HISTOIRE DU JOURNAL - IIS âE. Fermiâ
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LICEO SCIENTIFICO E.FERMI CATANZARO<br />
ANNO SCOLASTICO 20011/2012<br />
LAVORO INTERDISCIPLINARE PER LE CLASSI V A E V B<br />
GIORNATA DELLA MEMORIA 2012<br />
LE <strong>JOURNAL</strong> D’HELENE BERR<br />
LA SHOAH- L’ANTISEMITISMO<br />
PROFSSA A.LAVECCHIA<br />
(ALUNNI:S.CARISTO-A.CATONE-F.PANAIA-S.COLACINO-R.CANTINI-A.SILAGY-M.BATTAGLIA)
QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
<strong>HISTOIRE</strong> <strong>DU</strong> <strong>JOURNAL</strong><br />
Le « Journal » d'Hélène Berr se présente sous la forme de 262 feuillets volants, couverts à<br />
l'encre bleue ou noire et au crayon d'une fine écriture qui se fait de plus en plus hâtive au fil<br />
des pages. C'est Mariette Job, nièce d'Hélène Berr et ancienne libraire, qui, connaissant ce<br />
texte par des copies circulant dans sa famille, a retrouvé le manuscrit original : selon le voeu<br />
d'Hélène, il avait été remis après la guerre à Jean Morawiecki, son fiancé, et était resté entre<br />
ses mains. Aujourd'hui âgé de 86 ans, Jean Morawiecki a fait carrière dans la diplomatie. Il a<br />
institué Mariette Job légataire du journal. En 2002, le document a fait l'objet d'une donation au<br />
Mémorial de la Shoah, à Paris, où une vitrine est consacrée au destin tragique de la jeune<br />
femme. Une présentation publique du texte, lu par une comédienne, sera organisée le 7 février<br />
au Mémorial.<br />
La résurrection d’un manuscrit<br />
Encre bleue sur papier jauni. Pas de ratures. L’écriture est fine, lisible, élégante. Les feuilles<br />
extraites d’un bloc ont été numérotées recto verso jusqu’à la page 262. Le tout forme une<br />
petite liasse d’une centaine de feuilles. C’est le manuscrit du Journal d’Hélène Berr conservé au<br />
Mémorial de la Shoah, à Paris. Il retrace l’histoire d’une vie interrompue par la déportation à<br />
23 ans, le 27 mars 1944. Pas plus que ses parents, l’étudiante n’est revenue des camps. Elle<br />
meurt à Bergen-Belsen, en avril 1945, deux semaines avant l’arrivée des troupes anglaises.<br />
A la Libération, la famille Berr recherche l’original. Mais Jean Morawiecki n’est plus en France.<br />
Après avoir rejoint les Forces françaises libres en Afrique du Nord et participé au<br />
débarquement de Provence, il a suivi une carrière de diplomate. Elle le retrouve en Equateur<br />
où il est ambassadeur de France. Il est toujours en possession du Journal d’Hélène qu’il<br />
redonne à la famille. Le douloureux trésor familial reste néanmoins clandestin jusqu’au début<br />
du XXIe siècle.<br />
Karen Taieb, responsable des archives au Mémorial, se souvient de la visite de la nièce<br />
d’Hélène Berr, Mariette Job, en 2002, et des mots prononcés par celle-ci: « J’ai un document à<br />
vous montrer. C’est le Journal de ma tante que j’ai fait dactylographier. J’aimerais le rendre<br />
accessible aux chercheurs. » Le document accompagné de l’original est d’abord déposé puis<br />
donné au Mémorial, qui peut le communiquer sur demande. Mais pas question alors de<br />
publication. Karen Taieb remarque que le Journal apporte aussi un témoignage sur l’Ugif,<br />
l’Union générale des Israélites de France, créée en 1941 par le gouvernement de Vichy. Elle en<br />
parle à l’historien Michel Laffitte qui travaille sur ce sujet pour sa thèse. En 2003, il présente<br />
son livre en citant le Journal d’Hélène Berr. Mariette Job fait partie de l’assistance. Elle<br />
constate que le public est fasciné par la tragédie de cette jeune femme. L’intérêt augmente<br />
encore lorsque le Journal est présenté en 2005 dans l’exposition permanente du Mémorial.<br />
« Des vingt destins présentés, souligne Karen Taieb, c’est celui qui nous a valu le plus de<br />
réactions. De plus, le Journal est un document très demandé en salle de lecture depuis la<br />
conférence de Michel Laffitte. »<br />
Ce cumul d’intérêt pour le texte a fini par faire fléchir les dernières réticences de la famille. Et<br />
le livre fantôme révèle aujourd’hui toute sa force.<br />
Laurent Lemire<br />
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UNA VITA RUBATA DI MARIETTE JOB<br />
Hélène Berr è nata il 27 marzo 1921 a Parigi.<br />
I suoi genitori, Antoinette, nata Rodriguez-Ely, e Raymond Berr, sono entrambi di origine ebrea, di<br />
antica stirpe francese. La coppia ha cinque figli: Jaqueline, nata nel 1915 e morta di scarlattina a sei<br />
anni, Yvonne nata nel 1917, Denise nel 1919, Hélène,nel 1921 e jacques nel 1922.<br />
Dopo gli studi secondari al corso Boutet de Monnel, Hélène superava due esami di stato con menzione<br />
ottimo il primo nel 1937 (opzione latino9, il secondo nel giugno 1938 (opzione filosofia)<br />
Negli anni 1940/1941 ottiene alle stesse condizioni il diploma di Inglese alla Sorbona, poi nel giugno del<br />
1942 il suo diploma di studi superiori di Lingua e Letteratura inglese, con una monografia degna di nota<br />
―sull’interpretazione della storia romana‖ in Shakespeare che ottiene il voto di 18/20 e la menzione<br />
ottimo.<br />
Nell’ottobre 1942, non potendo preparare l’esame di abilitazione all’insegnamento da cui la legislazione<br />
antiebraica di Vichy la esclude, presenta un progetto di tesi di dottorato di lettere, dedicato<br />
all’influenza dell’ispirazione ellenica su Keats.<br />
Sin dal 1941 agisce all’interno della Mutua assistenza temporanea, organizzazione clandestina creata da<br />
Denise e Fred Milhaud ( Organizzazione che aiuta il salvataggio di 500 bambini sugli 11.000 deportati,<br />
di cui 200 non avevano sei anni).Con sua sorella Denise e sua cugina, Hélène partecipa alla sistemazione<br />
dei bambini presso nutrici soprattutto in Saone et Loire . Antoinette, sua madre, ha l’incarico di<br />
reperire fondi presso privati ed aziende. Hélène si afferma come sostegno dei bambini ebrei. Rifiuta di<br />
abbandonarli, pronta a dare la sua vita per testimoniare fedelmente.<br />
Il 7 aprile 1942, comincia a tenere il suo diario, al quale consegna gli avvenimenti quotidiani della sua<br />
vita. Lo interrompe dal 28 novembre 1942 al 25 agosto del 1943.<br />
Sua sorella Yvonne, sposatasi nel 1934 con Daniel Schwartz e madre di un bambino, Maxime, va in Zona<br />
Libera, così come suo fratello Jacques.<br />
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Il 12 agosto 1943, sua sorella Denise sposa François Job. Hélène si ritrova dunque da sola con i genitori<br />
nell’appartamento di famiglia, al 5 di viale Elisée Reclus nel 7° arrondissement.<br />
Ella affida regolarmente le pagine del suo diario ad Anurée Bardieu, al servizio della famiglia da mezzo<br />
secolo, con l’incarico di darlo al suo fidanzato Anurée Motawiecki nel caso in cui fosse stata arrestata.<br />
Hélène ha incontrato Jean nel grande anfiteatro della Sorbona. Il 26 novembre 1942 egli lascia Parigi<br />
per raggiungere attraverso la Spagna l’Africa del Nord e unirsi alle Forze Francesi Libere.( Partecipa<br />
allo sbarco di Provenza nell’agosto del 1944 e si trova in Germania nel 1945 in seno alle forze di<br />
occupazione alleate).<br />
Dal 1942 la persecuzione si abbatte sulla famiglia Berr. Il 23 giugno, Raymond Berr è arrestato alla<br />
Kulhmann, di cui è vice presidente direttore generale.<br />
E’ internato nel campo di Drancy. Grazie al pagamento di una cauzione da parte della Kuhlmann , le<br />
autorità tedesche lo liberano il 22 settembre 1942,imponendogli però di svolgere le sue mansioni a casa<br />
propria senza avere alcun contatto con il pubblico.<br />
La morsa intanto si restringe e la famiglia deve sempre più spesso lasciare l’abitazione.<br />
Il 14 febbraio 1944 Hélène Berr scrive:‖ …continuo a dormire a casa di Andrée e i miei genitori dagli L..<br />
Tutte le sere al momento di andar via, c’è nell’aria un elemento di discussione….E’ soltanto la fatica, la<br />
tentazione di passare la notte a casa nostra, di dormire nei nostri letti, che fa risalire in superficie un<br />
rifiuto già esaminato e rigettato volontariamente.<br />
Il sette marzo del 1944, i Berr decisero di tornare a dormire a casa loro. E’ qui che sono arrestati<br />
l’otto alle sette e trenta del mattino prima di essere trasferiti verso Drancy. Hélène è deportata con i<br />
suoi genitori il 27 marzo 1944, giorno in cui compie 23 anni.<br />
Raymond è destinato al campo di Auswitz III Monowitz, dove viene assassinato alla fine del mese di<br />
settembre 1944.<br />
Antoinette è portata alla camera a gas nel 1944.<br />
Solo Hèléne sopravvive più di un anno. Nel gennaio 1945, quando i detenuti di Auschwitz vengono<br />
evacuati, ella è trasferita a Bergen- Belsen, dopo una lunga marcia che i rari sopravvissuti<br />
qualificheranno di ―peggio di Auschwitz‖.<br />
Ella soccombe ai maltrattamenti e all’epidemia di tifo ai primi di aprile del 1945, qualche giorno prima<br />
della liberazione del campo da parte degli inglesi.<br />
Quando la notizia della sua morte è sicura suo fratello Jacques ne informa Jean Morawiecki al quale<br />
manda il manoscritto datogli da Anurée Bardieu.<br />
Ecco cosa Jean Morawiecki scrive nel giugno del 1946 in una lettera a Denise Job:<br />
―Gli esseri come Hélène-non sono sicuro che ce ne siano- non sono soltanto forti e belli in se stessi.<br />
Emanano il senso della bellezza e danno forza a quelli che sanno comprenderli . Per me Hélène era il<br />
simbolo della Forza-della forza radiosa che è magnetismo,bellezza, armonia,persuasione,fiducia,lealtà.<br />
Tutto ciò è sprofondato nelle tenebre. Con lei sparisce la donna che amavo, e più ancora quell’anima così<br />
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vicina alla mia (la lettura del diario me lo conferma in modo straziante)Tutto quello che le avevo dato,<br />
fiducia, amore, slancio, lei lo porta con sé- non posso neanche dire nella tomba; è atroce ,vero?<br />
Lei porta via anche il tesoro meraviglioso di forza che io sapevo poter trarre da lei anche in avvenire, al<br />
quale avevo già fatto ricorso ma –sei mesi cosa sono? Si sei mesi soltanto sono bastati per stringere fra<br />
le nostre due esistenze un legame che solo la morte poteva sciogliere, che solo la morte ha sciolto.<br />
Nonostante la separazione,Hélène occupava in me un posto sempre più grande. Tutto si metteva in<br />
riserva per lei. Come ho potuto lasciarla senza saperla al sicuro!‖<br />
Parallelamente,il diario ,che è stato battuto a macchina da un impiegato della Kuhlmann, circola nella<br />
famiglia. Il 9 novembre 1992,decido di ritrovare l’originale.<br />
Penso immediatamente a Jean, a cui il diario è dedicato. Sapendo che è stato consigliere di<br />
ambasciata,mando una lettera rivolta alla sua attenzione al Ministero degli Affari Esteri. Non appena<br />
ricevuta la lettera mi telefona e mi propone di andare a trovarlo a casa sua.<br />
Iniziamo una seri di incontri straordinari, durante i quali mi racconta e si racconta la presenza di<br />
Hélène accanto a noi. Il 18 aprile 1994 mi affida l’originale e mi fa erede del Diario.<br />
Scopro una seri di fogli di quaderni di scuola,sistemati all’interno di una busta di carta,intatti; questo<br />
lungo diario, la cui forma rivela anche la personalità di Hélène ,è scritto interamente a mano,paragrafo<br />
dopo paragrafo, quasi senza cancellature, senza ritocchi.<br />
Il testo è sorprendentemente chiaro, il pensiero si snoda senza il minimo intoppo, di getto,in un<br />
equilibrio perfetto di pensiero ed emozioni.<br />
Nel 2002,d’accordo con la famiglia,faccio dono dell’originale al Memoriale della Shoah.<br />
Ho la fortuna di incontrarvi Karen Taieb,responsabile degli Archivi alla quale consegno i documenti sulla<br />
mia famiglia.<br />
Il suo ascolto appassionato ed il suo notevole lavoro di ricostruzione permettono di far vivere questo<br />
documento. Al Memoriale, una vetrina, è consacrata all’esposizione del diario e alla storia della famiglia<br />
Berr,nell’ambito dell’esposizione permanente della vita degli Ebrei in Francia,sotto l’Occupazione; un<br />
giorno di visita, vi ho trovato uno sciame di ragazze piegate sulla vetrina per decifrare la scrittura<br />
manoscritta, mentre altre aspettavano pazientemente il loro turno,sedute su un banco.<br />
Al di là di quel periodo infernale, di quell’ insostenibile crudeltà dei fatti, resta questa presenza forte e<br />
luminosa di Hélène per sempre.<br />
Che questo diario,atto di sopravvivenza, si trasmetta nel tempo e nutra la memoriali quelli le cui parole<br />
sono state annientate.<br />
Ottobre 2007<br />
Mariette Job<br />
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QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
François QUINTON<br />
Hélène Berr, jeune étudiante d’anglais, issue de la grande bourgeoisie juive de Paris,<br />
mélomane, a 21 ans lorsqu’elle prend la plume, en avril 1942, pour tenir son journal. Publié<br />
pour la première fois par les éditions Tallandier, ce formidable témoignage constitue à la fois<br />
une source de première main pour les historiens et une œuvre littéraire remarquable<br />
Le journal s’ouvre, le 7 avril 1942, sur le récit de sa visite à Paul Valéry. Elle vient chercher un<br />
livre qu’elle lui a audacieusement demandé de dédicacer. Sur la page de garde, l’écrivain a<br />
écrit : "Au réveil, si douce la lumière, et si beau ce bleu vivant." Cette phrase, Hélène Berr<br />
aurait pu en être l’auteur, tant elle semble communier avec Paris dont elle parcourt les rues<br />
avec un émerveillement sincère. N’est-elle pas, "à partir de la rue Soufflot, et jusqu’à Saint-<br />
Germain, (…) en territoire enchanté" ? Et la voici qui décrit, insouciante, "la fascination<br />
qu’exerçaient [sur elle] l’étincellement de l’eau sous le soleil, le clapotis léger et les rides<br />
pleines de joie, la courbe gracieuse des petits voiliers sous le vent, et par-dessus tout, le grand<br />
ciel bleu frissonnant." Nous sommes le 15 avril. À un ami qui pense que les Allemands<br />
gagneront la guerre et que rien ne changera, elle réplique : "Mais ils ne laissent pas tout le<br />
monde jouir de la lumière et de l’eau !" C’est la première évocation, assez discrète, de la<br />
guerre par la jeune Hélène.<br />
Quelques jours plus tard, elle rencontre, à la Sorbonne, un "garçon aux yeux gris" qui l’invite à<br />
venir écouter de la musique.<br />
C’est Jean Morawiecki, avec qui elle nouera peu à peu une relation complice et amoureuse. Le<br />
temps passant, celui-ci chasse de l'esprit de la jeune fille, et de son journal, Gérard, qui, au fil<br />
de ses lettres, la presse de répondre à ses avances.<br />
Jean quittera la France pour rejoindre les Forces françaises libres en Afrique du Nord, et ce<br />
sera dès lors à lui qu’elle dédira son journal.<br />
En juin 1942, la terrible réalité antisémite la rattrape. Le 8, elle se décide à porter l’étoile<br />
jaune. Quelques jours avant, pourtant, elle refusait de la porter, considérant cela "comme une<br />
infamie et une preuve d’obéissance aux lois allemandes" . Mais elle change finalement d’avis :<br />
"je trouve que c’est une lâcheté de ne pas le faire, vis-à-vis de ceux qui le feront." La voici<br />
donc dans la rue, marquée. Épreuve des gens qui détournent les yeux, des enfants qui la<br />
désignent du doigt à leurs parents, du contrôleur de métro qui remarque son stigmate et lui<br />
indique la dernière voiture, de ses camarades de la Sorbonne dont elle sent "leur peine et leur<br />
stupeur à tous"…<br />
Mais aussi, parfois, des sourires. Et puis cette remarque, le 16 : "Il y a des moments où<br />
j’entrevois des possibilités tragiques. Mais le reste du temps, je suis inconsciente."<br />
L’arrestation de son père, le 23 juin, marque une rupture : désormais, elle écrit "car elle<br />
veu[t] [se] souvenir de tout". Raymond Berr, ingénieur des Mines, vice-président directeur<br />
général de Kuhlmann, décoré de la croix de guerre et de la légion d’honneur, est arrêté par la<br />
police et interné à Drancy (il sera libéré en septembre, contre caution). Pourquoi ? Parce que<br />
son étoile était mal cousue ; sa femme l’avait en effet installée à l’aide d’agrafes et de<br />
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pressions afin de pouvoir la mettre sur tous les costumes… Hélène Berr a alors ces phrases :<br />
"Nous vivons heure par heure, non plus semaine par semaine", puis, en juillet : "Quelque<br />
chose se prépare, quelque chose qui sera une tragédie, la tragédie peut-être."<br />
Alors, elle rappelle qu’elle "note les faits, hâtivement, pour ne pas les oublier, car il ne faut pas<br />
oublier". Nous sommes le lendemain de la rafle du Vélodrome d’Hiver, dont elle rapporte ce<br />
qu’elle en entend, y compris ce qu’elle ignore être des rumeurs . Et puis, d’un coup, elle passe<br />
à autre chose : "Nous avons fait de la musique comme d’habitude", avant d’y revenir : "Nous<br />
sommes sur une corde raide qui se tend à chaque heure."<br />
Souvent dans son journal se mêlent ainsi récits de drames et scènes de la vie quotidienne<br />
(déambulations dans le Quartier latin, écoute et pratique de musique classique,…), nous<br />
rappelant combien les victimes appartenaient à la société, en un mot : vivaient.<br />
Juillet 1942.<br />
C’est également à cette période qu’Hélène Berr entre à l’Union générale israélite de France<br />
(UGIF ) en tant qu’assistante sociale bénévole auprès des familles déchirées et se dévoue<br />
auprès d’enfants dont les parents ne reviendront jamais… Une querelle l’oppose d’ailleurs à un<br />
des cadres de l’UGIF : lui prônant le ghetto, parlant de la nation juive, elle soutenant qu’elle<br />
"n’appartient pas à la race juive", puisque "le judaïsme est une religion et pas une race".<br />
Conflit ô combien révélateur de la "ligne de clivage" identifiée par François et Renée Bédarida<br />
entre les Juifs assimilés, privilégiant l’intégration à la nation, et les autres, davantage attachés<br />
à l’idée de communauté.<br />
Réflexions sur la judéité, donc, mais aussi sur le mal et l’incompréhension de la population à<br />
laquelle elle se heurte. C’est donc un devoir pour elle d’écrire, "car il faut que les autres<br />
sachent. (…) Car comment guérira-t-on l’humanité autrement qu’en lui dévoilant d’abord toute<br />
sa pourriture, comment purifiera-t-on le monde autrement qu’en lui faisant comprendre<br />
l’étendue du mal qu’il commet ?"<br />
Le 9 novembre 1943, elle évoque l’arrestation par les gendarmes d’un… bébé de 2 ans :<br />
"Qu’on en soit arrivé à concevoir le devoir comme une chose indépendante de la conscience,<br />
indépendante de la justice, de la bonté, de la charité, c’est là la preuve de l’inanité de notre<br />
prétendue<br />
civilisation."<br />
L’incompréhension des autres la hante. Le 19 octobre 1943, elle se réveille angoissée par ce<br />
problème. Elle dresse le triste et froid constat qu’un interlocuteur ne comprendra que si "vous<br />
lui donnez des preuves (…) dont vous êtes le centre", ce qui la révolte profondément puisque<br />
"ce qui compte, c’est la torture des autres, c’est la question de principe, ce sont les milliers de<br />
cas individuels qui composent cette question". Doit-elle alors se résoudre à partager le monde<br />
en deux parties : d’un côté ceux qui ne peuvent pas comprendre (même s’ils savent), et ceux<br />
qui le peuvent ? Mais cela signifierait "renoncer à une partie de l’humanité, renoncer à croire<br />
que tout homme est perfectible"…<br />
L’étau se resserre. "Maintenant, je suis dans le désert", lâche-t-elle le 27 octobre 1943. Où<br />
peuvent bien aller ces wagons de déportés ? Pour quoi faire ? Les interrogations sur les<br />
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déportations se font plus vives à partir de novembre 1943 : "On a parlé aussi des gaz<br />
asphyxiants par lesquels on aurait passé les convois à la frontière polonaise. Il doit y avoir une<br />
origine vraie à ces bruits." ; "Pourquoi ces déportations ? Cela ne rime à rien. Faire travailler<br />
ceux-là ? Ils mourront en route." ; "(…) maintenant ce sont les familles que l’on déporte : où<br />
pensent-ils en venir ?" ; et puis cette réalité qui s’impose : "Il n’y a sans doute pas à<br />
réfléchir, car les Allemands ne cherchent même pas de raison ou d’utilité. Ils ont un but :<br />
exterminer."<br />
Le 1er février 1944, Raymond Berr prend la décision de quitter leur appartement, situé au<br />
4ème étage d’un immeuble cossu, au pied de la tour Eiffel. Ils sont accueillis par différentes<br />
personnes. Mais le 7 mars, ils rentrent dormir chez eux. Ils sont arrêtés le<br />
lendemain, au petit matin, puis déportés. Ses parents meurent à Auschwitz, elle à<br />
Bergen-Belsen, quelques jours avant la libération du camp.<br />
EXTRAITS<br />
Le premier jour où Hélène a porté l'étoile jaune. Le 29 mai 1942, une ordonnance allemande<br />
impose aux juifs le port de l'étoile jaune. Le lundi 8 juin, Hélène Berr la porte pour la première<br />
fois, fixée à sa boutonnière par un bouquet tricolore. Le soir elle note dans son journal :<br />
Lundi soir (8 juin 1942)<br />
Mon Dieu, je ne croyais pas que ce serait si dur. J'ai eu beaucoup de courage toute la journée.<br />
J'ai porté la tête haute, et j'ai si bien regardé les gens en face qu'ils détournaient les yeux.<br />
Mais c'est dur. D'ailleurs, la majorité des gens ne regarde pas. Le plus pénible, c'est de<br />
rencontrer d'autres gens qui l'ont. Ce matin, je suis partie avec Maman. Deux gosses dans la<br />
rue nous ont montrées du doigt en disant : « Hein ? T'as vu ? Juif. » Mais le reste s'est passé<br />
normalement. Place de la Madeleine, nous avons rencontré M. Simon, qui s'est arrêté et est<br />
descendu de bicyclette. J'ai repris toute seule le métro jusqu'à l'Etoile. A l'Etoile, je suis allée à<br />
l'Artisanat chercher ma blouse, puis j'ai repris le 92. Un jeune homme et une jeune fille<br />
attendaient, j'ai vu la jeune fille me montrer à son compagnon. Puis ils ont parlé.<br />
Instinctivement, j'ai relevé la tête-en plein soleil-, j'ai entendu : "C'est écoeurant." Dans<br />
l'autobus, il y avait une femme, une maid [domestique] probablement, qui m'avait déjà souri<br />
avant de monter et qui s'est retournée plusieurs fois pour sourire ; un monsieur chic me fixait<br />
: je ne pouvais pas deviner le sens de ce regard, mais je l'ai regardé fixement.<br />
Je suis repartie pour la Sorbonne ; dans le métro, encore une femme du peuple m'a souri. Cela<br />
a fait jaillir les larmes à mes yeux, je ne sais pourquoi. Au Quartier latin, il n'y avait pas grand<br />
monde. Je n'ai rien eu à faire à la bibliothèque. Jusqu'à quatre heures, j'ai traîné, j'ai rêvé,<br />
dans la fraîcheur de la salle, où les stores baissés laissaient pénétrer une lumière ocrée. A<br />
quatre heures, J. M. [Jean Morawiecki] est entré. C'était un soulagement de lui parler. Il s'est<br />
assis devant le pupitre et est resté là jusqu'au bout, à bavarder, et même sans rien dire. Il est<br />
parti une demi-heure chercher des billets pour le concert de mercredi ; Nicole est arrivée<br />
entre-temps.<br />
Quand tout le monde a eu quitté la bibliothèque, j'ai sorti ma veste et je lui ai montré l'étoile.<br />
Mais je ne pouvais pas le regarder en face, je l'ai ôtée et j'ai mis le bouquet tricolore qui la<br />
fixait à ma boutonnière. Lorsque j'ai levé les yeux, j'ai vu qu'il avait été frappé en plein coeur.<br />
Je suis sûre qu'il ne se doutait de rien. Je craignais que toute notre amitié ne fût soudain<br />
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brisée, amoindrie par cela. Mais après, nous avons marché jusqu'à Sèvres-Babylone, il a été<br />
très gentil. Je me demande ce qu'il pensait. [...]<br />
Mardi 9 juin<br />
Aujourd'hui, cela a été encore pire qu'hier.<br />
Je suis éreintée comme si j'avais fait une promenade de cinq kilomètres. J'ai la figure tendue<br />
par l'effort que j'ai fait tout le temps pour retenir des larmes qui jaillissaient je ne sais<br />
pourquoi.<br />
Ce matin, j'étais restée à la maison, à travailler du violon. Dans Mozart, j'avais tout oublié.<br />
Mais cet après-midi tout a recommencé, je devais aller chercher Vivi Lafon à la sortie de<br />
l'agreg [l'agrégation d'anglais] à deux heures. Je ne voulais pas porter l'étoile, mais j'ai fini par<br />
le faire, trouvant lâche ma résistance. Il y a eu d'abord deux petites filles avenue de La<br />
Bourdonnais qui m'ont montrée du doigt. Puis, au métro à l'Ecole-Militaire (quand je suis<br />
descendue, une dame m'a dit : « Bonjour, mademoiselle »), le contrôleur m'a dit : « Dernière<br />
voiture. » Alors, c'était vrai le bruit qui avait couru hier. Cela a été comme la brusque<br />
réalisation d'un mauvais rêve. Le métro arrivait, je suis montée dans la première voiture. Au<br />
changement, j'ai pris la dernière. Il n'y avait pas d'insignes. Mais rétrospectivement, des<br />
larmes de douleur et de révolte ont jailli à mes yeux, j'étais obligée de fixer quelque chose<br />
pour qu'elles rentrent.<br />
Je suis arrivée dans la grande cour de la Sorbonne à deux heures tapantes, j'ai cru apercevoir<br />
Molinié au milieu, mais, n'étant pas sûre, je me suis dirigée vers le hall au bas de la<br />
bibliothèque. C'était lui, car il est venu me rejoindre. Il m'a parlé très gentiment, mais son<br />
regard se détournait de mon étoile. Quand il me regardait, c'était au-dessus de ce niveau, et<br />
nos yeux semblaient dire : « N'y faites pas attention. » Il venait de passer sa seconde épreuve<br />
de philo.<br />
Puis il m'a quittée et je suis allée au bas de l'escalier. Les étudiants flânaient, attendaient,<br />
quelques-uns me regardaient. Bientôt, Vivi Lafon est descendue, une de ses amies est arrivée<br />
et nous sommes sorties au soleil. Nous parlions de l'examen, mais je sentais que toutes les<br />
pensées roulaient sur cet insigne. Lorsqu'elle a pu me parler seule, elle m'a demandé si je ne<br />
craignais pas qu'on m'arrache mon bouquet tricolore, et ensuite elle m'a dit : « Je ne peux pas<br />
voir les gens avec ça. » Je sais bien ; cela blesse les autres. Mais s'ils savaient, eux, quelle<br />
crucifixion c'est pour moi. J'ai souffert, là, dans cette cour ensoleillée de la Sorbonne, au milieu<br />
de tous les camarades. Il me semblait brusquement que je n'étais plus moi-même, que tout<br />
était changé, que j'étais devenue étrangère, comme si j'étais en plein dans un cauchemar. Je<br />
voyais autour de moi des figures connues, mais je sentais leur peine et leur stupeur à tous.<br />
C'était comme si j'avais eu une marque au fer rouge sur le front. [...]<br />
lunedì sera<br />
Mio Dio, non pensavo sarebbe stata cosi dura. Ho avuto tanto coraggio per tutta la giornata.<br />
Ho tenuto la testa alta, e ho guardato in faccia le persone da costringerle a voltare lo sguardo<br />
altrove. Ma è dura. Del resto, la maggior parte della gente non guarda. La cosa più penosa è<br />
incontrare altre persone che la portano. Stamattina, sono uscita con la Mamma. Due bambini<br />
nella strada ci hanno additato dicendo: “Heh? Hai visto? Ebrei”. Ma per il resto tutto bene.A<br />
Place de la Madeleine abbiamo incontrato M. Simon, che si è fermato ed è sceso dalla<br />
bicicletta. Ho ripreso la metropolitana da sola fino a l’ Etoile. A l’ Etoile sono andata all’<br />
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QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
Artisanat per cercare la mia blusa, poi ho ripreso il 92. Un ragazzo e una ragazza aspettavano,<br />
ho visto la ragazza indicarmi al suo compagno. Poi si sono messi a parlare.<br />
Istintivamente ho alzato la testa – in pieno sole-, e ho sentito: “E’ nauseante”. Nell’ autobus,<br />
c’era una donna, una domestica probabilmente, che mi aveva già sorriso prima di salire e che<br />
si è girata più volte verso di me per sorridermi; un signore elegante mi fissava: non capivo il<br />
senso di quello sguardo, ma l’ho guardato con firezza.<br />
Sono ripartita per la Sorbonne; nella metropolitana ancora una donna del popolo mi ha sorriso.<br />
Ciò mi ha fatto spuntare le lacrime agli occhi, non so perché. Al Quartiere Latino non c’era<br />
molta gente. Non ho avuto niente da fare alla biblioteca. Fino alle quattro, ho gironzolato, ho<br />
sognato, nella frescura della sala, dove le tende abbassate lasciavano passare una luce ocra.<br />
Alle quattro, è arrivato J.M.(Jean Morawiecki). E’ stato un sollievo parlare con lui. Si è seduto<br />
davanti alla scrivania ed è rimasto là fino alla fine, a chiacchierare, e anche senza dire niente.<br />
Se ne è andato per mezzora per cercare dei biglietti per il concerto di mercoledì; nel<br />
frattempo è arrivata Nicole.<br />
Quando tutti quanti hanno lasciato la biblioteca, ho preso la giacca e gli ho mostrato la stella.<br />
Ma non potevo guardarlo in faccia, l’ho tolta e ho messo il bouquet tricolore che la fissava<br />
all’occhiello. Quando ho alzato gli occhi, ho visto che era rimasto molto colpito. Sono sicura che<br />
non sospettava niente. Io temevo che tutta la nostra amicizia si fosse improvvisamente<br />
spezzata, sminuita da questo. Ma dopo, abbiamo camminato fino a Sèvres-Babylone, lui è<br />
stato molto gentile. Mi domando cosa stesse pensando.[…]<br />
Martedì 9 Giugno<br />
Oggi, è andata molto peggio di ieri.<br />
Sono sfinita come se avessi fatto una passeggiata di cinque chilometri. Ho la faccia tesa per lo<br />
sforzo che ho fatto tutto il tempo per trattenere le lacrime che spuntavano non so perché.<br />
Stamattina, sono rimasta casa, a studiare il violino. Con Mozart, ho dimenticato tutto.<br />
Ma questo pomeriggio tutto è ricominciato .Dovevo andare a prendere alle due Vivi Lafon all’<br />
uscita dell’ Agreg [l’ aggregazione d’ inglese]. Non volevo portare la stella, ma ho finito per<br />
farlo, trovando vile la mia resistenza. Ci sono stati all’ inizio due ragazzine sul corso della<br />
Bourdonnais che mi hanno indicato con il dito. Poi, nella metropolitana a Ecole-Militaire(quando<br />
sono scesa una signora mi ha detto: “Buongiorno signorina”) il controllore mi ha detto:”Ultima<br />
carrozza”. Allora era vera la voce che era corsa ieri. Questo è stato come il brusco realizzarsi di<br />
un brutto sogno. La metropolitana arrivava, sono salita sulla prima vettura, allo scambio ho<br />
preso l’ultima. Non c’ erano insegne. Ma retrospettivamente, delle lacrime di dolore e di<br />
ribellione sono spuntate agli occhi,ero obbligata a fissare qualcosa per ricacciarle indietro.<br />
Sono arrivata nel grande cortile della Sorbonne alle due precise, e nel centro credo di aver<br />
visto Moliniè, ma, non essendone molto sicura, mi sono diretta verso l’ atrio nella parte<br />
inferiore della biblioteca. Era lui, perché mi ha raggiunto. Mi ha parlato molto gentilmente, ma<br />
il suo sguardo evitava la mia stella. Quando mi guardava, era al di sopra di questo livello e i<br />
nostri occhi sembravano dire:”Non fateci caso”. Lui aveva appena superato la su seconda<br />
prova di filosofia…<br />
Poi mi ha lasciata e sono andata ai piedi della scala. Gli studenti passeggiavano, aspettavano,<br />
qualcuno mi guardava. Dopo poco , è scesa Vivi Lafon, è arrivata anche una delle sue amiche e<br />
siamo uscite fuori al sole. Parlavamo dell’ esame, ma sapevo che tutti i pensieri ruotavano<br />
intorno a quell’ emblema. Quando ha potuto parlarmi da sola, mi ha chiesto se non avevo<br />
timore che mi strappassero il mio bouquet tricolore, e poi mi ha detto: “Non posso vedere la<br />
gente con questa”. Lo sapevo bene; questa offende gli altri. Ma se sapessero,loro, qual<br />
crocifissione è per me. Ho sofferto, là, in quel cortile soleggiato della Sorbonne in mezzo a tutti<br />
i miei colleghi. Improvvisamente mi sembrava di non essere più me stessa, che tutto era<br />
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cambiato, che ero diventata diversa, come fosse un incubo. Io vedevo attorno a me figure<br />
conosciute, ma sentivo il loro dispiacere e il loro stupore per tutto ciò. Era come se avessi un<br />
marchio col ferro rovente sulla fronte….<br />
Visita al padre di Hélène, in partenza per Drancy<br />
Vice presidente dell’ azienda Kuhlmann, Raymond Berr,il padre di Hélène, è stato<br />
arrestato il 23 Giugno 1942 con l’accusa che la sua stella gialla fosse solo attaccata e<br />
non cucita. La sua famiglia ottiene il permesso di vederlo nella questura della polizia<br />
prima della sua partenza per Drancy.<br />
Dal momento in cui Papà è entrato, mi è sembrato che bruscamente il pomeriggio si<br />
riagganciasse automaticamente a quel passato così recente quando eravamo tutti insieme, e<br />
che tutto il resto non era che un incubo. Era come una sorta di calma passeggera, uno<br />
squarcio di sereno prima della tempesta. Quando ci rifletto ora mi accorgo che questa cosa è<br />
stata una benedizione. Abbiamo rivisto Papà dopo la prima fase della tragedia, l’arresto. Celo<br />
ha raccontato. Abbiamo visto il suo sorriso.<br />
Lo abbiamo visto andar via con il sorriso .Noi sappiamo tutto e ho l’ impressione che così siamo<br />
ancora più uniti, che è partito per Drancy legato ancora più strettamente a noi.<br />
È entrato con il suo sorriso radioso, prendendo la situazione in modo comico:era senza<br />
cravatta, e all’ inizio ciò mi ha turbato, lo avevano già spogliato in due ore. Papà senza<br />
cravatta; aveva l’aspetto di un detenuto,già. Ma ciò è stato fugace. Uno degli impiegati, con<br />
delle scuse, gli ha detto che gli avrebbe restituito la sua cravatta, le sue bretelle e le sue<br />
stringhe. Tutti ridevano. L’ agente per rassicurarci ci ha spiegato che era un ordine perchè ieri<br />
un detenuto aveva tentato di impiccarsi…… C’ era qualcosa di comico in quella scena, dove il<br />
detenuto era Papa, dove le autorità erano piene di rispetto e simpatia. Ci di domandava cosa ci<br />
facevamo tutti là.<br />
Ma è perchè non c’erano tedeschi. Il senso, il senso pieno di tutto ciò non ci appariva perché<br />
eravamo tra francesi.<br />
Non annoto i dettagli dati da Papà sul suo arresto, è tutto quello che so e io non li saprò prima<br />
di rivederlo. In effetti, è andato in via Greffulhe, e dopo in corso Foch, dove un ufficiale (io ho<br />
capito un soldato) tedesco si è gettato su di lui coprendolo di insulti, e gli ha strappato la<br />
stella, dicendo: . È tutto quello che ho capito. Papà parlando si<br />
interrompeva spesso, a causa di tutte le domande gli facevamo.<br />
Ad un certo punto, ho notato un po’ più di movimento. La porta sul corridoio si apriva e si<br />
chiudeva senza sosta. Infine un agente ha detto a voce alta: Cercano di comunicare con il<br />
detenuto attraverso le crepe del muro. Allora un impiegato ha detto”Lasciatele entrare sono la<br />
madre e la fidanzata”. Sono entrate tre donne, la madre, grossa bionda volgare, la fidanzata e<br />
un’altra che doveva essere la sorella, hanno fatto entrare il detenuto, un giovane molto bruno,<br />
che aveva una bellezza un po’ selvaggia, era un ebreo italiano accusato di mercato nero,<br />
credo. Si sono seduti tutti sulla panca. Da quel momento in poi c’è stato del tragico<br />
nell’atmosfera Eravamo, tutti e quattro insieme,ma talmente lontani da quella povera gente,<br />
che non riuscivo più a capire che anche papa fosse arrestato.<br />
Visite au père d'Hélène, en partance pour Drancy<br />
Vice-président de l'entreprise Kuhlmann, Raymond Berr, père d'Hélène, a été arrêté le 23 juin<br />
1942 sous prétexte que son étoile jaune était agrafée et non cousue. Sa famille obtient de le<br />
voir à la préfecture de police avant son départ pour Drancy :<br />
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A partir du moment où Papa est entré, il m'a semblé brusquement que l'après-midi se<br />
raccrochait automatiquement à ce passé si récent où nous étions tous ensemble, et que tout le<br />
reste n'était qu'un cauchemar. Cela a été en quelque sorte une accalmie, une éclaircie avant<br />
l'orage. Quand j'y réfléchis maintenant, je m'aperçois que cela a été une bénédiction. Nous<br />
avons revu Papa après la première phase de la tragédie, après l'arrestation. Il nous l'a<br />
racontée. Nous avons vu son sourire.<br />
Nous l'avons vu partir avec le sourire. Nous savons tout et j'ai l'impression qu'ainsi nous<br />
sommes encore plus unis, qu'il est parti pour Drancy lié encore plus étroitement à nous.<br />
Il est entré avec son sourire radieux, prenant la situation au comique : il était sans cravate, et<br />
au début cela m'a donné un choc, on l'avait déjà dénudé en deux heures. Papa sans cravate ;<br />
il avait l'air d'un « détenu », déjà. Mais cela a été fugitif. L'un des employés, avec des excuses,<br />
lui a dit qu'il allait lui rendre sa cravate, ses bretelles et ses lacets. Tous riaient. L'agent nous<br />
expliquait pour nous rassurer que c'était un ordre car hier un détenu avait essayé de se<br />
pendre. [...]<br />
Il y avait quelque chose de comique dans cette scène, où le détenu était Papa, où les autorités<br />
étaient pleines de respect et de sympathie. On se demandait ce que nous faisions tous là.<br />
Mais c'est parce qu'il n'y avait pas d'Allemands. Le sens plein, le sens sinistre de tout cela ne<br />
nous apparaissait pas, parce que nous étions entre Français.<br />
J'oublie de noter les détails donnés par Papa sur son arrestation, c'est tout ce que j'ai su et je<br />
n'en saurai pas plus avant de le revoir. Il est en effet allé rue de Greffulhe, et ensuite avenue<br />
Foch, où un officier (moi, j'ai compris un soldat) boche s'est jeté sur lui en l'accablant d'injures<br />
( schwein [sale porc], etc.) et lui a arraché son étoile, en disant : « Drancy, Drancy ». C'est<br />
tout ce que j'ai entendu. Papa parlait d'une façon assez entrecoupée, à cause de toutes les<br />
questions que nous lui posions.<br />
A un moment, j'ai remarqué une plus grande animation. [...] La porte s'est ouverte, et trois<br />
femmes sont entrées, la mère, une grosse blonde vulgaire, la fiancée et une autre qui devait<br />
être la soeur, on a introduit le détenu, un jeune homme très brun, qui avait une beauté un peu<br />
sauvage, c'était un juif italien, inculpé pour hausse illicite [marché noir], je crois. Ils se sont<br />
tous assis sur le banc de bois. A partir de ce moment, il y a eu du tragique dans l'atmosphère.<br />
En même temps, nous étions, tous les quatre ensemble, tellement éloignés de ces pauvres<br />
gens, que je n'arrivais plus à concevoir que Papa fût arrêté aussi. »<br />
Lunedì mattina<br />
11 ottobre 1943<br />
Questa mattina, una scampanellata stridente alle 7. Io pensavo che era la posta pneumatica, e<br />
della signora M. Hélène me l’ ha portata e ha acceso la luce per darmela.<br />
Lei non aveva potuto raggiungere Anna, ma la sua lettera conteneva un’altra cosa, una notizia<br />
che ha sciolto le briglie ad un fiotto di pensieri così pressanti che devo scrivere per calmarmi:il<br />
marito e la figlia della signora Lob sono stati arrestati a Sud. Lei era così tranquilla per loro, e<br />
aveva sofferto così tanto nel separarsi dalla figlia. Adesso,è lei che assiste impotente alle loro<br />
tortura.<br />
Allora, di nuovo sono stato immersa in quelle onde amare che sono diventate così familiari.<br />
Per quasi un’ora, sono rimasta nel mio letto a girare e rigirare le stesse domanti angoscianti.<br />
Ho pensato a Jacques, a Yvonne e Daniel, a Denise e a papà, perché temo anche per papà, un<br />
sudore di angoscia mi copriva poco a poco.<br />
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Perché? E l’inutilità di tutto ciò: a che cosa serve arrestare delle donne e dei bambini? Non è<br />
una mostruosa stupidaggine per un paese in guerra dover fare questo? Ma ora tutti sono<br />
troppo accecati per scorgere il punto stesso cosi semplice sul quale si basa questo problema. È<br />
uno spaventoso ingranaggio;e ora non vediamo che i risultati: da un lato, una cattiveria<br />
riflessa, organizzata, razionale ( io vorrei sapere a quale punto B. è fanatizzato, o se è freddo<br />
e cosciente), dall’altro, delle terribili sofferenze. Nessuno pensa più alla mostruosa<br />
inutilità,nessuno vede più il punto di partenza, il primo bullone dell’ingranaggio infernale.<br />
La rabbia di Mamam si era rivolta contro la signora Agache. E dopo la signora Agache contro l’inerzia dei<br />
cattolici. E aveva perfettamente ragione. I cattolici non hanno più il libero giudizio della loro coscienza.<br />
Fanno quello che i preti dicono loro. E questi i non sono che degli uomini deboli e spesso vili o limitati. Se il<br />
mondo cristiano si fosse alzato in massa contro le persecuzioni, non sarebbe riuscito a fermarle? sono<br />
sicura di si. Ma si sarebbe già dovuto sollevare contro la guerra, e non ha potuto farlo. Il papa è degno di<br />
avere il mandato di Dio sulla terra, lui che resta impotente davanti la violazione più flagrante delle leggi di<br />
Cristo?<br />
I cattolici meritano il nome di cristiani, quando se applicassero la parola di Cristo, non dovrebbe esistere una<br />
cosa che si chiama differenza di religione e di razza stessa?<br />
E quando dicono la differenza tra voi e noi,è che noi crediamo alla venuta di Cristo, mentre voi l’attendete<br />
sempre. Ma, loro, che ne hanno fatto del Messia? Sono cattivi come prima della sua venuta.<br />
Crocifiggono il Cristo tutti i giorni. E cosi se il Cristo tornasse, non risponderebbe con le stesse<br />
parole? Chi sa se la sua sorte non sarebbe la stessa?<br />
Sabato ho riletto il capitolo sui grandi inquisitori nei “Les Freres Karamazov”. No, non si<br />
vorrebbe più l Cristo, perché renderebbe la libertà di coscienza agli uomini, e questo è troppo<br />
difficile pera. “Domani, io ti brucerò” ha risposto il grande inquisitore.<br />
Sabato, io ho letto il vangelo secondo Matteo, voglio dire qui tutta la verità perché la<br />
nasconderei? Io non ho trovato altre cose nelle parole di Cristo che le regole di coscienza alle<br />
quali io provo ad ubbidire d’istinto. Mi è sembrato che il cristo fosse più il mio e meno quello di<br />
certi buoni cattolici. Qualche volta., pensavo che fossi più vicino a Cristo di molti cristiani, ma<br />
là, io ne ho avuto la prova.<br />
E che c’è di stupefacente a tutto questo? Tutti dovrebbero essere qualcosa altro che discepoli<br />
di Cristo? Il mondo intero deve essere cristiano, si,se si vuole a tutti i costi donare dei nomi .<br />
ma non cattolici, non ciò che ne hanno fatto gli uomini.<br />
Non c’è stato che un solo scorrimento continuo dall'origine. Ma, purtroppo, da ogni parte c’è<br />
stata ristrettezza incomprensibile di spirito che ha impedito gli uomini di vedere ciò. Da una<br />
parte quelli che hanno rifiutato Cristo, che era venuto tuttavia per tutti, e quelli, non erano gli<br />
"ebrei" poiché a quel momento tutti erano ebrei, ma le bestie ed i cattivi (oggi, si potrebbe<br />
bene chiamarli tutti "cattolici"). Ed i discendenti di ciò hanno perseverato nella loro via stretta,<br />
e si sono vantati della loro perseveranza: sono diventati ciò che chiamano "L’ ebreo."<br />
Dall'altro, ci sono quelli che si sono impossessati di Cristo, in principio, degli uomini convinti,<br />
puri, e dopo che si sono fatti la loro proprietà personale, sebbene fossero ridivenuti più cattivi<br />
di prima. Tutto era allora, solamente unità, e scorrimento continuo, evoluzione. Sono stata<br />
colpita, leggendo il vangelo, dalla parola "convertire". Gli abbiamo dato un senso preciso che<br />
non aveva. Nel vangelo, si dice: "Il cattivo si è convertito", questo vuole dire è cambiato, è<br />
diventato buono ascoltando la parola di Cristo.Per noi convertirsi oggi è andare ad un altro<br />
culto, ad un'altra chiesa. C'erano dei culti differenti al tempo di Cristo? C'era altro oltre al culto<br />
di Dio?Come gli uomini sono diventati meschini credendo di diventare intelligenti!<br />
Lunedì sera (11 ottobre 1943)<br />
Sono andata a Neuilly questa mattina, e nel pomeriggio, ho riposto dei libri in biblioteca. La signora<br />
Cremieux è venuta a cena. Che immensità di sofferenze per ognuno rappresenta l’applicazione di queste! Lei<br />
è così giovane, sola nel suo appartamento, senza i bambini. Da ormai diciotto mesi.<br />
Martedì<br />
Ho portato cinque piccoli da Lamarck, i più carini e i più gentili. Se la gente che mi aiuta nella<br />
metropolitana sapesse chi sono questi bambini , piccoli i cui ricordi del treno riportano sempre<br />
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al viaggio che li ha portati o e riportati al campo, che indicano un militare nella strada<br />
dicendo:”é quello che mi ha portato a Poitiers”. “Lasciate venire a me i piccoli ha detto Cristo”.<br />
Alle due e un quarto, il funerale di Robert al cimitero Monteparnasse. È la seconda volta in<br />
poco tempo che assisto ad un funerale là. L’abito rosso era sulla bara. Julien Weill leggeva la<br />
prima preghiera……<br />
Mercoledì 25 agosto 1943<br />
Sono dieci mesi che non scrivo questo diario,questa sera lo estraggo dal mio comodino per<br />
farlo portare in un luogo sicuro da mamma. Di nuovo,mi hanno fatto dire di non restare a casa<br />
mia alla fine della settimana.<br />
È passato quasi un anno ,Drancy,le deportazioni,le sofferenze esistono sempre. Molti<br />
avvenimenti si sono succeduti:Denis si è sposata, Jean è partito per la Spagna senza che io<br />
l’abbia potuto rivedere,tutte le mie amiche d’ufficio sono state arrestate,ed è stato per un caso<br />
straordinario che non fossi li quel giorno, Nicole è fidanzata con Jean Paul,Odile è arrivata,un<br />
anno è già passato! Le ragioni per sperare sono immense. Ma io sono diventata molto grave,e<br />
non posso dimenticare le sofferenze. Che cosa sarà successo quando riprenderò questo diario.<br />
10 ottobre<br />
Ricomincio il diario questa sera dopo un anno d’interruzione. Perché?<br />
Oggi rientrando da casa di Georges e Robert sono stata bruscamente in preda ad<br />
un’impressione:che fosse necessario scrivere la realtà. Niente più di questo ritorno dalla via<br />
Margueritte era un mondo di fatti e di pensieri,di immagini e di riflessioni. Di che fare un libro.<br />
E subito ho ben compreso che un libro era banale,voglio dire questo:che cosa c’è in un libro<br />
oltre alla verità? Ciò che manca agli uomini per poter scrivere è lo spirito d’osservazione e la<br />
larghezza di vedute. Senza ciò tutti potrebbero scrivere dei libri;ritrovo,piuttosto ricerco<br />
stasera questa citazione di Keats,all’inizio di Hyperion:<br />
perchè qualsiasi uomo la cui anima non è massa argillosa<br />
ha delle visioni che evocherebbe,se avesse l’amore<br />
e la piena conoscenza della sua lingua materna<br />
E tuttavia ci sono mille ragioni che mi impediscono di scrivere e che mi trattengono ancora a<br />
quest’ora,e che mi impediranno ancora domani e gli altri giorni.<br />
Dapprima una specie di pigrizia che sarà dura da vincere. Scrivere e scrivere come voglio,cioè<br />
con un sincerità completa,e non pensando che altri leggeranno,al fine di non falsare la propria<br />
attitudine,scrivere tutta la realtà e le cose tragiche che viviamo dando loro tutta la loro nuda<br />
gravità senza deformarla con le parole,è un compito molto difficile e che esige uno sforzo<br />
costante. C’è inoltre una ripugnanza molto grande nel concepirsi come “qualcuno che<br />
scrive”,perché per me,forse a torto,scrivere implica uno sdoppiamento della personalità,senza<br />
dubbio una perdita di spontaneità,una abdicazione(ma queste cose sono forse dei pregiudizi).<br />
C’è ,poi,anche l’orgoglio. E di questo non ne voglio. L’idea che si possa scrivere per gli altri per<br />
riceverne ’elogi,mi fa orrore.<br />
Forse c’è anche il sentimento che gli”altri” non vi comprendano a fondo,che vi disprezzano,che<br />
vi mutilano,e che ci si lascia svilire come una merce.<br />
Inutilità?<br />
E a momenti anche,il senso dell’inutilità di tutto ciò mi paralizza. Qualche volta,dubito,e mi<br />
dico che questo senso di inutilità non è che una forma di inerzia e di pigrizia,perché di fronte a<br />
tutto questi ragionamenti se alza una grande ragione che se mi convinco della sua<br />
validità,diverrà decisiva:ho un dovere da compiere scrivendo,perché è necessario che gli altri<br />
sappiano.<br />
Ad ogni ora della giornata si ripete la dolorosa esperienza che consiste nell’accorgersi che gli<br />
altri non sanno,che essi non immaginano neanche le sofferenze degli altri uomini,e il male che<br />
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alcuni infliggono ad altri. E provo sempre a fare questo faticoso sforzo di raccontare. Perché è<br />
un dovere e forse il solo che possa compiere. Ci sono degli uomini che sanno e che si chiudono<br />
gli occhi,quelli non arriverò mai a convincerli perché sono duri ed egoisti ed io non ho nessuna<br />
autorità. Ma gli altri,coloro che non sanno e che forse non hanno abbastanza cuore per<br />
comprendere,quelli,devo agire su di loro. Perché,come si guarirà l’umanità se non svelando<br />
prima di tutto le putrefazioni, come si purificherà il mondo se non facendogli comprendere la<br />
vastità del male che commette? È tutta una questione di comprensione. È questa verità che mi<br />
angoscia e mi tormenta. Non è con la guerra che si vendicheranno le sofferenze:il sangue<br />
chiama il sangue,gli uomini si consolidano nella loro cattiveria e nella loro cecità. Se si<br />
arrivasse a far comprendere agli uomini cattivi il male che fanno,se si arrivasse a donar loro la<br />
visione imparziale e completa che dovrà essere la gloria dell’essere umano! Ho litigato troppo<br />
spesso con chi mi sta attorno su questo argomento,con i miei genitori,che hanno senza dubbio<br />
più esperienza di me, solo Francesca condivide le mie idee. Il solo pensiero di Francesca mi<br />
riempie il cuore di dolore. Questa sera ritornando pensavo a lei,al modo in cui ci capivamo.<br />
Con lei mi sentivo viva,un mondo di possibilità meravigliose mi si apriva,dal momento in cui mi<br />
è stata strappata via. Fino a oggi è sempre stato così: quelli che mi sembravano essere dei<br />
mondi,i soli dove avrei potuto crescere,mi sono stati strappati prima di averne potuto godere.<br />
Mi sono rimproverata molte cose;ho riflettuto e ho pensato che forse era perché non sapevo<br />
conoscere coloro che mi erano vicini e che li rimpiangevo una volta lontani .Da quest’ultimo<br />
dolore mi sono avvicinata di più ai miei genitori,parlo loro di più e credo di scoprire molte cose<br />
anche lì,.<br />
Questa sera quando sono rientrata ho sentito nelle scale l’eco di un piano;ho pensato che era<br />
la signora del piano terra che suonava. Ma più salivo più il suono diventava forte. Al secondo<br />
piano mi è venuta un’idea;mamma che suonava forse con la zia Ger. E allora ho sentito un<br />
sorriso sul mio viso. E quando sono arrivata sul nostro pianerottolo e che sono stata sicura che<br />
era Mamma,ho sentito il mio sorriso che diventava beato,mio malgrado. Se mamma mi avesse<br />
vista allora,avrebbe pensato che ero radiosa,come quando ero piccola e con Jacques eravamo<br />
riusciti a fare un gioioso bazar. Ero invasa dalla gioia più completa ,la più inattesa e la più<br />
pura,scoprendo che mamma si era rimessa al piano per me e per risvegliare il silenzio di<br />
questa casa. Ho avuto un momento di tenerezza,perché ho pensato che avesse voluto farmi<br />
una sorpresa e che se suonavo,lei avrebbe saputo che l’avevo sentita. Non amo rovinare le<br />
gioie degli altri. Ma questa pietà non è un buon sentimento. Non voglio avere pietà di mamma.<br />
Del resto,ora so che non era pietà ma tenerezza, un’onda gioiosa e sbaragliante di<br />
riconoscenza pura mi ha fatto suonare senza pensare e accogliere mamma portando via tutto<br />
ciò che non mi piaceva.<br />
Ma tutto ciò non impedisce che Francesca e Jean mi manchino molto.<br />
Mi lascio travolgere e questo non è ciò che volevo dire.<br />
Bisognerebbe,dunque,che io scrivessi per poter più tardi mostrare agli uomini quello che è<br />
stato quest’epoca. So che molti avranno delle lezioni più grandi da dare,e dei fatti più terribili<br />
da svelare. Penso a tutti i deportati,a tutti coloro che giacciono in prigione,a tutti coloro che<br />
avranno tentato la grande esperienza della partenza. M,a ciò non mi deve far commettere una<br />
vigliaccheria,tutti nella loro piccola sfera possono fare qualcosa. E se lo può,lo deve.<br />
Solamente,non ho il tempo di scrivere un libro, no ho il tempo,non ho la calma di spirito<br />
necessaria. E senza dubbio non ho la distanza di tempo necessaria. Tutto quello che posso<br />
fare,è annotare qui i fatti,che aiuteranno più tardi la mia memoria se voglio raccontare,o se<br />
voglio scrivere.<br />
In più, ,mi accorgo di scrivere da più di un’ora e questo è un sollievo e sono decisa a mettere<br />
in queste pagine ciò che sarà nella mia testa e nel mio cuore.<br />
Ora smetto per andare a finire la serata con mamma .<br />
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La vita breve<br />
Documento. Pubblicazione in Gennaio del “ Diario” inedito di Hélène Berr, scritto tra<br />
il 1942 e il 1944 a Parigi. Delle pagine rese eccezionali per la loro chiarezza e la loro<br />
qualità letteraria.<br />
Natalie Levisalles<br />
Le quotien, giovedì 20 dicembre 2007.<br />
Sulla foto, Hélène Berr si trova davanti Jean Morawiecki in una prateria o un giardino. In piedi<br />
in mezzo alle erbe alte, hanno l’aria felice ma nello stesso tempo distratta. Nel suo diario<br />
Hélène scrive: “Sono andata con J.M. a raccogliere della frutta nel frutteto lassù. Quando ci<br />
ripenso, ho l’impressione di un incanto. […] Il cielo blu e il sole che faceva scintillare le gocce<br />
di rugiada e la gioia che mi inondava. Quella mattina ero completamente felice”. E’ il 15 agosto<br />
1942. Due anni e mezzo più tardi Hélène morirà a Bergen-Belsen, qualche giorno prima la<br />
liberazione del campo da parte degli Americani.<br />
Jean Morawiecki è ancora vivo, oggi ha 86 anni. Nel 1945, gli è stato affidato il diario di<br />
Hélène, come lei aveva chiesto. 62 anni più tardi fu pubblicato, come lei aveva desiderato.<br />
Sarà l’avvenimento editoriale dell’inizio dell’anno 2008. Una evidenza dopo la fiera del libro di<br />
Francoforte in ottobre.<br />
ASPETTI .Questo diario personale custodito tra il 1942 e il 1944 da una giovane ragazza della<br />
borghesia ebrea nella Parigi occupata dai Tedeschi è quindi un documento eccezionale. Lo<br />
storico Michel Laffitte, che citando lunghi passaggi nel suo libro “Ebrea nella Francia tedesca”,<br />
racconta come, scoprendola, sia rimasto sbalordito per la ricchezza di testimonianze “allora si<br />
pensava che fosse stato detto tutto sugli Ebrei durante l’Occupazione.”<br />
Il diario è anche eccezionale per la sua qualità letteraria. Hélène ha 21 anni quando scrive le<br />
prime pagine e 23 quando scrive le ultime. Nel frattempo è nata una scrittrice.<br />
In questo diario la giovane pone uno sguardo affascinato sulla bellezza del mondo ( il giardino,<br />
l’estate, il suo amore nascente per Jean),e nello stesso tempo uno sguardo inorridito, ma non<br />
cede davanti al pericolo che si avvicina. Lei parla di “un restringimento della bellezza nel cuore<br />
della bruttezza”.<br />
Hélène Berr è nata nel 1921, a Parigi, in una famiglia “di vecchia stirpe francese”, come dice<br />
Mariette Job, sua nipote, nella sua prefazione molto sobria. Hélène ha due sorelle e un fratello.<br />
Suo padre, Raymond Berr, un chimico affermato, è vice-PDG dell’impresa Kuhlmann.<br />
Quando inizia a scrivere il suo diario, il 7 aprile 1942, Hélène racconta una vita normale, in un<br />
certo modo privilegiata: il suo violino ( è un’eccellente musicista), il suo primo fidanzatino,<br />
Gérard ( si tratta del giurista Gérard Lyon-Caen, che ha potuto leggere il diario qualche anno<br />
prima della sua morte), i suoi amici della Sorbona ( a causa delle leggi di Vichy, non può<br />
passare il concorso per l’insegnamento ma prepara una tesi su Keats), le sue giornate nella<br />
casa di campagna di Aubergenville ( Yvelines), il suo incontro con Jean nell’aprile del 1942.<br />
Sei mesi più tardi, quando lo vede per l’ultima volta- lui parte per unirsi alle Forze francesi<br />
libere - ,sono fidanzati.<br />
E dopo inizia l’altro aspetto della sua vita. Hélène lavora contemporaneamente per l’Entraide<br />
temporaine ( un’organizzazione clandestina che tenta di salvare i piccoli ebrei) e per l’Ugif.<br />
Assistente sociale volontaria, parla dei bambini che porta con sé in campagna o a giocare da<br />
lei, Doudou, Odette, dei bambini talora troppo piccoli che sono stati strappati ai loro genitori<br />
due giorni o due mesi prima, come questi, . O il<br />
piccolo Bernard, di cui la madre e la sorella sono state deportate e che dice
QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
che sembrava così antica nella bocca di un bambino: “ Io sono sicuro che non ritorneranno<br />
vive”; Ha l’aria di un angelo>>.<br />
Quando Hélène parla della stella gialla, delle reazioni dei passanti, del giardino di Notre Dame<br />
dal quale è esclusa, del Faubourg Saint- Denis quasi vuoto dopo le retate, si ha l’impressione<br />
di capire per la prima volta l’orrore e l’assurdità della vita quotidiana degli ebrei nella Parigi<br />
occupata.<br />
Lei racconta contemporaneamente quello che vede della persecuzione degli Ebrei e quello che<br />
sente dire, unisce informazioni sparse, comprende la realtà della minaccia. “ Si è parlato anche<br />
dei gas asfissianti per i quali si sarebbe passato il convoglio alla frontiera polacca. Ci deve<br />
essere una vera origine a queste voci.”<br />
E’ straziante leggere queste pagine in cui lei esprime questa preconoscenza della catastrofe,<br />
questa consapevolezza di essere alla vigilia della fine del mondo, ma anche questa volontà di<br />
lasciare una testimonianza del suo pensiero a Jean. “ Io so perché scrivo questo diario, so che<br />
vorrei che venisse donato a Jean, se non ci sarò, quando ritornerà. Non voglio sparire senza<br />
che lui sappia tutto quello che ho pensato durante la sua assenza, o almeno una parte. Perché<br />
penso senza fermarmi. Anche questa consapevolezza in cui mi trovo è una delle scoperte che<br />
ho fatto”.<br />
Ma ciò che rende questo testo eccezionale, è che, a mano a mano che la trappola si chiude su<br />
di lei, Hélène esprime a sua volta la sensazione di essere coinvolta in una tragedia collettiva e<br />
in una dimenticanza di sé stessa che va aldilà del coraggio. C’è a volte, nella sua tendenza a<br />
identificarsi nella sofferenza degli altri, in quel desiderio di assumerla per toglierla agli altri, un<br />
lato quasi cristiano. A un certo punto, citando il Vangelo secondo san Matteo, dice: “ Le parole<br />
di Cristo sono simili alle regole di coscienza alle quali io cerco di obbedire d’istinto”. Si ha la<br />
sensazione che questa apertura, questa porosità alla sofferenza degli altri, è anche legata allo<br />
stato di ipersensibilità che contiene l’amore nascente. Ed è senza dubbio ciò che passa da<br />
questo stato nella sua scrittura che la avvicina a noi, così vibrante, che ci tocca nel profondo.<br />
L’ultima volta che scrive il diario risale al 15 febbraio 1944. Quando viene a conoscenza di<br />
notizie atroci provenienti dappertutto, le ultime parole che scrive sono una citazione de “Cuore<br />
di tenebra” di Conrad: “ Horror! Horror! Horror!”.<br />
COPIE. Perché questo diario contrariamente a quello di Anna Frank non è stato pubblicato<br />
immediatamente dopo la guerra? E com’è fatto? È il risultato di una catena di cui gli elementi<br />
sono sicuramente Michel Laffitte, ma anche Karen Taieb, l’archivista del Memoriale della<br />
Shoah, e soprattutto Andrée Bardiau, la cuoca della famiglia Berr, Jean Morawiecki, il fidanzato<br />
di Hélène, e Mariette Job, la più giovane dei nipoti di Hélène, che si è trovata “di passaggio”<br />
come lei stessa dice di questo diario.<br />
Quando Hélène viene arrestata, l’8 marzo 1944 di mattina, è sola con i suoi genitori e Andrée<br />
Bardiau. La famiglia Berr viene trasferita a Drancy e dopo deportata ad Auschwitz. Dopo la loro<br />
partenza, Andrée Bardiau recupera il diario di Hélène ( con il suo violino) , e lo consegnerà a<br />
suo fratello Jacques alla fine della guerra. Jacques e le sue sorelle ( Denise e Yvonne) ne fanno<br />
una copia, dattilografata da un impiegato di Kuhlmann. L’originale viene affidata a Jean<br />
Morawiecki al suo rientro a Parigi. Da quel momento, durante tutti questi anni, sono circolate<br />
delle copie, che sono state lette dalla famiglia, da una piccola cerchia di parenti. Serge<br />
Klarsfeld e Simone Veil ne sono venuti a conoscenza. Ma la famiglia ( alcuni suoi membri in<br />
ogni caso) non era pronta a vederlo diventare un testo pubblico: troppo doloroso, troppo<br />
intimo.<br />
Nel 1992, Mariette contatta Jean, sa che lui è stato consigliere d’ambasciata e gli manda una<br />
lettera tramite l’intermediario del ministero degli Affari esteri. Jean risponde immediatamente.<br />
Nel frattempo, si è sposato, nel 1950, e ha avuto una bambina. Nel 1992, sua moglie muore.<br />
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È l’inizio di un’amicizia tra Jean e la nipote della sua fidanzata scomparsa. Nel 1994, Jean dà<br />
ufficialmente il diario a Mariette Job. Nel 2002, si reca al Memoriale della Shoah, incontra<br />
Karen Taieb, alla quale dà una copia originale del diario, dei fogli di carta quadrettati, coperti<br />
da una scrittura fine e regolare, a matita e a inchiostro, sorprendentemente con poche<br />
cancellature.<br />
Karen Taieb racconta che si è innamorata del testo. Non è la sola. L’esposizione permanente<br />
del Memoriale comprende 20 vetrine che raccontano 20 destini. La più ammirata è quella che<br />
contiene il diario e la foto di Hélène. Un giorno in cui Mariette Job passa dal Memoriale, vede<br />
un gruppo di giovani ragazze che cerca di decifrare il manoscritto, mentre altri, seduti,<br />
attendono il loro turno. Una responsabile del Memoriale le conferma che, nel corso dell’anno,<br />
sono migliaia i visitatori che si fermano davanti alla vetrina di Hélène. Ma ciò non è sufficiente<br />
a convincere la famiglia Berr. Ci vorrà ancora un’altra tappa.<br />
CINEMA-COMICO. In occasione della pubblicazione del libro di Michel Laffitte, Karen Taieb<br />
organizza, il 20 febbraio, una serata presentata da Mariette Job e la storica Annette Wieviorka.<br />
L’attrice Béatrice Houplain legge degli estratti del diario di Hélène, molti componenti della<br />
famiglia Berr sono in sala. È vedendo l’interesse e l’emozione del pubblico, spiega Mariette Job,<br />
che lei “ha trovato il coraggio e l’energia di intraprendere il percorso della famiglia”. Con<br />
successo questa volta. A partire da lì, tutto proseguirà velocemente. Vengono presi dei contatti<br />
con due o tre editori, ed è finalmente Tallandier che comprende al meglio l’importanza di<br />
questo testo e lo pubblica con una prefazione di Patrick Modiano.<br />
Perché Modiano? Innanzitutto perché lo scrittore aveva letto il libro di Michel Laffitte, notando<br />
un passaggio in cui lui spiega che i Tedeschi, nel loro grande desiderio di stabilire una società<br />
ebrea separata (“ Gli esclusi dalla nazione francese”), vogliono creare delle biblioteche e degli<br />
ospedali ebrei, e anche un cinema. Loro hanno già scelto la sala che vogliono trasformare,<br />
cinema comico, via Caumartin, e hanno chiesto a un certo Albert Modiano di esserne il<br />
direttore. È il padre di Patrick? C’erano all’epoca due Albert Modiano a Parigi. Non è dunque<br />
niente sicuro ma, in attesa, Patrick Modiano e Michel Laffitte si sono incontrati molte volte, ed<br />
è Laffitte che ha suggerito all’editore di chiedere una prefazione a Modiano. In queste undici<br />
pagine, lui racconta come si è messo nei panni di Hélène in quella parte del Lussemburgo.<br />
Scrive anche: “ Da quei giorni è passato più di mezzo secolo, ma noi siamo, in ogni pagina,<br />
con lei, al presente. Lei che si sentiva a volte così sola nella Parigi Occupata, noi<br />
l’accompagniamo giorno dopo giorno. La sua voce è così vicina, nel silenzio di quella Parigi”.<br />
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LE GRAND BOULEVERSEMENT DE PATRICK MODIANO<br />
Très ému par le récit d'Hélène Berr, l'écrivain en a écrit la préface. Il raconte cette découverte.<br />
«Quand j'ai écrit "Dora Bruder", cette recherche difficile d'une jeune juive morte en<br />
déportation, j'étais obsédé par ces gens qui ont été emportés par l'Histoire sans laisser de<br />
traces, sans avoir pu s'exprimer. Il en va tout autrement d'Hélène Berr, née dans les beaux<br />
quartiers, qui nous a légué ce journal bouleversant, à la fois très littéraire et saisi sur le vif.<br />
Dès que je l'ai lu, j'ai tenu à le préfacer, en tâchant simplement de ne pas être trop historique,<br />
doctrinal ou péremptoire, en suivant plutôt le fil de son récit.<br />
Ce qui m'a frappé en effet, c'est son sens quasi météorologique des atmosphères, cette<br />
dissonance entre les après-midi de soleil où elle marche dans un Paris radieux et les<br />
événements atroces, effrayants, qu'elle vit. Elle se raccroche à tout ce qui donne l'illusion de la<br />
normalité, les études à la Sorbonne, le Luxembourg, les sorties à la campagne, et en même<br />
temps elle a le pressentiment de ce qui va arriver. Chaque fois qu'elle vit un moment tragique,<br />
comme ce premier jour où elle porte l'étoile jaune, ou la visite à son père en état d'arrestation<br />
à la Préfecture de police, il s'opère en elle une sorte de dédoublement. Dans la salle de la<br />
Préfecture, son père plaisante, il y a un agent de police un peu embêté d'avoir dû ôter sa<br />
ceinture et ses lacets à ce monsieur... La scène est encore plus horrible de se dérouler dans<br />
une sorte de bonhomie.<br />
C'est ce jour-là, je crois, qu'elle a compris que son milieu social favorisé ne la protégerait pas.<br />
Non, je dis une bêtise : c'est depuis le jour, bien sûr, où elle a porté l'étoile jaune. Hélène est<br />
obsédée par cette espèce d'absurdité : la persécution tombe sur elle, qui ne s'est jamais sentie<br />
différente, qui refuse de considérer les juifs comme un "groupe humain séparé".<br />
Je suis aussi frappé par ses silences, le fait qu'il n'y ait presque pas d'échanges sur la situation<br />
avec ses parents. Du moins ne les rapporte-t-elle pas dans son journal. Elle était très seule.<br />
Sur ses traces, j'ai refait moi-même certains de ses trajets dans Paris, vers les maisons<br />
d'enfants juifs où elle travaillait, à Neuilly ou au pied de la Contrescarpe, dans ces quartiers<br />
tranquilles, silencieux, qui devaient l'être encore plus sous l'Occupation, afin de comprendre ce<br />
qu'a pu être sa solitude... »<br />
La vie brève<br />
Document. Parution en janvier du «Journal» inédit d’Hélène Berr, écrit entre 1942<br />
et 1944 à Paris. Des pages exceptionnelles par leur clairvoyance et leur qualité<br />
littéraire.<br />
NATALIE LEVISALLES<br />
QUOTIDIEN : jeudi 20 décembre 2007<br />
Hélène Berr Journal, 1942-1944 Préface de Patrick Modiano, Tallandier, 302 pp., 20 euros<br />
(en librairie le 3 janvier 2008).<br />
Sur la photo, Hélène Berr se tient devant Jean Morawiecki dans une prairie ou un jardin.<br />
Debout au milieu d’herbes hautes, ils ont l’air à la fois heureux et distraits. Dans son journal,<br />
Hélène écrit : «Je suis allée avec J.M. cueillir des fruits dans le verger là-haut. Lorsque j’y<br />
repense, j’ai l’impression d’un enchantement. […] Le ciel bleu et le soleil qui faisait étinceler les<br />
gouttes de rosée et la joie qui m’inondait. Ce matin-là, j’étais complètement heureuse.» On est<br />
le 15 août 1942. Deux ans et demi plus tard, Hélène mourra à Bergen-Belsen, quelques jours<br />
avant la libération du camp par les Américains.<br />
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Jean Morawiecki est toujours vivant, il a 86 ans aujourd’hui. En 1945, le journal d’Hélène lui a<br />
été remis, comme elle l’avait demandé. Soixante-deux ans plus tard, il est publié, comme elle<br />
l’avait souhaité. Ce sera l’événement éditorial du début de l’année 2008. Une évidence depuis<br />
la foire du livre de Francfort en octobre.<br />
Regards. Ce journal intime tenu entre 1942 et 1944 par une jeune fille de la bourgeoisie juive<br />
dans Paris occupé par les Allemands est d’abord un document exceptionnel. L’historien Michel<br />
Laffitte, qui en cite de longs passages dans son livre Juif dans la France allemande (1), raconte<br />
comment, en le découvrant, il a été «saisi» par la richesse du témoignage «alors qu’on pensait<br />
que tout avait été dit sur les Juifs pendant l’Occupation». Il est aussi exceptionnel par sa<br />
qualité littéraire. Hélène a 21 ans quand elle en écrit les premières pages, 23 ans les<br />
dernières. Entre-temps, un écrivain est né.<br />
Dans ce journal, la jeune fille pose un regard ébloui sur la beauté du monde (le jardin, l’été,<br />
son amour naissant pour Jean), en même temps qu’un regard horrifié, mais qui ne cède pas,<br />
devant le danger qui se rapproche. Elle parle d’«un resserrement de la beauté au cœur de la<br />
laideur».<br />
Hélène Berr est née en 1921, à Paris, dans une famille «de vieille souche française», comme le<br />
dit Mariette Job, sa nièce, dans sa très sobre préface. Hélène a deux sœurs et un frère. Son<br />
père, Raymond Berr, chimiste réputé, est vice-PDG de l’entreprise Kuhlmann.<br />
Quand son journal débute, le 7 avril 1942, Hélène raconte une vie normale, privilégiée d’une<br />
certaine manière. Son violon (c’est une excellente musicienne), son premier petit ami, Gérard<br />
(il s’agit du juriste Gérard Lyon-Caen, qui a pu lire le journal avant sa mort il y a quelques<br />
années), ses amis de la Sorbonne (à cause des lois de Vichy, elle ne peut passer l’agrégation<br />
mais prépare une thèse sur Keats), ses journées dans la maison de campagne d’Aubergenville<br />
(Yvelines), sa rencontre avec Jean, en avril 1942. Six mois plus tard, lorsqu’elle le voit pour la<br />
dernière fois - il part rejoindre les Forces françaises libres -, ils sont fiancés.<br />
Et puis il y a son autre vie. Hélène travaille à la fois pour l’Entraide temporaire (une<br />
organisation clandestine qui tente de sauver des enfants juifs) et pour l’Ugif (voir page IV).<br />
Assistante sociale bénévole, elle parle des enfants qu’elle emmène à la campagne ou jouer<br />
chez elle, Doudou, Odette, des enfants parfois tout petits qui ont été arrachés à leurs parents<br />
deux jours ou deux mois plus tôt, comme ceux-ci, «ramenés à Drancy pour être probablement<br />
déportés. Ils jouent dans la cour, répugnants, couverts de plaies et de poux. Pauvres petits».<br />
Ou le petit Bernard, dont la mère et la sœur ont été déportées, et qui dit «cette phrase qui<br />
semblait si vieille dans sa bouche de bébé : "Je suis sûr qu’elles ne reviendront pas vivantes" ;<br />
il a l’air d’un ange».<br />
Quand Hélène parle du port de l’étoile jaune, des réactions des passants, du jardin de Notre-<br />
Dame dont elle est chassée, du Faubourg Saint-Denis presque vide après les rafles, on a<br />
l’impression de comprendre pour la première fois l’horreur et l’absurdité de la vie quotidienne<br />
des Juifs dans Paris occupé.<br />
Elle raconte à la fois ce qu’elle voit de la persécution des Juifs et ce qu’elle entend dire, elle<br />
rassemble des informations éparses, comprend la réalité de la menace. «On a parlé aussi des<br />
gaz asphyxiants par lesquels on aurait passé les convois à la frontière polonaise. Il doit y avoir<br />
une origine vraie à ces bruits.»<br />
C’est déchirant de lire ces pages où elle exprime cette prescience de la catastrophe, cette<br />
conscience d’être à la veille de la fin d’un monde, mais aussi cette volonté de laisser un<br />
témoignage de sa pensée vivante à Jean. «Je sais pourquoi j’écris ce journal, je sais que je<br />
veux qu’on le donne à Jean si je ne suis pas là lorsqu’il reviendra. Je ne veux pas disparaître<br />
sans qu’il sache tout ce que j’ai pensé pendant son absence, ou du moins une partie. Car je<br />
"pense" sans arrêt. C’est même une des découvertes que j’ai faites, que cette "conscience"<br />
perpétuelle où je suis.»<br />
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Mais ce qui rend ce texte exceptionnel, c’est que, au fur et à mesure que le piège se referme<br />
sur elle, Hélène exprime à la fois le sentiment d’être prise dans une tragédie collective et un<br />
oubli d’elle-même bien au-delà du courage. Il y a parfois, dans sa façon de s’identifier à la<br />
souffrance des autres, dans ce désir de la prendre sur elle, un côté presque christique. A un<br />
moment, citant l’Evangile selon saint Matthieu, elle dit : les paroles du Christ sont semblables<br />
aux «règles de conscience auxquelles j’essaie d’obéir d’instinct». On a le sentiment que cette<br />
ouverture, cette porosité à la souffrance des autres, est aussi liée à l’état d’hypersensibilité<br />
que contient l’amour naissant. Et c’est sans doute ce qui passe de cet état dans son écriture<br />
qui nous la rend si proche, si vibrante, qui touche au plus profond de nous.<br />
La dernière entrée du journal est datée du 15 février 1944. Alors que des nouvelles atroces lui<br />
parviennent de partout, les derniers mots qu’elle écrit sont une citation d’Au cœur des<br />
ténèbres de Conrad : «Horror ! Horror ! Horror !»<br />
Copies.Pourquoi ce journal, contrairement à celui d’Anne Frank, n’a pas été publié<br />
immédiatement après la guerre ? Et comment cela s’est-il fait ? C’est le résultat d’une chaîne<br />
dont les maillons sont Michel Laffitte, bien sûr, mais aussi Karen Taieb, l’archiviste du Mémorial<br />
de la Shoah, et surtout Andrée Bardiau, la cuisinière de la famille Berr, Jean Morawiecki, le<br />
fiancé d’Hélène, et Mariette Job, la plus jeune des neveux et nièces d’Hélène, qui s’est<br />
retrouvée «passeuse», comme elle le dit elle-même (lire ci-contre), de ce journal.<br />
Quand Hélène est arrêtée, le 8 mars 1944 au matin, elle est seule avec ses parents et Andrée<br />
Bardiau. La famille Berr est transférée à Drancy puis déportée à Auschwitz. Après leur départ,<br />
Andrée Bardiau récupère le journal d’Hélène (avec son violon), elle le remettra à son frère<br />
Jacques à la fin de la guerre. Jacques et ses sœurs (Denise et Yvonne) en font une copie,<br />
dactylographiée par un employé de Kuhlmann. L’original est remis à Jean Morawiecki lorsqu’il<br />
rentre à Paris. Depuis, pendant toutes ces années, des copies ont circulé, elles ont été lues par<br />
la famille, par un petit cercle de proches (2). Serge Klarsfeld et Simone Veil en ont eu<br />
connaissance. Mais la famille (certains de ses membres en tout cas) n’était pas prête à le voir<br />
devenir un texte public : trop douloureux, trop intime.<br />
En 1992, Mariette contacte Jean, elle sait qu’il a été conseiller d’ambassade et lui envoie une<br />
lettre par l’intermédiaire du ministère des Affaires étrangères. Jean répond immédiatement.<br />
Entre-temps, il s’est marié, en 1950, et a eu une fille. En 1992, sa femme vient de mourir.<br />
C’est le début d’une amitié entre Jean et la nièce de sa fiancée disparue. En 1994, Jean donne<br />
officiellement le journal à Mariette Job. En 2002, elle se rend au Mémorial de la Shoah, elle y<br />
rencontre Karen Taieb à qui elle remet une copie puis l’original du journal, des feuilles de<br />
papier quadrillé, couvertes d’une écriture fine et régulière, au crayon et à l’encre, avec<br />
étonnamment peu de ratures.<br />
Karen Taieb raconte qu’elle est «tombée amoureuse du texte». Elle n’est pas la seule.<br />
L’exposition permanente du Mémorial comprend 20 vitrines qui racontent 20 destins. La plus<br />
regardée est celle qui contient le journal et la photo d’Hélène. Un jour où Mariette Job passe au<br />
Mémorial, elle tombe sur un groupe de jeunes filles qui déchiffrent le manuscrit, pendant que<br />
d’autres, assises, attendent leur tour. Une responsable du Mémorial lui confirme que, tout au<br />
long de l’année, ce sont des milliers de visiteurs qui s’arrêtent devant la vitrine d’Hélène. Mais<br />
ça ne suffit pas à décider la famille Berr. Il faudra encore une autre étape.<br />
Ciné-Rire. A l’occasion de la parution du livre de Michel Laffitte, Karen Taieb organise, le<br />
20 février, une soirée présentée par Mariette Job et l’historienne Annette Wieviorka. La<br />
comédienne Béatrice Houplain lit des extraits du journal d’Hélène, plusieurs membres de la<br />
famille Berr sont dans la salle. C’est en voyant l’intérêt et l’émotion du public, explique<br />
Mariette Job, qu’elle a «trouvé le courage et l’énergie de refaire le tour de la famille». Avec<br />
succès cette fois. A partir de là, tout ira très vite. Des contacts sont pris avec deux ou trois<br />
éditeurs, c’est finalement Tallandier qui comprend le mieux l’importance de ce texte et le<br />
publie avec une préface de Patrick Modiano.<br />
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Pourquoi Modiano ? D’abord parce que l’écrivain avait lu le livre de Michel Laffitte, notamment<br />
un passage où il explique que les Allemands, dans leur grand désir d’établir une société juive<br />
séparée («Les retrancher de la nation française»), veulent créer des bibliothèques et des<br />
hôpitaux juifs, un cinéma aussi. Ils ont déjà choisi la salle qu’ils veulent convertir, Ciné-Rire,<br />
rue Caumartin, et ont demandé à un certain Albert Modiano d’en être le directeur. Est-ce le<br />
père de Patrick ? Il y avait à l’époque deux Albert Modiano à Paris. Rien n’est donc sûr mais,<br />
en attendant, Patrick Modiano et Michel Laffitte se sont rencontrés plusieurs fois, et c’est<br />
Laffitte qui a suggéré à l’éditeur de demander une préface à Modiano. Dans ces onze pages, il<br />
raconte comment il a mis ses pas dans les pas d’Hélène du côté du Luxembourg. Il écrit aussi :<br />
«Plus d’un demi-siècle s’est écoulé depuis, mais nous sommes, à chaque page, avec elle, au<br />
présent. Elle qui se sentait parfois si seule dans le Paris de l’Occupation, nous l’accompagnons<br />
jour après jour. Sa voix est si proche, dans le silence de ce Paris-là.»<br />
(1) Préfacé par Annette Wieviorka, Tallandier, 2006.<br />
(2) Notamment Jean Samuel, qui a croisé Raymond Berr à Auschwitz et a rencontré ses<br />
petites-filles après guerre, comme il le dit dans Il m’appelait Pikolo. Un compagnon de Primo<br />
Levi raconte, qui vient de sortir chez Robert Laffont.<br />
«Le violon a gardé son empreinte»<br />
Entretien. La nièce d’Hélène Berr replace l’héritage au sein de la famille.<br />
Recueilli par NATALIE LEVISALLES<br />
QUOTIDIEN : jeudi 20 décembre 2007<br />
Mariette Job est la nièce d'Hélène Berr. C'est grâce à elle que le Journal a pu être publié.<br />
Quand avez-vous entendu parler du journal d'Hélène ?<br />
Dans mes souvenirs d'enfant, j'ai l'impression qu'il a toujours été là. Je l'ai lu une première fois<br />
à 15 ans, mais j'ai dû le relire 500 fois, j'exagère peut-être. Dans la famille, nous avions un<br />
exemplaire dactylographié, le manuscrit original avait été remis à Jean, son fiancé. Ce journal,<br />
donc, a été sauvé par Andrée Barbiau, la cuisinière de la famille, avec le violon d'Hélène. Nous<br />
avons gardé ce violon très longtemps dans la famille, mais personne n'est violoniste - il a été<br />
un petit peu joué par une de mes nièces -, nous avons fini par le vendre l'an dernier. C'est un<br />
très beau violon, j'espère qu'il sera entre de bonnes mains, qu'il aura une belle vie. Quand je<br />
l'ai fait expertiser, on m'a dit, à la sonorité : «C'est quelqu'un qui jouait très bien.»<br />
Effectivement, Hélène jouait très bien, pendant soixante ans le violon a gardé son empreinte.<br />
De ceux de votre génération - frère, sœur -, c'est vous qui avez pris en charge ce<br />
journal.<br />
Pour moi, ça a été un questionnement de vie ou de mort, c'est aussi simple que ça. Je ne me<br />
suis pas demandé «je le fais ou pas ?», j'ai dû le faire, c'est tombé sur moi. Pour les autres,<br />
c'est très présent aussi, mais ça ne s'est pas posé de la même façon. Je ne sais pas comment<br />
l'expliquer, c'était au centre de ma vie.<br />
En 1992, je me suis dit : un jour, Jean ne sera plus là, le journal va disparaître. Je l'ai<br />
contacté, il m'a appelée très rapidement. Tout cela était extraordinaire. Pour lui, c'est une<br />
blessure à jamais ouverte, et en même temps il est très heureux de cette publication. Pour<br />
moi, rencontrer Jean, c'était un peu comme rencontrer le Jean Valjean des Misérables, c'était<br />
un personnage tellement exceptionnel. Et il est comme Hélène le décrit. Pour moi, cette<br />
rencontre a été magique. C'est vrai que j'ai avec Jean un lien très particulier, il y a beaucoup<br />
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d'Hélène dedans. Je me sens très proche d'Hélène, mais tout le monde se sent proche d'elle,<br />
ce que je dis n'est pas très original. Récemment, en relisant les épreuves du Journal, je suis<br />
tombée sur une page où Hélène cite un passage des Thibault de Roger Martin du Gard :<br />
«L'âme d'un homme devient si exclusivement le centre d'intérêt que tout homme qui le lit se<br />
sent atteint en lui-même parce que cela pourrait être lui.» J'ai pensé que c'était ça : au-delà<br />
de ce dont elle parle, il y a dans sa façon de l'exprimer quelque chose qui s'adresse à notre<br />
âme.<br />
Après soixante ans, ce journal est publié. Pourquoi seulement maintenant ?<br />
Il a fallu énormément de temps pour faire surgir le texte au sein de la famille, il fallait pouvoir<br />
accepter que ce texte, à cause de ce qu'il dit de l'expérience humaine, appartienne à la<br />
collectivité.<br />
Il était vraiment indispensable de le publier. D'abord pour que les jeunes générations sachent.<br />
On dit souvent que les gens ne savaient pas ce qui se passait ; quand on lit ce texte, on voit<br />
que c'était au moins en partie connu.<br />
Et aussi parce que, de cette manière, l'âme d'Hélène vit toujours. Cette âme est très vibrante, très<br />
forte, très lumineuse. Et je suis très heureuse de pouvoir être la passeuse de cette âme. On se dit<br />
qu'il n'y a pas de réponse à tout ça, il n'y a rien, mais, au moins, ce journal et cette âme restent<br />
intacts, ils ne peuvent pas être abîmés.<br />
<br />
Conversazione. La nipote di Helene Berr rimette a posto il patrimonio in seno alla famiglia.<br />
Raccolta dar NATALIE LEVISALLES<br />
giovedì 20 dicembre 2007<br />
Mariette Job è la nipote di Helene Berr, è grazie a lei che si è potuto pubblicare il diario.<br />
Quando ha sentito parlare del diario di Helene?<br />
Nei miei ricordi d’infanzia, ho l’impressione che è sempre stato là. L’ho letto una prima volta a<br />
15 anni, ma ho dovuto rileggerlo 500 volte,forse esagero. In famiglia ne avevamo un<br />
esemplare dattiloscritto,il manoscritto originale era stato consegnato a Jean, suo fidanzato.<br />
Questo diario,dunque,è stato salvato da Andreé Barbiau, la cuoca della famiglia,con il violino<br />
di Helene. Noi abbiamo conservato questo violino da molto tempo in famiglia,ma nessuno è<br />
violinista- è stato un poco piccolo gioco per uno dei miei nipoti -,ma abbiamo finito per<br />
venderlo l’ anno scorso. E’ un gran bel violino,spero che sarà in buone mani, e che farà una<br />
bella fine. Quando l’ho fatto valutare, mi hanno detto,alla sonorità; Effettivamente, Helene suonava molto bene,per sessant’<br />
anni il violino ha conservato la sua impronta.<br />
Di quelli della sua generazione-fratelli,sorelle-,è lei che ha preso in carica questo<br />
diario.<br />
Per me,ciò è stata una questione di vita o di morte,è semplice. Io non mi sono domandata<br />
, ho dovuto farlo,è toccato a me. Per gli altri,questo è anche molto<br />
presente,ma non si è posto nella stessa maniera. Io non so come spiegarlo,esso era al centro<br />
della mia vita.<br />
Nel 1992,io mi sono detta:un giorno, Jean non sarà più là,e il diario andrà scomparendo. Io<br />
l’ho contattato,lui mi ha chiamato molto velocemente. Tutto ciò era straordinario. Per lui,<br />
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questa è una ferita ancora aperta,e allo stesso tempo egli è felice di questa pubblicazione.Per<br />
me,incontrare Jean,era un pò come incontrare il Jean Valjean dei Miserabili,era un personaggio<br />
talmente eccezionale. Ed egli è come Helene lo ha descritto. Per me, questo incontro è stato<br />
magico,è vero che io con Jean ho un legame particolare,dentro di lui c’è molto di Helene. Io mi<br />
sento molto vicino ad Helene,ma tutti si sentono vicino a lei,quello che dico non è molto<br />
originale.Recentemente,realizzando i testi del diario,mi sono imbattuta in una pagina dove<br />
Helene cita un passaggio di Thibault di Roger Martin di Gard: .Io ho pensato che era questo: al di là di<br />
questo di cui ella parla,c’è nel suo modo di esprimersi qualcosa che si rivolge al nostro animo.<br />
Dopo sessanta anni,questo diario è pubblicato. Perchè solamente ora?<br />
È occorso molto tempo per far nascere il testo all’interno della famiglia,occorreva poter<br />
accettare questo testo a causa di quello che esso dice dell’esperienza umana,appartenente alla<br />
collettività.<br />
Era veramente indispensabile pubblicarlo.Giusto per quei giovani delle generazioni seguenti.Si<br />
dice spesso che la gente non sapeva ciò che si passava;quando si legge questo testo,si vede<br />
che c’era al meno in parte conoscenza.<br />
E anche perché, di questo modo,l’animo di Helene vive sempre. Quest’anima è molto<br />
vibrante,molto forte,molto luminosa. E io sono molto felice di poter essere la traghettatrice di questa<br />
anima. Si dice che non ci sono risposte a tutto questo,non c’è niente,al meno,questo diario e quest’ anima<br />
restano intatte,essi non possono essere rovinati.<br />
Helene e i bambini<br />
Occupazione.Ugif,Entraide temporaire,due organizzazioni <br />
N.L<br />
Giorno:giovedì 20 dicembre 2007<br />
A partire dal 1941,Helene Berr è segretaria dell’Entraide temporaire, una organizzazione<br />
clandestina dove lavorano ebrei e protestanti e che riuscirà a salvare 500 bambini ebrei<br />
durante al guerra.<br />
A partire dal luglio del 1942,ella diviene anche assistente sociale volontario all’Ugif (Unione<br />
generale degli israeliti di Francia). Lei scrive di essere impegnata, per fare ciò che può essere fatto per gli internati<br />
dei campi di Drancy,nella la periferia parigina, e di Baune-la.Rolande(Loiret).<br />
Con la Consistoire,l’Ugif è una delle due istituzioni ebraiche riconosciute da Vichy e<br />
dall’occupante tedesco.Tutte le opere d’assistenza agli ebrei (cura,mense,case di bambini)si<br />
sono inglobate nella Fondation Rothschild.<br />
Prima del lavoro di Michel Laffitte(1),l’interpretazione del ruolo dell’Ugif era globalmente quello<br />
che Maurizio Rajsfu dà nel suo libro intitolato: Degli Ebrei nella collaborazione(EDI, 1980).<br />
Michel Laffitte mostra come la tesi dell’Ugif funzionante come un organismo di collaborazione<br />
ebreo è in gran parte falsa.Egli spiega che, se Maurice Rajsfus ha avuto il merito di decifrare il<br />
soggetto, .L’Ugif<br />
è ben concepita dai Tedeschi e da Vichy come uno strumento di localizzazione e di esclusione<br />
degli Ebei,ma essa,come la<br />
scrittrice Annette Wieviorka nella sua prefazione.<br />
È vero che la raccolta dei bambini ebrei nelle case famiglia ha tragicamente facilitato le retate<br />
dal 1943 a Marsiglia e dal 1944 nella regione parigina,ma l’ Ugif non ha mai preparato né<br />
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distribuito ai bambini le stelle. A differenza dei Judenrat dell’Europa centrale, essa non ha più<br />
fatto funzionare il campo di Drancy.<br />
Michel Laffitte mostra anche che si sono avuti due periodi.Il primo,durante la quale l’Ugif ha<br />
avuto dei dirigenti di un ,soprattutto André Baur e<br />
Raymond-Raoul Lambert,che hanno .Il secondo è iniziato nell’agosto del 1943,quando<br />
essi sono stati arrestati e rimpiazzati da dei dirigenti molto meno chiari.<br />
(1)Un ingranaggio fatale.L’Ugif aspetto alle realtà della Shoah, prefazione di Perre Vidal-<br />
Naquet,éd. Liana Levi, 2003, ed Ebrei nella Francia tedesca,prefazione d’Annette Wieviorka,éd<br />
Tallandier<br />
Hélène et les enfants<br />
Occupation. Ugif, Entraide temporaire, deux organisations «pour faire quelque chose».<br />
N.L.<br />
QUOTIDIEN : jeudi 20 décembre 2007<br />
A partir de 1941, Hélène Berr est secrétaire de l'Entraide temporaire, une organisation clandestine où<br />
travaillent juifs et protestants et qui réussira à sauver 500 enfants juifs pendant la guerre.<br />
A partir de juillet 1942, elle devient également assistante sociale bénévole à l'Ugif (Union générale des<br />
Israélites de France). Elle écrit s'être engagée «pour faire quelque chose, pour être tout près du malheur»,<br />
pour faire ce qui peut être fait pour les internés des camps de Drancy, dans la banlieue parisienne, et de<br />
Beaune-la-Rolande (Loiret).<br />
Avec le Consistoire, l'Ugif est l’une des deux institutions juives reconnues par Vichy et l'occupant allemand.<br />
Toutes les œuvres d'assistance juives (soins, cantines, foyers d'enfants…) y sont englobées, y compris la<br />
Fondation Rothschild.<br />
Avant le travail de Michel Laffitte (1), l'interprétation du rôle de l'Ugif était globalement celle que Maurice<br />
Rajsfus donne dans son livre titré : Des Juifs dans la collaboration (EDI, 1980). Michel Laffitte montre que la<br />
thèse de l'Ugif fonctionnant comme un organisme de collaboration juif est en grande partie fausse. Il<br />
explique que, si Maurice Rajsfus a eu le mérite de défricher le sujet, «l'idée d'un partenariat égal entre<br />
bourreau et victime est insupportable». L’Ugif est bien conçue par les Allemands et par Vichy comme un<br />
instrument de repérage et d'exclusion des Juifs, mais elle «ne remplit jamais les objectifs qui lui avaient été<br />
dévolus», comme l'écrit Annette Wieviorka dans sa préface.<br />
Il est vrai que le rassemblement d'enfants juifs dans des foyers a tragiquement facilité les rafles de 1943 à<br />
Marseille et de 1944 dans la région parisienne, mais l'Ugif n'a jamais fiché ni distribué d'étoiles jaunes. A la<br />
différence des Judenrat d'Europe centrale, elle n'a pas non plus fait fonctionner le camp de Drancy.<br />
Michel Laffitte montre aussi qu'il y a eu deux périodes. La première, durant laquelle l'Ugif a eu des dirigeants<br />
d'une «grande valeur intellectuelle et morale», notamment André Baur et Raymond-Raoul Lambert, qui ont<br />
«contesté pied à pied les décisions des Allemands,et contribué à sauver des juifs étrangers». La seconde a<br />
débuté en août 1943, quand ils ont été arrêtés et remplacés par des dirigeants beaucoup moins clairs.<br />
(1) Un engrenage fatal. L'Ugif face aux réalités de la Shoah, préface de Pierre Vidal-Naquet, éd. Liana Levi,<br />
2003, et Juif dans la France allemande, préface d'Annette Wieviorka, éd. Tallandier.<br />
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TRA<strong>DU</strong>ZIONE DELLA PREFAZIONE DI PATRICK MODIANO<br />
Una ragazza cammina nella Parigi del 1942 . E siccome provava sin dalla primavera di quell’<br />
anno un’inquietudine ed un presentimento , comincia a scrivere un diario in aprile.<br />
Più di mezzo secolo è passato da allora, ma noi siamo in ogni pagina con lei,ora. Lei che si<br />
sentiva a volte così sola nella Parigi dell’Occupazione, noi la accompagniamo giorno dopo giorno<br />
. La sua voce è così vicina, nel silenzio di quella Parigi.<br />
Il primo giorno , martedì sette aprile 1942,nel pomeriggio, va a prendere al numero 40 di via<br />
Villejust, dal portiere di Paul Valéry, un libro sul quale ha avuto l’ardire di chiedere al vecchio<br />
poeta di scriverle una dedica.<br />
Suona ed un fox-terrier le si getta contro abbaiando.-Il Signor Valéry ha lasciato un<br />
pacchetto per me?-<br />
Sul risguardo, Valéry ha scritto :‖esemplare della Signorina Berr‖ e sotto: ―Al risveglio, così<br />
dolce la luce e così bello questo azzurro vivace‖.<br />
Per tutto quel mese di aprile e quel mese di maggio, sembra, alla lettura del diario di Hélène<br />
Berr, che Parigi attorno a lei , sia in armonia con la frase di Valéry .<br />
Hélène frequenta la Sorbona dove prepara un diploma di Inglese. Accompagna ―un ragazzo<br />
dagli occhi grigi‖, che ha appena conosciuto alla Maison des Lettres, via Soufflot, dove<br />
ascoltano una cantata di Bach , un concerto per clarinetto e orchestra di Mozart . Cammina<br />
con questo ragazzo ed altri amici attraverso il Quartiere Latino . ―Il Boulevard Saint-Miche<br />
inondato di sole, pieno di gente‖ scrive.‖ Partendo da via Souffolt fino al Boulevard Saint<br />
Germani, sono in territorio incantato ―.<br />
A volte passa delle giornate nei dintorni di Parigi in una casa di campagna a Aubergenville .<br />
―Questa giornata che si è svolta nella perfezione dal sorgere del sole pieno di freschezza e di<br />
promesse , luminoso, fino a questa serata cos’ dolce e calma, cosi’ tenera che mi ha inondato<br />
poco fa quando ho chiuso le persiane‖.<br />
Si sente in questa ventenne il gusto della felicità, la voglia di lasciarsi scivolare sulla<br />
superficie delle cose,un temperamento artistico e nello stesso tempo di grandissima lucidità.<br />
Si è impregnata della poesia e della letteratura inglese e sarebbe senz’altro diventata una<br />
scrittrice della delicatezza di Katherine Mansfield..<br />
Si dimenticherebbe quasi alla lettura delle prime cinquanta pagine del suo Diario, l’epoca<br />
atroce in cui vive. E tuttavia, un giovedì di quel mese di aprile, dopo una lezione alla Sorbona,<br />
passeggia nel giardino del Luxembourg con un collega. Si fermano in riva ad un laghetto. Lei è<br />
affascinata dai riflessi e dallo sciacquio dell’acqua sotto il sole, le barchette dei bambini e il<br />
cielo azzurro—quello che Valèry evocava nella sua dedica.—― I tedeschi vinceranno la guerra,<br />
le dice il suo collega—Ma cosa succederà se i Tedeschi vinceranno?—Boh non cambierà nulla.<br />
Ci saranno sempre il sole e l’acqua….Mi sono sforzata a dire: Ma loro non lasciano godere tutti<br />
della luce e dell’acqua!‖Fortunatamente questa frase mi salvava non volevo essere vigliacca‖.<br />
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QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
E’ la prima volta che allude ai tempi bui in cui vive, alla sua angoscia , ma in modo così naturale<br />
e pudico che si sente appena la sua solitudine in mezzo a quella città soleggiata e indifferente.<br />
Durante quella fine primavera del 1942 cammina sempre nella città di Parigi ma il contrasto<br />
tra l’ombra e la luce si fa sempre più brutale, l’ombra guadagna a poco poco terreno .<br />
Il mese di giugno del 1942 è per lei l’inizio delle prove.<br />
Quel lunedì 8, lei deve per la prima volta portare la stella gialla. Sente l’incompatibilità tra il<br />
suo gusto per la felicità e l’armonia e la nefandezza e l’orribile dissonanza del presente.<br />
Ella scrive:‖ C’è un tempo radioso, molto fresco..un mattino come quello di Valéry. E’ il primo<br />
giorno in cui porterò la stella gialla .Sono i due aspetti della vita attuale:la freschezza, la<br />
bellezza, la giovinezza incarnata da questa limpida mattina;la barbarie e il male rappresentati<br />
da quella stella gialla‖.<br />
Sèbres-Babylone- Quartier Latin- Cortile della Sorbona-Biblioteca. Gli stessi luoghi di<br />
sempre.<br />
Spia le reazioni dei suoi colleghi.‖ Sentivo tutta la loro pena e il loro stupore‖. Alla stazione<br />
del metro Ecole MIlitaire il controllore le ordina‖ Ultima vettura!‖. Quella dove devono<br />
obbligatoriamente salire quelli che portano la stella gialla.<br />
Lei ci dice i sentimenti che ha provato circa questa stella:‖Ero decisa a non portarla.<br />
Consideravo ciò un’infamia e una prova di obbedienza alle leggi tedesche…Stasera tutto è<br />
cambiato di nuovo: trovo che è una vigliaccheria non farlo nei confronti di quelli che lo<br />
faranno‖ . E l’indomani nella sua solitudine immagina che qualcuno le ponga la domanda:‖<br />
Perché porti questa stella?‖. Lei risponde:‖ E’ perché voglio provare il mio coraggio‖.<br />
Poi ,alla data del 24 giugno, senza alzare i toni, rende conto della prova che ha appena<br />
affrontato e che sarà determinante per lei. ― Volevo scrivere questo ieri sera… stamattina mi<br />
sforzo di farlo perché voglio ricordare tutto.‖ Si tratta dell’arresto di suo padre, consegnato<br />
dalla polizia francese per ―le questioni ebraiche‖ alla Gestapo, poi trasferito alla Prefettura di<br />
polizia prima di essere internato a Drancy. Motivo: la sua stella gialla non era cucita alla sua<br />
giacca. Si era limitato a fissarla con spille per poterla facilmente mettere su tutti i suoi abiti.<br />
Sembra che alla Prefettura di Polizia non si faccia affatto differenza tra gli ebrei ―francesi‖<br />
e gli ebrei ―stranieri‖.<br />
Raymond Berr, padre di Hélène, ingegnere minerario, vecchio direttore degli stabilimenti<br />
chimici Kulmann, decorato con la Croce di guerra e la Legion d’Onore per meriti militari e<br />
facente parte delle otto persone della sua ―razza‖ a godere dell’articolo 8 della legge 3<br />
ottobre 1940 ( Per decreto individuale preso in Consiglio di Stato e debitamente motivato, gli<br />
ebrei che, nel campo letterario, scientifico,artistico, hanno reso servizi eccezionali allo Stato<br />
francese, potranno essere esentati dai divieti previsti dalla presente Legge‖) si trova su un<br />
banco di legno, sorvegliato dai poliziotti.<br />
Hélène e sua madre hanno avuto l’autorizzazione di vederlo. Gli hanno tolto la cravatta, le<br />
bretelle ed i lacci‖ L’agente ci spiegava per rassicurarci che era un ordine in quanto ieri un<br />
detenuto aveva cercato di impiccarsi‖.<br />
Una frattura si è allora prodotta nell’animo di Hélène fra la vita tranquilla di studentessa che<br />
aveva condotto fino a quel momento e la visione di suo padre sorvegliato come un criminale in<br />
uno sporco ufficio della prefettura di polizia.<br />
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―Un abisso invalicabile‖ lei scrive. Ma il tono del Diario resta lo stesso, senza alcun cedimento ,<br />
alcun pathos. Le frasi sempre brevi ci rivelano di che tempra è fatta questa ragazza.<br />
L’internamento di suo padre a Drancy gli ha fatto prendere coscienza di tutto ciò che oscura<br />
ed avvelena la Parigi dell’estate del 42 e resta tuttavia invisibile a quelli che sono assorbiti<br />
dalle preoccupazioni quotidiane o a quelli che hanno deciso di chiudere gli occhi.<br />
Una ragazza così artista così delicata avrebbe potuto distogliere lo sguardo in un riflesso di<br />
salvaguardia o in un gesto di paura o anche rifugiarsi in zona libera. Lei ,al contrario, non si<br />
nasconde e con moto spontaneo si sente solidale nella sofferenza e nell’infelicità.<br />
Il 6 luglio del 1942 si presenta alla sede dell’UGIF per essere reclutata come assistente<br />
sociale volontaria al servizio degli internati del campo di Drancy e di quelli del Loiret.<br />
Ogni giorno sarà a contatto con le famiglie smembrate dagli arresti e testimone diretto di<br />
tutto l’orrore quotidiano, quello del‖VEL d’Hiv, di Drancy, e delle partenze all’alba nei treni<br />
merci di Bobigny.<br />
Uno dei responsabili dell’UGIF le dice:‖Non ha niente da fare qui, se ho un consiglio da darle è<br />
quello di dirle vada via!‖ . Ma lei resta. Ha varcato un confine in uno slancio irreversibile.<br />
Il suo coraggio, la sua rettitudine mi ricordano il verso di Rimbaud<br />
Per delicatezza<br />
Ho perso la vita<br />
Ella ha presagito il carattere fatale della sua condotta. Ci scrive: ― Viviamo ora dopo ora, non<br />
più settimana dopo settimana‖. Scrive anche‖ Avevo un desiderio di espiazione, non so perché‖.<br />
Pensiamo a Simone Weil e certe pagine del diario di Hélène – quel diario che lei considera<br />
come una lettera rivolta al suo amico Jean, il ragazzo ―dagli occhi grigi‖ del Quartiere Latino,<br />
e che non sa neanche se la leggerà un giorno,- questo diario evoca a volte le strazianti lettere<br />
di Smone Weil ad Antonio Atores, nello stesso periodo.Sì, Smone Weil avrebbe potuto<br />
scrivere questa frase di Hélène:‖ Le amicizie che si sono strette qui, qust’anno, saranno<br />
segnate da una sincerità, profondità e sorta di tenerezza grave che nessuno mai potrà<br />
conoscere. E’ un patto segreto , suggellato nella lotta e nella prova‖. Ma a differenza di<br />
Simone Weil, Hélène Berr è sensibile alla felicità, alle mattine radiose, alle strade soleggiate<br />
di Parigi dove si cammina con chi si ama, e la lista dei suoi libri da comodino non comporta<br />
nessun filosofo ma poeti e romanzieri.<br />
Il suo diario si interrompe per nove mesi.<br />
Lo riprende nel novembre 1943. La sua bella scrittura sottile, come appare nel manoscritto, è<br />
diventata acuta irregolare. Nulla di più suggestivo di questo blocco di silenzio di nove mesi che<br />
ci fa comprendere l’estrema gravità di quello che ha visto e sentito.<br />
Ella scrive: ― Tutte le mie amiche dell’Ufficio sono arrestate‖. Un leit-motif ritorna sotto la<br />
sua penna:‖Gli altri non sanno..‖ ―L’incomprensione degli altri‖‖ Non posso parlare perché non<br />
mi crederebbero…‖‖Cui sono troppe cose di cui non si può parlare…‖ E quella brusca<br />
confidenza‖Nessuno saprà mai l’esperienza devastante attraverso la quale sono passata questa<br />
estate‖. Ed anche:‖in questo momento viviamo la storia. Quelli che la ridurranno in parole<br />
potranno ben essere fieri. Sapranno solo quello che un rigo del loro racconto copre di<br />
sofferenze individuali?‖.<br />
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Dopo quel lungo silenzio, la sua voce è sempre chiara ma ci parla ormai da lontano, da così<br />
lontano come Etty Hillesum nelle sue Lettere da Westerbrk‖. Non ha ancora varcato l’ultimo<br />
cerchio dell’inferno.<br />
I quella città dove cammina, è sempre commossa da segnali amichevoli e rassicuranti:la<br />
portinaia delle Tuileries, le foglie sull’acqua, tutta la bellezza luminosa di Parigi…va alla<br />
Libreria Galignani a comprare Lord Jim e il Voyage Sentimental. Ma sempre più spesso,<br />
attraverso le brevi indicazioni che lei dà , si capisce che è ghermita dalle zone nere della<br />
città, dalle zone maledette i cui nomi ritornano sul suo diario. Via della Bienfaisance.E’ li, nel<br />
loro ufficio che saranno arrestate le assistenti sociali come lei e la sua amica Françoise<br />
Barheim. Hélène Berr sfuggirà per caso a questa retata.<br />
Un patronato di bambini e adolescenti in cui i sinistri poliziotti delle ―questioni<br />
ebree‖perquisiranno e saccheggeranno i bagagli che hanno confiscato a quelli che venivano<br />
deportati. Rue Veauquelin, un centro per ragazze che saranno prese e deportate poco prima<br />
della liberazione di Parigi.<br />
Il centro della via Edouard Notino a Neuilly. Hélène vi si reca spesso per occuparsi dei<br />
bambini, portarli a passeggio e quando sono malati, agli Enfants Malades di Rue de Sèvres o<br />
all’ospedale Rotschild, rue de Nanterre. Fra di loro il piccolo Doudou Wogryb, dal ―sorriso<br />
radioso2, la piccola Odette, il piccolo André Kahn ―che tenevo per mano‖, uno dei miei piccoli<br />
di Neuilly che adoro‖ e quello di quattro anni, di cui non si conosceva il nome. La maggior parte<br />
saranno deportati il 31 luglio 1944.<br />
Ho voluto un pomeriggio seguire quelle stesse strade per rendermi conto di quello che aveva<br />
potuto essere la solitudine di Hélène Berr. Via Clude Bernard e via Vauquelin non sono lontane<br />
dal Luxembourg e al confine di quello che un poeta chiamava il Continente della Controscarpe,<br />
una sorta di oasi dentro Parigi, e si fa difficoltà ad immaginare che il male si infiltrasse fino a<br />
lì .<br />
La via Edouard Nortier è vicina al Bois de Boulogne. C’erano sicuramente nel 1942 dei<br />
pomeriggi in cui la guerra e l’occupazione sembravano lontane ed irreali in queste strade. Salvo<br />
per una ragazza di nome Hélène Berr, che sapeva di essere nel più profondo degli abissi e<br />
della barbarie: ma impossibile dirlo ai passanti gentili ed indifferenti. Allora lei scriveva un<br />
diario. Aveva il presentimento che molto lontano nel tempo,lo si sarebbe letto? O temeva che<br />
la sua voce fosse soffocata come quella di milioni di persone massacrate senza lasciare<br />
traccia?<br />
Di fronte a questo libro, ora bisogna tacere,ascoltare la voce di Hélène Berr e camminare<br />
accanto a lei. Una voce ed una presenza che ci accompagneranno per tutta la nostra vita.<br />
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***<br />
ZOLA :L’AFFAIRE DREYFUS<br />
L'affaire Dreyfus<br />
En dépit de l'égalité conférée par les lois et de l'intégration croissante des juifs dans les sociétés<br />
occidentales à la fin du XIXe siècle, l'antisémitisme reste une menace pour eux. À présent, les<br />
attaques antisémites sont combattues par les défenseurs des droits de la personne. Ces deux facteurs<br />
sont reflétés dans l'affaire Dreyfus, affaire antisémite qui polarisa la société et toutes les forces<br />
politiques en France pendant des années. En 1894, le capitaine Alfred Dreyfus est accusé d'être un<br />
espion à la solde de l'Allemagne, adversaire de la France pendant la guerre précédente. Seule preuve :<br />
quelques mots sur un bout de papier trouvé dans une corbeille par une femme de ménage, et dont<br />
l'écriture ne correspond pas à celle de Dreyfus. Mais Dreyfus est juif, le seul juif de l'état-major<br />
général français. Et les juifs sont considérés comme des apatrides, incapables de manifester une<br />
loyauté suffisante vis à vis du pays dans lequel ils vivent. Dreyfus est convaincu d'espionnage, en partie<br />
sur la foi de preuves créées de toutes pièces par des officiers antisémites, et condamné à<br />
l'emprisonnement à perpétuité. Il est déporté à l'Île du Diable, au large de l'Amérique du Sud. Lors de<br />
sa dégradation publique, la foule, incitée par la presse antisémite, hurle des slogans antijuifs. Un<br />
journaliste prend la défense de Dreyfus, mais le véritable coupable, le commandant Esterhazy, continue<br />
de bénéficier de la protection du gouvernement.<br />
L'affaire divise la France en deux camps. D'un côté, le gouvernement, les partis conservateurs, l'Église<br />
et l'armée considèrent que l'honneur de la nation ne doit pas être sacrifié pour un juif, qu'il soit<br />
coupable ou innocent. De l'autre côté, sous l'impulsion de l'écrivain Émile Zola et de l'homme politique<br />
Jean Jaurès, se rassemblent les partisans des droits de l'homme. D'autres procès s'ensuivent, mais il<br />
faudra attendre plus de dix ans pour que Dreyfus soit enfin innocenté.<br />
L'affaire a un retentissement mondial. Théodore Herzl, journaliste juif viennois qui assure la<br />
couverture du procès, conclut que l'assimilation n'offre aucune protection contre l'antisémitisme, si un<br />
juif intégré au point d'être officier français n'est pas en sécurité. Si les juifs restent étrangers dans<br />
leur pays de résidence, ils doivent fonder leur État. Son livre, L’ État juif - une solution moderne à la<br />
question juive, paraît en 1896 et aboutit un an plus tard à la fondation de l'Organisation sioniste.<br />
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QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
La Vérité est en marche et rien ne l'arrêtera<br />
"Je n'ai pas voulu que mon pays restât dans le mensonge et dans l'injustice. On peut me<br />
frapper ici. Un jour, la France me remerciera d'avoir aidé à sauver son honneur"<br />
En 1901, Zola fait paraître La Vérité en Marche, un recueil d'articles écrits pendant l'Affaire<br />
Dreyfus. Les articles qui composent le recueil ont été écrits sur une période de 3 ans : de 1897<br />
à 1900<br />
- M. Scheurer-Kestner : paru le 25/11/1897 dans le Figaro<br />
- Le Syndicat : paru le 01/12/1897 dans le Figaro<br />
- Procès-Verbal : paru le 5 décembre 1897 dans le Figaro<br />
- Lettre à la Jeunesse : paru en une brochure vendue le<br />
14/12/1897<br />
- Lettre à la France : paru en une brochure vendue le 06/01/1898<br />
- Lettre à M. Félix Faure, Président de la République : paru le<br />
13/01/1898 dans l'Aurore<br />
- Déclaration au jury : paru le 22/02/1898 dans l'Aurore<br />
- Lettre à M. Brisson, Président du conseil des ministres : paru le<br />
16/07/1898 dans l'Aurore<br />
- Justice : paru le 05/06/1899 dans l'Aurore<br />
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- Le cinquième acte : paru le 12/09/1899 dans l'Aurore<br />
- Lettre à Madame Alfred Dreyfus : paru le 29/09/1899 dans<br />
l'Aurore<br />
- Lettre au Sénat : paru le 29/05/1900 dans l'Aurore<br />
- Lettre à Emile Loubet, Président de la République : paru le<br />
22/12/1900 dans l'Aurore<br />
L'article "J'accuse" a été un élément déterminant dans la révision du procès d'Alfred Dreyfus.<br />
Cet article a également valu à son auteur des ennuis judiciaires. Cependant, lorsque Zola a été<br />
assigné devant la cour d'assises de la Seine, ce n'était pour l'ensemble de son article mais<br />
pour seulement 3 passages de celui-ci :<br />
- Première colonne de la première page :<br />
"Un conseil de guerre vient, par ordre, d'oser acquitter un Esterhazy, soufflet suprême à toute<br />
vérité. Et c'est fini, la France a sur la joue, cette souillure. L'histoire écrira que c'est sous votre<br />
présidence qu'un tel crime social a pu être commis."<br />
- Sixième colonne de la première page :<br />
"Ils ont rendu cette sentence inique qui à jamais pèsera sur nos conseils de guerre, qui<br />
entachera désormais de suspicion tous leurs arrêts. Le premier conseil de guerre a pu être<br />
inintelligent, le second est forcément criminel."<br />
- Deuxième colonne de la deuxième page :<br />
"... J'accuse le second conseil de guerre d'avoir couvert cette illégalité par ordre, en<br />
commettant à son tour le crime juridique d'acquitter sciemment un coupable." Ce choix n'était<br />
pas innocent. En effet le but était d'empêcher de faire allusion au procès et à la condamnation<br />
de Dreyfus.<br />
***<br />
"Je hais les sots qui font les dédaigneux, les impuissants qui crient que notre art et notre<br />
littérature meurent de leur belle mort. Ce sont les cerveaux les plus vides, les coeurs les plus<br />
secs, les gens enterrés dans le passé, qui feuillettent avec mépris les oeuvres vivantes et<br />
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toutes enfiévrées de notre âge, et les déclarent nulles et étroites. Moi, je vois autrement. Je<br />
n'ai guère souci de beauté ni de perfection. je me moque des grands siècles. Je n'ai souci que<br />
de vie, de lutte, de fièvre. Je suis à l'aise parmi notre génération. Il me semble que l'artiste ne<br />
peut souhaiter un autre milieu, une autre époque. Il n'y a plus de maîtres, plus d'écoles. Nous<br />
sommes en pleine anarchie et chacun de nous est un rebelle qui pense pour lui, qui crée et se<br />
bat pour lui. L'heure est haletante, pleine d'anxiété : on attend ceux qui frapperont le plus fort<br />
et le plus juste, dont les poings seront assez puissants pour fermer la bouche des autres, et il<br />
y a au fond de chaque nouveau lutteur une vague espérance d'être ce dictateur, ce tyran de<br />
demain".<br />
Mes Haines<br />
***<br />
(...) "Je considère le journalisme comme un levier si puissant que je ne suis pas fâché de tout<br />
de pouvoir me produire à jour fixe devant un nombre considérable de lecteurs" (...)<br />
Lettre à Anthony Valabrègue, le 06/02/1865<br />
***<br />
(...) "Depuis plus de quinze ans, je me bats dans les journaux. D'abord, j'ai dû y gagner mon<br />
pain, très durement, je crois bien que j'ai mis les mains à toutes les besognes, depuis les faits<br />
divers jusqu'au courrier des Chambres. Plus tard, lorsque j'aurais pu vivre de mes livres, je<br />
suis resté dans la bagarre, retenu par la passion de la lutte. Je me sentais seul, je ne voyais<br />
aucun critique qui acceptât ma cause, et j'étais décidé à me défendre moi-même ; tant que je<br />
demeurerais sur la brèche, la victoire me semblait certaine. Les assauts les plus furieux me<br />
fouettaient et me donnaient du courage.<br />
A cette heure, j'ignore encore si ma tactique avait du bon ; mais j'y ai au moins gagné de bien<br />
connaître la presse. Mes aînés, des écrivains illustres, l'ont souvent foudroyée devant moi,<br />
sous de terribles accusations : elle était l'agent démocratique de la bêtise universelle. J'en<br />
passe, et des plus féroces. J'écoutais, je songeais que, pour en parler avec cette rancune, ils<br />
ne la connaissaient pas ; non, certes, qu'elle fût absolument innocente de tout ce qu'ils lui<br />
reprochaient, mais parce qu'elle a des côtés puissants et qu'elle offre des compensations très<br />
larges. Il faut avoir longtemps souffert et usé du journalisme, pour le comprendre et l'aimer.<br />
A tout jeune écrivain qui me consultera, je dirai : "Jetez-vous dans la presse à corps perdu,<br />
comme on se jette à l'eau pour apprendre à nager." C'est la seule école virile, à cette heure ;<br />
c'est là qu'on se frotte aux hommes et qu'on se bronze ; c'est encore là, au point de vue<br />
spécial du métier, qu'ont peut forger son style sur la terrible enclume de l'article au jour le<br />
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jour. Je sais ben qu'on accuse le journalisme de vider les gens, de les détourner des études<br />
sérieuses, des ambitions littéraires plus hautes. Certes, il vide les gens qui n'ont rien dans le<br />
ventre, il retient les paresseux et les fruits secs, dont l'ambition se contente aisément. Mais<br />
qu'importe ! Je ne parle pas pour les médiocres, ceux-là restent dans la vase de la presse,<br />
comme ils seraient restés dans la case du commerce ou du notariat. Je parle pour les forts,<br />
pour ceux qui travaillent et qui veulent. Qu'ils entrent sans peur dans les journaux : ils en<br />
reviendront comme nos soldats reviennent d'une campagne, aguerris, couverts de blessures,<br />
maîtres de leur métier et des hommes.<br />
Les meilleurs d'entre nous, aujourd'hui, n'ont-ils point passé par cette épreuve ? Nous sommes<br />
tous les enfants de la presse, nous y avons tous conquis nos premiers grades. C'est elle qui a<br />
rompu notre style et qui nous a donné la plupart de nos documents. Il faut simplement avoir<br />
les reins solides, pour se servir d'elle, au lieu qu'elle ne se serve de vous. elle doit porter son<br />
homme.<br />
Ce sont là, d'ailleurs, des leçons pratiques que les plus énergiques paient très cher. Je parle<br />
pour moi, qui l'ai souvent maudite, tellement ses blessures sont cuisantes. Que de fois je me<br />
suis surpris à reprendre contre elles les accusations de mes aînés ! Le métier de journaliste<br />
était le dernier des métiers ; il aurait mieux valu ramasser la boue des chemins, casser des<br />
pierres, se donner à des besognes grossières et infâmes. et ces plaintes sont ainsi revenues,<br />
chaque fois qu'un écoeurement m'a serré à la gorge, devant quelque ordure brusquement<br />
découverte. Dans la presse, il arrive qu'on tombe de la sorte sur des mares d'imbécillité et de<br />
mauvaise foi. C'est le côté vilain et inévitable. On y est sali, mordu, dévoré, sans qu'on puisse<br />
établir au juste s'il faut s'en prendre à la bêtise ou à la méchanceté des gens. La justice, ces<br />
jours-là, vous semble morte à jamais ; on rêve de s'exiler au fond d'un cabinet de travail bien<br />
clos, où n'entrera aucun bruit du dehors, et dans lequel on écrira en paix, loin des hommes,<br />
des oeuvres désintéressées.<br />
Mais la colère et le dégoût s'en vont, la presse reste toute puissante. On revient à elle comme<br />
à de vieilles amours. Elle est la vie, l'action, ce qui grise et ce qui triomphe. Quand on la<br />
quitte, on ne peut jurer que ce sera pour toujours, car elle est une force dont on garde le<br />
besoin, du moment où l'on en a mesuré l'étendue. Elle a beau vus avoir traîné sur une claie,<br />
elle a beau être stupide et mensongère souvent, elle n'en demeure pas moins un des outils les<br />
plus laborieux, les plus efficaces du siècle, et quiconque s'est mis courageusement à la<br />
besogne de ce temps, loin de lui garder rancune, retourne lui demander des armes, à chaque<br />
nécessité de bataille.<br />
Adieux, Le Figaro, 22/09/1<br />
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Cet article a été publié dans Le Figaro le 16 mai 1896, un an avant que ne commence<br />
véritablement l’affaire Dreyfus. En prenant parti publiquement pour les juifs, Zola voulait<br />
s’opposer aux campagnes antisémites de La Libre Parole, le quotidien dirigé par Édouard<br />
Drumont. Nous reproduisons ici ce texte, tel qu’il a été repris dans le recueil intitulé Nouvelle<br />
Campagne (Fasquelle, 1897).<br />
Pour les Juifs<br />
Depuis quelques années, je suis la campagne qu’on essaye de faire en France contre les Juifs,<br />
avec une surprise et un dégoût croissants. Cela m’a l’air d’une monstruosité, j’entends une<br />
chose en dehors de tout bon sens, de toute vérité et de toute justice, une chose sotte et<br />
aveugle qui nous ramènerait à des siècles en arrière, une chose enfin qui aboutirait à la pire<br />
des abominations, une persécution religieuse, ensanglantant toutes les patries.<br />
Et je veux le dire.<br />
D’abord, quel procès dresse-t-on contre les Juifs, que leur reproche-t-on ?<br />
Des gens, même des amis à moi, disent qu’ils ne peuvent les souffrir, qu’ils ne peuvent leur<br />
toucher la mains, sans avoir à la peau un frémissement de répugnance. C'est l'horreur<br />
physique, la répulsion de race à race, du blanc pour le jaune, du rouge pour le noir. Je ne<br />
cherche pas si, dans cette répugnance, il n'entre pas la lointaine colère du chrétien pour le Juif<br />
qui a crucifié son Dieu, tout un atavisme séculaire de mépris et de vengeance. En somme,<br />
l'horreur physique est une bonne raison, la seule raison même, car il n'y a rien à répondre aux<br />
gens qui vous disent : « Je les exècre parce que je les exècre, parce que la vue seule de leur<br />
nez me jette hors de moi, parce que toute ma chair se révolte, à les sentir différents et<br />
contraires. »<br />
Mais, en vérité, cette raison de l'hostilité de race à race n'est pas suffisante. Retournons alors<br />
au fond des bois, recommençons la guerre barbare d'espèce à espèce, dévorons-nous parce<br />
que nous n'aurons pas le même cri et que nous aurons lé poil planté autrement. L'effort des<br />
civilisations est justement d'effacer ce besoin sauvage de se jeter sur son semblable, quand il<br />
n'est pas tout à fait semblable. Au cours des siècles, l'histoire des peuples n'est qu'une leçon<br />
de mutuelle ' tolérance, si bien que le rêve final sera de les ramener tous à l'universelle<br />
fraternité, de les noyer tous dans une commune tendresse, pour les sauver tous le plus<br />
possible de la commune douleur. Et, de notre temps, se haïr et se mordre, parce qu'on n'a pas<br />
le crâne absolument construit de même, commence â être la plus monstrueuse des folies.<br />
J'arrive au procès sérieux, qui est surtout d'ordre social. Et je résume le réquisitoire, j'indique<br />
les grands traits. Les Juifs sont accusés d'être une nation dans la nation, de mener à l'écart<br />
une vie de caste religieuse et d'être ainsi, par-dessus les frontières, une sorte de secte<br />
internationale, sans patrie réelle, capable un jour, si elle triomphait, de mettre la main sur le<br />
monde. Les Juifs se marient entre eux, gardent un lien de famille très étroit, au milieu du<br />
relâchement moderne, se soutiennent et s'encouragent, montrent, dans leur isolement, une<br />
force de résistance et de lente conquête extraordinaire. Mais surtout ils sont de race pratique<br />
et avisée, ils apportent avec leur sang un besoin du lucre, un amour de l'argent, un esprit<br />
prodigieux des affaires, qui, en moins de cent ans, ont accumulé entre leurs mains des<br />
fortunes énormes, et qui semblent leur assurer la royauté, en un temps où l'argent est roi.<br />
Et tout cela est vrai. Seulement, si l'on constate le fait, il faut l'expliquer. Ce qu'on doit<br />
ajouter, c'est que les Juifs, tels qu'ils existent aujourd'hui, sont notre oeuvre, l’œuvre de nos<br />
dix-huit cents ans d'imbécile persécution. On les a parqués dans des quartiers infâmes, comme<br />
des lépreux, et rien d'étonnant à ce qu'ils aient vécu à part, conservant tout de leurs<br />
traditions, resserrant le lien de la famille, demeurant des vaincus chez des vainqueurs. On les<br />
a frappés, injuriés, abreuvés d'injustices et de violences, et rien d'étonnant à ce qu'ils gardent<br />
au cœur, même inconsciemment, l'espoir d'une lointaine revanche, la volonté de résister, de<br />
se maintenir et de vaincre. Surtout on leur a dédaigneusement abandonné le domaine de<br />
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l'argent, qu'on méprisait, faisant socialement d'eux des trafiquants et des usuriers, et rien<br />
d'étonnant à ce que, lorsque le régime de la force brutale a fait place au régime de<br />
l'intelligence et du travail, on les ait trouvés maîtres des capitaux, la cervelle assouplie,<br />
exercée par des siècles d'hérédité, tout prêts pour l'empire.<br />
Et voilà qu'aujourd'hui, terrifiés devant cette oeuvre d'aveuglement, tremblants de voir ce que<br />
la foi sectaire du moyen âge a fait des Juifs, vous n'imaginez rien de mieux que de retourner à<br />
l'an mille, de reprendre les persécutions, de prêcher de nouveau la guerre sainte pour que lés<br />
Juifs soient traqués, dépouillés, remis en tas, avec la rage dans l'âme, traités en peuple vaincu<br />
parmi un peuple vainqueur !<br />
En vérité, vous êtes des gaillards intelligents, et vous avez là une jolie conception sociale !<br />
*<br />
* *<br />
Eh quoi ! vous êtes plus de deux cents millions de catholiques, on compte à peine cinq millions<br />
de Juifs, et vous tremblez, vous appelez les gendarmes, vous menez un effroyable vacarme<br />
de terreur, comme si des nuées de pillards s'étaient abattues sur le pays. Voilà du courage !<br />
Il me semble que les conditions de la lutte sont acceptables. Sur le terrain des affaires,<br />
pourquoi ne pas être aussi intelligents et aussi forts qu’eux ? Pendant le mois que je suis allé à<br />
la Bourse, pour tâcher d'y comprendre quelque chose, un banquier catholique me disait, en<br />
parlant des Juifs : « Ah ! monsieur, ils sont plus forts que nous, toujours ils nous battront. » Si<br />
cela était vrai, ce serait vraiment humiliant. Mais pourquoi serait-ce vrai ? Le don a beau<br />
exister, le travail et l'intelligence, quand même, peuvent tout. Je connais déjà des chrétiens<br />
qui sont des Juifs très distingués. Le champ est libre, et, s'ils ont eu des siècles pour aimer<br />
l'argent et pour apprendre à le gagner, il n'y a qu'à les suivre sur ce terrain, à y acquérir leurs<br />
qualités, à les battre avec leurs propres armes. Mon Dieu ! oui, cesser de les injurier<br />
inutilement, et les vaincre en leur étant supérieur. Rien n'est plus simple, et c'est la loi même<br />
de la vie.<br />
Quelle satisfaction orgueilleuse doit être la leur, devant le cri de détresse que vous poussez !<br />
N'être qu'une minorité infime et nécessiter un tel déploiement de guerre ! Tous les matins,<br />
vous les foudroyez, vous battez désespérément le rappel, comme si la cité se trouvait en péril<br />
d'être prise d'assaut ! A vous entendre, il faudrait rétablir le ghetto, nous aurions encore la rue<br />
des Juifs, qu'on barrerait le soir avec des chaînes. Et ce serait chose aimable, cette quarantaine,<br />
dans nos libres villes ouvertes. Je comprends qu'ils ne s'émotionnent pas et qu'ils<br />
continuent à triompher sur tous nos marchés financiers, car l'injure est la flèche légendaire qui<br />
retourne crever l’œil du méchant archer. Continuez donc à les persécuter, si vous voulez qu'ils<br />
continuent à vaincre !<br />
La persécution, vraiment, vous en êtes encore là ? Vous en êtes encore à cette belle<br />
imagination qu'on supprime les gens en les persécutant ? Eh ! c'est tout le contraire ; pas une<br />
cause n'a grandi qu'arrosée du sang de ses martyrs. S'il y a encore des Juifs, c'est de votre<br />
faute. Ils auraient disparu, se seraient fondus, si on ne les avait pas forcés de se défendre, de<br />
se grouper, de s'entêter dans leur race. Et, aujourd'hui encore, leur plus réelle puissance vient<br />
de vous, qui la rendez sensible en l'exagérant. On finit par créer un danger, en criant chaque<br />
matin qu'il existe. A force de montrer au peuple un épouvantail, on crée le monstre réel. Ne<br />
parlez donc plus d'eux, et ils ne seront plus. Le jour où le Juif ne sera qu'un homme comme<br />
nous, il sera notre frère.<br />
Et la tactique s'indique, absolument opposée. Ouvrir les bras tout grands, réaliser socialement<br />
l'égalité reconnue par le Code. Embrasser les Juifs, pour les absorber et les confondre en nous.<br />
Nous enrichir de leurs qualités, puisqu'ils en ont. Faire cesser la guerre des races en mêlant les<br />
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races. Pousser aux mariages, remettre aux enfants le soin de réconcilier les pères. Et là<br />
seulement est l’œuvre d'unité, l’œuvre humaine et libératrice.<br />
*<br />
* *<br />
L'antisémitisme, dans les pays où il a une réelle importance, n'est jamais que l'arme d'un parti<br />
politique ou le résultat d'une situation économique grave.<br />
Mais, en France, où il n'est pas vrai que les Juifs, comme on veut nous en convaincre, soient<br />
les maîtres absolus du pouvoir et de l'argent, l'antisémitisme reste une chose en l'air, sans<br />
racines aucunes dans le peuple. Il a fallu, pour créer une apparence de mouvement, qui n'est<br />
au fond que du tapage, la passion de quelques cerveaux fumeux, où se débat un louche catholicisme<br />
de sectaires, poursuivant jusque dans les Rothschild, par un abus de littérature, les<br />
descendants du Judas qui a livré et - crucifié son Dieu. Et j'ajoute que le besoin d'un terrain de<br />
vacarme, la rage de se faire lire et de conquérir une notoriété retentissante, n'ont<br />
certainement pas été étrangers à cet allumage et à cet entretien public de bûchers, dont les<br />
flammes sont heureusement de simple décor.<br />
Aussi quel échec lamentable ! Quoi ? depuis de si longs mois, tant d'injures, tant de délations,<br />
des Juifs dénoncés chaque jour comme des voleurs et des assassins, des chrétiens même dont<br />
on fait des Juifs quand on les veut atteindre, tout le monde juif, traqué, insulté, condamné !<br />
Et, au demeurant, rien que du bruit, de vilaines paroles, des passions basses étalées, mais pas<br />
un acte, pas un coin de foule ameuté, ni un crâne fendu, ni une vitre cassée ! Faut-il que notre<br />
petit peuple de France soit un bon peuple, et sage, et honnête, pour ne pas écouter ces appels<br />
quotidiens à la guerre civile, pour garder sa raison, au milieu de ces excitations abominables,<br />
cette demande journalière du sang d'un Juif ! Ce n'est plus d'un prêtre que le journal déjeune<br />
chaque matin, mais d'un Juif, le plus gras, le plus fleuri qu'on puisse trouver. Déjeuner aussi<br />
médiocre que l'autre, et pour le moins aussi sot. Et, de tout cela, il ne reste que la laideur de<br />
la besogne, la plus folle et la plus exécrable qui soit à faire, la plus inutile aussi,<br />
heureusement, puisque les passants de la rue ne tournent même pas la tête, laissant les<br />
énergumènes se débattre comme des diables dans de louches bénitiers.<br />
L'extraordinaire est qu'ils affectent la prétention de faire une oeuvre indispensable et saine.<br />
Ah ! les pauvres gens, comme je les plains, s'ils sont sincères ! Quel épouvantable document .<br />
ils vont laisser sur eux : cet amas d'erreurs, de mensonges, de furieuse envie, de démence<br />
exagérée, qu'ils entassent quotidiennement ! Quand un critique voudra descendre dans ce<br />
bourbier, il reculera d'horreur, en constatant qu'il n'y a eu là que passion religieuse et<br />
qu'intelligence déséquilibrée. Et c'est au pilori de l'histoire qu'on les clouera, ainsi que des<br />
malfaiteurs sociaux, dont les crimes n'ont avorté que grâce aux conditions de rare<br />
aveuglement dans lesquelles ils les ont commis.<br />
Car là est ma continuelle stupeur, qu'un tel retour de fanatisme, qu'une telle tentative de<br />
guerre religieuse, ait pu se produire à notre époque, dans notre grand Paris, au milieu de notre<br />
bon peuple. Et cela dans nos temps de démocratie, d'universelle tolérance, lorsqu'un immense<br />
mouvement se déclare de partout vers l'égalité, la fraternité et la justice ! Nous en sommes à<br />
détruire les frontières, à rêver la communauté des peuples, à réunir des congrès de religions<br />
pour que les prêtres de tous les cultes s'embrassent, à nous sentir tous frères par la douleur, à<br />
vouloir tous nous sauver de la misère de vivre, en élevant un autel unique à la pitié humaine !<br />
Et il y a là une poignée de fous, d'imbéciles ou d'habiles, qui nous crient chaque matin : «<br />
Tuons les Juifs, mangeons les Juifs, massacrons, exterminons, retournons aux bûchers et aux<br />
dragonnades ! » Voilà qui est bien choisir son moment ! Et rien ne serait plus bête, si rien<br />
n'était plus abominable !<br />
*<br />
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* *<br />
Qu'il y ait, entre les mains de quelques Juifs, un accaparement douloureux de la richesse, c'est<br />
là un fait certain. Mais le même accaparement existe chez des catholiques et chez des<br />
protestants. Exploiter les révoltes populaires en les mettant au service d'une passion<br />
religieuse, jeter surtout le juif en pâture aux revendications des déshérités, sous le prétexte<br />
d'y jeter l'homme d'argent, il y a là un socialisme hypocrite et menteur, qu'il faut dénoncer,<br />
qu'il faut flétrir. Si, un jour, la loi du travail se formule pour la vérité et pour le bonheur, elle<br />
recréera l'humanité entière ; et peu importera qu'on soit Juif ou qu'on soit chrétien, car les<br />
comptes à rendre seront les mêmes, et les mêmes aussi les nouveaux droits et les nouveaux<br />
devoirs.<br />
Ah ! cette unité humaine, à laquelle nous devons tous nous efforcer de croire, si nous voulons<br />
avoir le courage de vivre, et garder dans la lutte quelque espérance au cœur ! C'est le cri,<br />
confus encore, mais qui peu à peu va se dégager, s'enfler, monter de tous les peuples,<br />
affamés de vérité, de justice et de paix. Désarmons nos haines, aimons-nous dans nos villes,<br />
aimons-nous par-dessus les frontières, travaillons à fondre les races en une seule famille enfin<br />
heureuse ! Et mettons qu'il faudra des mille ans, mais croyons quand même à la réalisation<br />
finale de l'amour, pour commencer du moins à nous aimer aujourd'hui autant que la misère<br />
des temps actuels nous le permettra. Et laissons les fous, et laissons les méchants retourner à<br />
la barbarie des forêts, ceux qui s'imaginent faire de la justice à coups de couteau.<br />
Que Jésus dise donc à ses fidèles exaspérés qu'il a pardonné aux Juifs et qu'ils sont des<br />
hommes !<br />
Le mot antisémitisme a été inventé en 1879 par un journaliste allemand, Wilhelm Marr, pour<br />
désigner la haine des juifs, c'est-à-dire des pratiquants de la religion développée par les<br />
Hébreux.<br />
Wilhelm Marr publie en mars de cette année-là un pamphlet intitulé : La victoire du judaisme<br />
sur la germanité considérée d'un point de vue non confessionnel. Dans la foulée, il participe le<br />
26 septembre 1879 à une réunion en vue de la création d'une «Ligue des antisémites»<br />
(Antisemiten-Liga).<br />
Dès le 2 septembre 1879, le journal juif Allgemeine Zeitung des Judenthums révèle le projet<br />
de Wilhelm Marr de créer aussi un hebdomadaire antisémite («antisemitische Wochenblatt»).<br />
C'est ainsi qu'apparaît pour la première fois un mot appelé à une sinistre diffusion (*) .<br />
Le mot tire son origine de Sem, fils de Noé et ancêtre d'Abraham. Selon la Bible, Abraham<br />
engendra Ismaël avec sa servante Agar et Isaac avec son épouse Sara. Du premier<br />
descendraient les Arabes et du second les Hébreux.<br />
Bien avant Wilhelm Marr, les linguistes européens ont identifié une origine commune aux<br />
langues hébraïque, arabe, araméenne, assyrienne et guèze (éthiopien ancien). En souvenir de<br />
la Bible, ils ont rangé toutes ces langues sous l'épithète sémitique.<br />
En employant le mot antisémitisme pour désigner la haine des juifs et d'eux seuls, Wilhelm<br />
Marr et ses émules commettent une double erreur : 1) ils assimilent une catégorie linguistique<br />
(les langues sémitiques) à une catégorie raciale, 2) ils réduisent les usagers des langues<br />
sémitiques aux juifs en oubliant les Phéniciens, les Arabes,... Du fait de cette étymologie<br />
déficiente, le mot antisémitisme suscite une question récurrente : un arabophone qui hait les<br />
juifs peut-il être qualifié d'antisémite ? Le mot antijuif serait mieux adapté... mais la tradition<br />
historique s'oppose à son emploi.<br />
(Il termine antisemitismo venne coniato per la prima volta nel suo significato moderno nel 1879<br />
dallo storico tedesco Wilhelm Marr….(….) non c’è dubbio che l’ultimo quarto del secolo XIX sia<br />
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QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
da considerarsi il periodo centrale per la genesi di quel complesso di azioni politiche,interventi<br />
ideologici, strumentalizzazioni giornalistiche, pregiudizi religiosi, diffidenza e odio che è<br />
conosciuto oggi col nome di antisemitismo<br />
Les rafles en France<br />
Les rafles sont des arrestations collectives qui ont pour but d’enfermer un<br />
groupe social, soit pour le maintenir dans un camp de concentration, soit pour<br />
remplir des trains de déportation.<br />
Après la définition légale du juif, les interdits professionnels et<br />
l’aryanisation économique, après la mise à l’écart de la communauté nationale,<br />
elles annoncent l’extermination, la disparition physique d’hommes, de femmes,<br />
d’enfants de tous âges, qui ont en commun d’être juifs.<br />
Les rafles de l’été 1941.<br />
L’année 41 est marquée, en zone occupée, par trois rafles.<br />
1. La 1ère date du 14 mai.<br />
Elle frappe à Paris les juifs polonais, tchécoslovaques et ex-<br />
Autrichiens de 18 à 40 ans pour les premiers, de 18 à 60 ans pour<br />
les autres. La préfecture de police distribue 6500 convocations pour<br />
« vérification ».<br />
Les Allemands ont exigé des Français qu’ils appliquent la loi du 4<br />
octobre 1940. Cette opération est rondement menée grâce à<br />
l’utilisation du fichier juif que gère la Préfecture et qu’elle<br />
communique aux Allemands. Elle a permis l’internement de 60% des<br />
Juifs étrangers convoqués.<br />
2. La 2ème rafle a lieu, pour l’essentiel, à Paris du 20 au 23 août.<br />
Elle est en partie liée au projet de colonisation des Ardennes et a<br />
pour justification essentielle des activités de guérilla communiste<br />
que l’invasion de l’URSS a déclenchées.<br />
La police municipale est chargée de procéder à la rafle en<br />
collaboration avec la Feldgendarmerie.<br />
4232 arrestations. L’internement est fixé à Drancy, à deux pas de<br />
Paris, dans un camp qu’on vient d’inaugurer.<br />
3. La 3ème date du 12 décembre.<br />
L’explication la plus souvent donnée, notamment à l’époque, c’est<br />
que les Allemands réagissent à leur manière à l’entrée en guerre des<br />
Etats-Unis et font payer aux Juifs les conséquences de Pearl<br />
Harbour. Rien n'est plus faux.<br />
743 hommes, de nationalité française, sont arrêtés au petit matin.<br />
300 juifs étrangers sont arrêtés -pour que la rafle atteigne le<br />
chiffre de 1000- ce qui correspondra à un convoi de déportation. Un<br />
peu plus de 900 seront déportés à Auschwitz dès le mois de mars<br />
1942, après un passage à Compiègne.<br />
De décembre 1941 à juillet 1942, les rafles sont interrompues. Sans doute parce<br />
qu’en dépit d’une série d’ordonnances et de décrets qui réduisent de plus en<br />
plus la liberté des juifs les Allemands n’ont pas les moyens matériels, c’est-àdire<br />
pas assez de trains pour assurer « l’évacuation vers l’Est »<br />
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La rafle du Vel’d’Hiv’.<br />
Depuis le 16 avril 42, Pierre Laval est revenu aux affaires et détient des<br />
pouvoirs considérables sur le plan de la politique intérieure, comme sur<br />
celui de la politique étrangère. Louis Darquier de Pellepoix,<br />
professionnel de l’antisémitisme outrancier, tout dévoué à Dannecker et à<br />
ses services a remplacé Xavier Vallat. René Bousquet, un fidèle de Laval,<br />
accède aux fonctions de secrétaire général de la Police.<br />
Le 11 juin, Eichmann réunit Dannecker et les responsables des sections<br />
juives de Bruxelles et La Haye. Il transmet l’ordre de Himmler de<br />
« transférer au camp de concentration d’Auschwitz une plus grande quantité<br />
de juifs en provenance de l’Europe du sud-est (notamment Roumanie) ou des<br />
régions occupées de l’Ouest. La condition essentielle est que les juifs,<br />
des deux sexes, soient âgés de 16 à 40 ans. 10% de juifs inaptes au<br />
travail pourront être compris dans ces convois. » En conséquence il a été<br />
convenu que 15000 juifs seraient déportés des Pays-Bas, 10.000 de Belgique<br />
et 100.000 de France, y compris la zone non occupée. Le gouvernement<br />
français devra payer les frais de transport des juifs déportés, plus une<br />
taxe de 700 Reichsmark par déporté, et assurer leur ravitaillement pendant<br />
15 jours.<br />
La négociation avec le gouvernement de Vichy commence en mai et se termine<br />
en août. Les contraintes du trafic ferroviaire oblige Dannecker à revoir<br />
les chiffres à la baisse. Et puis, soudainement, deux décisions<br />
essentielles sont prises. Le 2 juillet, Bousquet promet que la Police<br />
française arrêtera les juifs de zone occupée comme ceux de zone libre et<br />
le 4 juillet, Laval fait une proposition que Dannecker transmet, le 6, à<br />
Berlin : « Le Président Laval a proposé, lors de la déportation des<br />
familles juives de la zone non occupée, d’y comprendre également les<br />
enfants âgés de moins de 16 ans. La question des enfants juifs restant en<br />
zone occupée ne l’intéresse pas. (...) » Ce qui revient à dire que Laval<br />
sauve des juifs français en offrant aux allemands la déportation des<br />
enfants juifs, le plus souvent nés en France, donc français pour la<br />
plupart.<br />
La rafle, d’abord prévue aux 13 et 14 juillet est reportée aux 16 et 17,<br />
pour éviter qu’elle ne coïncide avec le jour de la fête nationale.<br />
Aucun allemand ne participe directement aux opérations.<br />
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Sans l’aide des forces du maintien de l’ordre de Vichy, les Allemands<br />
auraient été démunis. C’est ce qui rend plus tragique encore le dénouement<br />
de la rafle du Vel’d’hiv’.<br />
Une fois arrêtés les juifs sont conduits jusqu’aux autobus de la TCRP ou<br />
jusqu’aux cars de la police. Les autobus conduisent à Drancy les hommes et<br />
les femmes sans enfants, au Vel’d’’Hiv’ les familles avec enfants. Dès 7 h<br />
du matin, Drancy reçoit 6000 personnes. Au Vel’D’Hiv’, 7000 détenus dont<br />
4000 enfants. Ils attendent ainsi six jours avant d’être transférés dans<br />
les deux camps du Loiret.<br />
Au total 12 884 personnes ont été arrêtées, soit 46% des juifs étrangers<br />
et apatrides qui devaient être internés. Parmi eux 3031 hommes, 5802<br />
femmes, 4051 enfants.<br />
La rafle parisienne est suivie d’autres rafles en zone occupée.<br />
C’est maintenant la chasse aux hommes, aux femmes, aux enfants qui est<br />
ouverte.<br />
Les rafles en zone libre sont organisées avec la même minutie qu’au nord<br />
de la ligne de démarcation. Elles touchent les mêmes catégories de juifs.<br />
Elles sont exécutées par les seules forces françaises du maintien de<br />
l’ordre et revêtent une ampleur exceptionnelle.<br />
Les rafles de 1943 et 1944.<br />
Les deux années qui précédent la libération de la France sont, plus encore<br />
que les précédentes, des années noires.<br />
Le 11 novembre 1942 les Allemands ont envahi la zone libre qui devient la<br />
zone « sud ». A tout moment les juifs risquent d’être arrêtés, internés<br />
puis déportés.<br />
Les rafles sont locales, tantôt exécutées par la Gestapo, tantôt par les<br />
forces de police qui obéissent à Vichy, quand ce n’est pas en<br />
collaboration. Désormais juifs étrangers et juifs français sont les<br />
victimes, sans distinction.<br />
Drancy (France)<br />
L'histoire des camps de concentration en France est un des chapitres les plus difficile et délicat<br />
à examiner. En 1939 déjà, avant l'invasion de la France par l'Allemagne nazie, le<br />
gouvernement français avait ouvert des camps destinés à "accueillir" les réfugiés républicains<br />
espagnols fuyant le régime fachiste de Franco. Ces camps étaient gardés par la police<br />
française et dès 1940, le gouvernement de Petain à remis aux autorités nazie ces réfugiés<br />
politiques. Tous furent transférés vers les camps de concentration et bien peu survécurent.<br />
Le camp de Drancy était situé dans la région parisienne. Comme beaucoup d'autres camps en<br />
France, il fut créé par le gouvernement de Philippe Pétain et était gardé par la police française.<br />
En 1941, les premières grandes rafles anti-juifs eurent lieu et les prisonniers juifs furent<br />
envoyés à Drancy. Il existe de nombreux témoignages des mauvais traitement et de la<br />
brutalité dont ont fait preuve les gardes français vis-à-vis des juifs internés dans le camp. Les<br />
conditions de vie y étaient très difficiles par manque de soins et de nourriture (Près de 3000<br />
personnes moururent de faim et de manque de soins dans l'ensemble des camps de<br />
concentration français).<br />
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Drancy<br />
Klaus Barbie, le célèbre "Boucher de Lyon" fut en juin 1942 envoyé de Hollande vers Dijon en<br />
zone occupée. Il avait été décoré de la Croix de Fer pour ses succès dans la persécution et la<br />
déportation des juifs.<br />
*Le 11 juin 1941 : trois cent enfants âges de 14 à 19 ans furent envoyés à Mauthausen en<br />
Autriche afin de "tester" l'efficacité des chambres à gaz. Il n'y eu aucun survivant. *Annette<br />
Kahn "Why My Father Died."<br />
Dans la nuit du 16 au 17 juillet 1942 eu lieu ce qu'on a appelé "La Rafle du Vel'd'Hiv". Cette<br />
opération montée par les nazis après des négociations avec le gouvernement de Pétain et avec<br />
l'aide de la police française avait comme nom de code "Vent printanier". A l'origine, seuls les<br />
juifs âgés de plus de 16 ans devaient être arrêtés et livrés aux nazis. C'est sur proposition du<br />
ministre Laval que les enfants de moins de 16 ans furent également arrêtés. Toutes les<br />
arrestations furent faites par la police française et conduite sous l'autorité d'officier de police<br />
français.<br />
Plus de 12800 personnes (3031 hommes, 5802 femmes et 4051 enfants) furent rassemblées<br />
au Vélodrome d'Hiver et y restèrent cinq jours sans aucun soins ou nourriture. Ils furent<br />
conduits à Drancy, Beaune-la-Rolande ou Pithiviers avant d'être déportés vers Auschwitz. Les<br />
enfants furent séparés de leur parents par les policiers français dés leur arrivée à Drancy. Les<br />
parents furent transférés en Allemagne en premier. Les enfants restèrent plusieurs jours,<br />
quelquefois des semaines, sans soins et sans nourriture adaptée. Ils étaient logés par 100<br />
dans des baraques inachevées. De nombreux enfants à Drancy moururent de maladie ou de<br />
faiblesse. Finalement, ils furent tous transférés en Allemagne et immédiatement gazés. En<br />
tout, près de 6000 enfants venant de toutes les régions de France furent transférés en<br />
Allemagne et exterminés entre le 17 juillet et le 30 septembre 1942.<br />
Outre Drancy, il existait d'autres camps dont voici quelques-uns: Noé, Gurs, Récébédou...<br />
Pendant près de 40 ans, les autorités français refusèrent de reconnaître la responsabilité du<br />
gouvernement de Vichy et de sa police dans la déportation des juifs français. En 1995, le<br />
président Chirac a finalement reconnu cette responsabilité dans un discours en<br />
commémoration des victimes de la "Grande Rafle".<br />
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Le wagon temoin de Drancy<br />
Memorial de Drancy aux JUIFS Déportés<br />
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-LOI <strong>DU</strong> 3 OCTOBRE 1940 PORTANT STATUT DES JUIFS :<br />
(Journal Officiel du 18 Octobre 1940.)<br />
Article premier - Est regardé comme juif, pour l'application de la présente loi, toute personne<br />
issue de trois grands-parents de race juive ou de deux grands-parents de la même race, si son<br />
conjoint lui-même est juif.<br />
Art.2. - L'accès et l'exercice des fonctions publiques et mandats énumérés ci-après sont<br />
interdits aux Juifs :<br />
1° Chef de l'État, membre du gouvernement, Conseil d'État, Conseil de l'Ordre<br />
national de la Légion d'honneur, Cour de Cassation, Cour des comptes, Corps<br />
des Mines, Corps des Ponts et Chaussées, Inspection générale des Finances,<br />
Cours d'appel, Tribunaux de première instance, Justices de Paix, toutes<br />
juridictions d'ordre professionnel et toutes assemblées issues de l'élection ;<br />
2° Agents relevant, du, département des Affaires étrangères, secrétaires<br />
généraux des départements ministériels, directeurs généraux, directeurs des<br />
administrations centrales des ministères, préfets, sous-préfets, secrétaires<br />
généraux des préfectures, inspecteurs généraux des services administratifs au<br />
ministère de l'Intérieur, fonctionnaires de tous grades attachés à tous services<br />
de police ;<br />
3° Résidents généraux, gouverneurs généraux, gouverneurs et secrétaires<br />
généraux des colonies, inspecteurs des colonies ;<br />
4° Membres des corps enseignants ;<br />
5° Officiers des Armées de terre, de Mer et de l'Air ;<br />
6° Administrateurs, directeurs, secrétaires généraux dans les entreprises<br />
bénéficiaires de concessions ou de subventions accordées par une collectivité<br />
publique, postes à la nomination du Gouvernement dans les entreprises<br />
d'intérêt général.<br />
Art. 3 - L'accès et l'exercice de toutes les fonctions publiques autres que celles énumérées à<br />
l'art. 2 ne sont ouverts aux Juifs que s'ils peuvent exciper de l'une des conditions suivantes :<br />
a. Être titulaire de la Carte de combattant 1914-1918 ou avoir été cité au cours<br />
de la campagne 1914-1918 ;<br />
b. Avoir été cité, à l'ordre du jour au cours de la campagne 1939- 1940 ;<br />
c. Être décoré de la légion d'honneur à titre militaire ou de la Médaille<br />
militaire.<br />
Art. 4. – L'accès et l'exercice des professions libérales, des professions libres, des fonctions<br />
dévolues aux officiers ministériels et à tous auxiliaires de la justice sont permis aux juifs, à<br />
moins que des<br />
règlements d'administration publique n'aient fixé pour eux une proportion déterminée. Dans<br />
ce cas, les mêmes règlements détermineront les conditions dans lesquelles aura lieu<br />
l'élimination des juifs en surnombre.<br />
Art. 5. – Les juifs ne pourront, sans condition ni réserve, exercer l'une quelconque des<br />
professions suivantes :<br />
Directeurs, gérants, rédacteurs de journaux, revues, agences ou périodiques, à<br />
l'exception de publications de caractère strictement scientifique.<br />
Directeurs, administrateurs, gérants d'entreprises ayant pour objet la fabrication,<br />
l'impression, la distribution, la présentation de films cinématographiques; metteurs en<br />
scène et directeurs de prises de vues, compositeurs de scénarios, directeurs,<br />
administrateurs, gérants de salles de théâtres ou de cinématographie, entrepreneurs de<br />
spectacles, directeurs, administrateurs, gérants de toutes entreprises se rapportant à la<br />
radiodiffusion.<br />
Des règlements d'administration publique fixeront, pour chaque catégorie, les conditions dans<br />
lesquelles les autorités publiques pourront s'assurer du respect, par les intéressés, des<br />
interdictions prononcées au présent article, ainsi que les sanctions attachées à ces<br />
interdictions.<br />
Art. 6. – En aucun cas, les juifs ne peuvent faire partie des organismes chargés de représenter<br />
les progressions visées aux articles 4 et 5 de la présente loi ou d'en assurer la discipline.<br />
Art. 7 - Les fonctionnaires juifs visés aux articles 2 et 3 cesseront d'exercer leurs fonctions<br />
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dans les deux mois qui suivront la promulgation de la présente loi. Ils seront admis à faire<br />
valoir leurs droits à la retraite, s'ils remplissent les conditions de durée de service ; à une<br />
retraite proportionnelle, s'ils ont au moins quinze ans de service ; ceux ne pouvant exciper<br />
d'aucune de ces conditions recevront leur traitement pendant une durée qui sera fixée, pour<br />
chaque catégorie, par un règlement d'administration publique.<br />
Art. 8 - Par décret individuel pris en Conseil d'État et dûment motivé, les Juifs qui, dans les<br />
domaines littéraires, scientifiques, artistique ont rendu des services exceptionnels à l'Etat<br />
français, pourront être relevés des interdictions prévues par la présente loi.<br />
Ces décrets et les motifs qui les justifient seront publiés au Journal Officiel.<br />
Art. 9. – La présente loi est applicable à l'Algérie, aux colonies, pays de protectorat et<br />
territoires sous mandat.<br />
Art. 10. – Le présent acte sera publié au Journal officiel et exécuté comme loi de l'État.<br />
Fait à Vichy, le 3 octobre 1940.<br />
Par le Maréchal de France, chef de l'État français : Philippe Pétain<br />
Le vice-président du conseil, Pierre LAVAL. (...)<br />
-Le port de l'étoile jaune<br />
Au Moyen-Age, il y avait déjà eu des signes distinctifs. En France, en Espagne<br />
et en Italie, la loi obligeait les Juifs à porter la « rouelle », un rond jaune, sur la<br />
poitrine.<br />
C'est l'Eglise catholique et plus précisément le Pape qui voulait qu'on puisse repérer<br />
les Juifs et éviter des unions entre Juifs et Chrétiens.<br />
Le pape Innocent III publie un décret en 1215, lors du quatrième Concile de Latran,<br />
ordonnant que les Juifs portent des vêtements différents de ceux des Chrétiens. Il s'agit<br />
d'empêcher des mariages entre Juifs et Chrétiens.<br />
Le Concile de Vienne en 1267 ordonne le port d'un chapeau particulier, le Judenhut.<br />
C'est un chapeau plat surmonté d'une tige avec une boule.<br />
En France, c'est Louis IX dit "Saint Louis" qui ordonne en 1269 le port de deux signes<br />
jaune l'un dans le dos, l'autre sur le poitrine, à partir de 14 ans.<br />
Pourquoi le jaune ?<br />
Chez les Chrétiens, le jaune signifiait aussi trahison : Judas est représenté avec<br />
une robe jaune ainsi que les Juifs. Vers la fin du Moyen Age, le jaune est lié au<br />
désordre, à la folie : les bouffons et les fous sont habillés en jaune (le nain jaune). Le<br />
jaune est associé à Lucifer, au soufre, et aux traîtres. Paradoxalement il correspond<br />
aux maris trompés alors qu’originellement il indiquait le trompeur.<br />
Mais tout ce marquage des Juifs est abandonné progressivement. Au XVIème siècle,<br />
ces vêtements, couvre-chefs et marques de reconnaissance ont disparu partout, sauf à<br />
Venise où l'obligation du port du chapeau dura jusqu'à la fin du XVIIIème siècle.<br />
Il faudra le XXème siècle et sa barbarie pour que réapparaissent ces "marques<br />
d'infamie".<br />
En Pologne, dès 1939, pas d'étoile mais un brassard<br />
C'est dès 1939 que les nazis qui ont occupé la Pologne, obligent les habitants à<br />
porter, non une étoile, mais un brassard sur lequel il y avait une étoile :<br />
I. Tous les Juifs et Juives seront obligés de porter un brassard blanc d'une<br />
largeur de 10 cm au moins sur la manche droite de leur vêtement ou pardessus,<br />
à partir du 1er décembre 1939.<br />
II. Les Juifs et les Juives se procureront eux-mêmes les brassards et les<br />
revêtiront d'inscriptions correspondantes.<br />
III. 1) Les contrevenants seront punis de prison.<br />
2) Les tribunaux spéciaux sont compétents à cet effet.<br />
IV. Les dispositions d'application seront publiées par le directeur de la section<br />
d'administration intérieure.<br />
Cracovie, le 23 novembre 1939.<br />
Signé : FRANK, Gouverneur Général pour les territoires polonais occupés.<br />
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Les internés dans le camp de Drancy<br />
Denise Holstein (à droite, portant l'étoile jaune)<br />
et les enfants du foyer de Louveciennes,<br />
juste avant leur arrestation.<br />
Aucun enfant ne reviendra.<br />
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L'Union générale des israélites de France (UGIF) est un organisme créé à la demande du<br />
maréchal Philippe Pétain au cours de la Seconde Guerre mondiale, le 29 novembre 1941,<br />
depuis Vichy. L'un de ses dirigeants, Léo Israélowicz, est accusé d'avoir collaboré avec la<br />
Gestapo.<br />
La mission de l'UGIF est d'assurer la représentation des Juifs auprès des pouvoirs publics,<br />
notamment pour les questions d'assistance, de prévoyance et de reclassement social. Tous les<br />
Juifs demeurant en France sont tenus d'y adhérer, les autres associations juives ayant été<br />
dissoutes et leurs biens donnés à l'UGIF. Les administrateurs de cet organisme appartiennent<br />
pour la plupart à la bourgeoisie juive française, administrateurs nommés par le Commissariat<br />
général aux questions juives, la structure initiée par le gouvernement de Vichy à l'instigation<br />
des nazis pour renforcer les persécutions antisémites. L'UGIF, pour financer ses activités, peut<br />
puiser dans un fonds de solidarité alimenté par les revenus tirés de la confiscation des biens<br />
juifs.<br />
Soixante ans après la fin de la guerre, le rôle de cet organisme n'en finit pas de soulever la<br />
controverse, notamment au sein de la communauté juive. Le rôle de l'UGIF constitue toujours<br />
une source inépuisable de polémiques, aussi bien à l'intérieur qu'à l'extérieur de la<br />
communauté juive. Le sujet est à ce point sensible que les principales études consacrées à<br />
cette organisation, créée à la demande des SS et étroitement surveillée par eux, sont réalisées<br />
par des historiens américains ou israéliens.<br />
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<strong>HISTOIRE</strong> <strong>DU</strong> PEUPLE JUIF<br />
L'antisémitisme du Moyen Age à nos jours<br />
L'antisémitisme accompagne l'histoire du peuple juif depuis toujours.<br />
L'exposition proposée aujourd’hui est un voyage dans le temps et dans l'espace.<br />
Elle raconte les sombres épisodes de la mémoire juive allant de la première croisade à l'antisémitisme<br />
contemporain sur Internet.<br />
Le Moyen Age, la Montée de l'antisémitisme, le Nazisme, et la Shoah sont les trois grands chapitres<br />
qui composent cette exposition .<br />
Il s'agit d'abord d'informer le lecteur sur les origines de cette idéologie de la haine et sur son<br />
cheminement à travers les siècles.<br />
Mais ce projet a aussi pour ambition de susciter dans l'esprit de tout à chacun la volonté de défendre<br />
les valeurs universelles que sont la tolérance, le respect de la différence et des Droits de l'Homme.<br />
Pourquoi cette exposition ?<br />
Les préjugés à l'égard des gens ou des cultures peu connues apparaissent dans tous<br />
les pays et à toutes les époques.<br />
Certains préjugés sont anodins ; toutefois d'autres sont beaucoup plus pernicieux et peuvent<br />
engendrer oppression et persécution.<br />
Historiquement , les Juifs sont certainement l'un des peuples ayant le plus souffert des préjugés.<br />
En Europe, la haine des juifs est ancrée dans le christianisme, religion qui s'est développée à partir du<br />
judaisme.<br />
Durant des siècles, les Juifs ont été la seule minorité religieuse de l'Europe chrétienne, souvent mal<br />
compris et inspirant la suspicion chez les gens, opprimés par l'Eglise et exploités par les dirigeants.<br />
L'intolérance religieuse a conduit à la discrimination et à l'isolement.<br />
Un climat s'est instauré et a rendu crédible nombre de légendes et de mythes concernant les Juifs et<br />
le judaïsme, dont certains subsistent encore de nos jours.<br />
Cependant, en dépit de ce contexte très difficile, les communautés juives ont entretenu leur religion,<br />
tout comme leurs traditions sociales et culturelles.<br />
Cette exposition illustre l'histoire des attitudes hostiles aux juifs et de l'antisémitisme actuel, forme<br />
d'intolérance qui, durant ce siècle, a causé la mort de millions de gens.<br />
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L'exposition décrit également l'histoire des Juifs en Europe afin d'apporter la lumière sur leur vie,<br />
leur religion et leur culture.<br />
L'histoire de l'antisémitisme démontre combien les préjugés et l'intolérance, peuvent s'avérer<br />
dangereux, en particulier en période d'incertitude politique et d'accroissement des tensions sociales.<br />
LES DEBUTS DE L'ANTISEMITISME<br />
Les temps bibliques<br />
Abraham, le père des trois principales religions monothéistes (le judaïsme, le christianisme et l'islam.),<br />
a prés de 1850 ans avant notre ère, conduit sa famille au pays de Chanaan où allait naître une nouvelle<br />
nation - le peuple d'Israël. Au cours de ces siècles avant Jésus-Christ (av, JC».), les Hébreux (Ancien<br />
peuple juif) ont dû subir des persécutions intermittentes car - allant en cela à l'encontre de la culture<br />
répandue à l'époque, qui était d'adopter la religion du lieu ou du dirigeant - ils refusaient pour leur part<br />
d'adorer les idoles des royaumes du Moyen Orient. Cette, opposition au culte des idoles était assimilée<br />
à de l'entêtement et mal ressentie.<br />
L'antijudaïsme<br />
Après l'avènement du christianisme un nouvel antijudaïsme est apparu. À l'origine on considérait le<br />
christianisme simplement comme une secte juive parmi d'autres,,-,,, puisque Jésus et les disciples<br />
étaient Juifs et prêchaient une forme de judaïsme, En l'an 70 de notre ère.. l'état Juif a été détruit<br />
par Rome et la plupart des Juifs ont été dispersés à travers l'ensemble du monde antique,<br />
Les premiers siècles après la crucifixion de Jésus par les Romains ont été témoins d'une coexistence<br />
parfois pacifique, parfois lourde d'animosité - entre les adeptes du judaïsme et du christianisme, qui<br />
cherchaient à faire du prosélytisme pour leur foi respective dans les mêmes pays.<br />
Avec la conversion des empereurs romains, le christianisme est devenu la seule religion officielle de<br />
l'Empire et les premiers pères de l'Eglise se sont efforcés de l'établir en tant que successeur du<br />
Judaïsme.<br />
La réticence des Juifs à accepter Jésus comme le Messie a été assimilée à une menace pour les<br />
dirigeants romains et la foi chrétienne, Dans la mesure où les deux religions procédaient l'une comme<br />
l'autre de la Bible hébreue.<br />
Les Chrétiens ont cherché à établir la validité de leur nouvelle religion en prétendant qu'elle remplaçait<br />
le judaïsme.<br />
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Le Moyen Age<br />
Au cours des trois siècles qui ont suivi (de 300 à 600 de notre ère) a vu le jour un nouveau schéma de<br />
discrimination institutionnalisée vis-à-vis des Juifs L'on a successivement interdit les mariages mixtes<br />
entre Juifs et Chrétiens (.399), écarté les Juifs des hautes sphères, gouvernementales (439 ),et exclu<br />
leur témoignage à charge contre des Chrétiens devant les tribunaux (531),<br />
Parallèlement à la mise officielle des Juifs au ban de la société, il s'est développé à leur sujet en<br />
Europe du Nord certaines idées bizarres qui présageaient l'antisémitisme du 20 è` siècle. Le bruit a<br />
couru que les Juifs avaient une queue et des cornes et se livraient au meurtre rituel de Chrétiens.<br />
Cette dernière assertion, désignée sous le terme de "libelle du sang", a germé en 1150 dans<br />
l'imagination de Thornas de Monmouth pour expliquer la mort mystérieuse d'un petit Chrétien, On la<br />
retrouve régulièrement dans les rythes anglais et allemand.<br />
Au sein de diverses communautés, les Juifs se sont subitement vu accuser d'avoir empoisonné des<br />
puits.<br />
Images chrétiennes des juifs<br />
Dans l'Europe du Moyen Âge, le christianisme est la religion dominante. Non seulement l'Église<br />
catholique détient-elle la plus haute autorité morale, mais encore les évêques coopèrent-ils avec la<br />
noblesse dans le gouvernement des états chrétiens. Puisque l'origine du christianisme remonte aux<br />
communautés juives du Moyen-Orient, l'attitude de l'Église envers les juifs reste indécise : faut-il<br />
obliger ou inciter tous les juifs à se convertir au christianisme, ou faut-il leur permettre de continuer<br />
de pratiquer leur religion, avec de nombreuses restrictions, en les maintenant en marge de la société et<br />
en leur rappelant constamment la supériorité du christianisme sur le judaïsme ? Dans beaucoup<br />
d'églises apparaissent des images symbolisant la « Victoire du christianisme (Ecclesia) sur le judaïsme<br />
(Synagoga) ». Les juifs sont dépeints comme des traîtres et des déicides. Souvent, ils sont représentés<br />
avec un porc - image particulièrement insultante puisque la religion juive considère les porcs comme<br />
impurs. Puisque le christianisme est devenu la religion officielle de l'Empire romain, de nombreuses<br />
illustrations bibliques du Moyen Âge minimisent le rôle des Romains dans le procès et la crucifixion du<br />
Christ. Ce sont plutôt des juifs vêtus de costumes moyenâgeux qui sont représentés comme les<br />
principaux coupables. » À une époque où la grande majorité de la population est illettrée, cette<br />
iconographie d'église joue un rôle essentiel dans la propagation d'une image négative des juifs et du<br />
judaïsme.<br />
La Première Croisade<br />
Pendant les 700 premières années du christianisme, les communautés juives d'Europe sont rarement<br />
menacées directement. La situation change lorsque le pape Urbain exhorte les fidèles en 1095 à partir<br />
en croisade pour libérer Jérusalem des infidèles. En chemin pour Jérusalem, les croisés déciment les<br />
communautés juives le long du Rhin et du Danube. « Comment, s'exclament-ils, devrions-nous attaquer<br />
les infidèles en Terre Sainte, et laisser en repos les infidèles en notre sein ? ».<br />
Le 25 mai 1096, environ 800 juifs sont assassinés à Worms (Allemagne), et beaucoup d'autres<br />
choisissent le suicide. À Regensburg, les juifs sont jetés dans le Danube, pour y être « baptisés ». À<br />
Mayence, Cologne, Prague et dans beaucoup d'autres villes, des milliers de juifs sont tués, leurs biens<br />
pillés.<br />
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Les croisades confirment, dans les dogmes de l'Église et les lois des États de toute l'Europe<br />
chrétienne, le statut des juifs comme citoyens de second ordre. Elles inaugurent une période<br />
d'oppression et d'insécurité qui ne prendra fin qu'au XVIII', siècle.<br />
Les mythes antijuifs<br />
Au Moyen Âge, la croyance aux miracles et aux légendes est courante. Deux mythes à caractère<br />
antijuif font leur apparition en Europe : profanation de l'hostie et meurtre rituel. Ces deux mythes<br />
survivront jusqu'au XX' siècle. Selon d'autres croyances populaires du Moyen Age, les juifs portent<br />
des cornes et une queue, attributs du diable. En 1215, l'Église proclame que la chair et le sang de<br />
Jésus-Christ sont contenus dans l'hostie et le vin consacrés. À partir de cette date, des rumeurs<br />
commencent à circuler selon lesquelles les juifs volent, mutilent ou brûlent l'hostie afin de tuer Jésus<br />
une fois de plus. Les miracles font partie intégrante de ces mythes : l'hostie mutilée saigne, prouvant<br />
le bien-fondé de la doctrine et la vérité de la foi chrétienne. Selon l'accusation de meurtre rituel, les<br />
juifs tuent des enfants chrétiens afin de satisfaire leur prétendu besoin de « sang chrétien » pour la<br />
confection du pain de la Pâque ou pour d'autres rites religieux. Même si le haut clergé et l'État<br />
s'opposent dans bien des cas à la propagation de ces rumeurs, celles-ci se perpétuent dans les<br />
croyances populaires, soutenues et encouragées par le clergé local, qui transforme les lieux des<br />
prétendus meurtres en lieux de pèlerinage.<br />
L'accusation de meurtre rituel sert de leitmotiv aux légendes les plus néfastes et les plus cruelles<br />
faisant partie de l'arsenal des croyances antijuives, perpétuant le mythe de la nature mauvaise et<br />
inhumaine des juifs et incitant les populations chrétiennes à une vengeance sanglante. Les accusations<br />
de meurtres rituels refont surface au XX' siècle en Russie et dans la propagande nazie.<br />
La discrimination systématique<br />
En 1215, le pape décrète que les juifs doivent porter sur leurs vêtements des marques spécifiques pour<br />
les distinguer plus clairement des chrétiens. L'Église veut empêcher les chrétiens de fréquenter des<br />
juifs à leurs dépens. Ces signes vestimentaires distinctifs ne sont pas uniformes dans certains<br />
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endroits, les juifs doivent porter une rouelle jaune ou rouge, ailleurs un bonnet pointu, le « bonnet juif<br />
».<br />
Au fur et à mesure des années, les juifs sont obligés de vivre dans des ghettos entourés de murs. Vu<br />
l'interdiction d'agrandir le ghetto, il devient de plus en plus surpeuplé.<br />
La discrimination va encore plus loin, jusqu'à nier un droit encore plus fondamental : les juifs n'ont pas<br />
le droit de résider en permanence dans les villes et les villages. De plus en plus, ils doivent s'adonner au<br />
commerce, au colportage et au prêt sur intérêt, et sont seulement admis dans les villes pendant une<br />
période limitée, lorsque le développement économique exige l'expansion des échanges commerciaux et<br />
du crédit. Ils sont frappés d'impôts supplémentaires. Lorsque la situation économique change ou que les<br />
marchands locaux sont trop endettés envers eux, leurs permis ne sont pas reconduits. Souvent, les<br />
juifs sont purement et simplement expulsés. De nombreuses communautés doivent verser des impôts au<br />
roi ou au prince en retour de sa « protection ». Dans les États allemands, les juifs sont considérés<br />
comme la propriété de l'Empereur, qui vend aux princes et évêques locaux le droit de les taxer.<br />
Souvent, les communautés juives sont tiraillées entre les intérêts économiques rivaux des citadins et<br />
des princes locaux « propriétaires » des juifs.<br />
L'usure<br />
Pendant la seconde moitié du Moyen Âge, les villes se développent et le commerce connaît une grande<br />
expansion. De nombreuses fonctions économiques antérieurement dévoluées aux juifs sont prises en<br />
charge par d'autres groupes. Un nombre croissant de professions et de métiers s'organisent en<br />
guildes. Puisque seuls les membres des guildes sont admis à pratiquer ces professions, et que les<br />
nouveaux membres doivent prêter serment sur le Nouveau Testament, les juifs en sont en pratique<br />
exclus. En Europe occidentale et centrale, les juifs doivent au fur et à mesure renoncer à toutes les<br />
professions. En définitive, il ne leur reste que le commerce ou le prêt sur intérêt. De nombreuses<br />
communautés juives sombrent dans la pauvreté, et quelques-unes seulement continuent de prospérer.<br />
L'Église interdit aux chrétiens de prêter sur intérêt, mais le besoin de crédit augmente dans une<br />
économie en expansion. Les juifs sont souvent les seuls prêteurs. Les taux d'intérêts sont élevés en<br />
raison des risques et de la pénurie de capitaux.<br />
Les juifs sont identifiés à l'usure, c'est-à-dire au prêt d'argent à des intérêts exorbitants. Un autre<br />
stéréotype du «juif » apparaît: le pauvre colporteur d'articles d'occasion. Ces deux images<br />
contradictoires des juifs, l'usurier dur et injuste et le colporteur pauvre et rusé, survivront jusqu'au<br />
XXe siècle.<br />
Les expulsions et la peste noire<br />
Après les croisades, les expulsions des communautés juives entières deviennent fréquentes. En 1290,<br />
tous les juifs d'Angleterre (environ 16 000 personnes) sont expulsés. Ce n'est qu'au XVII' siècle que<br />
des communautés s'établissent de nouveau dans ce pays. En 1306, les juifs sont aussi expulsés de<br />
France. Des accusations de meurtre rituel et des émeutes antijuives aboutissent à des expulsions.<br />
Profitant des sentiments antijuifs, les seigneurs locaux, les magistrats municipaux ou les marchands<br />
saisissent l'occasion de se débarrasser des prêteurs juifs envers qui ils sont endettés, ou encore qui<br />
constituent pour eux des concurrents indésirables. Les intérêts économiques motivent à la fois<br />
l'acceptation et l'expulsion des juifs.<br />
Le XlVe siècle est assombri par une immense catastrophe : l'Europe est frappée par la peste. Entre<br />
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1348 et 1350, les épidémies tuent des millions de personnes, le tiers de la population européenne. Les<br />
causes réelles étant inconnues, les étrangers, les voyageurs et les juifs (la seule minorité non<br />
chrétienne dans tous les pays affectés) sont accusés d'avoir répandu la maladie. Beaucoup de gens<br />
croient que les communautés juives se vengent des décennies d'hostilité antijuive en empoisonnant les<br />
puits et les sources d'approvisionnement en eau. Au fur et à mesure de la progression de l'épidémie<br />
depuis l'Espagne et l'Italie, vers le nord jusqu'en Angleterre et en Pologne, environ 3 00 communautés<br />
juives sont attaquées et des milliers de juifs sont tués. Dans les États allemands, presque toutes les<br />
communautés juives sont expulsées.<br />
En 1478, le pape permet la création d'une Inquisition spéciale en Espagne visant essentiellement la<br />
persécution des juifs restés fidèles au judaïsme après les conversions forcées. Des milliers<br />
d'autodafés (« actes de foi ») ont lieu, au cours desquels des juifs sont brûlés sur le bûcher, ou<br />
étranglés s'ils avouent. En 1492, les Rois Catholiques, Ferdinand et Isabelle, expulsent tous les juifs du<br />
Portugal et de l'Espagne, exilant environ 150 000 personnes et détruisant les communautés prospères.<br />
Des expulsions sporadiques de communautés juives se poursuivront en Europe jusqu'au XIXe siècle.<br />
Les juifs de Pologne et de Lituanie<br />
Les groupes juifs qui émigrent en Pologne et en Lituanie à partir du XIIIe siècle forment le noyau des<br />
communautés juives polonaises et russes. Les rois de Pologne invitent les juifs à s'établir dans leurs<br />
États, dans l'espoir de relancer l'économie. Après l'expulsion des juifs d'Espagne et les persécutions<br />
qui se poursuivent en Europe occidentale, la Pologne et la Lituanie deviennent dès le XVI' siècle le<br />
nouveau centre de la vie culturelle juive en Europe.<br />
On y parle le yiddish, mélange d'allemand médiéval et d'hébreu.<br />
Les juifs de Pologne jouissent d'une plus grande liberté dans le choix de leurs professions, mais leur<br />
statut juridique reste le même que dans l'Ouest. Certaines villes, comme Varsovie en 1527, reçoivent le<br />
privilège « de ne pas avoir à tolérer de juifs », ce qui signifie que les juifs ne sont pas autorisés à s'y<br />
établir.<br />
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En Lituanie cependant, les juifs ont pratiquement les mêmes droits que la population chrétienne et<br />
commencent à former, avec elle, une classe d'artisans et de marchands. Comme les juifs savent<br />
généralement lire et écrire, ils administrent souvent des domaines appartenant à l'État ou à la<br />
noblesse, et prennent en mains la perception des impôts ou la vente du sel et de l'alcool. Ce rôle<br />
d'intermédiaire entre la noblesse et la vaste paysannerie les rend particulièrement vulnérables pendant<br />
les périodes de difficultés économiques.<br />
À la fin du XVI' siècle, la Contre Réforme déclenche non seulement la persécution des protestants,<br />
mais encore des flambées de violence antijuive. Les juifs étaient considérés comme des concurrents au<br />
plan économique. De plus, leur langue et leur religion et leur tenue vestimentaire différentes en<br />
faisaient des boucs émissaires.<br />
L'émancipation<br />
La Réforme du XVI' siècle suscite une nouvelle appréciation de l'Ancien Testament en hébreu et une<br />
meilleure compréhension de la religion juive. Après les ravages des guerres entre protestants et<br />
catholiques, l'esprit de tolérance religieuse se répand en Europe, et les attitudes à l'égard des juifs<br />
(qui ne sont plus la seule minorité religieuse) commencent à changer. Le Siècle des Lumières - le XVIlle<br />
siècle - voit naître de nouvelles tendances en faveur du respect de l'individu, dans l'affirmation de<br />
l'égalité fondamentale de tous les êtres humains. Les conditions sont réunies pour que les juifs soient<br />
enfin admis en tant qu'égaux dans les sociétés européennes. Les restrictions quant au domicile et à<br />
l'exercice d'une profession sont peu à peu abrogées, et les juifs jouissent de droits de plus en plus<br />
étendus.<br />
Les États-Unis et la France révolutionnaire sont les premiers États à conférer aux juifs le statut de<br />
citoyens à part entière. La plupart des États européens les imitent dans le cours du XIXe Siècle. En<br />
Russie, toutefois, les juifs doivent attendre encore un siècle (jusqu'à la révolution de 1917) avant<br />
d'accéder au statut de citoyens libres.<br />
Au XIXe siècle, dans des pays comme l'Allemagne et la Russie, le débat porte sur la manière de rendre<br />
les juifs utiles à la société. Les métiers dans lesquels des siècles de discrimination les ont relégués<br />
(petit commerce, colportage, prêt sur intérêt) sont considérés contre nature; leurs coutumes<br />
religieuses, leur langue, leur habillement sont jugés barbares. En Allemagne et en Russie, l'émancipation<br />
des juifs dépend de leur assimilation.<br />
Les juifs profitent de leur liberté nouvelle et entrent dans de nouvelles professions, fréquentent les<br />
mêmes écoles et universités que le reste de la population. Mais les juifs sont toujours considérés<br />
comme anormaux, et il est leur beaucoup plus difficile de parvenir à l'égalité sociale, d'être acceptés.<br />
Beaucoup de non juifs réagissent avec suspicion, voire avec effroi, lorsque les juifs commencent à<br />
sortir de leur isolement et abandonnent leurs occupations traditionnelles. Les intérêts économiques<br />
entrent également en jeu; dans certaines régions, les efforts des juifs pour s'adonner à de nouvelles<br />
activités suscitent une vive résistance.<br />
Les nationalistes créent de nouveaux obstacles aux juifs. De plus en plus, les peuples se définissent en<br />
fonction d'éléments communs : culture, sang, langue. Même les juifs convertis au christianisme et<br />
entièrement assimilés sont désormais considérés comme des étrangers. Le nationalisme ravive les<br />
intolérances religieuses c'est la base de l'antisémitisme moderne.<br />
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L'antisémitisme populaire<br />
Au XIX' siècle, les opinions et les stéréotypes antijuifs changent. L'exclusion des juifs et la<br />
discrimination à leur égard ne sont plus fondées sur les seules différences religieuses. Lorsque le<br />
terme « antisémitisme » fait son apparition à la fin des années 1870, le statut des juifs d'Europe<br />
occidentale est problématique : malgré l'égalité des droits, ils sont perçus comme des étrangers.<br />
Depuis le début du XIX' siècle se répand la notion de « peuple » ou de « nation » : ces entités sont<br />
considérées non pas comme de simples regroupements d'individus, mais comme des organismes uniques,<br />
déterminés par le climat, la terre et les traditions. Ces idées, largement influencées par le mouvement<br />
romantique allemand, vont à l'encontre des principes fondamentaux du Siècle des Lumières.<br />
De manière générale, est qualifiée de juif toute personne indésirable. Pour beaucoup, le juif symbolise<br />
la faiblesse, les murs faciles, la laideur physique : l'opposé de l'idéal national.<br />
Nombre de ces nouveaux stéréotypes prennent naissance à une époque d'industrialisation et<br />
d'urbanisation croissantes. Ces rapides changements sociaux et économiques sont porteurs de grande<br />
tension et de conflits sociaux, et beaucoup considèrent qu'ils sont destructeurs et contre nature. Les<br />
juifs quittant la marginalité et profitant des nouvelles possibilités qui s'offrent à eux sont souvent<br />
identifiés comme responsables. Ainsi naît à l'époque moderne le stéréotype du juif exploiteur et<br />
usurier qui profite du malheur des autres, ainsi que le mythe de la toute-puissante conspiration juive<br />
capable d'infléchir le cours des événements à l'échelle mondiale selon sa volonté et pour son seul<br />
profit.<br />
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L'antisémitisme politique<br />
Vers la fin du XIXe siècle, un nombre croissant d'individus reçoivent le droit de voter. De nouveaux<br />
partis se créent, préfigurant les mouvements de masse modernes. Les groupes et les classes qui<br />
détiennent le pouvoir depuis des siècles sont aux prises avec un phénomène nouveau : ils doivent se<br />
mesurer à d'autres dans l'arène politique. Les partis commencent à recourir aux moyens modernes de<br />
propagande de masse afin d'attirer les électeurs. L'exploitation des sentiments antisémites se révèle<br />
un moyen efficace de briguer la faveur de l'électorat. Puisque les juifs militent en général dans les<br />
partis libéraux et socialistes, les forces conservatrices utilisent une propagande antisémite pour<br />
attaquer leurs ennemis politiques, qu'ils prétendent corrompus par la présence des juifs. Pendant la<br />
crise économique des dernières décennies du siècle, des partis politiques ayant l'antisémitisme pour<br />
seul programme se créent en France, en Allemagne et en Autriche et connaissent pendant quelque<br />
temps un très grand succès. Mais les partis conservateurs ne sont pas les seuls à exploiter les préjugés<br />
antisémites. Même certains socialistes considèrent le capitalisme comme une expression de l'esprit<br />
d'exploitation juif; à leurs yeux, la lutte contre le capitalisme doit avoir pour cible le capital juif ou le<br />
caractère capitaliste du judaïsme. Ces tendances se manifestant au sein des partis socialistes sont en<br />
général combattues par les dirigeants, notamment Jean Jaurès en France et Karl Kautsky en<br />
Allemagne.<br />
Les « Protocoles des Sages de Sion »<br />
À la fin du XIX' siècle, à Paris, un auteur inconnu au service de l'Okhrana, la police secrète russe,<br />
compose une publication qui est devenue une source d'inspiration importante pour la plupart des<br />
théoriciens du complot juif : il s'agit des « Protocoles des Sages de Sion ». Ces « Protocoles » sont<br />
censés être le procès-verbal d'une conférence de dirigeants juifs qui complotent pour dominer le<br />
monde. Les « Sages de Sion » sont accusés d'empoisonner l'État en répandant les idées libéralistes, en<br />
contestant la juste place de la noblesse, en fomentant le désordre social et la révolution.<br />
Les « Protocoles » sont publiés en Russie en 1905. Ils passent d'abord quasi inaperçus, mais il n'en est<br />
plus de même après la Révolution. Les adversaires des bolcheviks citent les « Protocoles » pour<br />
expliquer les changements soudains et radicaux qui interviennent en Russie et pour justifier les actes<br />
de violence antisémite perpétrés pendant la guerre civile russe.<br />
Dès 1921,'il est établi que les « Protocoles » sont un faux : l'auteur a plagié des chapitres entiers d'un<br />
pamphlet français datant de 1864 et dirigé contre Napoléon III, où il n'est pas question de juifs.<br />
Malgré cela, les dirigeants du mouvement national-socialiste allemand, notamment Hitler et Goebbels,<br />
sont fortement influencés par les « Protocoles ». Dans « Mein Kampf », Hitler revient souvent à la<br />
thèse principale des « Protocoles », la prétendue « conspiration juive » qui viserait à dominer le monde<br />
et contre laquelle la nation allemande doit se défendre.<br />
Ainsi, les « Protocoles » contribuent à justifier la politique nazie de discrimination antijuive et<br />
d'extermination.<br />
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Après la Deuxième Guerre mondiale, les « Protocoles » font de nouveaux adeptes dans le monde arabe,<br />
où ils « expliquent » les défaites militaires des pays arabes en guerre contre Israël. Encore<br />
aujourd'hui, des groupes (surtout néo-nazis et antisémites) distribuent cet ouvrage.<br />
Les pogroms en Russie<br />
Dans l'Empire russe, les tsars ne tolèrent pas les juifs, considérés comme ennemis du Christ. Les<br />
centaines de milliers de juifs qui sont incorporés dans l'Empire russe après l'éclatement de la Pologne<br />
sont autorisés à vivre seulement dans une zone spéciale, appelée « enclave d'établissement » (la « Zone<br />
»), où ils tombent sous le coup de nombreuses lois discriminatoires. Les juifs espéraient une<br />
amélioration de leur sort, mais ces espoirs furent anéantis par la répression qui suivit l'assassinat du<br />
tsar Alexandre Il en 1882. Le gouvernement réagit à l'attentat en recourant à une méthode qui a fait<br />
ses preuves : blâmer les juifs. Une vague de pogroms (plus de 200 en 1881 seulement) déferle sur la<br />
Zone, déclenchant un exode de réfugiés.<br />
Au début du XX' siècle, le gouvernement tsariste déclenche une guerre avec le Japon pour tenter de<br />
détourner l'attention d'un mouvement révolutionnaire de plus en plus puissant. La presse antisémite<br />
accuse les juifs de conspirer avec l'ennemi pendant la guerre; la défaite catastrophique de la Russie<br />
donne le signal d'une vague de pogroms. Les « centuries noires », groupes nationalistes extrémistes,<br />
affirment ouvertement leur programme d'extermination des juifs. Mais la pire orgie de violence éclate<br />
en 1905, lorsque le tsar est obligé d'accorder une constitution. Organisés surtout par la Ligue<br />
monarchiste « Union du peuple russe », et avec la collaboration des responsables locaux, des pogroms<br />
ont lieu dans plus de 300 villes. Bilan: près de 1000 morts et des milliers de blessés. Comme les<br />
pogroms paraissent avoir été autorisés par les autorités, le désespoir se répand dans les communautés<br />
juives. Entre 1881 et 1914, on estime que 2 millions de juifs quittent la Russie, la plupart émigrant aux<br />
États-Unis.<br />
L'antisémitisme sous le régime soviétique avant 1941<br />
La guerre civile qui éclate après la révolution bolchevique transforme l'Ukraine, où vivent 60 des juifs<br />
russes, en champ de bataille. L'Armée d'Ukraine lutte pour l'indépendance tandis que les armées «<br />
blanches » cherchent à renverser le gouvernement bolchevique; toutes participent cependant à des<br />
attaques antijuives assorties de pillages et de meurtres. Lorsque les Ukrainiens battent en retraite<br />
devant l'Armée rouge en 1919, une vague de violence antijuive sans précédent entraîne des dizaines de<br />
milliers de morts. Les armées blanches commettent elles aussi pillages, viols et meurtres, reprenant le<br />
vieux slogan « Frappez les juifs, sauvez la Russie ». Elles aussi doivent battre en retraite à leur tour et<br />
passent leur rage sur les communautés juives qui se trouvent sur leur chemin. On recense pendant la<br />
guerre civile quelque 2 000 pogroms, qui se soldent par environ 100 000 morts et plus d'un demi million<br />
de juifs chassés de leurs foyers.<br />
Les sections juives du parti communiste sont le principal instrument qu'utilise le nouveau gouvernement<br />
pour appliquer la doctrine marxiste de l'assimilation forcée. La majorité des juifs russes militent dans<br />
les diverses organisations sionistes; ils sont les premiers à être éliminés, et des milliers de sionistes<br />
sont déportés en Sibérie. L'attaque systématique contre toute religion organisée affecte également le<br />
judaïsme. Les synagogues et les écoles sont fermées, les livres et les objets du culte confisqués et<br />
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détruits. Les titulaires de charges religieuses et communautaires juives, comme les rabbins et les<br />
abatteurs rituels, sont contraints à démissionner; ceux qui refusent sont arrêtés et déportés.<br />
À la fin des années 1920, l'emploi de l'hébreu est officiellement prohibé en Union soviétique; c'est la<br />
seule langue qui fasse l'objet d'une telle interdiction. Toute éducation religieuse juive est désormais<br />
impossible.<br />
L'antisémitisme en France avant la Seconde Guerre mondiale<br />
En France, la fin du 19ème siècle est marquée par diverses catastrophes nationales : défaite dans la<br />
guerre contre la Prusse, perte de l'Alsace-Lorraine et drame de la Commune de Paris. Le nationalisme<br />
français; jadis progressiste, cherche maintenant les sources de son inspiration dans le passé; il devient<br />
de plus en plus "revanchard", intolérant et antisémite.<br />
L'Action Française ' fondée en 1899 pendant l'affaire Dreyfus, avec à sa tête Charles Maurras, est le<br />
mouvement le plus influent. Son idéologie va à l'encontre de tous les idéaux de la Révolution française :<br />
il est antidémocratique, monarchiste et antisémite. Tout ce qui est allé de travers, un jour, dans<br />
l’Histoire française, est imputé aux Juifs, censément la communauté qui a tiré le plus grand profit de la<br />
Révolution française. L'Action Française compte parmi ses plus fervents adeptes des intellectuels, des<br />
militaires, des membres du clergé, des commerçants et des employés de bureau. L'Eglise catholique, qui<br />
n'a jamais été en faveur des idéaux de la Révolution française, soutient ouvertement l'antisémitisme,<br />
au travers des journaux catholiques La Crois et Le Pèlerin, diffusés au total à 500.000 exemplaires<br />
environ. Cependant, après la Première Guerre mondiale et la victoire française, l'Action Française voit<br />
le nombre de ses partisans décliner. Mais la crise économique de 1929 marque le retour de<br />
l'antisémitisme en tant que mouvement politique,qui, fait notable, se fraie même un chemin dans la<br />
classe ouvrière, pourtant traditionnellement de gauche. En janvier 1934, le suicide du courtier juif<br />
russe Stavisky et les révélations au sujet de ses liens avec des politiciens corrompus provoquent de<br />
graves émeutes antisémites, ainsi qu'une tentative de coup d'Etat contre le gouvernement. Tout au long<br />
des années 30, la France est inondée d'un raz-de-marée de publications antisémites, qui pavent le<br />
chemin, en définitive, à la collaboration avec la Nazis sous Vichy.<br />
Les théories raciales des nazis<br />
Le meurtre de millions de juifs et d'autres « non- Aryens » pendant la Shoah est le plus grand crime<br />
contre l'humanité jamais connu. Il fut rendu possible par une conjonction unique de facteurs : le<br />
contrôle total exercé sur un État moderne par le régime totalitaire national-socialiste; la coopération<br />
active ou le consentement passif d'une grande partie de la population allemande,. la collaboration de<br />
régimes et de peuples sympathisants dans les territoires occupés; et un antisémitisme profondément<br />
enraciné commun à tous les pays chrétiens d'Europe.<br />
Le Parti ouvrier national socialiste allemand (NSDAP) rend responsable le « juif » de l'inflation et du<br />
chômage qui sévissent après la défaite de l'Allemagne à la fin de la Première Guerre mondiale. Dans sa<br />
propagande, le parti prétend que l'ouvrier allemand est ruiné par le « capital juif » et menacé par le «<br />
bolchevisme juif » qui vise à faire de lui un esclave.<br />
Les théories raciales des nazis sont fondées sur des études pseudo scientifiques du XIX' siècle.<br />
Influencées par des idées mystiques et romantiques, ces tendances politiques rejettent les principes<br />
de l'égalité et de l'humanité commune proposés au Siècle des Lumières. Au coeur de l'idéologie<br />
national-socialiste se situe l'idée de la « race », constituée de gens du même « sang », partageant une<br />
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même culture et un même territoire. Les races luttent entre elles pour conquérir territoires et<br />
pouvoir; seules les plus fortes survivent. Seules les races « pures », qui ne se métissent pas avec des<br />
groupes « inférieurs », sont capables de créer des civilisations durables. Au sein de la « race blanche »,<br />
les « Aryens » forment l'élite, une « race supérieure » destinée à asservir des races inférieures<br />
comme les slaves et à régner sur elles. Cependant, pour accomplir leur destin historique, les Allemands<br />
doivent d'abord se débarrasser des idées politiques et culturelles « étrangères », et se purger de tout<br />
« sang inférieur ». Les juifs allemands sont les premières victimes du programme de « purification<br />
raciale ». Sous l'occupation allemande pendant la Seconde Guerre mondiale, les juifs d'autres pays et<br />
les slaves « racialement inférieurs » sont englobés dans la « restructuration raciale » de l'Europe.<br />
Certains peuples, comme les autres nations aryennes du Nord et de l'Ouest de l'Europe, pourront<br />
éventuellement être persuadés d'accepter la domination allemande; mais il y a un groupe qui doit être<br />
totalement éliminé : les juifs.<br />
Les mesures antijuives (1933-1939)<br />
Immédiatement après leur arrivée au pouvoir en 1933, les nazis font de « l'expulsion des juifs de la<br />
société allemande » l'une de leurs principales priorités. Ils déclenchent une campagne de propagande et<br />
de terreur d'une envergure et d'une violence sans précédent, conçue pour stigmatiser les juifs<br />
allemands, les isoler du reste de la population et les forcer à émigrer. Les nazis font également appel<br />
aux attitudes antijuives traditionnelles de la population pour faire accepter leur régime.<br />
L'antisémitisme devient le signe de ralliement utilisé dans la propagande de la « Révolution allemande<br />
». Puisqu'il s'agit de la seule politique « révolutionnaire » que les nazis appliquent sérieusement, ses<br />
réussites sont constamment publiées dans les médias, et sont annoncées par le « Stürmer », système<br />
d'affiches apposées dans toutes les villes et villages. Dès 1933, ' les nazis appellent au boycott des<br />
commerces et entreprises juifs. Des mesures sont prises pour exclure les juifs de la fonction publique,<br />
des professions libérales, puis d'un secteur de l'économie après l'autre. Les juifs allemands sont<br />
progressivement relégués en marge de la société. Les lois de Nuremberg de 1935 leur retirent l'égalité<br />
conférée par les lois – trois générations après l'émancipation - et les pleins droits civiques.<br />
Simultanément, le régime promulgue sans cesse de nouveaux règlements visant à dépouiller les juifs de<br />
leurs biens avant qu'ils n'émigrent. Parallèlement, de nombreux pays ferment leurs portes aux réfugiés<br />
juifs allemands.<br />
Comme le processus d'expulsion ne va pas assez vite aux yeux du gouvernement, un « pogrom » est<br />
organisé à l'échelle du pays les samedi 9 et dimanche 10 novembre 1938. Toutes les synagogues<br />
d'Allemagne sont incendiées, les boutiques juives sont pillées et environ 30 000 juifs - dix pour cent de<br />
la population juive restante - sont arrêtés, battus et emprisonnés dans des camps de concentration,<br />
dont ils ne sont libérés qu'en apportant la preuve de leur émigration imminente.<br />
À la veille de la Deuxième Guerre mondiale, il reste environ 200 000 juifs en Allemagne. Une fois la<br />
guerre commencée, l'émigration devient presque impossible. À partir de 1941, les juifs d'Allemagne -<br />
comme tous ceux des pays sous l'occupation allemande - sont astreints au port de « l'étoile juive »,<br />
rappel de la rouelle du Moyen Âge. En 1942 commencent les déportations à destination des « ghettos »<br />
et camps de concentration aménagés en Pologne. Des juifs restant en Allemagne après<br />
1941, seulement 10 000 environ survivent à la Shoah.<br />
La Seconde Guerre mondiale : la persécution et le meurtre systématique des juifs d'Europe<br />
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La politique étrangère allemande vise à conquérir des territoires en Europe orientale et à réunir les<br />
zones de colonisation allemande avec la « mère patrie ». Le 1 er septembre 1939, l'armée allemande<br />
envahit la Pologne. Les parties occidentales du pays sont rattachées à l'Allemagne; la partie centrale, y<br />
compris Varsovie et Cracovie, devient le "Gouvernement général".Fin septembre, les troupes SS<br />
reçoivent de Berlin l'ordre de concentrer la population juive dans des ghettos créés dans les<br />
principales localités, dans l'attente de la « solution finale ».<br />
Dans les pays d'Europe occidentale occupés au printemps 1940, la politique allemande à l'égard des<br />
juifs est plus prudente. Les juifs sont exclus de la fonction publique et systématiquement dépouillés de<br />
leurs biens. Comme les juifs allemands entre 1933 et 1939, ils sont progressivement isolés de la<br />
population, laquelle est endoctrinée par la propagande antisémite. Lorsque la guerre s'étend aux<br />
Balkans en 1941, l'Allemagne s'allie aux régimes fascistes d'Italie, de Hongrie, de Roumanie, de<br />
Bulgarie et de Croatie pour persécuter la totalité des juifs de la région, soit 1600 000 personnes. Leur<br />
sort dépendra en définitive de la mesure dans laquelle les alliés de l'Allemagne sont disposés à<br />
coopérer au programme nazi d'extermination des juifs. Les forces allemandes et leurs alliés (à<br />
l'exception de l'Italie) entament une impitoyable campagne de meurtres collectifs et de déportations.<br />
Lorsque l'Allemagne attaque l'Union soviétique le 22 juin 1941, la région où est concentré le plus grand<br />
nombre de juifs d'Europe tombe sous l'occupation allemande. Plus de 2,6 millions de juifs sont pris au<br />
piège; 90 % d'entre eux vivent dans moins de 50 localités. Les chefs nazis ont conçu une méthode<br />
adaptée à la circonstance : il s'agit des unités mobiles d'assassinat ou « Einsatzgruppen », constituées<br />
de SS, de policiers allemands et d'auxiliaires locaux. Ils ordonnent d'amener les juifs hors des villes,<br />
de les abattre et de les enterrer dans des fosses communes. À l'arrière-garde des armées, les unités<br />
meurtrières entrent en action depuis Leningrad au nord jusqu'à Odessa dans le sud. Pendant les cinq<br />
premiers mois de la campagne elles abattent 100000 juifs par mois, soit un demi million de personnes<br />
en tout. Mais pour les chefs nazis, ce n'est pas assez. Avant même que les unités mobiles aient achevé<br />
leur mission, un plan encore plus monstrueux est mis au point : la déportation des juifs restants dans<br />
les camps de la mort.<br />
La collaboration<br />
Dans la plupart des pays occupés par les forces allemandes ou contrôlés par leurs alliés, les populations<br />
et les autorités collaborent à la déportation et à l'extermination des juifs. La participation des régimes<br />
ou des administrations civiles à la « solution finale » est motivée soit par l'adhésion idéologique aux<br />
politiques racistes des nazis, soit par des considérations politiques, soit encore par des avantages<br />
matériels. La population elle aussi collabore massivement: environ 125000 hommes en Europe<br />
occidentale et 200 000 en Europe orientale se portent volontaires dans la Waffen-SS entre 1941 et<br />
1944. Beaucoup d'habitants des pays occupés prêtent leur concours actif ou leur soutien passif. Toutes<br />
les formes de collaboration à la persécution des juifs ont au moins un facteur en commun : les<br />
traditions antisémites profondément enracinées dans l'Europe chrétienne, qui justifient l'exclusion des<br />
juifs de la solidarité humaine.<br />
Dans les pays de l'Europe occidentale, les services publics continuent de fonctionner sous l'occupation<br />
allemande. L'administration locale, la police et les chemins de fer rendent d'importants services dans<br />
le processus de concentration et de déportations (dans la plupart des cas dans l'ignorance de la «<br />
solution finale »). En Norvège, au Danemark, aux Pays-Bas et en Belgique, les membres des partis nazis<br />
jouent un rôle important dans « Paryanisation » des biens juifs. Le régime de Vichy, en France libre,<br />
introduit des politiques antijuives de son plein gré, et plus tard obtempérera dans la plupart des cas<br />
lorsque l'Allemagne exigera la persécution et la déportation des juifs. Les régimes fascistes de<br />
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Slovaquie, de Hongrie, de Roumanie, de Bulgarie, de Croatie et d'Italie adoptent leurs propres<br />
politiques antijuives. Cédant aux pressions de leur puissant allié, ils collaborent eux aussi à la « solution<br />
finale ».<br />
Dans les pays antérieurement occupés par l'Union soviétique, les forces allemandes sont initialement<br />
accueillies comme des libérateurs par une partie de la population et par les Églises. Le gouvernement<br />
allemand encourage de son côté la participation locale aux opérations antijuives. Quelque 300 000<br />
hommes des forces auxiliaires, des milices et des SS originaires d'Estonie, de Lettonie, de Lituanie et<br />
d'Ukraine occupées participent donc directement aux meurtres perpétrés par les unités mobiles et au<br />
fonctionnement des camps d'extermination.<br />
Vichy: un État français antisémite<br />
En mai 1940, l'Allemagne envahit la France; le maréchal Pétain, héros de la Première Guerre mondiale,<br />
devient chef du gouvernement et décide de signer l'armistice avec l'Allemagne. Le traité, signé le 25<br />
juin 1940, divise la France en deux zones: au nord, la Zone Occupée, sous contrôle allemand, et au sud<br />
la "Zone Libre", avec Pétain à sa tête et son siège à Vichy. Diriger la Zone Libre n'est pas le seul<br />
objectif du gouvernement Pétain : il se fait aussi l'apôtre d'un renouveau moral et politique. "Liberté,<br />
Egalité, Fraternité" est remplacé par "Travail, Famille, Patrie", et l'antisémitisme est l'un des axes de<br />
la nouvelle politique.<br />
Immédiatement, sans même attendre de pressions allemandes, le régime de Vichy adopte des<br />
réglementations et lois antisémites, applicables à tout le territoire français, qui n'ont rien à envier à<br />
celles de l'Allemagne nazie. Le 3 octobre 1940, le gouvernement de Vichy promulgue un Statut des<br />
Juifs, première loi française ouvertement antisémite. Les Juifs sont désormais interdits dans<br />
l'Administration, l'enseignement, le judiciaire, l'armée, la presse, les théâtres; ils n'ont plus le droit<br />
non plus d'être avocats, médecins, etc. Ce texte est suivi, en mars 194 1, d'un décret de Vichy créant<br />
un Commissariat Général aux Questions Juives, spécialement chargé de liquider les possessions juives.<br />
En juin 194 1, un quota maximum de 3% est imposé au nombre d'étudiants juifs dans l'enseignement<br />
secondaire et supérieur. Le 6 mai 1942, Darquier de Pellepoix est nommé à la tête du Commissariat<br />
Général aux Questions Juives. A partir de l'été 194 1, la police de Vichy arrête et déporte activement<br />
les Juifs, commençant par la Grande Rafle des 16 et 17 juillet 1942. En deux jours, 13.152 Juifs sont<br />
arrêtés et emmenés au Vélodrome d'Hiver. Plus de 4.000 policiers français prennent part à l'opération.<br />
En novembre 1942, Hitler ordonne aux troupes allemandes de franchir la ligne de démarcation et<br />
d'occuper tout le territoire français.<br />
Avant l'invasion allemande, on estimait à 300.000 le nombre de Juifs, toutes nationalités confondues,<br />
vivant en France. Environ 80.000 d'entre eux seront déportés dans les camps de concentration. Sur<br />
ceux-ci, 3.000 seulement, environ, survivront.<br />
Les camps de la mort - La destruction des juifs d’Europe<br />
À l'été 194 1, les dirigeants nazis conçoivent un nouveau plan : construire des centres d'extermination<br />
en Pologne occupée, y transporter tous les juifs restant dans les pays européens contrôlés par<br />
l'Allemagne, et les tuer par le gaz. Un million de juifs sont déjà morts. Mais les méthodes employées<br />
jusque là - les fusillades systématiques, la privation de nourriture, le travail forcé - sont jugées<br />
inefficaces. En outre, les nazis veulent mener à bien le génocide prévu tandis que la fortune des armes<br />
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leur sourit toujours. Six camps d'extermination sont rapidement créés ou modifiés: Auschwitz, Belzec,<br />
Chelmno, Lublin-Majdanek, Sobibor et Treblinka. Après avoir d'abord essayé des chambres à gaz<br />
mobiles, les Allemands dotent ces camps de chambres à gaz permanentes auxquelles s'adjoignent des<br />
fours crématoires. Dans cinq camps, les chambres à gaz fonctionnent au monoxyde de carbone. À<br />
Auschwitz, on emploie l'acide cyanhydrique ou de l'acide prussique, connu sous le nom commercial de<br />
Zyklon B. Les déportations commencent. Les juifs d'Allemagne et d'Autriche sont les premiers à être<br />
déportés, en septembre 194 1. Puisque les centres d'extermination ne sont pas encore prêts, les<br />
victimes sont entassées dans des ghettos surpeuplés proches des camps. Les chambres à gaz<br />
commencent à fonctionner à l'été 1942. Dans les villes d'Europe occidentale, les juifs sont rassemblés<br />
ou reçoivent l'ordre de se présenter dans des centres de regroupement. Ils sont emmenés par chemin<br />
de fer dans des camps de transit, et de là, transportés en wagons à bestiaux à travers l'Europe<br />
jusqu'aux camps d'extermination. Depuis les Pays-Bas au nord jusqu'à la Grèce au sud, un pays après<br />
l'autre est frappé. En Pologne occupée, les ghettos sont vidés l'un après l'autre à partir de la fin de<br />
1942. Les déportations massives continuent jusqu'en janvier 1945, lorsque les juifs de Hongrie sont<br />
transportés à Auschwitz. Plus de 3 millions de personnes meurent dans les camps.<br />
Auschwitz, le plus grand des camps, fournit également une main-d'ouvre forcée. À l'arrivée, les<br />
prisonniers sont triés par des médecins SS et soit gazés immédiatement, soit affectés au travail. Les<br />
personnes âgées et les femmes accompagnées d'enfants meurent généralement quelques heures après<br />
leur arrivée. Les hommes et les femmes valides sont mis au travail dans les ateliers du camp ou dans<br />
des usines créées spécialement à Auschwitz par l'industrie allemande. De petits groupes de prisonniers<br />
sont forcés à participer au processus d'extermination. Le camp reçoit également des prisonniers de<br />
guerre polonais et russes, des prisonniers politiques venus de l'Europe entière, ainsi que des Sinti et<br />
des Rom.<br />
L'antisémitisme en Union soviétique depuis 1945<br />
Les années qui suivent la victoire sur l'Allemagne nazie sont marquées par une recrudescence du<br />
nationalisme russe et par les campagnes anti occidentales de la guerre froide naissante. Les dirigeants<br />
soviétiques, Staline en particulier, remettent de plus en plus en question la loyauté des juifs<br />
soviétiques, dont beaucoup ont des parents aux États-Unis, pays désormais ennemi. À partir de<br />
novembre 1948, les autorités soviétiques lancent une campagne méthodique de liquidation des vestiges<br />
de la culture juive. La littérature juive est purgée des librairies et bibliothèques, et les deux dernières<br />
écoles juives sont fermées. Les théâtres, chorales et groupes dramatiques juifs sont dissous. Des<br />
centaines d'écrivains, d'artistes, de comédiens et de journalistes juifs sont arrêtés. Pendant la même<br />
période, les juifs sont systématiquement purgés des positions de direction dans beaucoup de secteurs<br />
de la société, y compris l'administration, l'armée, la presse, les universités et la magistrature. Vingtcinq<br />
des principaux écrivains juifs arrêtés en 1948 sont secrètement exécutés dans la prison Loubianka<br />
en août 1952. La Guerre des Six- Jours de juin 1967, au cours de laquelle Israël triomphe de ses<br />
voisins arabes, alliés politiques de l'Union soviétique, est ressentie comme un échec cuisant. En août<br />
1967, une campagne de propagande dénonçant le sionisme et Israël est lancée dans les médias<br />
soviétiques. Aucune distinction n'est faite entre les sionistes et les juifs. Pour discréditer la politique<br />
d'Israël, des stéréotypes antisémites vieux de plusieurs siècles réapparaissent dans les caricatures<br />
politiques, des livres et des émissions de télévision. Des accusations antisémites de « conspiration juive<br />
mondiale » refont leur apparition dans des expressions comme « le réseau sioniste international », qui<br />
s'efforce « en coulisse » de « contrôler le monde », avec l'aide des « requins de la politique et de la<br />
finance ». Dès octobre 1966, à une séance des Nations-Unies, l'Union soviétique lance un thème<br />
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particulièrement venimeux : « sionisme = nazisme ». Cet assaut de propagande trouve un auditoire, car<br />
la population n'a jamais été informée du sort des juifs sous l'occupation nazie.<br />
L'antisémitisme en Europe de l'Est et en Russie depuis 1985: de vieilles idées refont surface<br />
Les pays de l'Europe de l'Est et la Russie ont connu des changements radicaux depuis l'effondrement<br />
du système communiste à parti unique. Pour la première fois depuis des générations règne la liberté<br />
d'expression : la presse n'est plus censurée et sert de tribune à de libres débats. Un grand nombre de<br />
nouveaux journaux et revues, reflétant les opinions politiques les plus diverses, apparaissent dans les<br />
rues. Mais cette nouvelle liberté d'expression a son revers : des publications antisémites et racistes<br />
font elles aussi leur apparition, souvent diffusées par des organisations nationalistes extrémistes.<br />
La propagande d'aujourd'hui trouve un terrain encore plus fertile car les pays anciennement<br />
communistes n'ont jamais procédé à une évaluation autocritique des actes d'antisémitisme commis au<br />
cours de leur histoire. En Russie, par exemple, les programmes scolaires ont toujours passé sous silence<br />
la discrimination et la persécution dont la communauté juive russe a fait l'objet. Dans l'étude de la<br />
Seconde Guerre mondiale, aucune allusion n'est faite à l'assassinat systématique des citoyens juifs par<br />
les occupants allemands, sans parler du soutien dont ces derniers bénéficièrent parfois de la part de<br />
collaborateurs locaux. Les anciens gouvernements communistes contribuaient même à renforcer les<br />
préjugés antisémites : pendant des années, dans des journaux et des revues, à la radio et à la<br />
télévision, dans des livres et des conférences, un torrent d'idées antisémites se répandait sous<br />
couvert d'antisionisme.<br />
Après quelques années de réformes économiques, une partie de la population a vu son niveau de vie<br />
s'améliorer sensiblement. Beaucoup sortent toutefois perdants de ces changements et envisagent<br />
l'avenir avec anxiété. Une telle conjoncture est depuis toujours propice à la naissance d'organisations<br />
qui proposent des solutions simples à des problèmes difficiles : blâmer un groupe en particulier pour<br />
tout ce qui va mal.<br />
L'antisémitisme dans le monde arabe<br />
Le prophète Mahomet commence son enseignement à Médine en 622. Ses relations avec les juifs de<br />
Médine, une petite communauté de commerçants et de négociants, s'enveniment après le début de sa<br />
mission. Le Coran contient de nombreuses descriptions péjoratives des juifs et du judaïsme.<br />
Omar, successeur de Mahomet, définit les lois restrictives en vertu desquelles les « incroyants »<br />
(dhimmi, les chrétiens et les juifs) sont autorisés à vivre dans une société observant les règles de<br />
l'Islam. Ils sont astreints à des taxes supplémentaires, ainsi qu'au port de vêtements distinctifs; la<br />
construction de nouvelles églises ou synagogues est interdite. Ces lois sont appliquées plus ou<br />
moins sévèrement selon le lieu et l'époque. En général toutefois, les juifs et les chrétiens sont<br />
considérés avec mépris; aux époques de difficultés économiques ou de tensions politiques, les juifs se<br />
font facilement attribuer le rôle de bouc émissaire. La situation s'aggrave avec le début de<br />
l'immigration sioniste en Palestine vers 1900. Le chef religieux des musulmans palestiniens, le Grand<br />
Mufti de Jérusalem, demande même l'appui d'Adolf Hitler pour empêcher les réfugiés juifs de<br />
s'établir en Palestine. L'idéologie antisémite nazie a un effet profond sur le monde arabe. Dans leur<br />
discours, les dirigeants nationalistes arabes ne font aucune distinction entre leurs voisins juifs arabes<br />
et les colons sionistes.<br />
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Lorsque les pays arabes sortent perdants de la première guerre israëlo-arabe de 1948, les<br />
communautés juives arabes se sentent gravement menacées; des centaines de milliers se réfugient en<br />
Israël, abandonnant pratiquement tous leurs biens. La propagande antisémite diffusée aujourd'hui dans<br />
le monde arabe reprend tous les éléments des stéréotypes propagés depuis des siècles. « Le juif » est<br />
le plus souvent représenté comme un homme voûté, barbu, au long nez crochu, vêtu d'une robe noire.<br />
Les thèmes antisémites bien connus sont répétés à satiété : la conspiration juive vise à dominer le<br />
monde; le juif empoisonneur et source de maladies contagieuses (la dernière en date étant le sida),<br />
jusqu'à l'accusation moyenâgeuse de meurtre rituel qui refait son apparition de temps à autre.<br />
Particulièrement perfide est la confusion du « sionisme » (ou de ce que l'on prend pour du sionisme) et<br />
du nazisme. La plupart des commentateurs politiques ou caricaturistes arabes semblent incapables de<br />
critiquer un aspect de la politique du gouvernement israélien sans le taxer de « politique nazie », ou de<br />
représenter les dirigeants israéliens autrement qu'avec des croix gammées.<br />
Le négationnisme<br />
Une grande partie de la propagande antisémite d'aujourd'hui, surtout celle diffusée par des groupes<br />
cherchant à réhabiliter le national-socialisme, est consacrée à la dénégation de la Shoah. Malgré la<br />
défaite de l'État nazi en 1945, la foi en l'idéologie nazie ne disparaît pas, et n'est pas limitée à la seule<br />
Allemagne. Déjà dans les années 1940, l'écrivain fasciste français Maurice Bardèche allègue que si des<br />
juifs sont morts dans des camps ou des ghettos, c'est de maladies infectieuses ou de malnutrition, et<br />
si le gaz toxique a été employé, c'est non pas pour l'assassinat systématique, mais pour la désinfection.<br />
Les vrais auteurs d'atrocités, selon Bardèche, seraient les Alliés. Aujourd'hui, cinquante ans après que<br />
la vérité a émergé des camps de la mort d'Hitler, on trouve une énorme quantité d'affirmations de ce<br />
genre, qui vont d'une grossière propagande ouvertement antisémite à des rapports scientifiques en<br />
apparence objectifs. Souvent, dans ces derniers, la Shoah est non pas nié ouvertement, mais plutôt<br />
décrit comme « une question en suspens » qui doit faire l'objet « d'un débat plus approfondi ». Ce «<br />
débat » correspond toujours au même motif : les témoignages des survivants juifs sont rejetés comme<br />
étant « subjectifs »; les documents, les lettres ou les journaux des nazis et de leurs collaborateurs<br />
sont écartés comme « des faux notoires »; leurs témoignages sont invariablement le résultat des «<br />
tortures alliées ». Les dénégateurs de la Shoah prétendent que les chambres à gaz que l'on montre<br />
aujourd'hui comme preuves des assassinats systématiques sont de simples attractions pour touristes<br />
construites après la guerre par les communistes aux fins de leur propre propagande. La dénégation de<br />
la Shoah est un thème très fertile pour les antisémites du monde entier, et s'allie souvent à de<br />
nombreux mythes et stéréotypes antisémites très anciens, comme celui de la « conspiration juive<br />
mondiale ». Les survivants, à en croire les dénégateurs, mentent au sujet dé ce qu'ils ont vécu pendant<br />
la guerre et créent de toutes pièces des récits d'horreur afin d'obtenir de l'argent en réparation des<br />
prétendus préjudices subis. Souvent, les dénégateurs de la Shoah nient aussi le droit d'Israël à<br />
l'existence. Dans certains pays toutefois, notamment l'Allemagne, la dénégation de la Shoah est<br />
considérée comme un délit et une insulte aux millions de victimes.<br />
L'antisémitisme à notre époque<br />
Depuis la fin de la Seconde Guerre mondiale, les gens sont nettement plus conscients des dangers<br />
associés aux préjugés, même ceux qui semblent à première vue anodins; on constate aussi que les<br />
gouvernements comme les individus manifestent avec plus de fermeté leur volonté de lutter contre le<br />
racisme et l'antisémitisme. La plupart des pays démocratiques ont mis en place des programmes visant<br />
à promouvoir la tolérance, certains ont rendu plus strictes les lois interdisant l'incitation à la haine à<br />
caractère racial et à l'antisémitisme, et d'autres ont même interdit les partis politiques racistes.<br />
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Cependant, comme le montre le présent panneau, l'antisémitisme se manifeste, encore aujourd'hui, sous<br />
de multiples formes - qu'il s'agisse de sites Internet niant la Shoah ou d'actes de violence visant<br />
expressément des Juifs ou des institutions juives.<br />
Propagande haineuse sur l'Internet<br />
Un élément relativement nouveau est venu s'ajouter au phénomène global de l'antisémitisme: la<br />
propagande haineuse véhiculée par les médias électroniques, ou l'intolérance à l'heure de l'Internet, ce<br />
nouvel outil technologique utilisé par des millions de personnes à l'échelle mondiale. Se mêlant au flot<br />
de renseignements diffusés sur Internet, un courant inquiétant de messages haineux visant les<br />
minorités religieuses, ethniques, raciales ou culturelles réussit impunément à se frayer un chemin. Les<br />
antisémites sont particulièrement actifs sur ce réseau. Ils s'en servent pour diffuser leur propagande<br />
auprès d'un public infiniment plus vaste que celui qu'ils pourraient espérer rejoindre en distribuant des<br />
dépliants ou en organisant des rassemblements. Le réseau Internet est ainsi pollué par les rumeurs<br />
sourdes et persistantes de la propagande antisémite. Comme il ne fait l'objet d'aucune réglementation,<br />
n'importe qui peut créer un site et publier n'importe quoi. La technologie de l'Internet offre aux<br />
propagandistes un tant soit peu motivés une multitude de moyens pour diffuser leurs messages. Le<br />
World Wide Web, qui offre textes, images, sons et animations, peut être utilisé par des groupes<br />
désireux d'attiser les tensions racistes pour afficher des bulletins et d'autres documents. Les copies<br />
audio de discours et d'émissions radiophoniques peuvent soit être remplacées par des fichiers que l'on<br />
peut télécharger (copier) sur un ordinateur pour les écouter ultérieurement, soit être entendues en<br />
direct. Dès 1996, plusieurs extrémistes notoires associés de longue date à des activités antisémites<br />
exploitaient les possibilités offertes par le Web. La nature même de l'Internet permet à ces individus<br />
d'agir en toute impunité. Au contraire des personnes qui sortent la nuit pour aller dessiner des croix<br />
gammées sur les pierres tombales ou les murs des synagogues, les extrémistes peuvent utiliser<br />
Internet pour diffuser leur propagande haineuse sans jamais courir le risque d'être identifiés.<br />
L'anonymat, une composante clé de la culture Internet, contribue à encourager la diffusion de<br />
messages haineux sur le réseau. Rien n'oblige les internautes à s'identifier de façon précise. On<br />
pourrait dire que les messages haineux diffusés dans le cadre de groupes de discussion ressemblent un<br />
peu à des appels ou des lettres anonymes, la principale différence étant qu'ils peuvent être envoyés<br />
simultanément à des centaines, voire des milliers de personnes.<br />
Le courrier électronique, une technologie conçue essentiellement pour permettre à ses utilisateurs de<br />
communiquer les uns avec les autres, peut aussi servir à diffuser de la propagande antisémite. Certains<br />
extrémistes entreprenants maîtrisent parfaitement les techniques permettant d'envoyer des<br />
messages ou des documents à caractère haineux à des dizaines, des centaines et même des milliers de<br />
personnes sans devoir révéler leur identité.<br />
L'antisémitisme en France après la Seconde Guerre mondiale<br />
L'extrême droite refait surface sur le devant de la scène politique en 1956, avec 52 députés menés par<br />
le populiste Pierre Poujade. Parmi eux, Jean-Marie Le Pen. Le poujadisme est une idéologie nationaliste,<br />
anti-capitaliste, anti-communiste et antisémite. Le Front National est fondé en 1972, dans une<br />
tentative d'unification des nombreux groupuscules racistes et antisémites que compte l'extrêmedroite.<br />
Ses fondateurs sont représentatifs de la diversité de ses origines politiques: Pierre Bousquet,<br />
ancien membre des SS, François Brigneau, ancien membre<br />
de la milice de Vichy et de l'OAS, et Roger Holeindre, qui a combattu en Indochine aux côtés du leader<br />
du FN Jean-Marie Le Pen.<br />
Les années 60 et 70 sont le théâtre de l'émergence de la Nouvelle Droite, qui s'organise notamment<br />
autour du GRECE (Groupement de Recherche et d'étude pour une Civilisation Européenne), qui joue un<br />
rôle majeur dans la promotion d'un racisme « académique » plus subtil.<br />
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Le GRECE est contre le concept « judéo-chrétien » d'égalitarisme, jugé élément<br />
« étranger » importé en Europe.<br />
Dans les années 80, époque de hausse du chômage et de désillusions quant aux partis politiques<br />
traditionnels, de gauche comme de droite, le Front National réussit une percée à l'échelon national.<br />
Selon le Front, les « immigrés » sont responsables de tous les problèmes de la France; un grand nombre<br />
d'électeurs - entre 10 et 15 % - se montrent sensibles à cette propagande.<br />
L'essor de partis d'extrême droite xénophobes est un phénomène commun à tous les pays d'Europe<br />
occidentale où des problèmes socio-économiques complexes contribuent à l'envie de désigner un bouc<br />
émissaire.<br />
Bien que sa propagande soit principalement dirigée contre les minorités non européennes, le Front<br />
National n'en compte pas moins un courant antisémite persistant. De temps à autre, cet antisémitisme<br />
refait surface: Jean-Marie Le Pen lui-même est condamné pour antisémitisme en 1986. Lors d'un<br />
congrès, il accuse la presse d'instiguer un complot contre lui et nomme quatre<br />
journalistes - tous juifs. En 1987, il est condamné à payer une amende de 1,2 million de francs pour<br />
avoir qualifié les chambres à gaz de « point de détail » de la seconde guerre mondiale. Dans les rangs<br />
du Front, le maréchal Pétain demeure ouvertement admiré comme un héros national, malgré ses<br />
politiques<br />
antisémites.<br />
Dès la fin des années 40, c'est en France qu'apparaissent les premières publications révisionnistes,<br />
tentant de nier ou de déformer l'Holocauste : les premiers ouvrages sont signés de Maurice Gardèche<br />
et Paul Rassinier. Depuis, le révisionnisme est devenu un phénomène international à forte dominante<br />
française, sous l'influence, notamment, de Robert Faurisson.<br />
68<br />
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Les génocides et crimes au XXème siècle : comparer pour mieux singulariser<br />
Le terme génocide est très utilisé, souvent à tort et à travers, ce qui le dénature. Il y a une<br />
banalisation du mot, il faut donc bien le définir. La définition n’est pas la même pour l’historien et pour<br />
le juriste, comme le montre l’exemple du Rwanda. En juin 1994, la communauté internationale s’est<br />
interdit d’utiliser le mot (et à employé « tuerie tribale », « acte de génocide ») car la reconnaissance<br />
d’un génocide impliquait une obligation de réaction.<br />
La définition du juriste :<br />
Depuis le 9 décembre 1948, elle est donnée par les Nations Unies : « Acte commis dans l’intention de<br />
détruire en tout ou en partie un groupe national, ethnique ou religieux en tant que tel ». Cela peut se<br />
traduire par le meurtre de membres du groupe, des atteintes graves physiques ou mentales, la<br />
soumission à des conditions d’existence devant entraîner la destruction physique, les entraves aux<br />
naissances, le transfert forcé d’enfants du groupe à un autre groupe. Cela inclut des mesures non<br />
létales mais ne concerne pas les groupes politiques ou sociaux. La définition date en effet de la guerre<br />
froide et l’URSS s’était opposée à son extension à ces groupes.<br />
Le mot a été forgé par un juriste juif polonais réfugié aux Etats-Unis en 1944. Il a été utilisé pour la<br />
1ère fois en 1945 mais le tribunal de Nuremberg retient plutôt la notion de « crime contre l’humanité »<br />
que celle de génocide et il faut attendre le 11 décembre 1946 pour que l’Assemblée des Nations Unies<br />
en donne une définition. Il faut 3 éléments :<br />
1)les victimes font partie d’un groupe national, racial, ethnique ou religieux (sont donc exclus le<br />
Cambodge et le Goulag).<br />
2)les membres du groupes sont tués ou persécutés pour leur appartenance à ce groupe, quel que soient<br />
les moyens mis en œuvre pour atteindre ce but.<br />
3)c’est un crime collectif, planifié, commis par les détenteurs du pouvoir de l’Etat, en leur nom ou avec<br />
leur consentement tacite (cela exclut les pogroms par exemple)<br />
La définition de l’historien :<br />
C’est le pire crime contre l’humanité, qui ne se définit pas par l’ampleur des personnes tuées ni par la<br />
cruauté des situations mais par l’intention et donc la décision de tuer. Elle comporte 5 éléments :<br />
o<br />
o<br />
o<br />
o<br />
o<br />
il faut un objet du génocide : ethnie, nation, peuple jugé « de trop sur Terre<br />
»<br />
une idéologie qui n’est pas toujours le racisme (cela peut être un<br />
ethnonationalisme exacerbé)<br />
la décision d’exterminer le groupe en totalité et notamment les enfants<br />
un crime d’Etat et la mise à disposition de tous les moyens<br />
le contexte d’un conflit qui masque le génocide.<br />
Les historiens distinguent seulement 4 génocides au XXème siècle :<br />
o<br />
1904, génocide des Hereros en Namibie quand les Allemands ont installé un<br />
pouvoir colonial et ont procédé à des massacres, construction de camps de<br />
concentration, immatriculation des individus, exportation des squelettes vers<br />
69<br />
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o<br />
o<br />
o<br />
les universités allemandes… 80% des 80 000 Hereros sont tués, le génocide<br />
s’arrête avec l’ordre de l’Etat<br />
1915, génocide des Arméniens par les Turcs. L’empire ottoman est en déclin<br />
et le parti des Jeunes Turcs exacerbe le nationalisme. Sur les terres<br />
ottomanes se trouvent des populations allogènes (car chrétiennes)<br />
soupçonnées d’être animées par les mêmes principes nationalistes. On décide<br />
alors de faire disparaître ce peuple qui occupe des positions importantes près<br />
de la Russie. Le génocide commence par l’extermination de l’élite<br />
intellectuelle d’Istanbul, puis on isole les soldats d’origine arménienne qu’on<br />
fait travailler, enfin, les femmes et les enfants sont exterminés au cours de<br />
« marches de la mort ». Les 2/3 des Arméniens disparaissent.<br />
Seconde guerre mondiale, génocide juif (Shoah). La population cible est la<br />
population juive ou d’origine, y compris à l’extérieur des territoires contrôlés<br />
par les nazis. L’idéologie est l’antisémitisme et la volonté d’exterminer un<br />
peuple jugé « antirace ». Dès octobre 1941, l’immigration des Juifs est<br />
interdite. C’est bien la volonté d’extermination (il n’y a pas de survivants, que<br />
des « revenants », 2 seulement pour le camp de Belzec par exemple), ce qui<br />
est différent d’une épuration ethnique où les frontières sont ouvertes et où<br />
les massacres sont un moyen de se débarrasser des gens qui sont restés.<br />
Pour le cas des Tsiganes, c’est un peu différent car ils n’étaient pas<br />
considérés de la même façon (ce sont des Indo-Européens), il y a eu<br />
hésitation parmi les nazis mais ils ont été exterminés par xénophobie.<br />
1994 : génocide des Tutsis par les Hutus. 500 000 machettes ont été<br />
achetées auparavant, les frontières fermées, utilisation de la radio (Mille<br />
collines) pour le déclenchement. 1 million de morts en 100 jours.<br />
Pour d’autres cas dans l’histoire, très meurtriers et qui ont concerné des groupes<br />
particuliers, on ne peut pas parler de génocide mais :<br />
o<br />
o<br />
o<br />
au Cambodge, c’est plutôt un politicide pour créer un nouveau peuple<br />
cambodgien. On juge que certains sont récupérables. On est là dans une<br />
logique totalitaire.<br />
en Ukraine : la famine provoquée par Staline a fait entre 4 et 5 millions de<br />
morts. C’est pour faire plier les paysans en en faire des kolkhoziens<br />
soviétiques. Ici aussi, c’est plutôt un politicide.<br />
Le Tibet : ethnocide (on cherche à éradiquer la culture).<br />
70<br />
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Bilan historiographique général de la Shoah<br />
Comment est-on passé de l’intention génocidaire à la réalisation du massacre ?<br />
Un des motifs de la création des centres d’extermination est la nécessité de mettre de la<br />
distance entre le tueur et la victime, protéger le psychisme des soldats allemands. L’organisation d’un<br />
massacre d’une telle ampleur fait question.<br />
o<br />
o<br />
la 1ère synthèse sur la Shoah insistait sur le mécanisme bureaucratique qui<br />
mène à l’extermination, les méthodes administratives. Cependant, cela<br />
n’explique pas tout, par exemple le comportement de tueur des hommes<br />
ordinaires, pas spécialement nazifiés dans les Einzatsgruppen. Cela pose la<br />
question de l’accoutumance à la violence<br />
le régime nazi fonctionne par un pacte tacite avec la société : pour faire<br />
carrière, il faut faire acte d’adhésion volontaire. Les ambitieux ou zélés ont<br />
donc intérêt à persécuter les Juifs mais au début, Hitler ne donne pas de<br />
méthode, ni de consignes (en partie pour de pas provoquer de réactions<br />
diplomatiques violentes). Liberté est laissée à chacun, ce qui déresponsabilise<br />
l’Etat, en responsabilisant les individus. En même temps, la guerre (en<br />
particulier contre l’URSS) pousse à la violence.<br />
Les historiens se divisent en deux écoles :<br />
o<br />
o<br />
les intentionalistes pensent que la Shoah était dans la volonté d’Hitler dès les<br />
années 20<br />
les fonctionnalistes pensent qu’une grande part est liée aux circonstances et<br />
aux initiatives locales<br />
Historique :<br />
Dès 1933, on a affaire à un régime autoritaire et décentralisé (vieille tradition prussienne). Les<br />
supérieurs donnent des ordres-cadres mais laissent beaucoup d’initiatives pour l’application aux<br />
subordonnés.<br />
Dans les années 30, l’objectif est de faire partir les Juifs d’Allemagne, puis des territoires<br />
contrôlés. C’est d’abord, à partir de 1935 une incitation à l’émigration (création d’un bureau de<br />
l’émigration à Vienne, Berlin, Prague…).<br />
Le 9 novembre 1938 est une autre étape : durant la nuit de cristal où les SA jouent un rôle<br />
majeur, Hitler autorise un pogrom à l’échelle nationale. Il y a peu de réactions d’humanité de la<br />
population allemande et un aveuglement (on pense qu’il s’agit d’initiatives locales).<br />
Ensuite, ce sont les SS qui font passer l’antisémitisme d’émotionnel (pogrom) à un antisémitisme d’Etat<br />
rationalisé pour accélérer l’émigration des Juifs.<br />
La guerre permet la radicalisation d’Hitler. La population juive s’est accrue avec les nouveaux<br />
territoires annexés et occupés, on veut rationaliser et on élimine tous les indésirables. On a aussi l’idée<br />
de regrouper les Juifs dans une « réserve » et de les déporter vers Madagascar mais il y a une<br />
incitation tacite à les tuer si l’occasion s’en présente. Ainsi, les massacres de Juifs de l’URSS dès le<br />
mois de juin 1941 sont de type génocidaire et les massacres se généralisent avec la visite de Hitler le<br />
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15 juillet 1941. La guerre qui dure plus que prévu empêche la « germanisation « des territoires vaincus.<br />
Les massacres se multiplient et on expérimente des méthodes d’extermination massive dès l’automne.<br />
Dans son discours du 12 décembre 1941, Hitler franchit une nouvelle étape. Il affirme qu’on est en<br />
guerre mondiale, que les Juifs d’Europe doivent payer pour que l’Allemagne gagne et que 1914-1918 ne<br />
se répète pas (pour Hitler, il y a un lien entre la défaite de 1918 et les Juifs). Cela ouvre la voie à la<br />
déportation massive des Juifs d’Europe vers l’Est.<br />
L’année 1942 est une accélération de la déportation et de la mise en place de l’extermination massive<br />
prévue par Heydrich. A ses funérailles, Himmler donne un an pour l’élimination de tous les Juifs<br />
présents dans les territoires contrôlés par l’Allemagne. C’est un objectif quasiment atteint : en moins<br />
de 2 ans, la quasi-totalité des Juifs dans les territoires sous domination directe de l’Allemagne ont été<br />
éliminés.<br />
C’est donc un processus, qui comporte plusieurs phases et facteurs. Une propagande<br />
active auprès des sympathisants visait un antisémitisme actif mais surtout par la violence verbale, on<br />
produisait un antisémitisme passif qui faisait que les gens ne réagissaient pas. Dans la population<br />
allemande, seule l’élite était au courant du génocide mais il y avait beaucoup de rumeurs qui en faisaent<br />
état et l’armée régulière, la Wehrmacht a prêté main forte pour la déportation des Juifs. Cela ne<br />
concernait donc pas que les nazis.<br />
Le régime de Vichy et la question de la déportation : entre histoire et mémoire<br />
En Allemagne :<br />
L’Allemagne a assumé, y compris financièrement et diplomatiquement, face aux Juifs et à Israël<br />
sa responsabilité/culpabilité. Le discours officiel du « tous coupables » mais aussi du mythe de la<br />
Wehrmacht « propre », non responsable de crimes nazis a cependant des limites depuis une dizaine<br />
d’années, grâce à des expositions et des ouvrages (« les hommes ordinaires » de C Browning montre que<br />
des réservistes ont participé aux Einzatsgruppen). Cependant ce mythe qui distinguait nazis et<br />
Allemands était nécessaire après 1945, notamment en direction de la France (pour permettre la<br />
réconciliation) et des Etats-Unis (pour pouvoir aider l’Allemagne durant la guerre froide).<br />
Aux Etats-Unis<br />
Jusqu’aux années 60, peu d’intérêt pour l’holocauste et ensuite, il y a une montée en puissance jusqu’à<br />
arriver à une sorte de « religion civile de la mémoire de la Shoah » aux Etats-Unis. Dans les années 60,<br />
2 faits expliquent cette montée en puissance :<br />
le procès Eichmann en 1961, démultiplié par Hannah Arendt « Eichmann à Jérusalem, rapport<br />
sur la banalité du mal ».<br />
le rapport des minorités aux souffrances passées. Il y a une redécouverte de la Shoah par<br />
crainte que l’identité juive disparaisse, devienne invisible dans l’Occident des Trente<br />
Glorieuses. C’est la question de l’assimilation socio-éco-culturelle qui pose la question de<br />
l’identité juive.<br />
Dans les années 70, il y a une sécularisation de la société américaine, les mariages<br />
entre Juifs et non-Juifs se multiplient et se traduisent chez les enfants par une atténuation de<br />
l’identité : la cristallisation sur le passé souffrant refonde le judaïsme. C’est souvent à la 3ème<br />
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génération que survient ce retour au passé : les parents se sont tus, les enfants ont reconstruit, la<br />
nouvelle génération pose les questions. C’est exacerbé par le spectre de la disparition d’Israël durant la<br />
guerre des Six Jours et celle du Kippour.<br />
Dans les années 80, il y a une sorte de « culte mondial » de la victime : les « bourreaux<br />
» demandent pardon, on veut garder mémoire des victimes (ex : Spielberg et sa fondation)…<br />
Les ambiguïtés et les risques :<br />
- la première est celle que l’on donne à voir des Juifs. N’y a-t-il pas un risque à présenter une<br />
nouvelle fois les Juifs comme un peuple victime, ce qu’il est déjà dans l’idéologie chrétienne (victime<br />
providentielle) alors que ceux qui ont bâti Israël ont cherché à casser cette image et de forger celle<br />
d’un peuple pionnier et conquérant ?<br />
- concurrence ou jalousie des victimes : il y a un risque que l’insistance autour de la Shoah génère<br />
des rancœurs (ex : de la communauté noire aux Etats-Unis).<br />
Pourquoi la Shoah occupe-t-elle une telle place dans la société et la diplomatie américaine (1993 :<br />
inauguration du musée mémorial de Washington, qui reçoit 5 millions de visiteurs par an, le site est<br />
construit à proximité des lieux de pouvoir et est visité par le président élu, il y a un jour consacré à la<br />
Shoah…) ?<br />
- une interprétation ( Norman Finkelstein) est que les Etats-Unis utilisent cela pour soutenir<br />
Israël. Il faut prélever de l’argent et la Shoah permet, par des procès, d’en prélever auprès des<br />
banques et entreprises européennes en demandant des réparations.<br />
- pour Finkelkraut et Schapper, l’antisémitisme n’appartient pas qu’aux Juifs, c’est aussi l’affaire de la<br />
démocratie, les Etats-Unis s’en sentent les défenseurs et identifient la démocratie à la cause des<br />
Juifs.<br />
- Pour Peter Novick, il y a une identification forte. D’abord les Américains ont une<br />
culpabilité refoulée vis-à-vis des Indiens, puis la société américaine est saturée de films catastrophe,<br />
les Américains, en majorité protestants, vivent dans la crainte de l’Apocalypse et de la catastrophe. La<br />
Shoah leur montre que c’est possible. Enfin, les Américains et les Juifs ont en commun les mêmes<br />
références religieuses (Ancien Testament) et les Américains s’identifient à Israël (une minorité<br />
persécutée, arrivée en exil, quelque part sur une « terre promise » où elle bâtit une réussite, c’est le<br />
mythe du pionnier). Les Américains retrouvent dans l’histoire des Juifs le noyau de leur identité<br />
(résilience en psychologie).<br />
En France:<br />
La mémoire du génocide est récente. Après la guerre, c’était le mythe du « tous résistants » qui<br />
prévalait, puis dans les années 70 il y a une variation et à présent, forte place accordée au génocide<br />
pour l’histoire de la période (en particulier au lycée). Pour Henri Rousso, la mémoire n’est pas linéaire, il<br />
y a une phase de silence d’abord, puis d’hypermnésie mais en 1945, les victimes ne se sont pas tues (pas<br />
73<br />
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de silence), on ne les a pas écoutées. Souvent, ils oublient la spécificité du génocide par souci<br />
d’assimilation à la société française. Ils disaient avoir souffert comme Français, non comme Juifs.<br />
Pourquoi ces questions de « mémoire » sont-elles à la mode ?<br />
L’expression « lieu de mémoire » est récente et recouvre une notion plus large que des lieux<br />
géographiques. Depuis les années 70, il y a un phénomène de pratiques démocratiques de mémoire,<br />
auparavant réservées à une élite. La réflexion autour du patrimoine se développe, on multiplie les<br />
commémorations.<br />
Il y a différentes acceptions de « mémoire ». Pour ce qui est de la Shoah, dès les années 50 la loi<br />
en Israël prévoit un jour pour la commémoration : il y a donc une politique officielle de la mémoire de la<br />
Shoah.<br />
En France, c’est surtout le film de Claude Lanzmann qui a popularisé l’expression et a posé la<br />
question de la mémoire des Français par rapport à cette période et des relations entre les Français et<br />
les Juifs et même des Juifs entre eux (par exemple, ceux d’Afrique du Nord, même s’ils ont été exclus<br />
des administrations, écoles… n’ont pas été directement concernés par la Shoah). Il y a un décalage<br />
entre la mémoire du peuple français et celle du groupe juif, minoritaire. Avec le temps, le groupe<br />
majoritaire a reconnu et intégré la mémoire du groupe minoritaire. Par exemple, à Paris, il y a deux<br />
mémoriaux de la déportations :<br />
un géré par le CDJC dans la marais . Le CDJC est créé pendant la guerre par Isaac<br />
Schneersohn. Pensant que les nazis veulent effacer toute trace des Juifs, il le fonde pour<br />
conserver la mémoire afin d’écrire l’histoire ultérieurement (même démarche qu’Emmanuel<br />
Ringelblum dans le ghetto de Varsovie). En 1956 , le CDJC inaugure donc un lieu de<br />
recueillement, une bibliothèque et un centre de documentation. S’y trouve aussi le fichier des<br />
Juifs de la préfecture de Paris. Ce mémorial n’a pas été jugé satisfaisant par les associations<br />
de résistants qui ont fait pression pour un autre monument en 1964 (action de De Gaulle)<br />
mémorial dans l’île de la Cité géré par les anciens combattants « Mémorial des martyrs<br />
français de la déportation » avec la liste des camps mais sans Belzec, Sobibor, Chelmno et<br />
Treblinka, uniquement ceux où des résistants ont été déportés. Cela a été la mémoire<br />
dominante de la déportation après guerre, il y a donc des tensions entre les deux mémoires.<br />
Les résistants ont aussi créé un livre « Mémorial des Résistants et de la déportation », sur le<br />
même modèle que celui de Serge Klarsfeld mais il faut bien avoir à l’esprit que deux systèmes<br />
de camps fonctionnaient et que 50% des résistants déportés ont survécu alors que c’est<br />
seulement 3% pour les Juifs. A leur retour, on a plus entendu les déportés résistants. La<br />
mémoire collective s’est focalisée sur les choses terribles qu’ils racontaient mais les<br />
paramètres de la survie dans les camps de concentration et dans les camps d’extermination<br />
n’étaient pas les mêmes. Les Juifs ont été moins entendus car moins nombreux, les choses<br />
étaient plus difficiles à dire et une grande partie d’entre eux était étranger, parlant mal le<br />
français ou de catégories sociales moins favorisées et osant peu s’exprimer publiquement. Il<br />
faut attendre la génération des enfants de déportés pour que cette parole soit entendue, ainsi<br />
que celle des autres victimes (enfants cachés, enfants de déportés… dont la vie a été<br />
perturbée et que l’on ne reconnaît, en tant que victime, que maintenant). Cette génération<br />
d’enfants de déportés est d’abord intervenue sur la scène médiatique en tant qu’enfants de<br />
victimes, puis en tant que victimes eux-mêmes.<br />
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QUADERNO “MEMORIA 2012” DI A.LAVECCHIA<br />
Des camps dans Paris<br />
Le camp du magasin Lévitan<br />
C’est un bâtiment en structure métallique qui expose des meubles, appartenant à un fabricant de<br />
meuble juif, Lévitan. Il a été transformé en camp d’internement pour les Juifs français, mais c’était<br />
secret et les apparences étaient conservées (en passant de l’extérieur on voyait quelques meubles,<br />
donnant l’illusion que le magasin venait d’être fermé). Les détenus travaillaient dans les étages et<br />
étaient logés en haut, ils n’avaient pas le droit de s’approcher des fenêtres sous peine d’être envoyés à<br />
Drancy. Il y a avait beaucoup de visiteurs allemands et les détenus avaient ordre de se mettre en scène<br />
et de travailler, mais en fait les couturières travaillaient pour les femmes des Allemands basés à Paris.<br />
Les détenus étaient choisis à Drancy pour aller travailler dans ce camp, c’étaient des artisans très<br />
qualifiés ou des détenus de statuts particuliers (conjoints d’aryens par exemple).<br />
Ces bâtiments étaient choisis d’abord dans le cadre de l’aryanisation des bâtiments (confisqués aux<br />
Juifs) et puis pour leur fonction antérieure : l’immeuble Lévitan a été transformé en dépôt de meubles<br />
et de biens pillés dans les appartements des Juifs arrêtés depuis novembre 1941. cette opération de<br />
pillage, menée à Paris par Von Behr nécessite la réquisition de camions de déménagement et de la place<br />
pour stocker. Les détenus réceptionnent les caisses, classent les objets, anonyment ceux qui ont un<br />
nom, brûlent les photos et papiers personnels : il y a bien une volonté de faire disparaître toute trace<br />
des déportés.<br />
Camp d’Austerlitz (43 quai de la gare , quais Levasseur et Panhard) :<br />
le 31 octobre 1943, les 1ers détenus depuis Drancy arrivent. Il y a un droit de visite pour les familles.<br />
La plupart des détenus ne sont pas déportables car conjoints d’aryens.<br />
Camp de Bassano dans le XVIème arrondissement :<br />
Tout petit camp ouvert en mars 1944 et dont les détenus venaient de Lévitan ou Austerlitz. C’est un<br />
immeuble avec des combles sans fenêtres éclairés par des verrières. Les salons servaient de lieux<br />
d’exposition pour les beaux objets pillés et étaient visités par les dignitaires nazis qui se servaient.<br />
En août 1944, ces trois camps ont été évacués vers Drancy. Au total, 800 trains de meubles ont quitté<br />
la France, la Belgique et les Pays-Bas pour l’Allemagne où les objets ont été distribués aux victimes<br />
alliés des bombardements (chaque victime allemande est ainsi bénéficiaire de la Shoah). Au moins 795<br />
détenus sont passés par les camps d’internement à Paris et 21% ont été déportés à Auschwitz ou<br />
Bergen-Belsen (pour les femmes des prisonniers de guerre).<br />
Pourquoi a-t-on si peu parlé de ces camps ?<br />
Dès leur libération, ces détenus ont cherché à parler mais en avril 45, on apprend la réalité des camps<br />
de concentration et d’extermination. Leurs témoignages ont donc été relativisés et se sont arrêtés. Ce<br />
n’est qu’en 1995 aux Etats-Unis que se crée une Amicale des détenus d’Austerlitz et qu’on voit<br />
apparaître la revendication d’une mémoire écrite collective et plus seulement familiale. Il y a eu<br />
auparavant comme « un trou de mémoire », dans le quartier, on savait qu’il y avait eu quelque chose à<br />
ces endroits mais on ne savait pas quoi. Cela change car maintenant cette mémoire est mise en valeur<br />
par les recherches sur les spoliations, il y a aussi une reconnaissance officielle par la mairie de Paris<br />
(pose de plaques) et les survivants parlent.<br />
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Jean-Paul Sartre, Réflexions sur la question juive<br />
Ecrit en octobre 1944, ce texte a été publié pour la première fois en 1946. Sartre y aborde la<br />
"situation" de l'existence juive de manière négative, comme construction par le regard de<br />
l'antisémite :<br />
« Loin que l'expérience engendre la notion de Juif, c'est celle-ci qui éclaire l'expérience au<br />
contraire ; si le Juif n'existait pas, l'antisémite l'inventerait. » (p. 14)<br />
L'antisémitisme<br />
Sartre analyse l'antisémitisme comme passion de haine et peur de soi. Cette peur est celle<br />
de la condition de l'homme et refus de sa propre liberté :<br />
« Il devient évident pour nous qu'aucun facteur externe ne peut introduire dans l'antisémite<br />
son antisémitisme. L'antisémitisme est un choix libre et total de soi-même, une attitude<br />
globale que l'on adopte non seulement vis-à-vis des Juifs, mais vis-à-vis des hommes en<br />
général, de l'histoire et de la société; c'est à la fois une passion et une conception du<br />
monde.» (pp. 18-19)<br />
« C'est un homme qui a peur. Non des Juifs, certes : de lui-même, de sa conscience, de sa<br />
liberté, de ses instincts, de ses responsabilités, de la solitude, du changement, de la société<br />
et du monde ; de tout sauf des Juifs. (…) L'antisémitisme, en un mot, c'est la peur devant la<br />
condition humaine. L'antisémite est l'homme qui veut être roc impitoyable, torrent furieux,<br />
foudre dévastatrice : tout sauf un homme. » (pp. 62-64)<br />
Y a-t-il une collectivité historique juive?<br />
« Une communauté historique concrète est d'abord<br />
nationale et religieuse; or, la communauté juive qui fut<br />
l'une et l'autre s'est vidée peu à peu de ces caractères<br />
concrets. Nous la nommerions volontiers une communauté<br />
historique abstraite. Sa dispersion implique la<br />
désagrégation des traditions communes; et nous avons<br />
marqué plus haut que ses vingt siècles de dispersion et<br />
d'impuissance politique lui interdisent d'avoir un passé<br />
historique. S'il est vrai, comme le dit Hegel, qu'une<br />
collectivité est historique dans la mesure où elle a la<br />
mémoire de son histoire, la collectivité juive est la moins<br />
historique de toutes les sociétés car elle ne peut garder mémoire que d'un long martyre,<br />
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c'est-à-dire d'une longue passivité. » (pp. 80-81)<br />
Situation<br />
« Pour nous l'homme se définit avant tout comme un être "en situation". Cela signifie qu'il<br />
forme un tout synthétique avec sa situation biologique, économique, culturelle, etc. On ne<br />
peut le distinguer d'elle car elle le forme et décide de ses possibilités, mais, inversement,<br />
c'est lui qui lui donne son sens en se choisissant dans et par elle. Etre en situation, selon<br />
nous, cela signifie se choisir en situation et les hommes diffèrent entre eux comme leurs<br />
situations font entre elles et aussi selon le choix qu'ils font de leur propre personne. Ce qu'il y<br />
a de commun entre eux tous ce n'est pas une nature, mais une condition, c'est-à-dire un<br />
ensemble de limites et de contraintes. (...) Et cette condition n'est au fond que la situation<br />
humaine fondamentale ou, si l'on préfère, l'ensemble des caractères abstraits communs à<br />
toutes les situations. » (p. 72)<br />
L'être juif comme produit du regard de l'autre<br />
« Qu'est-ce donc qui conserve à la communauté juive un semblant d'unité ? Pour répondre à<br />
cette question, il faut revenir à l'idée de situation. Ce n'est ni leur passé, ni leur religion, ni<br />
leur sol qui unissent les fils d'Israël. Mais ils ont un lien commun, s'ils méritent tous le nom de<br />
Juif, c'est qu'ils ont une situation commune de Juif, c'est-à-dire qu'ils vivent dans une<br />
communauté qui les tient pour Juifs. En un mot, le Juif est parfaitement assimilable par les<br />
nations modernes, mais il se définit comme celui que les nations ne veulent pas assimiler.<br />
(...) Le Juif est un homme que les autres hommes tiennent pour Juif. » (p. 81)<br />
Source: Réflexions sur la question juive (Gallimard, Folio Essais, 2004,)<br />
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ALBERT CAMUS, DISCOURS DE SUÈDE<br />
En recevant la distinction dont votre libre Académie a bien voulu m’honorer, ma gratitude était<br />
d’autant plus profonde que je mesurais à quel point cette récompense dépassait mes mérites<br />
personnels. Tout homme et, à plus forte raison, tout artiste, désire être reconnu. Je le désire aussi.<br />
Mais il ne m’a pas été possible d’apprendre votre décision sans comparer son retentissement à ce<br />
que je suis réellement. Comment un homme presque jeune, riche de ses seuls doutes et d’une œuvre<br />
encore en chantier, habitué à vivre dans la solitude du travail ou dans les retraites de l’amitié,<br />
n’aurait-il pas appris avec une sorte de panique un arrêt qui le portait d’un coup, seul et réduit à luimême,<br />
au centre d’une lumière crue ? De quel cœur aussi pouvait-il recevoir cet honneur à l’heure<br />
où, en Europe, d’autres écrivains, parmi les plus grands, sont réduits au silence, et dans le temps<br />
même où sa terre natale connaît un malheur incessant ?<br />
J’ai connu ce désarroi et ce trouble intérieur. Pour retrouver la paix, il m’a fallu, en somme, me<br />
mettre en règle avec un sort trop généreux. Et, puisque je ne pouvais m’égaler à lui en m’appuyant<br />
sur mes seuls mérites, je n’ai rien trouvé d’autre pour m’aider que ce qui m’a soutenu, dans les<br />
circonstances les plus contraires, tout au long de ma vie : l’idée que je me fais de mon art et du rôle<br />
de l’écrivain. Permettez seulement que, dans un sentiment de reconnaissance et d’amitié, je vous<br />
dise, aussi simplement que je le pourrai, quelle est cette idée.<br />
Je ne puis vivre personnellement sans mon art. Mais je n’ai jamais placé cet art au-dessus de<br />
tout. S’il m’est nécessaire au contraire, c’est qu’il ne se sépare de personne et me permet de vivre,<br />
tel que je suis, au niveau de tous. L’art n’est pas à mes yeux une réjouissance solitaire. Il est un<br />
moyen d’émouvoir le plus grand nombre d’hommes en leur offrant une image privilégiée des<br />
souffrances et des joies communes. Il oblige donc l’artiste à ne pas s’isoler ; il le soumet à la vérité<br />
la plus humble et la plus universelle. Et celui qui, souvent, a choisi son destin d’artiste parce qu’il se<br />
sentait différent, apprend bien vite qu’il ne nourrira son art, et sa différence, qu’en avouant sa<br />
ressemblance avec tous. L’artiste se forge dans cet aller-retour perpétuel de lui aux autres, à michemin<br />
de la beauté dont il ne peut se passer et de la communauté à laquelle il ne peut s’arracher.<br />
C’est pourquoi les vrais artistes ne méprisent rien ; ils s’obligent à comprendre au lieu de juger. Et,<br />
s’ils ont un parti à prendre en ce monde, ce ne peut être que celui d’une société où, selon le grand<br />
mot de Nietzsche, ne régnera plus le juge, mais le créateur, qu’il soit travailleur ou intellectuel.<br />
Le rôle de l’écrivain, du même coup, ne se sépare pas de devoirs difficiles. Par définition, il ne<br />
peut se mettre aujourd’hui au service de ceux qui font l’histoire : il est au service de ceux qui la<br />
subissent. Ou, sinon, le voici seul et privé de son art. Toutes les armées de la tyrannie avec leurs<br />
millions d’hommes ne l’enlèveront pas à la solitude, même et surtout s’il consent à prendre leur pas.<br />
Mais le silence d’un prisonnier inconnu, abandonné aux humiliations à l’autre bout du monde, suffit<br />
à retirer l’écrivain de l’exil, chaque fois, du moins, qu’il parvient, au milieu des privilèges de la<br />
liberté, à ne pas oublier ce silence et à le faire retentir par les moyens de l’art.<br />
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Aucun de nous n’est assez grand pour une pareille vocation. Mais, dans toutes les circonstances<br />
de sa vie, obscur ou provisoirement célèbre, jeté dans les fers de la tyrannie ou libre pour un temps<br />
de s’exprimer, l’écrivain peut retrouver le sentiment d’une communauté vivante qui le justifiera, à<br />
la seule condition qu’il accepte, autant qu’il peut, les deux charges qui font la grandeur de son<br />
métier : le service de la vérité et celui de la liberté. Puisque sa vocation est de réunir le plus grand<br />
nombre d’hommes possible, elle ne peut s’accommoder du mensonge et de la servitude qui, là où ils<br />
règnent, font proliférer les solitudes. Quelles que soient nos infirmités personnelles, la noblesse de<br />
notre métier s’enracinera toujours dans deux engagements difficiles à maintenir — le refus de<br />
mentir sur ce que l’on sait et la résistance à l’oppression.<br />
Pendant plus de vingt ans d’une histoire démentielle, perdu sans secours, comme tous les<br />
hommes de mon âge, dans les convulsions du temps, j’ai été soutenu ainsi par le sentiment obscur<br />
qu’écrire était aujourd’hui un honneur, parce que cet acte obligeait, et obligeait à ne pas écrire<br />
seulement. Il m’obligeait particulièrement à porter, tel que j’étais et selon mes forces, avec tous<br />
ceux qui vivaient la même histoire, le malheur et l’espérance que nous partagions. Ces hommes, nés<br />
au début de la première guerre mondiale, qui ont eu vingt ans au moment où s’installaient à la fois<br />
le pouvoir hitlérien et les premiers procès révolutionnaires ont été confrontés ensuite, pour parfaire<br />
leur éducation, à la guerre d’Espagne, à la deuxième guerre mondiale, à l’univers<br />
concentrationnaire, à l’Europe de la torture et des prisons, doivent aujourd’hui élever leurs fils et<br />
leurs œuvres dans un monde menacé de destruction nucléaire. Personne, je suppose, ne peut leur<br />
demander d’être optimistes. Et je suis même d’avis que nous devons comprendre, sans cesser de<br />
lutter contre eux, l’erreur de ceux qui, par une surenchère de désespoir, ont revendiqué le droit au<br />
déshonneur, et se sont rués dans les nihilismes de l’époque. Mais il reste que la plupart d’entre nous,<br />
dans mon pays et en Europe, ont refusé ce nihilisme et se sont mis à la recherche d’une légitimité. Il<br />
leur a fallu se forger un art de vivre par temps de catastrophe, pour naître une seconde fois, et lutter<br />
ensuite, à visage découvert, contre l’instinct de mort à l’œuvre dans notre histoire.<br />
Chaque génération, sans doute, se croit vouée à refaire le monde. La mienne sait pourtant<br />
qu’elle ne le refera pas. Mais sa tâche est peut-être plus grande. Elle consiste à empêcher que le<br />
monde ne se défasse. Héritière d’une histoire corrompue où se mêlent les révolutions déchues, les<br />
techniques devenues folles, les dieux morts et les idéologies exténuées, où de médiocres pouvoirs<br />
peuvent aujourd’hui tout détruire mais ne savent plus convaincre, où l’intelligence s’est abaissée<br />
jusqu’à se faire la servante de la haine et de l’oppression, cette génération a dû, en elle-même et<br />
autour d’elle, restaurer à partir de ses seules négations un peu de ce qui fait la dignité de vivre et de<br />
mourir. Devant un monde menacé de désintégration, où nos grands inquisiteurs risquent d’établir<br />
pour toujours les royaumes de la mort, elle sait qu’elle devrait, dans une sorte de course folle contre<br />
la montre, restaurer entre les nations une paix qui ne soit pas celle de la servitude, réconcilier à<br />
nouveau travail et culture, et refaire avec tous les hommes une arche d’alliance. Il n’est pas sûr<br />
qu’elle puisse jamais accomplir cette tâche immense, mais il est sûr que, partout dans le monde, elle<br />
tient déjà son double pari de vérité et de liberté, et, à l’occasion, sait mourir sans haine pour lui.<br />
C’est elle qui mérite d’être saluée et encouragée partout où elle se trouve, et surtout là où elle se<br />
sacrifie. C’est sur elle, en tout cas, que, certain de votre accord profond, je voudrais reporter<br />
l’honneur que vous venez de me faire.<br />
Du même coup, après avoir dit la noblesse du métier d’écrire, j’aurais remis l’écrivain à sa vraie<br />
place, n’ayant d’autres titres que ceux qu’il partage avec ses compagnons de lutte, vulnérable mais<br />
entêté, injuste et passionné de justice, construisant son œuvre sans honte ni orgueil à la vue de tous,<br />
toujours partagé entre la douleur et la beauté, et voué enfin à tirer de son être double les créations<br />
qu’il essaie obstinément d’édifier dans le mouvement destructeur de l’histoire. Qui, après cela,<br />
pourrait attendre de lui des solutions toutes faites et de belles morales ? La vérité est mystérieuse,<br />
fuyante, toujours à conquérir. La liberté est dangereuse, dure à vivre autant qu’exaltante. Nous<br />
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devons marcher vers ces deux buts, péniblement, mais résolument, certains d’avance de nos<br />
défaillances sur un si long chemin. Quel écrivain dès lors oserait, dans la bonne conscience, se faire<br />
prêcheur de vertu ? Quant à moi, il me faut dire une fois de plus que je ne suis rien de tout cela. Je<br />
n’ai jamais pu renoncer à la lumière, au bonheur d’être, à la vie libre où j’ai grandi. Mais bien que<br />
cette nostalgie explique beaucoup de mes erreurs et de mes fautes, elle m’a aidé sans doute à mieux<br />
comprendre mon métier, elle m’aide encore à me tenir, aveuglément, auprès de tous ces hommes<br />
silencieux qui ne supportent dans le monde la vie qui leur est faite que par le souvenir ou le retour<br />
de brefs et libres bonheurs.<br />
Ramené ainsi a ce que je suis réellement, à mes limites, à mes dettes, comme à ma foi difficile,<br />
je me sens plus libre de vous montrer, pour finir, l’étendue et la générosité de la distinction que<br />
vous venez de m’accorder, plus libre de vous dire aussi que je voudrais la recevoir comme un<br />
hommage rendu à tous ceux qui, partageant le même combat, n’en ont reçu aucun privilège, mais<br />
ont connu au contraire malheur et persécution. Il me restera alors à vous en remercier, du fond du<br />
cœur, et à vous faire publiquement, en témoignage personnel de gratitude, la même et ancienne<br />
promesse de fidélité que chaque artiste vrai, chaque jour, se fait à lui-même, dans le silence.<br />
[10 DÉCEMBRE 1957]<br />
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