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Resta ancora da menzionare che il primo movimento
di questa sonata è incompiuto e che
Schubert – come per altre sonate anteriori – ha
smesso di scrivere all’inizio della ripresa. Questo
è sicuramente motivato dal fatto che, per Schubert,
la ripresa di un movimento di sonata corrispondesse
nella sua forma quasi esattamente alla sua
esposizione: perciò stendere sulla carta la ripresa
era un lavoro meccanico ch’egli, spesso, rimandava
a più tardi, forse per un’eventuale stampa dell’opera.
Come già in altre sonate della prima giovinezza,
anche qui io ho completato la fine del primo
movimento in tal modo che solo la modulazione
verso il tema secondario è stata modificata rispetto
a quella dell’esposizione e una breve coda (analoga
alla Sonata in la minore, D 537 Op. 164) riporta alla
tonalità minore. Mi è servita da modello anche la
Sonata in si maggiore, D 575 (Op. 147), di cui è stato
conservato un frammento simile, interrotto prima
della ripresa, e che esiste anche in una versione
terminata più tardi da Schubert.
il movimento finale è dominato dall’opposizione
tra il tema principale “più tetro”, agitato e il
tema secondario a forma di corale, luminoso, che
s’innalza in una suprema esaltazione. Nello sviluppo
che comincia ex abrupto con un passo armonico
in la minore – libero da ogni schema – viene
introdotto un nuovo tema cantabile, fervido, che
appare dapprima in si maggiore, ma a poco a poco
è attratto dal modo minore del tema principale per
finalmente scomparire. Dopo la ripresa nella quale
il tema principale è arricchito da controcanti contrappuntistici,
una breve coda termina sinteticamente
il movimento e la sonata la quale, in modo
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sorprendente, finisce con una citazione del tema
secondario in fa maggiore – non come liberazione
ma come una rassegnazione.
il superamento, segnalato all’inizio, dell’estensione
possibile degli strumenti dell’epoca
esigeva la scelta di uno strumento “futuristico”
appropriato. io ho scelto per questa registrazione
un Hammerflügel viennese di J.M. Schweighofer
(ca. 1846), più volte premiato, che conta fra i più
antichi strumenti a tastiera viennesi che possano
raggiungere il la4. ∆
Sonata N. 12, in la maggiore, Op. posth. 120, D 664
Secondo le dichiarazioni di alcuni suoi amici,
questa sonata sarebbe stata composta nel 1819,
in occasione di un soggiorno di Schubert a Steyr.
Questa data è perfettamente plausibile: a buon
diritto, quest’opera può essere considerata come
l’apice del primo periodo creativo di Schubert, durante
il quale – a prescindere dall’“evasione verso
sfere romantische”, sopraggiunta nel 1818 – egli
seguì più o meno i principi stilistici di Haydn e di
Mozart, pur infondendo in essi uno spirito tutto
schubertiano: “nuovo vino in vecchi otri”. La
Sonata in la maggiore costituisce la chiave di volta
e l’apice di questa evoluzione: in nessun’altra parte,
nemmeno nella “mozartiana” Quinta Sinfonia
di Schubert, la simbiosi tra i due universi è stata
realizzata in modo così convincente. Con tratti di
una concisione mozartiana, questa Sonata ritrae
un delizioso paesaggio primaverile schubertiano.
Mozartiana è già da sola l’idea di dar inizio alla
sonata con un tema cantabile. Questi temi can-