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Zibaldone. Estudios Italianos, vol. V, issue 1 (enero 2017) - ISSN: 2255-3576 Massimo Gezzi (poesía) pp. 285-299 298] la schiena incurvata, capelli e barba irti e spettinati, labbra forti. Lo sguardo smarrito in una beffa implacabile, tanto che tra mille lo riconoscereste. * Maledirono il loro matrimonio, i miei cari, per la miseria che soffrirono davanti ai loro figli. Io li benedico in eterno, però, sempre grato alla loro ingenuità e ai loro sbagli. E se a volte ne sento il peso e l’angoscia è perché furono la causa della loro solitudine. * (Volevano la mia felicità, e per questo mi educarono all’ignoranza e alla disonestà). * Provai subito sdegno del pantano natale. Me ne andavo nei paesi limitrofi, lontano dalle mura. Mi davano piacere i disagi che incontravo. * Dai conti Bulgarini-Buonaccorsi le donne del posto mi prendevano in giro: si burlavano di me, dei miei occhi sfuggenti. Una sera mi chiesero che facesse la mamma. «Gioca a bocce», risposi. Risero sguaiate. * Quando vedevo le vacche al macello, i maiali sgozzati, i topi schiacciati nella pula dei solai scoppiavo in lacrime. Un giorno liberai due colombe ingabbiate. «Vivrai bene in questo mondo», mi derise un cugino, «caro il mio piccolo filosofo d’accatto...».
Zibaldone. Estudios Italianos, vol. V, issue 1 (enero 2017) - ISSN: 2255-3576 Massimo Gezzi (poesía) pp. 285-299 299] XI. Dopo Non resta molto, ormai, da raccontare. Per l’ultima volta, a Senigallia, rividi mia madre: era sorda, minuta, gli occhi fuori dalle orbite. Fu un colloquio senza voci, uno sperpero di gesti ripetuti a memoria, gesti sacri. Le scrissi il mio amore, le lasciai il saluto silenzioso che sapevamo tutti e due essere l’ultimo, l’impossibile. * «Ecco quello che si alza sempre presto, con i gufi!». Mi accolsero così, i miei compaesani, dopo anni di ingiustizie e di carceri. «Io sorgo con il sole, di cui sono emanazione. Sorgo con quel sole che per voi non esiste». Poi via, una volta ancora, tra Roma e Firenze, i manoscritti sottobraccio, la speranza sotto le suole. * Ho finito la carta, in questa cella del manicomio. Concludo la mia storia, fratello mio che non mi ascolti, che mi hai fatto una colpa della miseria che mi perseguita. Un giorno queste righe saranno lette da qualcuno, e qualcuno, insieme a me, darà loro una voce. Sarà un giorno di pioggia o di luce, poco importa: il seme dell’anarchia barbicherà nella repubblica, i gesti degli uomini torneranno sinceri. Andate, parole, calmate le mie angosce. Evadete dalle carceri, ribellatevi a chi vi arresta, lasciatemi l’illusione che qualcuno saprà veramente chi siamo, se io sono Antonelli e voi tutti siete me.
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Massimo Gezzi (poesía) pp. 285-299<br />
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la schiena incurvata, capelli e barba<br />
irti e spettinati, labbra forti.<br />
Lo sguardo smarrito in una beffa<br />
implacabile, tanto che tra mille<br />
lo riconoscereste.<br />
*<br />
Maledirono il loro matrimonio,<br />
i miei cari, per la miseria che soffrirono<br />
davanti ai loro figli.<br />
Io li benedico in eterno, però,<br />
sempre grato alla loro ingenuità<br />
e ai loro sbagli. E se a volte ne sento<br />
il peso e l’angoscia è perché furono<br />
la causa della loro solitudine.<br />
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(Volevano la mia felicità, e per questo<br />
mi educarono all’ignoranza<br />
e alla disonestà).<br />
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Provai subito sdegno del pantano<br />
natale. Me ne andavo nei paesi<br />
limitrofi, lontano dalle mura.<br />
Mi davano piacere i disagi che incontravo.<br />
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Dai conti Bulgarini-Buonaccorsi<br />
le donne del posto mi prendevano<br />
in giro: si burlavano di me,<br />
dei miei occhi sfuggenti.<br />
Una sera mi chiesero che facesse<br />
la mamma. «Gioca a bocce», risposi.<br />
Risero sguaiate.<br />
*<br />
Quando vedevo<br />
le vacche al macello, i maiali sgozzati,<br />
i topi schiacciati nella pula<br />
dei solai scoppiavo in lacrime.<br />
Un giorno liberai due colombe<br />
ingabbiate. «Vivrai bene in questo mondo»,<br />
mi derise un cugino, «caro il mio piccolo<br />
filosofo d’accatto...».