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DOSSIER

Redattore Eleonora Bobbià

Illustrazione Yasmeen Dello Buono

Libertà di mercato o sicurezza sanitaria?

Alain Schneider, operatore del settore sanitario per 40 anni,

racconta come durante il suo periodo di servizio, durante

la prima ondata di Covid-19 - avvenuta nel marzo 2020 - ,

abbia dovuto lavorare circa due giorni senza mascherina.

ll'età di 18 anni, Alain Schneider ha cominciato

à lavorare come assisstente di

A

cura per poi progredire divenendo dirigento

del settore geriatria dell suo ospedale, sino

a ricoprire come ultima carica capo infermiere

presso una struttura EMS. Tra le due

mansioni vi era anche quella di ordinare materiale

sanitario per il settore.

La penuria di mascherine igieniche

Alain Schneider racconta che la prima ondata

di Covid-19 è stata molto ardua, a causa

dei cambiamenti nelle procedure operazionali

e della penuria di materiale sanitario, in

particolare delle mascherine igieniche: “Le

maschere erano utilizzate solo per le cure,

una volta effettuata la cura con il paziente la

mascherina doveva esser gettata. Indossarla

per più di due ore o tenerla per due pazienti

è considerato un errore professionale”.

Agli inizi della pandemia le informazioni

sulla natura del virus Covid-19 erano esigue,

generando delle comunicazioni mediatiche

volatili. L’incertezza ha alimentato ansia nella

popolazione, come espone Alain Schneider:

“Quando la pandemia è iniziata, ricordo

che avevamo circa 400 mascherine, la metà

è stata rubata dal personale. Ci siamo trovati

così con 200 mascherine per una ventina

di infermieri al giorno, più 15 persone nel

reparto amministrativo, lavorare più di una

settimana non era quindi immaginabile.”

La prima ondata ha colpito duramente la

Svizzera. A febbraio 2020 l’ufficio federale

della sanità pubblica ha registrato un Re -

tasso di riproduzione, il quale indica la media

di persone che viene contagiata da una

persona infetta - di 4.42, per poi restare tra il

valore di 1 e 3 durante marzo. “Vi era molta

incertezza sulla serietà del virus, e la sua serietà

è stata chiara una settimana prima del

lockdown. In quarant'anni di servizio sanitario

non ho mai visto una cosa del genere,

così contagiosa: le persone non morivano

ma cadevano come mosche, avevano difficoltà

respiratorie impressionanti e febbre

molto alta. Era una situazione eccezionale:

era come una situazione di guerra, ogni aiuto

era necessario ” racconta Alain Schneider.

Quando la prima ondata ha colpito la Svizzera,

le mascherine non erano già più reperibili

spiega Alain Schneider. Questa penuria ha

obbligato il personale a lavorare due giorni

circa senza mascherina. Come conseguenza

alla forte domanda e alla scarsa offerta, il

prezzo delle mascherine è aumentato esponenzialmente,

da 5.- CHF sino a 60.-CHF

la scatola. La direzione EMS ha rifiutato di

scendere a ricatto e ha invitato il personale

a trovare altre soluzioni. Successivamente le

mascherine sono state distribuite dal cantone:

due pacchi di mascherine da cinquanta

l’una, un numero insufficiente per una trentina

di operatori sanitari al giorno.

Successivamente l’EMS è stato fornito dal

corpo militare svizzero, con trenta pacchi di

mascherine igieniche per il reparto geriatria,

ma una buona parte di questo era costituito

da mascherine scadute e quindi non più

idonee ad esser utilizzate. In seguito, altre

soluzioni sono state trovate grazie alla collaborazione

con dei farmacisti.

Le cause della penuria

Il problema della disponibilità trova causa

nello stock insufficiente degli ospedali e dei

cantoni e nelle esportazioni avvenute nel

primo trimestre del 2020.

Lo stock di mascherine è risultato insufficiente,

perché al momento dell’elaborazione

del budget se ne comanda una quantità sulla

norma di utilizzo, non solo per via dell’oneroso

costo di stoccaggio bensì anche per

l’impatto ambientale. Alain Schneider spiega

come le mascherine siano dei beni deperibili

e se non utilizzati entro due anni devono

essere gettate: “Come quando un medicamento

è scaduto e non lo si assume, così una

mascherina quando è scaduta va gettata, un

professionista sanitario non deve utilizzarla.

Un grande spreco si è così verificato in

seguito allo stoccaggio eccessivo effettuato

durante l’influenza aviaria”. Quando è stata

annunciata nel 2009 l’influenza H1N1 - nota

come influenza aviaria - dalla Cina, diversi

enti hanno riempito il loro stock di materiale

sanitario per far fronte alla situazione. Tuttavia,

questo materiale non è stato completamente

utilizzato, perché l’influenza è stata

contenuta rapidamente, generando di conseguenza

una grande mole di rifiuti dati dal

materiale scaduto, racconta Alain Schneider.

Ciò che fa arricciare il naso a Alain Schneider

è la mancanza di legislatura - in seguito

regolamentata nell’aprile 2020 - per le

esportazioni avvenute in Svizzera nel primo

trimestre così come la mancanza di autosufficienza

del paese. A gennaio 2020, difatti,

molti intermediari hanno comprato le mascherine

per poi rivenderle al miglior offerente:

la Guinea Equatoriale ha, ad esempio,

acquisito delle mascherine svizzere per 528

fr./kg, come pubblica il quotidiano Le Matin

Dimanche.

Il primo problema, come sottolinea l’infermiere

Alain Schneider, non era tanto il prezzo

quanto la disponibilità di mascheri

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