THE END / LA FINE - fabrica

THE END / L A FINE
SPRING / PRIMAVERA 2006

CONTRIBUTORS
Sam Baron (France) / andy BellaS (Uk) / coSimo Bizzarri (italy) / chriS Boot (Uk) /
Prima chakraBandhU na ayUdhya (thailand) / FranceSca de PaScale (italy) / PhiliPP eBeling (germany) /
lorenzo Fonda (italy) / marian graBmayer (aUStria) / FrançoiS héBel (France) / yianni hill (aUStralia) /
Pieter hUgo (SoUth aFrica) / nicole kenney (USa) / danica koVaceVic (rePUBlic oF SerBia) JUliana loh (SingaPore) /
riccardo mazza (italy) / annaliSa merelli (italy) / griSha morgernStern (germany) / Sarah naPier (aUStralia) /
martin Parr (Uk) / Sonia PaStrello (italy) / matthew PrinS (canada) / Paolo Princi (italy) / leonie PUrchaS (Uk) /
andy rementer (USa) / camilla reyman (denmark) / gUllermo riVero (mexico) / andrew P. Smith (USa) /
Selwa Sweidan (USa) / giUlio tami (italy) / lorenzo VittUri (italy) / reed yoUng (USa)
COVER: Yianni hill

THE END / LA FINE
the end iS a moVie Screen word.
the end may mean wonder. Fear. SUrPriSe. relieF. doUBt.
delUSion. new Start. deStrUction.
the end iS a Border, a Frontier, a goal.
the end iS deFinite. the end iS a new Start. the end iS UnPredictaBle. the end. it’S exPectation. the end eraSeS.
the end rewriteS. the end oPenS.
thingS end in diFFerent wayS.
one day yoU’re aliVe, the next yoU’re not. one day yoU’re a Virgin, the next day yoU’re not. one day yoU’re
twenty-FiVe, one day yoU’re Single, one day yoU’re homeleSS, one day yoU’re wrong.
and then it’S all oVer.
each oF US determine oUr own endingS. SometimeS we end Something.
eVentUally Something will end US. and eVen then Some endingS are retroactiVe and we don’t realize that
Something haS ended Until well aFter it haS.
whateVer it iS whateVer ShaPe it’S got, the end comeS and that’S it. it markS the end oF a Sentence withoUt caring
aBoUt Starting a new ParagraPh. it takeS the Start away with itS characterS and the tUrn oF eVentS. we’re USed
to Some kind oF SeqUel eVen iF it doeSn’t exiSt aFter the end.
with thiS iSSUe, on the contrary, we’d like to Be deFinite. the end.
Fine è Una Parola da grande Schermo.
Fine PUò Voler dire meraViglia. PaUra. SorPreSa. SollieVo. dUBBio.
delUSione. nUoVo inizio. diStrUzione.
la Fine è Un conFine, Una Frontiera, Un oBiettiVo.
la Fine è deFinitiVa. la Fine è Un nUoVo inizio. la Fine è imPreViSta.
la Fine è atteSa. la Fine cancella. la Fine riScriVe. la Fine aPre.
ci Sono Finali di diVerSi tiPi.
oggi Sei ViVo, domani non Più. oggi Sei Vergine, domani no. oggi hai VenticinqUe anni e Sei Single, domani Sei SU Una
Strada e doPodomani Sei nel torto.
Poi è la Fine.
ognUno di noi crea i ProPri Finali. a Volte Siamo noi SteSSi a dire la Parola Fine. ma Prima o Poi è la Fine a
SorPrenderci. anche Se a Volte la Fine è Un ProceSSo a ScoPPio ritardato. non ci accorgiamo che qUalcoSa è
Finito Fino a che, Beh, è Finito.
qUalUnqUe coSa Sia, qUalUnqUe Forma aBBia, la Fine arriVa e BaSta.
mette Un PUnto SUlle Storie, non Si cUra dell’a caPo. Si Porta Via l’inizio,
i PerSonaggi e PerFino i colPi di Scena.
Siamo aBitUati ad aVere SemPre Un “doPo” anche Se il doPo, doPo la Fine, non eSiSte Più.
con qUeSto nUmero, inVece, Vorremmo eSSere deFinitiVi. Fine.
02/03

THE END.
DALLA
FINE.
To the Editorial Office,
I’m a reader of FAB and I wanted to write a note knowing
that the theme of this issue will deal with ‘The End’.
I would like to confess some thoughts which I usually keep
to myself, and that I don’t understand.
At times, I would like to start from the end. In other words,
many things I would start from the end.
Let’s take lawyers as an example. I would establish
a fee beforehand for every law suit.
For example: Uxoricide 5000 Euro. Aggravated Theft 3000
Euro, Armed Robbery 7000 Euro. And once the lawyer has
been chosen and the law suit has begun, I would take
away Euros for every hearing. I’m sure that the lawyer would
care about my case and the courts wouldn’t be obstructed
with paperwork and pettifogging lawyers.
I would do the same with doctors. Using a taximeter.
A fee for every illness and then I would subtract Euros
for every month that they make you lose your health
and wait in line at the counters.
Then, I would give a prize to those country doctors that have
healthy and trusting patients.
I’d give a pension to the young, who must enjoy life
and get to know the world. And I’d make the elderly that have
already enjoyed life and known the world to get to work.
I also see people that dress as if it were night even
during the day: in other words naked.
Let’s say that when I see a stiff man strutting around
the town or an attractive conceited lady in a store or at
Text: Sonia Pastrello / Image: Andy Rementer FROM
the supermarket…that’s when the nude pops out. I see them
with the same attitude when they’re clothed but
completely naked.
Can you imagine a managing director at the
shareholder’s meeting seriously reflecting on the world’s
economy…but naked?
Or waiters....running around with a stiff arm and
a curved back? Those nudes are fun. Or the traffic warden in
the middle of a jam, with evening clothes during daytime?
Then I would also like the mass to start at the end...
replacing “go in peace” with “come in peace”. Because we go in
peace after we’ve gotten mad with someone. But in that place
and in that case: mad with whom? With God?
We come in peace. Always! And with open arms.
We should always show our face, breast, stomach and
never our back.
I would also like prostitutes to start from the end.
In other words, when their customer gives them money.
That’s when I imagine them sticking their tongues out and
running away with the money.
I’d start from the end, even with dictators, scoundrels and
torturers. I’d start from their funeral. I can imagine the
ceremony as an imposing loop-forever:
“In the coffin … tighten the screws…with the casket on the
grave-digger’s shoulders.”
“In the coffin … tighten the screws…with the casket on the
grave-digger’s shoulders.”
“In the coffin…tighten the screws…with the casket on the

04/05

grave-digger’s shoulders,” forever frozen in that moment.
I’m not going to make those go back to the start! I’m going
to leave them at the end. The end and that’s it.
Then at times I get mad because we’re all afraid of the end.
But do you know why? It’s because we never fully live. The
beginning of everything corresponds to the present. We have
been taught to live for the future. And we have learned this
well. We strive for a better future, we struggle everyday for
a better future for our children, we don’t sleep at night for the
time to come…but our future will never come and it is nothing
else but the beginning of what we are living now. The true end
is ruining our present for a future that we will never be able to
acknowledge, because once again it will be called the present.
In other words I get a kick out of imaging how the world
would be if stories and things started from the end. What
about going to the sea today for a start?
Signed letter
Carissima redazione,
Sono una vostra lettrice e vi volevo scrivere due righe sul
tema de “La Fine”.
Mi sento di confidarvi alcuni pensieri che di solito tengo
per me, perché non mi capisco bene.
Mi succede infatti che, a volte, io incomincerei dalla fine.
Cioè: le cose, le inizierei proprio dalla fine.
Per esempio, prendiamo gli avvocati. Io stabilirei un
compenso a priori per ogni causa.
Uxoricidio 5000 Euro. Furto Aggravato 3000 Euro,
Rapina a Mano Armata 7000 Euro. Poi, una volta scelto
l’avvocato e partita la causa, andrei per sottrazione di euro
ad ogni udienza. Sono sicura che gli avvocati farebbero il
mio interesse e non ci sarebbero tribunali intasati pieni
di scartoffie ed azzeccagarbugli perdigiorno.
Anche con i medici farei così. A tassametro. Tanto di
tariffario a malattia e poi a sottrazione di Euro per ogni mese
che ti fanno perdere in salute e a fare file agli sportelli.
Poi, bando all’avidità, darei un premio in
moneta a quei medici condotti che hanno pazienti sani
e fiduciosi.
Darei la pensione ai giovani, perché si devono divertire,
conoscere il mondo. Farei lavorare i più anziani che si sono
già divertiti e che hanno già conosciuto il mondo.
Poi mi succede anche che vedo le persone durante il
giorno, vestite da notte: cioè nude.
Per esempio: quando vedo un signore impettito che gira in
città o qualche bella signora che se la tira da morire in un
negozio o al supermercato… tac, mi scatta il nudo. Li vedo con
lo stesso atteggiamento da vestiti, ma tutti nudi.
Ve lo immaginate un amministratore delegato alla
riunione dei soci, serio a ragionare sull’economia del
mondo… ma nudo?
O i camerieri… quelli che girano con il braccio inamidato
e la schiena un po’ obliqua? Quelli, nudi, sono uno spasso.
O il vigile in mezzo al traffico, vestito da sera in pieno giorno?
Poi mi piacerebbe che la messa incominciasse dalla fine
e sostituisse quell’ “andate in pace” con un “venite in pace”.
Perché si va in pace dopo che ci si è arrabbiati con qualcuno.
Ma in quel posto e in quel caso: arrabbiati con chi? Con Dio?
In pace si viene. Sempre! A braccia aperte. E si dovrebbe
mostrare il viso, il seno, il ventre e mai la schiena.
Poi mi piacerebbe che il mestiere delle prostitute
incominciasse dalla fine. Da quando i clienti pagano.
Mi immagino le prostitute che gli fanno una bella pernacchia
e scappano via con i soldi.
Incomincio dalla fine, anche con i dittatori, i furfanti
e i torturatori. Incomincio sempre dal loro funerale. Vedo la
loro cerimonia in un grande “loop-forever”:
“dentro la bara… chiuse le viti…bara in spalla dei becchini,”
“dentro la bara… chiuse le viti…bara in spalla dei becchini,”
“dentro la bara… chiuse le viti…bara in spalla dei becchini,”
per sempre congelati in quell’istante.
Mica li faccio tornare all’inizio quelli! Lascio loro solo la fine.
Solo la fine e basta.
Poi a volte mi arrabbio anche, perché tutti abbiamo paura
della fine. Ma sapete perché? Perché non viviamo mai fino in
fondo l’inizio di ogni cosa. E l’inizio di ogni cosa coincide
sempre con il presente. Ci hanno insegnato a vivere per un
futuro. E noi, questo, lo abbiamo imparato bene. Ci
prodighiamo per un futuro migliore, ci sbattiamo ogni giorno
per il futuro dei nostri figli, non dormiamo la notte per il nostro
avvenire… ma il futuro non verrà mai, non è niente di diverso
da quello che stiamo vivendo adesso. La vera fine è rovinare
il nostro presente per un futuro che quando arriverà non
lo riconosceremo, perché ancora una volta avrà il nome
del presente.
Insomma, io mi ci diverto un sacco a pensare come
sarebbe il mondo se le storie o le cose incominciassero
dalla fine.
Che ne dite, per incominciare, se oggi andassimo
tutti al mare?
Lettera firmata
AT TIMES
I’D LIKE TO
START FROM
THE END.
A vOLTE, IO
INcOMINcEREI
DALLA FINE.
06/07

Image: Nicole Kenney

08/09

Text: Matthew Prins / Image: Fab Magazine
Facing
the
Wall.
She rolls off of me and faces the wall.
“I love you. Goodnight.” That means sex is over. The
sperm explosion doesn’t mark the end, nor do the few
moments afterwards, tenderly attempting to elongate what
was probably “good” at best. I suppose I should be thankful
for the reassurance. She loves me and what a nice thing to
wish—a good night. She’s sweet. I love her, too.
Now that it’s over … I guess, maybe I will breathe
heavily for a while and stare at her back.
“Goodnight.” We’ve finished. Or at least I have.
She rolls away to face the wall. The few moles on her
back form an exact replica of the constellation Lupus,
a wolf in the sky.
Inside my head, I’m making noises of whatever self
loathing sounds like and am commenting on what a lucky
guy I am. She’s the most beautiful and considerate girl I know.
Other things are coming out of my mouth. Whispering,
so as not to wake her mother, who is hopefully sleeping next
door, “How come you always face the wall when we’ve
finished?” There isn’t an immediate answer.
“It’d just be nice to see you say I love you. It’s like…”
Something is heavy inside of me and it’s hard to pull out
of my chest. “I don’t know.”
Now she rolls over to see my lips form the next few words.
She quietly encourages me, “It’s like what?”
I can feel my throat closing off. “I don’t know.”
Fuck, I am such a pussy.
She looks me in the eyes, but I have to look elsewhere—
at the blanket and then back to her eyes. I can feel my face
glowing hot. She kisses my lips and I know that a slight
grin is spreading across my face. She says to me,
“I love you.”
“Hup!” It slips out of my mouth upon climaxing.
That’s not even a word.
She’s not so quick to roll off of me this time. Instead, we
lay glued together. Neither of us ever sweat, and tonight it is
no different.
I’d like to know what she’s thinking. There’s no way to
find out. The air she breathes out through her nose feels cool
on my neck.
Now she rolls away and faces the wall. I wait to hear it,
but instead she is grinding her teeth in her sleep.
Faccia
al
MURO.
Mi si scolla di dosso e si gira dall’altra parte, faccia al muro.
Ti amo. Buonanotte. Per stasera basta così. È lì che tutto
finisce. Non nell’esplosione idraulica dell’orgasmo né dopo
gli attimi che seguono, tenero tentativo di prolungare il
piacere, di rendere eccezionale quello che era già stato bello.
Forse le sue parole, rassicuranti, dovrebbero bastarmi.
Mi ama. E poi che bello, sentirsi augurare la buonanotte.
È dolcissima. E poi anch’io sono innamorato di lei.
Beh, è finita credo… me ne starò qui per un po’ con il
fiatone, a guardarle la schiena.
“Buonanotte.” Finito. Beh, almeno io ho finito. Lei si gira
dall’altra parte, faccia al muro. I nei che ha sulla schiena
ricordano la costellazione australe del lupo.
Un lupo siderale.
In testa mi rimbombano il disprezzo che ho per me stesso
e le voci che mi dicono quanto sono fortunato ad avere una
ragazza come lei, la più bella e premurosa che io conosca.
La bocca però è impegnata a dire altro. Sottovoce, per
non svegliare sua madre che dorme -si spera- nella stanza
accanto: “Ma com’è che ti giri sempre contro il muro quando
abbiamo finito di farlo?” All’inizio non risponde.
“Beh…” “È solo che mi piacerebbe vederti negli occhi
quando dici che mi ami. È come… come se avessi un peso sul
petto e non riuscissi a liberarmene… non saprei…”.
Si gira, come per guardarmi le parole uscire di bocca.
Con dolcezza, mi spinge a proseguire. “Spiegati meglio.”
Sento una stretta alla gola. “Non saprei… Cazzo, ma sono
proprio una fighetta.”
Lei mi guarda negli occhi, ma io non ce la faccio e ogni
tanto ho bisogno di guardare le coperte. La faccia mi diventa
calda come una lampadina. Lei mi dà un bacio sulla bocca e
so che sul mio volto comincia a dipingersi un sorriso.
“Ti amo” mi dice.
“Ahp!”. Mi esce il fiato dalla bocca mentre sto per arrivare
al culmine. Cosa vorrà dire “Ahp?”. Questa volta non ha tanta
fretta di voltarsi dall’altra parte. Restiamo lì attaccati. Come
al solito nessuno dei due è sudato.
Chissà a cosa sta pensando. Non c’è modo di saperlo. Col
naso vicino al collo mi soffia addosso dell’aria fresca.
Ed ecco che si volta dall’altra parte. Faccia al muro.
Aspetto che mi dica che mi ama. Ma la sento solo digrignare
i denti. Si è addormentata.

10/11

Text: Juliana Loh / Image: Andy Rementer

L I N E S
Like every child, he had a vast collection of rudimentary
colouring books, but he preferred drawing lines himself,
rather than having fixed spaces to colour and shade.
He loved drawing lines. They could go as far and long as
he wanted, or he could press the nib of his blunt pencil hard
against the surface and mark out little dots to connect them.
He loved taking his lines on walks, they could go into crazy
swirls, fixed shapes of squares, triangles or circles with
a fixed destination, or they could just go straight on forever,
born of a dot and ending with a dot. As a child, he would take
a pen and draw all over himself, following the tributaries
of veins that led to the core of his heart. The end result
was always different, as he chose different veins
each time.
He took his intrigue with lines further in life, into his
profession as an acupuncturist. This time, he found nerve
endings and connected the nerve points with needles to
treat people’s various ailments. Most of his patients had minor
muscular pains while some ladies went to him to keep their
weight in check as he had discovered a method to suppress
appetite by placing needles on the right nerves.
As he worked on the patients, he couldn’t help but mentally
connect the dots of the needles and make patterns and
shapes with the lines they’d link up to. Lines are funny as they
never really end, you can pick up from exactly the same spot
where you left off.
For the first time, he was asked to treat a girl who was
paralysed from her waist down. She had undergone infinite
sessions of physiotherapy to little avail, but her family
clung on to every glimmer of hope that she might recover.
The sessions were intense and he never wanted them to
end as he had started to enjoy the challenge of ending
her pain of paralysis. To him, it was like a puzzle waiting to
be solved, he just had to get the linear composition of
needles right.
She was an attractive young lady whose optimism towards
life was almost unbearable. They started with small talk and
casual conversations before she started to divulge the
psychological pain she was fighting every waking moment.
He grew to like her as they spent an increasing amount of
time on their intimate one to one acupuncture sessions. His
inability to help her regain mobility frustrated him terribly.
He felt an inexplicable sadness in his heart. He started to
connect all the points of her nerve endings, marking out every
single important pressure point before plugging them into the
machine to run a low voltage current through them.
Whoever said that lines and linear patterns never end?
Come tutti i bambini aveva una vasta collezione di libri da
colorare ma preferiva essere lui a tracciare i contorni. Non
amava gli spazi predefiniti da riempire o da ombreggiare.
Gli piaceva disegnare linee. Poteva farle lunghe quanto
voleva o premere forte la punta tonda della sua matita contro
il foglio per ottenere dei punti che poi univa. Linee che
vagavano, si ingarbugliavano, creavano forme di quadrati,
triangoli e cerchi, oppure continuavano sempre diritte,
all’infinito. Da un punto potevano nascere e di punto in
bianco finire. Da bambino si scarabocchiava addosso con
la penna, marcava i capillari e le vene che gli confluivano
al centro del cuore. E il disegno usciva sempre diverso,
come diversa era la vena che seguiva.
Non divenne agopuntore per caso. Individuava le estremità
dei nervi e inseriva i suoi aghi in punti precisi, per alleviare
le sofferenze del prossimo. La gran parte dei suoi pazienti
aveva solo dolori muscolari di poca importanza. Aveva anche
scoperto che, inserendo gli aghi nei punti giusti, riusciva a
limitare l’appetito e aveva diverse clienti che volevano
dimagrire.
Non poteva fare a meno di collegare mentalmente le
estremità degli aghi come punti e creare forme e percorsi e
intersecare le linee. Strani esseri le linee. Non finiscono mai.
Si possono sempre riprendere da dove si sono lasciate.
Una volta gli fu chiesto di curare una ragazza paralizzata
dal bacino in giù. Aveva fatto centinaia di inutili sedute di
fisioterapia, ma la famiglia non aveva mai smesso di
aggrapparsi a qualunque speranza di miglioramento. Le
sedute si rivelarono molto intense. Avrebbe voluto che non
finissero mai. L’aveva presa come una sfida, voleva alleviarle
la sofferenza inflittale dalla paralisi. Era come un rompicapo
che nessuno era mai riuscito a risolvere. Doveva solo unire
i punti giusti.
Era giovane e bella, il suo ottimismo nei confronti della vita
era quasi insopportabile. Cominciarono a parlare dapprima
del più e del meno, poi lei cominciò a descrivere il dolore che
provava in ogni singolo istante della sua giornata. Col
passare del tempo cominciò a piacergli. Le sedute duravano
sempre di più e divenivano momenti di grande intimità. Ma
non riusciva a guarirla e questo diveniva un cruccio sempre
più insopportabile.
Nel cuore sentiva una tristezza inspiegabile. Cominciò
a collegare tutti i punti relativi alle terminazioni nervose,
cercando di identificare con esattezza i punti di pressione
importanti prima di collegarli ad un circuito elettrico
a bassa tensione.
Ma chi ha detto che le linee non hanno mai fine?
L I N E E12/13

Text: Guillermo Rivero / Accessories: Selwa Sweidan, Photographer: Camilla Reyman, Styling Consultant: Bethany Koby
A R N I N G

In the end the only thing that mattered was the journey.
The destination was as beautiful as expected, however it was
during the journey that secrets were revealed and honesty
made them different. Sometimes, it matters more to
remember what happened on the way to paradise rather
than your actual time in paradise.
“I will never be heartbroken again,” she announced.
It was a truly confessional warning. After all, they had
only been dating for a couple weeks before deciding to
drive cross-country and go to the beach together for the
first time. In the old white Volkswagen they were truly
discovering themselves.
“I cannot believe that, you are only 20 years old. You’ll be
heartbroken again. Probably, I won’t do it, I mean I’ll try not
to do it. But I’m sure it will happen.” He replied as he drove
across a small plateau in the mountain range, a place
where farmers take cows and sheep to be fed. The sound of
the music was muted by the struggling motor of the old car.
They had to be in paradise before 14:00 so that the
reservation would be respected.
“I can’t imagine any situation where I would be as
heartbroken as I was two years ago. You didn’t see me.”
“Yeah, but….”
“Yeah but nothing. I lost 10 kilos in 2 weeks, I was so
depressed. I couldn’t eat anything. I was inside my room all
day. I couldn’t wake up or go out. It was terrible. I promised
myself never to feel like that again.”
“How do you know, once you have felt something so
strong for a guy, you won’t be able to feel that ever again?”
“I never said that.”
“You did.”
The mountain range ended, and they started to go downhill.
The climate was about to change from the cold mountain
breeze to the warm tropical weather signaling the
I wIll
N eveR be
heARtbRokeN
AGAIN.
approaching beach. Paradise was closer. The music could be
heard now that the car was going down hill and the motor
was struggling less.
“Ok, let me explain myself better. I’ll never be heartbroken
like that. I will not let me hurt myself so much. I will not cry
and destroy my life for a guy. I’ll fall in love. Actually I am
falling in love, but it won’t be you nor any one else who’ll
break my heart like that again.”
He smiled at her and replied, “I’m not trying to. What did he
do? Why was it so bad?”
“He just told me that he didn’t love me. I gave him
everything and he just told me that it wasn’t what he wanted.
It was after a year of being together everyday. I was giving
him everything he wanted. The drinking girl, the sexy girl,
I was giving him everything, even doing his freaking
homework. I was weak and I fell in love and he destroyed
a world I had constructed around him. He left and then tried
to come back. I cried him out and I lost him with the 10 kilos.
After that I promised myself no more.”
“I guess it was really bad. I never liked that guy anyway.”
“He never liked you, but I like you and I like you a lot.”
As they drove through a small town, they stopped at
a convenience store. They bought some snacks and took
a couple of pictures. They removed their sweaters .
Coincidentally, they were wearing matching red t-shirts.
They laughed and kissed. They went to paradise and back.
After they broke up, both remembered the conversation in
the old white Volkswagen more than anything.
In fin dei conti il momento più importante era stato il viaggio.
La meta era stata all’altezza delle loro aspettative, ma fu
lungo il percorso che caddero i segreti. Fu la franchezza
con cui si confrontarono, a cambiare qualcosa. A volte quello
che conta è il percorso. Non la meta. Neanche se la meta
è il paradiso.
“Non voglio più soffrire,” aveva premesso lei. Un vero
e proprio avvertimento, in camera caritatis. Dopotutto erano
solo un paio di settimane che uscivano insieme. Avevano
deciso di attraversare il paese e arrivare al mare, per la
prima volta. E in quella vecchia Volkswagen cominciarono
a conoscersi per quelli che erano veramente.
“Non posso crederci, dai. Hai solo venti anni, è ovvio che
prima o poi qualcuno ti farà soffrire di nuovo. Non credo
sarò io, io cercherò di evitarlo in tutti i modi, ma prima o
poi qualcuno…” le disse lui mentre attraversavano un piccolo
altipiano tra i monti, dove i contadini portavano le mucche
e le pecore al pascolo. La macchina era vecchia e in salita,
il motore cantava più forte dell’autoradio. Dovevano essere
in paradiso prima delle due di pomeriggio o avrebbero perso
la prenotazione.
“Non riesco neanche ad immaginarmi di soffrire ancora
come due anni fa. Tu non ne hai idea.”
“Sì, ma…”
“Ma un cavolo. Ho perso dieci chili in due settimane, sono
stata malissimo. Non riuscivo neanche a mangiare. Passavo
le giornate chiusa nella mia stanza. Non riuscivo fisicamente
14/15

ad alzarmi dal letto o ad uscire. È stato terribile. Ho giurato
a me stessa che non sarebbe mai più dovuto succedere.”
“Ma come fai a dirlo? Credi che non potresti più provare
per un altro quello che hai provato per lui?”.
“Non ho detto questo.” “Lo hai detto...”.
Cominciava la discesa. Stava per cambiare il clima
e la brezza fredda sarebbe presto diventata calore tropicale,
la spiaggia si avvicinava. Il paradiso era sempre più a portata
di mano. Si cominciava anche a sentire la musica. La macchina
faceva meno fatica.
“Ok, mi spiego meglio. Ho deciso di non soffrire più
in quel modo. Non mi permetterò mai più di essere così
vulnerabile, di piangere e distruggermi la vita per un ragazzo.
Sì, mi innamorerò. Lo sto facendo anche adesso. Ma
né a te né a nessun altro permetterò di farmi a pezzi
in quel modo.”
Lui le sorrise e rispose: “Io non voglio farti soffrire. Ma
lui cosa ha combinato? Perché sei stata male?”.
“Mi ha detto che non era innamorato di me. Io gli avevo
dato tutto e lui ha semplicemente detto che non era quello
che gli interessava. Facevo la disinibita, bevevo. Qualunque
cosa. Gli facevo persino i compiti per casa, pensa un po’
tu. Mi sono innamorata in un momento di debolezza e ha
distrutto tutto quello che avevo costruito intorno a lui. Se
n’è andato, poi ha cercato di tornare da me. Me ne sono
liberata a forza di piangere. Con i dieci chili ho perso anche
la voglia di stare con lui. Poi mi sono ripromessa che non
sarebbe mai più successo.”
“Deve essere stato terribile. Beh, quel tizio a me, non
è mai piaciuto comunque.”
“Neanche tu piacevi molto a lui. Ma a me piaci e non poco.”
Passarono per un paesino e si fermarono ad un
negozietto, comprarono qualcosa da mangiare e fecero
qualche foto. Si tolsero le maglie pesanti e scoprirono
che portavano entrambi la stessa maglietta rossa.
Furono risate e baci.
Andarono in paradiso. Tornarono indietro.
Dopo che si furono lasciati, per entrambi il ricordo
più intenso rimase quella conversazione nella vecchia
Volkswagen bianca.
NoN
voGlIo
pIù
soffRIRe.

The End of Masculinity
This gentleman cries during movies. Oh, and last month
he attended a woman’s folk rock event. Props to this man.
Model: Guillermo Rivero
Accessory: Glasses sock
The End of Masculinity
This gentleman is proudly respectful of his boss,
who is a she.
Model: Alex Healey
Accessory: Washer pin
16/17

Text: Annalisa Merelli / Image: Grisha Morgenstern, Photo: Lorenzo Vitturi

There are things that make my head spin.
A starry sky. The infinite space. And the story of
starlight that takes millions of years to reach us.
The numbers. Infinity plus one.
Stuff that makes your head sore, doors that open into
another door that opens into another and then another.
On the other hand, there are things that are soothing
and make me feel at ease.
I like things that come to an end. I even like the
disappointing ones.
Things like the A4 highway, at Mestre or Milan, with
tollgates that look like the mouth of a river, cars in a row
waiting to pay and people who remember their electronic
passes only at the last minute.
Just like letter paper bought during a trip. You wouldn’t
sacrifice the last sheet for anyone. But there are people
that deserve a special sheet and all you are left with is
an empty box.
Like the books you read or study that you always count
backwards.
Like petrol, always on Sunday or in the middle of
the night, far from any gas station.
Like milk, that you always need at eight o’clock in
the evening when the stores are closed.
Like sugar or salt, but we’ve got neighbours for that.
Like the trees we meet climbing up a mountain trail.
Like the last cigarette in the rare cases that it really is the
last one and the oddly pleasant taste of smoke in your
throat that you won’t taste anymore.
Like the ink in the pens you can see through that don’t
look empty but they’re only dirty inside.
Like the toothpaste you would like to use when you’ve
eaten radioactive onions and you have to open the tube
to gather little bits of dried mint paste.
Like a film that should have had another ending, sequels
will follow but nothing will put things back together.
Like a homemade cake that we start eating saying
‘just one slice.’
Like the cell phone’s battery, just a second before texting
an important message.
Like the way back home from a field trip. That’s just what
you want when you’re a teenager chatting in the dim light
with your classmates that are suddenly very cool.
Like the party, when the lights come on and the music is
turned off and the floor is covered with sticky blotches and
squashed food.
Like your favourite TV series: the last episode is
announced, looked forward to, deluding and unforgettable.
I like things that finish. Period.
Ci sono alcune cose che personalmente trovo agghiaccianti.
Il cielo stellato. Lo spazio infinito. Quella storia della luce
delle stelle che ci mette milioni di anni per arrivare a noi.
I numeri. Infinito più uno.
Tutta roba da crampi al cervello, da porte che si aprono
su un’altra porta e poi su un’altra e su un’altra ancora.
Invece ci sono altre cose che trovo salvifiche e
confortanti.
A me piacciono le cose che finiscono. Mi piacciono
anche quelle che... proprio non ci voleva.
Cose come la A4, a Mestre o a Milano, col casello che
sembra il delta di un fiume, le macchine in fila per pagare
e la gente che solo in quel momento si ricorda del telepass.
Come una carta da lettera comprata in viaggio. Non per
chiunque sacrificheresti l’ultimo foglio. Ma ci sono persone
che meritano un supporto speciale, e a te resta la
confezione vuota.
Come i libri, quelli che leggi o studi facendo sempre,
sotto sotto, il conto delle pagine alla rovescia.
Come il carburante, sempre di domenica o di notte,
sempre molto lontano da un qualunque benzinaio.
Come il latte, te ne accorgi sempre dopo le otto di sera,
coi supermercati chiusi.
Come lo zucchero, o il sale, ma per quello ci sono
i vicini. Come gli alberi, salendo lungo un sentiero di
montagna. Come l’ultima sigaretta nei rari casi in cui
è davvero l’ultima e lo strano piacevole gusto del
fumo in gola che non sentirai più.
Come l’inchiostro, specie nelle penne trasparenti
che sembrano sempre piene invece sono solo sporche
all’interno.
Come il dentifricio, quando hai mangiato cipolle
radioattive e devi tagliare il tubetto per riuscire a raccogliere
minuscole quantità rinsecchite di impasto alla menta.
Come un film che avrebbe meritato un’altra conclusione:
ci saranno sequel ma niente varrà a mettere le cose a posto.
Come il dolce fatto in casa, si parte sempre con il “solo
una fettina...”.
Come la batteria del cellulare, un attimo prima di inviare
un messaggio importante.
Come la strada per tornare a casa dalla gita di classe,
mentre sei lì adolescente che chiacchieri
a luci basse con i tuoi compagni, improvvisamente fichissimi.
Come la festa, quando accendi le luci e spegni la musica
e il pavimento è pieno di macchie appiccicose e cibo
spiaccicato.
Come il telefilm preferito: l’ultima puntata è annunciata,
attesa, deludente, indimenticabile.
Mi piacciono le cose che finiscono. Punto.
18/19

Text: Francesca De Pascale / Image: Grisha Morgenstern, Photo: Danica Kovacevic
ALICE DOES NOT LIVE
HERE ANYMORE.
ALICE NON ABITA
PIÙ QUI.
The reservations are the worst part: you have to wait for
the order print to come out with the first receipt, put it in
the bottom right drawer, collect the deposit and hand over
the print. There is also a second receipt that must be given
to the customer that usually doesn’t wait so I have to chase
people outside and it isn’t pleasant when it’s snowing
outside, running after people just because they were distracted.
It means that they don’t care about their reservation.
There are a lot of people who haven’t picked their order
up and before the year ends, we have to call the people
who have left a deposit and tell them that they will lose
their money if they don’t come and collect what they
have already paid for.
No book is in its place and there’s a lot to be done.
We must start from the letter A up to the letter Z between
tonight and tomorrow, all day long on the phone: Hello,
you forgot to come and pick up the book you ordered.
The storehouse is silent and while the others are struggling
with Santa Claus, I’m here leafing through the archive
of abandoned books.
One by one, they must be pulled out calmly.
I lock the door so I won’t be disturbed. Names, last names,
telephone numbers to make the order, holding the A of
Armandi to make room for the A of Atteso Lucia while
I proceed a step at a time until the letter T, of Testoni Alice
and in the meantime I have no idea how many years and
women and lives have passed. I couldn’t have imagined
meeting her like that, a few days before Christmas when
you would like to find all the things you’ve lost under the
Christmas tree instead of perfume and new underwear.
I was twenty years old when I met her and the summer
was almost over, she had made love to me and some miracle
made me use my dick as well as my heart until I was able.
Alice. Now I’m holding a reservation with her name and her
telephone number in my hands. I woke up a million times
thinking of going back, to thank her for the love received
but one must never thank for the love received.
The phone rings in a house that I don’t know and
a man answers: Alice doesn’t live here anymore.
Who knows where Alice has ended up, she who ended up
in my heart but who I drove away telling her to stay away
from me, that there wasn’t enough room for the both of us.
It was either me or her. And I chose myself, I told her to let me
go because the only one I wanted to let go of was me. I learned
to love a bit at a time, just like driving or making reservations in
a crappy bookstore. I didn’t feel like making her wait this time.
Alice doesn’t live here anymore. As if I’d known where Alice
had lived during all these years or where she has been until
now. As if I could have known what had been, without us.
Alice doesn’t live here anymore for all the times I looked for
her and for all those times I really didn’t have the nerve to
look for her seriously, for all the times I didn’t think of her for
months because I wanted to think of nothing and she wasn’t
part of my nothing. I’m almost sure of having seen her in
some circumstance but Alice was a dream that was supposed
to remain a dream like the summer when I met her.
For a time I imagined Alice wasn’t of this world and that
she had found me just to reveal her little secret: live like
sunflowers to run after sunrays and dreams. And who knows
if she made it, but I think so. When she would climb the stairs
back home she would turn back to look at me. I would turn
the engine on quickly and stare at the road not to give her the
satisfaction. Just a moment would have been enough to stay
with her forever.
There are just two letters left to finish the alphabet and
the shelf, but the A of Alice is the beginning of a world I have
never known. I’ll take your book.
Le prenotazioni sono la parte peggiore: bisogna aspettare
che esca la stampa dell’ordine insieme al primo scontrino,
metterlo nel cassetto in basso a destra, farsi dare l’anticipo,
poi consegnare la stampa. C’è un secondo scontrino e anche
quello bisogna darlo al cliente, che di solito non aspetta, così
bisogna inseguire le persone fuori dal negozio, ma quando
fuori nevica, non è bello dover uscire a rincorrerle solo
perché è stata distratta. Vuol dire che non ci tengono
alla loro prenotazione.
C’è molta gente che non ha più ritirato il suo ordine e,
prima che l’anno finisca, dobbiamo telefonare a casa di chi
ci ha lasciato l’anticipo per avvertire che perderanno i loro
soldi se entro una settimana non vengono a prendersi quello
per cui hanno già pagato.

Nessun libro è al proprio posto e c’è molto lavoro da
fare. Bisogna partire dalla A e arrivare alla Z entro stasera
e domani stare tutto il giorno al telefono: “Salve, ha
dimenticato di venire a ritirare il libro che aveva prenotato”.
Il magazzino è silenzioso, gli altri sono di là a combattere
contro Babbo Natale mentre eccomi qui, a scorrere con
gli occhi tutto l’archivio dei libri abbandonati.
Uno ad uno, vanno tirati fuori con calma.
Chiudo a chiave per non essere disturbato. Nomi,
cognomi, numeri di telefono per fare ordine, tenere ferma
la A di Armandi per fare spazio alla A di Atteso Lucia, e un
po’ alla volta vado avanti così per ore, fino alla T, T di Testoni
Alice e nel mio frattempo sono passati non so quanti anni
e altre donne e un’altra vita. Non immaginavo di poterla
incontrare così, a pochi giorni da Natale, quando le cose
che hai perso vorresti trovarle tutte sotto l’albero al posto
del profumo e dei boxer nuovi.
Avevo vent’anni quando l’ho incontrata e stava finendo
l’estate, mi aveva fatto l’amore
e qualche miracolo, così invece
di metterci solo il pisello ci
avevo messo pure il cuore, fino
a che avevo potuto. Alice. Me
la trovo ora tra le mani, una
prenotazione a suo nome
e il suo numero di telefono.
Mille notti mi sono svegliato
pensando di voler tornare,
di dirle grazie, ma grazie
per l’amore ricevuto non
si dice mai.
Il telefono squilla in una casa
che non so e risponde la voce
di un uomo: Alice non abita
più qui.
Chissà dov’è finita Alice,
lei che era finita nel mio cuore
e io l’avevo cacciata via
dicendole di starmi lontano, che
non c’era spazio per tutti e due.
O me o lei. E avevo scelto me,
le dicevo di lasciarmi perdere
perché l’unico a volersi perdere
ero io. Io l’amore l’ho imparato
un po’ alla volta, come
a guidare o a fare le
prenotazioni in una libreria
del cazzo, quella volta non me
l’ero sentito di farla aspettare.
Alice non abita più qui.
Come se io sapessi dove ha
vissuto Alice in tutti questi
anni, se sapessi com’è stata
fino a qui. Come se potessi
sapere cosa siamo stati, senza
di noi. Alice non abita più qui
per tutte le volte in cui l’ho cercata senza avere il coraggio di
cercarla davvero e per tutte quelle in cui non ho pensato a lei
per mesi perché non volevo pensare a nulla e lei con il mio
nulla non c’entrava. Ho creduto di averla vista in qualche
occasione, ma Alice era stata un sogno che doveva rimanere
sogno, come quello dell’estate di quando l’ho incontrata.
Per un po’ ho immaginato che Alice non fosse di questa
terra e che mi avesse cercato solo per dirmi il suo
piccolo segreto: vivi come i girasoli, per inseguire i raggi
e i sogni. E chissà se ce l’ha fatta, ma io credo di sì.
Quando saliva le scale per tornare a casa si girava verso
di me, a guardarmi. Io mettevo in moto velocemente
e fissavo la strada per non darle soddisfazione. Forse
perché sarebbe stato un attimo rimanere con lei
per sempre.
Mancano solo due lettere alla fine dell’alfabeto e dello
scaffale, con la A di Alice invece, comincia un mondo
che non ho mai saputo. Prendo io il tuo libro.
20/21

Text: A.P. Smith / Image: Marian Grabmayer

THERE IS NO
EASY WAY
OUT NO SHORT
CUT HOME.
The traffic stretched on for miles in both directions. James
and Mark sat in their car in silence and the car radio was
broken. Friends for years, James and Mark were on their way
home from a rollercoaster park and while generally they chat
like songbirds, the long drive and now stand-still traffic had
killed any conversation between them. They hadn’t moved
for almost an hour and suddenly Mark spoke up, saying,
“I hope it’s a bloody, deadly car accident up ahead.”
“That’s terrible!” James said.
“But, at least it would justify this gridlock,” Mark said.
“I don’t really wish anyone dead, but ya know.”
“I guess.”
“A car accident has to be the worst way to go, like getting
trapped inside the car with your guts all over your lap knowing
you’re not gonna hang on long enough for the paramedics to
pull you out of the wreckage.”
“Have you ever been in a car accident?” James asked.
“No, you?”
“Yeah, once,” James said. “Just bruised and cut but the car
was totaled.” Then he thought about it some more. “It was
pretty scary.”
And again, silence filled the car as they inched forward ever
so slowly. “How do you think you’re gonna die?” Mark asked.
“You mean what would be the worst way?”
“No, like if some psychic told you the day and time and way
you’re gonna die, what do you think she would say?”
“Suicide,” James said, and they both laughed. “But really,
I think I’ll kill myself when the time comes, like when I feel
like I’ve lived my life.”
“Bullshit,” Mark said. “That’s so easy to say when
you’re young.”
“I’m serious. I think I have a control issue.”
“Sounds like it,” Mark said. And they laughed again.
“But how would you do it? Buy a gun and blow your brains
out?” They laughed.
“No, I’d be too worried that I’d fuck it up somehow
and just end up shooting my face off and living the rest of my
life as a blind, deaf mangled faceless human being.”
“A fate worse than death…”
“Exactly,” James said. “I’ll probably jump off a building
or something. It’s hard to fuck that up.”
“Yeah, but what if you have a family or a wife, what about all
the people you’re leaving behind?”
“No one lives forever,” James said, smiling.
Silence. Stagnation. Someone in a car behind them honked.
“I hope I get stabbed at some underground poker game,”
Mark said.
“I think that’d be a cool way to go.”
“Yeah, well, you’ll probably die of ass cancer.”
They laughed, and suddenly the traffic subsided and the
cars began to gain speed. Then, slowing again, James and
Mark drove past the cause of the traffic jam: indeed it was a
car accident, a grisly mess of cars crushed and crumpled like
sheets of paper, with strewn glass and blood on the asphalt
Police cars and ambulances lined the side of the road and
as James and Mark rolled past, they noticed a pair of white
sheets covering what could only be two bodies lying on the
ground. Gaining speed, with the carnage behind them,
James and Mark said nothing, each thinking of the surely
unexpected way in which they will both meet their ends.
22/23

Due lunghe file di automobili in entrambe le direzioni.
James e Mark se ne stavano lì, in macchina, in silenzio, con
l’autoradio rotta. Erano di ritorno da un parco divertimenti
e nonostante fossero loquaci come cocorite stavano zitti,
fiaccati dal lungo viaggio e dall’ingorgo. Erano fermi da più
di un’ora quando Mark se ne uscì con un: “Beh, spero che
sia un bell’incidente con morti e feriti.”
“Ma cosa dici?” rispose James. “Almeno giustificherebbe
questo macello di coda.”
“Non dico morti e feriti, però…”
“Vorrei vedere...”
“L’incidente d’auto deve essere una fine schifosa…
intrappolati in mezzo alle lamiere con le budella in braccio
e la consapevolezza che non durerai abbastanza da farti
estrarre vivo da quello che resta della macchina…”.
“Sei mai stato coinvolto in un incidente?” chiese James.
“No. E tu?”
“Io sì,” disse lui. “Mi sono fatto solo qualche graffio, ma
ho completamente distrutto la macchina.”
Si fermò un istante a riflettere e aggiunse:
“Un’esperienza terrificante.” E fu di nuovo silenzio.
E furono altri due metri di strada.
“Come ti immagini la tua morte?” chiese Mark.
“Nella peggiore delle ipotesi?” rispose James.
“No,” ribatté lui,“immagina che una qualche sensitiva
ti dica come e quando morirai. Cosa direbbe?”
“Suicidio?” rispose James, al che scoppiarono a ridere.
“No, sul serio, credo che sarò io a togliermi di mezzo
quando sarà arrivato il momento, quando sentirò
di aver vissuto abbastanza.”
“Col cazzo” disse Mark “si fa presto a dirlo finché
sei giovane.”
“No, non scherzo. Io ho la mania di far tutto da solo.”
“Sembra anche a me” disse Mark e scoppiarono
nuovamente a ridere. “E come faresti? Ti compreresti una
pistola e ti faresti esplodere il cervello?”. Risate.
“No, sarei così preoccupato che farei qualche cazzata
e finirei per farmi saltare la faccia e passare il resto dei miei
giorni cieco, sordo e malamente mutilato.”
“Peggio che morto.”
“Esatto.” disse James “No, credo che mi butterei dal
settimo piano o qualcosa del genere. Lì è difficile non
rimanerci secchi.”
“Beh sì. Ma se tu avessi una moglie, dei figli, a loro non
penseresti?”
“Beh, nessuno campa in eterno,” disse James sorridendo.
E fu nuovamente il silenzio. Calma piatta. Si udì il suono
di un clacson dalle retrovie.
“Io invece spero di finire accoltellato durante una partita
a poker in qualche bettola nascosta” disse Mark “non
sarebbe male.”
“Ah, io direi che creperai di cancro al culo.”
Risate. D’un tratto presero a muoversi con passo
più sostenuto, le auto davanti cominciarono a procedere
più spedite. Poi un nuovo rallentamento. Stavano
passando a fianco dell’intralcio che aveva creato tutto
l’ingorgo. Un incidente, in effetti. Un groviglio agghiacciante
di lamiere e di auto schiacciate e accartocciate come
foglie secche. Sull’asfalto vetri rotti e chiazze di sangue.
Ai bordi della carreggiata diverse auto della polizia
e ambulanze. Mark e James fecero in tempo a intravedere
due sagome distese, coperte da lenzuoli bianchi. Presero
velocità e si lasciarono la tragedia alle spalle. Rimasero
in silenzio, scrutando nell’imprevedibile.
NON C’è VIA
D’USCITA NON
C’è SCORCIATOIA
PER TORNARE
A CASA.
24/25

Text: Annalisa Merelli / Image: Paolo Princi, Photo: Reed Young
Preparing a sensational ending for things keeps our
destiny under control.
However it’s not a good idea: life always gets the better of
your projects. You can decide everything from the start but
just a little distraction makes reality cheat you and everything
finishes. The problem isn’t the end itself but the way it
happens. In silence, without fireworks.
So don’t give importance to things, don’t ever do it, it’s just
a waste of time.
Just like what happened to this bottle.
“French Champagne, what are you crazy?” I exclaimed
almost a quarter of a century ago. Exhausted and content,
I saw him at the hospital dressed in an improbable manner
and unaware of his handsomeness.
He was smiling and holding the bottle in his hand. I loved
his enthusiasm.
“Only the best for this little girl.”
Our daughter.
His idea of the ‘best’ included an expensive bottle full of
bubbles that we decided to store in the cellar: our daughter
would open it eighteen years later.
Eighteen years is a long time.
I’ve gotten older, he didn’t get the chance.
He went out to go to work one morning and he came back
the next day in the obituaries.
So when Catherine was 18 she found herself in front
of the bottle to be opened but decided that it still wasn’t
the right time. She would wait for a better moment.
We celebrated her college degree.
We celebrated her specialization.
We celebrated her first work contract.
Each time I would put the
ever ageing bottle on the table
and then take it back to the cellar.
My daughter was postponing it in
view of more important achievements.
I adored her ambition but at the same time
I was moved by the importance she gave to this
story. I had the feeling that the bottle would not be
opened for who knows how much longer and that the
right moment would never come. I was wrong.
Today I’m having friends over for lunch. In a hurry with too
many things to do. I always end up getting nervous.
Once lunch is over, we decide to toast so I ask my friend to
go and get the Champagne I bought and put in the cellar. She
comes back up, shows the bottle to me and asks me if it’s the
right one. I give it a glance while choosing the glasses to put
on the table and say “yes, yes.” And “cheers.”
Catherine comes back when everybody else has gone.
The table still has to be cleared and she offers to help me.
“Mother!” I hear her shouting from the kitchen, “but this…”
and she comes in holding the empty bottle of French champagne.
“It’s that one...”.
I try to say no, and say that I bought another, that it isn’t
what she thinks. I would like to convince her but I still have to
convince myself. The truth is that I’m confused; I did it
inadvertently, without thinking. How did I do it?
My daughter starts shouting and says I’m superficial and
maybe she’s right. She cries. Irreparable, the story of the
bottle that ended up in the wrong hands is reduced to silence,
deprived of a meaning that will never come back. It is
ridiculous but it seems like a great loss.
“But do you realize it has even lost its taste in all these
years?” I tell Catherine without any reason. It’s the first thing
that comes to mind.
“Don’t be ridiculous,” she replies drying her tears with a smile.
Preparare un finale ad effetto per le cose serve a tenere sotto
controllo il destino.
Però non è una buona idea: la vita ha sempre la meglio
sui tuoi progetti. Puoi decidere tutto dall’inizio ma basta una
piccola distrazione che è la realtà a fregarti e tutto finisce.
Il problema non è la fine in sè, è il modo in cui succede.
In silenzio, senza nessun fuoco d’artificio.
Quindi tanto vale non dare importanza alle cose, non
dargliene mai, è tempo perso.

Come è successo con questa bottiglia.
“Champagne francese, ma sei impazzito?” gli avevo detto
circa un quarto di secolo fa. Distrutta e felice, me l’ero visto
arrivare all’ospedale vestito in modo improbabile, in tutta la
sua inconsapevole bellezza.
Sorrideva e teneva in mano quella bottiglia. Amavo il suo
entusiasmo.
“Solo il meglio per questa bambina.”
Nostra figlia.
La sua idea di “meglio” includeva una bottiglia costosa
piena di bollicine che decidemmo di stendere in cantina:
sarebbe stata la bambina ad aprirla, diciotto anni dopo.
Diciotto anni sono molto tempo.
Io sono invecchiata, lui non ne ha avuto l’occasione.
È uscito di casa un mattino per lavorare ed è rientrato
il giorno dopo, tra le pagine della cronaca nera.
E quando Caterina, a 18 anni, si è trovata di fronte alla
bottiglia da stappare, ha deciso che non era ancora ora.
Che avrebbe aspettato un momento migliore.
Festeggiammo la laurea. Festeggiammo la
specializzazione.
Festeggiammo il primo
contratto di lavoro.
Ogni volta mettevo in
tavola la bottiglia di
champagne, sempre più
vecchia, e ogni volta la
riportavo in cantina.
Mia figlia rimandava in
attesa di raggiungere
obiettivi più importanti.
Adoravo la sua ambizione e
allo stesso tempo mi
commuoveva l’importanza
che attribuiva a quella storia.
Avevo la sensazione in
qualche modo confortante
che quella bottiglia sarebbe
stata chiusa per chissà
quanto, che il momento
giusto non sarebbe mai
arrivato.
Mi sbagliavo.
Oggi ho gente a pranzo.
Fretta e troppe cose da
fare. Finisco sempre con
l’agitarmi.
Finito il pranzo decidiamo
di stappare una bottiglia,
senza una vera ragione, così
chiedo ad un’amica di andare
a prendere lo spumante che
ho comprato e messo in
cantina. Lei sale, me lo
mostra e mi chiede se ha
preso quello giusto. Lancio
un’occhiata mentre scelgo
i bicchieri da portare in tavola. “Sì, sì,” dico. “Cin cin.”
Caterina rientra che tutti se ne sono andati. La tavola
è ancora da sparecchiare, si offre di darmi una mano.
“Mamma!” la sento dire ad alta voce dalla cucina,
“ma questa…” entra tenendo in mano una bottiglia di
champagne francese vuoto.
“È quella…”.
Provo a dire che no, che ne ho comprata un’altra, che non è
come pensa. Vorrei convincere me prima di lei. La verità è che mi
sono confusa, ero distratta, non ci ho pensato. Come ho fatto?
Mia figlia urla dandomi della superficiale e chissà, può
avere ragione. Piange. Irrimediabile, la storia della bottiglia
è finita in silenzio, nelle mani sbagliate, svuotata di un senso
che non tornerà più indietro.
È ridicolo ma sembra una grande disfatta.
“Ma sai che ha perfino perso sapore in tutti questi anni?”
dico a Caterina, senza un vero perché. È la prima cosa che mi
viene da pensare.
“Non essere ridicola,” mi risponde lei. Asciugandosi gli
occhi, sorride.
26/27

Text: Giulio Tami / Image: Grisha Morgenstern
THE TRUCK
AND THE
LOCUST
Dear Lawyer,
The beginning of the end reaches me ahead of time. It
catches me unexpectedly, like an object falling from the sky,
on a damp day. My nose is bleeding while I’m writing to you
and it is called ‘epistaxis’. I would like to use other medical
terms that sounds like ‘epistaxis’ but, dear lawyer, I haven’t
studied medicine and I work with my cousin drawing nautical
maps, but you already know this. I’m going to continue
writing on this sheet of paper and will send you the blood as
I don’t need it anymore. I do not need the blood I’ve spilled
anymore. In other words, dear lawyer, it’s over forever,
gesloten, as you see I still remember your Dutch lessons that
have never been useful as I draw nautical maps. And now
I should come to terms with the fact that the mission of my
life has failed, I should face life in the general meaning of
the word, in the biological sense I suppose and continue
to draw nautical maps. Get drunk sometimes, in the sun,
go for walks. I may quit writing to you seeing as you never
answer. We’re different. You come and go, do million of
things, you land and bounce straight back up again like
a nervous locust.
I, on the other hand, spend a long time travelling in a
specific direction, let’s say .. like a fast greyish-green truck
along the coastline with the radio on. At a certain point, the
road comes to an end at the foot of a jungle that’s as thick
as vegetable soup. A virgin rain forest. That’s how I felt in
front of the beginning of the end. The truck-driver grown old.
His dog grown old. A trapped lorry driver staring incredulously
at the forest while his truck looks like a carcass on the
curb of the forest, this is all for the metaphor of the truck
and the locust.
Yesterday evening I received a call from the council; very
harsh. The telephone echoes among the plants, I pick up the
receiver and hear a voice answer with an undefined sex that I
don’t recognize; I inform you of the end of the road, the end of
the beautiful thing. When I hang up my nose starts bleeding.
I wanted to call you but I know you won’t answer so I bled on
the kitchen table made of Formica that I guess will be stained.
Now I’m a human being like many others, without a dream.
Mutilated. No, I feel like an orangutan that has nothing left
to climb on. I will use my opposable thumbs otherwise; they
explain that the road has come to an end.
I dream of swallowing fruit and shitting on their heads from
the top of a tall plant. And you, my lawyer…instead of being
here to support me, you’re silently screwing among the
benches of some courthouse in Singapore, Rio, Berlin.
Our girl celebrated her third birthday Saturday, as you well
know, my lawyer. She’s asking a lot of questions.
I give her easy answers and she understands me and if I
don’t know the answers I make them up, everything is
relative. You and I know that, but she doesn’t, she’s only three.
The child is well and so is work along with health, I offer many
thanks and you? How are you my lawyer....tell me .....how the
hell are you? You went away that morning while I was
sleeping; you took away everything, my lawyer. I woke up in
an empty house, I remember. You were so damn quiet.
You left the child. I have re-christened her ‘Aonèdis’,
pronounced ‘savonèles’ that I presume to mean She-whosesexy-mother-flees-in-the-morning.
And I know that she will understand one day. The little
girl. I sold the old house and now live in the countryside.
The air is clean. I would invite you but I know you won’t
come to tell me again that nice things finish, as you always did.
I haven’t said anything to my old dog yet, I’m sure he will
have a bad reaction. The beautiful thing was his whole life.
Sending you love from Aonèdis and a badly hidden grudge
from me (even though I must confess a morbid attachment
to you due to the vivid memory of your sensual curves).
Yours

28/29

Image: Fab Magazine

il tir
e la
locusta
Avvocato,
l’inizio della fine mi raggiunge in anticipo. Mi coglie alla
sprovvista, come un guardaroba dal cielo, in un giorno
umido. Ho il sangue dal naso mentre ti scrivo. Si chiama
epistassi. Mi piacerebbe potertene sparare di più di
termini medici che suonano come epistassi, avvocato, però
non ho studiato medicina e mi sono messo a lavorare con
mio cugino, a fare carte nautiche, ma questo tu lo sai già.
Continuo a scrivere su questo foglio e ti spedisco il sangue,
tanto non mi serve più. Quello versato non mi serve mica più.
Insomma, avvocato, è finita per sempre, gesloten, giacché
ricordo qualcosa delle tue lezioni di olandese, che mai mi
sono servite a niente perché faccio carte nautiche. E adesso
che la mia missione nella vita è fallita io dovrei farmene
una ragione, vivere, nel senso generico del termine, quello
biologico, immagino, e continuare a fare carte nautiche.
Ubriacarmi ogni tanto, al sole, passeggiare. Forse smetterò
di scriverti, tanto non mi rispondi mai. Siamo diversi. Tu vai e
torni, fai mille cose, atterri e rimbalzi fuori come una piccola
locusta nervosa. Io invece viaggio a lungo in una direzione
specifica, diciamo…come un grosso tir grigio-verde, lungo una
costiera, veloce, con la radio accesa. A un certo punto però
la strada non c’è più, niente, finisce là davanti ai piedi di un
muro di jungla denso come un passato di verdura. Foresta
pluviale vergine. Così mi sono sentito, di fronte all’inizio della
fine. Il camionista invecchiato, il suo cane invecchiato. Un
camionista intrappolato che fissa la foresta incredulo, il suo
tir sembra una carcassa ai margini della foresta, e questo
è tutto per la metafora del tir e della locusta.
In pratica, ieri sera mi arriva questa chiamata dal Consiglio,
molto forte. Il telefono rincula tra le piante, sollevo la
cornetta, dall’altra parte una voce asessuata che non
riconosco: le comunichiamo la fine della strada, la fine della
bella cosa. Riaggancio e mi viene subito l’epistassi. Volevo
chiamarti, ma tanto tu non mi rispondi mai e sono rimasto
a sanguinare sul tavolo della cucina che è di fòrmica e credo
che resti macchiato. Adesso sono un essere umano come
tanti, senza il mio sogno. Mutilato.
No, mi sento come un orango che non ha nulla su cui
arrampicarsi. Sfrutterò altrimenti i miei pollici opponibili,
mi spiegano, la strada è finita. Sogno di ingoiare frutta e
cacare sulle loro teste dalla cima di una pianta altissima.
E tu, avvocato… invece di essere qua a supportarmi, scopi
silenziosamente tra i banchi di qualche tribunale a
Singapore, a Rio, a Berlino.
La bambina ha fatto tre anni sabato, come ben saprai,
avvocato. Fa parecchie domande.
Io rispondo semplice e lei mi capisce e se non so la
risposta, me la invento: tutto è relativo. Io e te sappiamo ma
lei mica può capire a tre anni. Bambina bene, poi il lavoro,
anche bene, la salute a posto, dico, molte grazie e tu? Come
stai tu, avvocato… dimmi… come cazzo è esattamente che ti
senti tu? Te sei andata una mattina mentre dormivo,
ti sei portata via tutto, avvocato. Mi sono svegliato nella casa
vuota, ricordo. Sei stata così maledettamente silenziosa.
Hai lasciato la bambina. Io l’ho ribattezzata:
“Aonèdis”, che si pronuncia “savonèles” e che credo significhi
Colei-la-cui-sexy-madre-fugge-al-mattino.
E so che lei un giorno mi capirà. La bambina.
Ho venduto la casa vecchia e sto in campagna adesso.
C’è l’aria buona. Ti inviterei ma non mi verresti a trovare, per
ripetermi che le cose belle finiscono, come ripetevi sempre.
Al mio vecchio cane non ho ancora detto niente. So che
la prenderà malissimo. La bella cosa era tutta la sua vita.
Con tanto affetto da parte di Aonèdis e tanto malcelato
rancore da parte mia (sebbene in presenza nel contempo
di un morboso attaccamento nei tuoi confronti, dovuto al
sempre vivo ricordo delle tue forme sensuali),
Tuo
30/31

Text: Cosimo Bizzari
Rome, April 16th
“You brave men and women: you deserve victory and glory.” From outside, the chorus of exultance covers the
burst of the machine gun fire. “The unfaithful have been defeated; the enemies of God and humanity have been
defeated. Glory to God. Glory to God.”
They must be a kilometer from here more or less: they’re advancing in a dispersed manner, on foot and in
armoured tanks without meeting resistance.
During the last few hours, the explosions have diminished. They resonate through my body. The din from the
days the bombs fell and the response of the aviation have ceased and left room for long minutes of nothing.
I try to hold my breath and listen to this peculiar kind of silence. I assure you, it’s a horrible experience. The snipers
use their last rusty ammunition from the roofs; pulling the trigger with warped fingers from eight months of
resistance. They do not have enough lucidity nor are they stupid enough to try to flee from an army of 500,000
men that at two blocks from here are setting their houses on fire and raping their sisters. They have lost but are
still shooting.
In any case, I can’t blame them. I haven’t fled either and will not, in the short lapse of time that separates me
from the arrival of the fighters of God and from what seems to be my inevitable death.
I do not expect compassion from a herd of ferocious negroes that have left their villages and crossed seas
to conquer Europe and slaughter its inhabitants. On the other hand, we starved them for centuries.
According to the court of history, they have the right of vengeance. I try to imagine what the face of the first
I see will be like when he passes through the doorway. I can’t figure out his features but I can see his expression
clearly: unreasonable and hungered. It will be a muscular beast, anxious to rage on my flaccid body. I’ve heard
that people like me are killed with daggers and swords in these days of delirium. So a blade is the destiny I’m
waiting for, immobile in the middle of this room decorated with turquoise majolica that have seen me holding the
queen in my arms dancing with her, drinking French wines and conspiring against the President of the Republic.
Now, it is not a room anymore. It’s a wreck drifting in the tempest of defeat: a turned over library, a bonfire of
chairs while the April breeze blows through the broken windows making the doors slam. Solitary pages flutter.
The scramble and the riots started six days ago. Alone, I haven’t found a way to defend our house from the
looting. Your mother has departed the way she lived; a frightened hyena. The last time I saw her, she was in the
bedroom frenetically stuffing her pockets with handfuls of useless money; she stared at me as if I were a stranger
and ran away tripping on the hem of her fur coat. As far as your cousin is concerned, he didn’t face up to the idea
that they were coming. On the last floor there was music, drugs and people coming and going until three
evenings ago; the morning of the day before yesterday I found him dead on the pavement. His head was
smashed. His fiancé’s body was beside him. They must have jumped from the balcony. I buried them with my
hands in the garden without a tombstone to prevent someone from mangling their bodies.
As far as your friend Carnov is concerned, he tried everything to convince me to follow him. I even considered
some of his proposals but neither his efforts nor my thoughts were useful. Even if a hiding place does exist where
some Arabian secret agent will not find me, I won’t be able to flee from what I am: a man corroded by egoism
upon which I have prospered, a corrupt government official of a defeated empire, a specimen from a museum of
a decadent civilization. In a world that begins tomorrow there is no room for my rules or my ideals. Whether we
were right or wrong, we will be judged by a boring historian. The fact is we have passed: this has been decided by
some deity that probably wasn’t on our side.
Here, I can hear their voices in the garden: they are yelling and encouraging each other. Somebody shoots in
the air. A bomb explodes. I can hear its echo in my swollen and empty stomach, just like I heard the others. Just a
pile of ruins is what is left of the man I used to be. In this situation, waiting for death is an easy job.
There is only one haemorrhage I cannot stop, dear Jan, and it’s the awareness of your hatred. I know that you,
my only son, will read these few words in a couple of days in a place I have never seen and that you will rejoice
like you never have in these twenty-eight years. This is my last excruciating passion.
They’re tearing down the door. They’re here.

Roma, 16 aprile
“Voi uomini e donne coraggiosi: voi meritate la vittoria e la gloria.” Da fuori, i cori d’esultanza sovrastano il
rumore di brevi raffiche di mitra. “Ecco gli infedeli sono sconfitti, i nemici di Dio e dell’umanità sono sconfitti.
Gloria a Dio. Gloria a Dio.” Devono essere all’incirca a un chilometro da qui: avanzano sparpagliati, a piedi e sui
carri armati, senza incontrare resistenza. Nelle ultime ore, le esplosioni si sono fatte sempre più rare. Risuonano
dentro al mio corpo. Il fracasso dei giorni dei bombardamenti e della contraerea ha lasciato spazio a lunghi
minuti fatti di vuoto. Mi sforzo di trattenere il respiro ed ascoltare quest’anomala forma di silenzio: ti assicuro,
è un’esperienza atroce. Dai tetti, i cecchini danno fondo alle ultime munizioni arrugginite: arpionano il grilletto
con dita rattrappite da otto mesi di resistenza. Non sono abbastanza lucidi né abbastanza stupidi per provare a
fuggire da un esercito di 500.000 uomini che, a due isolati da qui, già brucia le loro case, violenta le loro sorelle.
Sono spacciati, ma continuano a sparare.
Comunque sia, non li biasimo. Nemmeno io sono fuggito né fuggirò, nell’ormai breve lasso di tempo che
mi divide dall’arrivo dei Combattenti di Dio e da quella che si prospetta come la mia inevitabile morte. Non mi
aspetto clemenza da un branco di negri inferociti che cinque anni fa ha lasciato i propri villaggi e attraversato
un mare pur di mettere a ferro e fuoco l’Europa, fare una carneficina dei suoi annoiati abitanti. D’altronde, li
abbiamo affamati per secoli. Secondo il tribunale della storia, questa vendetta gli spetta. Cerco di immaginare
come sarà la faccia del primo che vedrò passare dal portone. Non ne vedo i tratti ma sì l’espressione:
irragionevole, famelica. Sarà una bestia muscolosa, impaziente di infierire sul mio corpo flaccido. Ho sentito
dire che è con sciabole e pugnali che uccidono la gente come me, in questi giorni di delirio. Dunque è una
lama il destino che attendo, immobile al centro di questo salone di maioliche turchesi, che nell’arco di una
vita mi ha visto tenerti tra le braccia e ballare con la regina, bere vini francesi e cospirare contro il
Presidente della Repubblica. Ora non è più una stanza. È un relitto alla deriva nella tempesta della sconfitta: la
libreria rovesciata, un falò di sedie, il vento d’aprile che filtra dai finestroni rotti e fa sbattere le porte.
Svolazzano alcune pagine solitarie.
Il fuggifuggi e le razzie sono cominciate sei giorni fa. Da solo, non ho avuto modo di difendere la nostra casa
dallo sciacallaggio. Tua madre se n’è andata così com’è vissuta: una iena atterrita. L’ultima volta che l’ho vista
era in piedi in camera da letto: si riempiva freneticamente le tasche con manciate di banconote che non le
serviranno a niente; mi ha fissato come si fissa uno sconosciuto, poi è corsa via inciampando nelle falde della
pelliccia. Per quanto riguarda tuo cugino, non si è arreso all’idea che stessero per arrivare. All’ultimo piano,
musica, droga e andirivieni di gente sono andati avanti fino a tre notti fa; il mattino dell’altro ieri l’ho trovato
morto sul selciato. Aveva il cranio spaccato. Lì accanto, c’era il corpo del fidanzato. Devono essersi lanciati dal
balcone. Li ho seppelliti con le mie mani nel giardino di casa, senza lapide per evitare che nelle prossime ore sia
fatto strazio dei loro corpi.
Per quanto riguarda il tuo amico Carnov, ha provato in tutti i modi a convincermi di seguirlo. Mi sono persino
imposto di vagliare l’ipotesi, ma né i suoi sforzi né i miei ragionamenti sono valsi a qualcosa. Perché, ammesso
che esista un nascondiglio dove qualche agente dei servizi segreti arabi non riuscirà a scovarmi, neppure là
potrò sfuggire a ciò che sono: l’uomo corroso dall’egoismo in cui ha prosperato, il funzionario corrotto di un
impero sconfitto, il pezzo da museo di una civiltà decaduta. Nel mondo che comincia domani, non c’è posto per
le mie regole né per i miei ideali. Se fossimo nel giusto o nello sbagliato, lo giudicherà qualche storico noioso.
Fatto sta, siamo passati: così ha deciso qualche dio e probabilmente non stava dalla nostra parte.
Ecco, sento le loro voci in giardino: gridano, si incoraggiano. Qualcuno spara in aria. Esplode una bomba.
Come le altre, la sento risuonare nel mio ventre gonfio e cavo. Dell’uomo che ero, non resta che un cumulo di
rovine. In queste condizioni, aspettare la morte è un mestiere fin troppo facile.
C’è una sola emorragia che ancora non riesco a fermare, caro Jan, ed è la consapevolezza del tuo odio.
Sapere che tra qualche giorno, in un luogo che non ho mai visto tu, il mio unico figlio, leggerai queste poche
parole e gioirai per la mia fine come mai hai saputo gioire nell’arco dei tuoi ventotto anni. Questa è la mia ultima,
straziante passione. Abbattono la porta. Sono qui.
32/33

index / indice
36-39 Sam Baron DEsignER, FRanCE: lOVEs tO stiR mEmORiEs 40-45 lorenzo Fonda ViDEO makER, italY: COulDn’t liVE withOut
tElling his animatED stORiEs 46-49 Prima chakraBandhU na ayUdhya DEsignER, thailanD: aDOREs CigaREttE iCE-CREam 50-55
andy BellaS aDVERtisER, uk: DOEs nOt bEliEVE that aDVERtising makEs thE wORlDs OF Capitalism anD COnsumptiOn gO aROunD
50-61 Pieter hUgo phOtOgRaphER, sOuth aFRiCa: bEliEVEs that thE EnD is in itsElF an unplEasant ExpERiEnCE 62-65 martin Parr
phOtOgRaphER, uk: sinCERElY lOVEs kitsCh 66-67 FootnoteS usElEss inFORmatiOn YOu absOlutElY Can’t miss 68-71 ProJect
cardS an ExhaustiVE REpORt On thE FabRiCa OpEn DaY 72-73 calendar i.E. an aCCuRatE sElECtiOn OF CultuRal EVEnts, FEstiVals,
anD happEnings all OVER thE wORlD 74-77 riccardo mazza CREatiVE wRiting tEaChER: thinks that wRiting stORiEs anD bOxing
haVE muCh in COmmOn.
36-39 Sam Baron DEsignER, FRanCia: ama stuzziCaRE i RiCORDi 40-45 lorenzo Fonda ViDEO makER, italia: nOn pOtREbbE ViVERE
sEnza RaCCOntaRE stORiE pER immagini 46-49 Prima chakraBandhU na ayUdhya DEsignER, thailanDia: aDORa il gElatO al gustO
Di sigaREtta 50-55 andy BellaS pubbliCitaRiO, uk: nOn CREDE ChE la pubbliCità sia il mOtORE DEl COnsumO Capitalista 56-61
Pieter hUgo FOtOgRaFO, suD aFRiCa: pEnsa ChE la FinE sia Di pER sé un’EspERiEnza pOCO piaCEVOlE 62-65 martin Parr FOtOgRaFO,
uk: ama il kitsCh in mODO sinCERO 66-67 FootnoteS alCunE pRECisaziOni inutili E assOlutamEntE impERDibili 68-71 ProJect card
tuttO sul FabRiCa OpEn DaY 72-73 calendario un’aCCuRata sElEziOnE Di EVEnti CultuRali, FEstiVal, OCCasiOni intEREssanti
in tuttO il mOnDO 74-77 riccardo mazza insEgnantE Di sCRittuRa CREatiVa, italia: pEnsa ChE sCRiVERE una stORia sia COmE
un inCOntRO Di pugilatO.

This is a lead up To The ghosT of conversaTion. sam Baron, head of faBrica’s
design deparTmenT, spoke wiTh me aBouT The upcoming line of oBjecTs Based on The
idea of “The end.” posiTively, These are The very Bones and flesh of sam’s words,
recreaTed. Be warned; The Things sam said were noT in This exacT order. a few of
requiem per un oggeTTo.
TexT By maTThew prins
Sam Baron, deSigner / France
what is the underlying concept of this project? the concept is to
use an object that belonged to our generation. we take a boom box,
or the phone 01 (the one that is rotary), the atari computer, the first
mobile phone, the first motorola which is almost like a walky-talky...
whatever. we recreate one of these objects as a ceramic and then
it becomes a candy box or a breadbox or whatever.
i think it’s nice, the idea that these objects belonged to our generation,
you know? not taking antique things but rather taking something
that was a part of our last twenty years. not to be so historical,
but to play with people’s short term memory. taking what was
made yesterday which may not exist anymore tomorrow. it’s
like signalling the end of something. it’s done. it’s finished. it’s
a tombstone for it.
so what’s the purpose of creating another use for these objects
as mementos? One could just make a decorative object. so you take
one thing, make it in ceramic and it’s done. For me, that doesn’t make
sense; you are still putting another object in the house, and if it’s not
useful then it’s worse than anything, unless it is an art piece. but we
are in design, so we are not producing art. the idea is, more so, to
give it a simple function, or an old fashioned function, in the very
free way that a candy box could be used for many things. it could
be a soup bowl or an... it’s a container. it’s not just for candy, that’s
just a kitschy name.
why ceramic? because ceramic is so fragile, this will completely
change the way people are going to handle the object, opposed to
a daily plastic version. and using ceramic, its visual impact gives
it like a completely new life. it’s, for example, that ceramic has this
kind of luxury aspect. in the past, when a queen was about to die,
they made a bust of her in ceramic because it provided her with
a kind of immortality in life. the idea is to do the same with objects
that aren’t being produced anymore.
For example: the boom box radio. we are now using mp3 or ipods.
the kinds of objects that were a part of our generation are now
antiquities, you know? in a really short time. in this way, the project
also pays homage to the constant production of today. it’s a way
to present a consciousness about the evolution of consumerism.
as an answer, we are to make these limited editions, maybe 25
pieces of each. it’s also a possibility, the idea of producing one
object per weekday.
why that decision? because it’s like having a... proposing a daily
reflection. For me, i’m frustrated. the designer should help or
propose that people observe a bit, how we produce, how we
consume, because the market is so full of products, and crap and
shit. i think it’s a good idea to have a break, to take time to watch
and think about the way we as people buy and buy and buy. this
is a way to propose interaction between the producer and consumer
and designer. to say, “why can’t we stop, why can’t we change, why
can’t we watch?” it’s like people buy objects as they buy food, you
know, you eat it then you buy something else.
this is important. when you put an object on the market, you know,
it isn’t a joke. You are not just designing a piece because it is good
for your ego. so, if the product that comes out of Fabrica can make
a bit of sense and propose a certain point of view, if we can give
another value to a product, which is not just making money with
producing, it has to be a good thing.
did you approach this, um, the end, in a positive or negative light?
For me it’s positive because something new is coming. in the
design department that makes complete sense. there are lots
of tables, lots of lovely sofas, lots of da da da da da... so, maybe
there is a table, but someone comes out with just a colour
modification. For me it’s a big shame. You have to look at all the
shit and all the masterpieces, and do something more from there.
the end is to be used as a reference point. because design is
a kind of new profession, every designer, in a way, is more into
producing. it’s a career where you have to create something
and you have to do it quickly. sometimes we don’t take time
to stop and say, “Okay. what am i doing now? how is the
market moving?”
do you think the design process should take a long time? no.

The words preserved here have Been alTered for effecT. The majoriTy of his
human pauses and umms have noT Been included. sTill, This did exisT; iT exisTs again,
presenTed, and Therefore rememBered, in a more linear fashion. i dedicaTe
This arTicle To The memory of whaT was.
36/37

how long should it take? One second.
one second?! i mean, the most important thing, for me, is the
idea. after the design process, which is making drawings, making
technical plans, finding a producer, putting the product on the
market, da da da da, it’s almost one year. it’s like a basic schedule.
but it is part of our life.
eric Faggin, deSigner / USa
since you come from north america, is it different for you, in
seeing the end in a positive or negative light? i think of how one
approaches an end, isn’t really related to where you’re from.
whether you talk to sam who’s from France or myself, i don’t think
that really makes a difference because the way you approach an
end really depends on how much you were attached to that thing,
and that’s something that’s very personal.
Every ending isn’t an ending. it depends on who carries the torch 02
after. say in design, the end of a project isn’t really the end. You
take what you’ve learned and move on to the next.
with the end of your life, you don’t take anything from it.
it’s what you manage to leave for other people.
do you think that’s a big part of design? there’s definitely a
strong push in design to leave one’s mark on society. there
are a lot of people that take an egomaniacal route, where they
just want to leave their signature on everything. it’s like a mad
scramble to leave an impact. there are others who do it in a
conscientious manner so that fertile grounds for the future
can exist.
how does this project fit into that? do you think these
products that’ll be made in ceramic will... i think having this
sort of “white ghost” really turns you to look at the process of
design and consumption. maybe once the market becomes more
conscientious of the plight at hand, they’ll start to buy more
conscientiously.
when this happens, all these designers that pump out all this
crap will have nowhere to run or to hide. they won’t be able
to sell that crap.
who are those designers? (laughs) no comment.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
autopsia di un’intervista. sam baron è il responsabile del
Dipartimento di Design di Fabrica. abbiamo fatto due chiacchiere
sulla prossima linea di oggetti ispirati al concetto di “fine”. Quello
che segue assomiglia al resoconto dell’ anatomopatologo. abbiamo
aperto l’intervista, l’abbiamo esaminata, richiusa, suturata, dopo
aver estratto e messo in formalina i reperti di maggiore interesse
clinico. È ormai del tutto priva di segni vitali, pause, er..., uhm....
l’abbiamo resa presentabile, incipriata come si fa con un caro
estinto. pronto per lasciare un buon ricordo di sé.
Sam Baron, deSigner / Francia
qual è il concept dietro a questo progetto? l’idea sta nello sfruttare
una forma, quella di un oggetto della nostra generazione. prendiamo
uno stereo, o un vecchio telefono, un computer atari, uno dei
primi cellulari 01 , il primo motorola che era quasi un walkie talkie,
un oggetto qualunque. lo rifacciamo, in ceramica, e lo trasformiamo
in un portacaramelle o in un portapane.
mi piace l’idea di questi oggetti che sono appartenuti ad una
generazione. non li considero pezzi d’antiquariato, piuttosto oggetti
che hanno fatto parte della storia degli ultimi vent’anni. il mio non
è un interesse storico. la gente tende a dimenticare in fretta e a me
piace stuzzicare i ricordi. prendere oggetti di ieri, che forse domani
non esisteranno più, è come certificare la fine di qualcosa. Qualcosa
che non esiste più. È come seppellire un oggetto.
ma allora a che scopo preservare la forma dell’oggetto attraverso
un nuovo uso? beh, c’è chi lo fa a puro scopo decorativo. si prende
un oggetto e lo si ricrea in ceramica, punto e basta. Questo però per
me non ha senso, diventa solo l’ennesimo soprammobile, diventa
inutile, che è la fine peggiore per un oggetto, a meno che non sia una
vera opera d’arte. ma noi siamo designer, non artisti. allora si può
pensare di dargli un altro uso, anche semplice o antiquato, ma con
libertà: un portacaramelle in realtà si può usare in molti modi. può
diventare una zuppiera o.... un contenitore. “portacaramelle”, in
fondo, è solo un nome un po’ kitsch.
perché la ceramica? perché è fragile e questo modifica
l’atteggiamento di chi si trova a maneggiare l’oggetto. non è di
plastica come quelli di adesso. E poi la ceramica migliora l’impatto
visivo, dona all’oggetto una vitalità nuova. la ceramica trasmette un
certo senso di lusso. una volta, quando una regina stava per morire,
le facevano un busto in ceramica, per renderla in qualche modo
eterna. lo stesso si può fare per gli oggetti che ormai sono fuori
produzione. prendiamo lo stereo: oggi vanno di moda i lettori mp3
o gli ipod. gli oggetti della nostra generazione sono quasi dei pezzi

d’antiquariato. E non è passato poi così tanto tempo... in qualche
modo è anche una forma di omaggio alle capacità produttive del
mondo di oggi. una sorta di riflessione consapevole sull’evoluzione
della società dei consumi. la nostra risposta sono delle serie limitate,
magari di venticinque pezzi. potremmo anche decidere di produrre
un solo oggetto al giorno.
perché? perché è come... una riflessione quotidiana. per me il sistema
attuale è frustrante. il compito del designer dovrebbe essere quello
di aiutare o invogliare le persone ad aprire gli occhi su quelli che
sono i meccanismi della produzione e consumo. i mercati sono
invasi di prodotti e di schifezze rivoltanti. Fermarsi un istante a
riflettere e a osservare questa smania di consumo coatto mi
sembra una buona idea. È un modo di proporre un qualche tipo
di relazione tra produttore, consumatore e designer, di chiederci
perché non possiamo fermarci, cambiare, aprire gli occhi. gli oggetti
ormai si comprano come le patatine: si aprono, si mangiano e poi
se ne compra un altro pacchetto.
infine c’è un’altra questione. Quando si crea un oggetto che dovrà
essere immesso nel mercato non possiamo fermarci soltanto a
ciò che soddisfa il nostro ego. per cui, se quello che facciamo qui
a Fabrica può avere un qualche senso, questo senso sarà proporre
un punto di vista diverso, dare all’oggetto un altro valore non legato
solo alle leggi della produzione. Credo che questo sia positivo.
con che spirito hai affrontato il tema della fine? in senso ottimistico
o pessimistico? Ottimistico, la fine per me è l’inizio di qualcosa di
nuovo. in un dipartimento di design ha ancora più senso. Ci sono un
sacco di tavoli, bei divani e un sacco di bla bla bla bla... Diciamo che
c’è un tavolo e qualcuno se ne esce con l’idea di cambiare il colore.
per me è un gran peccato. bisogna considerare tutte le schifezze
e tutti i capolavori e creare qualcosa di nuovo rispetto quello che
già c’è. la fine serve da punto di riferimento. il design in un certo
senso è un settore nuovo e i designer sono sottoposti alla continua
necessità di produrre. È un lavoro che chiede di creare cose nuove
e velocemente. non sempre ci fermiamo a riflettere su quello che
stiamo facendo e su come si sta muovendo il mercato.
ritieni che per creare un oggetto serva molto tempo? no.
e quanto ci vuole? un secondo.
solo uno?! per me quello che conta è l’idea. per quella basta un
secondo. poi, per il processo di progettazione, gli aspetti tecnici,
la ricerca di qualcuno interessato a produrlo e il lancio sul mercato
ci vuole anche un anno. È una specie di rito. Funziona così.
eric Faggin, deSigner / USa
la prospettiva della fine può essere diversa per chi, come te,
viene dagli stati uniti? per te è un concetto positivo o negativo?
non credo che l’idea di fine possa dipendere da una prospettiva
geografica. non credo che ci possa essere una differenza tra sam
e me solo perché lui è francese. la differenza dipende da cosa si
associa al concetto di fine. È una questione molto soggettiva.
personalmente non credo esista una fine “definitiva”. Come alle
Olimpiadi: la torcia02 non si ferma mai. nel design i lavori non hanno
mai una vera fine. Quello che si impara confluisce in un nuovo
lavoro. la morte non ti permette di portare nulla con te. tutto
dipende allora da cosa riesci a lasciare a chi resta.
credi che questo conti molto nel design? beh, devo dire che la
voglia di lasciare la propria impronta sulla società è forte. molti
hanno un approccio decisamente egomaniacale e devono per
forza lasciare ovunque il segno del loro passaggio. È come una
corsa folle per lasciare una traccia. altri invece operano in maniera
più consapevole, perché possa esserci terra fertile anche per chi
verrà dopo.
e qual è il rapporto tra questi oggetti e le idee di cui parliamo?
i futuri oggetti in ceramica potranno forse... Forse un oggetto
come questi può portare a riflettere sul design e sulle abitudini di
consumo. Forse, nel momento in cui il mercato si sveglierà e riuscirà
a guardare alla situazione attuale con maggiore consapevolezza,
cambierà anche la mentalità dei consumatori. E allora i nodi
verranno al pettine. tutti questi designer abituati a spacciare
schifezze per opere d’arte otterranno ciò che meritano. non
riusciranno a vendere più nulla.
a chi ti riferisci in particolare? (Risate) no comment.
38/39

FROM ROBIN HOOD‘S
ROOSTER TO BLUR
VIDEOS: ANIMATION
HAS NO LIMITS.
dal gallo di roBin hood ai Video dei BlUr: l’animazione
non ha limiti.
text By coSimo Bizzarri
woUld yoU eVer BelieVe there iS a connection
Between aix-en-ProVence, origami and a gUy From Sicily?
ProBaBly not. So what coUld eVer Bring together
the city oF Udine, the world oF animation and a gUy
From modena? the anSwer iS animation Unlimited,
a FeStiVal organized By cec, FeatUring SPecial gUeSt
lorenzo Fonda.

a showcase for the diverse forms and features of animation,
animation unlimited was held at the udine Visionario Visual arts
Centre on December the 13th and 14th, 2005. the festival was
devoted to uk animation with a special focus on short films
and mainly featured musical video clips and commercials by
outstanding uk artists and animation teams including nexus,
not to scale, Joyrider Films, D-fuse and passion pictures.
a special tribute was also paid to the works of woof wan-bau
and tim hope.
an entire day was devoted to shynola, the developers of
unforgettable award-winning video clips like good song (for blur)
and the trailblazing blips (for Radiohead), very short clips that are
only seen for a few seconds during the song. a workshop on the
whys and wherefors of artistic animation was held by the versatile
26-year old modena-based lorenzo Fonda, a videomaker who has
spent the last 18 months at Fabrica. interviewing him was no easy
task as he is always on his way to some new destination. we
actually had to resort to msn messenger to get in touch with him.
Our conversation started at 6:30 p.m.
Can you see me?
yes i can. can you see me? Yes. hold on, let me switch on my
cd player...
right, we have lift off. so how was your workshop in udine? it
was great. some of the participants were so curious they couldn’t
be kept waiting so i had to start before the scheduled time. i spent
day one showing some of my videos and explaining how i had done
them: i talked till my jaws ached, for almost two hours. On day
two i actually created and developed a new animation before
my audience, so as to show them how the whole process works.
would you show me too? or let me get straight to the point: could
you explain what animation is all about? animation is a filmmaking
technique that relies on the illusion of motion due to a phenomenon
known as the persistence of vision. in other words, it is a form of
entertainment that deceives the viewer’s perception.
would you call classical cartoons like walt disney’s fully-fledged
animation products? or is what you do somehow different?
Disney cartoons were just made using older techniques. suppose
you take a flip book and draw a frame on the first page. You then
draw a slightly different frame on page 2, 3, 4 and so forth. if you
then flip through the book very fast you will see your drawings
come alive. a similar process was used to create Cindarella and
snow white. believe it or not, each and every frame was manually
drawn, no computer was used. both old-day and present cartoons
nevertheless rely on the same short-circuit between the eyes and
the brain: an image is first produced by the “patterned excitation”
of the retinal receptors and then sent to the brain. when different
images follow and replace each other at a very fast rate, the brain
fails to notice the gaps between them and believes the object is
moving. it’s all about bullshitting your poor brain...
how important is advanced technology in animation? some
people say it only takes an old camera and a few good ideas
to be a photographer. does that apply to animation? sure,
it does, and i hope it always will. technology can only provide
new tools although it often becomes an end in itself. You actually
get to see amazing movies with unbelievable special effects
but no magic. it takes more than a computer and desperate
isolation to be a good animator.
how long have you been into animation? well, let me think...
i started at 15, so that makes it 11 years. i actually learned to
do it on my school books. i used to draw porn sketches and fighting
monsters. i then moved on to computers with obsolete software.
You can’t picture how inexperienced i was at the time... no one had
ever told me i could work on different layers so i would actually
draw the whole picture over and over again every time i wanted
a character to move...
what do you mean? can you really work on separate layers?
Of course you can. that is the staple diet of any animator. One layer
for your background, one for a character riding a bike and a third one
for an old lady chasing after him with her stick. One more layer for
the birds and so on... you can add as many as your mind can
conceive and your patience and mental health 03 can endure.
you are a self-taught videomaker... have you ever attended lessons,
workshops or the like? well, quite a few actually. i have mainly
followed festivals, lectures, shows, trying to learn what i could from
every experience. the only school i have been to was a disaster. it
was in Florence. the only useful lesson was one on direction by
stelvio sciuto. then i went on my own.
do you mean animation is one of those fields where you can only
roll up your sleeves and work hard to learn things on your own?
40/41

interactiVe
inStallation
>>
You got it. it is a very demanding job and you need to be resolute
and work hard to see your projects materialize. You can spend six
months on just one minute of animation and you will be the only
one to spur and flag yourself.
But there must be something to this job that keeps you alive,
kicking and striving forward. why does animation turn you on while
wood working does not? uh... well i have a basic need to create
things and i guess i will have to live with that for the rest of my days.
i might have become an animator by pure chance. i actually started
off as an illustrator. i used to draw a lot when i was a child and loved
to play with lego blocks and create characters and situations.
i gradually understood that i wanted them to move and to breathe...
so i simply tried. now i could not live without drawing and animating
stories, boring as it may sound...
doesn’t sound boring to me...! in fact i find that your words are full
of poetry. thank you. my former girlfriend would not agree. Even if
she liked my job, it’s not easy being with someone who spends most
of his time in front of a computer!
have you met any great mentors on your way? is there someone
who supported or advised you, someone you would love to work
with? well, i guess i would have never made it without my parents
supporting me. then comes the bulfer family. i really admire them
as they are the kind of people who will do something for you without
expecting anything in return. i have had a lot of mentors... of course
i would love to work with gondry, who wouldn’t? i would also love to
be werner herzog’s assistant, i was really amazed by some of the
things he does.
who do you think are the best animators around right now?
i believe hayao miyazaki is the best right now, his films are pure
poetry. One movie i really enjoyed was the triplets of belleville
by sylvain Chomet. i am a fan of Felix the Cat, and how can i not
mention the simpsons? matt groening is one more genius i would
love to work with. Disney and pixar are fantastic but personally
speaking i am not that fond of them.
not even The sword in the stone? shit man, that movie’s simply
perfect. what does it lack? There’s irony, adventure, love,
philosophy. That is an evergreen! uh right! i actually meant the
new ones. Robin hood is a masterpiece too! Do you remember
the minstrel rooster 04 singing that tune? that was brilliant!
>> a special installation allowed
festival visitors to experience
stop motion, one of the most
popular techniques in animation.
Visitors had a chance to move a
set of lego characters, take
pictures and have the final
animation displayed on a wide
screen. the visitors’ animations
were used to the create the
festival’s theme song. the stop
motion installation was devised
what videos did you show in udine? animation has scores of
applications, so i showed all kinds of videos: musical video clips,
commercials, personal animations and experimental videos.
which one of the above is your favourite? i refuse to answer that
question! i don’t like to be graded so i will not grade genres. Right
now i would like to move away from animation to live action for a
while. You know, filming real people. that also allows you to have
some social life and spend some time outdoors! Of course i will be
combining live action and animation, so i have to figure out how
the two of them can live together.
like in quentin Tarantino’s kill Bill, great filmmaking and superb
animation in one single movie? kind of: i am currently writing a
short film based on a similar recipe. Except that the ingredients
will need to be more... mixed.
would you give me more details on that? i prefer not to give
away any information at this stage. Every time i do, something
goes wrong, so i no longer disclose any information about projects
at an early stage.
great... well, we were supposed to finish at 7pm and it is almost
8 o’clock. you’re a talkative guy! i really have to go, it’s snowing
heavily around Treviso and i need to catch a bus. Yeah, so is here.
Damn it, i want to go to bologna for the netimage!
well thank you so much, it was great talking to you! thank you!
bye bye!

and developed by marco mucig
and Carlo zoratti of Fabrica’s
interactive media Department.
Durante i giorni del festival, è
stata montata un’installazione
che ha permesso ai partecipanti
di sperimentare una delle
tecniche più utilizzate
dell’animazione: la stop motion.
Ogni spettatore ha potuto
muovere a piacimento un
CEC Centro Espressioni Cinematografiche; CEC is an arts association
established in Udine in 1973 with the purpose of supporting and
promoting art cinema. The association has launched a number of
important initiatives and has soon become a major regional reference
in the field. CEC has been running a 3-room cinema complex with
an exhibition area in Udine for one year now. www.cecudine.org
Info: cec@cecudine.org
Lorenzo Fonda has been into visual communication since 1994.
Having started off as an illustrator, he later switched to graphic
design, animation, video making, cinema and interactive art.
He has done advertising for Nike, MTV and Bastard Snowboards.
He was at Fabrica between October 2004 and December 2005. He
currently works as a director for Mercurio, a Production House in
Milan. In his spare time he realizes small experimental projects with
Mutado and works as an illustrator for magazines and also in the
fashion industry.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
Cos’hanno in comune aix-en-provence, gli origami e un ragazzo
siciliano? bisognerebbe indagare meglio, ma la risposta con tutta
probabilità è: assolutamente nulla. C’è qualcosa, invece che accomuna
udine, l’animazione e un giovane emiliano: animation unlimited è un
festival sull’animazione organizzato dal CEC di udine, con la
partecipazione straordinaria del modenese lorenzo Fonda.
il 13 e il 14 dicembre 2005, gli spazi del Visionario, il Centro per le
arti Visive della città di udine, hanno ospitato animation unlimited,
un appuntamento dedicato all’animazione e alle diverse forme che
set popolato di omini Lego,
fotografare il risultato di
ciascuna delle proprie mosse
e vedere sul grande schermo
l’animazione finale. La
successione delle animazioni
quest’arte sa incarnare e inventare. il festival si è concentrato
sull’animazione made in uk: una ricca vetrina sulle forme brevi
animate, con particolare attenzione a video musicali e spot
pubblicitari, firmati dai migliori artisti e dalle compagnie più
innovative della scena britannica. Da nexus a not to scale, a Joyrider
Films a D-fuse a passion pictures, con un omaggio particolare alle
opere di woof wan-bau e di tim hope.
un giorno intero è stato dedicato a shynola, creatori di video
indimenticabili e pluripremiati come good song per i blur, nonché
dei rivoluzionari blips per i Radiohead, video brevissimi costruiti per
essere associati a pochi secondi di una canzone. Durante il festival,
lorenzo Fonda, un eclettico videomaker, ha tenuto un workshop
sull’arte dell’animazione e sui mezzi con cui esprimerla a dovere.
lorenzo ha ventisei anni, è nato a modena e ha speso il suo ultimo
anno e mezzo a Fabrica. la tentazione di intervistarlo era troppo
forte, ma lui era in giro per l’italia: così ci siamo dati appuntamento
alle 18:30 sul web, abbiamo aperto la finestra di msn messenger
e la chiacchierata è cominciata.
mi vedi?
create dagli spettatori è
diventata la sigla del festival.
L’installazione è stata ideata
e realizzata da Marco Mucig e
Carlo Zoratti del Dipartimento di
Interactive Media di Fabrica. >>
si. Tu mi vedi? Yes, aspetta che metto su un po’ di musica...
ok, cominciamo. spiegami un po’ com’è andata al workshop di udine.
È andata bene. la cosa interessante è stata che alcuni dei partecipanti
erano semplicemente curiosi, così ho dovuto cominciare dal principio.
il primo giorno ho mostrato un po’ i miei video e ho spiegato come li ho
realizzati: ho parlato per due ore di seguito e alla fine mi sentivo un
42/43

obottino. il secondo giorno, invece, ho fatto una semplice animazione,
a partire da zero, per mostrare il procedimento.
Bene, allora comincia con lo spiegare anche a me il procedimento.
anzi, andiamo dritti alla radice del problema: cosa diamine
è l’animazione? allora, l’animazione è una tecnica filmica che
sfrutta la persistenza delle immagini sulla retina. È solo un
imbroglio ma il risultato è che tu rimani un’ora e mezzo seduto
davanti allo schermo con la bocca aperta.
i cartoni animati classici tipo walt disney possono essere
considerati a tutti gli effetti prodotti d’animazione? oppure
c’è qualche differenza con quel che fai tu? la differenza sta nella
tecnica di realizzazione. se tu ora prendi un bloc notes, disegni
su ogni pagina un frame un po’ diverso da quello disegnato sulla
pagina precedente e scorri le pagine veloce, hai fatto un’animazione.
il processo era più o meno questo ai tempi di biancaneve e di
Cenerentola: insomma, c’era chi li disegnava a mano, immagine
per immagine: è pazzesco pensare che non usassero il computer.
Comunque sia, entrambi i cartoni animati classici e gli attuali
prodotti di animazione sfruttano lo stesso cortocircuito che
si viene a creare tra occhio e cervello: il primo trasmette al secondo
un’immagine composta da particelle di colore che si fissano sulla
retina; quando quest’immagine viene sostituita da un’altra, ciò
avviene così velocemente che il cervello non percepisce il gap
tra le due, per cui gli sembra di vedere del movimento reale.
povero cervello, lo prendiamo veramente per il culo.
quanto conta la tecnologia? c’è chi dice che per fare il fotografo
basta una vecchia macchina automatica e qualche bella idea.
una cosa del genere vale anche per l’animazione? Certo. E spero che
valga sempre... la tecnologia dovrebbe sempre essere uno strumento,
ma molto spesso diventa il fine. il risultato è che ci fanno ingoiare film
incredibili che spaccano la mascella ma che poi, usciti dal cinema, non
lasciano niente. insomma, per fare animazione non bastano un
computer e una disperata inclinazione alla solitudine.
da quanto tempo ti occupi di animazione? Vediamo.. da quando
avevo circa 15 anni un po’ seriamente, per cui direi che sono
11 anni. prima con i soliti libri a scuola, direi che ho imparato
lì, disegnando ovviamente scene porno e mostri che si smembravano.
poi ho provato con computer e software vecchissimi. ti giuro che se
ripenso a come animavo allora mi faccio tenerezza da solo: non
dividevo gli sfondi dai personaggi, per cui quando volevo far muovere
un personaggio, invece di disegnare lo sfondo su un foglio e il
personaggio su un altro pezzo di carta, ricominciavo da capo...
ridisegnavo tutto da capo! D’altro lato, nessuno mi aveva detto
che la strada più semplice era avere due livelli diversi.
invece si può fare? si creano diversi livelli? sì. È la base della
animazione: tu metti in un layer lo sfondo, poi metti un personaggio
che passa in bici su un altro layer, poi metti la nonna che lo insegue
col bastone su un altro layer, poi gli uccellini in un altro ancora e così
via. in questo modo li puoi animare indipendentemente, fin dove
la tua mente può spingersi... E la tua pazienza e il tuo equilibrio
psichico 03 , soprattutto.
mi sembra di intuire che sei un autodidatta... ma hai frequentato
anche corsi, workshop, cose del genere? sì, dai, parecchi... più che
workshop era prendersi su e andare in giro a vedere festival, lectures,
serate con spettacoli... ho sempre cercato di recuperare qua e là un
po’ del know how necessario, dato che l’unica scuola di animazione
che ho frequentato è stata uno sbaglio. 6 mesi a Firenze. unica cosa
utile: un’ora e mezzo di lezione sulla regia che ci fece stelvio sciuto.
poi ho studiato per conto mio.
da quel che dici, sembra che l’animazione sia uno di quei campi
in cui uno si fa da sé: olio di gomito e niente piagnucolii... bravo...
anche perché ci vuole tanto sudore e una forte determinazione per
portare a termine i propri lavori: a volte per un minuto di animazione
puoi lavorare dei mesi e sei tu e solo tu che ti devi flagellare e dire
“andiamo avanti...”.
ma ogni mestiere duro ha in sé una scintilla, una sorta di fede che

ti impedisce di mollare tutto. qual è la scintilla che ti si accende
dentro quando fai animazione e non per esempio, quando fai
bricolage? uhmm... direi che la necessità di produrre qualcosa
è un bisogno che mi porterò dietro per tutta la vita. partendo
da questo presupposto, forse è stato il caso a portarmi verso
l’animazione: ho cominciato con l’illustrazione. già da quando
avevo 8 anni disegnavo molto, giocavo col lego, mi piaceva
inventare situazioni e personaggi... poi pian pianino ho capito
che volevo farli muovere, respirare. E ho provato. Ora non potrei
vivere senza raccontare storie con le immagini! uhm.. è una
cosa un po’ noiosa, ma è così...
Beh, non è proprio noioso, è una grande dichiarazione di poetica,
complimenti. grazie, ma la mia ex ragazza non la pensava proprio così.
anche se le piaceva il mio lavoro, non è facile stare a fianco di uno che
passa la maggior parte del suo tempo davanti a un computer!
lungo questo percorso hai avuto dei grandi maestri? gente che ti ha
supportato, gente che ti ha insegnato, gente con cui sogni di lavorare?
beh, senza il supporto dei miei genitori non sarei da nessuna parte. poi
c’è la famiglia bulfer: nella vita comune le persone che ammiro sono
come loro, quelle che fanno qualcosa per qualcuno senza volere niente
in cambio. invece, per quanto riguarda i maestri... beh... ce ne sono
tanti... al momento ovviamente mi piacerebbe lavorare con gondry,
ma chi non vorrebbe? Vorrei anche fare l’assistente di werner herzog:
ho visto un po’ di cose e mi hanno intrigato moltisismo.
e nel mondo dell’animazione, invece, chi sono i più bravi secondo
te? Credo che hayao miyazaki sia un gradino sopra agli altri: i suoi
film sono pura poesia. il film “appuntamento a belleville” mi
è piaciuto tantissimo. poi, vabbè, ogni cartone animato di Felix per me
è intoccabile. E, ancora, mai scordarsi dei simpsons: matt groening
è un altro genio con cui mi piacerebbe collaborare. per quanto
riguarda i film Disney e pixar, sono fantastici ma non mi intrigano...
neanche la spada nella roccia? cazzo, per me è immortale. non
pensi che ci sia tutto? ironia, avventura, amore, filosofia. non ha
età... ah, ok, io stavo pensando a quelli nuovi. anche Robin hood
allora è un capolavoro! ti ricordi il motivetto che cantava il gallo 04 ?
genio puro.
quali dei tuoi video hai mostrato ad udine? l’animazione ha
applicazioni ovunque, davvero. a udine ho mostrato ciò che ho
realizzato finora: video musicali, spot per clienti, piccole animazioni
personali e sperimentali.
e tra queste forme, ce n’è una che preferisci? no! non voglio! non
mi piace essere classificato, per cui sono il primo a non farlo. Ora
come ora, più che sull’animazione mi piacerebbe concentrarmi sul
live action: riprese di persone, come i veri film. Ecco, al contrario
dell’animazione ti consente di avere una vita sociale, di uscire
di casa! Ovviamente cercherò sempre di metterci del mio, per cui
può essere che mi inventi un modo per far convivere animazione
e riprese dal vero...
Tipo kill Bill di quentin Tarantino, supercinema e superanimazione
in un unico contenitore? sì, anche: il corto che sto scrivendo e che
vorrei girare coinvolge un mix di quel tipo... ma ancora più... mixato.
anticipazione ammesse? meglio di no... tutte le volte che anticipo
qualcosa va a finire in nulla, per cui cerco di tenere i deliri embrionali
per me..
grande... comunque, dovevamo finire alle 7 e sono quasi le 8:
parlantina emiliana. io devo andare a prendere il bus perché sulla
marca trevigiana nevica a dirotto. Eh, cazzo, anche qui, e vorrei
andare a bologna: c’è il netimage!!
Bene, comunque sei stato stupendo, davvero, grazie. grazie a te, ciao!
CEC Centro Espressioni Cinematografiche è un’associazione
culturale nata a Udine nel 1973 con lo scopo di promuovere
e diffondere il cinema di qualità. In breve tempo, grazie alla
realizzazione di importanti iniziative cinematografiche, è diventata
una delle organizzazioni di riferimento per la cultura nella regione
Friuli Venezia Giulia. Da un anno, gestisce ad Udine un complesso
cinematografico fatto di tre sale e di un ampio spazio espositivo.
www.cecudine.org. Info: cec@cecudine.org
Lorenzo Fonda lavora nel campo della comunicazione visiva dal
1994. Ha iniziato con l’illustrazione, ha poi scoperto il graphic
design, l’animazione, il video, il cinema e l’arte interattiva. Ha creato
pubblicità per aziende come Nike, MTV e Bastard Snowboards.
È stato a Fabrica dall’ottobre 2004 al dicembre 2005.
Attualmente, lavora come regista per Mercurio, una casa di
produzione di Milano. Nel tempo libero, realizza piccoli progetti
sperimentali per Mutado e collabora come illustratore per alcune
riviste e ditte di abbigliamento.
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Prima chakraBandhU na ayUdhya.!
text By annaliSa merelli

pRima ChakRabanDhu
na aYuDhYa anD hER
FaVOuRitE CREatiOn –
CigaREttE iCE-CREam
PrIMA CHAkrABANDHU
NA AyUDHyA E LA SUA
CrEAZIONE PrEFErITA –
GELATO ALLA SIGArETTA
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she was Born in Bangkok 25 years ago and she was given a long and difficulT name:
prima chakraBandhu na ayudhya. BroughT up wiTh TradiTional Thai principles, prima
long ThoughT she would Become a BuddhisT monk 05 . BuT females were noT allowed
To Become BuddhisT monks and her faTe had someThing differenT in sTore. prima
Became a designer. an ice-cream designer.
“i grew up in a very art-conducive environment. my mother and
grandmother had always been very interested in art and design.
as a child i would frequently design clocks, purses and other objects
i would have wanted to use. i had always regarded it as a hobby,
until i had to choose what to do at university. my cousin knew how
fond i was of designing new items and he suggested i should do
industrial Design at the school of architecture. and that was good
advice indeed.
after graduation i was convinced that design was not necessarily
limited to objects. it could be used in other fields as well. ice cream
seemed to me a good start. ice cream was also a family-acquired
passion. my father was mad about ice cream, but there were very
few ice cream parlours in bangkok at the time and none of them stood
out for their high quality. so Dad decided that he would prepare our
ice cream himself, at home. when i started designing ice creams
i would actually use my father’s recipes. later i followed lessons
at the Food science Department, the course was called
Creamery science.
my first ice creams tasted like cocktails, and i had to learn how to
prepare cocktails first. i remember having to taste them all to see
whether they were good or not. it was then i realized i had an allergy
to alcohol. i created a wide array of flavours, including colour-blind
ice creams – traditional flavours with unrelated colours – and ice
cream that looks and tastes like milk and cereal, but my favourite
remains the cigarette flavour!
i have 3 different types of customers. Restaurants and bars looking
for some special dessert, shop owners looking for something
particular for their forthcoming opening, and people who are
organizing a special event. i have a catalogue of ready-made
flavours, or i can propose or let the customer propose something
totally new. like in traditional product design, the customer can
have the last word on all production stages.
all of my projects go through a shape and flavour design stage
before they are actually sent to production. i provide the client with
the final product for the whole contract duration and i have begun
supplying a number of restaurants and bars in thailand on a long
term basis, but i would like to take up some short term projects like
events or openings when i am back. my turnover has increased
substantially since the early days and i have set up a small team
of 10 people, including my father, to look after all aspects of my
company, from accountancy to production. i can now rely on my
team to work independently while i am away from bangkok. i have
been living in treviso for 9 months06 now and Europe provides a
great opportunity to broaden my horizons. i am in italy, the land of
ice cream! to be honest, my first impact with the country was not
so encouraging. i had never been abroad before and it was a major
change to my life. at first everything seemed to be too far away from
the world i had grown up in and i have to say many things are still
unclear to me... but my stay at Fabrica has made me stronger.
and fatter!”
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
nata a bangkok 25 anni fa, il suo nome – lunghissimo, impronunciabile
– è prima Chakrabandhu na ayudhya. Educata come la più tradizionale
delle ragazze thailandesi, prima è stata a lungo convinta che da
grande sarebbe diventata un monaco 05 buddhista. ma il destino,
unito alla regola religiosa che proibisce alle donne di diventare
monaco, l’ha portata su una strada diversa. Così è diventata una
designer. Di gelati.
“sono cresciuta in un ambiente artisticamente piuttosto vivace:
nella mia famiglia, soprattutto da parte di mia madre e di mia nonna,
c’è sempre stato un forte interesse nei confronti dell’arte e del
design. Così, fin da quando ero bambina, mi capitava di disegnare
orologi, borsellini ed altri oggetti che avrei voluto usare. si è trattato
di un semplice passatempo, fino a che non è stato il momento di
iscrivermi all’università. Fu allora che mio cugino, che conosceva
bene la mia passione per il disegnare nuovi oggetti, mi consigliò
di seguire i corsi di industrial Design della facoltà di architettura.
Decisamente un buon consiglio.
Dopo essermi laureata ero convinta che il design non fosse limitato
agli oggetti ma potesse essere applicato a qualunque aspetto della
vita. i gelati mi sembrarono un buon inizio. anche questa è una
passione che ho ereditato dalla mia famiglia. Quando ero piccola
a bangkok c’erano pochissime gelaterie e non proprio di qualità.
Così mio padre, che adora il gelato, decise di farselo da sé, in casa.
Quando ho iniziato con l’icecream design preparavo i gelati seguendo
le indicazioni di mio padre, ma in seguito ho seguito delle lezioni
presso il dipartimento di scienze alimentari: il corso si chiamava
Creamery science!
i primi gelati che ho realizzato avevano il sapore di cocktail alcolici.
prima di prepararli ho dovuto seguire un corso per imparare a
miscelare i cocktail: dovevo assaggiarli tutti personalmente per
rendermi conto se fossero buoni o meno. Fu in quell’occasione che
mi accorsi di essere allergica all’alcol... ho creato i gusti più diversi,
dai “color blind icecream” – gusti tradizionali con colori completamente

diversi – al gelato con la forma e il sapore del latte ai cereali. ma il
mio gusto preferito resta quello di sigaretta. i miei gelati interessano
clienti molto diversi. si può trattare di ristoratori e baristi che vogliono
offrire qualcosa di particolare, ma anche di proprietari di negozi che
vogliono stupire all’inaugurazione con un evento insolito. io offro
svariate soluzioni: ho un catalogo con gusti già pronti, posso creare
un sapore nuovo secondo il mio gusto personale o lasciare intervenire
il cliente in tutte le fasi della lavorazione, proprio come avviene nel
caso del product design più tradizionale.
il mio lavoro si svolge in due momenti separati: il primo riguarda
la progettazione della forma e del gusto, il secondo la produzione
vera e propria del gelato. Fornisco infatti il prodotto finito al cliente
per tutta la durata del contratto. in thailandia ho avviato una serie
di collaborazioni con caffè e ristoranti: si tratta di progetti di lungo
periodo, ma una volta tornata a casa vorrei dedicarmi più a lavori
di breve periodo, come inaugurazioni o eventi. Rispetto all’inizio
dell’avventura come icecream designer, il volume delle richieste
che ricevo è aumentato in modo piuttosto sostanzioso. ho dovuto
mettere in piedi una piccola squadra di circa dieci persone, inclusi
me e mio padre, per seguire tutti gli aspetti di questo progetto,
dalla contabilità alla produzione. si tratta di una struttura ormai
ben avviata, tanto che continua a lavorare anche adesso che sono
lontana da bangkok.
Vivo a treviso da ormai nove mesi 06 e l’Europa rappresenta una
grande opportunità per allargare i miei orizzonti. E poi sono in italia,
la patria del gelato! ad essere sincera, però, il primo impatto che ho
avuto con questo paese non è stato particolarmente incoraggiante.
prima di trasferirmi qui non ero mai stata fuori dalla thailandia.
È stato un grosso cambiamento, in certi momenti piuttosto difficile:
tutto mi sembrava troppo lontano dalla realtà a cui ero abituata
e devo dire che, anche a distanza di mesi, per me molti aspetti
dell’Occidente restano incomprensibili... Devo però ammettere che
l’esperienza fuori dal mio paese mi ha cambiata, mi ha resa più
forte. E molto più grassa.”
(www.icedea.net)
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MOTHER
KNOWS
BEST la
mamma ha sempre ragione.
TexT By guillermo rivero

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When it was the world cup and everyone wanted a ball
to play with, Mother gave you a Hooligan action figure kit.
Mother taught you how people from England were seen
as football fans: fat, aggressive and drunken. When it was
Christmas and everyone was singing traditional carols, Mother
showed you what diversity and acceptance meant with a sexy and
mischievous carol singer. When the television letterbox format
started, Mother cultivated your desires to understand cinema
and video production giving you finger extensions to frame your
dreams in the new format. Mother has taught us a great diversity
of things, Mother has also been a successful advertisement agency
that suggest us which product to choose in a free market.
Follow what i’ve said, and what i’ve done, seems to be the
philosophy at mother london. they have a holy trifecta when it
comes to entrepreneurial ideology. First and foremost, do a great
job, that means: have a great idea and do everything to make
it happen. second, have fun making great ideas happen. third,
make a living out of having great ideas that you make possible.
it sounds simple yet it is hard to achieve such state in the
current world of corporate competition we live in. mother
london has evolved and now it is one of the biggest
and most important advertising agencies in the world.
according to them, they have achieved this by having
fun while making great ideas happen and they are also
living very well while doing so.
during the presentation you said that your favorite client has
always been yourself, is that because you can really explore your
creative production without some sort of corporate restraint?
Fundamentally yes, the only constraints we put on ourselves are
how much an idea can cost and the benefit of doing it. although
there was a client a few years ago that paid us a huge some of
money for no work. we liked him.
can you define loyalty in the corporate world? does loyalty
come from corporate effectiveness and productivity or does
it come from a true sense of respect and admiration?
loyalty doesn’t exist. You’re only as good as your last shag.
what is the end or goal of mother? if that “end” is not attained or
corrupted would that be the end of mother? there is no end. the
goal is to work in the most interesting space we can afford, with the
most interesting people we can find, doing the most interesting
work our brains can muster.
get the most interesting people to fill the most interesting space,
does mother continue to work under this concept? what makes
people interesting? Yes see above, what makes people interesting?
usually a third nipple 07 under their left armpit.
Being a company that employs all your creative energy to make
people buy material things, you have a very particular point of view
on materialism. could you expand on your thoughts about
materialism and the objects one takes when facing death,
destruction or evacuation? You paint us with a capitalist brush. we
do tons of stuff, which ultimately, yes, leads to a brand desire for
consumers to buy more of it. Do we promote excessive material
consumption? no. but if somebody was facing destruction or
evacuation i would strongly suggest they stock up on Coke, miller,
Emergency health supplies from boots use Orange to make
emergency calls and listen closely to news reports on xFm.
creativity is something that makes you feel. as a final creative
product, how can advertising make you feel when the main
objective is to sell an advertised product? i can come up to you

and tell you i’ve got a great job, a fast car, lots of qualifications and a
big penis 08 . Or i can charm you and make you feel great. which ‘me’
would you sleep with? ummmmmmmmmm!
during the presentation the definition of creativity was discussed
in a rather simple way. however, the question about the appropriateness
of the word for some uses was questioned. do we have to
redefine creativity? to what end? artists don’t talk about creativity,
they just create. this is a non debate.
The following question includes several questions that consider
the localization of global campaigns. The questions are raised to
understand the functioning of mother as a company that has local
targets as well as global audience targets.
when working with non-western clients, where the impact of
the local culture clearly affects the outcome of an advertisement
campaign, how does mother elaborate on the locality of the
campaigns? by understanding the nuances of those markets
and acting accordingly.
do you recruit extra people according to the local target of the
campaign? no, unless needs be. usually a client will have local
activation people that we can tap into in local markets.
“loyalTy doesn’T exisT... you’re only
as good as your lasT shag.”
how does the locality and interest, sometimes even fascination
with foreign cultures, affect the work at mother? the work is
affected not just by local interests but by our policy of recruiting
from all over the world.
is there a difference when working in or for an eastern european
country, china or india? in your lifetime as a company, have you
seen a noticeable change in the work approach by those countries?
Yes, massively. Eastern Europe and other emerging markets have
matured incredibly quickly over the last 10 years and it would be
to a brand’s peril to underestimate the sophistication of these
emerging markets.
could you provide an example of these changes in asian or muslim
clients? not sure we have any, i’ve never asked.
finally, with whom would you like to work (or cooperate) with in the
future? with which objective in mind would you choose to work
with this person or institution? an asian or muslim client if we
don’t have any. i’m off to check.
To find out more about Mother, explore their website at
www.motherlondon.co.uk. you might be able to find out about
the third nipples of the people who work there. Great ideas and
having fun while making them happen, that is Mother.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
Durante i mondiali tutti volevano palloni da calcio e la mother ha
prodotto un set di hooligangiocattolo, per dimostrare come il
resto del mondo vedeva i tifosi inglesi: grassi, violenti e pieni di
birra. a natale in gran bretagna è tradizione intonare i canti delle
feste. la mother ha dato a tutti una lezione su cosa siano tolleranza
e diversità affidando le canzoni tradizionali ad un personaggio
sexy e dissacrante. Quando è stato lanciato il formato letterbox,
la mother ha regalato delle prolunghe per le dita con cui ampliare
i vostri orizzonti cinematografici e proiettare i vostri sogni su di
un grande schermo.
la mother. la madre di tutti i consumatori. un’azienda di grande
successo, capace di indirizzare al meglio i nostri acquisti sul libero
mercato. Fate come vi dico, obbedite alla mamma. Questa è la filosofia
della mother london. una mistica aziendale basata su di una sorta di
regola monastica, tre soli precetti: primo, concepire idee grandiose;
secondo, lavorare duro per realizzarle, possibilmente divertendosi da
matti; terzo, guadagnarsi il pane con il proprio lavoro. tre semplici
norme, la cui attuazione richiede uno stato di elevazione non agevole
da raggiungere nel contesto di grande competizione in cui la mother
opera. la mother london è oggi una delle principali agenzie pubblicitarie
di tutto il mondo. interrogati sul segreto del loro successo, quelli della
mother rispondono serafici: “grandi idee, divertimento e profitto”.
nel corso della presentazione avete detto di essere il vostro miglior
cliente, perché vi permettete di dare fondo a tutte le vostre risorse
creative senza alcun tipo di vincolo esterno... beh sì. gli unici paletti
che ci poniamo riguardano il costo e l’utilità dell’idea. anche se devo
dire che qualche anno fa avevamo un cliente che ci pagava un sacco
per non fare nulla. Ci piaceva molto.
qual è il senso di un concetto come “fedeltà”? può essere
in qualche modo collegata all’efficienza e alla produttività
di un’azienda o dipende da veri sentimenti di rispetto e stima?
la fedeltà non esiste. È un mondo di puttane: sbagli una
volta e sei finito.
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quali sono gli obiettivi della mother? qual è il fine? e un fine non
raggiunto o che non giustifica i mezzi può voler dire la fine? non
esiste fine. Quello che ci interessa è poter lavorare negli ambienti
migliori che possiamo permetterci, condividere il tempo con le
persone più stimolanti che troviamo ed impegnare il cervello nel
lavoro più creativo possibile.
“le persone più stimolanti negli ambienti più interessanti.”
continuate a lavorare così? cosa rende un collega stimolante?
Cosa rende un collega stimolante beh, direi un terzo capezzolo 07
superfluo sotto l’ascella.
“la fedelTà non esisTe. È un mondo
di puTTane: sBagli una volTa e
sei finiTo.”
voi vi spremete le meningi per fare in modo che la gente comperi un
determinato prodotto. immagino avrete un vostro punto di vista sul
materialismo. ci spieghi cosa pensate del materialismo? cosa
bisognerebbe portarsi dietro prima di essere evacuati per una
calamità naturale? Ci dipingi come dei capitalisti incalliti. sì, noi
facciamo un sacco di cose che poi portano la gente ad affezionarsi
ad un marchio e stimolano il consumo. ma non credo che siamo noi
il motore del consumismo materialista. prima di scappare da una
calamità imminente però io consiglio di fare scorta di Coca Cola,
miller e cerotti e garze boots, fare una telefonata di emergenza
con la Orange e ascoltare i bollettini della xFm.
la creatività stimola i sensi. anche la pubblicità è una forma di
creatività, ma che stimoli ci possono essere quando il fine è quello
di vendere un prodotto qualunque? beh, immagina uno che ti
racconta che ha un sacco di soldi, un lavoro strafico, una gran
macchina, ventiquattro lauree e un grosso pene 08 . E immagina
uno che ti intriga con il suo fascino particolare. Con quale dei due
andresti a letto?
nel corso della presentazione si è discusso di creatività in termini
piuttosto semplici. qualcuno ha però contestato la possibilità di
utilizzare il termine in alcuni campi. credi che si dovrebbe ridiscutere
il significato della parola? E perché? l’arte è creazione, non
discussione sul cosa voglia dire creare. sarebbe una disputa priva
di senso.
quella che segue è una domanda che ne contiene molte, parliamo
di campagne globali e localizzazione. la domanda serve per capire
come funziona un’agenzia come la vostra, che lavora sul piano sia
globale che locale. come procedete quando lavorate per clienti
non occidentali e la cultura dell’utente finale sarà decisiva per la
riuscita della campagna? Cerchiamo di capire quali sono i problemi
e ci regoliamo di conseguenza.
assumete personale locale? no, a meno che non sia strettamente
necessario. Di solito sono i clienti a metterci a disposizione dei
contatti da sfruttare per capire meglio il mercato.
qual è l’effetto della destinazione finale sul vostro lavoro? subite
il fascino o almeno l’interesse della cultura straniera? non c’è solo
il fascino per una cultura diversa. noi assumiamo appositamente
persone di tutto il mondo.
che differenza c’è lavorare in o per un paese come la cina, l’india o
un paese dell’europa orientale? avete notato un’evoluzione nella
mentalità di questi paesi negli ultimi anni? assolutamente sì.
l’Europa orientale e gli altri mercati emergenti hanno fatto passi da
gigante negli ultimi dieci anni. nessun marchio può permettersi di
sottovalutare la complessità di questi mercati.
puoi fare un esempio che chiarisca il diverso approccio di un cliente
asiatico o musulmano? non so se ne abbiamo, non ho mai chiesto.
per chiudere, con chi vi piacerebbe collaborare in futuro? per chi
vi piacerebbe lavorare? con quale scopo vi piacerebbe farlo?
Qualche cliente asiatico o musulmano, se non ne abbiamo. guarda,
adesso vado a controllare.
Sul sito della Mother (www.motherlondon.co.uk) ci sono molte altre
informazioni interessanti su capezzoli superflui, idee geniali e gente
che si diverte per lavoro. Se lo dice la Mother...

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witneSSing
the end.
teStimoniando
la Fine.
a conVerSation with Pieter hUgo/
Una conVerSazione con Pieter hUgo/
text By gUillermo riVero

wiTh a veneraBle respecT for The people
he capTures wiTh his lens, pieTer hugo
has Been phoTographing elemenTs of
The african conTinenT in a BeauTiful way.
inspired By africa, pieTer hugo has creaTed
a vivid and enigmaTic porTfolio ThaT
characTerizes The sTruggles ThaT The
pooresT conTinenT of The world lives
on a daily Basis. he has Been on The road
wiTh The hyena 09 men of nigeria, who sell
TradiTional herBal medicine and are
accompanied By 3 hyenas, Two pyThons
and four monkeys. on The road he has
faced The afTermaTh of genocide, aids,
TuBerculosis, slavery and insaniTy; he
has conTinually Been wiTness To The end
and has recenTly Been awarded firsT
prize in The world press phoTo award
in The porTraiT caTegory.
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“These Things change from day To day and are never fixed. i wanT The viewer, even
if iT is a cliched suBjecT Being displayed, To walk away from viewing my picTures wiTh
a fresh and new Take on The suBjecT and Their manner of oBserving iT.”
what element(s) of society do you think your work better
represents, beyond the subject(s) itself? there is a dialogue
between myself, the subject being photographed, the history and
current issues relating to photography, the captions, the space where
the image is being viewed, etc. these things change from day to day
and are never fixed. i want the viewer, even if it is a clichéd subject
being displayed, to walk away from viewing my pictures with a fresh
and new take on the subject and their manner of observing it. so,
the answer to your question is: i want people to make up their own
minds and hopefully give them a fresh vantage point.
did you establish any relation with the hyenas (or the other animals)
while photographing the traveling people? was there ever a situation
where you felt it could be the end of you, as in the animals attacking
you? if yes, how did it feel? i stayed with these guys for more than
a week, so i definitely developed a relationship with them. On one
level i found the way that they treat the animals repulsive. On
another level i found the co-dependent relationship between man
and animal incredibly beautiful. Often, i was not sure who was master
and who was slave! a baboon attacked me once, as did one of the
rock pythons. the hyenas are actually quite sedate, ensuring that
they are properly fed. towards the end of the trip i relaxed and felt
fine patting and helping to feed them. but they are very very
intimidating animals! i never completely relaxed around them, they
are wild animals after all. i have always been fascinated by nigeria.
it is the most heavily populated country in africa. it has an incredibly
daunting reputation. it is a country of weird antitheses, especially
for south africans. their life expectancy is longer than ours; their
literacy is higher than ours; and their hiV infection rate is significantly
lower. the most intimidated and nervous i got was on a bus ride from
an abuja taxi rank. i agreed to travel with the animal wranglers to
kanu in the northern part of the country. whilst one of them went
to negotiate a fair, i hid in the bushes with everyone else, including
the three hyenas, four monkeys and two rock pythons. when their
companion gave the sign that he had agreed a fare, the motley troupe
of humans and animals leapt out from behind the bushes; they all
ran and jumped into the vehicle. the taxi driver was so terrified. he
wasn’t sure what to do. i sat up front with a monkey and the driver.
the taxi operator drove like an absolute maniac. at one stage the
monkey seemed to get nervous with the driving. it grabbed hold
of my leg and stared into my eyes. i could see the fear in its eyes.
having captured genocide, slavery, insanity through your lens,
you seem to be capturing various forms of endings, could you
describe your personal feelings and experiences? Every issue and
the documentation thereof is a unique experience. One goes through
such a vast array of emotions that i find it impossible to pigeonhole
my feelings about them. i don’t believe in happy Endings. by its
very nature an Ending is unhappy. sometimes i experience relief.
sometimes disappointment, confusion. the process of creating
is not an easy one for me.
how has the experience of touring with your work been? how
different it is when working with a publisher, a commercial client,
yourself or when commissioned by a gallery or museum? i try and
maintain a uniform way of interacting with people – whether it’s
someone from a gallery or a picture editor. i generally enjoy traveling.
it’s a continual mental rebirth 10 . at the same time it is nice to have a
base, a home. Extreme physical and geographical change brings
about mental change. it’s a positive experience. Change is good.
could you describe your own version of the final judgment,
apocalypse or end of the world? i suspect it will be something
boring – polar caps melt, ancient dormant diseases get released
into the atmosphere, we die. the whole thing starts over again.
is there any other group of people you would like to study?
this question is offensive – i don’t study people. i take photographs.
i make art.
what is the next thing we will see from you? hopefully a book
or two.
what is the end? i don’t know but it is definitely not a ‘happy
Ending!’
Born in Johannesburg in 1976, Pieter Hugo is a self-taught
photographer and filmmaker. He has a working relationship with
Colors magazine, for whom he has shot photographic stories on
issues ranging from old age to slavery, and slums to madness.
In 2002/3 he underwent a residency at Fabrica. He has held solo
exhibitions at Michael Stevenson in Cape Town, the Museum of
Modern Art, rome, and Fabrica Features, Lisbon.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
Con un rispetto profondo per i soggetti che cattura, pieter hugo
descrive il continente africano con scatti di grandissima grazia ed
ispirazione. un portfolio vivido ed enigmatico, un’istantanea della
quotidiana lotta per la sopravvivenza nel continente più povero del
pianeta. ha viaggiato con i domatori di iene 09 nigeriani, le loro tre
iene, due pitoni e quattro scimmie e il loro traffico di erbe medicinali.
al loro fianco ha visto un paese dilaniato dal genocidio, solcato

“mallam gahaDina
ahamaDu with thE hYEna
Jamis, abuJa, nigERia.”
FiRst pRizE singlEs
pORtRait at wORlD pREss
phOtO awaRDs 2006.
“mallam gahaDina
ahamaDu with thE hYEna
Jamis, abuJa, nigERia.”
pRimO pREmiO al wORlD
pREss phOtO awaRDs 2006
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“non c’È nulla di fisso, È un processo dinamico. voglio che chi vede le mie foTo, per
quanTo convenzionale possa essere il soggeTTo, possa andarsene con in Tasca un
nuovo modo di rapporTarsi al soggeTTo e di osservare la realTà.”

dall’aiDs e dalla tubercolosi, un inferno di schiavitù e follia. È stato
testimone di un mondo ad un passo dalla Fine e recentemente
ha vinto il primo premio del world press photo award nella
categoria portraits.!
al di là dei soggetti, quali elementi della società emergono
maggiormente dai tuoi lavori? beh, emerge un dialogo, uno scambio
che coinvolge il fotografo, il soggetto, la storia e tutto ciò che
riguarda la fotografia come le didascalie, lo spazio all’interno del
quale sarà inserita l’immagine e così via. non c’è nulla di fisso, è
un processo dinamico. Voglio che chi vede le mie foto, per quanto
convenzionale possa essere il soggetto, possa andarsene con in
tasca un nuovo modo di rapportarsi al soggetto e di osservare
la realtà. E rispondo alla domanda: voglio che chi vede la foto si
faccia una propria idea e magari possa guardare le cose da un
osservatorio privilegiato.
sei riuscito a stabilire un qualche contatto con le iene o gli altri
animali durante il viaggio con i domatori? c’è stato un momento
in cui hai avuto paura, paura che un animale ti attaccasse, che
potesse essere la fine per te? e se ti è capitato, cosa si prova?
sono stato con loro per più di una settimana e con i domatori ho
ovviamente instaurato un qualche rapporto. Da un certo punto di
vista sono rimasto scioccato per il modo in cui trattavano le bestie,
ma per altri versi la relazione di reciproca dipendenza aveva del
meraviglioso. non sempre mi era chiaro se fosse l’uomo a dominare
la bestia o viceversa. una volta sono stato attaccato da un babbuino,
un’altra da un pitone di seba. le iene erano più tranquille, ammesso
che avessero la pancia piena. Verso la fine del viaggio riuscivo a
toccarle e a dar loro da mangiare con una certa tranquillità. ma
sono animali che incutono un certo terrore e sono pur sempre
bestie feroci. non sono mai riuscito a sentirmi del tutto a mio
agio con loro in circolazione.
ho sempre subito il fascino della nigeria. È il paese più popoloso
di tutta l’africa ed ha una pessima reputazione. È un paese di strani
contrasti, specie per noi sudafricani. l’aspettativa di vita è superiore
alla nostra, il tasso di analfabetismo è più basso, l’hiV ha un’incidenza
minore. uno dei momenti più difficili e snervanti è stato prendere un
pullmino dal piazzale dei taxi ad abuja. Ero d’accordo con i domatori
che sarei andato con loro a kanu. uno si è occupato di contrattare
il prezzo della corsa mentre io e gli altri (e per altri intendo anche
le tre iene, le quattro scimmie i due pitoni) ce ne stavamo nascosti
tra i cespugli. al cenno di quello che aveva finito di contrattare,
siamo usciti fuori e saltati a bordo, uomini e bestie. l’autista era
assolutamente terrorizzato. non sapeva che fare. Di fianco a lui,
sul sedile anteriore, c’eravamo io e una delle scimmie. si è messo a
correre come un pazzo. ad un certo punto la scimmia che avevo con
me ha cominciato a diventare nervosa, mi ha afferrato una gamba
e ha cominciato a fissarmi negli occhi. le leggevo la paura in faccia.
fotografare il genocidio, la schiavitù e la follia è un po’ come
catturare diversi aspetti di situazioni “terminali”. cos’hai provato
in quei frangenti? che sapore ha il finale drammatico? sono tutte
esperienze uniche e anche poterle documentare è qualcosa
di irripetibile. si vivono emozioni molto diverse, non mi è facile
classificarle. non credo al lieto fine. la fine è di per se stessa
un’esperienza poco piacevole. a volte la vivo con sollievo, altre
con delusione e confusione. Vivo il processo creativo con una
certa sofferenza.
come hai vissuto l’esperienza di portare in giro il tuo lavoro?
che differenza c’è quando si lavora con un editore, un cliente
commerciale, per conto proprio o su commissione di una galleria
o di un museo? Cerco di mantenere invariato il mio modo di
rapportarmi al committente, che sia un gallerista o un editore. in
genere mi piace viaggiare; è come un processo di rinascita 10 mentale
continua. ma apprezzo anche la possibilità di avere una casa, un luogo
dove tornare. attraversare il mondo in lungo e in largo ti fa cambiare
idea su molte cose. È un’esperienza positiva. Cambiare fa bene.
ci puoi dire come ti immagini il giudizio universale, l’apocalisse,
la fine del mondo? niente di spettacolare credo. le calotte polari si
scioglieranno, antichi bacilli torneranno alla luce e ci stermineranno.
poi tutto ricomincerà da capo.
quali altri gruppi etnici ti piacerebbe studiare? ma che razza di
domanda è? non sono mica un antropologo. Faccio fotografie, sono
un artista.
cos’hai in serbo per il prossimo futuro? spero uno o due libri.
cos’è per te la fine? non lo so. Di certo niente a che vedere con
l’idea del lieto fine!
Nato a Johannesburg nel 1976, Pieter Hugo è fotografo e autore
cinematografico autodidatta. I suoi reportage su moltissimi argomenti
tra cui la vecchiaia, la schiavitù, il degrado urbano e la follia
compaiono frequentemente su Colors. È stato borsista a Fabrica
tra il 2002 e il 2003. Tra le personali ricordiamo quelle per la galleria
Michael Stevenson a Città del Capo, il Museo d’Arte Moderna di roma
e Fabrica Features a Lisbona.
60/61

homework
PhotograPhy / FotograFia
Text by annalisa merelli and guillermo rivero
Photography is considered to be a fully-fledged form of art.
world-renowned museums exhibit the works of great
photographers, some of which are worth a fortune.
Unsurprisingly, the average visitor prefers landscapes
and black-and-white portraits, but innovation is gradually
winning the hearts of the general public. Under the influence
of advancing technology, photography has been evolving
at a faster rate compared to most forms of art. radical
innovations have reshaped the field from decade to decade:
leica, kodachrome, Polaroid are just some of the names that
have contributed to changing the way in which pictures are
taken. not lacking in criticism, we have now entered the digital
era. distribution channels have evolved too. Festivals, books,
news, coverage and advertising are now requesting new kinds
of pictures. But how do contents adapt to their final context?
how are innovative concepts to stand out in a sector where
almost everything seems to have already been said and done?
how do artists approach digital technology? what might the
role of photography be in a framework of fast-evolving media?
as usual, homework has put those questions to field experts.
Chris boot is an editor. he is an observer and believes in the power
of photography. François hébel is in charge of organizing the arles
festival: he is quite demanding and believes in the power of
photography. martin parr is a world-renowned photographer:
he is a silent chap and believes in the power of photography.
chriS Boot, PUBliSher / Uk
You could generally break down a ‘photo story’ into three
ingredients 11 : subject matter, narrative and manner of execution.
there needs to be something original and surprising about
at least one of those ingredients, something that the readers
haven’t encountered before that makes them stop and think or
gives them pleasure. if you immediately recognize a set of pictures
as something that’s familiar to you, even if you have never seen
them before, then you are unlikely to find them particularly
interesting. in our case the story and the book design concepts
are very much related. the photographer is usually responsible
for the concept of the work itself. sometimes they have a very clear
idea themselves how they want a book to be, and other times they
are very open. Finding the right marriage of project concept with
the form of the book is one of the main jobs of a publisher. Clearly,
books begin with a photographer’s concept, and then when the
work’s done you try to work out the design/product concept. usually
this is before a final edit takes place: i always think that editing is
very easy when you have finished all the conceptual work, when
you know exactly what your criteria is and what you are looking for.
the photographers i work with aren’t the kind of people to whom
i would indicate a subject to work on. but there are projects i have
responded positively to because i was already thinking about that
idea (maybe because of the subject, or maybe the type of
photographic approach). the best thing is when a photographer
presents something that is both so new, it’s a complete surprise,
yet at the same time so obvious and inevitable that you can’t believe
no one had thought of it before.
FrançoiS héBel, director oF leS rencontreS d’arleS –
PhotograPhie / France
there are three main different and separate tasks you are faced
with when organizing an international festival: selection, production
and marketing.
the production must be capable of supporting all kinds of projects,
including distance projects where applicable. that allows the festival
to work with any director, regardless of where he or she is. tight
information networks are required to create high quality contents:
individuals alone are unable to collect all the necessary information
and numerous contacts are needed to ensure a continuous flow of
new ideas and concepts. marketing is perhaps the most difficult
phase, as the festival needs to attract experts and amateurs as well
and you can’t kill the two birds with the same stone. Experts require
exclusive initiatives, while amateurs and the general public are
attracted by simpler things and by what they already know. they
come to the festival to see landscapes and black and white
portraits. a survey conducted a few years back shows that people
tend to shun photography festivals as they believe they would not
understand. but once they visit one, they are surprised and
satisfied with what they see. Consequently, the purpose of
marketing initiatives is encouraging ordinary people to come
and see a kind of photography that has not been classified as
“art photography” yet.
“the myth oF PhotograPhy haVing to
do with reality itself haS Finally
Been diSPelled. and aBoUt time too”
when i am selecting artists i have no idea of what i am looking
for. interesting works need to have something new, unexpected.
they have to be subtle yet impressive. when i asked martin parr
to select a French photographer he came up with “antipersonnel”
by Dallaporta. land mines are no innovative subject, but the
photographer focuses on the terrifying beauty of lethal devices,
which shows how new approaches can be found even for the
most traditional subjects. most projects simply turn out to be
unfit because they do not meet the festival’s specific requirements,
although they could well be featured in a book. i used to be the
director of magnum 12 , and we had different selection criteria back
then: i was working for the agency at the time of the tien an
men demonstrations and the war in bosnia. i believe photographers
made a remarkable contribution in those days, even though their
work was not particularly innovative. their pictures contributed to
raising the awareness of westerners and have provided significant
documentation for future generations.
On innovation: i sincerely don’t understand what this fuss over digital
technology is all about. photography has always meant recording
images on tangible media so that they could be retrieved and
reproduced. new tools are available in a digital era, that is all. we now
have many more ways of taking and storing and editing pictures, and
we can use advanced techniques to print pictures on previously
unknown medias. the myth of photography having to do with
‘reality itself’ has finally been dispelled. and about time too.

abOVE anD miDDlE:
imagEs FROm thE sERiEs
‘in thE FamilY’
bY lEOniE puRChas
bElOw: ‘bush ROaD’
bY philipp EbEling
IN ALTO E AL CENTrO:
IMMAGINI DELLA SErIE
“IN THE FAMILy”
DI LEONIE PUrCHAS,
IN BASSO: “BUSH rOAD”
DI PHILIPP EBELING
62/63

home work
martin Parr, PhotograPher / Uk
when did you start being a photographer? why did you find this
medium so interesting? i started when i was a teenager, about
13/14. it was very natural, i could not have become anything but
a photographer.
where does your ironical approach to kitsch taste come from?
how did you turn it into a style? kitsch is everywhere and i love
it, genuinely.
when did you notice that you had created a new style in
photography that other photographers would follow? after
i started shooting color in the late 80’s.
have you ever worked in black and white? i shot b&w for about
ten years, i gave it up in 1984.
what is your favourite colour? Red
what do you think about digital photography? i have just bought
a digital camera. the technology is improving all the time.
what is your cultural background? what inspires you? life and
the world are inspiring.
how was your experience as curator for the arles photography
festival? Doing arles was fantastic, all the artists i chose were
ones i liked.
why did you select dallaporta’s work for that occasion? Dallaporta
was and still is a very good young French photographer. i wanted
to show new talent.
how was your experience of working with chris Boot in publishing?
Chris boot is a good friend, a real believer in the power of photography.
what was your experience when working with fabrica on the veneto
campaign? it was good to work with Fabrica, they understand what
was needed and how i could supply this.
how does a photographer’s work change according to the agency
or the publisher he works with? is artistic freedom limited under any
aspect? the best trend is that all the barriers in photography between
things like commercial, fashion and documentary are all collapsing.
what do you think that photography needs now in terms of content,
approach and style especially from young photographers? lots of
freedom to solve the problem with photography. i like solving
problems through photography.
what is the best advice you would give to someone who wants
to be a professional photographer? what is it best to focus on?
festivals? expositions? publishing? be passionate.
have you got any incoming projects? a book on mexico is next,
this looks at the relationship between the us and mexico.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
la fotografia è considerata un’arte a tutti gli effetti. non fatica
ad entrare nei musei più famosi del mondo e le quotazioni di
alcune opere raggiungono cifre vertiginose. Paesaggi e ritratti
in bianco e nero, vale a dire le forme fotografiche più antiche
e sedimentate nell’estetica collettiva, sono i preferiti del grande
pubblico. questo almeno finché quest’ultimo non viene messo
di fronte alle innovazioni di cui la fotografia è continuamente
protagonista. come poche forme artistiche la fotografia ha
conosciuto continui cambiamenti e sviluppi tecnici: ogni dieci
anni circa sono state introdotte nel settore novità che ne hanno
cambiato radicalmente la forma. leica, kodachrome, Polaroid
sono solo alcuni dei nomi che hanno scritto la storia di questo
progresso continuo. la rivoluzione più recente è stata l’avvento
della fotografia digitale, che ha acceso vivaci discussioni.
ovviamente la fotografia cambia molto a seconda del suo canale
di diffusione: festival, pubblicazioni, reportage, pubblicità
richiedono e divulgano prodotti assai diversi. ma come cambia
il contenuto in relazione allo spazio che lo ospita? come si
riconosce una novità in un contesto che sembra aver già detto,
se non tutto, molto? come gli artisti si relazionano con il
digitale? quanto la fotografia può ancora dire in un contesto
in cui i nuovi media si sviluppano con una rapidità incredibile?
come da programma, in homework la parola va
agli esperti di settore.
Chris boot fa l’editore: è un osservatore, crede nel potere della
fotografia. François hébel organizza il festival di arles: è selettivo,
crede nel potere della fotografia. martin parr è un fotografo di fama
mondiale: parla poco, crede nel potere della fotografia.
chriS Boot, editore / Uk
un reportage fotografico si compone sostanzialmente di tre
ingredienti 11 : il soggetto, l’aspetto narrativo e l’approccio realizzativo.
almeno uno di essi deve presentare aspetti innovativi e originali,
qualcosa che sia in grado di attirare l’attenzione del lettore, che
lo faccia riflettere o che risulti gradevole alla vista. È difficile trovare
interessanti delle immagini che, seppure mai viste, presentano
qualcosa di già noto. nel nostro caso la storia e la grafica del libro
sono strettamente interconnesse. sono in genere i fotografi
a concepire il libro in tutti i suoi aspetti. a volte hanno un progetto
preciso, preconfezionato, altre volte accettano di buon grado dei
suggerimenti. il compito dell’editore è quello di dare la confezione
giusta al tipo di libro che si va a costruire. Certo, tutto parte dalle
idee del fotografo e una volta composta la bozza non si fa altro che
cercare di darle la veste grafica adatta, il che di solito avviene prima
che il tutto arrivi sul tavolo dell’editore per la revisione finale.
trovo che il lavoro di revisione sia molto facile una volta ultimata la
fase ideativa e compreso esattamente quello che si vuole e quello
che si cerca. non sono mai io a proporre un soggetto ai miei
fotografi, non mi permetterei di farlo. Ci sono però situazioni in cui
mi capita di accettare di buon grado un’idea, un soggetto o un
particolare approccio perché io in realtà ci stavo già pensando.
il caso mig liore è sempre quello in cui il fotografo propone qualcosa
di nuovo, di sorprendente e, allo stesso tempo, di così ovvio ed
immediato da non poter credere che nessuno l’avesse mai fatto
in precedenza.

FrançoiS héBel, direttore di leS rencontreS
d’arleS – PhotograPhie / Francia
nell’organizzazione di un festival come quello di arles concorrono
tre elementi fondamentali che devono essere tenuti separati,
ciascuno con caratteristiche diverse: selezione degli artisti,
produzione e promozione. la produzione dev’essere in grado di
supportare qualsiasi progetto. anche a distanza: questo permette
di collaborare con qualsiasi curatore, dovunque si trovi.
il contenuto si forma grazie ad una fitta rete d’informazione.
una singola persona non può raccogliere da sé tutte le informazioni
ed è necessaria una serie di contatti per trovare continuamente
nuovi stimoli.
la promozione è forse la parte più delicata, perché deve interessare
tanto il pubblico specializzato della settimana di apertura
del festival quanto i semplici appassionati: non si può usare
lo stesso materiale per entrambi. i professionisti richiedono
un’informazione più esclusiva, mentre il grande pubblico vuole
qualcosa di più semplice: è attratto da ciò che conosce, va a vedere
più volentieri un bianco e nero o un paesaggio. un sondaggio di
qualche anno fa ha dimostrato come la gente diffidi dal prendere
parte a un festival di fotografia, poiché pensa di non essere in
grado di capirla. una volta che ci va, però, è sorpresa e soddisfatta.
l’obiettivo della promozione è dunque quello di invogliare la gente
a venire a vedere una fotografia diversa da quella che ormai
è classificata come “arte”.
Quando seleziono gli autori da ospitare ad arles non ho un’idea
precisa di quello che cerco: la creatività sta nel nuovo, è qualcosa
di impercettibile e imprevedibile, che allo stesso tempo si impone.
ad esempio, quando ho chiesto a martin parr di selezionare un
fotografo francese, ha scelto, tra numerose proposte, “antipersonnel”
di Dallaporta. Ciò che rende quel lavoro diverso da tutti quelli
che lo hanno preceduto sulle mine antiuomo è il concentrarsi
sull’agghiacciante bellezza di qualcosa creato per uccidere:
perfino su un argomento già molto affrontato si può quindi trovare
qualcosa di nuovo da dire. il motivo per cui molte cose sono inadatte
per il festival, invece, è che non si centra l’obiettivo: magari si tratta
di lavori che andrebbero benissimo per delle buone pubblicazioni,
ma non per un festival come quello di arles.
Quando facevo il direttore di magnum 12 i criteri di selezione
erano completamente diversi: lavoravo per l’agenzia quando ci
sono stati avvenimenti come tien an men o la guerra in bosnia.
penso che in quel caso i fotografi abbiano fatto un lavoro molto
importante, sebbene senza particolari innovazioni, perché
la storia che hanno raccontato è una testimonianza per
le nuove generazioni.
a proposito di novità, sinceramente non capisco la diffidenza nei
confronti del digitale. la fotografia è un’immagine fissa che usa
dei supporti per registrare la realtà, e si può riprodurre in modo
molto flessibile. Oggi i mezzi per svolgere quest’operazione sono
molto più vari che in precedenza: si può manipolare l’immagine
e si può stampare in modi e su supporti prima inesistenti. È caduta
definitivamente, per chi ancora l’aveva, l’illusione che la fotografia
fosse la realtà. È una liberazione.
martin Parr, FotograFo / Uk
quando è cominciata la tua attività di fotografo? quando è nato il tuo
interesse per questa forma di espressione? Ero abbastanza giovane,
avevo tredici o quattordici anni. È stato molto semplice.
non avrei potuto fare altro nella vita.
da dove viene il tuo approccio ironico al kitsch? e come sei
riuscito a renderlo uno stile? il kitsch è dappertutto... e a me
onestamente piace molto.
quando ti sei reso conto di avere aperto una strada sulla quale altri ti
avrebbero seguito? alla fine degli anni ’80, dopo che ero passato al colore.
e hai mai lavorato con il bianco e nero? sì, per circa due anni.
ho smesso nel 1984.
il tuo colore preferito? il rosso.
che ne pensi della fotografia digitale? mi sono comprato da poco
una fotocamera digitale. la tecnologia è sempre in evoluzione.
da che tipo di cultura provieni? quali sono le tue fonti d’spirazione?
traggo ispirazione dalla vita e dal mondo.
puoi parlarci della tua esperienza di curatore del festival di arles?
com’è andata? un’esperienza eccezionale, tutto il materiale selezionato
era di grande pregio.
come mai sono stati selezionati i lavori di dallaporta? Dallaporta era
àe rimane una grande promessa della fotografia francese e io ho voluto
dare spazio a giovani talenti.
come ti sei trovato a pubblicare con chris Boot? Chris è un ottimo
amico e crede profondamente nel potere della fotografia.
e come puoi definire l’esperienza con fabrica per la campagna per il
veneto? Con Fabrica mi sono trovato bene; ho avuto a che fare con
persone che hanno compreso le mie necessità e hanno saputo mettermi
nelle condizioni per lavorare al meglio.
come cambia il modo di lavorare a seconda che il committente sia
un’agenzia o un editore? c’è una situazione che, più di un’altra limita la
tua libertà artistica? posso dire che sono felice che in questo momento
nel mondo della fotografia stiano crollando gli steccati tra il commerciale,
la moda e la documentaristica.
di cosa c’è bisogno oggi nel mondo della fotografia? penso ai contenuti,
agli approcci, agli stili, specie per quanto riguarda i giovani? Direi che c’è
bisogno di molta libertà per riuscire a risanare il mondo della fotografia.
mi piace l’idea di risolvere i problemi attraverso la fotografia.
che consiglio ti senti di dare ai giovani che vorrebbero intraprendere
la tua professione? su cosa vale la pena di concentrarsi? i festival?
le mostre? l’editoria? la passione.
che lavori hai in agenda? la prossima cosa è un libro sul messico, nella
prospettiva del rapporto tra il messico e gli stati uniti.
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FootnoteS / note text by Cosimo bizzarri
01 mobile phone besides jeopardizing our procreative capacities and
increasing the risk of brain cancer, the heedless use of mobile phones
exposes the world’s population to another irreparable risk. it seems that,
after remaining unvaried for centuries, during the last fifteen years, probably
due to the emission of electromagnetic waves of mobile phones, the reports
of apparitions of ghosts have decreased to the point of almost disappearing,
much to the disappointment of the proprietors of ghost-ridden houses.
01 telefono cellulare Oltre a compromettere la nostra capacità
procreativa ed aumentare la probabilità di contrarre un cancro al cervello,
l’uso sconsiderato dei telefoni cellulari rischia di causare un altro danno
irreparabile alla popolazione terrestre. Sembra infatti che, dopo essere
rimaste invariate per secoli, negli ultimi quindici anni, probabilmente a
causa delle onde elettromagnetiche emesse dai cellulari, le segnalazioni
di apparizioni di fantasmi siano diminuite fino quasi a scomparire, per il
disappunto dei proprietari delle case infestate.
02 torch the Olympic torch for the winter Olympics left athens on november
27th 2005 on its way to reach turin on February 9th 2006. On its path of
brotherhood, it came across a few difficulties. amongst these, the most
interesting occurred in siena; while the torch bearer ran through, the whole
crowd in piazza del Campo clapped its hands in unison. nothing out of the
ordinary other than the fact that a few minutes earlier the same group of fans
had cheered another guy that had nothing to do with the Olympics who had
run past holding the exact same torch.
02 torcia La torcia olimpica delle Olimpiadi Invernali è partita da Atene il
27 novembre 2005 per raggiungere Torino il 9 febbraio 2006. Nel suo cammino
di fratellanza, ha incontrato alcuni intoppi. Tra questi uno tra i più interessanti è
avvenuto a Siena: al passaggio del tedoforo, la folla riunita in Piazza del
Campo ha applaudito all’unisono. Tutto normale, se non fosse che qualche
minuto prima la stessa dose di appassionati applausi era stata riservata ad
un altro tizio che correva con un’identica fiaccola in mano, pur non avendo
niente a che vedere con le Olimpiadi.
03 mental health according to the world health Organization, amongst other
things, mental health depends on a satisfactory image of oneself; treating
others with respect and maintaining non-superficial relationships with them;
getting involved in constructive activities and being able to handle and cope
with the most common sources of stress without experiencing serious or
protracted disorders. Every year 20 to 25% of people over 18 experience at
least one episode of clinically relevant mental disturbance.
03 equilibrio psichico Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, per
il mantenimento dell’equilibrio psichico è necessario, tra le altre cose: avere
una buona immagine di sé; rispettare gli altri e mantenere con essi relazioni
non superficiali; impegnarsi in attività costruttive; essere capaci di affrontare
e di gestire le più comuni fonti di stress senza gravi o prolungate disfunzioni.
Ogni anno circa il 20-25% delle persone con più di 18 anni soffre di almeno
un disturbo mentale di rilevanza clinica.
04 rooster the condition of the dominant male lacks assurance. this is
clearly demonstrated by the rooster’s life: he carries out his indisputable
role of the leader of the hen house with utter arrogance. then all of a sudden
he may find himself immobilised to burn his spurs, remove his testicles and
at times his spurs may even be implanted on his head. Once castrated, the
rooster is nothing more than a ridiculous capon that gains too much weight
with the sole prospect of being eaten on sunday.
04 Gallo Quella di maschio dominante è una condizione precaria. Ne
sia dimostrazione la vita del gallo: dopo aver incarnato a lungo e con fare
borioso il ruolo di indiscusso playboy del pollaio, da un momento all’altro
il pennuto si può trovare immobilizzato e sottoposto alla bruciatura degli
speroni, all’asportazione dei testicoli e talvolta all’impianto degli speroni
stessi sulla testa. Una volta castrato, il gallo non è altro che un ridicolo
cappone che ingrassa a dismisura con l’unica prospettiva di essere
mangiato di domenica.
05 Buddhist monk becoming a buddhist monk is a vocation encouraged
in asia by part-time purification programmes and sponsors. in western
countries, the lack of tradition and a central organization makes everything
more complicated: the best starting point for an aspiring monk is the recital
of the mantra “Om amogashila sambara bara bara maha shuda sato pama
bibukita budza Dara Dara samanta avalokite hung phet soha” 21 times a day.
05 Monaco buddista Diventare un monaco buddista è una
vocazione incentivata in Oriente tramite sponsorizzazioni e programmi
di purificazione part-time. Nei paesi Occidentali, la mancanza di tradizione
e di un’ organizzazione centrale rende tutto più complicato: il miglior punto
di partenza per gli aspiranti monaci resta comunque recitare il mantra “Om
Amogashila Sambara Bara Bara Maha Shuda Sato Pama Bibukita Budza Dara
Dara Samanta Avalokite Hung Phet Soha” 21 volte al giorno.
06 nine months after nine months of nausea, pangs of hunger, headaches,
rushes to the hospital, hormonal turmoil, teary eyes, doubts like: “will he/
she be healthy?” heavy digestion, cramps, no smoking, swollen legs,
delivery courses and new stretch marks, one of the major risks a mother
is exposed to is to believe that the worst part is over. wrong. the little one
has no intention of not continuing to break your balls. On the contrary:
it will be the purpose of his/her existence and at the same time his/her
mission on Earth.
06 Nove mesi Dopo nove mesi di nausea, attacchi di fame, mal di testa,
corse all’ospedale, tempeste ormonali, occhi lucidi, dubbi tipo: “Sarà sano?”,
digestione difficile, crampi, divieto di fumare, gonfiore alle gambe, corsi
preparto e nuove smagliature, uno dei maggiori rischi a cui una mamma si
trova esposta è ritenere che il peggio sia passato. Errore. Il piccolo non ha
nessuna intenzione di smettere di rompere i coglioni. Tutt’altro: ne farà il suo
metodo di vita e, contemporaneamente, la sua missione sulla Terra.
07 third nipple about one person every eighteen has a third nipple that
is usually located a few centimetres under one of the legally acknowledged
ones. many believe it is there to nurture satan or other malign creatures; the
third nipple condemns its holder to an existence of insecurity and teasing.
in spite of this, a peculiar theory advanced by Doctor Jonas zizlesse cures
the defects due to fat by the nipple addition surgery. the slogan that
promotes his idea is: “Fat is ugly until you put a nipple on it.”
07 terzo capezzolo Circa una persona su diciotto possiede un terzo
capezzolo, solitamente posizionato pochi centimetri sotto a uno dei due
capezzoli legalmente riconosciuti. Associato per tradizione all’allattamento
di Satana e di altre creature maligne, il terzo capezzolo condanna il suo
portatore a un’esistenza di insicurezze e prese in giro. Nonostante ciò, una
curiosa teoria del dottor Jonas Zizlesse consiglia di curare gli inestetismi
dovuti al grasso tramite l’Impianto Chirurgico del Capezzolo. Lo slogan con
cui promuove la sua trovata è: “Il grasso è brutto solo finché non ci metti un
capezzolo sopra.”
08 Big Penis “before visiting your site, my limp penis was 10 cm long but
it often retracted to 4-5 cm! i’m sure that many are worse off than me but
i would have done anything to change my situation... i was tired of being
ashamed of someone seeing me naked! after three months of your programme
i’m a nEw man! now even when my penis is limp it’s 16 to 18 cm long...
not to mention when it’s erect!” – giorgino from naples on the forum of
the peneinForma (penisinshape) site.

08 Grande Pene “Prima di trovare il vostro sito il mio pene flaccido misurava
approssimativamente 10cm ma spesso si ritraeva anche fino a 4-5 cm! So
che molti se la passano anche peggio di me, ma avrei dato qualsiasi cosa
per cambiare la mia situazione... ero stufo di vergognarmi ogni volta di farmi
vedere nudo! Dopo 3 mesi di programma sono un UOMO NUOVO! Adesso il mio
pene allo stato flaccido non scende mai sotto i 14 cm e spesso si aggira tra
i 16 e i 18 cm... per non parlare delle dimensioni erette!” – Giorgino da Napoli
sul forum del sito PeneInForma.
09 hyenas hyenas are intelligent and evolved animals that are organized in
packs with a matriarchal structure. the female hyenas mate with males of
other packs choosing the calmest, most charming and patient ones and not
the most aggressive; the courtship may even last over a year and once the
female is pregnant she prefers to bring the offspring up alone. a natural
complement of all this is that female hyenas have a remarkably developed
clitoris. For all these reasons, we human beings choose to consider hyenas
as mere predators of dead animals.
09 iene Le iene, animali intelligenti ed evoluti, si organizzano in branchi a
struttura matriarcale. Le femmine di iena si accoppiano con maschi di altri
branchi, scegliendoli non tra i più aggressivi ma tra i più calmi, affascinanti
e pazienti; il corteggiamento può durare più di un anno e una volta incinta le
femmine preferiscono crescere i propri figli da sole. A naturale complemento
di tutto ciò, le iene femmina vantano un clitoride particolarmente sviluppato.
Per tutte queste ragioni, noi umani preferiamo considerare le iene come
mere mangiatrici di carogne.
10 rebirth the american journalist Jim Rutz in his megashift book ‘Epochal
Changes’ deals with, amongst other things, the recent increase of cases of
rebirth. boris pilipchuk, a ukrainian policeman died of a cerebral hemorrhage
on september 16th 1996 after a coma that lasted two months. when his
naked body was covered with a white sheet and the mourning crowd was
there to give him the last goodbye, boris sat up with an explosion of energy
that almost blasted open the doors of the morgue. to those who were fleeing
filled with terror, he simply said: “Don’t be afraid, just give me some clothes.”
10 rinascita Nel suo libro Megashift, “Cambiamento Epocale”, il giornalista
americano Jim rutz analizza, tra le altre cose, la recente esplosione dei casi
di rinascita. Boris Pilipchuk, un poliziotto ucraino, è morto per emorragia
cerebrale interna il 16 settembre 1996, dopo due mesi di coma. Quando
il suo corpo nudo già giaceva ricoperto da un lenzuolo bianco e una folla
piangente si radunava in chiesa per dargli l’estremo saluto, Boris si è alzato
a sedere, accompagnato da esplosioni di energia capaci di sradicare le porte
dell’obitorio. A chi fuggiva terrorizzato, pare che abbia detto semplicemente:
“Non abbiate paura, piuttosto datemi dei vestiti.”
11 ingredients pasta (Flour 600g - 5 eggs - spinach 600g); béchamel (Flour
50g - butter 50g - milk 50cl - salt - pepper - nutmeg); Ragu (olive oil - butter -
bacon - 1/2 carrot - 1/2 celery stalk - 2 onion slices - ground beef 200g - 100g
ground pork - 1 spoonful of tomato sauce - 1 glass of milk - 1/2 glass of thick
cream - prosciutto ham100g - salt - pepper - parmesan cheese). guess what
recipe of italian cuisine these ingredients correspond to and you may win a
meal at the Fabrica canteen. send your answer to: fab@fabrica.it.
11 ingredienti Pasta (600g farina - 5 uova - 600g spinaci); Besciamella (50g
farina - 50g burro - 50cl latte - sale - pepe - noce moscata); ragù (olio d’oliva
- burro - pancetta - 1/2 carota - 1/2 gambo sedano - 2 fettine cipolla - 200g
carne di manzo - 100g carne di maiale - 1 cucchiaio salsa di pomodoro -
1 bicchiere latte - 1/2 bicchiere panna - 100g prosciutto crudo - sale -
pepe - formaggio Parmigiano). Indovina a che ricetta della cucina italiana
corrispondono questi ingredienti e vinci un pasto alla mensa di Fabrica.
Invia la risposta a: fab@fabrica.it.
12 magnum the number one ice-cream producer in England sells 60 million
magnums a year, a quantity that according to recent calculations is sufficient
to encircle the terrestrial globe four times. the person in charge of this
unique measurement has been sighted on the samoa islands waiting for the
most recent statistical measurements: he weighs 200 kilos and does not
seem to suffer from lack of affection.
12 Magnum La casa produttrice di gelati numero uno in Inghilterra vende
60 milioni di Magnum all’anno, una quantità che da recenti calcoli è risultata
sufficiente per cingere per quattro volte e mezzo il globo terrestre.
L’impiegato incaricato di effettuare questa originale misurazione è stato
avvistato sulle isole Samoa, fermo in attesa di nuovi rilevamenti statistici:
pesa 200 chili e non sembra soffrire affatto di carenze affettive.
13 muhammad ali and tiger man mohammed ali and tiger man have a mutual
friend. in 1975, the arrogant ali announced, “is there an oriental fighter willing
to challenge me? i’ll give him a million dollars if he beats me,” so the match
with antonio inoki was organized, the Japanese wrestler played himself in
the tV series called tiger man. the match ended with mohammed ali bleeding
from his left knee. From that night onwards, the parabola of the american
boxing champion started descending, proving that human beings should
stay far away from cartoons.
13 Muhammad ali and tiger Man Mohammed Alì e l’Uomo Tigre hanno un
conoscente in comune. Quando nel 1975 lo spocchioso Alì dichiarò: “C’è
qualche lottatore orientale disposto a sfidarmi? Gli darò un milione di dollari
se riesce a battermi,”gli fu organizzato un combattimento con Antonio Inoki,
wrestler giapponese che impersonava se stesso nella serie tv dell’Uomo
Tigre. Il combattimento si concluse con Mohammed Alì sanguinante dal
ginocchio sinistro. Con quella notte, cominciò la parabola discendente del
pugile americano, a dimostrazione del fatto che gli esseri umani farebbero
meglio a stare alla larga dai cartoni animati.
14 Printer impact, laser or ink-Jet, printers remain a scary and obscure
machine even with their red, green and orange lights blinking. the book in this
package is a volume written in different languages that will help us grasp the
meaning of that diabolical tangle of cables, push-buttons and cartridges. in spite
of the thoroughness of the explanations, the manual will not be able to explain
why all the printers get irremediably blocked without any apparent reason
the day you have to deliver your thesis, unable to hear its owner’s curses.
14 stampante Ad aghi, a laser o a getto d’inchiostro, la stampante resta un
macchinario spaventoso ed oscuro, pur nel suo luccicare intermittente di luci
rosse, verdi e arancioni. Il libro che troviamo all’interno della confezione è un
tomo in più lingue, che tenta di rendere comprensibile quell’intrecciodiabolico
di cavi, pulsanti, comandi e cartucce. Nonostante l’esaustività delle
spiegazioni, difficilmente il manuale riuscirà a rendere conto del fatto che il
giorno prima della consegna della tesi di laurea tutte le stampanti si blocchino
irrimediabilmente, senza ragioni apparenti, sorde agli imprechi dei proprietari.
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PROJECT CARDS
FaBrica oPen day / oPerazione Porte aPerte
text by Juliana loh
On December 20, 2005 Fabrica opened its doors to the public,
the media, loving parents and inquisitive friends for an investigation
of what goes on in the fabled creative haven. well, of course, it was
also an excuse for the students to let their hair down and party.
a variety of projects were showcased using different mediums
during the evening: here’s a selection of the most interesting ones.
PROJECT CARD 01
FaB anSwering machine
Cosimo bizzari, Oriol Ferrer mesia, Juliana loh, annalisa merelli
to meet the needs of friends and fans, the Fab magazine editorial
staff set up an answering machine that allows callers to listen
to different stories from all of the Fab issues, as well as long
uncomfortable silences and train timetables. Call +39 0422 516344
now and take a listen!
la redazione del Fab ha deciso di venire incontro alle necessità
di amici e lettori incalliti e mettere in funzione una segreteria
telefonica a disposizione di chiunque abbia voglia di ascoltare:
una selezione di racconti pubblicati sui Fab; interminabili pause
di silenzio; orari dei treni. Chiama il +39 0422 516344 adesso
e ascolta!
il 20 dicembre 2005 Fabrica ha aperto le porte a giornalisti, mamme,
papà e amici curiosi di capire cosa mai succeda dentro a questo
tanto decantato antro di creativi. gli autoctoni non si sono ovviamente
lasciati sfuggire l’occasione per fare un po’ di festa. nel corso della
serata sono stati presentati una serie di progetti basati su tecniche
diverse: ecco una selezione di quelli più interessanti.
PROJECT CARD 02
Fake Berlin SkylineS
grisha morgenstern
this installation is made of 3 different kinds of coloured tape to
illustrate the metamorphosis of Visual Design and how pop culture
is distorted into various forms, because of the growing generation
influenced by the ubiquitous mtV culture.
Questa installazione, composta di tre diversi tipi di nastro adesivo
colorato, descrive la metamorfosi del visual design e le varie
degenerazioni della cultura pop dovute anche all’influenza di
grande sorella mtV.

PROJECT CARD 03
Smoothie characterS
prima Chakrabandhu na ayudhya, Juliana loh
smoothies, from sweet to spicy, topped with a little boldness,
were made to embody certain characters. guests can meet
angelina, samantha, maria and brandon, and taste them in this
concoction of fruit, alchool, yogurt and cream.
Frullati dal dolce al piccante e con guarnizioni ardite sono stati
creati per incarnare dei personaggi particolari. i visitatori possono
incontrare angelina, samantha, maria and brandon e “gustarli”
in un’orgia di frutta, alcol, yogurt e crema.
PROJECT CARD 05
one eUro Store
bethany koby, selwa sweidan
bethany and selwa created the Euro store as a means to curate and
exhibit work, collections and projects from Fabrica. they used simple
and readily available materials such as tape, cardboard boxes and
stickers, to display merchandise and simulate the feeling of a store.
PROJECT CARD 04
mikU the dog
hans Raber
miku is a small virtual dog that spends most of the day bouncing
around in his little garden and having fun. passers-by can interact
with miku using their hands and various objects. miku will then try
to do what he does best: bouncing! when people obstruct his
passage, he becomes angry and barks repeatedly.
miku è il nome di un cagnolino virtuale che passa il tempo a
saltellare amenamente in giro per il giardino. i passanti possono
interagire con le mani o utilizzando altri oggetti e miku risponderà
facendo quello che gli riesce meglio, ossia saltellando. se gli si
ostruisce il passaggio, miku si arrabbia e abbaia inferocito.
bethany e selwa hanno allestito “tutto a 1 Euro” con l’intenzione di
mostrare lavori e progetti di Fabrica. hanno usato materiali semplici
e facili da reperire, come scotch, cartone e adesivi per mostrare la
merce e riprodurre la sensazione di trovarsi in un negozio.
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PROJECT CARD 06
long Ben
Jin lee angdoo, hans Raber
this installation is made of 6 monitors set next to one another
with an interactive “pulley ribbon” extending from the far left
monitor through the others . when someone pulls this special red
ribbon, which is tied around ben’s waist, he is elongated across
every monitor.
PROJECT CARD 07
FlicklamPa
linus nilsson, Francesco meneghini
Ficklampa is an interactive light and sound installation. using
any kind of light, visitors can paint on the screen and play
sounds. the light leaves a trace of color and fades away in
a few seconds, creating a continuously changing canvas and
soundscape. this multi-user interface allows people to have
a shared creative experience in an easy and fun way.
Flicklampa è un’installazione interattiva di luce e suono. la luce
controllata dal visitatore lascia una traccia di colore sullo schermo
e scompare dopo alcuni secondi, creando una composizione visiva
e acustica in continua mutazione. l’interfaccia multi-utente
consente alle persone di muoversi liberamente, esplorando
le possibilità di condividere un’esperienza creativa.
l’installazione si compone di sei monitor posizionati uno vicino
all’altro, con un nastro interattivo teso dal primo monitor a sinistra
attraverso tutti gli altri. Quando qualcuno tira questo speciale nastro
rosso, legato alla vita di un attore, questi si allunga fino occupare
tutti i monitor.
PROJECT CARD 08
a new Form oF eJacUlation
paolo princi
this design was installed on a staircase for Fabrica’s Open Day party.
the image was divided and displayed only on the vertical surface of
the staircase to symbolize of the penis’ ascention to erection.
Questo lavoro di grafic design ha trovato posto su una rampa di
scale durante la festa per il Fabrica Open Day. l’immagine è stata
tagliata in strisce e incollata sulla superficie verticale degli scalini,
che con la loro ascesa simbolizzano l’erezione del pene.

PROJECT CARD 09
coincidence
Diego Cafone, gregor kuschmirz
six tV sets display loops of various lengths. intended coincidences,
e.g. vocals, pauses or certain movements create connections in
between the tV sets. horizontal animations of the three colour
channels (red, green and blue) depict both the entire concerto
and the particular loop.
su sei diversi schermi televisivi si proiettano in loop alcuni video
di diversa durata, sincronizzati in modo da ottenere una sorta di
comunicazione tra melodie vocali, pause o precise movenze sui
vari schermi. le animazioni orizzontali dei tre canali in colore
(rosso, verde e blu) visualizzano sia la durata del concerto sia
la durata del singolo loop.
PROJECT CARD 11
this video installation project is structured in a space divided into
three rooms, connected by three access doors. within each room
there is 5m x 5m video and audio projection. the videos show people
dancing: this pure form of expression is used to comment on society.
PROJECT CARD 10
hidden lineS (the wrong moVementS)
mercedes blasco, andrea santamarina
traVelling, the wall Story
guillermo Rivero
a storytelling project composed of a three level traveling
experience. First level: traveling inside a given space. second level:
travelling inside a mental institution. third level: to travel inside the
mind of the main character. in order to read the story, the reader
has to walk inside the building.
percorsi narrativi tridimensionali. un viaggio dentro uno spazio
dato, un viaggio all’interno di un istituto psichiatrico e un viaggio
dentro la mente di un personaggio. il lettore stesso deve spostarsi
all’interno di un edificio per leggere la storia.
Videoinstallazione strutturata su tre stanze collegate da tre porte.
Ciascuna stanza ospita una proiezione audio/video di cinque metri
per cinque. i video mostrano persone che ballano: la danza, forma
d’espressione pura, è usata come commento sulla società.
70/71

CALENDAR
FaBrica eVentS
text by andrew p. smith
march / marzo 6
Fabrica launches the latest Fabrica musica cd, “Versus,” a
collaboration between sophisticated irish vocalist suzanne savage
and new zealand cellist hugo smit.
lancio dell’ultimo Fabrica musica cd, “Versus”, frutto della
collaborazione tra la raffinata voce dell’irlandese suzanne savage
e il violoncellista neozelandese hugo smit.
march / marzo 12
Fabrica musica presents “Phi-pad-mai-nuam,” a performance
by a quintet of thai musicians at the mondi Riemersi Festival in
Frascati, Rome.
Fabrica musica presenta “Phi-pad-mai-nuam”, performance
di un quintetto thailandese al festival mondi Riemersi di Frascati.
april / aprile
colors issue #67 hits newsstands. this issue’s theme: aiDs.
arriva in edicola colors numero 67, dedicato all’aiDs.
colors launches “inner asian Pop,” an album dedicated to the
music of central asia.
colors presenta “inner asian Pop”, disco dedicato alla musica
dell’asia centrale.
For more information / per maggiori informazioni www.fabrica.it
To apply for the workshops / per iscriversi ai workshop workshop@fabrica.it
calendar
cUltUral eVentS
april / aprile 2–3
Vw Beetle expo, Berck Sur mer, France. Each year hundreds of
Volkswagen fanatics descend upon this sleepy French town to
admire each other’s cars, eat sausage, and drink wine. if there were
ever a car to constitute such a festival, now in it’s ninth year, it
could only be the Vw beetle.
expo del maggiolone Volkswagen, Berck Sur mer, Francia. una
volta all’anno un’orda di centinaia di appassionati si riversa su
questo tranquillo paesotto francese e si riunisce ad ammirare
le macchine altrui tra una salsiccia e un bicchiere di vino.
nessuna altra auto giustificherebbe un simile evento, giunto
ormai alla nona edizione.
http://www.istc.org/sisp/index.htm?fx=event&event_id=84803
april / aprile 19–23
Brooklyn Underground Film Festival, new york, USa. now in its
fourth year, buFF has found some solid footing among the more
illustrious or perhaps pretentious new York film festivals. Founded
by some poor, ambitious brooklyn filmmakers, buFF is a venue
for filmmakers from all over the globe to meet, mingle, and share
their work.
Brooklyn Underground Film Festival, new york, USa. giunto alla
quarta edizione, il festival vanta ormai una reputazione tale da
poter competere con i più illustri e forse più pubblicizzati festival
cinematografici newyorkesi. istituito da autori cinematografici di
brooklyn, poveri ma ambiziosi, il buFF è ormai un luogo di incontro
e di condivisione per cineasti di tutto il mondo.
http://www.brooklynunderground.org
april / aprile 21–29
Udine Far east Film Festival, Udine, italy. the seventh
Far East Film Festival hosts more than sixty films, focusing on
retrospectives and unexplored aspects of asian Cinematography.
there are parties following each night’s screenings. and best of all,
admission is free.
Udine Far east Film Festival, Udine. settima edizione del festival
dedicato al cinema dell’Estremo Oriente. in cartellone più di
sessanta pellicole dedicate a retrospettive e aspetti inesplorati
della cinematografia orientale. le proiezioni sono seguite da feste
e momenti conviviali. E l’entrata è gratuita!
http://www.fareastfilm.com/

april / aprile 23
çocuk Bayrami, turkey. On Cocuk bayrami (Children’s Day).
Children all over turkey dress in national garments and perform
in plays and musicals. in ankara, the capital, a spectacular pageant
is held in which children from all over the world sing and dance.
Established in 1920, as turkey gained its independence, the
holiday is a testament to the fact that children are the future.
çocuk Bayrami, turchia. Cocuk bayrami significa giornata dei
bambini. i pargoli di tutta la turchia vestono gli abiti tradizionali
e mettono in scena spettacoli teatrali. nella capitale ankara si tiene
un grande spettacolo di canti e danze cui partecipano bambini
di tutto il mondo. Festa nazionale istituita nel 1920, anno in cui
la turchia divenne indipendente, la giornata serve a ricordare
che i bambini rappresentano il futuro.
http://www.turkishnews.com/Discoverturkey/culture/april23/
april / aprile 28–30, may / maggio 5–7
new orleans Jazz and heritage Festival, new orleans, USa.
there is no better way to experience the culture of new Orleans.
two weekends of music, dancing, food, art, and crafts, the Jazz
Fest features the truly Cajun aspects of the american south
including, but certainly not limited to, zydeco music and alligator
meat on a stick.
new orleans Jazz and heritage Festival, new orleans, USa.
in assoluto il modo migliore per immergersi nella cultura di new
Orleans. Due fine settimana di musica, balli, assaggi, arti e mestieri.
il festival jazz ha tutti gli ingredienti Cajun del sud degli stati uniti,
compresi, a puro titolo esemplificativo, la musica zydeco e la carne
di coccodrillo da portar via.
http://www.nojazzfest.com
may / maggio 10–14
FolkBaltica Festival, Flensburg, germany. while featuring
musicians from sweden, Denmark, norway, and poland, and
including musical varieties from countries surrounding the baltic
sea, this year’s festival will focus on an instrument called the
nyckelharpa, a swedish sort of fiddle with a keyboard.
FolkBaltica Festival, Flensburg, germania. Oltre ad ospitare
musicisti svedesi, danesi, norvegesi e polacchi e generi musicali
tipici dei paesi baltici, l’edizione di quest’anno sarà dedicata alla
nyckelharpa, una sorta di violino svedese a tastiera.
http://www.folkbaltica.de/
may / maggio 12
Vesak day, Singapore, thailand, Burma. this very holy of days
is celebrated by buddhists to commemorate the birth and
enlightenment of buddha and his entry into nirvana. acts of
generosity, called dana, are observed including freeing caged
birds and animals, giving alms to the poor, and donating blood.
the celebration concludes at night with a candlelit procession
through the streets.
Festa del Vesak, Singapore, tailandia, myamar. giorno sacro in
cui i buddisti ricordano la nascita e l’illuminazione del buddha e il
suo raggiungimento del nirvana. in onore dell’illuminato vengono
compiuti dei “dana”, atti di generosità come la liberazione di animali
e uccelli in gabbia, elemosine ai poveri e donazioni di sangue.
le celebrazioni si concludono in notturna con una processione
a lume di candela.
http://buddhism.about.com/cs/festivals/a/Vesak.htm
may / maggio 12 – June / giugno 2
reykjavik arts Festival, iceland. For its twentieth anniversary, the
Reykjavik arts Festival will focus on music, including performances
from the iceland symphony Orchestra and the icelandic Opera. held
in venues all over iceland, the festival is primarily icelandic but also
promotes international cultures and artists.
Festival delle arti di reykjavik, islanda. giunto alla sua ventesima
edizione, il festival si terrà in diverse sedi in tutto il paese e
sarà dedicato alla musica, con concerti dell’orchestra sinfonica
islandese e dell’opera nazionale. nonostante il suo carattere
eminentemente nazionale, il festival promuoverà anche artisti
e culture internazionali.
http://www.artfest.is
may / maggio 19–21
rocket Festival, andalucia, Spain. a three day arts and music
festival featuring an array of bands, circus performers, sculptures,
and other fringe exhibitionists. Campgrounds are provided and
music and dancing continues twenty-four hours a day for the
duration of the festival.
rocket Festival, andalusia, Spagna. una tre giorni di musica
e arte con un programma denso di gruppi musicali, artisti di circo,
scultori e altri artisti non convenzionali. musica ovunque e danze
ventiquattro ore su ventiquattro per tutta la durata del festival.
http://www.rocketfestival.com/
72/73

P.s.
story-hunting. The end (to not wander off the subject).
TexT By riccardo mazza
“The crowd rushes to the movies and theatre; it goes crazy for
songs and drawings. What are they looking for if not for the specks
of limestone that the hen eats to form the shell of its eggs?”
michel Tournier. “le vent paraclet”.
in 1969, toei animation created an animated series that featured
its main character as a disguised wrestler. naoto Date was the
young orphan behind the mask that sought redemption becoming
the greatest wrestler of all time. but few remember his name; many
(or at least all the boys born in the seventies) remember the name
naoto Date gave himself to fight in the ring; for us and his adversaries
he was tiger man.
in italy, the series was broadcast for the first time in 1982, i was
ten years old and even if we were still celebrating the heroes in
flesh and bone back from the world Championship in spain, i had
an endemic need of a hero with all the characteristics of a superhero.
tiger man was exactly what i was looking for and the circumstances
facilitated the passage: actually in that period the wrestler in flesh
and bone satoru sayama disguised as the tiger man was very popular
in the Japanese wrestling circuit. On the contrary, antonio inoki, one
of the most famous wrestlers and who was brought to life in the tV
series, besides representing himself, was a friend and the trusted
mentor of tiger man. Real life and fiction were woven together in
awesome short-circuits and i was there with kenta just like the other
children of the orphanage in which naoto Date had grown up to
support our hero in front of the television set. there was enough
bloodshed and violence in his stories not to make me feel like i was
still watching cartoons and yet they were fake enough – so it was
still a cartoon and couldn’t upset me. in other words, tiger man took
me from the bliss of childhood limbo to the twisted and peevish
paths of the purgatory of pre-adolescence. in just a word: real life.
in 1974, the night of 30 October, mohammed alì 13 challenged the
heavyweight champion, george Foreman in kinshasa, the capital of
zaire. Contrary to all predictions, alì won by k.O. in the eighth round:
a barrage of punches that ended with a mighty right hook that bought
down the giant – the stronger and the younger – Foreman.
the writer norman mailer wrote a novel about it, the Fight, and by
doing so the rest of the world could also remember this event as “the
fight of the century.” For those like me on the other hand, who were
only two years old in 1974, our reference point to this event was
a documentary that came out in 1996. it was entitled when we were
kings and relays all the phases of the boxing match, starting from
the preparations to the training and the subsequent fight right up
to the very end: which wasn’t Foreman gasping on the mat or alì
with his gloves raised up in the air, but a torrential rain that
pummelled down onto the (open air) stadium at dawn, just
a few minutes before the end of the fight.
it was the beginning of the rainy season, forewarned by a black
starless sky: even the gods would concede a respite so that they
could finish their fight.
mohammed alì has been etched into the archive of my memory.
he is not alone, he is in good company. he is hanging out with
tiger man.
in 2001 i was going to hold my first lesson in a creative writing
course. the lesson was entitled: hunting for stories. the aim was
to provide the tools to fine tune that sense, that all writers have,
to retrieve stories from the miasma of life that runs in and out of
us all. that sense - that instinct - that allows us to give order to
chaos, gives form to a story that longs to be told. after long periods
of standstill, my brain cells began to interconnect the way they
should (it had been a while since the archives that stored away the
memories of alì and tiger man had shown signs of life) and after
fishing around in the archive i found my reference point: alì vs.
Foreman, the fight. (tiger man didn’t take it personally, he knew
his time would come.)
the lights came down and darkness descended like an axe, and from
the front row, like the slow ebb of the tide, silence religiously and
inexorably crept up to the seats at the back, suffocating the last
remaining voices. in this state of emptiness, of proximity to the end
– when we find ourselves in a hall before the opening credits – even

we are open to a beginning. i sat in the front row, amongst all the
students. i press the play button on the remote control, the pixels
of the tV screen saturate with light and colour and mohammed alì
appears in the stadium in kinshasa accompanied by the roar of the
public that scream his name. they are all here for him and they
embrace him with the cry alì, boma ye! (alì, kill him!), akin to a
wartime drum roll. the man that alì is meant to kill, george Foreman,
enters shortly after to a bout of whistles. but he is a champion and
there isn’t even a hint of fear in his eyes. the bell rings, the fight
begins, and Foreman as predicted takes charge. alì promised that
he would have danced, as was his style. he was going to tire his
opponent out by making him run around after him. but alì is a bit
long in the tooth and not as light on his feet as he used to be. he
takes punch after punch, round after round. always hanging off the
ropes like a punching bag that only takes punches and never hands
them out. but like that punching bag, sure and sturdy, alì doesn’t
give in. his powerful legs never tremble. like that punching bag alì
knows that he will not fall...he has the cheek to fight with his guard
down, he makes fun of his opponent, he encourages him to keep
on punching and Foreman certainly doesn’t back down. Even if he
stayed up till the end, alì would lose on points. as one might say,
he was on the edge of an abyss. then the moment of magic that
he kept up his sleeve all that time, the end that we all know well:
alì rises from the abyss and throws punch after punch, each one
harder than the last...
when i turn off the tV and the lights come back on, the one thing
that i remember sharing with the students is the strange sensation
of having just seen a story. a tale told through images that an
invisible playwright had written just for us. there was however no
script, events had unfolded by themselves in that ring, it was a
fragment of life lived, relayed to us like a story, faithfully recorded
by the film cameras. what made it this way? what makes a piece
of our life worthy enough to be retold?
this question rouses those who doubted whether they should be
enrolled in a writing course. Contributions start to fly around. they
hit the nail on the head, they anticipate a series of topics that we
will tackle in the future, in the following lessons: the fact of having
assisted a real, rather than a metaphorical fight, made up of
expectations that were promptly not met. Of there being a protagonist
and obstacles to overcome, and a path of constant change formed
from continuous turns, changes in directions and such like that
together unite all the possible ingredients that you might find in the
great recipe book of technique. but technique alone is not the raison
d’etre of a story. there is a little hidden something and the clues are
right under our noses... the black deep heart of africa, in the heart
of that cold african night, the sky black with rain... a great web of
symbols that lead that sporting match to the core of its cruel
essence: the fight for survival. and above all the clue that has
always been right under our noses: mohammed alì. he isn’t just
any old boxer but a mythical colossus, incarnate in a person from
which we give order to chaos and give it a form. this being a story.
alì is the man who breaks the chains of slavery, the man who
gets his revenge and through religious dialogue he becomes the
spokesman for the people, he is the man who on the night before
the fight said “Four hundred years ago i was a slave, now i’ve come
back home to fight alongside by brothers.” You could read his life in
his eyes, you could hear it in the cheers of his people who spurred
him on to kill, because it was clear to everybody that this wouldn’t
be any old fight but the fight; the fight for survival.
tiger man stepped forward, out of the shadows. like alì he too is
a role model. he is the man who has found good and fights for it
after having descended into hell, the tigers Den, which is the secret
organisation in which he was trained, and whose aim is to dominate
the world of wrestling. tiger man is the hero, the incarnation of the
revolt of slavery against Evil at the cost of his own life. For children,
and for his fans, he is an exemplary role model, like the image and
life of a saint are for a believer.
Every time a writer sits at their desk, turns on their computer and
starts to type the keys on a virtual white page, they undertake
a struggle with themselves. there is no way of knowing whether
it will reach the end, it ventures into the darkness of their own
consciousness and imagination, along the impervious road lit by
the dim light of a little lantern. if they get to the end of their journey
and come out safe and sound from the struggle that they have
undertaken, the printer 14 will probably churn out page after page of
their story. at this point they will have a strange but sure conviction:
that story existed before they started to write it, because in order to
tell it, it would already have had to have been lived. its ending was
written at its beginning...
post scriptum: in this tiresome path, guided by infallible instinct,
the writer is not alone. he is in good company. he is hanging out
arm in arm with mohammed alì and tiger man, in some corner of
his mind.
riccardo Mazza, screenwriter for television, is a creative writing
teacher at Scuola Holden and at the University of Teramo.
– – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – – –
74/75

P.s.
A caccia di storie. Fine (per non andare fuori tema).
“La folla si precipita al cinema, a teatro, si butta sulle canzoni, sui
disegni. Che cosa cerca se non ciò che cerca la gallina, che mangia
granelli di calcare per poter formare il guscio delle proprie uova?”
michel Tournier. “il vento paracleto”.
nel 1969 la toei animation realizzò una serie animata che aveva per
protagonista un lottatore mascherato. Dietro la maschera si celava
il giovane naoto Date, un orfano che trovò il proprio riscatto
diventando il più grande lottatore di tutti i tempi. pochi, però,
ricordano quel nome; tutti (o perlomeno tutti i soggetti maschi nati
negli anni ’70) ricordano solo il nome che naoto Date si diede per
combattere sul ring: per noi, e per i suoi avversari, naoto Date era
l’uomo tigre.
in italia la serie andò in onda per la prima volta nel 1982, io avevo
dieci anni e, sebbene avessimo avuto degli eroi in carne e ossa
reduci dai mondiali di spagna, avevo ancora l’endemico bisogno
di un eroe che avesse tutti gli attributi del supereroe. l’uomo tigre
faceva al caso mio, e le circostanze furono favorevoli alla transizione:
capitava infatti che nella vita reale impazzasse sui ring del circuito
di wrestling giapponese un lottatore in carne e ossa, all’anagrafe
satoru sayama, mascherato da uomo tigre, e che, all’inverso, uno
dei più celebri lottatori di quel circuito, antonio inoki, si materializzasse
dentro la serie tv nel ruolo, oltre che di se stesso, di amico e mentore
dell’uomo tigre. Vita reale e finzione si intrecciavano, in sublimi
cortocircuiti, e io mi ritrovavo con kenta e gli altri bambini
dell’orfanotrofio in cui era cresciuto naoto Date a fare il tifo, davanti
alla tV, proprio come loro, per il nostro eroe. nelle sue storie c’erano
abbastanza sangue e violenza perché non mi sentissi troppo piccolo
a guardare ancora cartoni animati, ed erano abbastanza finti – era
pur sempre un cartone! – perché io non ne venissi turbato. l’uomo
tigre, insomma, mi avrebbe, e così del resto fece, traghettato dal
beato limbo dell’infanzia alle contorte e spigolose vie del purgatorio
della preadolescenza. in sintesi: la vita reale.
nel 1974, la notte del 30 ottobre, mohammed alì 13 sfidò il campione
dei pesi massimi di pugilato, george Foreman, a kinshasa, la capitale
dell’allora zaire. Contro tutti i pronostici, alì vinse per k.O. all’ottava
ripresa: una raffica di colpi conclusa da un micidiale destro mandò
al tappeto il gigante – più forte, più giovane – Foreman. lo scrittore
norman mailer ne scrisse un romanzo, the Fight, e come lui il resto
del mondo avrebbe conservato nella propria memoria quell’evento
alla casella “il combattimento del secolo”. per quelli che invece,
come me, avevano solo due anni nel 1974, ci pensò un documentario
uscito nel 1996 a rinfrescarci la memoria. s’intitolava when we were
kings e raccontava tutte le fasi di quell’incontro, dai preparativi agli
allenamenti, al vero e proprio combattimento fino alla sua debita
conclusione: che non era Foreman rantolante al tappeto, o alì con
i guantoni alzati al cielo, ma una pioggia torrenziale che si abbattè
sullo stadio (all’aperto) all’alba, a pochi minuti dalla fine dell’incontro.
Era l’inizio della stagione delle piogge, preannunciato da un cielo
nero senza stelle: affinché l’evento potesse compiersi, anche gli
dèi avevano concesso la loro tregua.
mohammed alì avrebbe trovato spazio in una casella nell’archivio
della mia memoria. non era solo, era in buona compagnia. se
la spassava con l’uomo tigre.
nel 2001 avrei dovuto tenere la mia prima lezione a un corso di
scrittura creativa. la lezione avrebbe avuto un titolo: a caccia
di storie. lo scopo sarebbe stato quello di dare strumenti utili ad
affinare quel particolare fiuto, che tutti i narratori hanno, di scovare
storie nel miasma informe della vita che scorre fuori e dentro di noi.
Quel fiuto – quell’istinto – che permette di dare ordine al caos, dando
forma a una storia che scalpita per essere raccontata. Dopo lunghi
momenti di stallo, le sinapsi del mio cervello fecero i loro debiti
collegamenti (la casella che ospitava alì e l’uomo tigre era un bel
po’ che dava scossoni) e trovai pescando nell’archivio il mio modello
di riferimento: alì vs. Foreman, the fight. (l’uomo tigre non se la
prese, sapeva che sarebbe venuto anche il suo momento.)
le luci si spengono, il buio scende come una mannaia, e dalle
prime file, come l’onda lenta di una marea, il silenzio avanza,
religioso e inesorabile, fino alle sedie in fondo e soffoca le ultime
voci resistenti. È in questa condizione di vuoto, di prossimità alla
fine – come ci accade quando siamo al buio di una sala prima che

comincino i titoli di testa –, che anche noi ci apriamo all’inizio.
mi sono seduto in prima fila, tra gli studenti. premo il tasto play
del telecomando, i pixel dello schermo della tv si saturano di luce
e colori e mohammed alì entra nello stadio di kinshasa accompagnato
dal fragore del pubblico che lo acclama. sono tutti per lui e lo
accolgono al grido di alì, boma ye! (alì, uccidilo!), scandito come
il rullo di un tamburo di guerra. l’uomo che alì dovrebbe uccidere,
george Foreman, entra poco dopo. È un boato di fischi. ma è un
campione e nei suoi occhi non si legge alcuna paura. suona il gong,
l’incontro ha inizio, e Foreman come da pronostico la fa da padrone.
alì aveva promesso che avrebbe ballato, com’era nel suo stile.
avrebbe sfiancato l’avversario a furia di farsi rincorrere. ma alì è
un tronco vecchio che non ha più la leggerezza di una volta. incassa
colpi su colpi, un round dopo l’altro. sempre alle corde, come
un sacco da allenamento che può solo incassare e non rispondere
mai. ma come quel sacco, sicuro di sé, alì non cede. le gambe, salde,
non tremano mai. Come quel sacco, alì sa che non cadrà... ha la
sfacciataggine di combattere con la guardia bassa, si prende gioco
dell’avversario, lo incita a colpire sempre di più, e Foreman non
si fa di certo pregare. anche se dovesse resistere fino alla fine,
alì perderebbe l’incontro ai punti. Come si dice in certi casi,
è letteralmente sull’orlo dell’abisso. poi il numero di magia, tenuto
in serbo tutto quel tempo, la fine che già conosciamo: alì risale
dal suo abisso, e colpisce, colpisce sempre più forte...
Quando spengo la tv e riaccendo le luci nell’aula, una delle cose
che so di condividere con gli studenti è la strana sensazione di aver
visto una storia. un racconto per immagini, come se un invisibile
sceneggiatore l’avesse scritta per noi. ma non c’era nessun copione,
le cose si svolsero da sole su quel ring, era un pezzo di vita vissuta
che si mostrava a noi, fedelmente registrato dalle macchine da
presa, come una storia. Cosa lo rendeva tale? Cosa rende un pezzo
della nostra vita meritevole di essere raccontata?
la domanda sveglia dal torpore chi ha dubitato di essersi iscritto
a un corso di scrittura... i contributi si fanno serrati. Colgono il segno,
anticipano tutta una serie di argomenti che affronteremo in futuro,
nelle successive lezioni: il fatto di aver assistito a un vero e proprio,
fuor di metafora, conflitto, che il conflitto procedesse per attese
puntualmente disattese, che ci fosse un protagonista, degli ostacoli
da superare, e un percorso di cambiamento disegnato da continue
svolte, cambi di direzione e via di questo passo, ad abbracciare tutti
i possibili ingredienti rinvenibili nel gran ricettario della tecnica.
ma la tecnica da sola non basta a esaurire la ragion d’essere di una
storia. C’è un quid nascosto, e gli indizi sotto i nostri occhi... il cuore
nero e profondo dell’africa, nel cuore della fredda notte africana,
il cielo gravido di pioggia... una fitta trama di simboli che riportavano
quell’incontro di sport alla sua più brutale essenza: la lotta per la
sopravvivenza. E su tutti l’indizio che è sempre stato sotto i nostri
occhi: mohammed alì. non un pugile qualunque, ma una struttura
mitica che si incarna in una persona, un modello fondamentale con
il quale ordiniamo il caos e gli diamo una forma. Ossia una storia.
alì è l’uomo che rompe le catene della schiavitù, l’uomo che trova
il proprio riscatto e nella conversione religiosa si fa portavoce di
un popolo, è l’uomo che alla vigilia dell’incontro disse: “Quattrocento
anni fa ero uno schiavo, ora torno a casa per combattere tra i miei
fratelli.” la sua vita la si poteva leggere nei suoi occhi, la si poteva
sentire nelle urla del suo popolo che lo incitava a uccidere, perché
era chiaro a tutti che non sarebbe stato un incontro qualunque,
ma the fight, la lotta per sopravvivere.
l’uomo tigre fa un passo avanti, esce dall’ombra. Come alì, anche
lui è un modello. È l’uomo che ha trovato il bene e lotta per
affermarlo dopo essere sceso all’inferno, nella tana delle tigri,
la segreta organizzazione in cui si è formato e che mira al dominio
del mondo della lotta libera. l’uomo tigre è l’eroe che incarna la
rivolta contro la schiavitù del male, a costo della sua stessa vita.
per i bambini, per i suoi tifosi, è un modello esemplare, come
la figura e la vita di un santo lo sono per un credente.
Ogniqualvolta uno scrittore si siede alla sua scrivania, accende
il suo computer e comincia a battere i tasti su una virtuale pagina
bianca, intraprende una lotta con se stesso. non può sapere se
arriverà alla fine, procede al buio della sua coscienza e della sua
immaginazione, lungo una strada impervia illuminata dalla fioca
luce di un lanternino. se arriverà alla fine del suo cammino, e uscirà
sano e salvo dalla lotta che ha intrapreso, probabilmente la stampante 14
sputerà uno dopo l’altro i fogli che compongono la sua storia. a quel
punto avrà una strana, ma irremovibile convinzione: quella storia
esisteva prima che lui cominciasse a scriverla, perché per raccontarla
doveva essere stata già vissuta. la sua fine era scritta nel suo inizio...
post scriptum: in questo faticoso procedere, guidato dal suo
infallibile fiuto, lo scrittore non è solo. è in buona compagnia. se
la spassa con mohammed alì e l’uomo tigre, a braccetto in qualche
anfratto del suo cervello.
riccardo Mazza, sceneggiatore televisivo, insegna scrittura creativa
alla Scuola Holden e all’Università di Teramo.
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“I LITIGI FINIScoNo,
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AfricAn Proverb / Proverbio AfricAno