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I SEGRETI DI MEISSEN

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ITALIANO<br />

I <strong>SEGRETI</strong> <strong>DI</strong> <strong>MEISSEN</strong><br />

Sintesi degli argomenti<br />

del romanzo de Josep Palomero<br />

Edicions Bromera


Uno degli enigmi più avvincenti da svelare, che perdurò lungo tutto il corso del diciottesimo<br />

secolo e interessò tutte le corti europee di allora, fu quello che riguardò il ricercare, il conoscere<br />

e il dominare i segreti della fabbricazione della pasta di porcellana —prodotto singolare e<br />

pregiatissimo che fino a quel momento proveniva esclusivamente dalla remota Cina. Il fatto di<br />

possedere un gabinetto di porcellana, diventò, durante l’Illuminismo, il massimo segno di lusso e<br />

di distinzione per tutte le famiglie della nobiltà. I re, i principi, e i grandi signori si affannarono,<br />

quindi, anche se inutilmente, ad impadronirsi della ricetta della fabbricazione di essa, del suo<br />

segreto, cercando di ottenere nelle proprie manifatture la produzione dei delicatissimi oggetti in<br />

questione.<br />

Già nell’anno 1710 un alchimista un po’ strano, di nome Johann Friedrich Bötiger, era<br />

riuscito ad ottenere —nella villa sassone di Meissen, nota come Albrechtsburg, sulla riva<br />

dell’Elba, e situata vicinissimo all’augusta città di Dresda— la prima pasta di porcellana dura di<br />

Europa. Il mecenate di questo processo fu l’Elettore Frederich August II di Sassonia, padre di<br />

Maria Amalia di Sassonia, moglie di Carlo VII di Napoli, in seguito divenuto Carlo III di Spagna.<br />

Malgrado i legami familiari, il re borbone non ebbe mai la possibilità di entrare nei segreti di<br />

Meissen e, di conseguenza, non riuscì mai ad ottenere oggettti di porcellana dura per quanto<br />

cercasse di fare del suo meglio negli opifici reali di Capodimonte, all’ombra del Vesubio, e in<br />

quello di “El Buen Retiro”, a Madrid.<br />

La produzione di porcellana, secondo lo stile-Meissen, fu possibile in altre fabbriche europee<br />

(Sèvres, Vienna, Berlino, Venezia), solo quando i tecnici di Albrechsburg furono costretti a<br />

disperdersi a causa della guerra dei Sette Anni (1756-1763), nella quale la Sassonia fu sconfitta<br />

dalla Prussia. Solo allora il Conte di Aranda si accorse della possibilità di poter prendere alle sue<br />

dipendenze un profugo di Meissen, per fabbricare porcellana nella manifattura che possedeva<br />

nella città di Alcora. Il tecnico fu il sassone Christian Knipffer. L’incontro tra il conte e l’esperto<br />

sassone ebbe luogo nel Palazzo Reale di Valenza, pochi giorni prima della festa di San Michele<br />

dell’anno 1764.<br />

Il conte di Aranda, che apparteneva ad una vecchia famiglia della grande nobiltà di Spagna,<br />

era maresciallo di campo negli eserciti reali. Aveva allora 45 anni e si trovava soltando da un<br />

anno nella città di Valenza, dove occupava la carica di Capitano Generale del Regno di Valenza<br />

e Murcia, nonché di Presidente della Reale Udienza. Egli era, probabilmente, il militare più<br />

prestigioso della Corona e, essendo strettamente vincolato alla famiglia reale, era al corrente<br />

degli insuccessi avuti nelle maniffatture reali sia di Capodimonte che di El Buen Retiro. Tra i<br />

principali problemi che dovette affrontare, bisogna accennare al suo tentativo di ottenere<br />

porcellana nella sua proprietà di Alcora, senza destare sospetti di natura politica e senza<br />

cagionarsi lo sfavore del monarca, al quale doveva rispetto ed obbedienza.<br />

Uno dei nemici mortali del Conte di Aranda era, in quel tempo, Don José Moñino y Redondo,<br />

capo del partito aragonese e leader della fazione dei burocrati “golillas”, cioè il futuro Conte di<br />

Floridablanca. Questi, ingelosito dai successi del rivale, macchinava il modo di guadagnarsi i<br />

favori del re e nello stesso tampo cercava di neutralizzare le aspirazioni del signore di Alcora. Il<br />

2


metodo adoperato per realizzare i suoi progetti fu quello di sequestrare e mettere alle sue<br />

dipendenze il tecnico Knipffer, nonché di boicottare il lavoro che costui avrebbe dovuto effettuare<br />

nella Fabbrica Grande, la quale spediva più di trecentomila pezzi ogni anno. L’incontrotra il<br />

Conte Don José e il tecnico Knipffer, che si svolse sotto l’assistenza d’un traduttore bavarese<br />

Klaus Naumann, per metà aragonese, ebbe luogo a Saragossa, proprio quando il sassone era in<br />

viaggio, attraverso il Cammino Reale,verso il Regno di Valenza.<br />

L’insucesso di Knipffer, nella produzione di procellana ad Alcora, si dovette in gran parte alla<br />

collaborazione a tradimento del Procuratore dei beni del Conte di Aranda e amministratore dei<br />

suoi poderi nell’Alcalaten, Cayetano Cabrera, sicario di Moñino e protettore a sua volta degli<br />

interessi di quest’ultimo. Agli inizi del dicembre 1769 il contratto tra il Conte di Aranda e Knipffer<br />

fu annullato, e così quest’ultimo si trovò libero di portare a termine il piano che il futuro Conte di<br />

Floridablanda aveva ordito contro il Conte di Aranda, con la tacita compiacenza del monarca. Si<br />

trattava della messa in opera di una piccola manifattura segreta, installata nella “Grotta del Lupo<br />

Marino” e nella turrita roccaforte di San Giuseppe, nell’Isola Nuova di Tabarca, davanti alla costa<br />

alicantina di Santa Pola, dove tutto era stato allestito perché Knipffer producesse porcellana per<br />

la Corona di Spagna a partire dal 1765.<br />

Nel dicembre del 1764, il tecnico s’imbarcò in incognito al Grao de Castelló, a bordo della<br />

goletta “La Rosa dei Venti” —che anni prima aveva fatto rotta per l’Avana— diretto all’isola<br />

Plana, in compagnia del giovane aiutante Miquel de la Foia, figlio della locandiera presso la<br />

quale il sassone aveva pernottato durante il suo breve soggiorno ad Alcora.<br />

Nel frattempo il Conte di Aranda, che probabilmente era venuto al corrente di tutto, dovette<br />

trattenere il suo impulso alla vendetta, limitandosi ad osservare lo svolgersi degli avvenimenti<br />

politici dalla sua torre di vedetta di Valenza.<br />

Nel febbraio del 1766. il Conte di Aranda ebbe le prime notizie sulla situazione in Corte. In<br />

realtà, le cose non andavano bene per la maggior parte dei segretari di origine napoletana che<br />

guidavano la politica reale. In conseguenza del Decreto Reale del 10 marzo, che vietava al<br />

popolo l’uso della cappa lunga, del cappello "chambergo", e aumentava il prezzo della farina —<br />

tutte misure impopolari derivate dal razionalismo di Leopoldo Gregorio, Marchese di Squillace,<br />

segretario al Ministero di Grazia e Giustizia—, il popolo di Madrid si sollevò contro i politici e per<br />

estensione contro il Re, determinando l’insurrezione che passò nella storia come Rivolta di<br />

Squillace, del giorno 27 marzo 1766, domenica delle palme. Carlo III riuscì a scappare in tempo,<br />

rifugiandosi ad Aranjuez con il resto della famiglia reale.<br />

Subito dopo l’insurrezione popolare, il Conte di Aranda venne chiamato a palazzo con<br />

l’incarico di formare il governo, e certamente quello non era il momento più adatto per cercare di<br />

sapere, con il pericolo di provocare l’ostilità del Re, ciò che si tramava a Tabarca. L’udienza<br />

cordiale concessa dalla Regina Madre Isabella Farnese al Conte di Aranda— entrambi legati da<br />

una stretta e complice amicizia—, svoltasi nel gabinetto di porcellana di Aranjuez, fu senza<br />

dubbio decisiva perché il Conte accettasse l’incarico di Primo Ministro.<br />

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Il conte di Aranda era un personaggio progressista, profondamente illuminista,<br />

frammassone, convinto liberale e amico personale di Voltaire, al quale, di tanto in tanto, spediva<br />

regali preziosi, come vasellame della “Real Fabrica de Alcora”, splendide scrivanie di maiolica e<br />

altri raffinati doni, nella sua proprietà di Ferney. François Marie Arouet ringraziava il Conte<br />

mediante delle dediche di libri che gli faceva arrivare regolarmente.<br />

Nel frattempo, all’Isola Nuova di Tabarca, John Christian Knipffer, strettamente viglilato da<br />

Klaus Naumann e dal nativo ormai conosciuto da quelli del posto con il sopranome di Paolo il<br />

Lucido, aveva iniziato la fabbricazione di oggetti di porcellana. Il vecchio maestro di Meissen, di<br />

una volta, aveva scoperto che un suo pupillo aveva grandi attitudini per il disegno e, contro la<br />

volontà del giovane, era riuscito a mandarlo a Parigi per studiare. Questi non poteva smettere di<br />

pensare a Elena, sua cugina, di cui si era innamorato durante la festa di San Michele del 1764,<br />

anzi voleva sposarla, per mettere su casa e famiglia. Il giovane era convinto, del resto, che Parigi<br />

l’allontasse da tutto ciò che aveva sempre immaginato como suo naturale destino.<br />

Non appena che l’opificio si mise a funzionare, il Conte di Aranda ne fu regolarmente<br />

informato. Era sempre subito tenuto al corrente delle iniziative di progresso di un’isola che<br />

apparteneva alla sua giurisdizione. Non poteva inoltre dimenticare l’impazienza reale di<br />

possedere una propria Impresa di porcellana, e, considerando l’insucesso precedente del<br />

Monarca a “El Buen Retiro”, decise di agire con prudenza non fosse altro che per non fare un<br />

passo falso che segnasse la fine di un promettente futuro. Tuttavia, il giorno che ebbe fra le mani<br />

del vasellame, completo di dodici servizi e settantadue pezzi, un vero capolavoro alla vista e al<br />

tatto, dovette accettare di aver perso definitivamente la battaglia. L’inquietava soltanto il fatto di<br />

non poter conoscere con assoluta certezza chi agiva in nome del Re e chi si nascondeva sotto le<br />

iniziali NT incise in rosso cobalto sulla base di ogni oggetto. Ormai gli era evidente che aveva<br />

davanti a sé un nemico difficile da battere. Sulle prime non si rese conto che il mercenario che<br />

era riuscito a rubargli il primato in materia di porcellane, di fronte alla storia, non era altro che<br />

l’avventuriero sassone che aveva saputo fallire così abilmente nel suo podere di Alcora e che<br />

egli supponeva fosse ritornato a lavorare negli opifici francesi.<br />

Il Conte di Aranda, che teneva una regolare corrispondenza con Sua Eminenza Giuseppe<br />

Climent, aveva ricevuto dal vescovo di Barcellona una missiva densa di imprecazioni contro<br />

l’atteggiamento lussuoso e poco pio dei gesuiti. Il vescovo biasimava la condotta dei gesuiti e<br />

ricordava che il loro flagello si era già esteso fino in America, impadronendosi là di vaste regioni,<br />

e che era stato fortunatamente scacciato dal Regno di Napoli, di Portogallo e di Francia, sicché<br />

si sarebbe dovuto procedere allo stesso modo da parte della Corona di Spagna, non appena si<br />

fosse presentata l’opportunità. E altro ancora diceva questo vescovo giansenista ostile alla<br />

vacuità dei sermoni lontani dallo spirito evangelico e nemico del potere, sempre più in aumento,<br />

dei Collegi Maggiori nel Consiglio Reale. Aveva sentito dire nella sua sede di Barcellona,<br />

commentava il vescovo incidentalmente, che i membri della Compagnia dei gesuiti, seguaci<br />

esclusivamente della politica romana, non erano alieni dai disordini e dalle rivolte provocate<br />

contro la corte monarchica dalla nobiltà più reazionaria e più sentimentalmente ancorata ai<br />

privilegi precedenti alla Riforma del secolo.<br />

4


Nel 1774, il Papa Clemente XIV si rassegnò a sciogliere la Compagnia di Gesù mediante la<br />

breve Dominus ac Redemptor, soltanto alcuni anni dopo che i gesuiti furono espulsi dai principali<br />

stati europei, e persino dalla Spagna per ordine del Conte di Aranda. Questo successo di fronte<br />

alla Curia pontificia fu attribuito principalmente alle abili manovre dell’ambasciatore spagnolo a<br />

Roma, Don Giuseppe Moñino, il che valse a costui la riconoscenza del Re, nonché la<br />

concessione del titolo di Conte di Floridablanca, con la conseguente e subitanea uscita dal<br />

governo del Conte di Aranda.<br />

In conseguenza del successo ottenuto dal Conte di Floridablanca nella missione presso la<br />

Curia romana, il Conte di Aranda accumulò contro il perfido “golilla” una gelosia smisurata che si<br />

tramutò in irritazione epidermica. Dopo sette anni ininterrotti alla Presidenza del Consiglio di<br />

Castiglia, egli un bel giorno capì che, in quella sua lotta personale, avrebbe dovuto arrendersi.<br />

Se rese conto allora non solo di aver esaurito la sua dose umana di pazienza, ma anche di aver<br />

perso la sua capacità di entusiasmarsi per i progetti che per migliorare la nazione faceva<br />

incessantemente con l’aiuto di un gruppo ridotto di instancabili collaboratori. La cosa, però, che<br />

lo fece soffrire di più, fu l’accorgersi di veder completamente dileguata ormai quella sua attitudine<br />

innata a meravigliarsi istintivamente dei benefici della vita. Allora pensò che il 1773 era un buon<br />

anno per stabilirsi a Parigi. Fece sollecita richiesta al Re di essere mandato là come<br />

ambasciatore, diede le dimissioni dal suo posto adducendo stanchezza, cosa per altro abituale in<br />

questi casi, e dicendo con tatto e per motivi protocollari di rimettersi alla volontà del suo<br />

superiore. Durante l’incontro tra il Conte di Aranda e il sovrano Carlo III sorse una violentissima<br />

discussione, piena di minacce politiche e di vendette personali. Nonostante tutte le difficoltà, il<br />

Conte di Aranda riucì ad impedire, all’ultimo momento, che il Re nominasse il Conte di<br />

Floridablanca suo successore e capo del governo.<br />

Dopo aver trascorso qualche anno in riva alla Senna, mentre si consumavano gli ultimi mesi<br />

di vita del monarca, il Conte di Aranda ritornò in Spagna per dirigere il gruppo dei suoi partigiani.<br />

Il Conte, ansioso di ottenere la vittoria finale, fece sì che il Re, prima di abbandonare questa vita,<br />

ascoltasse l’ annuncio delle dimissioni del Presidente dell’Assemblea di Stato, attraverso la<br />

lettura di un memoriale che sollevò grande scalpore. Un anno prima della Presa della Bastiglia,<br />

Carlo III fu costretto a lasciare il trono, così come era stato costretto ad accettarlo tre decenni<br />

prima. Poi Sua Maestà non appartenne più a questo mondo.<br />

Con il passare degli anni, poco prima di ritornare a Madrid, l’ambasciatore assistette a una<br />

delle ultime cerimonie ufficiali che il settore più dinamico dell’Assemblea dei Notabili, composto<br />

di spiriti illuministi desiderosi di veder finire il secolo, aveva organizzato con il pretesto della<br />

celebrazione del decimo centenario della morte di Voltaire. Tra rappresentazioni di opere teatrali<br />

commemorative, recite diverse dell’autore del Candio e altre manifestazioni artistiche, il Conte di<br />

Aranda ammirò attentamente una bellissima mostra di incisioni appartenenti a diversi artisti, fra<br />

le quali credette di riconoscere paesaggi remotamente familiari. Ce n’erano alcune che<br />

raffiguravano terre arse e colline scoscese come quelle dell’Alcalaten (Alcora); in altre si<br />

ammiravano scene marine che potevano benissimo riprodurre il Grao o qualche altro punto<br />

indeterminato della costiera mediterranea di Valenza.<br />

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Don Pedro Ximenez di Urrea, dopo qualche istante di perplessità, si rese conto che erano<br />

già passati 22 anni dal giorno in cui aveva abbandonato Valenza per presiedere il governo di<br />

Madrid e che era assente dalla Spagna da 15 anni. Pensò che le evocazioni ricevute dovessero<br />

essere attribuite alla confusione sentimentale dei ricordi propria di un vecchio, e preferì non<br />

frugare nella coincidenza delle equivalenze e non chiedere, senza necessità, informazioni<br />

sull’autore delle bellisssime incisioni.<br />

Il responsabile del benessere dell’anziano ambasciatore di Spagna non era altro che il suo<br />

disegnatore, il giovane Michel de la Foi, che abitava a Parigi da più di quattro lustri ed era<br />

considerato un eccezionale paisaggista. Siccome tutti e due parlavano francese non si<br />

riconobbero. Il conte di Aranda precisò, a chi gli era stato presentato come Michele de la Foi, che<br />

il marchese de Laborde reclutava disegnatori al fine di completare la descrizione di un viaggio in<br />

Spagna che suo figlio aveva intenzione di intraprendere in un immediato futuro.<br />

L’incontro tra Michel de la Foi e il Signor de Laborde —probabilmente detentore delle<br />

massime fortune in Francia— risultò del tutto soddisfacente. Sta di fatto che, pochi giorni dopo, il<br />

disegnatore s’imbarcò dal porto di Marsiglia sulla goletta “Le nouvel Observateur” con rotta per il<br />

Grao di Castelló. Appena sbarcato si diresse verso Alcora, cioè verso la locanda dove lui era<br />

nato. Qui trascorse alcuni giorni, visitando i dintorni e la Fabbrica Grande, in compagnia sempre<br />

di un suo fratello, Tomàs, ormai sposato con sua cugina Elena, il cosidddetto amore di gioventù.<br />

Poi l’artista si accomiatò dai parenti e la goletta fece la rotta verso l’Isola Nuova di Tabarca,<br />

dove il disegnatore aveva intenzione di ritrovare Kniffer, il suo maestro benefattore e l’artefice del<br />

suo destino.<br />

L’unica impronta del passato, che era rimasta, fu il bavarese, per metà aragonese, Klaus<br />

Naumann, testimone dei drammatici episodi che accadero sull’isola nell’agosto del 1773, quando<br />

fu assalita dai corsari che non solo assassinarono tutti i soldati della guarnigione, sequestrando<br />

le donne del paese, ma distrussero la manifattura di porcellane con feroce brutalità, come se<br />

ubbidissero ad un ordine superiore di distruggere tassativamente l’Impresa. Tabarca divenne<br />

l’isola deserta di una volta, e rimase come inghiottita dal mare.<br />

Mentre il famoso viaggiatore faceva ritorno al porto di Marsiglia, tutto euforico e con le borse<br />

piene di magnifici disegni forniti di prospettive nuove, che solo lui era in grado di immaginare, in<br />

prossimità del golfo di Leone scoppiò una fortissima tempesta da rendere così agitato il mare<br />

che la goletta “Le Nouvel Observateur” —nonostante fosse una nave particolarmente adatta a<br />

sopportare le burrasche— dopo ore di lotta tenace contro i venti che imperversavano e<br />

l’incessante furia delle onde, finì con il naufragare.<br />

Il giovane Alessandro de Laborde venne a Madrid come addetto culturale all’Ambasciata di<br />

Lucien Bonaparte, l’anno 1800, e percorse la penisola in modo così dettagliato che, anni dopo,<br />

durante i mesi dell’ invasione francese, diventò una straordinaria guida fino al punto di ottenere<br />

l’amicizia personale di Napoleone. Un primo volume del suo Voyage apparve l’anno 1800, e<br />

l’ultimo fu completato sole nel 1820. L’opera era corredata complessivamente da 339<br />

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illustrazioni, fra le quali spiccavano le bellissime prospettive dei luoghi valenziani più attraenti,<br />

nonché le classiche stampe dei monumenti più noti.<br />

Il lettore non troverà, però, nessun riferimento né alcuna illustrazione della Fabbrica Reale<br />

del Conte di Aranda ad Alcora, e neppure dell’opificio segreto di Sua Maestà Carlo III all’Isola<br />

Nuova di Tabarca.<br />

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