Maurizio ferrarotti torino è la mia città 2011

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17.01.2013 Views

GRAZIE CHE HO BEVUTO! Fin dall’antichità l’uomo si è trovato a creare ruoli mistici e separati per l’atto del bere: benché spesso celebrato entro il generico rito di un pasto, esso rimane sempre appartato in un rituale a sé. Gli antichi Sumeri, ad esempio, si mantenevano a rispettosa distanza dalle loro bevande mediante lunghe cannucce di paglia. Il fatto che le cannucce permettessero a coloro i quali partecipavano al rituale di bere da un unico contenitore consentì l’affermazione di un evento comunitario. Uno poteva condividere un senso di profondo cameratismo con gli altri bevitori membri del suo gruppo di coppa. Quest’antico costume è ancora parte intrinseca dell’attività sociale di molte tribù africane odierne; in Occidente è stato ripristinato per i nuovi cerimoniali della sbronza collettiva. La paglia è stata sostituita dalla meno esotica plastica e i sempre più arzigogolati beveroni non hanno bisogno di essere passati al setaccio, ma di un fegato in lega di titanio! Da lì al brindisi il passo è breve. L’atto di offrire simbolicamente una bevanda a una divinità fu senz’altro una parte indispensabile delle offerte di preghiera e feste religiose fin dall’alba della storia in ambo le comunità pagane e giudaico-cristiane. In questo senso il moderno cincin può essere considerato come una derivazione dell’Eucarestia! In qualsiasi modo vi sono stati molti misteri associabili al consumo di pane e vino fra tutte le comunità religiose, inclusi i Nativi Americani. Anche i seguaci del Dalai Lama in Tibet celebrano in stile eucaristico. Gli Egizi festeggiavano ogni anno la resurrezione di Osiride consumando pane in forma di torta sacra od ostia dopo che era stato benedetto da un sacerdote e così divenuto carne della carne del dio; poi s’inzuppava il pane nel vino e si comunicava al fedele di aver mangiato il corpo e il sangue di Osiride. La lista potrebbe continuare per un bel pezzo. Nell’antica Grecia il brindisi tra due persone era chiamato proposis, “la bibita prima”. Colui che proponeva il brindisi dapprima sorseggiava, poi dava il recipiente che conteneva il resto del vino alla persona onorata; in occasioni di particolare rilevanza la tazza stessa era un regalo permanente al ricevitore. A uno sposalizio, per citare un caso, una coppa dorata piena di vino sarebbe passata in questa maniera da suocero a genero. La coppa diveniva un simbolo della sposa, “accompagnata all’altare” (com’è ancora in uso dire) da suo padre; i due uomini, le due famiglie erano ora una cosa sola nel vino condiviso. Notevolmente più a nord e avanti lungo la linea temporale, nelle notti di luna piena, i sacerdoti guerrieri di Odino offrivano brindisi al proprio dio nell’ambito di riti da connotati proto-heavy metal: niente vetro finemente lavorato, solo metallo grezzo, cuoio e sangue. Più tardi essi svilupparono la pratica di usare il teschio di un nemico caduto come coppa d’offerta sacrificale, e alcuni studiosi sostengono che quest’uso diede origine al ben noto brindisi scandinavo “Skoal!”. Indubbiamente questa parola e skull (“teschio”) sono etimologicamente correlate, significando entrambe “una cosa cava”. È anche interessante notare che mentre il brindisi non è mai stato una tradizione molto forte nei paesi dell’area mediterranea fin dalla nascita del Cristianesimo, gli sono stati attribuiti termini germanici in francese, italiano e spagnolo. La forma teutonica del costume di brindare sembra essere stata reintrodotta in quei paesi in qualche periodo durante il sedicesimo secolo. Come risultato in italiano e spagnolo “brindare” si dice rispettivamente “brindare” e “brindar”, dal tedesco “ich bring dir’s”, un brindisi che significa “io lo porto a te”. Nella lingua francese la parola “trinquer” viene dal tedesco “trinken”, ossia “bere”. In lingua inglese “fare un brindisi” si dice to drink a toast. Questo modo di dire viene dalla pratica britannica di mettere a galleggiare sulla bevanda un pezzetto di pane tostato addolcito o 20

aromatizzato. Un’usanza antica, derivante anch’essa dalla tradizione degli eventi religiosi eucaristici della storia: dopo che tutti gli ospiti avevano diviso la coppa, si attendeva che il padrone di casa ne sorbisse le ultime gocce in onore dei commensali e della devozione alla propria deità. NOW COPY, PASTE AND GOOGLETRANSLATE ALL THIS, MUTHA! Figura 11. Grazie che ho bevuto! Thank you for drinking! 21

GRAZIE CHE HO BEVUTO!<br />

Fin dall’antichità l’uomo si <strong>è</strong> trovato a creare ruoli mistici e separati per l’atto del bere: benché<br />

spesso celebrato entro il generico rito di un pasto, esso rimane sempre appartato in un rituale a sé.<br />

Gli antichi Sumeri, ad esempio, si mantenevano a rispettosa distanza dalle loro bevande mediante<br />

lunghe cannucce di paglia. Il fatto che le cannucce permettessero a coloro i quali partecipavano al<br />

rituale di bere da un unico contenitore consentì l’affermazione di un evento comunitario. Uno<br />

poteva condividere un senso di profondo cameratismo con gli altri bevitori membri del suo gruppo<br />

di coppa. Quest’antico costume <strong>è</strong> ancora parte intrinseca dell’attività sociale di molte tribù africane<br />

odierne; in Occidente <strong>è</strong> stato ripristinato per i nuovi cerimoniali del<strong>la</strong> sbronza collettiva. La paglia <strong>è</strong><br />

stata sostituita dal<strong>la</strong> meno esotica p<strong>la</strong>stica e i sempre più arzigogo<strong>la</strong>ti beveroni non hanno bisogno<br />

di essere passati al setaccio, ma di un fegato in lega di titanio!<br />

Da lì al brindisi il passo <strong>è</strong> breve. L’atto di offrire simbolicamente una bevanda a una divinità fu<br />

senz’altro una parte indispensabile delle offerte di preghiera e feste religiose fin dall’alba del<strong>la</strong><br />

storia in ambo le comunità pagane e giudaico-cristiane. In questo senso il moderno cincin può<br />

essere considerato come una derivazione dell’Eucarestia! In qualsiasi modo vi sono stati molti<br />

misteri associabili al consumo di pane e vino fra tutte le comunità religiose, inclusi i Nativi<br />

Americani. Anche i seguaci del Da<strong>la</strong>i Lama in Tibet celebrano in stile eucaristico. Gli Egizi<br />

festeggiavano ogni anno <strong>la</strong> resurrezione di Osiride consumando pane in forma di torta sacra od ostia<br />

dopo che era stato benedetto da un sacerdote e così divenuto carne del<strong>la</strong> carne del dio; poi<br />

s’inzuppava il pane nel vino e si comunicava al fedele di aver mangiato il corpo e il sangue di<br />

Osiride. La lista potrebbe continuare per un bel pezzo.<br />

Nell’antica Grecia il brindisi tra due persone era chiamato proposis, “<strong>la</strong> bibita prima”. Colui che<br />

proponeva il brindisi dapprima sorseggiava, poi dava il recipiente che conteneva il resto del vino<br />

al<strong>la</strong> persona onorata; in occasioni di partico<strong>la</strong>re rilevanza <strong>la</strong> tazza stessa era un regalo permanente al<br />

ricevitore. A uno sposalizio, per citare un caso, una coppa dorata piena di vino sarebbe passata in<br />

questa maniera da suocero a genero. La coppa diveniva un simbolo del<strong>la</strong> sposa, “accompagnata<br />

all’altare” (com’<strong>è</strong> ancora in uso dire) da suo padre; i due uomini, le due famiglie erano ora una cosa<br />

so<strong>la</strong> nel vino condiviso.<br />

Notevolmente più a nord e avanti lungo <strong>la</strong> linea temporale, nelle notti di luna piena, i sacerdoti<br />

guerrieri di Odino offrivano brindisi al proprio dio nell’ambito di riti da connotati proto-heavy<br />

metal: niente vetro finemente <strong>la</strong>vorato, solo metallo grezzo, cuoio e sangue. Più tardi essi<br />

svilupparono <strong>la</strong> pratica di usare il teschio di un nemico caduto come coppa d’offerta sacrificale, e<br />

alcuni studiosi sostengono che quest’uso diede origine al ben noto brindisi scandinavo “Skoal!”.<br />

Indubbiamente questa paro<strong>la</strong> e skull (“teschio”) sono etimologicamente corre<strong>la</strong>te, significando<br />

entrambe “una cosa cava”. È anche interessante notare che mentre il brindisi non <strong>è</strong> mai stato una<br />

tradizione molto forte nei paesi dell’area mediterranea fin dal<strong>la</strong> nascita del Cristianesimo, gli sono<br />

stati attribuiti termini germanici in francese, italiano e spagnolo. La forma teutonica del costume di<br />

brindare sembra essere stata reintrodotta in quei paesi in qualche periodo durante il sedicesimo<br />

secolo. Come risultato in italiano e spagnolo “brindare” si dice rispettivamente “brindare” e<br />

“brindar”, dal tedesco “ich bring dir’s”, un brindisi che significa “io lo porto a te”. Nel<strong>la</strong> lingua<br />

francese <strong>la</strong> paro<strong>la</strong> “trinquer” viene dal tedesco “trinken”, ossia “bere”.<br />

In lingua inglese “fare un brindisi” si dice to drink a toast. Questo modo di dire viene dal<strong>la</strong> pratica<br />

britannica di mettere a galleggiare sul<strong>la</strong> bevanda un pezzetto di pane tostato addolcito o<br />

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