attacco <strong>del</strong><br />
suono, <strong>nel</strong>la sua continuazione. Di conseguenza, la determinazione<br />
<strong>del</strong> transitorio d’attacco mediante il controllo <strong>del</strong>-<br />
58<br />
le modalità di incontro <strong>del</strong> martello con la corda è tutto quello<br />
che il pianista può fare per influire sulla qualità <strong>del</strong> suono,<br />
se prescindiamo dal volume. Ma questa possibilità è importante,<br />
molto più che in altri strumenti. Nel pianoforte infatti<br />
la differenza di intensità tra la percussione e l’onda stazionaria<br />
è talmente grande che tutto quello che succede dopo<br />
(a parte la durata <strong>del</strong> suono) ha un significato tutto sommato<br />
secondario.<br />
In secondo luogo, dal punto di vista <strong>del</strong>la fisica meccanica,<br />
è evidente che la capacità di un pianista di esercitare il <strong>tocco</strong><br />
è condizionata dalla possibilità di controllare le caratteristiche<br />
<strong>del</strong>la corsa <strong>del</strong> martello <strong>nel</strong>le sue diverse fasi, cioè prima<br />
l’avvicinamento veloce <strong>del</strong> martello alla corda e poi la caratterizzazione<br />
<strong>del</strong> suono con la regolazione <strong>del</strong>l’impatto <strong>del</strong><br />
martello secondo l’intenzione <strong>del</strong>l’esecutore. Questa possibilità<br />
c’è <strong>nel</strong> pianoforte a coda, dove le forze esercitate dalla mano<br />
<strong>del</strong> pianista per lanciare il martello verso la corda vengono<br />
contrastate (oltre che dalle resistenze dovute alla meccanica<br />
<strong>del</strong>lo strumento, come <strong>del</strong> resto <strong>nel</strong> pianoforte verticale), soprattutto<br />
dalla resistenza dovuta alla forza di gravità che, dato<br />
il movimento verticale <strong>del</strong> martello, genera una resistenza<br />
di valore sostanzialmente costante <strong>nel</strong>la sua corsa verso la<br />
corda. È quindi costante la percezione <strong>del</strong>l’esecutore <strong>nel</strong> sentire<br />
un’opposizione all’azione <strong>del</strong> dito sul tasto, e poi <strong>nel</strong> regolare<br />
il <strong>tocco</strong>, che può essere graduato fino alla fine <strong>del</strong> movimento.<br />
Nel pianoforte verticale invece, a causa <strong>del</strong>la posizione<br />
verticale <strong>del</strong>le corde e <strong>del</strong>la conformazione conseguente<br />
<strong>del</strong>la meccanica e in particolare <strong>del</strong>la leva che comprende<br />
il martello, la resistenza generata dal peso <strong>del</strong> martello stesso<br />
passa rapidamente a zero e diventa addirittura forza traente<br />
<strong>nel</strong>l’ultima parte <strong>del</strong>la corsa. Ciò significa che, in presenza<br />
di variazioni repentine <strong>del</strong>la resistenza e di bassi valori (fattori<br />
questi che renderebbero comunque problematica sia la<br />
percezione <strong>del</strong>la resistenza sia la regolazione <strong>del</strong> <strong>tocco</strong>) <strong>nel</strong>la<br />
maggior parte degli attuali pianoforti verticali, quando il baricentro<br />
<strong>del</strong> martello (o meglio <strong>del</strong> sistema di cui il martello fa<br />
parte) oltrepassa la verticale <strong>del</strong> perno, questi valori scendono<br />
al di sotto <strong>del</strong>lo zero, rendendo impossibile qualsiasi tipo di<br />
controllo da parte <strong>del</strong>l’esecutore. La percezione <strong>del</strong>la massa<br />
<strong>del</strong> martello è possibile solo all’inizio <strong>del</strong>la corsa (il momento<br />
iniziale è pari a circa i 2/3 di quello <strong>del</strong> piano a coda) e an-
che allora le altre resistenze <strong>del</strong>la meccanica rischiano di prevalere<br />
<strong>nel</strong>la percezione <strong>del</strong>l’esecutore. Alla fine, praticamente<br />
tutta la resistenza è dovuta solamente alle molle, e quindi<br />
tutta l’azione è automatizzata.<br />
Altri fattori, come la conformazione <strong>del</strong>le leve che precedono<br />
il martello, tasto e cavalletto, oppure gli inevitabili attriti<br />
<strong>nel</strong> funzionamento <strong>del</strong>la meccanica, o l’elasticità <strong>del</strong>le parti<br />
in legno, potrebbero avere una rilevanza teorica. Ma io ho<br />
concentrato l’attenzione, e ho effettuato i calcoli, sulla dinamica<br />
<strong>del</strong> martello (anche se, ovviamente, non sono intervenuto<br />
solo sul martello), assumendo come ipotesi di partenza<br />
una situazione «standard» <strong>del</strong> pianoforte verticale che in effetti<br />
non è lontana dalla realtà. Inoltre non sono certamente<br />
irrilevanti i fattori che determinano la qualità <strong>del</strong>la meccanica<br />
e <strong>del</strong>lo strumento, ed è abbastanza ovvio che il tentativo di<br />
applicare le modifiche suggerite <strong>nel</strong> brevetto a uno strumento<br />
mediocre potrebbe dare risultati <strong>del</strong>udenti.<br />
Va invece affrontato il tema <strong>del</strong>le caratteristiche meccani-<br />
che <strong>del</strong> feltro <strong>del</strong> martello, elemento questo di importanza<br />
probabilmente decisiva per la sua connessione con le dinamiche<br />
che determinano il <strong>tocco</strong>, e utile anche per comprendere<br />
il modo di ottenerlo. È un problema estremamente complesso,<br />
e non so quale super-computer potrebbe analizzarlo,<br />
ma ritengo sufficiente affrontarlo in modo intuitivo. Il feltro<br />
usato per i martelli <strong>del</strong> pianoforte, benché sia particolarmente<br />
compatto, mantiene una qualche deformabilità, caratterizzata<br />
da una reazione elastica modesta e piuttosto lenta.<br />
A lungo termine, manifesta una certa plasticità che dà luogo<br />
a dei solchi in corrispondenza <strong>del</strong>le corde, ma è una caratteristica<br />
di misura irrilevante per quel che riguarda il tema<br />
che sto affrontando. È quindi evidente che un impatto di<br />
breve durata con la corda metallica in tensione non concede il<br />
tempo necessario a una reazione elastica <strong>del</strong> feltro, che quindi<br />
si comporta come se fosse più duro di quanto non sia, rendendo<br />
possibile un suono preciso e controllabile. Un impatto<br />
troppo lento lascerebbe il risultato sonoro in balia <strong>del</strong>le reazioni<br />
incontrollabili e forse in buona parte casuali <strong>del</strong> feltro.<br />
Per questo la meccanica <strong>del</strong> pianoforte è concepita in modo<br />
da ottenere, con l’azione di leve successive, un’elevata velocità<br />
<strong>del</strong> martello.<br />
A ciò si aggiunge una legge <strong>del</strong>la fisica, di importanza de-<br />
59<br />
Cose di musica<br />
terminante per il tema che sto affrontando. Secondo tale legge,<br />
la forza impulsiva che produce il suono è data dalla differenza<br />
tra la quantità di moto (cioè massa per velocità) finale e<br />
la quantità di moto iniziale, divisa per la durata <strong>del</strong>l’impulso.<br />
Un qualche calcolo fatto sulla base di questa legge darebbe risultati<br />
sorprendenti. Per chiarire meglio queste affermazioni,<br />
che potrebbero sembrare astratte o difficilmente comprensibili,<br />
può essere utile ricordare un esperimento che veniva descritto<br />
nei vecchi libri scolastici. Un uomo armato di fucile<br />
spara una can<strong>del</strong>a contro una tavoletta di legno e la perfora.<br />
Poi prende la can<strong>del</strong>a e la preme contro la tavoletta con una<br />
forza tale che la «quantità di moto» (cioè il prodotto <strong>del</strong>la massa<br />
per la velocità) sia la stessa. La can<strong>del</strong>a non può attraversare<br />
la tavoletta, al massimo si spiaccica o forse anche si deforma<br />
solo un po’. La sorprendente differenza <strong>del</strong>l’effetto <strong>del</strong>le due<br />
azioni si ha perché, data l’estrema brevità <strong>del</strong>l’impulso, il fucile<br />
produce una forza di gran lunga maggiore.<br />
Questi due dati, cioè da un lato l’estrema velocità con la qua-<br />
le il martello deve colpire la corda perché il feltro non soffochi<br />
il suono e dall’altro l’estrema brevità <strong>del</strong>l’impulso necessaria<br />
perché questa velocità sia raggiunta con il minimo impegno<br />
muscolare, definiscono l’unico modo corretto di usare il<br />
pianoforte: il dito deve lanciare il tasto, in modo che questo<br />
agisca sul martello, per mezzo <strong>del</strong> cavalletto, come una fionda.<br />
Ma, a differenza <strong>del</strong>l’esempio <strong>del</strong>la fionda, il dito non deve<br />
mai «perdere» il proiettile (cioè il martello), ma ne deve controllare<br />
la corsa fino a pochi millimetri dalla fine, quando tale<br />
corsa diviene libera per via <strong>del</strong> sistema di scappamento.<br />
Tutto questo contrasta evidentemente con la diffusa opinione<br />
che sia necessario produrre uno sforzo per produrre<br />
un suono forte, e che comunque suonare richieda forza fisica,<br />
per la necessità di scaricare peso sulla tastiera, premendo<br />
o percuotendo il tasto, <strong>nel</strong>la convinzione che il volume, o la<br />
«solidità» <strong>del</strong> suono dipenda dalla massa con la quale si colpisce<br />
o si preme il tasto. E ciò sembra intuitivo osservando un<br />
certo modo «atletico» di suonare che appare come l’immagine<br />
stessa <strong>del</strong>la forza muscolare. Ma questa impressione contrasta<br />
in modo evidente con la fisica, sia per quanto abbiamo<br />
detto finora, sia perché la meccanica <strong>del</strong> pianoforte, verticale<br />
o a coda che sia, è costituita da un sistema di tre leve, sostanzialmente<br />
indipendenti l’una dall’altra. Il tasto lancia il ca-
Cose di musica<br />
valletto che lancia il martello, ma ciascuna <strong>del</strong>le leve conserva<br />
la sua massa e (a differenza di quel che riguarda la velocità)<br />
non può trasmetterla, e quindi aggiungerla, alla successiva.<br />
Quindi qualunque sia il peso che viene scaricato sulla tastiera,<br />
la massa che colpisce la corda è sempre esattamente la stessa,<br />
cioè il peso <strong>del</strong> martello (o meglio <strong>del</strong>la leva di cui il martello<br />
fa parte), e su questo fatto il pianista non ha assolutamente<br />
nessuna possibilità di intervenire. Tutto questo rivela un fatto<br />
sorprendente, cioè che la meccanica <strong>del</strong> pianoforte, sia verticale<br />
che a coda, ha in realtà un funzionamento contro-intuitivo,<br />
<strong>del</strong> tutto diverso dall’idea che molti ascoltatori abituali<br />
di musica (ma anche, talvolta, pianisti e insegnanti) hanno<br />
<strong>del</strong> modo di suonare il pianoforte. Spesso si insegna a premere<br />
per «marcare» la melodia, ma più si preme e meno espressivo<br />
è il suono, oppure si insegna a usare spalla, braccio o polso<br />
per suonare più forte, ma ciò inevitabilmente rallenta l’azione<br />
e rende più difficile controllare il suono. Molti criticano il<br />
pianista che «pesta». Ma pochi sanno che il suo brutto suono<br />
dipende dal fatto che le vibrazioni <strong>del</strong>le corde sono immediatamente<br />
soffocate e distorte dal feltro che impedisce loro di<br />
espandersi liberamente. I suoi muscoli uccidono la sua musica,<br />
e questo è sempre inevitabile quando si suona forzando,<br />
anche di poco, l’azione muscolare.<br />
Mi pare che il processo che ho descritto quando ho parlato<br />
<strong>del</strong>la meccanica <strong>del</strong> <strong>tocco</strong> dimostri questa necessità, ma <strong>nel</strong>lo<br />
stesso tempo si pone il problema di chiarire come la complessa<br />
azione che questo processo meccanico richiede al pianista,<br />
in tempi estremamente brevi, sia possibile. Solitamente<br />
a questo riguardo si parla <strong>del</strong>la necessità <strong>del</strong> rilassamento muscolare,<br />
ma questa espressione è troppo generica e non spiega<br />
in modo sufficientemente preciso gli elementi <strong>fisici</strong> che<br />
rendono possibile questa azione. Come si possano controllare<br />
le ultime fasi <strong>del</strong>la corsa <strong>del</strong> martello, decidendo con quale<br />
velocità o accelerazione lanciarlo verso la corda, è una cosa<br />
che sfugge a ogni ipotesi di misura. In effetti la complessità<br />
<strong>del</strong>l’atto da compiere e l’estrema brevità <strong>del</strong> tempo in cui lo si<br />
compie rientrano <strong>nel</strong>le capacità <strong>del</strong> nostro cervello, che possiamo<br />
considerare praticamente illimitate. Ma non sono illimitate<br />
le capacità degli strumenti di cui il cervello si serve, vale<br />
a dire le varie parti e le varie funzioni <strong>del</strong> nostro corpo. Sta<br />
di fatto che continuamente dobbiamo dare all’organo fonda-<br />
60<br />
mentale <strong>del</strong> nostro corpo istruzioni per le azioni che desideriamo<br />
compiere. Se queste istruzioni sono sbagliate, le «capacità<br />
illimitate» si riducono più o meno drasticamente o addirittura<br />
scompaiono.<br />
Dare istruzioni corrette in realtà è possibile solo costruendo<br />
immagini percettive che diventano sempre più dettagliate<br />
e nitide man mano che si procede <strong>nel</strong> corso di uno studio<br />
che certamente non ha tempi brevi, e ciò può avvenire sulla<br />
base di certi criteri. Ci sono, intanto, ragioni ben chiare per<br />
cui il martello deve essere lanciato con il dito e non con altre<br />
parti <strong>del</strong> corpo come spalla, braccio o polso. Accanto alle ragioni<br />
<strong>del</strong>la fisica, che ci dicono che lanciare grandi masse (cosa<br />
assolutamente inutile, come ho dimostrato prima) rallenta<br />
un’azione <strong>nel</strong>la quale la velocità è di un’importanza decisiva,<br />
le ragioni fisiologiche sono altrettanto chiare, perché le piccole<br />
muscolature <strong>del</strong>le dita sono molto più veloci e sensibili.<br />
Sono più veloci perché composte in prevalenza di fibre muscolari<br />
rosse, dotate di una velocità di reazione tripla non solo<br />
<strong>del</strong>le altre cellule muscolari ma anche degli organi <strong>del</strong>la vista e<br />
<strong>del</strong>l’udito, e anche perché sono ricoperte da moltissime fibre<br />
muscolari che si inseriscono sulle falangi con angolazioni diverse<br />
permettendo movimenti in diverse direzioni. È quindi<br />
evidente che la possibilità di ottenere una elevata velocità <strong>del</strong><br />
dito esige il totale disimpegno dalle grandi muscolature, ma<br />
d’altra parte va detto che è fondamentale il totale riposo dopo<br />
ogni singola azione, per evitare l’accumulo <strong>del</strong>le tensioni,<br />
e quindi la fatica, che può giungere fino al blocco muscolare.<br />
Solo questo riposo (potremmo dire questa reale conclusione<br />
<strong>del</strong>l’azione) dà la possibilità di suonare velocemente, che<br />
dipende dalla capacità di modulare il tono e la contrazione<br />
<strong>del</strong>la muscolatura con estrema rapidità tra un’azione e l’altra.<br />
Le piccole muscolature sono inoltre più sensibili perché ogni<br />
singola fibra muscolare è dotata di una innervatura, e quindi<br />
il rapporto tra il numero di terminazioni nervose e il numero<br />
di fibre muscolari è addirittura migliaia di volte più favorevole<br />
rispetto alle grandi muscolature, che assolutamente non<br />
sarebbero in grado di compiere un’azione sofisticata come il<br />
controllo <strong>del</strong> <strong>tocco</strong>. Ma questa sensibilità è possibile solo con<br />
la libertà da qualsiasi interferenza di segnali estranei sulla formazione<br />
<strong>del</strong>le percezioni (penso sia qualcosa di simile al problema<br />
<strong>del</strong> rapporto segnale-disturbo negli impianti di ascolto
ad alta fe<strong>del</strong>tà). Tra questi segnali intendo soprattutto la sensazione<br />
di impegno muscolare, anche se minima. Penso che<br />
un allenamento alla fatica muscolare non risolva questo problema<br />
(visto che una sospensione di tale tipo di allenamento,<br />
anche per pochi giorni, lo ripropone), ma che invece con<br />
tali sistemi lo sforzo continui ad accompagnare l’azione muscolare,<br />
e ne venga solo mascherata o attenuata la percezione.<br />
Naturalmente con certi tipi di allenamento la muscolatura<br />
può aumentare di volume ed esprimere più forza, ma le terminazioni<br />
nervose aumentano anch’esse? Certamente ci sono<br />
casi diversi, date le diverse attitudini individuali e i diversi<br />
livelli <strong>del</strong>l’attenzione prestata, più o meno spontaneamente,<br />
agli aspetti musicali <strong>del</strong> lavoro che si fa. Ma in generale, è<br />
elevato il rischio che un certo tipo di studio sul pianoforte in<br />
realtà diminuisca la sensibilità muscolare, e quindi la tecnica.<br />
Purtroppo un’azione corretta <strong>del</strong> dito (e in realtà di tutto il<br />
corpo, messo per così dire al servizio <strong>del</strong>le dita) è qualcosa di<br />
estraneo, <strong>nel</strong>la massima parte dei casi, ai nostri abituali pro-<br />
cessi motori, e quindi va costruita con un lungo e paziente lavoro,<br />
che non può essere <strong>del</strong> tutto abbandonato neppure dopo<br />
una lunga esperienza.<br />
Ritengo ora necessario chiarire un ultimo problema. Si tratta<br />
in realtà <strong>del</strong> problema di fondo, che ha determinato tutta<br />
la mia ricerca sul brevetto. Cioè se si possa definire in termini<br />
obiettivi il rapporto tra una certa struttura <strong>del</strong>la meccanica<br />
<strong>del</strong> pianoforte e le possibilità <strong>del</strong> pianista di esercitare il<br />
<strong>tocco</strong>. La risposta è che certamente nessun pianista può controllare<br />
le qualità <strong>del</strong> suono, fatta eccezione per il volume, se<br />
il momento angolare è insufficiente, o addirittura pari o inferiore<br />
a zero <strong>nel</strong> momento in cui il martello viene lanciato sulla<br />
corda dal sistema di scappamento. Non potrebbe controllare<br />
nemmeno il volume <strong>del</strong> suono se il momento fosse nullo<br />
anche alla partenza <strong>del</strong> martello. Esistono quindi certamente<br />
<strong>del</strong>le condizioni fisiche <strong>del</strong>lo strumento che rendono possibile<br />
tale controllo, e che possono essere definite e misurate.<br />
Ma queste misure sono uguali per tutti, o dipendono dalla<br />
sensibilità o dall’esperienza <strong>del</strong>l’esecutore?<br />
Per rispondere è necessario definire il <strong>tocco</strong> da un punto di<br />
vista soggettivo, cioè <strong>nel</strong>la percezione <strong>del</strong> pianista, come prima<br />
l’ho definito dal punto di vista fisico. Il controllo <strong>del</strong> <strong>tocco</strong><br />
è un processo a «feedback». Ciò significa che una certa azio-<br />
61<br />
Cose di musica<br />
ne muscolare determina un certo effetto sonoro, e questo influenza<br />
in tempo reale l’azione muscolare successiva, e così di<br />
seguito fino a creare un automatismo che è alla base <strong>del</strong>la capacità<br />
di dare significati musicali al suono. Ma questo processo<br />
parte solo da una certa soglia, che corrisponde al minimo<br />
necessario <strong>del</strong> livello percettivo. Ciò significa che, se le dita<br />
<strong>del</strong> pianista non «sentono» il martello a causa dei limiti <strong>del</strong>lo<br />
strumento, l’orecchio non può sentire una variazione di timbro<br />
tale da influenzare l’azione motoria. Al di sotto di una soglia<br />
così definita, evidentemente non è possibile nessun feedback,<br />
e ciò obiettivamente significa che lo strumento in quanto<br />
tale non possiede, o più esattamente non consente il <strong>tocco</strong>.<br />
Si tratta di una soglia soggetta solo a una variabilità individuale<br />
di modesta misura (e tale variabilità è largamente compresa<br />
nei limiti di misura previsti <strong>nel</strong> brevetto).<br />
Altra cosa è la capacità di distinguere consapevolmente le<br />
sfumature timbriche <strong>del</strong> suono ottenuto, capacità che non dipende<br />
da una soglia percettiva ma va piuttosto definita come<br />
un’attitudine, talvolta almeno in parte spontanea, ma che comunque<br />
deve essere sviluppata con lo studio, che se correttamente<br />
impostato porta a un continuo affinamento <strong>del</strong>la sensibilità<br />
musicale. È evidente che questo affinamento può avvenire<br />
solo su un pianoforte che consente il <strong>tocco</strong>. Spero che<br />
questo divenga ora possibile anche sul pianoforte verticale.<br />
1. Per l’impostazione <strong>del</strong> problema in termini <strong>fisici</strong>, e per tutta la mia<br />
ricerca, è stata essenziale la collaborazione di Elena Pancino, ricercatrice<br />
presso l’Istituto nazionale di Astrofisica (osservatorio di Bologna),<br />
mentre per la verifica <strong>del</strong>le ipotesi scientifiche concernenti la fisica e la<br />
revisione <strong>del</strong> testo debbo ringraziare Sandro Maluta, ingegnere meccanico,<br />
già docente presso il Politecnico di Milano e ora amministratore<br />
<strong>del</strong>egato in una importante azienda internazionale. Dal punto di vista<br />
fisiologico, sia per la verifica di tutte le mie affermazioni che per la revisione<br />
e l’integrazione <strong>del</strong> testo, anche dal punto di vista terminologico,<br />
debbo essere grato a Paola Cesari, titolare <strong>del</strong>la cattedra di Scienze<br />
motorie presso l’omonima facoltà <strong>del</strong>l’Università di Verona e ricercatrice<br />
<strong>nel</strong> dipartimento di Scienze neurologiche e <strong>del</strong>la Visione <strong>del</strong>la stessa<br />
Università, che ho potuto incontrare grazie alla cortesia di Giuseppe<br />
Moretto, direttore <strong>del</strong>l’unità operativa di Neurologia <strong>del</strong>l’Azienda ospedaliera<br />
universitaria di Verona. A Giuseppe Moretto devo anche alcuni<br />
utili orientamenti sul piano neurologico.
Cose di musica<br />
Musicoterapia e anziani<br />
Gli anziani hanno spesso <strong>del</strong>le difficoltà di ragionamento<br />
e di linguaggio: i loro pensieri, qualche volta,<br />
sembrano non seguire una logica precisa, sconfinando<br />
in percorsi nebulosi, e le loro parole non corrispondono<br />
sempre a uno stato d’animo o a una emozione e si smarriscono<br />
prima ancora di aver terminato il discorso.<br />
La «musica», in senso lato, sa suscitare affetti<br />
profondi ed è un veicolo capace di raggiungere<br />
il cuore degli anziani o degli ammalati<br />
di demenza perché sa rinnovare ricordi<br />
e stati d’animo che sembrano rimossi.<br />
A questa riflessione si è giunti<br />
considerando che il suono è la prima<br />
forma di comunicazione umana:<br />
la voce materna, che il feto sente<br />
e interiorizza ancor prima <strong>del</strong>la<br />
nascita, e il pianto che il neonato<br />
utilizza per dimostrare di essere<br />
venuto al mondo e di avere <strong>del</strong>le<br />
necessità, sono le prime manifestazioni<br />
di vita indipendente e<br />
autonoma.<br />
L’anziano ama la musica che gli<br />
fa rivivere tanti momenti <strong>del</strong>la sua<br />
vita passata, in qualche modo lo fa<br />
ringiovanire. I guai <strong>del</strong>l’età lo isolano,<br />
la musica lo mantiene inserito <strong>nel</strong><br />
mondo. È questa la migliore medicina<br />
per lui che, con la musica, riesce a ottenere<br />
qualche miglioramento anche in caso di<br />
Alzheimer. Le difficoltà che tante volte ha di<br />
esprimersi, di comunicare con gli altri, si superano<br />
con la musica che è un contributo alla speranza e<br />
alla fiducia <strong>nel</strong>la vita. In pratica, un bel canto, un bel coro, una<br />
canzone, la musica classica o operistica, che l’anziano spesso<br />
conosce bene, gli fanno rivivere tanti momenti <strong>del</strong> passato e<br />
lo mantengono inserito <strong>nel</strong> presente. Proprio per questo mo-<br />
Jan Lievens (1607, Leida - 1674, Amsterdam), I quattro elementi e le età <strong>del</strong>l’uomo, c. 1668 Staatliche Museen, Kass<br />
62<br />
di Cecilia Dolcetti<br />
tivo in una struttura per anziani o malati di Alzheimer il trattamento<br />
musicoterapeutico è di grande importanza e aiuto.<br />
La figura <strong>del</strong>l’assistente o <strong>del</strong>l’infermiere, capace di cogliere<br />
quello che si può fare in risposta ai bisogni espressi dagli<br />
anziani, si affianca a quella <strong>del</strong> musicoterapeuta e tra i due è<br />
necessaria una continuità, una collaborazione tra area<br />
medica e area «artistica».<br />
Il valore <strong>del</strong>la musicoterapia applicata alla<br />
terza età nasce dal riconoscimento <strong>del</strong>l’unicità<br />
di ogni persona e dal valore che<br />
ogni vita rappresenta, anche quella vicina<br />
all’età <strong>del</strong>la morte e quella colpita<br />
da malattie devastanti come<br />
l’Alzheimer.<br />
Mettere al centro <strong>del</strong> lavoro di<br />
musicoterapica la persona anziana<br />
o affetta da demenza significa<br />
considerarla come un indivi-<br />
el<br />
duo senza uguali, un essere unico,<br />
irripetibile e prezioso, indipendentemente<br />
dal suo grado di<br />
disorientamento.<br />
Occorre dare senso ai comportamenti<br />
insensati e alle stereotipie<br />
che sono considerati come tattiche<br />
di sopravvivenza.<br />
Vanno utilizzate le potenzialità <strong>del</strong>-<br />
la persona e considerati i suoi sintomi,<br />
non solo come i segnali di una sofferenza<br />
o come manifestazioni di patologia, ma<br />
come il risultato di risorse bloccate e anche<br />
come un mezzo di comunicazione di un messaggio<br />
<strong>del</strong>l’inconscio.<br />
Nessuna teoria, neanche la migliore, può pregiudicare il destino<br />
di un uomo. Questa affermazione rimette al centro <strong>del</strong>l’indagine<br />
e <strong>del</strong> fare terapeutico la Persona, mentre la teoria<br />
diventa solo una «mappa» per comprendere meglio l’ogget-
to <strong>del</strong>la conoscenza. L’importante è capire che la «mappa»<br />
non è il «territorio». Diceva Carl Gustav Jung: «Il terapeuta<br />
deve ricordarsi che il paziente è lì per essere aiutato e non per<br />
verificare una teoria». Nel caso specifico degli anziani la cosa<br />
importante non è l’invecchiamento, ma l’uomo che è vecchio.<br />
La cosa importante non è la malattia, ma l’uomo che ha<br />
la malattia. In questa prospettiva la scelta di un metodo non<br />
dipende dal suo valore intrinseco, ma dalla sua efficacia nei<br />
confronti di un dato individuo in un preciso momento <strong>del</strong>la<br />
sua vita.<br />
Il mo<strong>del</strong>lo di musicoterapia con anziani si basa sulla relazione,<br />
sull’ascolto empatico, sull’accettazione incondizionata<br />
<strong>del</strong>l’altro per come è <strong>nel</strong> momento<br />
presente e sull’utilizzo<br />
<strong>del</strong> suono e <strong>del</strong>la musica<br />
come mezzo per scoprire<br />
e sviluppare i potenziali<br />
e le risorse <strong>del</strong>la persona.<br />
Si parte dal presupposto che<br />
ogni persona abbia in sé tutte<br />
le risorse necessarie per<br />
adattarsi all’ambiente. C’è<br />
una sostanziale fiducia <strong>nel</strong>la<br />
persona che possiede tutte<br />
le potenzialità per superare<br />
le difficoltà <strong>nel</strong>le quali si<br />
trova e le capacità per fare<br />
dei progressi.<br />
Nel trattamento con gli anziani<br />
ciò è possibile quando<br />
l’agire <strong>del</strong> musicoterapeuta<br />
favorisce l’ascolto empatico:<br />
il musicoterapeuta si pone<br />
all’ascolto <strong>del</strong>l’altro per cercare<br />
di scoprire come l’altro,<br />
l’anziano, vive la realtà, cercando<br />
il senso <strong>del</strong> suo modo<br />
di essere e di comportarsi,<br />
andando a ricercare non<br />
ciò che manca, ma quello<br />
che c’è. Il suo compito è quello di «suonare dialogando» con<br />
le persone di cui si prende cura.<br />
Le sedute di musicoterapia non sono mai rigidamente strutturate,<br />
ma fluiscono liberamente momento dopo momento.<br />
L’attenzione costante alle risposte e ai segnali che provengono<br />
dal singolo e dal gruppo orienta il musicoterapeuta <strong>nel</strong>la<br />
scelta <strong>del</strong>l’attività da proporre, ispirandosi a ciò che i malati<br />
suggeriscono, seguendo le «direzioni» che loro stessi propongono.<br />
Viene accolta, in primis, la proposta <strong>del</strong> soggetto<br />
che è ampliata e arricchita in uno scambio reciproco tra paziente<br />
e musicoterapeuta.<br />
Il lavoro è centrato sulle «parti sane» <strong>del</strong>l’anziano e <strong>del</strong> malato<br />
di demenza di cui vengono valorizzate tutte le potenzialità<br />
fisiche e intellettive: si parte da ciò che alla persona piace e<br />
sa fare, puntando a mete accessibili <strong>nel</strong>le quali può sperimentare<br />
una riuscita gratificante. L’intervento musicoterapeutico<br />
si orienta verso traguardi raggiungibili e guarda alla globalità<br />
<strong>del</strong>la persona, coinvolgendo tutti i sensi, la fantasia, il movimento,<br />
l’emotività, funzioni cognitive e, di conseguenza,<br />
utilizza tutte le potenzialità <strong>del</strong> linguaggio musicale: il canto,<br />
l’ascolto, il movimento, il suono degli strumenti, la danza.<br />
Vengono proposte «situazioni significative» attraenti per gli<br />
anziani e i dementi, capaci di attivarne la curiosità, l’interes-<br />
63<br />
Cose di musica<br />
se e la motivazione e di favorirne la partecipazione in prima<br />
persona.<br />
C’è adattamento e personalizzazione <strong>del</strong>la tecnica musicoterapeutica<br />
in conseguenza alle proposte e ai bisogni <strong>del</strong>l’anziano.<br />
Il lavoro in gruppo si concentra sulla socializzazione e<br />
sullo scambio comunicativo tra i membri <strong>del</strong> gruppo che sentono<br />
di non essere soli e sulla valorizzazione <strong>del</strong> singolo <strong>nel</strong><br />
gruppo stesso. La finalità è quella di far sentire l’anziano utile<br />
e accettato.<br />
La collaborazione con i familiari è auspicabile proprio perché<br />
la visione e la stessa partecipazione al lavoro consente di<br />
verificare la validità <strong>del</strong> trattamento. In alcuni casi offre l’op-<br />
Giorgione (1477, Castelfranco - 1510, <strong>Venezia</strong>), Le tre età, Galleria Palatina (Palazzo Pitti), Firenze<br />
portunità di scoprire aspetti <strong>del</strong> proprio anziano o malato,<br />
inaspettati e sorprendenti.<br />
Vengono condotti piccoli gruppi di musicoterapica e consueling<br />
per familiari e per chi è impegnato <strong>nel</strong>l’assistenza dei dementi<br />
e ammalati di Alzheimer. Tali gruppi hanno effetti positivi<br />
sia <strong>nel</strong> rapporto con il proprio malato, sia <strong>nel</strong>la gestione<br />
e <strong>nel</strong> vissuto <strong>del</strong>la malattia stessa. Gli incontri sono molto importanti<br />
anche per chi subisce la pesante situazione di convivere<br />
e condividere le conseguenze di queste patologie, permettendo<br />
di stabilire un supporto necessario e indispensabile<br />
per chi si occupa in prima persona di questi ammalati.<br />
La musica, ancora una volta, ci viene in aiuto perché sa accompagnare<br />
e migliorare la nostra vita. Nella terza età, grazie<br />
al suo potere rassicurativo e stimolante, permette l’espressione<br />
di emozioni, risveglia abitudini, facilita la riabilitazione<br />
di movimenti.<br />
Nei casi di demenza senile e <strong>nel</strong>l’Alzheimer il grande merito<br />
<strong>del</strong>la musicoterapia è soprattutto quello di restituire un senso,<br />
un interesse, uno scopo al vivere quotidiano di questi ammalati.<br />
Di sviluppare potenzialità nascoste in virtù di quella<br />
universale «arte di vivere» che troviamo in chi si appresta<br />
ad affrontare un difficile cammino, nonostante la perdita di<br />
riferimenti.