TRAKS MAGAZINE 037
Matteo Carmignani in copertina della nuova edizione di TRAKS MAGAZINE, per parlare del suo disco d'esordio, "Le curve del buio". E all'interno: GiusiPre, Leo Badiali, Celeste Caramanna, Lonesome Heroes. Leggi subito!
Matteo Carmignani in copertina della nuova edizione di TRAKS MAGAZINE, per parlare del suo disco d'esordio, "Le curve del buio". E all'interno: GiusiPre, Leo Badiali, Celeste Caramanna, Lonesome Heroes. Leggi subito!
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MAGAZINE
Numero 37 - ottobre 2020
MATTEO CARMIGNANI
GIUSIPRE
CELESTE CARAMANNA
LEO BADIALI
LONESOME HEROES
sommario
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12
16
20
24
Matteo Carmignani
GiusiPre
Leo Badiali
Celeste Caramanna
Lonesome Heroes
Questa non è una testata giornalistica poiché viene aggiornata
senza alcuna periodicità. Non può pertanto
considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge
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MATTEO CARMIGNANI
“Le curve del buio” è il disco d’esordio del cantautore, toscano di origine,
capace di infondere un po’ di energia 90s in testi autorali
Hai scelto una data con molte X
per la tua prima uscita ufficiale...
Si potrebbe pensare, algebricamente,
anche a molte incognite...
Diciamo che in un periodo storico
come questo le incognite per
quanto riguarda il settore musica,
spettacolo e cultura in generale,
ci sono indipendentemente dal
gioco grafico delle X, ma la scelta
del giorno è avvenuta in coerenza
con la data palindroma che avevo
pensato come prima uscita, lo
02022020. Mi piaceva trovare una
data che potesse restare in testa e
il 20.10.20, o meglio XX.X.XX mi
piaceva. Le incognite poi, giochi
di numeri e cifre a parte, ci sono
sempre quando ti esponi e proponi
qualcosa di tuo.
Sei un esordiente un po’ atipico.
Ci racconti che cos’hai fatto finora?
Inizio il mio percorso nella musi-
ca come cantante chitarrista negli
anni Novanta con gli Alkimia,
una rock band dalle influenze new
wave della provincia fiorentina,
e che fin dagli esordi ha sempre
proposto musica originale in italiano,
e nella quale scrivevo sia
testi che melodie. La band rimane
attiva fino alla fine degli anni Novanta,
quando poi cambia nome
e direzione musicale diventando
Oronero. In quegli anni abbiamo
avuto una intensa attività live, era
bellissimo e suonavamo le nostre
canzoni ovunque, su tanti palchi
di tutta la Toscana e spesso anche
fuori regione. Questo ci ha
permesso di essere tra le tracce
di diverse compilation della scena
indipendente italiana di allora,
quando la parola “indipendente”
aveva un significato decisamente
diverso da oggi. Era un momento
bellissimo per la musica, in quel
periodo poi abbiamo preso parte
a numerosi concorsi musicali nazionali
e siamo entrati in contatto
con le maggiori major discografiche
del Paese. Per lavoro poi mi
trasferisco a vivere a New York
dove resto per circa nove anni.
Parallelamente al mio lavoro in
architettura e nell’industria delle
costruzioni, mi dedico a un progetto
di musica elettronica che si
concretizza in Diamonds, il primo
CD di Fishdump, nome d’arte per
questo progetto solista nel quale
suono, compongo, e edito l’intera
tracklist di brani cantati e strumentali
tra ambient e trip hop. Il
progetto lo avevo iniziato a Firenze
e poi l’ho completato e mixato
a Brooklyn, ma a oggi non è stato
ancora pubblicato. Ho ricominciato
a scrivere per la musica nel
2017 quando ho risentito il bisogno
di tornare a scrivere canzoni
ed è da quel momento che ho iniziato
a gettare le basi per questo
disco.
Spiegaci il titolo dell’album, Le
curve del buio
Le curve del buio è un viaggio interiore
che racconta l’introspezione
dell’anima. Pur cercando di
tenerci tutto dentro e nascosto,
ho capito che arriva prima o poi
il momento in cui dobbiamo confrontarci
con noi stessi e metterci
in gioco. Il percorso necessario
per raggiungere quel luogo den-
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tro di noi che spesso preferiamo
evitare per non trovarci ancora di
fronte al nostro passato e a tutto
ciò che di irrisolto ci portiamo
dentro. Ogni canzone è una tappa
di questo viaggio, del mio viaggio,
un cammino musicale che attraversa
tutti i nostri stati emotivi
facendoci rivivere le relazioni e
gli eventi che nel vivere ci hanno
segnato. Sono canzoni che raccontano
storie incompiute, della nostra
immobilità o indecisione per
scelte che non sempre abbiamo
saputo fare, di amori che abbiamo
vissuto e rapporti che forse abbiamo
chiuso male o troppo in fretta.
Tutto questo ci ha lasciato addosso
tagli ancora vivi da dove emergono
le nostre debolezze e le me-
morie che ci rincorrono sempre.
Lo considero un concept album
perché le canzoni sono legate l’una
all’altra come le curve di una
discesa senza fine, portandoci di
nuovo a scontrarci con tutti quei
quesiti lasciati senza risposta. In
questo buio interiore vaghiamo
alla ricerca di una luce che sia da
guida per smettere di vivere seguendo
credenze e le illusioni
che ci hanno spesso condizionato.
Non è un disco semplice per i
contenuti, ma di sicuro rispecchia
i miei stati d’animo e il mio bisogno
di continuare a crescere guardandomi
dentro.
Si direbbe che tu abbia scelto
suoni e parole dell’album un
po’ allo stesso modo: con molta
cura, quasi soppesandole una
per una. Qual è stato il tuo metodo
di lavoro?
Quando scrivo uso quasi esclusivamente
la chitarra e lavoro su
voce e testo insieme. Non ho mai
scisso le due fasi all’inizio, sono
sempre andate di pari passo e solo
successivamente lavoro su entrambe
in maniera distinta. Voce,
parola e melodia costituiscono la
base sopra la quale immagino il
mondo musicale che definisce il
brano. Da qui, infatti, inizia il lavoro
più complesso, la ricerca e
la definizione degli spazi musicali.
Le strutture delle canzoni variano
perché non seguo schemi,
ho diversi brani senza un vero e
proprio ritornello o con ritornelli
che ripetono la parte melodica
ma cambiano le parole. Per questo
disco il lavoro è stato estremamente
lungo e pensato, anche
perché all’inizio il progetto era
nato con l’idea di registrare un ep,
poi invece ho continuato a scrivere,
trovando coerenza tra i brani e
un filo conduttore che li legava e
questo ha iniziato a convincermi
che fosse un progetto che potesse
completarsi come un disco. Il
lavoro fatto in preproduzione sia
sui testi che sulla atmosfera e sul
mondo musicale, sulle melodie,
la scelta degli strumenti e delle
orchestrazioni è poi continuato
prendendo forma in studio, con
i musicisti che hanno dimostrato
una disponibilità e sensibilità eccezionali
sposando appieno l’idea
sonora del progetto.
Come si sono sedimentate le
canzoni nell’album? Tutte insieme
oppure una per volta, nel
corso del tempo?
E’ avvenuto tutto lentamente... La
musica e lo scrivere per la musica
hanno sempre fatto parte della
mia vita, e dopo una lunga pausa
ho sentito il bisogno di ricominciare
a farlo, stimolato forse dal
fatto che in quel periodo stavo
lavorando alla scrittura del mio
primo romanzo, Il momento di
partire. È stata una sorpresa, dopo
tanti anni mi sentivo fresco, distante
dalle influenze del mio passato
musicale. L’ho preso come
un segno di maturità, di crescita.
Dopo un po’ di giorni preso a girare
intorno a parole e musica,
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sono tornato in studio e la prima
sera ho sentito che si era riaccesa
la fiamma... Nel primo mese ho
scritto tre pezzi e nei giorni successivi
ho continuato a buttare giù
idee per altri... Ho fatto tutto voce
e chitarra ma quello che scrivevo e
suonavo lo pensavo già con un vestito
sonoro e ritmico ben definito,
lontano dai riferimenti musicali
a cui ero legato con la mia band.
Riascoltando i brani a distanza di
tempo, anche solo voce e chitarra,
mi sono reso conto che erano tutti
legati da un filo che li teneva tutti
insieme, sia nella scrittura che nei
temi e nelle soluzioni sonore che
immaginavo e di cui ne descrivevo
gli aspetti, e da qui ha preso
forma il disco.
Vorrei sapere qualcosa di più anche
del video che accompagna
l’uscita dell’album, Il posto al
sole
Il video è nato insieme al regista,
Geremia Vinattieri e all’attrice Roberta
Mattei. Roberta Mattei era
la donna che ho sempre pensato
perfetta per il video. Ci siamo dati
appuntamento in studio a Prato
durante le registrazioni e lei è
venuta a trovarmi per ascoltare i
brani del disco ed è rimasta entusiasta
del progetto. Geremia Vinattieri
l’ho conosciuto in studio
quasi alla fine delle registrazioni
e abbiamo deciso di collaborare
insieme sullo storyboard e sulle
location. Gran parte del video è
stato girato a gennaio 2020 prima
delle chiusure legate al Covid
sul Delta del Po, tra Scardovari
e Porto Tolle, mentre gli interni
sono stati girati a Padova e a Dolo,
nell’Osteria dei Molini, dentro ai
Mulini del ‘500. Hanno collaborato
anche Francesco Giacomel
Direttore della Fotografia, Matteo
Basei Operatore Drone, Moreno
Dorigo (Griff Parrucchieri, Dolo)
Trucco a Acconciatura, Marco
Rostellato e Francesco Furlanetto
fotografi di scena.
Immagino che anche per te la situazione
live sia del tutto aleatoria.
Hai in programma qualcosa,
di più o meno certo?
No, sono in standby come tutti gli
altri artisti. Spero si riesca a far
ripartire tutto il movimento cultura
e spettacolo quanto prima, è un
settore in difficoltà sia per gli artisti
che per tutti i professionisti che
muovono questa macchina bellissima.
La manifestazione di “Bauli
in Piazza” fatta a Milano ha mostrato
ancora una volta, se ce ne
fosse stato bisogno, che le migliaia
di persone di questa industria soffrono
per le non decisioni delle
autorità competenti. Si meritano
la solidarietà e il supporto di tutti,
l’arte ha bisogno di loro e il mondo
ha bisogno dell’arte, di tutte le
arti.
Che cosa succede adesso? Quali
sono i tuoi programmi seguenti
l’uscita dell’album?
Sto completando l’artwork delle
copertine del cd e del vinile e
iniziando a lavorare a un video
per il secondo estratto dell’album,
aspettando che la situazione live si
evolva. I supporti fisici usciranno
tra pochi mesi, devo ancora decidere
quando, ma presto. Sono positivo,
ho sempre cercato di vivere
seguendo le mie passioni, non
quelle che impari ad apprezzare
crescendo, ma quelle che sono venute
a cercarti quando sei nato, e
che ti sono sempre restate dentro,
come la voglia di scrivere e di legare
musica e melodia alle parole.
Quindi continuerò a scrivere
canzoni con l’idea di registrare un
nuovo disco, magari a fine 2021…
Vediamo cosa succederà.
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GIUSIPRE
“Canzoni indigeste” è un viaggio musicale caleidoscopico
che va dal punk al post-punk, dal
trip hop anni ’90 al pop contemporaneo
Ciao, ci puoi raccontare chi è
GiusiPre?
Un’idealista e una innamorata
persa della vita con tutto
ciò che comporta. Nella mia
musica cerco l’equilibrio tra
l’amarezza, l’ironia e la tenerezza
che scaturisce dalle cose
belle e gentili. Cerco storie
che mi meravigliano, cadenzandole
con ritmi che io per prima amo
ballare.
Nel tuo ep si inseguono influenze
sonore di varia natura. Quali
sono state le tue fonti di ispirazione
nel periodo?
Senz’altro l’influenza della musica
ascoltata da bambina, con tutto
ciò che ha rappresentato nel mio
immaginario e che affonda le radici
negli ’80 (Battiato, Nannini,
Madonna, Blondie e molti, moltissimi
altri). A queste influenze
poi si sono sovrapposte le scoperte
cantautorali e l’ascolto di tanta
musica rock, punk, incrociando
qua e là influenze elettroniche.
Venendo ai testi, ci sono riferimenti
filosofici importanti ma
anche un po’ di ironia. Qual è il
tuo metodo di scrittura?
Mi piace improvvisare, non so
mai se verrà prima la musica o
il testo. Di solito l’idea mi muove
e suggerisce la costruzione del
brano. Dipende anche dal mio
umore, banalmente ispirato da
circostanze e fatti che accadono.
È difficile mantenere un distacco
emotivo in musica, tutto il contrario
di quanto avviene nella riflessione
filosofica.
Quali sono i musicisti contemporanei
che ti influenzano di
più?
Ascoltando molta musica di generi
diversi, mi viene difficile riassumere.
Di certo ultimamente mi sta
facendo molta compagnia Neko
Case, che apprezzo non solo per la
sua musica, così semplice e lineare,
ma anche per la scrittura dei
testi che sorprendono sempre ad
ogni ascolto. Mi piacciono moltissimo
anche Bat for lashes, Wilco,
Loma, Black honey e Ron Gallo
per dirtene solo alcuni sempre sul
piano internazionali. In italiano
seguo con molta attenzione l’indie
emergente, anche e soprattutto
per rimanere costantemente aggiornata.
Che cosa vedi nel tuo futuro
prossimo di musicista?
Tantissime nuove canzoni, con la
promessa di spaziare e scoprire
stili diversi, sperimentando il più
possibile. E naturalmente qualche
live come si deve: mi auguro al più
presto possa esserci la possibilità
di fare ascoltare live i miei pezzi.
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LEO BADIALI
“E’ successo ancora” è il nuovo singolo e video del cantautore originario
della Versilia, proveniente da una famiglia molto “musicale”
Hai 19 anni ma hai già tante
esperienze importanti alle spalle.
Ci racconti qualcosa del tuo
percorso fin qui?
Mi sono avvicinato alla musica
grazie a mio padre, cantautore, e
a mio fratello, percussionista. Ho
iniziato a suonare la batteria molto
presto e già in prima superiore
facevo parte di alcuni gruppi,
con i quali mi esibivo nei locali.
Successivamente ho fatto molte
esperienze nuove e importanti,
come Umbria Jazz Clinics, dove
ho avuto l’onore e il piacere di vincere
anche la borsa di studio per
l’Accademia Berklee di Boston. Il
mio percorso mi ha portato infine
a volermi cimentare nella scrittura
delle canzoni e ho deciso di intraprendere
questa nuova avventura
come cantautore.
Come nasce “È successo ancora”?
Ero nel letto in camera mia e ho
sentito il bisogno di scrivere qualcosa.
Mi sono alzato, ho preso la
chitarra e su un foglio di carta ho
scritto i versi di “È successo ancora”,
una canzone che parla di due
ragazzi che si rincontrano a fine
estate e tra loro rinasce l’amore.
In genere quando scrivo parlo di
me stesso e del mio vissuto, ma in
questo caso si tratta di una storia
immaginata, che è comunque filtrata
attraverso le mie esperienze
personali.
C’è molto mare (e molti girasoli)
nel tuo video: ci racconti com’è
stato girarlo?
È stata una bellissima esperienza.
Il video è stato realizzato da Mindbox
Studio e i girasoli sono stati
immortalati vicino a Marina di
Pisa, mentre le riprese del mare
sono state fatte a Forte dei Marmi.
Nel video ci sono i luoghi a me
cari, alcuni degli scorci più suggestivi
della mia amata Toscana e
della Versilia in particolare, la terra
in cui sono nato e cresciuto.
Chi sono i tuoi punti di riferimento
musicali?
Nascendo come batterista ho al-
cuni punti di riferimento che reputo
fondamentali. Tra questi ci
sono i TOTO, con il grandissimo
Jeff Porcaro, e poi Steve Gadd, che
è un altro batterista straordinario.
Tra i cantautori che mi hanno
maggiormente influenzato ci sono
invece Vasco Rossi, Rino Gaetano
e Ivan Graziani, ma anche artisti
del panorama attuale come Coez,
Frah Quintale e Motta.
E ora che succede? Quali saranno
i tuoi prossimi passi?
Ci saranno delle belle sorprese.
C’è un album in preparazione e
nuovi brani che non vedo l’ora di
farvi ascoltare. Sono davvero felice
di portare avanti questo progetto
e ringrazio tutti quelli che
mi stanno supportando.
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CELESTE
CARAMANNA
Italiana ma residente a Londra e con un certo fascino per il Sudamerica, ci
spiega il suo cannibalismo culturale e il progetto “Antropofagico”
Ciao, ci racconti chi è Celeste
Caramanna?
Sono una ragazza che ha una voglia
immensa di cantare, che vuole
trasmettere sentimenti alle persone…
ho piacere nel creare una
melodia, nello scrivere qualcosa
che per me ha senso e che può
aver senso anche per altre persone….
Penso che questa mia passione
è anche un mio modo di
esprimere tutto quello che sono,
non riuscirei mai a parlare di me
stessa come quanto riesco ad essere
io dentro ogni cosa che canto.
Hai articolato il tuo progetto su
tre ep (anziché su un disco “tradizionale”):
ci spieghi perché?
L’idea del trittico “Antropofagico”
nasce per creare un percorso, per
dare un senso a quello che succede
in questa strada dove io protagonizzo
le mie proprie esperienze,
direzioni e destinazioni, e per raccontare
in tappe queste influenze,
quali sono, e che cosa hanno creato
dentro di me. Ma non finisce
in questi tre ep perché il progetto
Antropofagico si concluderà con la
pubblicazione dell’album fisico in
cd e in vinile, che conterrà qualche
traccia in più ad aprile/maggio.
Già che ci siamo, ci racconti
qualcosa del titolo “cannibale”?
“Antropofagico” è un termine
antico che descrive perfettamente
la mia attitudine verso la musica.
Sin dal primo momento in
cui mi sono avvicinata al mondo
della musica brasiliana, il concetto
dell’Antropofagia mi ha sempre
affascinata. È stato usato nel
movimento modernista degli
anni venti in Brasile, con Tarsila
Do Amaral, Oswald de Andrade,
Mário de Andrade, Heitor Villa
Lobos, e dopo è stato ripreso anche
nel movimento Tropicalista
negli anni sessanta. Una semplice
parola formata da Anthropos e
Fagei che nelle popolazioni indigene
aveva il significato di cannibalismo.
Per loro divorare il nemico
significava incorporare la forza
del nemico, appropriarsi di quella
forza. Con Oswald de Andrade
(poeta brasiliano e fondatore del
movimento modernista in Brasile)
nel 1928 assume un significato
molto più complesso, si basava sul
desiderio di divorare ciò che veniva
da fuori e assimilarlo… non
negare la cultura straniera ma
assorbirla, deglutirla, processarla
e mischiarla per dare origine a
quello che può diventare unico e
proprio. Portare l’esterno dentro
di noi. Come dice Oswald de Andrade
nel “Manifesto Antropofagico”
del 1928: “Só a antropofagia
nos une. Socialmente. Economicamente.
Filosoficamente.” “Solo l’antropofagia
ci unisce. Socialmente.
Economicamente. Filosoficamente.”
Io voglio prendere e deglutire
tutte le influenze e gli stili mi affascinano,
per poi buttarli fuori,
rimescolati con la mia personalità
e gusto.
Se italiana ma vivi a Londra.
Com’è l’accoglienza lì per un’artista
emigrata, visti i molteplici
problemi del periodo, Brexit e
Covid compresi?
Io vivo a Londra dal 2018 e sono
stata accolta veramente… sempre
rispettata e riconosciuta in ogni
momento in cui ho sviluppato il
mio lavoro… una grande soddisfazione…
In realtà qui sembra
che siamo tutti emigrati, anche gli
inglesi, sembra essere un territorio
e un’atmosfera pronti a condividere
e a mischiarsi… spero che la
Brexit non riesca a cambiare questo,
credo molto nella forza delle
persone che vogliono unirsi. Mi
preoccupa di più questo massacro
creato dalla pandemia, prima mi
riferiscono a quelli che ammazzano
e distruggono la salute fisica
delle persone, e poi il massacro
della paura, dell’allontanamento
e il distanziamento tra le persone,
un rischio veramente grande
di non riuscire più a recuperare
l’affetto, la spontaneità e la meraviglia
di avere le persone vicine a
te, di un grande abbraccio e di un
grande bacio da un amico.
Quali saranno i tuoi prossimi
passi? Altre trilogie in arrivo?
Continuiamo a lavorare sul lancio
di Antropofagico III fino ad aprile/
maggio, quando uscirà il trittico
Antropofagico fisico in cd e vinile
con delle tracce in più.
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LONESOME HEROES
Apprezzata dalle comunità di bikers, ma non solo, la band ha pubblicato
“On Fire”, completato nonostante il lockdown
A parte gli idoli della comunità
dei motociclisti, ci raccontate
meglio chi sono i Lonesome Heroes?
Abbiamo molti amici bikers che
fanno parte di diverse club house
ma non crediamo di essere i
loro idoli, però sicuramente la
nostra musica si sposa bene con
quel contesto... I Lonesome Heroes
sono cinque persone che hanno
indubbiamente trovato l’uno
nell’altro il compagno di avventure,
siamo prima amici che componenti
della stessa band, credo
che questo si senta nei nostri lavori
e si veda sul palco.
Ci raccontate qualcosa delle lavorazioni
del vostro nuovo album,
On Fire? E chi è quel minaccioso
cagnolino in copertina?
La lavorazione di On Fire è iniziata
a dicembre 2019 in studio, ed
ha attraversato anche i mesi del
lockdown, abbiamo fatto il possibile
e l’impossibile in quel periodo
per continuare a lavorare al disco,
ma credo questo sia un valore aggiunto
al risultato finale. Il cagnolino
è tutto meno che minaccioso,
è uno dei tanti cani del nostro chitarrista
Massimiliano, è piccolissimo
ha paura di tutto e nella foto
in realtà stava sbadigliando... però
rende perfettamente il senso del
disco... Non importa quanto sei
piccolo, importa quanto sei incazzato.
Immagino che per una band
come la vostra essere privati o
comunque limitati nei live sia un
disastro. Come la state vivendo?
Il live è la parte più bella per una
band è sempre come una festa,
è vero ci pesa non poter suonare
live ma è nulla in confronto ai
problemi che sta affrontando chi
di questo lavoro deve vivere e tutte
le persone di questo settore,
speriamo si risolva presto, tutti
hanno bisogno della musica più di
quanto si pensi.
Quali sono le band italiane che
vi piacciono di più oggi?
So che può sembrare esterofila
com è dichiarazione, ma non seguendo
molto la musica italiana
non saprei rispondere alla domanda,
ma ovviamente ci sono moltissimi
musicisti validi in Italia.
Quali sono i vostri programmi
futuri?
In attesa di nuovi live per promuovere
On Fire probabilmente
ricominceremo subito a comporre,
non ci prendiamo pause, e poi
perché prendersi una pausa da ciò
che ti rende felice?
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