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indice<br />
Editoriale<br />
FOCUS<br />
Regia sì, regia no... Parliamone<br />
ANNIVERSARI /1<br />
Pier Paolo Pasolini, un poeta corsaro<br />
ANNIVERSARI /2<br />
A tu per tu con monsieur Molière<br />
APPUNTAMENTO 2023<br />
Sarah Bernhardt, verso il centenario<br />
APPROFONDIMENTO<br />
Quando il teatro incontra l’arte<br />
FESTIVAL<br />
Pillole di Teatro prontro alla finalissima<br />
TERRITORIO<br />
Notizie dai Comitati Provinciali<br />
In Umbria la Festa del Teatro Italiano <strong>2022</strong><br />
Sarà il “giardino d’Italia”, l’Umbria, ad accogliere quest’estate la tradizionale<br />
Festa del Teatro Italiano FITA: un’occasione di incontro tra<br />
appassionati della scena, ma anche di spettacolo e condivisione con<br />
il pubblico. Grande spazio, come sempre, ai giovani, con l’Accademia<br />
del Teatro FITA. Nel prossimo numero vi aggiorneremo su questa<br />
attesa edizione post pandemia.<br />
Addio all’amico Mariano Santin<br />
Si è spento Mariano Santin.<br />
Definirlo un pezzo di storia<br />
della Federazione Italiana<br />
Teatro Amatori è davvero<br />
troppo poco. E non certo per la<br />
“quantità” degli anni da lui<br />
dedicati a FITA a tutti i livelli, da<br />
quello della sua Vicenza a<br />
quella regionale. Ma anche e<br />
soprattutto per la “qualità” di<br />
quell’impegno, per la passione<br />
con la quale si è speso per far<br />
crescere la Federazione, per la<br />
dedizione e la tenacia con le<br />
quali ha portato avanti quella<br />
che per lui era una missione:<br />
avvicinare i giovani e il mondo<br />
della scuola al teatro.<br />
Tra i suoi tanti meriti, questo<br />
riveste certamente un ruolo<br />
particolare. Fin dai tempi di<br />
“Invito alla Prosa”, crocevia di<br />
talenti e passioni, creato a<br />
Vicenza nel 1960 e<br />
trasformatosi nell’esperienza<br />
ancora oggi viva di “Teatro dalla<br />
Scuola”, il premio FITA rivolto ai<br />
laboratori teatrali delle<br />
superiori del Veneto, condivisa<br />
con l'Associazione Teatrale<br />
"Città di Vicenza". Ma passando<br />
per numerose altre iniziative,<br />
tra le quali il concorso di critica<br />
teatrale sempre per le superiori<br />
“La Scuola e il Teatro”, abbinato<br />
al Festival nazionale “Maschera<br />
d’Oro”. E senza dimenticare,<br />
naturalmente, il tanto e il bello<br />
che Santin ha fatto per il teatro<br />
in generale, come ideatore,<br />
organizzatore e collaboratori di<br />
numerose, importanti<br />
manifestazioni.<br />
Per diversi anni era stato attore<br />
filodrammatico di qualità,<br />
partendo dalla compagnia<br />
dell’Enal (dal 1954 al 1960),<br />
passando per il Gad Amici del<br />
Teatro / Gli Istrioni con Otello<br />
Cazzola e arrivando anche a<br />
calcare palcoscenici prestigiosi,<br />
come quello del Festival di<br />
Pesaro e l’Olimpico di Vicenza.<br />
«Con Mariano Santin -<br />
commenta Mauro Dalla Villa,<br />
presidente FITA Veneto - se ne<br />
va un pezzo importante della<br />
nostra storia come<br />
Federazione. È stato tra i<br />
protagonisti, a livello vicentino<br />
e regionale, della storia FITA,<br />
della sua evoluzione nel corso<br />
dei decenni e in particolare<br />
dell'impegno che, attraverso<br />
persone come lui, ha sempre<br />
portato avanti in favore dei<br />
giovani e del mondo della<br />
scuola. Mancherà a tutti noi, ma<br />
il suo esempio di passione,<br />
competenza e dedizione<br />
rimarrà».<br />
«Prima di tutto se ne va un<br />
amico - dichiara Aldo Zordan,<br />
vicepresidente nazionale FITA -.<br />
Abbiamo condiviso tanti anni di<br />
attività intensa e significativa,<br />
soprattutto nell'organizzazione<br />
di manifestazioni rivolte al<br />
pubblico e ancora di più<br />
nell'azione verso le nuove<br />
generazioni, che per lui sono<br />
sempre state una priorità. Si è<br />
speso con generosità per<br />
avvicinare i giovani all'amore<br />
per il teatro e per sensibilizzare<br />
il mondo della scuola<br />
sull'importanza di dare spazio a<br />
questo tipo di attività e di<br />
cultura. È grazie a persone<br />
come lui se tanta strada è stata<br />
fatta in questa direzione».<br />
fitainforma<br />
Bimestrale<br />
del Comitato Regionale Veneto<br />
della Federazione Italiana<br />
Teatro Amatori<br />
ANNO XXXV<br />
giugno/<strong>luglio</strong> <strong>2022</strong><br />
Registrazione Tribunale<br />
di Vicenza n. 570<br />
del 13 novembre 1987<br />
Direttore responsabile<br />
ANDREA MASON<br />
Direzione e redazione<br />
Stradella delle Barche, 7<br />
36100 VICENZA<br />
tel. 0444 324907<br />
fitaveneto@fitaveneto.org<br />
www.fitaveneto.org<br />
Responsabile editoriale<br />
MAURO DALLA VILLA<br />
Caporedattore<br />
Alessandra Agosti<br />
Grafica<br />
Stefano Rossi<br />
Segreteria<br />
Eleonora Tovo<br />
2
EDITORIALE<br />
È davvero ora di cambiamento<br />
Non siamo certo stati con le mani in mano nel<br />
periodo acuto della pandemia e in quello delle<br />
incertezze che lo ha seguito: ora lo possiamo dire.<br />
Se è vero che il repertorio delle compagnie ha<br />
risentito del momento in cui non si poteva o non<br />
si riusciva a effettuare prove, con il risultato che<br />
numerosi lavori in allestimento hanno subito<br />
rallentamenti o rimandi, la macchina federativa<br />
però non solo non si è fermata, ma ha anche<br />
saputo reinventare il suo ruolo proponendo spazi<br />
e temi di cultura che prima non praticavamo.<br />
Diverse le iniziative proposte, anche e<br />
ovviamente con modalità inusuali per il nostro<br />
modo di fare associazione, ma non di meno<br />
interessanti e con risultati a volte inattesi in positvo.<br />
Abbiamo colto il momento che ha portato<br />
tanto scompiglio nella nostra quotidianità<br />
trasformandolo, magari non del tutto<br />
consapevoli, in un qualcosa che ci ha fatti<br />
riflettere sul nostro esistere.<br />
Ora è il momento di andare avanti, proseguire e<br />
incrementare l’attività delle nostre associazioni,<br />
avendo però coscienza che anche il mondo<br />
intorno a noi è cambiato. Cogliamo questo<br />
momento per modificare il modo di fare<br />
associazione e anche il nostro modo di fare<br />
teatro.<br />
Sentiamo spesso dire che il settore dello<br />
spettacolo ha risentito più di altri delle chiusure<br />
imposte dalla pandemia, ed è senz’altro vero,<br />
come è vero che noi ce ne siamo resi<br />
perfettamente conto.<br />
Anche il modo di fare associazione ha subito<br />
conseguenze, pertanto proviamo a fare meglio.<br />
Non necessariamente di più, ma consapevoli che<br />
si può fare anche in modo diverso.<br />
Parliamo di ripartenza, ma non pensiamola<br />
esclusivamente come un riprendere dalle stesse<br />
cose di prima, soprattutto quelle che già<br />
mostravano i segni del tempo.<br />
Abbiamo la fortuna di appartenere ad<br />
associazioni che sono allenate ad assecondare<br />
venti e burrasche e spesso ne escono migliori.<br />
Miglioriamo e aggiorniamo anche il nostro modo<br />
di fare spettacolo e cultura, adeguandoci a<br />
quanto il momento in cui viviamo recepisce con<br />
più favore e necessità. Non è più sufficiente agire<br />
come gruppi di amici motivati da passione, ma<br />
occorre essere sempre più e meglio preparati per<br />
ottenere la condivisione da parte del pubblico.<br />
Da diverso tempo ormai la Federazione ci<br />
propone questi temi che mirano a un<br />
aggiornamento anche culturale del nostro agire. I<br />
congressi tematici degli ultimi anni, i momenti di<br />
formazione e le pagine stesse del nostro<br />
periodico ci offrono delle finestre aperte che<br />
vorrebbero far spaziare la nostra mente a 360<br />
gradi. Approfittiamo di queste opportunità (che<br />
peraltro non costano nulla) per informarci, per<br />
nutrire il nostro pensiero e ampliare le nostre<br />
informazioni. Diventiamo curiosi di vedere che<br />
cosa succede intorno a noi, partecipiamo agli<br />
appuntamenti di cultura e di teatro, non<br />
facciamoci bastare quanto realizziamo con la<br />
nostra compagnia, ma cerchiamo di cogliere le<br />
occasioni che sono proposte per approfondire e<br />
apprendere.<br />
Da diverso tempo abbiamo significative<br />
convenzioni per assistere, a condizioni di favore, a<br />
spettacoli per cartelloni importanti di teatri nella<br />
nostra regione. Facciamo uso di queste possibilità<br />
che ci danno l’opportunità di partecipare con<br />
maggiore frequenza.<br />
Rendiamo disponibili le informazioni ai singoli<br />
soci di ogni associazione anche, se necessario,<br />
sacrificando qualche minuto del prezioso tempo<br />
delle prove.<br />
Spetta a ognuno cogliere le opportunità e i<br />
suggerimenti prospettati per trasmetterli e<br />
amplificarli all’interno della propria associazione.<br />
Buon teatro a tutti.<br />
Mauro Dalla Villa<br />
Presidente FITA Veneto<br />
3
Di regia non si parla mai<br />
abbastanza. O non è che<br />
magari se ne parla anche<br />
troppo? Perché c’è chi si chiede<br />
se abbia ancora senso parlare<br />
di registi e di regia... Proprio da<br />
questo interrogativo ha preso<br />
il via il congresso 2021 di Fita<br />
Veneto, del quale proponiamo<br />
una sintesi come spunto di riflessione<br />
per chi, effettivamente,<br />
si ponga la stessa domanda<br />
o per chi, regista, sia impegnato<br />
in un’analisi sul suo ruolo nei<br />
confronti della compagnia con<br />
la quale opera.<br />
L’appuntamento, svoltosi il 31<br />
ottobre scorso al Teatro Aurora<br />
di Treviso, è stato aperto da<br />
una relazione del presidente<br />
regionale Mauro Dalla Villa e<br />
dai saluti del vicepresidente<br />
nazionale Aldo Zordan, della<br />
presidente provinciale Sladana<br />
Reljic e, a nome del Comune di<br />
Treviso, del consigliere Antonio<br />
Dotto.<br />
La parola è quindi passata ai<br />
relatori Lorenzo Maragoni e Armando<br />
Carrara: il primo regista<br />
e co-autore della compagnia<br />
Amor Vacui nonché protagonista<br />
di numerose altre esperienze<br />
di scrittura e regia, in<br />
particolare con il Teatro Stabile<br />
del Veneto (e tra l’altro fresco<br />
campione mondiale di poetry<br />
Regia sì, regia no...<br />
Parliamone un po’<br />
Roberto Cuppone, Armando Carrara e Lorenzo Maragoni<br />
hanno portato le proprie esperienze e alcune riflessioni<br />
slam, raffnata disciplina letteraria<br />
e performativa insieme);<br />
il secondo attore, autore e regista,<br />
discendente delle celebri<br />
famiglie di teatranti Carrara e<br />
Laurini e con all’attivo una lunga,<br />
brillante e variegata carriera<br />
teatrale.<br />
Con loro, ad animare lo scambio<br />
di opinioni, Roberto Cuppone,<br />
altro nome di spicco della<br />
scena veneta, regista, attore,<br />
autore, docente di Drammaturgia<br />
all’Università degli Studi di<br />
Genova e da anni vicino anche<br />
al mondo FITA Veneto.<br />
Stimolante il dibattito, che ha<br />
visto Maragoni e Carrara, molto<br />
diversi per percorso e formazione,<br />
proporre le proprie<br />
esperienze e riflessioni sul ruolo<br />
del regista.<br />
Roberto Cuppone:<br />
il regista, un fratello maggiore<br />
«Il regista - ha commentato<br />
Cuppone - è una figura assolutamente<br />
strategica: spesso è il<br />
garante stesso della continuità<br />
del gruppo, che pensa al repertorio<br />
e si occupa di creare<br />
le condizioni per produrre lo<br />
spettacolo. Un primo consiglio<br />
al regista, però, è di non sentirsi<br />
necessario, nonostante lo sia.<br />
Il teatro occidentale esiste da<br />
2500 anni, ma in realtà si parla<br />
di regia da un secolo o poco più<br />
e in Italia da ancora meno. Per<br />
quasi tutta la sua storia il teatro<br />
non ha pensato a questa figura<br />
di garante del prodotto spettacolo.<br />
Ci sono sempre state<br />
figure che organizzavano e anche<br />
gli stessi Eschilo, Sofocle ed<br />
Euripide erano autori ma anche<br />
allestitori delle loro tragedie,<br />
però nessuno ha mai parlato<br />
di regia nel loro caso: il teatro<br />
era un rito e quindi nella pratica<br />
c’erano cose che si tramandavano,<br />
non oggetto della libera<br />
scelta individuale del regista.<br />
Nel Medioevo c’era chi organizzava<br />
le sacre rappresentazioni,<br />
che coinvolgevano anche intere<br />
città, ma era appunto più<br />
una questione organizzativa<br />
che altro. Per centinaia di anni,<br />
inoltre, l’organizzatore si metteva<br />
in scena con gli altri (anche<br />
nella tragedia greca, dove<br />
faceva corteo prima e dopo la<br />
rappresentazione): non lavorava<br />
dietro le quinte, secondo<br />
l’idea borghese della regia. In-<br />
4
Antonio Dotto e Mauro Dalla Villa Aldo Zordan Mauro Dalla Villa e Sladana Relijc<br />
Roberto Cuppone Armando Carrara Lorenzo Maragoni<br />
somma, nel corso della storia i<br />
“concertatori”, come si diceva<br />
nella commedia dell’arte, sono<br />
sempre esistiti, ma i problemi<br />
con cui si confrontavano erano<br />
il cosa, il quando, il come. L’idea<br />
della regia - ha proseguito Cuppone<br />
- matura sulla fine dell’Ottecento,<br />
e non in Italia, ma in<br />
Francia e in altre parti d’Europa,<br />
con le avanguardie degli inizi<br />
del ‘900, con le grandi fantasie<br />
anche utopistiche dell’epoca,<br />
legate pure ai nuovi mezzi<br />
che venivano avanti, come le<br />
luci (pensiamo a Edward Gordon<br />
Craig o Adolphe Appia).<br />
Arrivavano a concepire così<br />
integralmente la visione dello<br />
spettacolo che alla fine l’attore<br />
diventava quasi di troppo: da<br />
cui, non a caso, la teoria della<br />
“supermarionetta” di Craig».<br />
«Un altro momento centrale<br />
- ha continuato Cuppone<br />
- è stato quello russo, dove la<br />
regia nasce però più come pedagogia,<br />
con personaggi come<br />
Stanislavskij o Mejerchol’d, per<br />
esempio. Ognuno aveva i suoi<br />
“studi” dove portava avanti un<br />
progetto di attore, partendo<br />
dal contrario: costruire un attore<br />
capace di portare avanti<br />
un teatro credibile, perché questo<br />
era l’obiettivo del realismo<br />
dell’epoca, e anche l’attore,<br />
come la scena, doveva essere<br />
autentico, per cui nasce l’immedesimazione,<br />
che prima non<br />
importava affatto agli attori».<br />
Quanto all’Italia, ha ricordato<br />
Cuppone, la regia arriva in ritardo:<br />
«La prima volta che questo<br />
termine è stato pronunciato<br />
- ha spiegato il relatore - sembra<br />
sia stato nel 1934 durante<br />
un Convegno Volta organizzato<br />
da Luigi Pirandello, una sorta di<br />
Stati Generali del teatro di tutta<br />
Europa. Fu allora che questa<br />
parola fu sdoganata in Italia,<br />
quando in Europa era ormai<br />
vecchia. E la prima vera generazione<br />
di registi (dopo gli antesignani<br />
degli Anni ‘20 come<br />
lo stesso Pirandello o Anton<br />
Giulio Bragaglia) è stata quella<br />
del dopoguerra, con i vari Luchino<br />
Visconti, Luigi Squarzina,<br />
Gianfranco De Bosio, Giorgio<br />
Strehler. Quindi abbiamo il regista<br />
come garante del ritorno<br />
di un grande repertorio, della<br />
costruzione di un nuovo pubblico:<br />
potremmo avvicinarlo a<br />
oggi, dopo questi due anni di<br />
distanziamenti. Una generazione,<br />
questa, che ha avuto meriti<br />
enormi, ma che ha interpretato<br />
il proprio ruolo in modo molto<br />
borghese. Quella successiva,<br />
dagli anni ‘60/’70, ci ha scossi<br />
tutti: quella del regista demiurgo,<br />
da Luca Ronconi a Pippo<br />
Delbono, che crea, pensa, progetta,<br />
non più il garante ma<br />
l’autore di quello che avviene<br />
sulla scena».<br />
«Quindi - ha continuato - che<br />
consiglio dare a chi volesse iniziare<br />
a fare il regista o a chi volesse<br />
smettere di farlo (e quindi<br />
farlo bene)? Il vero lavoro di un<br />
regista è rendersi inutile. Piccolo<br />
consiglio, che rubo a Jerzy<br />
Grotowski, uno dei miti della<br />
mia generazione... Quando gli<br />
chiedevano che cos’è il teatro,<br />
diceva: “La cosa più sbagliata è<br />
definirlo per accumulo. Facciamo<br />
il contrario e chiediamoci<br />
cosa non può non essere: può<br />
fare a meno della scenografia?<br />
Sì. Della musica? Sì. Anche del<br />
testo? Sì, può farne a meno.<br />
Dell’attore? No. Dello spettatore?<br />
No. Dunque il teatro è<br />
quello che avviene tra un attore<br />
e uno spettatore. Tutto il<br />
resto è strumento. Facciamo lo<br />
stesso con il regista: cosa non<br />
può non essere? Un fratello<br />
maggiore. È il primo spettatore,<br />
come dice Grotowski. È<br />
il primo sguardo che l’attore<br />
incontra prima di uscire dalla<br />
porta del teatro. Lo studio arriva<br />
dopo. La prima cosa è quella<br />
sincerità dello sguardo per cui<br />
io ti faccio da anticipo del pubblico,<br />
ti dico cosa vedo davvero.<br />
Questa onestà aiuta anche nei<br />
rapporti di compagnia, perché<br />
spesso c’è un po’ di fantasia di<br />
potere in chi gestisce un gruppo,<br />
e in un momento poi così<br />
delicato come quello creativo:<br />
essere regista comporta grosse<br />
responsabilità, non è solo mettete<br />
questo qui e quello lì. Ciò<br />
che serve è vedere delle persone<br />
che crescono, che giocano<br />
insieme con piacere, e cercare<br />
di capire se quella cosa, quando<br />
usciremo da quella porta, verrà<br />
capita allo stesso modo».<br />
continua alla pagina seguente<br />
5
CARRARA<br />
«Il regista deve<br />
fare tutti i gradini<br />
della scala,<br />
dal raddrizzare<br />
chiodi al debutto<br />
come primo<br />
attore; ma poi<br />
scarichi anche<br />
il camion, metti<br />
le luci, monti<br />
la scenografia.<br />
Quando poi ho<br />
smesso, sapevo<br />
la fatica che si fa»<br />
Un riconoscimento ai 195 lettori “Danteschi”<br />
Armando Carrara:<br />
l’esperienza è di scena<br />
«Io vengo dalla vecchia scuola<br />
- ha esordito Carrara -. Quando<br />
ho iniziato a fare teatro io, non<br />
c’era la televisione. Ho debuttato<br />
da neonato, come accadeva<br />
nelle famiglie d’arte. Conosco<br />
anche le filodrammatiche, dove<br />
a mio parere ci sono soprattutto<br />
problemi di drammaturgia.<br />
Il copia incolla che si vede certe<br />
volte è esiziale: non si può<br />
prendere un video e riprodurlo...<br />
dov’è il lato artistico? Si dice<br />
che ci siano le filodrammatiche<br />
di campanile e quelle di cultura:<br />
nelle prime c’è l’aspetto<br />
aggregativo, che è certamente<br />
importante; altre sono profondamente<br />
artistiche... Ma bisogna<br />
rinunciare alla pannellatura,<br />
quando si può, con i salami<br />
dipinti e i mattoni sbrecciati.<br />
Abbandoniamo la “tradizione<br />
veneta” che arriva dalle osterie,<br />
dove non c’è lo studio del<br />
ritmo comico. Nella commedia<br />
dell’arte, invece, il senso comico<br />
è fondamentale e funziona:<br />
è una stoltaggine dal punto di<br />
vista del testo, ma nel ritmo è<br />
sublime e lì sotto c’è l’origine<br />
del teatro europeo».<br />
«Quanto al regista - ha continuato<br />
Carrara - capita che sia<br />
anche impegnato sulla scena.<br />
Ci sono due modi, al riguardo:<br />
quello del narcisismo, e quello<br />
della cultura teatrale. Tantissime<br />
volte ho fatto entrambe le<br />
cose, e spesso anche l’autore.<br />
Ma non per vezzo: per condensazione<br />
di stipendi su una<br />
persona sola. Ovviamente a me<br />
piaceva, ma non ho mai avuto<br />
un atteggiamento da dittatore<br />
con gli attori. Altri con cui abbiamo<br />
lavorato lo sono stati nei<br />
nostri confronti, alcuni veri mostri<br />
sacri. Ma secondo me questo<br />
dipende anche dalla mia<br />
Un doveroso riconoscimento<br />
è andato ai 195 lettori di<br />
“Dantesca 2021”, la maratona<br />
di letture online che al<br />
grande poeta ha reso omaggio<br />
nel settimo centenario<br />
della morte. A Treviso, in<br />
occasione del congresso regionale,<br />
tutti loro sono stati<br />
ringraziati uffcialmente<br />
dal presidente FITA Veneto,<br />
Mauro Dalla Villa, e hanno<br />
ricevuto un attestato di<br />
partecipazione all’iniziativa<br />
che, ricordiamo, è stata<br />
realizzata da giovedì 25 (il<br />
DanteDì) a sabato 27 marzo<br />
2021 (Giornata mondiale del<br />
Teatro), con la registrazione<br />
della lettura di dieci canti<br />
formazione: ho assistito a tutti<br />
gli spettacoli della mia famiglia,<br />
dove gli attori recitavano e poi<br />
cambiavano le scene, proprio<br />
come gli amatoriali. Questo è<br />
un punto di contatto con il teatro<br />
viaggiante dei miei tempi:<br />
entrambi hanno in sé un senso<br />
artistico ma anche sociale,<br />
aggregativo, offrono un modo<br />
per ritrovarsi, per fare comunità.<br />
E chi deve fare regia? Ecco,<br />
nella mia visione il regista deve<br />
fare tutti i gradini della scala,<br />
dal famoso “raddrizzare chiodi”<br />
alla prima battuta, al debutto<br />
come primo attore; ma poi<br />
scarichi anche il camion, metti<br />
le luci, monti la scenografia.<br />
Alla fine, quando ho smesso di<br />
farlo, sapevo la fatica che si fa.<br />
Sapevo che non serve mettere<br />
centomila luci, ma che conta<br />
metterle bene. Chi vuole fare il<br />
regista per me deve fare tutte<br />
le esperienze del teatro, anche<br />
se oggi è molto più diffcile».<br />
«Dalle filodrammatiche - ha sottolineato<br />
Carrara - sono usciti<br />
grandissimi attori e registi, e<br />
non solo perché in questo mondo<br />
si possono fare tutte queste<br />
esperienze, ma perché si può<br />
anche improvvisare, si può derogare<br />
a una regia e questo ti<br />
fa crescere: non si può crescere<br />
come attori se non si passa attraverso<br />
esperienze proprie sul<br />
palcoscenico; e questo in barba<br />
e quelli che ti dicono “tu sei lì e<br />
fai questo”. Non dico che si possa<br />
fare quello che si vuole: ci vogliono<br />
intelligenza e modestia<br />
e, soprattutto, ci vuole la consapevolezza<br />
che se cambi una<br />
cosa, se vai avanti per una certa<br />
strada, questo deve essere utile<br />
allo spettacolo e non al tuo<br />
egoismo, non al tuo narcisismo:<br />
gli attori che lavorano solo per<br />
l’applauso, cancellateli».<br />
della Divina Commedia: il I, il<br />
V, il XXVI e il XXXIII dell’Inferno,<br />
online giovedì 25; il I, il V e<br />
il VI del Purgatorio, online venerdì<br />
26; il X, il XXX e il XXXIII<br />
del Paradiso, online sabato<br />
27. Ciascun canto è stato diviso<br />
in gruppi di terzine, assegnati<br />
per sorteggio ai singoli<br />
partecipanti. In apertura di<br />
ogni canto, commenti sonori<br />
firmati dal compositore Stefano<br />
Maso. La proposta di Dantesca<br />
è stata infine arricchita<br />
dalla lettura di cinque sonetti,<br />
affdati alle compagnie<br />
partecipanti all’evento con il<br />
maggior numero di tesserati.<br />
Tutte le video-letture sono<br />
pubblicate nel canale YouTube<br />
e nel sito Fita Veneto.<br />
L’iniziativa ha ricevuto il patrocinio<br />
della Regione del<br />
Veneto e di FITA nazionale<br />
e l’attenzione di numerose<br />
realtà culturali e associative<br />
venete, tra le quali la Società<br />
Dante Alighieri di Rovigo,<br />
il Comune di Mirano, Pro<br />
Loco, Istituti Scolastici e Università<br />
Popolari della regione,<br />
che hanno appoggiato<br />
l’evento con condivisioni al<br />
proprio interno e attraverso<br />
i rispettivi canali social.<br />
Una risposta creativa alla<br />
pandemia, che nonostante<br />
le mille diffcoltà e preoccupazioni<br />
non ha spento l’amore<br />
per il teatro.<br />
Lorenzo Maragoni:<br />
la regia per vocazione<br />
«Ho iniziato volendo fare l’attore<br />
- ha raccontato Maragoni -<br />
ma senza sentire il fuoco sacro.<br />
Mi trovavo a mio agio, ma non<br />
pensavo di farne una professione,<br />
tant’è vero che mi sono laureato<br />
in Statistica a Padova. Ma<br />
proprio a Padova, all’Università,<br />
mi sono iscritto a un laboratorio<br />
di teatro, memore dell’esperienza<br />
piacevole che avevo<br />
vissuto al liceo. È stato lì che<br />
ho incontrato il regista Giorgio<br />
Sangati e qualcosa è cambiato.<br />
Ho iniziato a pensare che quello<br />
che sapevo sul teatro come<br />
attore non mi bastava, volevo<br />
una formazione diversa, una<br />
“teoria del tutto” teatrale e così<br />
sono entrato all’Accademia del<br />
Teatro Stabile del Veneto, all’epoca<br />
Accademia Palcoscenico.<br />
Ho scoperto la disciplina, il doverlo<br />
fare tutti i giorni come<br />
professione: il piacere continuava<br />
a esserci, come quando<br />
l’avevo fatto nell’amatorialità,<br />
ma c’era una componente lavorativa,<br />
che in parte anche mi<br />
preoccupava; e poi ho capito<br />
che mi piaceva stare sul palco,<br />
ma preferivo guardare, mi interessava<br />
di più capire l’operare<br />
dell’insegnante, il suo processo<br />
verso l’attore (come il fratello<br />
maggiore di cui parlava Cuppo-<br />
6
Gran Premio Veneto <strong>2022</strong>: ecco le cinque finaliste<br />
Sono le compagnie Sottosopra di Padova,<br />
Soggetti Smarriti di Treviso, La Calandra di<br />
Vicenza, La Moscheta e G.T. Einaudi-Galilei di<br />
Verona le formazioni che si sfideranno alla quinta<br />
edizione del Gran Premio del Teatro Veneto,<br />
kermesse organizzata da FITA Veneto con in<br />
palio anche un lasciapassare per la finalissima<br />
nazionale.<br />
Sottosopra proporrà El ciacciaron imprudente<br />
di Carlo Goldoni, che la regia di Eleonora Fuser<br />
arricchisce di omaggi ad altre commedie<br />
del veneziano, dal Campiello a La villeggiatura<br />
e La locandiera. Spirito rock e giochi temporali,<br />
invece, ne L’antikuario de La Calandra, libera riscrittura<br />
e regia di Davide Berna da La famiglia<br />
dell’antiquario, sempre di Goldoni. Atmosfera<br />
MARAGONI<br />
«La regia a un certo<br />
punto serve,<br />
anche per la tutela<br />
dell’attore,<br />
perché ti protegge,<br />
ti fa funzionare<br />
con il pubblico».<br />
ne). A quel punto come potevo<br />
diventare regista? C’è una bella<br />
definizione, forse di Peter Brook:<br />
si dice che si è un regista e<br />
si aspetta che gli altri ci credano.<br />
In realtà ho sofferto per<br />
molto tempo la mancanza di<br />
una scuola specifica e proprio<br />
per questo credo sia davvero<br />
importante offrire buone occasioni<br />
di formazione in questo<br />
campo. Nel mio caso, ho scelto<br />
di imparare facendo l’aiuto regista<br />
di altri e lavorando con<br />
dieci miei compagni dell’Accademia<br />
che ci hanno creduto e<br />
mi hanno seguito».<br />
«A quel punto - ha continuato<br />
Maragoni - la domanda: “E cosa<br />
facciamo?” Io arrivavo con l’idea<br />
del regista che prende un testo<br />
e gli dà la sua interpretazione.<br />
La scelta, quasi casuale, è caduta<br />
su Elena di Euripide. Lì ho<br />
imparato dal vivo le diffcoltà,<br />
come fare un adattamento,<br />
come elaborare i personaggi...<br />
E per noi è stato un ottimo<br />
spettacolo, tant’è vero che abbiamo<br />
fatto ben... due repliche.<br />
Per un paio d’anni siamo rimasti<br />
in questa situazione: scegliere<br />
un testo, farlo e avanti così. Il<br />
cambiamento è avvenuto nel<br />
2012: primo, dovevamo creare<br />
uno spettacolo che necessariamente<br />
non avesse più nove<br />
attori in scena ma tre, una cosa<br />
molto dolorosa per noi, ma necessaria,<br />
per cui abbiamo fatto<br />
gruppi più piccoli con i quali<br />
magari portare avanti cose diverse;<br />
secondo, abbiamo scelto<br />
un testo di partenza, molto divertente,<br />
di George Perec: L’arte<br />
e la maniera di affrontare il<br />
proprio capuffcio per chiedergli<br />
un aumento. Iniziamo le prove,<br />
mandiamo il materiale allo Stabile<br />
per il Premio Off (una clip<br />
di 20 minuti) e andiamo avanti;<br />
due settimane prima del debutto<br />
torniamo in sala prove, leggiamo<br />
dove eravamo arrivati e<br />
tutti e quattro ci accorgiamo<br />
che non funziona: non per il<br />
testo, che è bellissimo; ma è lo<br />
stesso che fare Elena, ci stiamo<br />
mettendo al servizio di qualcosa<br />
che non ci appartiene, che<br />
non capiamo neanche fino in<br />
fondo. Abbiamo passato una<br />
giornata a fissare il muro e poi<br />
abbiamo deciso di provare a<br />
riscriverlo con le parole nostre,<br />
con i temi nostri. È stato per<br />
me l’ingresso della drammaturgia<br />
dentro la regia: di che cosa<br />
vogliamo parlare? Partiamo da<br />
noi. Fare drammaturgia e regia<br />
contemporaneamente è faticosissimo.<br />
Noi facciamo scrittura<br />
condivisa: un metodo di lavoro<br />
che non prevede il regista autore<br />
unico e tiranno; si va in scena<br />
sapendo di cosa si vuole parlare<br />
e poi si prova a scrivere delle<br />
cose, a fare improvvisazioni, ma<br />
insieme: drammaturgo, regista<br />
e attori. Da questo materiale (la<br />
cui raccolta richiede circa due<br />
anni di lavoro) tagliamo, montiamo<br />
e cerchiamo di fare spettacoli<br />
che ci convincano, che ci<br />
rappresentino, che ci facciano<br />
sentire che stiamo portando in<br />
scena in qualche modo una parte<br />
di noi che può essere anche<br />
una parte dello spettatore. È<br />
così che siamo passati da “come<br />
faccio a fare un testo” a “di che<br />
cosa vogliamo parlare?”».<br />
Quanto al fatto che il regista<br />
possa anche recitare nello spettacolo<br />
che dirige, Maragoni ha<br />
risposto: «Dipende anche se il<br />
regista è un bravo attore e se<br />
ha le competenze, se sa stare<br />
dentro vedendosi contemporaneamente<br />
anche da fuori.<br />
Io non credo di rientrare nella<br />
categoria. Io sto fuori. Penso<br />
sia una necessità, citando Grotowski,<br />
che il regista sia il primo<br />
spettatore. Serve uno fuori<br />
che si renda conto di cosa sta<br />
succedendo, o con l’esperienza<br />
suffciente per farlo anche<br />
dalla scena. Nel teatro contemporaneo<br />
si sta riassorbendo<br />
sempre più spesso la figura del<br />
regista, mischiandosi con quella<br />
della drammaturgia e della<br />
creazione condivisa di cui parlavo<br />
prima. Ma la regia a un certo<br />
punto serve, anche per la tutela<br />
dell’attore, perché ti protegge,<br />
perché ti fa funzionare con il<br />
parigina con Soggetti Smarriti, alle prese con<br />
La presidentessa di Maurice Hennequin e Paul<br />
Veber, nell’adattamento e per la regia di Mariarosa<br />
Maniscalco. Un classico dello humor anglosassone,<br />
Rumori fuori scena di Michael Frayn, per<br />
l’Einaudi-Galilei, regia di Renato Baldi e Marco<br />
Frassani. La Moscheta, infine, firma Una casa di<br />
pazzi di Roberto D’Alessandro, che tra risate e<br />
intensità racconta una famiglia in crisi.<br />
Lo scorso Gran Premio nazionale è stato vinto<br />
proprio dal Veneto, con Teatroimmagine di Salzano<br />
(Venezia). Quest’anno in gara c’è Teatro Insieme<br />
di Sarzano (Rovigo) ne Le done de casa soa<br />
di Carlo Goldoni, per la regia di Marna Poletto<br />
e Roberto Pinato, di scena sabato 27 agosto a<br />
Colleferro, nel Lazio.<br />
pubblico. Il regista è quello che<br />
ti dice “qui possiamo creare<br />
questa atmosfera, qui sarebbe<br />
bello che lo spettatore sentisse<br />
così, questa battuta così,<br />
questa così, ed eventualmente<br />
cambiamo se durante le repliche<br />
non funziona”: qualcuno<br />
che si prende la responsabilità<br />
di capirlo e di rimettere in prova<br />
una certa cosa. Altrimenti è<br />
un gioco al ribasso, un accontentarsi».<br />
«Infine - ha concluso Maragoni -<br />
sono perfettamente d’accordo<br />
con quello che ha detto Armando<br />
Carrara, che il regista debba<br />
saper fare tutto. Nel sostituire<br />
un nostro attore mi sono ricordato<br />
cosa vuol dire stare in scena<br />
e seguire delle indicazioni, e<br />
di come tante volte io non mi<br />
rendo conto di quello che chiedo<br />
agli attori. Per capire e ricordarsi<br />
questo è necessario farlo.<br />
Per parlare con un tecnico è necessario<br />
sapere cosa fa un tecnico,<br />
quali sono i problemi. Un<br />
regista deve esplorare tutto».<br />
A.A.<br />
7
di Filippo Bordignon<br />
Pier Paolo Pasolini. Poeta<br />
corsaro di un’Italia che non<br />
esiste più. Genio del cinema<br />
per alcuni, talento sopravvalutato<br />
per altri. Una figura<br />
che non cessa di mostrarsi<br />
scomoda e che, nonostante<br />
la glorificazione postuma,<br />
aleggia imprendibile e senza<br />
evidenti continuatori.<br />
Per comprenderlo almeno<br />
un poco una strategia efficace<br />
può essere, più che<br />
Nel centenario<br />
della nascita<br />
lanciarsi a corpo morto sui<br />
manierismi noti alla massa,<br />
focalizzarsi su un dettaglio.<br />
Gli appassionati di film d’essai<br />
non manchino perciò di<br />
procurarsi Il pratone del Casilino,<br />
mediometraggio poco<br />
noto ma assai significativo<br />
per una prima stordente infarinatura<br />
del corrosivo universo<br />
pasoliniano, diretto<br />
da Giuseppe Bertolucci nel<br />
1995 con un Antonio Pivanelli<br />
in stato di grazia come<br />
unico attore; si tratta di un<br />
monologo ricavato dal romanzo<br />
incompiuto Petrolio;<br />
il tema - un’avventura omoerotica<br />
esagerata al punto da<br />
toccare una vorticosità simbolica<br />
che va oltre le banali<br />
questioni sessuali - riassume<br />
effcacemente stile e intenzioni<br />
di uno dei pochi autori<br />
realmente “dannati” partoriti<br />
dal Bel Paese.<br />
Ma chi era, Pasolini? Figlio<br />
marchiato da una quotidianità<br />
borghese al fianco della<br />
mamma Susanna, uomo con<br />
una vita segreta infarcita di<br />
amore mercenario ma, in<br />
primis, intellettuale responsabile<br />
di un’attività pubblica<br />
atta a demolire i tabù e sfidare<br />
quella società italiana<br />
nelle cui contraddizioni egli<br />
stesso giaceva immerso.<br />
Instancabile romanziere,<br />
poeta, saggista, traduttore<br />
di buona qualità per classici<br />
dell’antichità (dal latino all’italiano<br />
per l’Eneide di Virgilio)<br />
e della modernità (tra gli<br />
altri, il francese Andrè Fre-<br />
naud) ma soprattutto arcinoto<br />
regista cinematografico con<br />
opere che ancor oggi sanno<br />
dividere la critica specializzata,<br />
la figura di Pasolini non subisce<br />
battute d’arresto, complice anche<br />
una morte violenta mai del<br />
tutto chiarita, il 2 novembre<br />
1975, la quale lo ha consegnato<br />
alla leggenda come uno dei<br />
pensatori più lucidi e spregiudicati<br />
del secolo scorso.<br />
Qualche titolo imprescindibile:<br />
l’iper neo-realismo nell’esordio<br />
per il mondo della celluloide<br />
con Accattone (’61); l’incasellabile<br />
forma di commedia<br />
simbolista Uccellacci e uccellini<br />
impreziosita dall’ultima apparizione<br />
sul grande schermo di<br />
Totò (’66); la Trilogia della vita,<br />
girata tra il ’71 e il ’74, la quale<br />
ripropone con tinte sensuali ma<br />
godibili il Decameron (Giovanni<br />
Boccaccio), I racconti di Canterbury<br />
(Geoffrey Chaucer) e Il fiore<br />
delle Mille e una notte derivato<br />
dal monumentale Le mille e<br />
una notte di anonimo.<br />
Meno nota la sua esperienza<br />
per il teatro, causata, è proprio<br />
il caso di scrivere, da una<br />
forte emorragia che nel marzo<br />
1966 lo costrinse a letto per un<br />
mese; riletti febbrilmente i Dialoghi<br />
di Platone, Pasolini gettò<br />
in quei giorni di convalescenza<br />
gli impianti del suo corpus teatrale,<br />
una manciata di titoli attualmente<br />
poco rappresentati<br />
sui palcoscenici nazionali ma<br />
non privi di motivi d’interesse.<br />
Lodevole esempio di quell’innovazione<br />
auspicata nello scritto<br />
Manifesto del nuovo teatro,<br />
Calderòn (’66) è l’unica opera<br />
teatrale pubblicata in vita dal<br />
suo autore, rappresentata postuma<br />
solo undici anni più tardi<br />
al Teatro Metastasio di Prato<br />
per la regia di Luca Ronconi e<br />
con Edmonda Aldini tra i protagonisti.<br />
Riscrittura de La vita<br />
è sogno di Pedro Calderòn de la<br />
Barca, il lavoro espone la vita di<br />
Rosaura, lasciando lo spettatore<br />
incerto se le vicende narrate<br />
siano sogno o realtà, il tutto<br />
con importanti incursioni metateatrali<br />
e un finale smaccatamente<br />
politicizzato che porge il<br />
fianco a una certa polverosità.<br />
Dello stesso anno è la tragedia<br />
Affabulazione, parodia dell’Edipo<br />
Re al quale pure si era ispirato<br />
lo stesso de la Barca ne La<br />
vita è sogno. Sofocle è autore<br />
particolarmente amato dal regista,<br />
che qui lo rivitalizza con<br />
un teatro di parola ambientato<br />
nella contemporaneità e<br />
RITRATTO<br />
che sarà rappresentato con un<br />
certo successo da Vittorio Gassman<br />
nel ’77.<br />
Particolarmente significativa è<br />
inoltre l’opera Porcile (’67), da<br />
cui sarà tratta due anni più in<br />
là una discutibile versione cinematografica<br />
con Ugo Tognazzi,<br />
Jean-Pierre Léaud, Anne<br />
Wiazemsky (musa di Jean-Luc<br />
Godard) e un cameo di Marco<br />
Ferreri. La storia è sintetizzabile<br />
nell’impossibile amore<br />
tra Ida, ragazza politicamente<br />
impegnata a sinistra, e Julian,<br />
rampollo dell’alta borghesia incapace<br />
di provare attrazione fisica<br />
se non per i maiali. Nel mezzo<br />
s’intrecciano caoticamente<br />
vicende di fusioni societarie,<br />
giochetti di potere e i trascorsi<br />
nazisti di uno dei personaggi; a<br />
pagare il peso di una colpa non<br />
propria sarà, come spesso accade,<br />
la pedina più debole, quella<br />
disinteressata a schierarsi nel<br />
gioco dell’esistenza.<br />
Vi è poi un approccio indiretto<br />
al teatro, nella trasposizione<br />
cinematografica di classici della<br />
tragedia greca antica quali il<br />
già citato Edipo re (’67), Medea<br />
(’69) e Appunti per un’Orestiade<br />
africana (’70).<br />
Quest’ultimo è in realtà un documentario<br />
che, con il pretesto<br />
di un sopralluogo per scovare<br />
location adatte a una film<br />
sull’Orestea di Eschilo, traccia<br />
un ritratto smaliziato dell’Africa<br />
post-coloniale.<br />
Più interessanti sotto il profilo<br />
artistico sono i primi due titoli.<br />
Su Edipo re un nugolo di attori<br />
di prima grandezza (Franco Citti,<br />
Silvana Mangano, Alida Valli<br />
e Carmelo Bene) si muove a<br />
cavallo tra il mondo della contemporaneità<br />
e quello antico,<br />
raccontando l’edipica colpa del<br />
Pasolini figlio, il tutto secondo<br />
riprese di cinecamera spesso<br />
(continua alla pagina seguente)<br />
PIER PAOL<br />
UN POETA<br />
8
O PASOLINI<br />
CORSARO<br />
9
sgangherate e costumi derivati<br />
più che altro dall’arte<br />
africana. Con Medea il regista<br />
si aggiudica come protagonista<br />
niente meno che la<br />
leggendaria cantante lirica<br />
Maria Callas, confezionando<br />
un’opera la cui sceneggiatura<br />
e i cui dialoghi risultano<br />
abbastanza fedeli al testo<br />
originale. I motivi di stupore<br />
risiedono piuttosto in<br />
riprese talvolta tremolanti,<br />
movimenti di macchina volutamente<br />
sgraziati e in doppiaggi<br />
professionali che, di<br />
per contro, mettono in risalto<br />
la scarsa bravura di alcuni<br />
attori non professionisti posti<br />
in ruoli chiave. Per meglio<br />
palesare il senso di spaesamento<br />
evocato allo spettatore<br />
basterebbe riguardare<br />
una delle scene finali, in cui<br />
uno dei personaggi suona<br />
la lira ma il suono corrisposto<br />
nel doppiaggio è di un<br />
biwa giapponese. Anche<br />
questo, evidentemente, fa<br />
parte dei motivi d’interesse<br />
- qualcuno direbbe, dell’innovazione<br />
- riconosciuti al<br />
nostro. Tuttavia tali “esercizi<br />
di stile” restano, tematicamente<br />
parlando, episodi<br />
sporadici, poiché le energie<br />
del regista sono focalizzate<br />
principalmente sull’analisi<br />
del mondo contemporaneo,<br />
vivisezionato impietosamente<br />
al fine di metterne in<br />
discussione i valori cardine<br />
(si ripeschi il sottovalutato<br />
Teorema, ‘68).<br />
L’acme del pensiero pasoliniano<br />
rispetto alla società<br />
moderna è raggiunto con la<br />
sua opera cinematografica<br />
più estrema, la trasposizione<br />
(fortemente rimaneggiata)<br />
dell’incompiuto romanzo<br />
Le 120 giornate di Sodoma<br />
del marchese de Sade, il cui<br />
titolo viene arricchito dal<br />
regista aggiungendo come<br />
prefisso Salò, indirizzando<br />
quindi il fruitore a un discorso<br />
universale sulle infinite<br />
declinazioni del pensiero fascista.<br />
La pellicola, una vera<br />
e propria sfida alla censura,<br />
uscita postuma nel 1975,<br />
resta ancor oggi una delle<br />
esperienze più disturbanti<br />
nella storia del cinema<br />
mondiale. Il sunto sadeiano<br />
operato dal regista-poeta<br />
dipinge con tratto espressionista<br />
un’attualità in cui il<br />
Potere dominante - rappresentato<br />
da quattro sordidi<br />
uomini che incarnano i poteri<br />
politico, giuridico, economico<br />
e religioso - si attiva per<br />
dimostrare la propria capacità<br />
di dominazione su un gruppo di<br />
giovani uomini e donne. E come<br />
si realizza la distruzione della<br />
psiche per i malcapitati? Attraverso<br />
sevizie connesse al corpo.<br />
Piegando le proprie vittime con<br />
sistematicità, il Potere finisce<br />
in breve tempo per annientare<br />
la capacità di reazione dei suoi<br />
oggetti del desiderio, arrivando<br />
ad annullarne le coscienze e,<br />
con esse, la possibilità non tanto<br />
di adoperarsi per una rivolta<br />
cepibile attraverso una mente<br />
dominata dalla mediocrità,<br />
appannaggio cioè di quel ceto<br />
medio borghese dotato, più<br />
che di ignoranza, di mezza cultura.<br />
Alla base della dominazione<br />
esercitata dal Potere in Salò<br />
o le 120 giornate di Sodoma infatti<br />
non sussiste un piano per<br />
ottenere vantaggi concreti: è la<br />
banale esercitazione della classe<br />
dominante, interessata solo<br />
a confermare la sua natura coercitiva<br />
e il corretto funzionamento<br />
della propria strategia.<br />
Il suo teatro:<br />
poco conosciuto<br />
e frequentato<br />
quanto addirittura di concepire<br />
la possibilità di fronteggiare<br />
l’aguzzino. A impressionare lo<br />
spettatore, dopo pochi minuti<br />
di visione del film, non sono<br />
soltanto le scene di violenza<br />
sessuale o gli episodi scatologici<br />
i quali, nella loro configurazione<br />
volutamente eccessiva<br />
divengono anzi grotteschi ai<br />
limiti della credibilità, quanto<br />
piuttosto la sordida freddezza<br />
con cui il Potere si impone sul<br />
più debole, cioè il cittadino, lasciando<br />
trasparire una sorta di<br />
precisissima strategia applicata<br />
con metodicità “algoritmica”,<br />
diremmo oggi. Un orrore così<br />
disumano, per assurdo, è con-<br />
Ne ha scritto, riflettendo sulla<br />
personalità espressa dal criminale<br />
nazista Adolf Eichmann<br />
durante il processo per crimini<br />
di guerra tenutosi a Israele nel<br />
1962, la filosofa ebrea Hanna<br />
Arendt la quale, nel suo imprescindibile<br />
saggio La banalità<br />
del male, ci ha messi in guardia<br />
rispetto alla possibilità dell’iterarsi<br />
di una situazione in cui<br />
l’oppressione faccia ritorno e<br />
abbia, ancora una volta, il volto<br />
apparentemente bonario del<br />
nostro vicino di casa, chiamato<br />
ad appoggiare una guerra tra<br />
diverse fazioni di una stessa società<br />
per difendere i propri diritti<br />
contro quelli del prossimo.<br />
Qui a sinistra una scena tratta<br />
da Medea<br />
Nell’immagine a centro pagina<br />
un intenso primo piano<br />
di Enrique Irazoqui Levi,<br />
interprete di Cristo<br />
ne Il vangelo secondo Matteo<br />
In basso, Salò<br />
o le 120 giornate di Sodoma<br />
Le innumerevoli speculazioni<br />
intellettuali ai testi pasoliniani<br />
tracciano la mappa di un pianeta<br />
ancora da esplorare, occupata<br />
com’è buona parte dell’intellighenzia<br />
italiana a lasciarne<br />
emergere solo gli elementi politically<br />
correct, ridipingendo la<br />
facciata dell’opera omnia con<br />
un arcobaleno disinteressato a<br />
selezionare un colore piuttosto<br />
che un altro e facendo così di<br />
Pasolini, alla bisogna, un martire<br />
della libertà del pensiero<br />
di sinistra eppure, miracolosamente,<br />
uomo uomo con un<br />
retroterra ramificato nel pensiero<br />
cattolico e nel conservatorismo<br />
destrorso.<br />
Per realizzarne l’inattualità basterebbe<br />
rileggere l’articolo<br />
uscito nel ’74 su Il Corriere della<br />
Sera in cui egli lanciò quell’anatema<br />
a forma di “Io so” poi frenato<br />
dal seguente “Ma non ho<br />
le prove. Non ho nemmeno gli<br />
10
Cosa resta oggi, al netto della retorica,<br />
del lascito pasoliniano sull’Italia<br />
della cultura odierna? Una riflessione<br />
sull’opera di Ciprì e Maresco<br />
indizi”. Ebbene questo ormai<br />
storico esempio di elzeviro non<br />
sarebbe oggidì apostrofato<br />
come puro populismo? “Faccia<br />
i nomi o abbia il buon gusto di<br />
tacere”, si obietterebbe a Pasolini<br />
dai salotti televisivi delle<br />
emittenti di Stato e private. O<br />
immaginiamo invece il nostro<br />
ospitato in un qualsivoglia programma<br />
televisivo di approfondimento<br />
politico durante<br />
il quale, espresso un parere<br />
critico rispetto a un’imminente<br />
riforma della Giustizia, egli<br />
verrebbe prontamente zittito<br />
dai rappresentanti del Governo<br />
in carica, i quali avrebbero da<br />
obiettare “Come può parlare<br />
di giustizia chi nel 1949 venne<br />
imputato per atti osceni in<br />
luogo pubblico e corruzione di<br />
minore anche se, tra cavilli legali<br />
e fruendo d’indulto, se ne<br />
uscì infine assolto?”. Fu proprio<br />
da quelle prime esperienze<br />
con la Giustizia che egli venne<br />
sospeso dall’insegnamento e,<br />
inseguito dalla nomea di pederasta,<br />
scelse di lasciare il Friuli<br />
per trasferirsi nella capitale<br />
con la madre, dedicandosi così<br />
a tempo pieno alla costruzione<br />
di quella professione d’artista<br />
che derivava dagli stravaganti<br />
esempi di Dino Campana e<br />
Oscar Wilde.<br />
Che resta, a 100 anni dalla nascita<br />
(5 marzo 1922) e al netto<br />
della retorica, del lascito pasoliniano<br />
sull’Italia della cultura<br />
odierna? Trascurate le più o<br />
meno riuscite trasposizioni cinematografiche,<br />
televisive e<br />
teatrali che ne ripercorrono la<br />
vita beatificandone il personaggio<br />
(si ripeschi l’emozionante<br />
Pasolini, un delitto italiano di<br />
Marco Tullio Giordana, 1995),<br />
trascurata l’inflazionata lettura/recitazione<br />
delle sue poesie,<br />
trascurati i tributi un tanto ad<br />
anniversario (per dare parvenza<br />
di contenuto e raggranellare<br />
curiosità di pubblico su un soggetto<br />
ancor oggi pruriginoso),<br />
che resta? Nel bianco e nero<br />
saturato delle pellicole di Ciprì<br />
e Maresco alcuni hanno osato<br />
riconoscere una sorta di discendenza;<br />
passando dal Cristo<br />
cencioso de Il Vangelo secondo<br />
Matteo (Pasolini, 1964) alla dissacrazione<br />
di Totò che visse due<br />
volte (Ciprì e Maresco, 1998) è<br />
teso un filo rosso di attori non<br />
professionisti pescati nelle<br />
strade del disagio - quando non<br />
addirittura gravati da una qualche<br />
forma di handicap - che riprendono<br />
parole e vicende<br />
dalle Sacre Scritture contestualizzandole<br />
in un mondo sfregiato<br />
dalla corsa a un progresso<br />
tecnologico illimitato e perciò<br />
disumanizzante. Per entrambi<br />
i film si ricordano incursioni da<br />
parte dei neofascisti nei cinema<br />
dove questi erano in cartellone,<br />
al fine di impedirne la<br />
proiezione e salvaguardare<br />
i valori della tradizione cattolica.<br />
Lo spettacolo teatrale Palermo<br />
può attendere (2002)<br />
dimostra, per la coppia di<br />
cineasti palermitani, che<br />
la dimensione ultima della<br />
loro grandezza non risiede<br />
in questa particolare forma<br />
artistica. Idem per Pasolini,<br />
le cui opere teatrali furono<br />
rappresentate sporadicamente<br />
mentre egli era in<br />
vita e non poterono vantare<br />
quella peculiarità nelle riprese<br />
e nel montaggio che<br />
il suo cinema portò in dono.<br />
Visivamente, l’estetica pasoliniana<br />
è ruvida, apparentemente<br />
grezza, “buona<br />
alla prima”, giocata su volti<br />
caricaturali mediante attori<br />
di borgata talvolta rivelatisi<br />
però superiori alle aspettative<br />
(è il caso del fidato Franco<br />
Citti).<br />
Volendo azzardare una comunque<br />
parziale sintesi<br />
dell’estetica pasoliniana<br />
senza ricorrere alla visione di<br />
quei film che gli fruttarono<br />
un considerevole numero di<br />
aggressioni fisiche, denunce<br />
e querele, consigliamo<br />
l’ascolto del brano musicale<br />
Supplica a mia madre, trasposizione<br />
dell’omonima poesia<br />
contenuta nella raccolta del<br />
1964 Poesia in forma di rosa,<br />
a opera della compositrice e<br />
performer Diamanda Galas.<br />
Gli arpeggi di pianoforte e la<br />
voce straziante della Galas<br />
tratteggiano uno stato di<br />
sospensione dell’essere in<br />
cui: “(…) Sopravviviamo/ ed<br />
è la confusione/ di una vita<br />
rinata fuori dalla ragione”.<br />
La figura della madre è allo<br />
stesso tempo generatrice e<br />
aguzzina di un corpo/anima<br />
flagellati da un desiderio<br />
sordido, da un’esauribile<br />
voglia di emozioni indicibili,<br />
sicché il legame madre-figlio<br />
diviene giocoforza schiavitù<br />
che il figlio è votato a espiare<br />
in un’arte sfacciatamente<br />
catartica. Un viaggio che fu<br />
senza possibilità di ritorno<br />
contro tutto e tutti, anche<br />
contro se stessi, fino all’evocazione<br />
di un gesto risolutivo<br />
che mettesse fine a una<br />
tensione dinamica divenuta<br />
necrofila (Salò sarebbe dovuto<br />
essere il primo tassello<br />
di una trilogia dedicata alla<br />
morte) e dunque contraria<br />
alla vita stessa.<br />
11
CELEBRAZIONI<br />
di Alessandra Agosti<br />
Tra il <strong>2022</strong> e il 2023 Molière<br />
sarà al centro di una doppia serie<br />
di celebrazioni: quest’anno<br />
per il quarto centenario della<br />
nascita, nel 2023 per i 350 anni<br />
dalla morte, avvenuta nel 1673.<br />
Per essere ricordato, amato e<br />
studiato il nostro Molière non<br />
ha certo bisogno di anniversari,<br />
per quanto altisonanti come<br />
questi. Ma l’occasione c’è, e<br />
allora perché non ripercorrere<br />
insieme le sue vicende umane e<br />
artistiche? Qualche anno fa (gli<br />
affezionati lettori di <strong>Fitainforma</strong><br />
lo ricorderanno) su queste<br />
stesse pagine gli dedicammo<br />
una monografia della serie Educare<br />
al teatro, che oggi riprendiamo<br />
e ampliamo per rendergli<br />
onore e gloria.<br />
La vita in breve<br />
Jean-Baptiste Poquelin, passato<br />
alla storia con lo pseudonimo<br />
di Molière (ma il significato<br />
del termine rimane un mistero),<br />
fu battezzato il 15 gennaio<br />
del 1622, anno nel quale si suppone<br />
quindi egli sia nato. Quattrocento<br />
anni fa, giusti giusti.<br />
Era figlio di Jean Poquelin, un<br />
artigiano tappezziere molto rispettato<br />
e ben introdotto a corte.<br />
Seguire le sue orme avrebbe<br />
significato per Jean-Baptiste<br />
garantirsi una vita tranquilla e<br />
senza scossoni. Ma il destino<br />
aveva ben altro in serbo per lui.<br />
Senz’altro gli riservò molto<br />
dolore nell’infanzia, sul fronte<br />
degli affetti femminili: Marie<br />
Cressé, la madre, morì quando<br />
il figlio aveva appena dieci<br />
anni e Catherine Fleurette, la<br />
donna che il padre sposò un<br />
anno dopo essere rimasto vedovo,<br />
morì nel 1636. Fortunata<br />
e positiva fu invece la figura di<br />
Louis Cressé, il nonno materno,<br />
che lo portò spesso a vedere le<br />
commedie degli attori italiani e<br />
le tragedie francesi.<br />
Buon anniversario<br />
Il padre lo fece studiare - dal<br />
1635 al 1639 fu al Collège de<br />
Clermont, retto dai Gesuiti - e<br />
Jean-Baptiste concluse diligentemente<br />
i suoi studi giuridici a<br />
Orléans, ottenendo nel 1641 la<br />
Licenza in Diritto. Nel 1637 aveva<br />
anche prestato giuramento<br />
come erede del padre alla carica<br />
di tappezziere di corte.<br />
Ma qualcosa gli rodeva dentro.<br />
Non era di codici e cause che<br />
voleva riempire la propria vita,<br />
né di stoffe o broccati: di assi di<br />
palcoscenico, invece, e di versi<br />
d’amore e d’avventura, di fantasia,<br />
di intrecci e di talento.<br />
Diventerà attore e autore, morendo<br />
persino sul palcoscenico<br />
di tubercolosi, il 17 febbraio<br />
1673 (nel 2023 cadrà quindi<br />
il 350° della sua morte), recitando<br />
Il malato immaginario.<br />
Il divieto di sepoltura in terra<br />
consacrata, all’epoca ancora<br />
valido per gli attori, pare venne<br />
superato per lui grazie all’intercessione<br />
di Luigi XIV in persona,<br />
permettendogli di riposare nel<br />
cimitero di Saint-Eustache.<br />
Attori, vil razza dannata<br />
Quella che Molière sceglieva<br />
per sé nel 1643, si badi bene,<br />
era una vita tutt’altro che facile:<br />
l’attore era ancora considerato<br />
un poco di buono, tenuto<br />
Monsieur Molière!<br />
alla larga dalla società dei bravi<br />
cittadini e dei fedeli, tanto che<br />
- nonostante i toni si fossero di<br />
molto abbassati rispetto a un<br />
passato non poi così lontano -<br />
come abbiamo detto ai tempi<br />
di Molière un attore continuava<br />
a non poter essere sepolto in<br />
terra consacrata, salvo che si<br />
pentisse formalmente almeno<br />
in punto di morte.<br />
Quella che Jean-Baptiste prese<br />
a 21 anni, dunque, trasformandosi<br />
in Molière, fu una decisione<br />
sicuramente sofferta e mandata<br />
giù di traverso dalla sua<br />
famiglia.<br />
Nel 1643 ecco allora l’avvocato<br />
e tappezziere mancato trasformarsi<br />
uffcialmente in attore,<br />
sottoscrivendo con un gruppo<br />
di altri “sciagurati” (tra i quali<br />
l’amante Madeleine Bejàrt, la<br />
cui figlia, Armande, Molière<br />
sposerà nel 1662) l’atto costitutivo<br />
dell’Illustre Théâtre, compagine<br />
destinata peraltro a breve<br />
e incerta vita, dato che nel 1645<br />
sarà sciolta e Molière si farà anche<br />
qualche giorno di prigione<br />
per certi conti non pagati.<br />
In quello stesso anno, però,<br />
Molière non si perse d’animo<br />
e lasciò Parigi, entrando a far<br />
parte della compagnia di Charles<br />
Dufresne, che godeva della<br />
protezione del Duca d’Epernon.<br />
Fu in questa compagnia<br />
che si fece la sua brava gavetta,<br />
girando in lungo e in largo la<br />
12
Nella pagina accanto,<br />
un celebre ritratto di Molière<br />
eseguito nel 1658<br />
da Nicolas Mignard.<br />
Qui a sinistra, il dipinto del 1862<br />
nel quale Jean-Léon Gérôme<br />
immagina Luigi XIV che invita<br />
Molière a cena.<br />
Francia, perfezionandosi come<br />
attore e iniziando ad affnare<br />
anche le sue doti di autore.<br />
Quando Dufresne, nel 1650,<br />
decise di lasciare le scene, Molière<br />
dovette salire di grado<br />
all’interno del gruppo, visto<br />
che alcuni anni più tardi la compagnia<br />
prese il suo nome.<br />
Ma la sfortuna era dietro l’angolo.<br />
Nnel 1653, infatti, la compagine<br />
passò sotto la protezione<br />
del conte de Bourbon, tra<br />
le massime autorità del regno<br />
e celebre per le sue avventure<br />
amorose: un paio d’anni più<br />
tardi, però, il conte improvvisamente<br />
si convertì e tra i suoi primi<br />
atti da buon credente proibì<br />
alla compagnia di utilizzare il<br />
suo nome.<br />
Ancora una volta Molière non<br />
si perse d’animo e nel 1658 incontrò<br />
il fratello del re, il duca<br />
Luigi Filippo d’Orléans: il nobile<br />
gli consentì di dare alla compagnia<br />
il titolo di Troupe de Monsieur<br />
e le assegnò anche una<br />
rendita annua, che peraltro non<br />
fu mai in effetti versata.<br />
Fu però grazie al duca che Molière<br />
e i suoi ebbero l’occasione<br />
di esibirsi per la prima volta a<br />
corte, il 24 ottobre 1658. Al<br />
termine della recita, il Re Sole<br />
in persona autorizzò la compagnia<br />
a stabilirsi a Parigi; da<br />
allora in poi Molière fu un protetto<br />
del re e seppe sfruttare<br />
bene questa sua posizione privilegiata:<br />
egli diede molto al Re<br />
(i testi per i balletti e la musica<br />
che il sovrano amava tanto, ben<br />
più del teatro) e il Re seppe ricompensarlo<br />
concedendogli di<br />
tanto in tanto qualche “sfogo”<br />
(si pensi a Tartuffo) altrimenti<br />
off limits, vista la costante, caparbia<br />
autodifesa messa in atto<br />
dai cortigiani e dal clero. Molière,<br />
in questa partita, si rivelerà<br />
ottimo stratega, paziente<br />
e accorto, consapevole di poter<br />
LE OPERE<br />
PRINCIPALI<br />
<br />
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ottenere molto, ma non tutto<br />
quello che avrebbe voluto, e<br />
in grado di portare il teatro se<br />
non proprio là dove avrebbe<br />
desiderato, almeno nel punto<br />
più lontano - dalla farsa e dal<br />
teatro dei nobili - al quale gli<br />
era possibile arrivare nella sua<br />
veste di suddito e stipendiato<br />
di Sua Maestà. Una voce fuori<br />
dal coro, insomma, ma che<br />
per tutta la vita riuscì comunque<br />
a salvaguardare i vantaggi<br />
dell’essere un corista.<br />
Un ritratto d’epoca<br />
Luigi Lunari, drammaturgo e<br />
saggista scomparso tre anni<br />
fa, nell’agosto 2019, riporta la<br />
descrizione che del francese<br />
ci ha lasciato Angelique Poisson,<br />
figlia degli attori René e<br />
Thérèse Du Parc, compagni di<br />
palcoscenico di Molière. Così<br />
scrive Angelique: «Egli non era<br />
né troppo grasso né troppo<br />
magro. Di corporatura più grande<br />
che piccola, aveva un nobile<br />
portamento, bello di gambe e<br />
di fianchi: camminava con gravità,<br />
aveva un’aria assai seria, il<br />
naso grosso, la bocca grande,<br />
le labbra spesse, una carnagione<br />
scura, le sopracciglia nere e<br />
marcate». In effetti i tratti sono<br />
proprio quelli del Molière che<br />
conosciamo grazie soprattutto<br />
ad alcuni celebri ritratti.<br />
Quanto al carattere, Lunari<br />
afferma che del suo non si sa<br />
molto; il profilo che ne propone<br />
deriva dall’autodescrizione<br />
che Molière affda alla storia<br />
nell’Improvvisazione di Versailles:<br />
«Un uomo pieno di buon<br />
senso paziente e tollerante,<br />
dotato di un grande autocontrollo<br />
anche nell’infuriare delle<br />
polemiche provocate, a volte,<br />
dalle sue opere».<br />
Lunari va oltre e riflette sul fatto<br />
che quell’autocontrollo potrebbe<br />
dipendere non tanto da<br />
una predisposizione di natura<br />
in tal senso, quanto piuttosto<br />
da “una volontà ferrea”.<br />
A suffragio di ciò, lo studioso<br />
ricorda la satira contro Molière<br />
di tale Boulanger de Chalussay<br />
(del 1670, quindi antecedente<br />
di tre anni la morte del commediografo),<br />
intitolata Elomire<br />
Hypocondre, dove Elomire altro<br />
non è se non l’anagramma di<br />
Molière; il quale Molière, a sua<br />
volta, nel Misantropo, opera<br />
di indiscutibile matrice autobiografica,<br />
definisce il protagonista<br />
Alceste “l’atrabiliare<br />
innamorato” (dove atrabiliare,<br />
ricorda Lunari, sta a indicare «bilioso<br />
e affetto da umor nero»).<br />
Molière ammette quindi di essere<br />
ipocondriaco e bilioso. Ma<br />
perché si era ridotto così? C’è<br />
da dire che la sua vita non era<br />
delle più rilassanti e soddisfacenti,<br />
né sul piano professionale,<br />
né nella sfera privata.<br />
Una moglie troppo giovane<br />
Da scapolo, certamente il capocomico<br />
di bell’aspetto doveva<br />
aver fatto le sue brave conquiste,<br />
soprattutto fra le attrici<br />
che giravano per la compagnia.<br />
Tra queste vale la pena ricordare<br />
Madeleine, prima dei quattro<br />
fratelli Béjart (gli altri erano<br />
Joseph, Louis e Geneviève), orfani<br />
di Joseph e Marie Hervé, e<br />
tutti componenti della compagnia<br />
Molière. A un certo punto,<br />
però, i fratelli Béjart diventarono<br />
misteriosamente cinque,<br />
con l’aggiunta di Armande<br />
(1640/1642-1700), che in realtà<br />
pare fosse figlia di Madeleine e<br />
di un nobile già sposato.<br />
Quando Molière consolidò la<br />
sua relazione con Madeleine<br />
partecipò anche all’educazione<br />
della piccola Armande, di<br />
vent’anni più giovane di lui e<br />
(continua alla pagina seguente)<br />
13
che sotto i suoi occhi si trasformò<br />
in una bella e giovane<br />
donna. Al riguardo così scrive il<br />
primo biografo di Molière, Jean-Léonor<br />
Gallois de Grimarest:<br />
«Questa bambina abituata a<br />
vedere sempre Molière, prese<br />
a chiamarlo marito mio fin<br />
da quando imparò a parlare<br />
(...) Molière passò poi a poco a<br />
poco dai giochi e dagli scherzi<br />
che si possono fare con una<br />
bambina, all’amore più violento<br />
che un’amante possa ispirare».<br />
Quello di Armande e Molière<br />
non fu davvero un matrimonio<br />
felice; ma il commediografo,<br />
che come abbiamo visto doveva<br />
avere una certa tendenza ad<br />
addossarsi la colpa di ogni rovescio,<br />
anche in questo caso individuò<br />
la causa dell’insuccesso<br />
matrimoniale in mancanze sue<br />
piuttosto che in scarso amore e<br />
dedizione da parte della giovane<br />
(troppo giovane) sposa.<br />
Il matrimonio di Molière e Armande,<br />
tra l’altro, aveva suscitato<br />
non poche chiacchiere e<br />
malumori; qualcuno era addirittura<br />
arrivato a sussurrare che<br />
Armande fosse in realtà figlia<br />
dello stesso Molière, facendo<br />
quindi emergere la possibile,<br />
infamante accusa di incesto. La<br />
coppia ebbe tre figli: Luis, nato<br />
nel 1664 e morto a pochi mesi;<br />
Marie Madeleine Esprit, nata<br />
nel 1665 e morta nel 1723; e<br />
Pierre, nato nel 1672 e morto<br />
anch’egli a pochi mesi.<br />
Lavorare per il Re Sole<br />
Veniamo all’aspetto professionale.<br />
La situazione di Molière,<br />
apprezzato e protetto dal<br />
Re Sole, avrebbe fatto gola a<br />
qualsiasi altro autore di teatro<br />
dell’epoca. Ma Molière, al solito,<br />
avrebbe voluto qualcosa<br />
di diverso: quello che gli mancò<br />
sempre, per tutta la vita,<br />
fu la consacrazione come “letterato”,<br />
quindi come autore<br />
tragico. L’essere uno scrittore<br />
di commedie, per quanto acclamate,<br />
lo rendeva infatti un<br />
autore di serie B agli occhi suoi,<br />
del pubblico e soprattutto della<br />
ristretta cerchia dei letterati<br />
puri.<br />
Lo stesso valeva per il suo<br />
impegno come attore: «Meraviglioso,<br />
ma solamente nel<br />
genere ridicolo» e «incapace<br />
di recitare una qualsiasi opera<br />
seria», come puntualmente ricorda<br />
Lunari citando i giudizi di<br />
Tallemant des Réaux e Donneau<br />
de Visé, rispettivamente del<br />
1658 e del 1663.<br />
Anche la già citata Angelique<br />
Poisson, ricorda lo studioso,<br />
lasciò una sua opinione in materia:<br />
«La natura - scriveva la<br />
donna - gli aveva negato quei<br />
Luigi XIV di Borbone (1638 -<br />
1715) salì al trono di Francia nel<br />
maggio del 1643 e vi rimase fino<br />
alla morte, quindi per circa<br />
settantadue anni. Figlio di Luigi<br />
XIII e di Anna d’Austria, figlia del<br />
re Filippo III di Spagna, fu detto<br />
il Re Sole (Le Roi Soleil). Sotto il<br />
suo regno, la Francia consolidò<br />
la propria posizione in Europa,<br />
grazie a precise azioni militari,<br />
e ne divenne il centro culturale.<br />
Particolare attenzione il Re Sole<br />
dedicò infatti alle arti. Tra l’altro<br />
fondò l’Académie Française<br />
e sostenne menti illuminate come<br />
quelle degli autori Molière,<br />
Racine e Jean de La Fontaine e<br />
di musicisti come Jean-Baptiste<br />
Lully. Lo stesso Re Sole decise<br />
la costruzione dell’Hotel<br />
des Invalides, sorta di casa di<br />
riposo e cura per militari feriti<br />
nel corso delle varie campagne;<br />
ampliò anche il Palazzo del<br />
Louvre. Nel 1661, dopo la morte<br />
del primo ministro cardinale<br />
Mazzarino, assunse il potere<br />
del governo direttamente nelle<br />
sue mani. Gli si attribuisce la<br />
frase “Lo Stato sono io”.<br />
doni esteriori così necessari in<br />
teatro, soprattutto per i ruoli<br />
tragici. Una voce sorda, inflessioni<br />
dure, una lingua volubile<br />
che lo portava a precipitare la<br />
declamazione, lo rendevano<br />
sotto questo profilo di gran<br />
lunga inferiore agli attori dell’Hôtel<br />
de Bourgogne, e di<br />
questo egli riuscì a correggersi<br />
solo a prezzo di sforzi continui,<br />
che gli causarono una specie di<br />
singulto che egli ha conservato<br />
fino alla morte, e di cui in determinate<br />
occasioni sapeva anche<br />
trar profitto».<br />
Le porte dell’Empireo, insomma,<br />
sia di quello letterario che<br />
di quello attoriale, non gli furono<br />
mai aperte, un po’ per suoi<br />
limiti naturali, un po’ per la tendenza<br />
all’autodifesa della strettissima<br />
cerchia dei letterati di<br />
più alto livello.<br />
Per tutta la vita, inoltre, Molière<br />
fu logorato dal senso di preca-<br />
rietà che derivava dall’essere<br />
legato a doppio filo ai capricci<br />
del re e della corte: una parola<br />
del sovrano lo poteva portare<br />
sugli altari o gettare nella polvere;<br />
il minimo screzio con un<br />
nobile lo avrebbe potuto far<br />
spazzare via come una briciola<br />
dalla tavola imbandita di Versailles...<br />
Insomma, c’era di che<br />
farsi venire l’ulcera. Per tutta<br />
la vita Molière riuscì comunque<br />
a parare i colpi e a mantenersi<br />
in equilibrio sul filo teso e senza<br />
rete fra la buona e la cattiva<br />
sorte.<br />
Un rovescio, pesante e umiliante,<br />
a dire il vero arrivò: il Re Sole<br />
infatti, per soddisfare l’amatissimo<br />
compositore Jean-Baptiste<br />
Lully (nato Giovanni Battista<br />
Lulli, 1632-1687), inviperito<br />
con Molière perché in un’opera<br />
aveva sostituito le sue musiche<br />
con quelle di un altro compositore,<br />
non ci pensò su due volte<br />
a riconoscergli la proprietà «di<br />
qualsivoglia brano di musica<br />
che egli avrà composto, così<br />
come (si badi bene!) i versi, le parole,<br />
i soggetti, il progetto e le<br />
opere per le quali detti brani di<br />
musica saranno stati composti,<br />
senza alcuna eccezione e per la<br />
durata di trent’anni». In pratica<br />
il compositore diventava proprietario<br />
di tutte le opere che<br />
contenevano anche solo qualche<br />
nota composta da lui, quindi<br />
anche di opere di Molière<br />
come il Borghese gentiluomo o<br />
George Dandin e molte altre.<br />
Un brutto colpo, non c’è che<br />
dire, che dà chiaramente il peso<br />
di quanto e di quanto rapidamente<br />
potesse cambiare il vento<br />
per un artista al soldo della<br />
nobiltà, specie di quella più<br />
alta: un’ultima amarezza che il<br />
destino e il suo Re avrebbero<br />
potuto risparmiare a Molière,<br />
che peraltro morì cinque mesi<br />
dopo quella disposizione.<br />
Ai capricci del Re Molière aveva<br />
dedicato gran parte del suo<br />
talento di scrittore, accondiscendendo<br />
alle sue preferenze<br />
(balletto e musica), castrando<br />
potenziali capolavori per assecondare<br />
le voglie del sovrano e<br />
rinunciando a dedicare tempo<br />
ed energie a lavori di ben altra<br />
levatura. Ricorda Lunari al riguardo:<br />
«In conclusione: nel periodo<br />
del suo maggiore successo<br />
a corte - cioè a dire dal 1664<br />
a poco prima della sua morte<br />
- Molière scrive solo quattro<br />
opere riconducibili senza concessioni<br />
di sorta alla sua più<br />
autentica vocazione di autore:<br />
Il Tartuffo, Il misantropo, George<br />
Dandin e Le donne sapienti».<br />
Ottenne indubbi benefici dalla<br />
protezione del Re, certo. Ma<br />
pagò anche un conto piuttosto<br />
salato.<br />
La sua idea di teatro<br />
Ma guardiamo il rovescio della<br />
medaglia. Molière non sarà stato<br />
dunque portato per il genere<br />
tragico, né come autore né<br />
come attore. Ma è anche vero<br />
che egli - come opportunamente<br />
segnala Lunari - «perseguiva<br />
una recitazione meno convenzionale,<br />
più realistica, più aderente<br />
alla verità psicologica dei<br />
personaggi e delle situazioni».<br />
Che questa sua scelta fosse poi<br />
interpretata come limite, come<br />
incapacità, è naturalmente un<br />
altro paio di maniche. Ma la<br />
considerazione ci è utile per<br />
addentrarci in quella silenziosa<br />
e forse per certi aspetti non<br />
del tutto consapevole idea del<br />
teatro che Molière realizzerà<br />
nel corso della sua carriera artistica:<br />
quella riforma che se nel<br />
francese si manifesta in nuce, in<br />
Goldoni arriverà a più decisa e<br />
consapevole fioritura, aprendo<br />
definitivamente le porte al teatro<br />
borghese.<br />
L’allontanarsi di Molière dallo<br />
stile recitativo del teatro tragico-accademico<br />
corrisponde,<br />
nei suoi testi, a un diverso stile<br />
di scrittura. Ma che cos’ha di<br />
moderno la commedia secondo<br />
Molière? Si basa sulla realtà<br />
e sulla verosimiglianza, è scritta<br />
in prosa e dà ampio spazio alla<br />
psicologia dei personaggi. Le<br />
stesse cose che si potrebbero<br />
dire guardando al teatro riformatore<br />
di Goldoni.<br />
La strada verso questo teatro<br />
“nuovo”, in realtà, era già stata<br />
aperta dalla commedia italiana<br />
del Cinquecento (Machiavelli<br />
fra tutti), ma certamente Molière<br />
compì, su questa strada,<br />
passi importanti, decisivi, soprattutto<br />
con lavori come George<br />
Dandin: quei passi che porteranno<br />
a Goldoni, poi a Cechov,<br />
Ibsen e Strindberg, per arrivare<br />
fino a noi e alle nostre espressioni<br />
artistiche, dal teatro al cinema,<br />
alla televisione.<br />
Ed è in questo quadro che un<br />
ruolo di primo piano rivestirà la<br />
borghesia, quel ceto nascente<br />
all’epoca di Molière e poi in piena<br />
fioritura in quella di Goldoni<br />
che del teatro “nuovo” sarà al<br />
tempo stesso ispiratore e destinatario.<br />
Già abbiamo detto di come Molière<br />
non abbia avuto vita facile<br />
a portare la borghesia e le sue<br />
storie sul palcoscenico in un’età<br />
come quella del Re Sole. Arriverà<br />
anche, talvolta, a parlare della<br />
borghesia in tono negativo:<br />
ma lo farà dando comunque un<br />
colpo al cerchio e un colpo alla<br />
botte, deridendo non tanto il<br />
borghese in sé, ma il borghese<br />
che aspira a un titolo che non<br />
gli compete, a una vita dai tratti<br />
nobiliari che non è la sua.<br />
14
Contese alla Duse<br />
il titolo di “divina”:<br />
due stili differenti,<br />
due impatti diversi<br />
sul pubblico,<br />
ma in comune<br />
un modo personale<br />
di essere “uniche”.<br />
Sarah Bernhardt<br />
... cent’anni dopo<br />
di Alessandra Agosti<br />
Nel 2023 cadranno i cento anni<br />
dalla morte di Sarah Bernhardt,<br />
tra le più iconiche attrici<br />
di tutti i tempi, nata nel 1844 a<br />
Parigi, e qui spirata nel 1923.<br />
Un segno indelebile quello lasciato<br />
da Henriette Rosine Bernard,<br />
questo il suo vero nome,<br />
spesso ricordata insieme alla<br />
collega-rivale italiana, Eleonora<br />
Duse, di quattordici anni più<br />
giovane di lei, l’altra grande “divina”<br />
dell’epoca. Anche detta<br />
voix d’or (voce d’oro; addirittura<br />
una sua collega attrice, Madeleine<br />
Brohan, disse di lei che<br />
nella gola possedeva “un’arpa<br />
naturale”), Sarah iniziò alla<br />
scuola di teatro della Comédie-<br />
Française, allieva non particolarmente<br />
brillante, in verità. Poi<br />
i primi passi all’Odéon, i primi<br />
grandi successi, e l’approdo alla<br />
Comédie Française, per la quale<br />
si misurò tra l’altro con Phèdre<br />
di Racine nel 1874 ed Hernani<br />
di Victor Hugo nel 1877. Salutata<br />
la Comédie Française, che le<br />
stava stretta, iniziò a inanellare<br />
successi in giro per il mondo:<br />
anche negli Stati Uniti, dove<br />
per Thomas Edison registrò su<br />
un cilindro sonoro un brano di<br />
Phèdre. Fu anche direttrice di<br />
due teatri, che rilevò a Parigi: il<br />
Théâtre de la Renaissance, dal<br />
1893, dove quattro anni dopo<br />
recitò anche la Duse; e quello<br />
delle Nazioni, sul cui palcoscenico<br />
fu tra l’altro La signora delle<br />
camelie di Dumas figlio, tra le<br />
sue interpretazioni più celebrate.<br />
Si mosse con intelligenza nel<br />
vivace mondo dell’arte del suo<br />
tempo (in particolare, il pittore<br />
Alphonse Mucha fu autore di<br />
tanti suoi manifesti), comprendendo<br />
la portata di innovazioni<br />
come il cinematografo, con<br />
otto film all’attivo, a partire da<br />
Il duello di Amleto, del 1900, per<br />
la regia di Clément Maurice,<br />
firmando anche alcune sceneggiature.<br />
Come sul versante culturale,<br />
si schierò anche politicamente,<br />
in particolare con Émile<br />
Zola allo scoppio del cosiddetto<br />
“Affare Dreyfus”). Nel 1914<br />
fu decorata con la Legion d’Onore.<br />
Recitò fino in tarda età,<br />
anche dopo l’amputazione di<br />
una gamba. Ebbe un solo figlio,<br />
Maurice Bernhardt, poi divenuto<br />
scrittore, avuto a vent’anni<br />
dal nobile belga Charles-Joseph<br />
Eugène Henri Georges Lamoral<br />
de Ligne (1837–1914); ebbe<br />
diverse relazioni, tra l’altro con<br />
il disegnatore Gustave Doré,<br />
e un drammatico matrimonio<br />
con Aristides Damala, morfinomane:<br />
una relazione brevissima,<br />
ma che la Bernhardt non<br />
interruppe legalmente fino<br />
alla scomparsa dell’uomo, ad<br />
appena 34 anni, nel 1889. Amò<br />
anche alcune donne, come la<br />
scrittrice Lina Poletti e la pittrice<br />
Louise Abbéma.<br />
Ma double vie, La mia doppia<br />
vita, del 1907, è il titolo della<br />
sua autobiografia, ma fu anche<br />
saggista, drammaturga e, come<br />
già detto, sceneggiatrice.<br />
Interessante - sempre per quel<br />
parallelismo “divino” con la<br />
Duse - fu il suo rapporto con<br />
Gabriele D’Annunzio, del quale<br />
rimane un epistolario. D’Annun-<br />
Un celebre ritratto di Sarah Bernhardt firmato dal fotografo parigino Nadar<br />
zio aveva visto nell’attrice francese<br />
la portavoce ideale della<br />
sua arte: era già celebre, era<br />
nata in Francia, Paese che secondo<br />
il Vate era ben più pronto<br />
dell’Italia a capire la sua arte.<br />
Per questo le affdò La città<br />
morta nel 1899, preferendola<br />
NEL 2023 IL CENTENARIO<br />
DELLA NASCITA<br />
DI MARCEL MARCEAU<br />
A proposito di anniversari illustri,<br />
in un prossimo numero<br />
parleremo di un altro grande<br />
artista che sarà celebrato nel<br />
2023: Marcel Marceu, a cento<br />
anni dalla nascita. Francese<br />
di Strasburgo, all’anagrafe<br />
Marcel Mangel, fu allievo di<br />
allievo di Étienne Decroux. Fu<br />
l’inventore del moonwalk, il<br />
passo rivisitato e reso celebre<br />
da Michael Jackson. Ma c’è<br />
molto, molto di più...<br />
alla Duse. Lei, dal canto suo, gli<br />
fornì il suo teatro, La Renaissance,<br />
per la prima mondiale dell’opera,<br />
che la Duse avrebbe rappresentato<br />
in Italia nel 1901, al<br />
fianco di Ermete Zacconi.<br />
La Duse morì un anno dopo la<br />
Bernhardt, nel 1924.<br />
15
UN RAPPORTO INQUIETO<br />
TEATRO<br />
E ARTE<br />
16
Numerosi e complessi<br />
i punti d’incontro<br />
di Filippo Bordignon<br />
“Ti nutri d’immagini<br />
e sei tu stesso un’immagine?<br />
Che pensi di te stesso,<br />
come potrai sussistere?”<br />
(Angelus Silesius)<br />
Foto di Jean-Pierre Dalbéra from Paris, France - Costumes du ballet Parade (Les Ballets russes, Opéra)<br />
CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=24670981<br />
Performance del 1968 del Living Theater al Politecnico di Torino<br />
Da notare lo studente nell’atto di spogliarsi per prendervi parte<br />
Una visione sistemica, olistica<br />
(cioè di completa integrazione<br />
tra il tutto e le varie parti<br />
che lo compongono) del fatto<br />
artistico ha derivato nel corso<br />
della storia umana l’emergere<br />
dell’immagine della realtà<br />
come theatrum mundi, intendendo<br />
con questa locuzione<br />
latina il mondo come palcoscenico<br />
in cui agiamo. L’estetizzazione<br />
di tale concetto ci<br />
ha portati a concepire in primis<br />
l’azione performativa come<br />
veicolo di messaggi slegato dai<br />
vincoli delle tradizionali strutture<br />
fisiche di fruizione artistica<br />
(teatri, sale da concerto,<br />
luoghi normalmente destinati<br />
alla cultura). Non solo. Il pubblico<br />
stesso può essere un pubblico<br />
indiretto, non pagante,<br />
inconsapevole dell’azione nel<br />
suo svolgersi, sicché un’azione<br />
artistica può avvenire improvvisamente<br />
in una strada, in<br />
un’abitazione, in un luogo dove<br />
il solo spettatore può essere,<br />
per assurdo, lo stesso “attore”<br />
dell’azione performativa.<br />
Molto prima dei flash mob che<br />
dilagano sui social, però, si assistette<br />
a un lungo periodo di<br />
incubazione concettuale delle<br />
modalità sopra dette, a opera<br />
di artisti complessi e controversi<br />
che sdoganarono alle folle<br />
modi di intendere l’esperienza<br />
artistica oggi assurti a normalità.<br />
Tra i grandi insegnamenti concessi<br />
a partire dalla prima parte<br />
del Novecento da alcuni dei<br />
suoi personaggi apripista vi è<br />
quello di un’arte multidisciplinare,<br />
totale, fluida nella nobile<br />
eccezione del termine: pittura<br />
incontra musica e diviene<br />
astratta, scultura incontra cultura<br />
e smette di replicare immagini<br />
naturali divenendo forme<br />
impossibili, per non citare<br />
che due esempi tra i tanti oggi<br />
familiari alle masse.<br />
Prima di questa irreversibile<br />
trasformazione si passò giocoforza<br />
attraverso un periodo di<br />
transizione in cui due medium<br />
dialogavano a pari livello senza<br />
che se ne decretasse ancora la<br />
completa fusione (si pensi alle<br />
opere d’arte pittorica di Lele<br />
Luzzati per Paolo Poli, scenografie<br />
a forma di paravento<br />
ancora considerate a supporto<br />
del lavoro teatrale, o l’ambiziosa<br />
collaborazione tra lo scrittore<br />
Jean Cocteau, il compositore<br />
Erik Satie e il pittore Pablo Picasso<br />
in veste di costumista per<br />
la danza- teatro ante litteram<br />
Parade del 1917).<br />
La seconda metà del Novecento<br />
portò alle estreme conseguenze<br />
queste intenzioni<br />
mediante l’esperienza statunitense<br />
del Living Theater grazie<br />
al quale, usando il trampolino<br />
di alcune avanguardie storiche<br />
durate un soffo ma dal lascito<br />
inesauribile (gli eventi dadaisti<br />
promossi nel leggendario locale<br />
zurighese Cabaret Voltaire),<br />
si verificò un primo teorizzato<br />
scardinamento delle tradizioni,<br />
dando forma a un ibrido artistico<br />
dalla chiara connotazione<br />
anarcoide. Non un teatro della<br />
libertà (concetto ascrivibile a<br />
un modello filosofico/politico)<br />
ma della liberazione (concetto<br />
spirituale, metafisico, mistico,<br />
cioè slegato da ogni diktat teologico).<br />
Superati i pur seminali risultati<br />
del teatro di poesia, la coppia<br />
Judith Malina/Julian Beck coniò<br />
un formato di compagnia<br />
teatrale spiantato anche nella<br />
disponibilità di una sede fissa:<br />
le molte cellule operative riconducibili<br />
al Living si diffuse-<br />
(contrinua alla pagina seguente)<br />
17
o negli States e in Europa,<br />
portando il verbo dell’happening,<br />
in cui il qui-e-ora di<br />
derivazione zen (filosofia<br />
orientale esplosa nei Fifties<br />
attraverso la fascinazione<br />
derivata dalla beat generation)<br />
si ciba del situazionismo<br />
Fluxus a beneficio<br />
di una fruizione totale da<br />
parte dello spettatore.<br />
Quest’ultimo è parte integrante<br />
dell’evento, chiamato<br />
non solo a generare un<br />
proprio significato personale<br />
ma anche parteciparvi<br />
attivamente, a rifiutarlo animatamente,<br />
ad abbracciarlo<br />
catarticamente al punto da<br />
venirne trasformato.<br />
Il drammaturgo dell’opera e<br />
i suoi esecutori divengono il<br />
tramite di un progetto ben<br />
più ambizioso che mette<br />
da parte le logiche di puro<br />
intrattenimento o di moralizzazione<br />
coercitiva, schiudendosi<br />
a significati inattesi,<br />
magari addirittura non contemplati<br />
dagli stessi autori.<br />
Gli eventi - perché il termine<br />
“spettacolo” risulta a questo<br />
punto inadatto - possono<br />
giovarsi di location desuete<br />
e magari di un’illuminazione<br />
naturale. Una fabbrica<br />
in disuso con gli scheletri<br />
dei suoi macchinari arrugginiti,<br />
un terreno in piena<br />
campagna o l’ingresso della<br />
sede di un partito politico<br />
avversario a questo genere<br />
di attività vengono impiegati<br />
- talvolta nella mancanza<br />
dei necessari permessi amministrativi<br />
- proprio per la<br />
loro natura anti-istituzionale<br />
e disturbante. L’accecante<br />
luce del giorno o la semioscurità<br />
della notte sortiscono<br />
sensazioni altrettanto<br />
importanti, che l’artista scafato<br />
impiega accettandone<br />
l’incontrollabilità.<br />
Il dilagare europeo di questo<br />
modus operandi provocò<br />
un sostanziale ripensamento<br />
anche nell’ambito<br />
della danza; nella seconda<br />
metà degli anni ‘70, in Germania,<br />
il Tanztheater di Pina<br />
Bausch si appropriò di scenografie/location<br />
e oggetti<br />
di scena dal mondo reale: i<br />
“danzattori” bauschiani fanno<br />
propri gesti della quotidianità<br />
quali corse, cadute,<br />
svenimenti, baci e carezze,<br />
collocati in spazi che vanno<br />
dalla cima di una collina ad<br />
ambienti desertici. Una rivoluzione<br />
che oggi è considerata<br />
la normalità nel settore<br />
Il manifesto di Fluxus, lanciato da George Maciunas nel 1963<br />
Il ritratto quintuplo di Marcel Duchamp, realizzato nel 1917. La composizione<br />
ricorda quella che Umberto Boccioni aveva proposto nel 1908 (Io,<br />
Noi) . La fotografia fu un terreno di sperimentazione molto battutto in<br />
quegli anni: su tutti, ricordiamo Man Ray, amico fraterno di Duchamp,<br />
con il quale condivise varie esperienze artistiche affni alla performance<br />
teatrale, come la creazione dell’alter ego del pittore, Rrose Selavy, e<br />
antesignane della body art, come Tonsura, per la quale Duchamp si rasò<br />
i capelli disegnandovi una stella.<br />
della danza contemporanea ma<br />
che al tempo stupì non poco<br />
per la sua carica dirompente,<br />
per la ferrea volontà di fare con<br />
il corpo tutto ciò che esso consente,<br />
a partire però da gesti<br />
di uso comune, ricchi perciò di<br />
un immediato valore simbolico.<br />
Imperdibile, per testare un<br />
assaggio della poetica in questione,<br />
il film d’essai Pina (2011)<br />
girato dal di lei amico fraterno,<br />
il regista Wim Wenders.<br />
Le azioni della quotidianità<br />
trasfigurate in forma artistica<br />
ebbero in realtà un imprescindibile<br />
teorizzatore nell’artista<br />
concettuale tedesco Joseph<br />
Beuys.<br />
Sfebbrata l’infatuazione per il<br />
regime nazista e risvegliato a<br />
una coscienza sociale dopo un<br />
incidente aereo durante la Seconda<br />
Guerra Mondiale (egli favoleggiò<br />
di essere stato salvato<br />
e curato con rimedi naturali<br />
da un gruppo di nomadi tartari<br />
nella regione della Crimea),<br />
dagli Anni ’60 e fino alla sua<br />
morte nel 1986 egli elaborò<br />
una serie di azioni performative<br />
diversificate, alcune delle quali<br />
lo vedono protagonista e fanno<br />
dell’artista il soggetto-oggetto<br />
della propria speculazione intellettuale.<br />
In I like America and America<br />
likes me (1974) Beuys, munito<br />
di un mantello e un bastone<br />
da passeggio, interagisce con<br />
un coyote; il filmato - facilmente<br />
rintracciabile sul web - ci<br />
racconta l’interazione uomoanimale<br />
spiegando il rapporto<br />
ambivalente del nostro con la<br />
“Land of the Free” che l’aveva<br />
adottato. L’atteggiamento diffidente<br />
dell’animale, che fiuta<br />
sospettoso l’artista e ne mordicchia<br />
il mantello, diviene così<br />
metafora del delicato rapporto<br />
tra Germania e States in maniera<br />
più sottile di tante parole.<br />
In Flitz Tv (1970) viene inscenato<br />
un incontro di box tra Beuys<br />
e lo schermo di un televisore, a<br />
ribadire lo scontro costante tra<br />
realtà e mondo dell’informazione.<br />
Vi è poi un Beuys impegnato sul<br />
versante sociale, quello cioè del<br />
progetto Piantagione Paradise<br />
(1982) realizzato a Bolognano,<br />
in Abruzzo, che ha previsto la<br />
messa in dimora di oltre 7 mila<br />
piante, operazione finalizzata<br />
a ripristinare la biodiversità locale.<br />
Più generalmente, queste<br />
modalità di rappresentazione<br />
della realtà secondo una deformante<br />
lente concettuale sono<br />
condivise con il movimento<br />
Fluxus che, guarda caso, vanta<br />
18
Joseph Beuys fa a pugni con un televisore in “Flitz Tv” del 1970<br />
Foto di Di Lothar Wolleh<br />
Licenza - http://www.lothar-wolleh.de, CC BY-SA 3.0, https://commons.<br />
wikimedia.org/w/index.php?curid=5843258<br />
in uno dei suoi appartenenti, il<br />
pittore Allan Kaprow, l’inventore<br />
del termine “happening”.<br />
Dagli esordi nei seventies e per<br />
un decennio, il Fluxus destabilizzò<br />
l’America benpensante<br />
con azione multidisciplinari che<br />
portarono ad alti livelli artistici<br />
le intuizioni di Marchel Duchamp.<br />
Da questa esperienza derivarono<br />
il proprio successo mediatico<br />
le nuove generazioni, attualmente<br />
riassunte nel nome<br />
arcinoto di Marina Abramovic,<br />
la quale viene spesso e con ingiustificabile<br />
esagerazione indicata<br />
come la “nonna dell’arte<br />
performativa”.<br />
Vero è che, toccando sovente<br />
le tematiche della sessualità, le<br />
sue azioni le hanno attirato un<br />
interesse spesso superiore agli<br />
oggettivi meriti artistici, come<br />
nel caso della rivisitazione della<br />
performance incentrata sulla<br />
masturbazione Seedbed di Vito<br />
Acconci, contenuta in Seven<br />
easy pieces del 2007.<br />
Il rischio della performing art è<br />
che, per sopravvivere nell’interesse<br />
del pubblico, debba alzare<br />
costantemente l’asticella del<br />
senso del pudore, anestetizzando<br />
il pubblico rispetto alla<br />
spettacolarizzazione di azioni<br />
appartenenti alla sfera privata<br />
della persona. Dal bisogno atavico<br />
di misurarsi con le proprie<br />
Qui a destra ancora Beuys in una<br />
foto del 3 aprile 1980, durante<br />
un incontro a Perugia con Alberto<br />
Burri, altro artista sperimentatore,<br />
noto soprattutto per i “sacchi”,<br />
le “combustioni”, i “cretti”<br />
e le opere in cellotex<br />
paure - morte e sofferenza su<br />
tutte - e nel tentativo di restituire<br />
una versione di completo<br />
realismo del teatro francese<br />
Grand Guignol, nella seconda<br />
metà del Novecento si assistette<br />
all’affermarsi di una body art<br />
votata alla sofferenza autoindotta,<br />
in cui il sadismo latente<br />
nello spettatore sposa il masochismo<br />
latente nell’artista.<br />
Un esempio eclatante ci deriva<br />
dalla tormentata personalità<br />
della francese Gina Pane, le cui<br />
azioni di rottura con la morale<br />
comune hanno annoverato auto-ferimenti<br />
con chiodi, lamette,<br />
spine di rose, esteticamente<br />
giustificati come un’immolazione<br />
dell’artista al pubblico, il<br />
quale diviene testimone della<br />
zona meno esplorata del corpo<br />
fisico, quella sottocutanea.<br />
Dai tagli alla tela di Lucio Fontana<br />
a quelli sulle braccia della<br />
Pane assistiamo così a un cambio<br />
di paradigma in cui l’artista<br />
diviene definitivamente oggetto<br />
della propria soggettività.<br />
Una delle immagini più scioccanti<br />
del genere body art è<br />
però imputabile allo statunitense<br />
Chris Burden con l’opera<br />
Trans-fixed: il 23 aprile 1973<br />
l’artista si fece letteralmente<br />
crocifiggere sulla cappotta di<br />
una Volkswagen Maggiolino<br />
ed esporre per due minuti al<br />
pubblico. È in questo contesto<br />
eccessivo e voyeuristico che,<br />
tra la fine degli Anni ’70 e l’inizio<br />
degli ’80, nasce la figura<br />
dell’artista superstar, il cui volto<br />
è massmediaticamente noto<br />
tanto quanto o più delle sue<br />
stesse opere.<br />
La pure sintetica esposizione<br />
di cui sopra rischia d’ingarbugliare<br />
il discorso su un tema,<br />
quello del gesto che si fa arte<br />
al di fuori da logiche teatrali, di<br />
per sé ingarbugliato e tutt’altro<br />
che intuitivo. La ragione principale<br />
di tale complessità sta<br />
nella mancanza di netti confini<br />
di demarcazione tra i vari<br />
medium, fenomeno sul quale<br />
il Novecento ha scientemente<br />
spinto l’acceleratore frantumando<br />
divisioni comunque<br />
semplificanti (nel bene e nel<br />
male), sia per l’artista che per<br />
il fruitore e per la critica specializzata.<br />
Nell’epoca dello<br />
zapping totale - ben evidente<br />
nel nostro vagabondaggio<br />
dalla tv allo schermo del pc e<br />
fino al tablet nell’arco di pochi<br />
minuti - non poteva essere<br />
altrimenti.<br />
Rimedi? Non v’è rimedio per<br />
il paziente affezionato alla<br />
propria patologia.<br />
19
Pronta la rosa dei dodici finalisti<br />
che venerdì 2 settembre si<br />
sfideranno a Rovigo alla finalissima<br />
della seconda edizione del<br />
Festival regionale del monologo<br />
Pillole di Teatro, promosso<br />
da FITA Veneto con i suoi Comitati<br />
provinciali e in collaborazione<br />
con i Comuni ospitanti:<br />
Adria, Bardolino, Cadoneghe,<br />
Concordia Sagittaria, Treviso e<br />
Vicenza.<br />
Alla serata della finalissima,<br />
organizzata con il sostegno di<br />
Fondazione Rovigo Cultura, si<br />
sfideranno dunque: Sara Agostini<br />
della compagnia Magica<br />
Bula ed Ermanna Terzo della<br />
Compagnia Stabile Città Murata,<br />
vincitrici della selezione<br />
per Padova; Alberto Felisati<br />
della compagnia CIC El Canfin<br />
e Maurizio Noce di Proposta<br />
Teatro Collettivo, per la provincia<br />
di Rovigo; Pasqualina<br />
Milano de La Caneva e Maura<br />
Sponchiado di Arte Povera, per<br />
la provincia di Treviso; Grazia<br />
Feroce de La Goldoniana e Serena<br />
Tenaglia de La Bottega,<br />
per la provincia di Venezia; Antonio<br />
Guardalben de La Bottega<br />
delle Arti e Giovanni Vit de<br />
La Graticcia, per la provincia di<br />
Verona; Erica Castiglioni de La<br />
Ringhiera e Massimiliano Parolin<br />
de La Colombara, per la<br />
provincia di Vicenza.<br />
FESTIVAL<br />
Per “Pillole di Teatro”<br />
si vola verso la finale<br />
sulle ali dei monologhi<br />
Nato nel 2020 come iniziativa<br />
provinciale di FITA Rovigo e divenuto<br />
regionale nel 2021, il<br />
Festival in sole due edizioni ha<br />
subito riscosso vivo successo<br />
sia tra gli iscritti FITA del Veneto<br />
sia da parte del pubblico,<br />
che ha seguito con passione le<br />
selezioni regionali ed è ora atteso<br />
alla finalissima. Qui, oltre<br />
a un premio decretato proprio<br />
dagli spettatori, una giuria tecnica<br />
stabilrà il vincitore assoluto<br />
dell’edizione <strong>2022</strong>, che conquisterà<br />
di diritto un posto tra<br />
i finalisti di un festival nazionale<br />
del monologo.<br />
A tale riguardo, l’edizione 2021<br />
del concorso ha portato molto<br />
bene al Veneto, dato che il vincitore<br />
della kermesse, Roberto<br />
Pinato della compagnia Teatro<br />
Insieme di Sarzano (Rovigo), ha<br />
vinto anche il Festival Interrogionale<br />
del Monologo promosso<br />
da FITA Umbria e FITA Abruzzo,<br />
con il brano Il professore,<br />
tratto da Giù al nord di Antonio<br />
Albanese.<br />
Dall’alto, a sinistra: Guardalben,<br />
Agostini, Milano, Castiglioni, Noce,<br />
Tenaglia, Parolini, Vit,Terzo, Felisati,<br />
Feroce e Sponchiado<br />
20
DAL TERRITORIO<br />
ROVIGO - Condotto da Armando Carrara<br />
«Io sono Molière»<br />
Sei compagnie in scena<br />
per un percorso teatrale<br />
TREVISO<br />
Sei compagnie teatrali coinvolte<br />
e ventuno attori in scena,<br />
con la collaborazione artistica<br />
del regista Armando Carrara,<br />
per l’adattamento dei testi e<br />
l’allestimento di Io sono Molière,<br />
evento ideato da FITA Rovigo<br />
per celebrare i 400 anni dalla<br />
nascita del grande drammaturgo<br />
francese. Organizzato con il<br />
patrocinio del Comune di Rovigo<br />
- Assessorato alla Cultura<br />
e grazie al sostegno di Fondazione<br />
per lo Sviluppo del Polesine,<br />
lo spettacolo si è tenuto<br />
domenica 29 maggio al Teatro<br />
Duomo e ha concluso la quinta<br />
edizione del Maggio Rodigino<br />
promosso dalla Fondazione.<br />
Da Il malato immaginario a Le<br />
furberie di Scapino, passando<br />
E un appuntamento<br />
anche con Cuppone<br />
Vent’anni da celebrare per Tra<br />
Scuole e Teatro, il più longevo<br />
festival polesano dei laboratori<br />
teatrali dei ragazzi e delle<br />
ragazze, che per l’occasione ha<br />
proposto un’edizione speciale,<br />
inserita nella cornice del Maggio<br />
Rodigino.<br />
Quasi 300 i giovani coinvolti,<br />
con sette spettacoli al Teatro<br />
Duomo dal 16 al 25 maggio. In<br />
chiusura, il 28 maggio al Don<br />
Bosco, due ospiti speciali: Traverso<br />
Teatro, compagnia di giovani<br />
attori professionisti, con lo<br />
spettacolo Presente! e la Scuola<br />
estiva di teatro educazione,con<br />
una dimostrazione di lavoro.<br />
Il Festival è stato organizzato<br />
da FITA Rovigo, Associazione<br />
Nexus, Noi Rovigo e Associazione<br />
Zagreo, in collaborazione e<br />
con il sostegno della Fondazione<br />
Banca del Monte di Rovigo,<br />
la partnership della Fondazione<br />
per lo Sviluppo del Polesine e<br />
Venerdì 22 aprile, nella sala della<br />
Gran Guardia a Rovigo, il docente<br />
universitario, attore e regista<br />
Roberto Cuppone è stato il protagonista<br />
della conferenza-lettura<br />
Elomire estudiant - Molière apper<br />
Le intellettuali: l’omaggio a<br />
Molière si è snodato attraverso<br />
alcune delle sue commedie più<br />
famose, per raccontare anche<br />
aneddoti e curiosità sulla vita e<br />
il contesto storico dell’autore.<br />
La produzione è stata il frutto<br />
di alcuni mesi di formazione e<br />
lavoro che hanno coinvolto sei<br />
compagnie FITA: C.I.C. El Canfin<br />
di Baricetta, Fuori di Scena e I<br />
Girasoli di Rovigo, Proposta Teatro<br />
Collettivo di Arquà Polesine,<br />
Teatro Insieme di Sarzano e<br />
Tic - Teatro Instabile di Creazzo<br />
(Vicenza).<br />
prendista (dei comici italiani),<br />
organizzata da Fita Rovigo Aps<br />
con il patrocinio del Comune -<br />
Assessorato alla Cultura - per ricordare<br />
i 400 anni dalla nascita<br />
di Molière.<br />
Tra Scuole e Teatro: vent’anni insieme<br />
il patrocinio di Comune di Rovigo,<br />
Agita, Ra.Re. e Uilt. Collaborazione<br />
speciale anche con<br />
l’Istituto De Amicis di Rovigo,<br />
in particolare con la classe 3^<br />
ITT e i docenti Alfredo Pierro e<br />
Giuseppe De Biasi. I laboratori<br />
partecipanti sono stati: Istituto<br />
Traverso Teatro<br />
di istruzione superiore Ferrari<br />
di Este; Drama Club del Celio-<br />
Roccati; Ic Rovigo 3 – Scuola<br />
Casalini; secondaria di primo<br />
grado Goldoni di Ceregnano;<br />
Ics di Lendinara; Celio-Roccati<br />
- Gic Giovani in cammino; Nati<br />
dal nulla di Ferrara.<br />
Biblioteca di Silea<br />
e Fita Treviso<br />
per un’estate<br />
tra le pagine<br />
FITA Treviso e Biblioteca di<br />
Silea insieme per Storie sotto<br />
gli alberi, una bella iniziativa<br />
dedicata a famiglie e ragazzi,<br />
inserita nella manifestazione<br />
Qui si legge, organizzata da<br />
undici biblioteche del Polo<br />
BibloMarca a seguito della<br />
vittoria del bando nazionale<br />
Città che Legge - <strong>2022</strong>.<br />
Tre gli appuntamenti in programma,<br />
«ideati – spiega Sladana<br />
Reljic, presidente FITA<br />
Treviso - da un gruppo di lavoro<br />
di nostri associati, che si<br />
sono messi in gioco per creare<br />
percorsi di letture animate<br />
con diversi temi, ma tutte<br />
accomunate dal desiderio di<br />
diffondere l’amore per la lettura».<br />
Dopo l’avvio, sabato 9 <strong>luglio</strong>,<br />
alla Biblioteca “Liberi Pensatori”<br />
di Silea con Una montagna<br />
di libri e parole, in compagnia<br />
di Cappuccetto Verde e<br />
dell’amica Verdocchia, sabato<br />
6 agosto appuntamento<br />
con La natura che danza con<br />
te, al Porticciolo di Sant’Elena<br />
alle 20.30 e alle 21.30.<br />
Infine, sabato 10 settembre,<br />
nel Boschetto Parco dei Moreri,<br />
Salterellando con le favole<br />
sempre in due turni, alle<br />
20.30 e alle 21.30.<br />
Ingresso libero. In caso di maltempo<br />
gli spettacoli potrebbero<br />
subire variazioni.<br />
21
VICENZA<br />
Teatro in Corso <strong>2022</strong><br />
Socialità e leggerezza<br />
per una bella edizione<br />
Un dibattito sulla funzione sociale<br />
della cultura e sul ruolo<br />
del teatro, una maratona di<br />
performance, una scelta di laboratori<br />
e le selezioni per il festival<br />
regionale del monologo<br />
Pillole di Teatro. Questo il carnet<br />
proposto dalla Festa del Teatro<br />
<strong>2022</strong> “Teatro In Corso”, iniziativa<br />
promossa venerdì 10 e sabato<br />
11 giugno da FITA Vicenza, già<br />
organizzatrice di manifestazioni<br />
ormai storiche come, tra le<br />
altre, Teatro Popolare Veneto e<br />
TeatroSei.<br />
La Festa si è aperta venerdì 10<br />
giugno al chiostro di San Lorenzo,<br />
con una maratona teatrale<br />
curata da compagnie associate<br />
alla Federazione vicentina,<br />
mentre sabato 11, sempre al<br />
chiostro, si è tenuta la tavola<br />
rotonda Dal teatro amatoriale<br />
al teatro relazionale. La funzione<br />
sociale della cultura ‘tra palco e<br />
realtà’. Alla conversazione sono<br />
intervenuti Nicoletta Martelletto,<br />
vicecaporedattore de Il<br />
Giornale di Vicenza e moderatrice<br />
del dibattito, l’assessore alla<br />
Cultura del Comune di Vicenza,<br />
Simona Siotto, il vicepresidente<br />
nazionale FITA, Aldo Zordan, la<br />
consulente teatrale Annalisa<br />
Carrara, il tessitore sociale e copromotore<br />
di Vicenza Valore<br />
Comunità Guido Zovico e l’imprenditrice<br />
Kety Panni, co-promotrice<br />
di Relazionésimo 2030.<br />
L’incontro ha permesso di ribadire<br />
come la cultura in tutte le<br />
sue forme rivesta una funzione<br />
fondamentale per la società.<br />
La pandemia ha naturalmente<br />
pesato molto anche su questo<br />
fronte, richiedendo un particolare<br />
impegno: sia per superare<br />
la sedentarietà degli spettatori,<br />
dopo tanti mesi di chiusura più<br />
o meno accentuata; sia per consentire<br />
la sopravvivenza anche<br />
economica di artisti e compagni.<br />
Essenziale, quindi, una riflessione<br />
ancora più profonda sulla<br />
funzione sociale del teatro, che<br />
va ben oltre quella culturale.<br />
Ecco perché - è emerso dalla<br />
conversazione - parlare di teatro<br />
relazionale può servire per<br />
ri-connettere le varie funzioni<br />
del teatro che, una volta comprese,<br />
possono spingere persone,<br />
organizzazioni e istituzioni<br />
a scegliere di sovra-investire<br />
22<br />
nella riattivazione del sistema<br />
teatrale, ampliandone e aggiornandone<br />
il senso, il ruolo e la<br />
funzione.<br />
Pesanti le diffcoltà vissute da<br />
tutti i settori durante la pandemia.<br />
Alle esperienze del mondo<br />
dell’informazione riportata da<br />
Martelletto e della pubblica<br />
amministrazione, nelle parole<br />
dell’assessore Siotto, si sono<br />
intrecciate quelle del teatro<br />
amatoriale riportate da Zordan:<br />
un mondo fondamentale sia sul<br />
fronte sociale che su quello economico,<br />
considerando l’indotto<br />
che è in grado di movimentare.<br />
Nella sua doppia veste di donna<br />
di teatro e di organizzatrice,<br />
Carrara ha ricordato al pubblico<br />
le emozioni del recitare<br />
e ha invitato a una riflessione<br />
sulle motivazioni che inducono<br />
Teatro Popolare<br />
Veneto: una trentina<br />
gli appuntamenti<br />
fino a novembre<br />
Bella 23ª edizione<br />
per TeatroSei:<br />
collaborazione<br />
e buoni risultati<br />
Successo per la 23ª edizione<br />
di TeatroSei, rassegna organizzata<br />
tra gennaio e febbraio<br />
dall’Assessorato alla<br />
Partecipazione del Comune<br />
di Vicenza e dal comitato<br />
provinciale FITA, con la collaborazione<br />
delle compagnie<br />
La Ringhiera e Lo Scrigno e<br />
la partecipazione delle Parrocchie<br />
di San Giuseppe e<br />
San Lazzaro. Sei le compagnie<br />
coinvolte: La Moscheta<br />
di Colognola ai Colli (Verona),<br />
Teatrotergola di Vigonza<br />
(Padova), Compagnia<br />
dell’Orso di Lonigo (Vicenza),<br />
Teatroinsieme di Zugliano<br />
(Vicenza), La Ringhiera di<br />
Vicenza e Trentamicidellarte<br />
di Villatora (Padova).<br />
Compie 27 anni Teatro Popolare<br />
Veneto, storica rassegna<br />
organizzata da FITA Vicenza con<br />
il patrocinio di Fita Veneto e il<br />
sostegno dei Comuni ospitanti.<br />
Una trentina le date, in programma<br />
fino al 26 novembre, ma con<br />
un cartellone aperto, al quale<br />
all’impegno teatrale. Stimolante<br />
anche l’intervento di Zovico,<br />
che ha sottolineato il disagio<br />
creato dalla pandemia tra i giovani<br />
e i giovanissimi: un tessuto<br />
di relazioni da ricostruire, sul<br />
quale l’amatorialità può giocare<br />
un ruolo importante. Panni,<br />
infine, ha introdotto il concetto<br />
di “relazionésimo” che muove<br />
la sua azione di imprenditrice e<br />
creatrice di eventi, nella cui formazione<br />
il teatro ha avuto un<br />
ruolo non secondario.<br />
Nel pomeriggio, la Festa è proseguita<br />
con laboratori aperti<br />
alle compagnie FITA e alla cittadinanza<br />
nel quartiere Barche,<br />
dove si trovano le sedi di FITA<br />
Vicenza e Veneto e uno dei<br />
FITA Point della rete nazionale,<br />
spazi di incontro per chi ama il<br />
teatro. Come guide dei laboratori<br />
sono stati coinvolti Michela<br />
Negro per il teatro-danza, Sara<br />
Tamburello per il ritmo teatrale<br />
e Vittorio Savegnago per la<br />
giocoleria.<br />
In serata, di nuovo nel chiostro<br />
di San Lorenzo, selezione provinciale<br />
del festival di FITA Veneto<br />
Pillole di Teatro, con tredici<br />
interpreti sul palco.<br />
potrebbero aggiungersi nuovi<br />
appuntamenti. Una ventina i<br />
Comuni e così pure le compagnie<br />
coinvolte al momento, protagoniste<br />
di un cartellone molto vario.<br />
Aggiornamenti sul programma<br />
sono disponibili nella pagina<br />
Facebook Fita Vicenza.<br />
Tanti cari amici da ricordare<br />
Ci sono degli amici da ricordare, persone che hanno lasciato un<br />
grande vuoto nella famiglia FITA Veneto. In questa pagina dedichiamo<br />
un pensiero particolare a quattro di loro.<br />
Franco Bellin, della compagnia Amici del Teatro di Noventa Vicentina,<br />
scomparso lo scorso gennaio: un “esploratore” del teatro,<br />
maestro per tanti giovani, attore e regista raffnato e già vicepresidente<br />
di Fita Vicenza.<br />
Valerio Dalla Pozza, della compagnia Astichello, segretario e tesoriere<br />
di Fita Veneto: un uomo solare, generoso e pieno di energia,<br />
che ci ha lasciati troppo presto nell’agosto del 2021.<br />
Roberto Puliero, veronesissimo regista e attore della compagnia<br />
La Barcaccia, straordinario interprete goldoniano per tanti anni ai<br />
vertici del teatro amatoriale, se n’è andato nel novembre 2019.<br />
Infine Luigi Lunari, che si è spento improvvisamente nell’agosto<br />
2019, lasciandoci una cospicua eredità sia di copioni sia di saggi<br />
che manterranno vivo il suo geniale spirito in futuro.
COMITATO REGIONALE VENETO<br />
Stradella delle Barche, 7 - 36100 Vicenza<br />
Tel. 0444 324907<br />
fitaveneto@fitaveneto.org<br />
www.fitaveneto.org<br />
Comitato di Padova<br />
Via Gradenigo, 10 - 35121 Padova<br />
c/o Centro Servizi per il Volontariato<br />
Tel. 049 8686849<br />
fitapadova@libero.it<br />
Comitato di Rovigo<br />
Viale Marconi, 5 - 45100 Rovigo<br />
Cell. 349 4297231<br />
fitarovigo@gmail.com<br />
Comitato di Treviso<br />
Sede operativa Via Calmaggiore 10/4<br />
(Palazzo del Podestà) - 31100 Treviso<br />
Cell. 334 7177900<br />
info@fitatreviso.org<br />
www.fitatreviso.org<br />
Comitato di Venezia<br />
Cannaregio, 483/B - 30121 Venezia<br />
Tel. 041 0993768 - Cell. 340 5570051<br />
fitavenezia@libero.it<br />
Comitato di Verona<br />
Via Santa Chiara, 7/B - 37129 Verona<br />
Cell. 328 2263682<br />
verona.fita@gmail.com<br />
Comitato di Vicenza<br />
Stradella delle Barche, 7/a - 36100 Vicenza<br />
Tel. 0444 323837<br />
fitavicenza@libero.it<br />
I «numeri» di Fita Veneto<br />
Conta al proprio interno:<br />
- 1 Comitato regionale<br />
- 6 Comitati Provinciali<br />
- 242 compagnie<br />
- 5000 soci<br />
Organizza il Festival Nazionale Maschera d’Oro<br />
Partecipa all’organizzazione del Premio Faber Teatro<br />
Promuove direttamente o tramite le compagnie associate<br />
più di un centinaio di manifestazioni annue<br />
Le compagnie associate effettuano più di 5.000 spettacoli<br />
annui, molti dei quali rivolti al mondo della scuola, alla<br />
solidarietà e in luoghi dove solitamente è esclusa l’attività<br />
professionistica<br />
Coinvolge più di 1.600.000 spettatori<br />
Per gli studenti delle scuole superiori organizza il concorso<br />
di critica “La Scuola e il Teatro” e il premio per laboratori<br />
teatrali “Teatro dalla Scuola”<br />
Organizza stages, seminari, incontri, corsi di formazione<br />
Pubblica il trimestrale online <strong>Fitainforma</strong> e il volume annuale<br />
Fitainscena con il repertorio delle compagnie<br />
Svolge un servizio di editoria specifica teatrale e gestisce<br />
una biblioteca di testi e una videoteca<br />
Gestisce il sito internet www.fitaveneto.org<br />
e una pagina Facebook<br />
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