Il contributo dell'Italia alla costruzione dell'Algeria indipendente La ...

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11.07.2015 Views

ne - con i nuovi dati del panorama internazionalee dello scenario domestico, l’opinione pubblica (enon solo quella legata ai partiti di sinistra) reagìcon vigore ai fatti dell’agosto 1955: manifestazionidi protesta furono organizzate in varie città italiane,petizioni e telegrammi contro la repressione inAfrica del Nord furono inviati a Palazzo Farneseda gruppi di lavoratori, associazioni studentesche,privati cittadini. Era la nascita e il primo coagularsidi un movimento di opinione che avrebbe seguitocon attenzione continua, e appoggiato anchecon iniziative concrete e appariscenti, gli sviluppidella guerra di indipendenza algerina. Da questopunto di vista, questo movimento, le cui fila si sarebberoingrossate mano a mano che le notizie chearrivavano dalla sponda sud del Mediterraneo descrivevanouna situazione sempre più drammatica,rappresentava il controcanto della politica ufficialedel governo, la quale non poteva esprimere tropporuvidamente il suo dissenso sulle azioni francesi inAlgeria per timore di incrinare un network occidentaleche era ritenuto necessario preservare.I dubbi sulla capacità francese di risolvere intempi rapidi il conflitto algerino erano però diffusianche negli ambienti politici, persuasi chela via d’uscita dalle sabbie mobili nordafricanenon potesse che essere negoziale. Non spingevanoall’ottimismo le mosse del governo di Fronterepubblicano, pesantemente condizionato nellasua strategia algerina – gli eventi del 6 febbraio1956 lo dissero con chiarezza - dalla resistenzadei coloni e ostaggio – come dimostrò l’“affaireBen Bella” dell’ottobre – dei militari; impacciati,di respiro troppo corto, di insufficiente coraggio,di scarsa chiarezza apparivano i progetti algerinidei successori di Guy Mollet all’Hôtel Matignon,Maurice Bourgès Maunory e Félix Gaillard. Il governoitaliano, tuttavia, consapevole del caratterevilles italiennes, des pétitions et télégrammes contrela répression en Afrique du Nord furent envoyés auPalais Farnese, siège de l’Ambassade de France àRome, par des groupes de travailleurs, des associationsd’étudiants, des citoyens à titre individuel. C’était lanaissance et la première agrégation d’un mouvementd’opinion qui suivra avec une attention continue etappuierait, y compris par des initiatives concrètes ettapageuses, la guerre d’indépendance algérienne. Dece point de vue, ce mouvement, dont les dimensionsaugmentaient au fur et à mesure que les nouvellesprovenant de la rive sud de la Méditerranée décrivaientune situation de plus en plus dramatique,représentait le “contre-chant” de la politique offi cielledu gouvernement, qui ne pouvait pas exprimer troprudement sa dissension sur les actions françaises enAlgérie, par crainte de fissurer un réseau occidentalque l’on estimait nécessaire de préserver.Les doutes sur la capacité française de résoudre rapidementle confl it algérien, étaient toutefois nombreuxmême dans les milieux politiques, persuadés que lasortie des sables mouvants nord-africains ne pouvaitêtre que la négociation. Les manœuvres du gouvernementdu Front républicain ne poussaient pas àl’optimisme: il était lourdement conditionné, dans sastratégie algérienne – et les événements du 6 février1956 le montrèrent clairement – il était lourdementconditionné par la résistance des colons, et otage desmilitaires – comme le montra l’“affaire Ben Bella”au mois d’octobre – ; les projets algériens des successeursde Guy Mollet à l’Hôtel Matignon, MauriceBourgès Maunory et Félix Gaillard, apparaissaientmaladroits, sans souffl e, insuffi samment courageux,et pas très clairs. Le gouvernement italien, toutefois,conscient du caractère omnivore que la question algériennerevêtait dans la politique étrangère française,estimait de ne pas devoir dévier d’une ligne de compréhensionet d’affi nité avec le partenaire transalpin,56

omnivoro che la questione algerina rivestiva nellapolitica estera francese, riteneva di non poter deviareda una linea di comprensione e di vicinanzaal partner d’oltralpe, per timore di favorire sobbalzi,persino nel senso di un cambio di regime, negliequilibri interni a Parigi e radicali ri-orientamentinella politica estera della Francia. L’Italia, in altritermini, non aveva intenzione di rischiare, conuna sua scomunica a Parigi – in sede societaria, adesempio - , di favorire due sviluppi concatenati eugualmente negativi. Da un lato l’implosione diun sistema interno francese che già appariva febbricitante,incapace così come era di garantire continuitàe coerenza all’azione di governo – il lungoblack out che separò le dimissioni di BourgèsMaunory e l’insediamento di Gaillard ne era unaconferma - e che, con il suo crollo, avrebbe potutopreparare il terreno a una svolta autoritaria o“frontista”. Dall’altro la rottura irreparabile dellacomunità occidentale, che nel suo volet atlanticoera sopravvissuta ai fatti di Suez della fine del 1956ma ancora ne portava visibili cicatrici, e che, nelsuo volet europeo, aveva, seppur in modo equivoco,accettato, con la firma dei trattati di Roma, dicondividere peso politico e economico del mantenimentodella présence francese in Algeria. Suquesto duplice timore, destinato a permanere, inquesti termini, fino ai fatti del 13 maggio e al richiamodi De Gaulle, si basava la scelta italiana dimassima prudenza.Ma, accanto e parallela a questa linea politica ufficiale,che si tradusse nell’appoggio alla Francia inoccasione dei dibattiti sulla questione algerina alleNazioni Unite, vi era un’altra linea di acuta sensibilitàalla causa algerina che rimaneva ben visibilesullo sfondo dell’azione italiana. Essa era infatti demandata,nei suoi più audaci, possibili e variegatisviluppi, a soggetti diversi e estranei ma prossimipar crainte de faciliter des soubresauts, y compris entermes de changement de régime, dans les équilibresintérieurs à Paris, et des redéfinitions radicales de lapolitique étrangère de la France. L’Italie, en d’autrestermes, n’avait pas l’intention de risquer, en essuyantune excommunication de la part de Paris, d’encouragerdeux développements négatifs. D’une part, l’implosiondu système intérieur français qui apparaissaitdéjà mal en point, incapable de garantir la continuitéet la cohérence de l’action du gouvernement– incapacité confirmée par la période de vide entrela démission de Bourgès Maunory et l’installation deGaillard – et dont l’effondrement aurait pu préparerle terrain pour un tournant autoritaire. D’autrepart, la rupture irréparable de la communauté occidentale,qui dans son volet atlantique avait survécuaux faits de Suez de 1956 mais en portait encoreles stigmates, et qui, dans son volet européen, avait,bien que de façon équivoque, accepté, en signant lestraités de Rome, de partager le poids économique etpolitique du maintien de la présence française en Algérie.Cette double crainte, destinée à durer, dans cestermes, jusqu’aux faits du 13 mai et au retour de DeGaulle, était à la base du choix italien très prudent.Toutefois, à côté de cette ligne politique qui se traduisitdans le soutien à la France à l’occasion des débatssur la question algérienne aux Nations Unies,il y avait une autre ligne de sensibilité aigue enversla cause algérienne qui restait bien visible à l’arrièreplan de l’action italienne. Elle était confinée, dans cesdéveloppements les plus audacieux et diversifiés, à dessujets extérieurs au gouvernement mais proches de lui(du Président de l’Eni Enrico Mattei au Président dela République Giovanni Gronchi, tous les deux objetsen permanence des attentions de Paris, du secrétairede la Démocratie Chrétienne Amintore Fanfaniau maire de Florence – et parlementaire démocrateschrétiens – Giorgio La Pira, considérés comme dan-57

omnivoro che la questione algerina rivestiva nellapolitica estera francese, riteneva di non poter deviareda una linea di comprensione e di vicinanzaal partner d’oltralpe, per timore di favorire sobbalzi,persino nel senso di un cambio di regime, negliequilibri interni a Parigi e radicali ri-orientamentinella politica estera della Francia. L’Italia, in altritermini, non aveva intenzione di rischiare, conuna sua scomunica a Parigi – in sede societaria, adesempio - , di favorire due sviluppi concatenati eugualmente negativi. Da un lato l’implosione diun sistema interno francese che già appariva febbricitante,incapace così come era di garantire continuitàe coerenza all’azione di governo – il lungoblack out che separò le dimissioni di BourgèsMaunory e l’insediamento di Gaillard ne era unaconferma - e che, con il suo crollo, avrebbe potutopreparare il terreno a una svolta autoritaria o“frontista”. Dall’altro la rottura irreparabile dellacomunità occidentale, che nel suo volet atlanticoera sopravvissuta ai fatti di Suez della fine del 1956ma ancora ne portava visibili cicatrici, e che, nelsuo volet europeo, aveva, seppur in modo equivoco,accettato, con la firma dei trattati di Roma, dicondividere peso politico e economico del mantenimentodella présence francese in Algeria. Suquesto duplice timore, destinato a permanere, inquesti termini, fino ai fatti del 13 maggio e al richiamodi De Gaulle, si basava la scelta italiana dimassima prudenza.Ma, accanto e parallela a questa linea politica ufficiale,che si tradusse nell’appoggio <strong>alla</strong> Francia inoccasione dei dibattiti sulla questione algerina alleNazioni Unite, vi era un’altra linea di acuta sensibilità<strong>alla</strong> causa algerina che rimaneva ben visibilesullo sfondo dell’azione italiana. Essa era infatti demandata,nei suoi più audaci, possibili e variegatisviluppi, a soggetti diversi e estranei ma prossimipar crainte de faciliter des soubresauts, y compris entermes de changement de régime, dans les équilibresintérieurs à Paris, et des redéfinitions radicales de lapolitique étrangère de la France. L’Italie, en d’autrestermes, n’avait pas l’intention de risquer, en essuyantune excommunication de la part de Paris, d’encouragerdeux développements négatifs. D’une part, l’implosiondu système intérieur français qui apparaissaitdéjà mal en point, incapable de garantir la continuitéet la cohérence de l’action du gouvernement– incapacité confirmée par la période de vide entrela démission de Bourgès Maunory et l’inst<strong>alla</strong>tion deGaillard – et dont l’effondrement aurait pu préparerle terrain pour un tournant autoritaire. D’autrepart, la rupture irréparable de la communauté occidentale,qui dans son volet atlantique avait survécuaux faits de Suez de 1956 mais en portait encoreles stigmates, et qui, dans son volet européen, avait,bien que de façon équivoque, accepté, en signant lestraités de Rome, de partager le poids économique etpolitique du maintien de la présence française en Algérie.Cette double crainte, destinée à durer, dans cestermes, jusqu’aux faits du 13 mai et au retour de DeGaulle, était à la base du choix italien très prudent.Toutefois, à côté de cette ligne politique qui se traduisitdans le soutien à la France à l’occasion des débatssur la question algérienne aux Nations Unies,il y avait une autre ligne de sensibilité aigue enversla cause algérienne qui restait bien visible à l’arrièreplan de l’action italienne. Elle était confinée, dans cesdéveloppements les plus audacieux et diversifiés, à dessujets extérieurs au gouvernement mais proches de lui(du Président de l’Eni Enrico Mattei au Président dela République Giovanni Gronchi, tous les deux objetsen permanence des attentions de Paris, du secrétairede la Démocratie Chrétienne Amintore Fanfaniau maire de Florence – et parlementaire démocrateschrétiens – Giorgio <strong>La</strong> Pira, considérés comme dan-57

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