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Si potrebbe risentire questa “semplicità” mozartiana<br />

dell’inizio del tema come una rottura di<br />

sti<strong>le</strong>, senza l’intervento, fin dal<strong>le</strong> settima e ottava<br />

misure, di una modulazione “romantica” verso mi<br />

minore, nella qua<strong>le</strong> Schubert anticipa un pensiero<br />

armonico di Mendelssohn, il suo cadetto di solo<br />

dodici anni (si trova per esempio quel mi minore<br />

all’interno di una cadenza in do maggiore all’inizio<br />

della ce<strong>le</strong>bre Marcia nuzia<strong>le</strong> del Sogno di una<br />

notte d’estate). il tema secondario, graziosissimo,<br />

somigliante al valzer, è di nuovo in un rapporto di<br />

mediante, non in mi bemol<strong>le</strong> questa volta (come<br />

nel primo movimento) ma in un mi maggiore più<br />

luminoso, la tonalità dell’Adagio. Eppure, come<br />

nel primo movimento, si finisce col dirigersi verso<br />

la dominante sol maggiore. Ma un sol maggiore<br />

che non ha nulla di riposante. Con un genio ta<strong>le</strong><br />

che, per ritrovarlo, bisognerà aspettare Richard<br />

Strauss, il tratto cromatico in doppio contrappunto<br />

si vede “illuminato” da un’alternanza rapida<br />

di accordi di sol-mi bemol<strong>le</strong>-si-sol, con un vero<br />

e proprio effetto di scintillìo. Lo sviluppo viene<br />

elaborato su principi analoghi a quelli del primo<br />

movimento, con una nuova idea ornata di tratti<br />

virtuosistici. Ci lasciamo sorprendere dall’ampiezza<br />

della scrittura pianistica e dall’emancipazione<br />

della mano sinistra. Ma laddove si aspettava immancabilmente<br />

la ripresa, l’autografo di questo<br />

movimento s’interrompe bruscamente. Perché?<br />

Col rischio di ripetermi: perché evidentemente,<br />

per Schubert, l’entrata della ripresa segnava la<br />

fine del vero e proprio lavoro di creazione musica<strong>le</strong>.<br />

il resto non era più che “artigianato”, poiché<br />

seguiva in genera<strong>le</strong> lo stesso corso dell’esposizio-<br />

187 English Français Deutsch Italiano<br />

ne. Perciò non è molto diffici<strong>le</strong>, in quel genere di<br />

caso, proporre una ricostituzione stilisticamente<br />

“giusta”. Ma può darsi che, per questa sonata, ci<br />

sia una ragione particolare nel fatto che Schubert<br />

non l’abbia terminata per l’edizione: la paura della<br />

propria temerarietà. Pare plausibi<strong>le</strong> che <strong>le</strong> sue numerose<br />

innovazioni, audaci fino alla stravaganza,<br />

abbiano destato in Schubert un dubbio in quanto<br />

all’accoglienza che il suo pubblico avrebbe potuto<br />

fargli: nel 1818 – cioè in piena Restaurazione.<br />

∆<br />

Sonata n. 11, in fa minore, D 625/505<br />

(1818)<br />

un’opera “futurista”<br />

Nello Scherzo di questa sonata, troviamo per<br />

due volte il sol# acuto4, una nota che non esisteva<br />

a quei tempi su nessun pianoforte. Schubert la<br />

utilizzò anche nel Quintetto La Trota, D 667, composto<br />

poco tempo dopo, ma fu soppressa all’epoca<br />

della prima edizione (postuma). Chopin stesso,<br />

che sopravvisse ventun anni a Schubert, non ha<br />

mai una volta utilizzato questa nota. Schubert, si<br />

sa, componeva al tavolo. Forse non era nemmeno<br />

cosciente di quel “superamento del limite” (oppure<br />

sperava che i fabbricanti di pianoforti ampliassero<br />

l’estensione dello strumento in un futuro<br />

prossimo). Nel<strong>le</strong> sue ulteriori opere per pianoforte<br />

però, rispettò il fa acuto come la nota più alta possibi<strong>le</strong><br />

sui pianoforti viennesi.<br />

Quel superamento dell’estensione possibi<strong>le</strong> è<br />

sintomatico di una mossa stilistica decisamente<br />

rivoluzionaria. Caratteristici il virtuosismo della<br />

frase pianistica coll’agilità estesa del<strong>le</strong> mani e una

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