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mano sinistra (Stravinskij non avrebbe potuto<br />

fare meglio).<br />

il primo episodio è una musica contadinesca<br />

idealizzata in do maggiore: «il piccolo clarinettista<br />

invita alla danza». Ma anche qua, Schubert<br />

evita di dar<strong>le</strong> un carattere troppo popolare introducendo<br />

del<strong>le</strong> costruzioni armoniche sorprendenti<br />

(si ritrova qui l’influenza del<strong>le</strong> Sinfonie di<br />

Haydn). il primo ritorno del tema del Rondò si<br />

distingue con “soli di corno” virtuosistici e qualche<br />

piccante spostamento di mediante.<br />

il secondo episodio in mi bemol<strong>le</strong> maggiore,<br />

anch’esso con ritmo danzante, si distingue dal<br />

primo per una differenza molto sotti<strong>le</strong> che sembra<br />

sfuggire a molti giovani interpreti: mentre nel<br />

primo episodio bisognava suonare non <strong>le</strong>gato,<br />

ora ci sono <strong>le</strong>gature. Una sottigliezza armonica<br />

estremamente origina<strong>le</strong> merita anche di essere<br />

menzionata qui: un accordo di quinta e sesta<br />

eccedente su la bemol<strong>le</strong> che non è risolto in do<br />

minore ma, per due volte, in un accordo di sesta<br />

in mi bemol<strong>le</strong> maggiore. Si tratta di una trovata<br />

che Schubert ha utilizzato altrove con efficacia<br />

in una sola occasione: nella sua grande Sinfonia<br />

in do maggiore del 1825/26, nel primo e nel quarto<br />

movimento. Qui, però, si tratta solo di una specie<br />

di “prodotto secondario”, l’accordo verso una<br />

melodia di Lied (prima in do minore poi, risolto,<br />

in do maggiore) che forma il cuore del movimento,<br />

come dice molto bene Harry Halbreich nel suo<br />

commento. Non è diffici<strong>le</strong> riconoscere la parentela<br />

con il Lied Die linden Lüfte sind erwacht [Le<br />

brezze <strong>le</strong>ggere si sono alzate], D 686, 1820-22, e,<br />

con ciò, la «nostalgia della primavera» che «chie-<br />

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de la parola». il commento di Harry Halbreich<br />

sulla fine di questa melodia e di questo movimento<br />

merita di essere citato, e non potrebbe essere<br />

formulato in modo più poetico: «Da do minore,<br />

la ce<strong>le</strong>ste melodia s’illumina sul tenero sorriso<br />

di do maggiore, spiegandosi in tutto lo sfavillio<br />

della sua bel<strong>le</strong>zza, poi viene attratta di nuovo<br />

dal<strong>le</strong> zone d’ombra dei toni minori, e finisce con<br />

lo sparire così misteriosamente come era venuta:<br />

passaggio inafferabi<strong>le</strong> della Bel<strong>le</strong>zza su questa<br />

terra! Dopo non rimane più che concludere, con<br />

una ripresa abbreviata dei temi dell’inizio, e la<br />

sonata svanisce delicatamente sul sorriso d’un<br />

pianissimo limpido…».<br />

Rimane da dire che Schubert ha designato questa<br />

sonata (in effetti la sua sedicesima o diciassettesima)<br />

sullo spartito autografo come “Sonata iV”,<br />

segno d’una autocritica eccessiva. Le Sonate I e II<br />

sono conosciute (D 845 e 850), ma qua<strong>le</strong> sarebbe<br />

dovuta essere la Terza? Si vorrebbe attribuire questo<br />

posto alla Sonata Tragica in la minore del 1823,<br />

D 784, pienamente riuscita. Un solo argomento<br />

contro questa teoria: lo stato del manoscritto, uno<br />

spartito di studio con parecchie correzioni. Perciò,<br />

a parer mio, quella che s’era pensato a pubblicare<br />

sotto il numero III, sarebbe stata la Sonata in mib<br />

maggiore D 568. Chi altro, infatti, avrebbe potuto<br />

persuadere Schubert a trasportare in mi bemol<strong>le</strong><br />

maggiore la Sonata D 567, scritta in re bemol<strong>le</strong><br />

maggiore, se non un editore che ritenesse che,<br />

con tre bemolli, una sonata si sarebbe venduta più<br />

facilmente che con cinque bemolli? Le correzioni<br />

portate alla versione origina<strong>le</strong> parlano anche in<br />

favore di una revisione effettuata qualche anno più

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