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si conclude l’esposizione con due idee nuove, una<br />

brillante, l’altra e<strong>le</strong>giaca.<br />

La regola vorrebbe ora che uno dei quattro temi<br />

esposti fornisse lo sviluppo. Ma niente affatto! un<br />

passaggio sorprendente, con cadenza rotta, da sol<br />

verso la bemol<strong>le</strong> maggiore, introduce un quinto<br />

tema, frase serena di quattro misure, il cui modello<br />

è ripetuto con modulazione e arricchito di nuove<br />

parti in contrappunto pianistico, ora sopra, ora<br />

sotto (l’inizio di questa parte mediana si riavvicina<br />

per vari motivi allo sviluppo del primo della<br />

Sonata in lab maggiore Op. 110 di Beethoven, che<br />

sarà composta solo tre anni più tardi!).<br />

Tutto questo è straordinariamente organico.<br />

L’unità è raggiunta grazie al movimento permanente<br />

di semicrome che anima e la fine dell’esposizione<br />

e lo sviluppo, e in una logica perfetta nella modulazione.<br />

Quel movimento cessa d’improvviso su un<br />

mi al basso. Una sosta su mi maggiore che è certamente<br />

un segna<strong>le</strong> di ritorno alla ripresa: lo sviluppo<br />

ha raggiunto la sua “meta”. Eppure, proprio prima<br />

dell’entrata attesa di questa ripresa, quel frammento<br />

d’opera, così promettente, s’interrompe. Ho tentato<br />

di comp<strong>le</strong>tarlo nello sti<strong>le</strong> di Schubert.<br />

Se non si può provare che l’Adagio in mi maggiore<br />

D 612 appartenga a questa sonata, è in ogni<br />

caso verosimi<strong>le</strong>. Si unisce perfettamente con gli<br />

altri due movimenti. Senza neanche cercare oltre,<br />

il rapporto del<strong>le</strong> tonalità – do-mi-do – è tipico<br />

di quel periodo. inabitua<strong>le</strong> e molto vicina alla<br />

modulazione del primo movimento, la relazione<br />

di mediante fra temi principa<strong>le</strong> e secondario si<br />

ritrova anche nell’Adagio. il tema secondario, invece<br />

di apparire come previsto alla dominante si<br />

186<br />

maggiore, si presenta in sol maggiore, quindi con<br />

lo stesso intervallo rispetto al tono principa<strong>le</strong> del<br />

tema secondario del primo movimento. Le sca<strong>le</strong><br />

cromatiche rapide corrispondono a tratti analoghi<br />

dei primo e terzo movimenti.<br />

il tema cantabi<strong>le</strong>, nobi<strong>le</strong> e tranquillo, è seguito<br />

da un’acce<strong>le</strong>razione progressiva. il piano imita con<br />

i suoi trilli e i suoi “sospiri d’amore” la voce degli<br />

uccelli, il canto languido dell’usignolo. L’atmosfera<br />

poetica non è molto lontana da quella d’un notturno<br />

di Chopin. Contrariamente all’“autografo<br />

di lavoro” dei primo e ultimo movimento, quello<br />

dell’Adagio è una messa in bella copia e comporta<br />

una data (stesso mese) e la firma di Schubert,<br />

forse perché era l’unico terminato e perciò poteva<br />

esser pubblicato isolatamente – uscì solo nel 1894,<br />

quindi molto tempo dopo la morte di Schubert.<br />

Un caso analogo tra l’altro si ritrova in Mozart: il<br />

Rondò separato in fa maggiore K 494, scritto nel<br />

1786, fu ampliato e integrato nel 1788 come Fina<strong>le</strong><br />

della Sonata K 533.<br />

il terzo movimento inizia su un tema “mozartiano”.<br />

La sua parentela con l’inizio del terzo movimento<br />

del Trio con pianoforte in do maggiore K 548<br />

di Mozart è molto sensibi<strong>le</strong>. Tuttavia Schubert ha<br />

pensato al ritmo puntato della Siciliana solo all’ottava<br />

misura, ma da quel momento l’ha conservato<br />

fino alla fine. È un caso che pone prob<strong>le</strong>ma all’interprete:<br />

bisogna suonare con ritmo puntato fin<br />

dall’inizio, come Schubert avrebbe sicuramente<br />

notato se avesse ricopiato in bella, o è meglio al<br />

contrario prendere l’inizio alla <strong>le</strong>ttera, non puntato,<br />

risuscitando così per l’ascoltatore, come «in<br />

tempo rea<strong>le</strong>», l’ispirazione di Schubert?

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