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n. 1 - gennaio/marzo 2012 - Suore Francescane Elisabettine

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spiritualitàIl desiderio frarisorse e pericoliEducare la propria affettivitàdi Ferdinando Montuschi 1docenteAbbiamo bisogno di “educare”i desideri per rafforzare quelli checi aiutano a realizzare pienamenteil nostro progetto di vita.Un cammino che l’autoreci accompagnerà a compierenel corso del <strong>2012</strong>.Nei dieci comandamenti della legge(Es 20) per ben due volte ricorreil divieto di desiderare conl’obbligo di non desiderare la “roba” ela “donna di altri”. In questo contestoil desiderio ha un unico significato – disegno negativo – che unifica l’ambitoemotivo del “sentire” con la funzioneben più impegnativa e complessa deldecidere e dell’“agire” intenzionale.L’agire implica infatti un progettoche chiama in causa, oltre al desiderare,anche il pensare, il giudicaree il decidere azioni da compiere. Equesta decisione, costruita con consapevolezzae determinazione, incidee modifica il “cuore” della personaprima ancora che si verifichino lecondizioni favorevoli per tradurla incomportamenti.Mentre per le istituzioni sociali e leloro leggi solo le azioni compiute sonoconsiderate trasgressioni, per la vitaspirituale – come più volte ricordatonei testi evangelici –- la persona chedecide di compiere un’azione proibita«ha già peccato in cuor suo» anche sele circostanze le hanno impedito direalizzarla.“Sentire” e “decidere”A questo riguardo sembrano necessariealcune precisazioni relativeparticolarmente alla vita affettiva dellapersona umana. Il “sentire” interioree la capacità di “decidere” le proprieazioni, pur essendo collegati tra diloro, sono modalità espressive sostanzialmentediverse e sono governatein modo autonomo. La persona hauna responsabilità anche nei sentimenti(che possono essere educati perrendere sempre più libera e autenticala decisione), ma la responsabilità sulproprio modo di “sentire” è diversa edistinta da quella che porta ad “agire”che chiama in causa soprattutto ilproprio modo di pensare e di valutareil significato delle azioni da compierenel rispetto dei valori che ispirano lapropria esistenza.La persona può infatti assumeredecisioni conformi o difformi ai proprisentimenti in riferimento a quei valoriche ritiene essenziali e irrinunciabili.Il collegamento fra i sentimenti, idesideri, i bisogni e le decisioni esistesempre, ma la decisione sulle azionida compiere è sempre sotto la pienaresponsabilità della persona che pertutta la propria esistenza educa se stessasia nell’area del sentire – per sentirsi“libera” nella gestione della propriaaffettività –, sia nell’area del decidereper sentirsi “libera” nel seguire e realizzarei valori che ispirano le propriescelte di vita.Questa distinzione – sia di significatoche di responsabilità – fra desiderio“sentito” e desiderio “realizzato”ci consente di entrare nell’areadell’affettività umana con una visionerasserenante, con una tolleranza versole proprie emozioni per evitare inutilie dannosi sensi di colpa. Io posso facilmentesentire il desiderio di possedereun gioiello che vedo esposto in unavetrina ma non sono tenuto a sentirmiin colpa per quel desiderio che potrebbespingermi ad appropriarmene inmodo indebito. Mi basta sapere checon la mia volontà posso governarequel desiderio e non sono tenuto adestirparlo per evitare azioni contrarieai miei valori: posso però “educare”e orientare quel sentimento-desideriorafforzando contemporaneamente lamia libertà e volontà sia nel sentire chenell’agire.Educare i desideriDa queste ovvie ma utili distinzionipossiamo ricavare alcune concreteindicazioni. La prima è che non abbiamobisogno di “sentirci in colpa”per i desideri che sentiamo continuamenteemergere dentro di noi: abbiamopiuttosto bisogno di “educarli”per rafforzare quelli che ci aiutano arealizzare pienamente il nostro progettodi vita. In questa prospettiva idesideri da noi coltivati si rafforzerannoal punto da indebolire quelli chetemiamo possano tradursi in azioniindesiderate. In definitiva le energieche impiegheremmo – spesso inutilmente– nella demolizioni dei desideridevianti e distruttivi possono esserepiù utilmente investite nel “costruire”e rafforzare i desideri che ci aiutano arealizzare quanto la nostra volontà decisionaleritiene importante e prioritario.Il grande desiderio di “fare il bene”è dunque la migliore energia per tenerlontano la tentazione di “fare il male”.Un secondo risultato che possiamoricavare dalla distinzione fra sentiree decidere – oltre a ridimensionare ilsenso di colpa per ciò che interiormentesentiamo – porta a diminuirei possibili contrasti fra sentire e pensare,fra dovere e piacere, fra mentee cuore. Quando nell’intimo dellapersona mettono radici queste indebitecontrapposizioni si creano infattiinevitabili conflitti, con conseguentespreco di energie e di motivazioni che,8 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


finestra apertaAPERTI AL MONDOESSERE IN RELAZIONE O ESSERE CONNESSI?VITA RELIGIOSA E NUOVI MEDIAdi Gaetano Piccolo 1sjI “nuovi mezzi dicomunicazione”,la loro rapida diffusionee l’utilizzo immediato,rappresentano unaquestione di carattereantropologico ededucativo,tra un più superficiale“essere connessi”e un più profondo“essere in relazione”.Introduzione 2La vita religiosa è sempreuno specchio dei mutamentiche avvengono alivello sociale: le comunitàreligiose sono dei microcosmi,all’interno dei quali lepersone portano tutto il bagaglioche hanno accumulatonella vita precedente,ma anche tutto il materialeche ricevono dai contatticon il mondo esterno.La comunità religiosasi ritrova così a gestiretutti gli stimoli che attraversoi suoi membriarrivano al suo interno.Negli ultimi anni unabuona parte di questo materialeè mediato dai nuovistrumenti di comunicazione:cellulari, internet, postaelettronica, social network.Si tratta di un mondo conenormi potenzialità, al puntoche negli ultimi messaggidel Santo Padre per la giornatamondiale delle comunicazionisociali, in particolarenel messaggio della XLIIIgiornata (2009), viene sollecitatoun impegno dei cristiani,in particolare dei giovani,nell’evangelizzazionedi questo mondo virtuale. Ilmondo virtuale diventa cosìuna sorta di “nuove Indie”in cui ripetere le imprese diFrancesco Saverio 3 .Al di là dei rischi sucui bisogna vigilare, il problemasollevato dai nuovimezzi di comunicazione,dalla loro rapida diffusionee dall’immediatezza nelloro utilizzo, è a mio avvisosoprattutto di carattereantropologico ed educativo,e potrebbe essere riassuntonella distinzione tra un piùsuperficiale “essere connessi”e un più profondo “esserein relazione”. Il rischioè che il superficiale diventinorma e il più profondo diventiinsolito.Vigilare su questa differenzadiventa vitale perla qualità delle relazioniall’interno della comunitàreligiosa e nella vita del religioso/a.Reti ambiguee desideri legittimiIl messaggio per laXLIII giornata mondialedelle comunicazioni socialimette in luce un atteggiamentopositivo fin dal titolo:“Nuove tecnologie, nuoverelazioni. Promuovere unacultura di rispetto, di dialogo,di amicizia”. Quando siparla di nuove tecnologie èinevitabile che il riferimentosia principalmente all’uso diinternet, ma in generale losviluppo della comunicazionepermette una maggiorevicinanza tra le persone eun accesso senza precedentia una quantità impensabiledi informazioni. È possibilemantenere relazioni anchequando ci si trova a notevolidistanze, è possibile condividerele proprie opinioni(recentemente, nella crisi delnord Africa, ma anche nellebattaglie politiche in Italiaper i referendum, sembrache l’incidenza delle informazionicircolate in rete siastata determinante), è possibileaccedere a documentie informazioni in manieramolto più veloce rispetto aitempi richiesti da eventualispostamenti.È inevitabile che nellavita religiosa aumenti progressivamentequello che nelmondo laico accade ormai dinorma: gran parte della vitasi svolge in rete.E proprio l’immaginedella rete può offrire un’occasionedi riflessione piùspirituale.Parliamo di rete nell’ambitodella comunicazioneper riferirci all’insiemedi connessioni, di contatti,di snodi che permettono ilpassaggio delle informazioni.Non è forse casuale l’usodi questo termine, perché larete è un’immagine ambigua:la rete può essere quelladella pesca miracolosa (cf Lc5 o Gv 21), una rete quindiche diventa immagine positivadella Chiesa, in grado diradunare e raccogliere, mala rete è anche la trappolain cui si può rimanere impigliati.Questa immaginenegativa della rete è moltopresente nelle descrizionidelle vite dei santi (peresempio la descrizione che ilRibadeneira tratteggia dellaconversione di Ignazio diLoyola, descrivendo questomomento come liberazionedai lacci in cui era rimastoimpigliato), ma anche nell’iconografia,come accadeper esempio nella rappresentazionedel Disingannoche si trova nella Cappelladi San Severo a Napoli, progettatanel XVIII secolo, incui è raffigurato un uomoche cerca di liberarsi dai legami(ingannevoli) di unarete 4 .L’altro elemento su cuiriflettere da un punto divista spirituale è ciò chespinge verso la rete.A ben guardare, comeanche il Pontefice sottolineanel messaggio per la LXIIIgiornata delle comunicazionisociali, è il «desideriofondamentale delle personedi entrare in rapporto leune con le altre» che spingead andare verso la reteo in generale ad utilizzarestrumenti di comunicazionisempre più efficaci ed immediati.Il desiderio della comu-10 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


nicazione, che prende spessola forma di un desideriodi amicizia, non può esserecompreso solo alla lucedello sviluppo delle nuovetecnologie. Esso esprimepiuttosto un desiderio di relazioneradicato nella naturaumana.«Alla luce del messaggiobiblico, esso va letto piuttostocome riflesso della nostrapartecipazione al comunicativoed unificante amoredi Dio, che vuol fare dell’interaumanità un’unicafamiglia. Quando sentiamoil bisogno di avvicinarci adaltre persone, quando vogliamoconoscerle meglio efarci conoscere, stiamo rispondendoalla chiamata diDio - una chiamata che èimpressa nella nostra naturadi esseri creati a immaginee somiglianza di Dio, il Diodella comunicazione e dellacomunione» 5 .Comunicazione e comunionesono quindi altrimodi per dire che « Dioè amore» (1Gv 4,8). Èinfatti proprio l’amore laragione della comunicazione.L’amore non può chegenerare ed uscire da sé.Dio manifesta il suo amoreincarnandosi, cioè uscendoda sé e comunicandosi all’umanità.Padre Gaetano Piccoloillustra alle capitolari il temadell’incidenza dei nuovimedia nelle relazioni anchenella vita religiosaD’altra parte la comunicazionenon è solo una manifestazionedi Dio, ma è lanatura stessa di Dio. Dio èinfatti in se stesso comunicazione:il Padre, il Figlio e loSpirito sono l’immagine dellacomunicazione/comunioneperfetta nell’unico Dio.Comunicazione e comunionehanno infatti lastessa radice: cum-munus,portare insieme uno stessodono e una stessa responsabilità.La comunione èpossibile solo dove è attivauna comunicazione. Si trattasempre di un’unica modalitàdi stare in relazione, in cui siè partecipi e si condivide lastessa responsabilità, seppurin forme diverse, a partiredalla nostra individualità.La relazione autentica non èquindi la mera connessionead o con un altro, ma la relazioneè autentica quandocoloro che sono in relazionehanno la percezione di condividereuno stesso dono euna stessa responsabilità.Il desiderio di connessionenon è quindi unaforma semplicemente modernadi relazione, ma èl’espressione esteriore di unbisogno più profondo di ciòche è propriamente umano.È necessario però approfittaredi questo desideriodi connessione per aiutare eaiutarci a scoprire un’identitàpiù profonda e più divinache è presente in noi.Il tempodegli indecisiLa questione a cui siamodi fronte in quanto religiosinon è semplicemente se ecome usiamo i nuovi media,quanto piuttosto se cirendiamo conto del tempoin cui viviamo e in cui siamochiamati ad annunciareil Vangelo. La differenza tradue differenti modalità, cioèquella dell’essere connessi odell’essere in relazione, puòdire qualcosa di noi stessi,ma dice ancor di più dellospirito del tempo in cui viviamo.È necessario rendersiconto che questo è il tempodel social network, cioè diluoghi fisicamente inesistenti,ma che paradossalmenteoffrono alle persone lapossibilità di incontrarsi. Lerelazioni che si costruisconosul web 6 hanno caratteristichespecifiche che nonsono altro che l’espressionedi come l’uomo e la donnadi oggi preferiscono viverele relazioni. È in questo sensoche le relazioni virtualici stimolano ad interrogarcisul nostro modo di vivere lerelazioni, anche se non siamodei frequentatori assiduidel cyberspace 7 .L’uomo del socialnetwork è connesso con unnumero elevato di altri utentinello stesso momento. Puòcomunicare i propri interessi,i propri stati d’animo,i propri gusti, a milioni diutenti, i quali a loro voltapossono anche interagire, risponderee commentare, matutto questo può avvenire - edi solito avviene - senza chevi sia un reale coinvolgimentonelle relazioni 8 .Nella comunicazione inrete saltano le regole usualidella conversazione. Percerti versi il web è moltopiù simile alle situazioni descritteda Carroll in Alice nelpaese delle meraviglie che allesituazioni della vita reale:per esempio si può iniziaree terminare una conversazionesenza che ci sia quelprocesso di approccio e dicommiato che solitamenteuna relazione richiede.In tal senso un criterioche potrebbe aver portatoad incrementare vertiginosamentele relazioni virtualiè l’assenza di fatica e la possibilitàdi evitare i conflittinelle relazioni: nella stessamisura in cui si diventa rapidamenteamici in internet,così altrettanto velocementebasta un click perporre fine ad una relazione,senza quel faticoso processoche nella vita reale porta achiudere una relazione.Paradossalmente accantoa questa fuga dalla fatica,le relazioni sul web sonospesso caratterizzate ancheda una forte emotività. Iltipico cybernauta è un soggettoemotivo che mette alcentro della comunicazione ipropri interessi ed è guidatonella sua ricerca di connessionidall’individuazione dialtri soggetti che abbiano isuoi stessi interessi. Nel momentoin cui non ci sono piùinteressi comuni, la connessionefinisce.Questa connessione fondatasolo sul riscontro di uninteresse comune, mette inluce la presenza on line 9 dipersonalità narcisiste: questofinestra aperta<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 11


finestra apertanarcisismo raggiunge punteparossistiche nella piattaformacosiddetta di Second life 10dove è possibile generare unaltro se stesso creando il proprioavatar, cioè la propriaraffigurazione virtuale.Un’altra caratteristicadell’utente di internet è ilsuo operare di solito da solo:virtualmente connesso conmilioni di altri utenti, mafisicamente da solo. Taledifferenza induce a rifletteresui processi di crescita edi maturazione che necessitanodi un’interazione conaltri soggetti (amici, educatori,guide, autorità…),un’interazione che forse lamassiccia quantità di tempodedicata alle connessionivirtuali non è più in grado digarantire.Nella vita religiosa poi sientra quando la persona haancora una notevole mole dilavoro da fare su se stessa alivello psico-affettivo e spirituale.È dunque necessariovigilare se i tempi e glispazi offerti dalle interazionireali sono sufficienti o sevengono progressivamentesostituiti dalle connessionivirtuali 11 .Il mondo di internet diventarappresentativo anchedi quella incapacità semprepiù tipica delle nuove generazioninel prendere decisioni:internet può essereutilizzato infatti anche percrearsi uno spazio di fantasiache può diventare unospazio protettivo, specialmenteper difendersi da unmondo che ti incalza condecisioni e scelte da prendere.Possiamo rispondere aduna telefonata, ad una mail(messaggio di posta elettronica)o a un messaggio suFacebook 12 se e quando vogliamo,senza che l’altro ciincalzi, ma possiamo anchevagare in internet, lasciandocirapire dalle immaginie dai contenuti così come sefossimo in salotto a guardarela tv, con la differenza chein salotto potrebbe arrivarealtra gente reale, mentredavanti al pc (personalcomputer) sono sicuro diesserci proprio solo io.Internet consente infattidi stabilire connessioniindipendentemente dallospazio, nel senso che non ènecessario abitare lo stessospazio fisico per entrare inrelazione. Il rischio è chequesto modello generi unafatica strutturale nel condividerelo spazio fisico. Abituandosia stare in uno spaziofisicamente isolato, c’èil rischio che l’altro vengapercepito sempre più come“invasore”.(continua)1Gaetano Piccolo, sj, direttoredell’Aloisianum, Centro Europeodi Formazione filosofica deiGesuiti che ha sede a Padova. Èdocente di Logica e di Filosofiadella conoscenza.2Viene riportato il testo dell'interventoche p. Piccolo ha tenutonel corso dell’incontro precapitolaredelle suore elisabettineil 20 giugno 2011.3Nel messaggio per la XLIIIgiornata mondiale delle comunicazionisociali si parla di “continentedigitale”. Già nel 1990 GiovanniPaolo II parlava dei “media comel’areopago del tempo moderno”,nella Redemptoris Missio.4Cf. Prefazione di MassimoLeone in A. SILVESTRI, La lucee la rete. Comunicare la fede nelWeb, Effatà, 2010 Torino, 3-6.4Messaggio per la XLIIIgiornata mondiale delle comunicazionisociali.6Web: letteralmente rete.È la terza “W” nell’acronimoWWW dall’inglese World WideWeb: Grande Rete Mondiale.7Cyberspace: è uno spazioimmateriale che mette in comunicazionei computer di tutto il mondoin un’unica rete che permetteagli utenti di intergaire tra loro.8Cf. M.S. LABRA, La spiritualitàdel network, in «Tredimensioni»3, 2006, 46-54.9On line: letteralmente significaessere in linea, essere connessi.10Second life: seconda vita.11Su questo tema cf. RENÉJ. MOLENKAMP - LUISA M. SAF-FIOTTI, Dipendenza da cybersesso, in«Tredimensioni» 3, 2006, 188-195.12Facebook: si tratta di unsito web di reti sociali ad accessogratuito (letteralmente: libro dellefoto, dagli annuari con le foto diogni singolo soggetto, in uso inalcuni college statunitensi).IERI E OGGIIL SAPORE DELLE PAROLECOMUNICAZIONE O INFLAZIONE?di Marilena CarrarostfeTelefono fisso e usodel cellulare: la facilitàdi raggiungere e diessere raggiunti rischiadi diminuire l'intensitàdella relazione.Appuntamentoper le paroleCi fu un tempo, nonmolti anni fa, in cui i gettonitelefonici potevano essereusati come moneta. I primigettoni costavano 50 lire,in seguito 100 e poi 200.Mentre parlavi al telefonoall’interno di una cabinapubblica, li sentivi scendereuno alla volta, la lorofrequenza dipendevadall’orario, dal giornoin cui chiamavi e dallalontananza. Il loro ticchettioera un monito a nonsprecare parole.Erano pochissime lefamiglie che in casa potevanogodere di una lineatelefonica, cosa frequenteinvece nelle aziende, nelleistituzioni e nei luoghi pubblici.Il vicino di casa cheper necessità aveva il telefo-12 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


no generalmente era apertoe disponibile a ricevere lechiamate per i vicini.La telefonata, urgenzea parte, avveniva per “appuntamento”.La comunicazionepartiva con quel“Pronto”, che tutti ancorautilizziamo, a dire la nostrapresenza e attenzione versochi chiede di conversare connoi. Le parole si snodavanomisurate, sobrie, essenziali,ma non povere o vuote.Queste parole avevano lacapacità e il tono di rasserenarefamiglie lontane, diriavvicinare genitori e figli,di rincuorare gli amici. Latelefonata in più non eraun’abitudine.Ecco una storia che precedel’avvento dei cellulari:Io e mio marito cominciammoa frequentarci primadell’ultimo anno di Università.Io ero a Londra e luiera al nord. Non avevamo icellulari. Non avevamo le e-mail. Non avevamo neanchei telefoni fissi (terribile vero?).Così… cosa facevamo?Ci scrivevamo lettere e organizzavamoappuntamentialle cabine telefoniche.Io avevo il numero di telefonodi una cabina nel suocampus e lui quello di unacabina vicina al mio appartamento.Ad un’ora precisaogni settimana ci dirigevamoin quella cabina telefonicae cominciavamo ad inseriretutte le nostre monete nel telefonoin modo alternato 1 .L’appuntamento era unrito che avvicinava le animeprima ancora di scambiarsiparole: ma ci vogliono i riti!«Sarebbe stato meglioritornare alla stessa ora»,disse la volpe. «Se tu vieni,per esempio, tutti i pomeriggi,alle quattro, dalleConnessione superficiale o miglioramento della relazione?tre io comincerò ad esserefelice. Col passare dell’oraaumenterà la mia felicità.Quando saranno le quattro,incomincerò ad agitarmi ead inquietarmi; scoprirò ilprezzo della felicità! Ma setu vieni non si sa quando,io non saprò mai a che oraprepararmi il cuore… Civogliono i riti» 2 .Una telefonataallunga la vitaSono passati vent’anni,ma tutti ricordiamo la pubblicitàSip-Telecom in cuiMassimo Lopez 3 nel ruolodi un condannato a morteche, prima di venire fucilato,chiede di fare un’ultimae interminabile telefonata,che gli salva la vita!Allora le linee telefonicheavevano ormai raggiuntole famiglie, il gettone ela nuova scheda prepagata,leggera e facile da usare,servivano solo se ci si trovavafuori casa. Lo scattotelefonico andava giù allostesso modo, ma la perce-zione era diversa e così lafruizione delle parole, pienee vuote, divenne semprepiù abbondante.Negli stessi anni leaziende e le istituzioni siaprirono ad un nuovo mezzoper comunicare: il telefonocellulare. I costi diquesto tipo di chiamata,inizialmente esagerati, graziealla concorrenza e alladifferenziazione delle tariffesi abbassarono.Molte volte il cellulareveniva “regalato” a chi avevaaccumulato punti-benzina,punti al supermercato oaltro. Tutte promozioni chegarantivano ai rivenditori lafedeltà del cliente e al clientedi ottenere quel prodottoche altrimenti non avrebbeacquistato. Oggi la maggioranzadelle persone possiedealmeno un cellulare: è unaopportunità che si presta adalcune considerazioni… eci fa sorridere ricordando lapubblicità citata.La facilità di raggiungeree di essere raggiunti alcellulare rischia di diminuirel’intensità della relazioneche prende avvio, ancora,con il “Pronto” (o “Hallo”).Le facilitazioni sui costi,così come la possibilità diavere lo strumento sempreattivo - allentano i freni ele parole… rischiano di invaderciviolando, talora, itempi del “privato”.Perchéi giorni non siassomiglino«Che cos’è un rito?» disseil piccolo principe.«Anche questa è una cosada tempo dimenticata», dissela volpe. «È quello che faun giorno diverso dagli altrigiorni, un’ora dalle altre ore.C’è un rito, per esempio,presso i miei cacciatori. Ilgiovedì ballano con le ragazzedel villaggio. Allora ilgiovedì è un giorno meraviglioso!Io mi spingo sino allavigna. Se i cacciatori ballasseroin un giorno qualsiasii giorni si assomiglierebberotutti, e non avrei mai vacanza»4 .Il breve stralcio non habisogno di commenti. Sarebbebello che almeno qualcheappuntamento al telefonofosse un tempo diverso daogni altro tempo, perché laparola è portatrice di affetti,di senso, di amicizia. 1Cf. http://e-blogs.wikio.it, Come ci si organizzava primadell’avvento dei cellulari.2ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, Il piccolo principe,1943.3Massimo Lopez (1952),attore, comico, doppiatore, cantanteitaliano. Lo spot è statopremiato nel 1994 con il Leoned'Oro, il massimo riconoscimentonel mondo della pubblicità.4ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, cit.finestra aperta<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 13


in camminoFORMAZIONE PERMANENTE IN ECUADORRiaccendiamo il fuoco in queste ceneriVerso orizzonti di passione e desiderioa cura delle partecipanti 1Nei giorni 27–30 dicembre 2011si è tenuto un incontro di studioper alcune suore latinoamericanedi voti perpetui in una casa dispiritualità a Cumbayà – Quito.Noi suore latinoamericane di votiperpetui ci siamo date unospazio di sosta – fatto di preghiera,di riflessione e di confronto –,sollecitate dal desiderio di “tornare alnostro primo amore” (nella foto sopra:un momento di preghiera). Ci hanno accompagnatoin questa esperienza suorLucia Meschi e suor Lourdes Alonsodell'Istituto “Figlie della sapienza”.L’arricchente esperienza ha riempitoil nostro cuore di sogni e progetti.Che bello rispolverare il baule (bencustodito!) dei doni che il Signore ciha regalato!Che bello far memoria del camminopercorso, di come il Signore si è resopresente nella nostra vita e in quelladella nostra famiglia religiosa ora comePadre, ora come Fratello, ora comeAmico! Nel rileggere la nostra storia,ascoltando e accogliendo sentimentied emozioni, abbiamo trovato spintee slanci nuovi per il nostro andare,consapevoli che è necessario passaredalla “sistemazione” alla ricerca, dallasuperficialità alla profondità, dall’egocentrismoal dono di sé, dalla passivitàalla creatività.In questo tempo di reciproca conoscenzae di condivisione ci ha fattobene anche lo scoprirci nuovamente insintonia con il carisma dell’istituto cuiapparteniamo, ossia il sentirci chiamatea far conoscere il volto di un Dio checi ama e che per solo amore ha inviatoil suo figlio; a rendere visibile questovolto ai nostri fratelli poveri, ai piùbisognosi, riconoscendo che la nostraconsacrazione al Signore è un dono perla Chiesa e l’umanità tutta.Gratitudine e stupore ci hanno fattopoi compagnia nel rileggere i voticon uno sguardo creativo che lega emette in relazione i voti medesimicon tutto quanto viviamo: l’obbedienzaIl fuoco evoca la bellezza, il mistero e la passione che ci interroga in tutta la vita,che ci fa ricercare la sua luce e il suo significato. Questo fuoco è da risvegliare,ravvivare e mantenere acceso durante il viaggio.Le persone che si impegnano per gli altri, che lavorano per la giustizia e perl’integrità della creazione, che sono capaci di spendere la propria vita per gli altrisono persone che pregano, che si lasciano bruciare da Dio… che da questi tempiprolungati alla presenza del Signore traggono forza, umiltà e sapienza.Mariola Lopez srcjcome apertura al differente e chiede uncontinuo spostamento per far spazioagli altri; la povertà che esprime larelazione di interdipendenza di tuttala creazione e si fa per noi appello acogliere e manifestare la benedizionedel fruire di ciascun bene in unaprospettiva di alleanza, di reciprocitàe di interdipendenza; la castità comecapacità di amare e vivere relazionigiuste che generano fraternità, amorecelibe che cerca di vivere relazioni affettiveche impediscono la dipendenza,l’esclusività, il possesso e l’esclusione egenerano, invece, fraternità, amicizia,crescita e maturazione.Desideriamo continuare a darcispazi formativi simili a questo, ringraziandola nostra famiglia religiosa checi offre tali opportunità.Ancora: desideriamo essere presenzadi Dio in mezzo al popolo, consapevoliche non siamo arrivate al traguardoe che molto è il cammino da fare.Abbiamo seminato qualcosa e imparatoqualcos’altro: ora ci rimettiamoin marcia con gli ideali, la forza ela passione che dimorano nel nostrocuore.1suor Ondina Blondet, suor Mireya Cabrera,suor Jackeline Moreira, suor MónicaPintos, suor Jéssica Roldan, suor MagdalenaZamora, suor Mary Zambrano e suor MercedesZambrano.14 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


INCONTRARSI PER RIFLETTERE«Voi siete di Cristo»Vivere l’appartenenzaa cura delle iuniori della delegazioneArgentina - EcuadorDal 22 al 28 <strong>gennaio</strong> <strong>2012</strong> lesuore di voti temporanei delladelegazione Argentina-Ecuadorsi sono ritrovate a Casa Betania (PabloPodestà – Buenos Aires) per un incontroformativo che ha messo a tema: l’appartenenza,vista da varie angolature.Nelle righe che seguono, alcune eco diciò che ha caratterizzato l’incontro:riflessione sul senso della sequela, desideriodi stare insieme, di camminareverso una vita sempre più integrata e dicostruire fraternità (nella foto in basso,da sinistra: suor Erica De Felice, suorAdriana Alcaraz, suor MonserrateSarabia, suor Veronica Mendez, suorValeria Bone, suor Violeta Reina) 1 .«Tutto è vostro. Ma voi siete diCristo, e Cristo è di Dio» (1 Cor 3,22-23). Con questa espressione biblicaabbiamo cominciato il nostroincontro, che fin dalle prime battute ciha portate a riflettere e a renderci consapevoliche attualizziamo la nostraappartenenza, la nostra consacrazionea Dio, nella quotidiana conversionee nel discernimento della volontà diDio. Il fondamento di tutto ciò è uncomune e reciproco appartenere “spirituale”che si radica non nei legami disangue, ma in Cristo Gesù.cristiane e come elisabettine e a calarnel’esperienza nella concretezza della vitae delle diverse realtà, in Argentina e inEcuador, in cui abitiamo e cerchiamodi rendere visibile l’amore con il qualeDio ci ha amato per primo.Nell’approfondimento psicologicodel tema sono risuonate in modo semprepiù provocatorio alcune domandecome: “che cosa significa per me appartenere?”,“a chi appartengo?”, “chimi appartiene?”, “perché appartengo?”.La riflessione che ne è derivataha lasciato intuire che ciascuna di noiappartiene a se stessa, a ciascuna appartieneil proprio corpo ed è vivendoquesta appartenenza a sé che si riescead essere per gli altri.Accanto alle prime domande nesono riecheggiate delle altre che cihanno portato a considerare comel’appartenenza si misura attraverso leazioni e a verificare se e come le nostreazioni sono pertinenti all’appartenenzache professiamo e viviamo. Inoltre,abbiamo valutato se nello “zaino” conil quale abbiamo intrapreso il nostrocammino di sequela ci sono delle coseche appesantiscono il passo e non favorisconol’appartenenza.Verso il “paese interiore”Il secondo passo del nostro itinerarioci ha guidato verso il nostro “paeseinteriore”, come è stato definito dallarelatrice che ha evidenziato come appartenereequivalga ad essere liberi, èritornare al primo amore. Con forza ciha invitato a ricordare questo primo sì,un sì che esprime l’appartenere in unadeterminata realtà, che si vive anchecome un continuo esodo, dentro allospazio e al tempo, in un processo diricerca di senso, di apertura al trascendentee alla trasformazione in noi dellaimmagine di Dio Trinità. Un camminoche percorriamo con le nostre luci ele nostre ombre, vivendo un atteggiamentodi profonda fiducia.Appartenenza e testimonianzaIl percorso si è poi aperto a unnuovo orizzonte, quello dell’appartenenzaalla Chiesa e alla famigliaelisabettina. Segni visibili di camminocon e dentro alla Chiesa sono pernoi san Francesco e madre Elisabetta,ma anche i testimoni concreti, martiridella nostra Chiesa latinoamericana.Da loro ci lasciamo interpellare sulmodo con il quale facciamo esperienzae testimoniamo Gesù e sull’essenzaprofonda del nostro essere elisabettineoggi e della nostra appartenenzaa una famiglia religiosa: l’identità eil carisma come esperienza spiritualefondante della nostra vocazione “eminentementetrinitaria”, nella varietàdei doni.Ci rimane nel cuore la sfida quotidianadi essere sorelle e comunitàaperte e accoglienti, senza dimenticarel’essenziale del nostro stile di vita. 1L’incontro, animato e guidato da suorLucia Meschi e suor Francesca Violato, havisto gli interventi della dottoressa Ingrid B. deRivera, psicologa e decano dell’Università delSalvador, e di padre Jorge Pratolongo, missionariodella Consolata.in camminoQuale appartenenza?In questo percorso siamo state aiutatedalla Parola di Dio, dalla liturgia edagli interventi di alcuni relatori che cihanno accompagnato a confrontarci sulnostro appartenere come donne, come<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 15


alle fontiATTINGENDO ALLE FONTIParola, interiorità e vita di relazioneL’invisibile si fa “opera”a cura della RedazionestfeCi piace condividere con il lettoristralcio dell’interventodi suor Alessandra Fantin adilluminazione dello Strumento dilavoro del 29° Capitolo generale,nel corso della celebrazionecapitolare a Torreglia (PD).Il tema del Capitolo, così come èformulato, si ispira al pensiero diElisabetta Vendramini: «Se a Diopiace, mia cara figlia, io amo un amorele cui scintille siano opere, in qualunquesiccità fatte con costanza» (E 24),scrive a Felicita Rubotto.Se il visibile (opere) esprime soloin scintille l’invisibile (amore), quale“vesuvio” di amore è desiderato eperseguito soprattutto da madre Elisabetta?In questo contributo ci soffermiamosull’interiorità che esplode in passioneapostolica, quasi a dire che dallasorgente del fuoco interiore dell’amoresi sprigionano scintille in direzioni diversesul fronte della carità.In Elisabetta cogliamo il contestodi riferimento per raccoglierne la profonditàdella spiritualità che la animaquando ne parla: ora sono amorosescintille della misericordia (D 839),ora desiderio ardente di amore (cf. D1389 e D 2503), ora volontà risoluta diappartenere totalmente al Signore (cf.I 45,3), ora struggente contemplazionedell’incendio d’amore tra il Padre e ilFiglio Gesù (cf. D 637).Interiorità, esteriorità,ulterioritàMettendo a tema la voce “interiorità”,occorre costringerci a stare suuna domanda-chiave per intenderci:interiore-interiorità richiama immediatamenteuna polarità che si coniugacon esteriore-esteriorità. Dicotomia ocontiguità? Si tratta di dentro-fuori,per cui interiore nel significato di dentro,intimo… ha come suo contrarioesteriore nel significato di percepibiledai sensi, aspetto, apparenza, quasiestraneo alla vita interiore…?A ben pensarci, riflettendo sullavita siamo portati a considerare l’esterioritàcome facile a comprendersi el’interiorità come un po’ “misteriosa”.Eppure conosciamo bene l’esperienzadel risveglio, dell’improvvisa consapevolezza,della scintilla che scocca, dellagioia, dell’attesa…Riconosciamo che il punto di avviodi queste esperienze non ci appartiene,quasi venisse da altro, o dall’Altro: hail carattere della imprevedibilità; nelmonotono scorrere dei giorni, delleore, si fa presente, è un improvviso allargarsie approfondirsi dell’orizzonte.Recenti studi in merito stimolanoa superare il binomio esteriorità-interioritàa favore di un processo piùdinamico e senza soluzione di continuitàche viene definito “ulteriorità”,come un andare oltre, un cercare sensoe spessore nelle cose-persone, neglieventi che stanno a cuore, un allargarel’orizzonte della vita e delle cose percui attivarsi.Lo scoccare dell’interesse, il voleresplorare, l’attenzione selettiva che cirende sensibili alla presenza, accompagnanole esperienze di incontro edi interazione con mondi personali,come fonte inesauribile di informazione,che nutre e matura intelligenzaed emotività, che alimenta cuore edesideri, volontà e decisione. La realtàsi manifesta dinamica, il qui ed oranascondono un “ulteriore” che chiedesempre di essere accolto, contemplato,esplorato, pena l’aridità, la monotonia,l’appiattimento, o l’acedia, come lachiamavano i santi…Parola e vita interioreÈ l’amore che ha le caratteristichedi cui sopra ed è l’interiorità che ne èuna scintilla, fuoco destinato a espandersi,ardere, consumarsi nel desiderioe nel dono: dono ricevuto anzitutto,Parola che ci ha raggiunte. Per noiconsacrate è percepire che la nostrastoria parte da un Altro che risvegliala nostra consapevolezza: «Dove sei?»(Gen 3,9) e che offre una promessa diintimità: «Se uno mi ama, osserverà lamia parola e il Padre mio lo amerà enoi verremo a lui e prenderemo dimorapresso di lui» (Gv 14,23).Dio è amore sorprendente, infinito,struggente, prende l’iniziativa sempre,e per sempre. Anche ora, per ciascuna,e per la famiglia religiosa, e per il mondo;per chi è smarrito o perduto vannole sue preferenze, perché è Parola, èParola incarnata per questo.Il Capitolo ci propone la sfida dirileggere la nostra storia, i nostri dati, inostri passi, le nostre attese, come storiasacra, da accostare in modo dinamico,assecondando le domande di senso, interrogandoil Signore: «… perché ci haifatto questo?» (Lc 2,48) e assumendoci la16 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


esponsabilità di ascoltarlo: «Parla, perchéil tuo servo ti ascolta» (1Sam 3,10).«Ascoltatelo»: Interioritàe ascoltoAscoltare la Parola di Dio attestatadalla Scrittura equivale ad ascoltareCristo che parla; viverla è vivere il Cristo.La Parola è Cristo. Questa veritàviene formulata dall’autore della letteraagli Ebrei all’inizio del suo scrittoin questi termini: «Dio, che aveva giàparlato nei tempi antichi molte volte ein diversi modi ai padri per mezzo deiprofeti, ultimamente, in questi giorni,ha parlato a noi per mezzo del Figlio»(Eb 1,1-2).La Parola si è fatta carne in GesùCristo, il Figlio di Dio (cf. Gv 1,14).Nell’episodio della Trasfigurazionela voce celeste invita i discepolipresenti ad ascoltare Gesù: «Egli stavaancora parlando, quando una nubeluminosa li coprì con la sua ombra. Edecco una voce dalla nube che diceva:“Questi è il Figlio mio, l’amato: in luiho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”»(Mt 17,5). Ascoltare Gesù significaascoltare il Padre, perché Gesùnon dice altro se non ciò che a sua voltaha udito dal Padre (cf. Gv15,15).Non si tratta di unascoltare fisico né di unsemplice coinvolgimentoaffettivo, è qualcosa di più,come si evince dal fattoche “ascoltare” la sua parolaequivale a “rimanerein lui” (Gv 15,10). L’usodi questo verbo, caro all’apostoloGiovanni, designal’unione con Cristo e lapartecipazione alla sua vitae, per mezzo di lui, alla vitadel Padre (cf. la metaforadella vite e dei tralci in Gv15).“Stare” sull’interioritàcome processo può significareaccogliere nuovamente la Parola:«Per questo io piego le ginocchiadavanti al Padre, dal quale ha origineogni discendenza in cielo e sulla terra,perché vi conceda, secondo la ricchezzadella sua gloria, di essere potentementerafforzati nell’uomo interiore medianteil suo Spirito» (cf. Ef 3,12-16)A Paolo fa eco madre Elisabetta:«Guardatevi dall’essere uno spirito inquieto,svolazzatore, incostante; mastate bene attente di vestirvi di unospirito quieto, fisso, raccolto, pacificonell’interiore ed esteriore, nei moti e neigesti; né mai divider dovete le ali, cioèi vostri affetti: al cielo una e l’altra allaterra, ma in Dio solo prendete il volo»(I 31,6; D 823; D 1088).Suor Alessandra Fantin (a destra) si intrattiene con le suorecapitolari sul tema che illumina Lo strumento di lavoro del 29°capitolo generale (luglio 2011); a sinistra, suor Francapia Ceccotto.Ri-centrarsi in Gesù,Parola fatta carne“Stare” sull’interiorità come processopuò significare soprattutto ricentrarsisu Gesù.È questa esigenza diffusa un segnodella vitalità, della nostalgia che ciabita…, per essere somigliantissime alui (cf. Strumento di lavoro, 15).È lasciarsi incontrare, lasciarsi trasformaredalla Parola, lasciarsi condurre,scegliendo le modalità più adatte allapersona, alla comunità: lettura orante,lettura continua, lettura liturgica, lectiodivina, shalom, lettura comunitaria,lettura sapienziale sulla storia personale,territoriale, mondiale…; privilegiareil contatto assiduo, personale; ascoltareGesù con cuore ardente; porsi in dialogo-ascolto,in silenzio, e consentire cheil seme marcisca, metta radici, germoglie porti frutto (cf. Relazione di madreMargherita p. 66).Alla scuola di madre Elisabetta,discepola di Gesù, madre e maestra,possiamo sentirci introdotte all’ascoltodi Gesù. Anzitutto, Elisabetta suggeriscedi tenere in alta considerazione la Paroladi Dio, discernere a cosa conduce,non soffocarla: «Figlia carissima, sideve far conto di tutto ciò che allavirtù ci porta e si renderà stretto contod’ogni buon pensiero, che dire si puòispirazione e parola di Dio. Perciò,avuta che l’abbiamo, bisogna vederea che quella ci porta, se al disprezzo dinoi, se a corrispondenza, se a umiltà,se a obbedienza; ma, conosciuto cheabbiamo la volontà divina ed il nostrodovere, ci costi ciò che costare cipossa, bisogna operare pernon soffocare l’ispirazione»(E 10); «Mancheranno sìil cielo e la terra, ma nonmai la sua divina parola» (E199; E539)In secondo luogo bisognaaccogliere la parola,ricorrervi con fiducia perchésapiente, amorosa, infallibile:«Perché nei bisogninon ci portiamo all’infallibileparola?» (E 541). Ancora: fare propriol’invito a trattenere soventei detti di Gesù, secondo lavia della interiorizzazione,della ruminatio: trattenerela parola, custodirla… comeMaria: « […] respira coialle fonti<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 17


alle fontidetti di Gesù Cristo, che t’insegna asalvarci certamente» (E 487). Oppure ricorrere a lui a secondadella situazione interiore in cui ci veniamoa trovare, come stupendamenteespresso nella lettera 206 (Epistolario,pp. 292-293). Elisabetta confessa il suo amorepersonalissimo per il santo Vangelo:«Presi tosto il libro dei santi Evangelie mel posi vicino al letto per toccarlonelle mie tentazioni, sicura che a queltocco, che inchiesta di resistere lo intendea,ne sarei esaudita. Sovente bacioper tenerezza e stringo al seno queidetti che dalla sapienza eterna sortironoper nostra istruzione» D 1149. E ci insegna anche a pregareprima di leggere o ascoltare, per intenderela Parola: «Oggi alla Messapregava il Signore, prima del santovangelo, a darmi lume per intenderlocon particolar lume come a lui piaceva:era quello dei talenti; ma mi fu tostomostrata la diversità della semente così:abbenché tutto in buona terra gettatosia il grano, vi sono dei climi chedanno più raccolti in un anno; ve nesono degli altri che ne danno uno, maè più buono; ve ne sono altri che, comeil suddetto, una sola volta all’anno dàil suo frutto, in più abbondanza ma dimeno peso e minor qualità» (D 2833).Ri-centrarsi in Gesù,presente nella comunitàe nei fratelliLa Parola è il dono che illumina lerelazioni, la comunità e le singole sorelleche la compongono, che motiva ecorrobora l’attenzione e la cura fraterna,e può rinnovare la nostra vita, perché,anzitutto, la vita fraterna è donoe poi impegno, fatica… (cf. Relazionesuperiora generale, p. 18).Sulla vita di relazione madre Elisabettaè maestra: usare con le personelo stesso tratto amoroso che Dio usacon noi: «Egli pazienta, oh quanto!»(E 300).Approfondimento del materiale del Capitolonella gioia della fraternità, in Kenya.«La messe in cui Dio ci pose – scrivea una superiora – è veramente apostolica.Delle figlie che c’inviò, nonpoche paragonare possiamo ai compagnida Gesù eletti per fondamentalipietre della sua Chiesa.Conosce ben Egli, o figlia, di qualisoggetti abbisogniamo per il disimpegnodelle nostre obbligazioni e,nell’inviarci le rozze, le goffe e le povere,credi tu che a suo tempo non levoglia quali abbisognano essere pelbene delle povere inferme nelle qualiè nascosto?Ma assicurati che tu e meora abbisogniamo di queste sì rozze egoffe per l’acquisto di quella carità chein noi non è ancor della vera; di quellapazienza inseparabile da tal carità edancora per la perdita di quella fiduciache abbiamo, abbenché non ci sembri,nei nostri detti, viste e progetti, tutti invero ai nostri comodi ed amor proprioadattati» (E 324; E 474).La carità genera pazienza e tolleranza.«Se mirerete continuamente nellevostre ammalate, la persona stessa diGesù Cristo non vi riuscirà sicuro gravosoalcun peso… Difatti, vi ricordo,che, sebbene quelle ammalate sonogente rozza, sono tuttavia tutte occhiper mirare alla maniera con cui tolleratele loro miserie, per vedere comevi portate tra voi, se con scambievoleamore, se con modesto e grave procedere,se state altercando tra voi... Procurateinsomma di farvi vedere sempreoccupate a loro vantaggio, di parlarloro sommessamente, dolcemente ecaritatevolmente, rendendovi loro comealtrettante madri tutte amore ecarità» (I 40,4).«…non vi lasciate per carità sorprendere,o figlia mia, dal morbo chevi passeggia vicino. Ah! sono scintilleche possono scoppiare in grandi incendidi odi, di vendette, di avversioni e dialtre peggiori cose.«Battagliate, o figlia, nei suoi principi,passioni sì detestabili; rammentateviche la carità è benigna, senzainvidia, paziente, senza gelosie, senzacontrasti. Volete piacere ed essereamata da Gesù: vi abbisogna la carità,non apparente, ma vera. Gesù vi siail modello di questa. Per ora vi basti»(E 422).Carità verso i fratelli tutti.«Io mi sento per Gesù sì amantech’io sfogherò il mio amore nel servire,tollerare ed aiutare a norma dei bisogniil caro prossimo mio, figurato e vedutoda me per Gesù» (D 1774).«Nel prossimo adunque la miaimmagine si miri: quella del cattivo,deformata da vizi e colpe, si miri etratti per pulirla, in modo che mostriegli pure l’immagine mia che gli donaie perciò amare si deve ognuno perlodare negli uni Iddio, e per soccorreregli altri per amor di questa bella, madalla colpa coperta, immagine. Contal consimile lume a quello di ieri, siaccrebbe il mio amore per li prossimi,che spero fecondo di opere caritativedistinte» (D 2603).Parola, ascolto e ritorno al “centro”:la Madre ne ha fatto luminosaesperienza lasciandosi progressivamenteformare dallo Spirito.La sua vicenda e il suo magisterosono per noi indicazioni di vita: esseredonne vere, vale a dire non senza limiti,ma profondamente segnate, abitateda una passione che si rinnova perchésensibile alla Bellezza contemplata esempre più forgiata dall’interiorità. alle fonti18 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


accanto a...anzianiNATALE 2011 A CASA “DON LUIGI MARAN”La forza di seguire una stellaEsperienze vitaliIl periodo natalizio nella Casa “DonLuigi Maran” di Taggì di Sottoè stato per molti la possibilità divivere l’attesa del piccolo Gesù consperanza e trepidazione.Il servizio educativo - attento albenessere di ogni singolo ospite che siesprime anche nelle relazioni e negliaffetti, così come nei momenti di svagoe di festa – ha ideato un laboratorioin cui gli ospiti si sono ritrovati perstare in compagnia e insieme realizzarepiccoli prodotti cuciti, dipinti eincollati con le proprie mani, espostipoi nel mercatino di Natale (nella fotoin basso).Accanto a questa attività, duranteil mese di dicembre, sono stati propostialcuni momenti di riflessione sullefigure del presepe: ogni settimana diavvento, ispirandosi ai personaggi del“pastorello”, del “Re mago”, di Mariae Giuseppe, gli ospiti sono statiaccompagnati all’incontro con Gesùvegliando, seguendo la stella e rispondendoall’annuncio dell’angelo.Un momento particolarmente sentitoè stato quello condiviso con laparrocchia in cui la Casa è inserita:nell’ampia sala delle feste, gli ospitihanno ricevuto la visita del gruppodella “Bella età” e del parroco. Dopo lacelebrazione liturgica particolarmenacura del Servizio educativoNumerose le occasioni di festae di condivisione per gli ospiti,suore e laici, di Casa “Maran”in preparazione al Natale 2011.te curata, gli amici della parrocchiahanno portato i loro auguri offrendoun momento di convivialità con laconsegna dei pacchi-dono da partedi Babbo Natale che d’improvviso ècomparso tra le persone con le sueceste. L’atmosfera si è fatta ancorapiù emozionante con il canto di alcunemelodie tradizionali natalizie. Laconsegna dei doni è poi seguita in tuttii reparti, raggiungendo gli ospiti e lesuore allettati.Ma come non ricordare il concerto– appuntamento oramai consolidatonel tempo – offerto dai ragazzi dellescuole medie di Villafranca? L’incontromusicale con gli ospiti della Casaè stato vissuto come un momento disolidarietà e fratellanza per prepararcia vivere meglio la spiritualità e il calorepropri del Natale, attraverso l’ascoltodi brani che richiamavano la nascitadel Redentore. L’iniziativa, realizzatagrazie alla disponibilità e alla sensibilitàdei ragazzi, ha dato l’opportunitàdi uno scambio di auguri di pace eserenità e di strappare un sorriso a chiversa, tante volte, nella sofferenza enella solitudine.Tra le tante testimonianze di vicinanzadel territorio agli ospiti dellastruttura ci piace ricordare le istituzionicomunali che hanno partecipato alladecorazione della Casa regalandocidue grandi abeti per gli spazi esterni.Grazie a tutte queste presenze Casa“Maran” si è sentita una grandefamiglia riunita che ha condiviso spazicomuni per vivere insieme i momentidi festa. Anche gli addobbi e le decorazioniposti nei reparti e frutto dellavoro degli ospiti hanno fatto respirarearia di casa, quel calore che sa difocolare domestico.Un cenno va fatto anche alla collaborazionecon i bambini della scuoladell’infanzia “S. Giuseppe” di Padovaper la realizzazione di un orto alimentareall’esterno della Casa, progettoche ha creato un legame tra i bambini,le maestre e alcuni ospiti; un legametale che alcuni ospiti sono stati invitatia partecipare alla recita di Natale deglialunni nella loro scuola. Entusiasmo egrande gioia si sono stampati nei voltisoddisfatti e sereni degli ospiti.Infine due altri concerti. Il primodel coro degli alpini dell’Alta Padovanache ha offerto un repertorio dicanzoni popolari in vari dialetti (veneto,valdostano, friulano e sardo) ecanti natalizi, alcuni noti altri meno. Ilsecondo, del gruppo “Nel tuo nome”,già conosciuto dalle persone della Casa,che ha proposto brani dal caratterespirituale che hanno accompagnato lepersone fino all’arrivo della Natività.Grate di questa ricchezza che hariempito il cuore a noi, al personale ein special modo agli ospiti della Casa,speriamo di poter continuare ad offrireoccasioni di vita e di bene. accanto a... anziani<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 19


accanto a...giovaniCRISTIANI A CONVEGNORispondere all’Amore?La risposta alla chiamata di Dio dono del suo amoredi Barbara DanesistfeInsieme, per riprendereconsapevolezza che si puòrispondere alla chiamata di Diosolo perché la vocazioneè dono della sua grazia.Dal 3 al 5 <strong>gennaio</strong> <strong>2012</strong>, comeogni anno, si sono incontratia Roma per il Convegno NazionaleVocazioni più di 800 persone,provenienti da oltre 160 diocesi dellaChiesa italiana tra sacerdoti, religiosee religiosi, giovani in formazione,coppie di sposi, laici. Insieme hannofatto squadra attorno alle sfide cheil mondo oggi propone alla pastoralevocazionale.La presenza di tante persone,espressione di tutte le vocazioni nellaChiesa, ha permesso di respirare ungrande senso di comunione, a partiredal quale si può davvero iniziare ocontinuare a “lavorare in rete”. Losentiamo ripetere spesso; è sempre piùnecessario lavorare insieme non soloperché talvolta vengono meno le forzedei singoli, ma soprattutto perché unaè la persona e unico è l’obiettivo dellapastorale vocazionale: accompagnare igiovani alla scoperta e all’accoglienzadel progetto di amore di Dio. Lavorareinsieme non è nemmeno presuppostoper avere garanzie di risultati sicurie veloci, ma permette testimonianzadi comunione, fondamentale per ogniproposta cristiana e vocazionale, comeha ricordato don Nico Dal Molin,direttore del Centro Nazionale Vocazioni(CNV).20 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>Momento della preghiera guidatadalla comunità di Taizé.In questo caldo, fraterno contesto sisono inserite le varie proposte del convegno,intitolato “Rispondere all’Amore...si può. Le vocazioni, dono dellacarità di Dio (Deus caritas est, n.17)”.La Parola, l’Amore ela GraziaI giorni del convegno sono stati letteralmenteinondati dalla Parola, unaparola viva perché intrisa di profumi diumanità. L’intervista- testimonianzadi padre Gabriele Ferrari, già superioregenerale dei missionari saveriani, cheha dato avvio ai lavori, ha mostrato comeogni storia umana, ogni vocazionepresenti tempi di pace, di gioia e tempidi crisi, di buio e come anche questimomenti siano occasione per ridire ilproprio sì al Signore, il Fedele.La Parola si è fatta molto vicina poiattraverso l’intensa meditazione dellabiblista Bruna Costacurta sui testi delCantico dei Cantici, contenitore vivodi amore divino e amore umano.In sintonia con la lettura del Canticosi è posto frère Alois, priore dellacomunità di Taizé, che ha proposto unalettura attuale e originale della realtàgiovanile, a partire dalla sua esperienzadi incontro con i molti giovani che frequentanola comunità di Taizé. La faticadi credere di molti giovani, la sfiducianell’umanità che oggi trionfa, le feritedolorosissime che molti si portano nelcuore non possono arrestare il messaggiovivo e concreto che Gesù porta ancorae del quale noi cristiani dobbiamoessere testimoni reali e robusti.Infine, l’intervento del card. GianfrancoRavasi, che ha dimostrato come,sempre a partire dalla Parola, all’originedi ogni vita e di ogni chiamatac’è Dio e la sua presenza, che chiamain causa la responsabilità e la libertàdell’uomo .Domanda o affermazione?Il titolo: Rispondere all’Amore... sipuò è in forma affermativa. Ma ne siamoproprio sicuri? La frase può anche esserevolta in forma interrogativa. Rispondereall’Amore... si può? Durante i giornipiù volte è avvenuto questo scambiotra punto fermo e punto interrogativo,arricchendo i contenuti proposti coninteressanti e suggestive riflessioni.Nel messaggio proposto da papaBenedetto XVI, in occasione dellaprossima Giornata mondiale di preghieraper le vocazioni nella IV domenicadi Pasqua, il 29 aprile <strong>2012</strong>,c’è un’affermazione che ritorna comeun ritornello: «Tutte le vocazioni sonodono della carità, dell’amore gratuito diDio», «La fonte di ogni dono perfetto èDio amore: Deus caritas est». Ciascuno


accanto a...giovaniè frutto del pensiero amoroso di Dio.Questo è il mistero e la bellezza di ognivita umana.Avere questa consapevolezza significadare un orientamento particolarealla vita ed è il punto di partenza perfidarsi e affidarsi al Dio Amore checontinuamente chiama; è motore pervivere con abbandono insieme a determinazione,responsabilità e fedeltà lapropria vocazione, perché ben fondatisulla roccia che è Dio e radicati nel suoAmore che precede, aspetta, conduce.L’ urgenza di un annuncioIl convegno ha affidato questocompito ai partecipanti: è urgenteriannunciare la bellezza e la bontà dell’amoredi Dio, è necessario dirlo conforza ai giovani che non riconosconostrade di vita buona sulle quali camminare,non sentono la Voce, pienadi dolcezza e affetto che li chiama perrealizzare sogni di felicità.Dinanzi al Dio Amore, che nonpuò far altro che amare, di fronte allacertezza che è lui stesso il garante dellabuona riuscita della vita perché lui neè l’artefice, ogni paura, ogni incertezzacade e lascia spazio alla fiducia. Ciascuncristiano adulto sia testimone diquesta esperienza e, con la propria vitadonata, dica ai molti giovani smarritidi questo tempo «Fidati, rispondereall’amore si può». Affermativo! accanto a... giovaniINCONTRO DI GIOVANI AD ASSISIVivere come fratelli: un’arteEsperienza di condivisionea cura di Lina Lago eEmiliana Norbiato stfeSpesso le parole che noi usiamo cisono chiare a livello intellettuale,ma ben altra cosa è comprenderlecon il cuore, la vita, l’esperienza.“L’arte di vivere come fratelli” puòessere uno slogan bello, sappiamo anchecosa significa ma ben altra cosa ègustarne tutta la ricchezza la bellezzasperimentata dentro un’esperienzadi fraternità dove si condivide vita,preghiera, servizio, ma anche sogni,ricerca, speranze, cosa non facile néscontata.“Abbiamo imparato a volare comegli uccelli, a nuotare come i pesci,ma non abbiamo imparato l’arte divivere come fratelli”. È il titolo dellaproposta offerta ai giovani, in Assisipresso la comunità “Incontro” dal 2al 5 <strong>gennaio</strong> <strong>2012</strong> (nella foto). L’ab-biamo tratto da uno scritto di MartinLuther King. Non arte come abilità,tecnica, come un saper fare, come unostudio fine a se stesso ma arte perchémetto in gioco tutta la mia persona e…imparo, imparo sempre, imparo ognigiorno, dalle piccole alle grandi cose,imparo riconoscendo innanzi tutto inogni persona dignità, ricchezza, dono;imparo che vivere come fratelli è condividere,partecipare, collaborare, maè pure impegno sacrificio, pazienza.E questo l’abbiamo vissuto ponendocida fratelli in ascolto della Parola<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 21


accanto a...giovanidi Dio, rivisitando l’esperienza di sanFrancesco, sostando e pregando neisantuari francescani dove tocchi conmano la potenza della sua grazia quandoincontra la disponibilità dell’uomo,ma l’abbiamo anche sperimentato, siapure in modo semplice, con il servizionella Casa di riposo “Rossi” e all’Istituto“Serafico” (che accoglie personepluriminorate), in Assisi e con il serviziodi chi si è rimboccato le manicheper i lavori in casa.Una proposta che speriamo abbiamesso nel cuore dei giovani un po’ dinostalgia, perché scoprire che la vitaha senso solo se donata e condivisa èdavvero un grande dono del Signore.Ascoltiamo la risonanza di questaesperienza nella testimonianza di Elisae Loretta, novizie elisabettine.«Guardiamo a te che sei/ Maestro eSignore,/ chinato a terra stai:/ ci mostriche l’amore/ è cingersi il grembiule,/sapersi inginocchiare:/ c’insegniche amare è servire…».Quando penso a L’arte di viverecome fratelli, mi vengono in mente leparole di questo canto per il Giovedìsanto. E se ascolto queste parole, rivedoi preparativi di quei giovani alle presecon i loro servizi: cingersi il grembiuleper lavorare in giardino o fare puliziein casa, chinarsi davanti alla debolezzadi un anziano, inginocchiarsi nell’umileservizio richiesto dagli operatori dell’Istituto“Serafico”.Condivisione e verifica dell’esperienza.Giovane in un momento di riflessione.Dietro a questi gesti abbiamo scopertoche c’è l’amore: in quelle mani provatedalla fatica o tese alla compassione;nello sperimentarsi per la prima voltacon la pulizia dei vetri o il lavaggio deipiatti e scoprirsi soddisfatti, scoprirsidesiderosi di rifarlo anche a casa; nelrivalutare piccole attenzioni che fannospazio all’altro, a chi condivide la prossimitàdell’umanità… Ci sarebbero tuttigli ingredienti per fare un buon corso dieducazione domestica o civile, imperniatosul rispetto e sulla filantropia, senon che questo servire in questi giorni èstato incorniciato dalla preghiera dellaChiesa e dalla celebrazione eucaristica:forse niente di nuovo, di straordinario,di appositamente pensato, ma proprioperché così, gratuito e universale. «Restituireal Signore Dio altissimo e sommotutti i beni e riconoscere che tutti ibeni sono suoi e di tutti rendergli grazie,perché procedono tutti da lui» (FF 49)è stata la giusta cornice dove inserirela bellezza di questi giorni, perché lui,Gesù, il Signore e Maestro, è il primo afarsi servo dei suoi.È difficile riassumere che cosa cisi porta a casa: forse la sazietà di unbanchetto gustoso, forse la semplicitàdella condivisione, forse tante domandee tanti desideri… ma se il Signore ci haraggiunti nel luogo del nostro cuore, seha guardato a noi come un tempo haguardato a Francesco nella nostra “Assisi”,di oggi, possiamo star fiduciosi chenon mancherà di dare anche a noi, dei“frati” e di dirci cosa fare (FF 116) pervivere come figli.Elisa Parise«Adorare: fare oggetto di grandissimoamore», il dizionario Garzanti lospiega così.Quattordici giovani: educatori, responsabiliparrocchiali, seminaristi, novizie,cappellano e suore, per una notteci siamo fermati ad adorare.“Come funziona?”. “Un’ora è insistitotanto sull’importanza di avere fratellie di fare servizio: lo spaesamentosembrava più che giustificato.Quella definizione, trovata su unlaicissimo Dizionario della lingua italiana,mi ha aiutato a riordinare ipensieri: quello che ci è stato chiestonell’adorazione è stato fare di Dio l’oggettodel nostro grandissimo amore. El’amore, si sa, ha bisogno di tempo, disilenzio, di solitudine, d’intimità, ha bisognodi presenza, di pazienza, l’amoreha bisogno di essere in due.Forse per non correre il rischio dibastare a noi stessi, per non farci credereche svolgere un servizio comporti unesercizio esclusivamente fisico, quellanotte ci è stato chiesto di allenare ilnostro cuore ad amare. Per poter portareanche questo agli altri, perché quando leforze non bastano, quando la stanchezzadello stare insieme si fa sentire, quandola mente non ha più buoni motivi percontinuare, allora scopriamo cos’è checi muove e dove troviamo quel pezzettodi vita in più che va ben oltre la nostrache, alle volte, non ci basta.Loretta Panizzonaccanto a... giovanii22 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


vita elisabettinaMOMENTO DI VITA “TERZIARIA” ALLARGATANel <strong>gennaio</strong> pordenonesecon il beato OdoricoL’onore alla reliquiareso anche dalle suore della cittàdi Walter Arzaretti 1Onorare i santiincoraggia e accrescel’impegno a viverela vita cristiana.APordenone - e aUdine, presso l’arcatrecentesca dove riposail suo corpo - ogni<strong>gennaio</strong> si ricorda con doviziadi celebrazioni il beatoOdorico, grande missionariofrancescano, del qualeè stata riavviata la causadi canonizzazione. Di lui siparla con ammirazione perl’incredibile viaggio compiutonell’Estremo Orientequasi sette secoli fa.Particolare attenzionesuscita la descrizione, da luidettata per obbedienza alSuperiore nel convento delSanto a Padova (l’Itinerarium,maggio 1330), di usi ecostumi dei popoli dei paesiasiatici che visitò: la Persia,l’India, Ceylon, la Thailandia,la Malesia, le isoledell’attuale Indonesia, delleFilippine, infine il “continente”Cina, giacché meta delsuo viaggio via terra e marefu l’attuale Pechino: siamoai primi del Trecento (!).Odorico affronterà ilviaggio di ritorno attraversola Via della Seta, passandoper il Tibet, l’Afghanistan el’Asia Minore, per morire aUdine, nel convento di SanFrancesco, il 14 <strong>gennaio</strong>1331.Non fu però un viaggiatore-esploratore:egli partìcon l’unico scopo di «fareacquisto di anime», cioè difar conoscere Cristo e ilVangelo della pace e delbene così ben impersonatodai francescani della primaora: per questo, ovunquearrivò, egli battezzò (si parladi ventimila battesimi da luiamministrati).Ma va anche ricordata lasua vocazione alla contemplazione,nella quale visseper diverso tempo in alcuniconventi francescani isolatidel Friuli, prima della partenzaper l’Oriente.L’Odorico “santo” è risaltatonella bella riunioneattorno a lui delle suoredi Pordenone, città dovesi trovano attualmente solocomunità di elisabettine.Essa ha concluso, domenica29 <strong>gennaio</strong> nellacasa di via del Traverso, ilprogramma celebrativo delmese odoriciano (lo avevanoiniziato le religiose della cittàdi Udine a inizio <strong>gennaio</strong>).Qui l’insigne reliquia,conservata a Villanova diPordenone (luogo natale delBeato), è stata intronizzataalla fine dei vespri solennie ha ricevuto le preghiered’intercessione delle consorellee di laici legati tuttialla spiritualità francescana:erano presenti infatti – oltrealle elisabettine delle trecomunità “San Giuseppe”,Alcuni partecipanti alla celebrazione in onore del beato Odorico,nella cappella della Casa “San Giuseppe” a Pordenone. Al centrodon Bernardino Del Col con in mano il prezioso reliquiario.“Santa Maria degli Angeli” e“Don Maran” – le comunità“E. Vendramini” e “SacroCuore” e pure le suore diAviano; si sono aggiunti ungruppo dell’Ordine francescanosecolare e le suore<strong>Francescane</strong> di Cristo Revenute a fare “comunionetra santi”: ricorreva infatti lostesso giorno la vigilia della“memoria” annuale dellaloro Venerabile suor SerafinaGregoris (1873-1935),apostola del dolore a Venezia,nativa di Fiume Veneto,paese vicino a Pordenone.Don Bernardino Del Col,cappellano dell’ospedalecivile, ha ben sintetizzatola spiritualità dei santi dellaterra pordenonese, quasitutti messisi sulle orme delPoverello d’Assisi (pensiamoin particolare al beatoMarco d’Aviano).Sempre bello, e graditoai fedeli, il gesto del “bacio”alla reliquia, mentre al cantodell’inno essa raggiungeva lesuore anche nell’infermeria.Alla fine un dono a tuttele comunità di religiose presenti:i libri biografici dellaVenerabile Serafina (scrittodal compianto don PierluigiMascherin, già a noi notoquale parroco di Aviano evicario per la vita consacratain diocesi di Concordia-Pordenone)e di “FrateOdorico del Friuli” (scrittodallo storico don GiancarloStival e ora rieditato contavole a colori).È stato vissuto così unbell’anticipo della Giornatadella vita consacrata (2febbraio): siamo tutti infatti“consacrati alla santità”,nostra prima e definitivavocazione, sull’esempio deisanti che appartengono giàtotalmente a Dio. Il beatoOdorico da Pordenone,francescano intrepido, preghiper tutti noi! 1Segretario della CommissioneBeato Odorico per la canonizzazionee il culto, Pordenone.vita elisabettina<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 23


vita elisabettinaPROFESSIONE PERPETUA IN ECUADORIl “profumo di Cristo”riempie tutta la casaa cura di Jéssica Roldán Mendoza stfeDomenica 12 febbraio <strong>2012</strong> suor Violeta Reina Murilloha pronunciato il suo sì per sempre al Signore nellafamiglia elisabettina, nelle mani della superioradelegata suor Lucia Meschi (nella foto: la firmadell‘atto di professione). La celebrazione, nellachiesa parrocchiale “San Pietro”a Portoviejo, è statapresieduta da monsignor Lorenzo Voltolini, vescovodell’arcidiocesi di Portoviejo.Giorno di festa per lafamiglia elisabettina:oggi una delle suefiglie dice il suo sì per sempreal Signore.Il profumo di nardoche la donna di Betaniaha sparso sopra Gesù (cf.Gv 12, 1-8) è immagine esimbolo di quell’olio divinoe della sua forza vitale dicui si parla nel salmo 45,8:«Dio, il tuo Dio, ti ha untocon olio di letizia, più deituoi compagni». È l’olioche Dio Padre ha sparso suVioleta che nel proferire ilsuo sì per sempre nella nostrafamiglia elisabettina siè resa disponibile affinchéquesto balsamo ‘celeste’ sidiffonda e riempia i vasivuoti della Chiesa oggi. Anchela povertà di cui siamoimpastate si fa ricca graziea questo tenero gestodel Signore e gioiosa gridal’abbondanza dell’amore.E noi ci uniamo all’offertatotale di suor Violeta: rinnoviamocon gioia il nostrosì alla persona di Gesù nellafamiglia elisabettina, per laChiesa per l’umanità intera.Auguriamo a suor Violetadi continuare a spargerela fragrante allegria eun amore senza misura epreghiamo perché mai siesaurisca l’olio di una vitaofferta e grata per il donodella vocazione.Accogliamo quanto havoluto condividere.Fra millescelta per GesùPorsi al seguito di Gesùvuol dire affondare nelleproprie radici, far contattocon le proprie debolezze ericonoscere che comunquesiamo chiamate da lui.Gesù scende per incontrarci;la sua luce brilla nelletenebre e illumina le nostredebolezze e la nostra povertà.Egli mi ha invitata acondividere la sua stessavita, ad avere coraggio di risponderealla sua chiamata.Gli anni trascorsi sonostati per me pieni di esperienzeindimenticabili chemi hanno coinvolto esistenzialmentee spiritualmente.Ho sperimentato tempi dilotta e di ricerca, abitatadal desiderio di porre Diocome l’assoluto della miavita e giungere al momentodella scelta definitiva senzainfiacchimenti: ad ogni rinnovazionedella professionemi proponevo ciò, ma – sisa – la vita è cosa altra eIl gruppo delle suore elisabettine e dei celebranti: al centro ilVescovo, alla sua destra suor Violeta, alla sua sinistra suor Lucia.ogni volta mi sembrava diessere all’inizio.Aperta a discernere divolta in volta il suo progetto,mi sono proposta di esseredonna dal cuore convertitoche cerca la volontà del Signoree assume l’avventuradi questo amore con tutte lesue implicanze.È questo amore appassionatoche mi porta a usaretutti i mezzi per incontrare ilSignore nella quotidianità, alavorare concretamente pertrovare il significato ultimodella mia vita e scoprire lagioia del mio essere elisabettina.Mi appartiene anche laconsapevolezza che nellamisura in cui il mondo siva trasformando anche lanostra “missione” cambiae nuove frontiere si apronocon interrogativi inediti. Equi trova spazio la creativitàche si esprime nella capacitàdi offrire risposte adeguate:la capacità di accenderealtri fuochi, direnne madreElisabetta Vendramini.Il mio “fango” – fragile,debole e vulnerabile – è benedettodalla presenza delloSpirito Santo che ravvivain me la passione per Dio eil suo regno, che fa ardereil mio cuore di passioneapostolica.Ringrazio il Signore per ildono della vocazione e lo pregoperché mi sostenga con ilsuo amore, mi accompagni emi renda capace di un amorefedele sino alla fine.suor Violeta Reina Murilo24 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


SOLIDALI PER SUSCITARE SOLIDARIETÀProgetti di aiuto in EgittoAbu Zaabal: un lebbrosario nel desertoa quaranta chilometri dal Cairoun ospedale-villaggio composto da tre “quartieri”, dueÈ riservati agli uomini e uno alle donne; ospita circa 850ammalati.Ad esso è connesso un villaggio abitato da 370 famiglienelle quali almeno uno dei genitori è un ex hanseniano(malato guarito dalla lebbra, chiamata morbo di Hansendallo scienziato che ha isolato il bacillo) che non ha potutoreinserirsi nel luogo di origine.La lebbra discrimina, rende l’ammalato un morto civile!Tuttavia si deve riconoscere che l’opinione pubblica è miglioratanel considerare chi è colpito da questa malattia.Le suore francescane elisabettine sono arrivate ad AbuZaabal nel 1985.Esse offrono non solo prestazioni infermieristiche ma sifanno sorelle e madri; sono intermediarie presso chi amministrail lebbrosario perché ciascun ospite si senta “persona”amata, rispettata, viva con dignità e riacquisti quella autonomiache gli permette di costruire una vita serena ancheattraverso un lavoro adeguato.Ad Abu Zaabal cristiani e musulmani convivono serenamentee si aiutano a vicenda, li unisce la comune speranzadi superare i limiti della malattia e, nei più giovani, la volontàdi lottare per vincerla così da reinserirsi nella società.Il lebbrosario è governativo e come tale gode di autonomiaeconomica per la... sopravvivenza! ma poiché la vitarichiede molto di più le suore stanno favorendo la presenzadi volontari egiziani ed europei che portano in dono amicizia,cura e aiuto nella realizzazione di progetti che miglioranol’insieme della struttura.Progetti per rendere autosufficienti gli ammalati– una protesi ortopedica: euro 500 favorire reinserimento e autonomia a guarigioneavvenutacontributo per comperare:– un asino: euro 200– una mucca: euro 850– una macchina da cucire: euro 250– una pompa per l’acqua: euro 450– per avviare un piccolo negozio: euro 850Referente in Egitto<strong>Suore</strong> elisabettine,50/B Rue Abdel Aziz Fahim, app 22Heliopolis - tel 0020.2.63.75.9REFERENTE IN ITALIA PER TUTTI I PROGETTI<strong>Suore</strong> elisabettine Casa generaliziaVia Beato Pellegrino, 40 - 35137 PadovaTel. 049.87.30.660 - fax 049.87.30.690Adozioni a distanza: un aiuto ai bambiniadozione a distanza è la modalità scelta, dalle suoreL’ elisabettine a Neqada e Tawirat (Qena) e a Maghagha(Minia) - due cittadine dell’Alto Egitto - per favorire lafrequenza della scuola materna e primaria da parte dibambini svantaggiati dalle precarie condizioni economichedella propria famiglia e soprattutto di bambine chenormalmente hanno meno possibilità formative.Normalmente l’“adozione” non comporta uno scambiodiretto di corrispondenza tra i “genitori italiani” el’adottato per evitare l’insorgere, nella famiglia di quest’ultimo,di nuove esigenze di aiuto non controllabili.La referente in loco si rende garante del corretto usodel denaro inviato e manda periodicamente notizie delbambino/a.La spesa annua che si deve affrontare è di 160 europer la scuola materna e 250 euro per la scuola elementare:essa non copre tutte le spese, una parte anche piccolae differenziata (commisurata alle possibilità economiche)la sostiene la famiglia perché non si ritiene educativo esonerarlacompletamente; è un beneficio di cui godono tuttii poveri, cristiani e musulmani indiscriminatamente.Non sono condizionanti i limiti di tempo per i quali cisi può impegnare.Ovviamente la continuità, pari alla durata del cicloscolastico prescelto, garantisce meglio l’azione di aiuto.L’adozione è annuale, rinnovabile.PER CONTRIBUIRE A TUTTI QUESTI PROGETTIsi può versare un'offerta direttamente, in contanti - anche a rate presso la sede di Padova delle suore elisabettine tramite CCP 158 92 359 tramite bonifico bancario pressoBanca Intesa BCI, via E. Filiberto, 12 - 35122 PadovaCIN C ABI 03069 CAB 12120 C/C 405430specificando la causale del versamento e non omettendoil proprio indirizzo se si desidera un riscontro.<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 25


memoria e gratitudineItaliaUNA VITA PER LA CHIESAIn memoria di due Vescovilegati alla famiglia elisabettinaa cura della redazioneDue chiese in lutto:la chiesa di Udine, il 1° <strong>gennaio</strong>per la scomparsa quasi improvvisadell’arcivescovo emeritomonsignor Alfredo Battisti;la chiesa di Treviso il 14 <strong>gennaio</strong>per la morte del vescovo emeritomonsignor Antonio Mistrorigo.Ne facciamo memoriaraccogliendo gli echi della stampalocale e nazionale.Radicatonella chiesa udineseUn vescovo coraggioso, un vescovoprofeta, un vescovo maestro nella carità,un vescovo con i suoi preti, tra la suagente, sulle macerie del terremoto del6 maggio 1976, capace di restituire alpopolo friulano la sua dignità culturale.Queste le espressioni più ricorrentisulla stampa nei giorni della scomparsadi monsignor Alfredo Battisti,avvenuta il primo giorno del <strong>2012</strong>.Nato a Masi in provincia e diocesidi Padova il 17 <strong>gennaio</strong> 1925, venneordinato sacerdote nel settembre 1947.Laureato in diritto canonico a Romanel 1951, nel 1955 ricoprì il ruolo dicancelliere e dal 1967 di vicario generalenella diocesi di Padova fino al 1972.In questi anni celebrava anche nellachiesa del Corpus Domini nella nostraCasa Madre e fu punto di riferimento eguida spirituale di molte suore.Il 13 dicembre 1972 fu eletto arcivescovodi Udine e consacrato il 2526 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>febbraio 1973 nella cattedrale di Udinedal vescovo Girolamo Bortignon.Il 28 ottobre 2000 venne accettatadalla S. Sede la sua rinuncia all’arcidiocesidi Udine e, dopo un breve periodocome amministratore apostolico (finoal 7 <strong>gennaio</strong> 2001), si ritirò presso ilsantuario “Madonna Missionaria”di Tricesimo. Anche da arcivescovoemerito continuò ad operare attivamentefino agli ultimi mesi.Ricevette la cittadinanza onorariadella città di Udine nel 2001; il PremioEpifania nel 2005 e la cittadinanzaonoraria di Gemona del Friuli il 5maggio 2006, a trent’anni dal terremoto.Morì verso le ore 15 del 1˚ <strong>gennaio</strong><strong>2012</strong> all’ospedale d Udine, dove erastato ricoverato il giorno precedente. Ilrito funebre si tenne il 4 <strong>gennaio</strong> nellacattedrale di Udine e fu presiedutodall’arcivescovo di Gorizia monsignorDino De Antoni, presidente dellaConferenza episcopale triveneta, concelebrantitutti i vescovi del Nord-Este i capi delle diocesi di Gurt-Klagenfurt,di Lubiana e Capodistria.Le sue spoglie riposano nella criptadella cattedrale di Udine.Tornano profetiche oggi le espressioniusate da monsignor AlfredoBattisti nel motivare la scelta di essereconsacrato vescovo nel duomocattedrale di Udine, lo stesso giornodell’ingresso in Arcidiocesi: «Desideroche fin dal primo giorno il mio episcopatosia radicato nella Chiesa udinese:che se il mio essere nato cristiano è avvenutolontano, questo rinascere comepastore del popolo di Dio, è giusto cheavvenga là dove la mia chiamata episcopalesi realizza come servizio».Gli anni del suo episcopato sonostati di grande lavoro, non solo dopoil terremoto del 1976, ma anche pri-Monsignor Battisti in una omelia nellachiesa di Orsaria di Premariacco (UD).ma – si afferma nella stampa locale.Battisti è stato un protagonistadella vita e della storia del Friuli nonsolo sul piano spirituale e pastorale maanche su quello sociale e culturale; hafatto della lingua friulana l’elementoessenziale della comunicazione: quellainterpersonale e quella ufficiale. Assiemealle diocesi di Gorizia e Concordia-Pordenone,si fece promotoree sostenitore di una azione affinchéquesta diventasse lingua liturgica. Einfatti nel novembre 1997 la Conferenzaepiscopale italiana approvò iltesto della Bibbia in friulano e la SantaSede, nel <strong>gennaio</strong> 2001, il “Lezionaripes domeniis e pes fiestis” (lezionarioper le domeniche e le festività) dove,accanto a quelle in italiano, vengonoriportate le sequenze della chiesa madredi Aquileia per le grandi festività,tratte dal “Missale Aquileyensis Ecclesiae”.Negli anni del terremoto e dellaricostruzione monsignor Battisti, assiemealla chiesa friulana, prese posizionichiare e forti rispetto al modellodi ricostruzione, alle priorità da dare,alla necessità di una rinascita ancheculturale, oltre che economica e materiale.Per lui non si trattava di rifare


solo le case, ma di ricostruire il Friuliperché il suo volto fosse nuovo, «nonstravolto o contraffatto - sono parolesue -, ma capace di riesprimere informa moderna i grandi valori etnici,culturali, spirituali e morali, che sonoil più prezioso patrimonio di questaterra»; per questo incoraggiò il popolofriulano ad assumere in proprio, senzadeleghe, la gestione della ricostruzionedel Paese.Con un’azione orientata a formarele coscienze dei cittadini all’impegnosociale e politico, investì se stesso ela sua chiesa nello sforzo di sensibilizzazioneai grandi temi della pace edell’attenzione al bene comune, anchecon l’istituzione di una scuola sociopolitica.Sul piano culturale a lui vail merito di essersi battuto con tuttele persone interessate per l’istituzionedell’Università di Udine.Nella pagina di “La Vita Cattolica”del 5 <strong>gennaio</strong> a lui dedicata, l’articolistaparlando del funerale, dopol’elencazione delle presenze istituzionali,sottolinea che «c’era davvero tuttoil Friuli per dare l’addio all’uomo eal sacerdote che, con animo sereno emano ferma, aveva saputo condurrela nostra terra fuori dall’emergenzadel terremoto del ’76. In prima fila imalati, i poveri, i diseredati, gli ultimi.Tutti coloro per i quali Battisti avevasempre una parola buona e un occhiodi riguardo».Monsignor Dino De Antoni nell’omeliaha sottolineato che Dio gliha dato grande sapienza e prudenza elarghezza di cuore. Monsignor Battisti«Ha vissuto in questa splendida terrafriulana la parte più importante dellasua vita in un momento ricco di storia,anche travagliata, con grande magnanimità,con capacità di tenere unitipopoli, tradizioni e culture diverse».E monsignor Andrea Bruno Mazzocato,attuale arcivescovo di Udine,ha magistralmente sintetizzato lospessore del pastore: «Possiamo direche, al termine del suo pellegrinaggioterreno, monsignor Battisti ha raccoltoi frutti del seme più prezioso che haLa bara, con gli elementi essenzialidel suo servizio pastorale.pazientemente sparso, lungo trentottoanni, in terra friulana: il seme dellacomunione. Anche quando c’era dapagare un prezzo personale, ha sempreseminato comunione cercando il dialogoe non la rottura, accostando conanimo delicato le persone, rincuorandocon il suo sorriso umile, vibrandoquasi istintivamente per i poveri e isofferenti».Il suo testamento spirituale con lagratitudine al Signore, esprime amoreper la chiesa e si suoi preti, soprattuttoper i suoi fratelli laici, lasciandotrasparire la sua luminosa fede nellarisurrezione di Cristo.Nella famiglia elisabettinaSono un po’ lontani i tempi dellapresenza di monsignor Battisti nellachiesa della nostra Casa Madre, ma ilricordo delle suore che l’hanno conosciutoe che da lui sono state guidatespiritualmente, è ancora vivo.Troviamo nel n. 1 di In caritateChristi del 1973 una nota circa la suaelezione a vescovo di Udine, a firma disuor Ida Quaggiotto: «Siamo liete dellasua elezione come si gode per “uno dicasa nostra”, che abbiamo visto crescereaccanto a noi per vent’anni ininterrottamente.L’abbiamo accostatoinfinite volte, sempre per chiedergliqualcosa: prestazioni del suo ministero,consiglio, dottrina… Quantesono le suore che lo hanno accostatocosì? Anche per tutte loro un ringraziamentoprofondo, che si traduce inpreghiera…».Per tutte, una testimonianza cheevidenzia la sua dote di direttore spirituale:L’ho conosciuto nel 1960, quandoall’età di quattordici anni, lavoravoalle Cucine popolari di Padova per undiscernimento vocazionale sul campo.Mediatrice dell’incontro è stata suorAusilia Baruffa che avevo conosciutonel mio paese, Zerman; in un fuggevolescambio circa la mia ricerca, mi haposto la domanda se avessi un direttorespirituale. Alla mia risposta negativa miindicò la persona di don Alfredo Battistiche celebrava ogni mattina nella chiesadel Carmine, in città.Quel primo incontro in confessionaleè vivo ancora oggi. “Vorrei farmi suora”,gli dissi. Non ha fatto riflessionisulla vita religiosa, non mi ha datoconsigli, mi ha solo chiesto il nome.Sebbene fossi molto giovane e un po’impaurita, ho subito intuito di avere1981: Monsignor Alfredo presiede l’eucaristia del venticinquesimo di professione dialcune suore elisabettine nella chiesa di San Guiuseppe in Casa Madre (foto Agep).memoria e gratitudine27


memoria e gratitudineItaliaincontrato un “uomo di Dio”, un sacerdoteche, al solo vederlo, ispirava venerazione,rispetto, stima, una personaeccezionale. Aveva un carattere dolce,ma deciso, affabile e allo stesso temporiservato. Il suo tono di voce caldo e pacato,il suo sguardo limpido e profondolasciavano trasparire una intensa vitadi comunione con Dio.Di fronte alla comunicazione delproprio mondo interiore (una esperienzadi altre suore di mia conoscenza) avevaun atteggiamento di contemplazione, diammirazione per le opere meraviglioseche lo Spirito santo sapeva operare inprofondità.Ho continuato la direzione spiritualedurante i tre anni di servizioalle Cucine, anni di fatica fisica, maintensi dal punto di vista spirituale chemi hanno introdotto nella affascinanteavventura della consacrazione religiosanella famiglia elisabettina che lui conoscevadirettamente.Monsignor Battisti mi ha insegnatol’uso frequente di giaculatorie durante lagiornata, così che “il Signore – diceva– sia il suo tormento”. Alla fine dei treanni, senza altri discernimenti, sonoentrata in postulato.In occasione delle tappe più importantidel percorso formativo – vestizione,prima professione, professione perpetua,sedicesimo di professione – ho sempreavuto modo di incontrarlo. Anche luigodeva con me nel vedermi procedereserena nella vita religiosa.Insieme alle suore del mio gruppo diprofessione ho avuto la gioia di averlopresidente della celebrazione del venticinquesimodi professione: il suo ritornoin Casa Madre è stato molto festoso,accoglinte e cordiale.Ho potuto partecipare alla sua ordinazioneepiscopale nella cattedrale diUdine, gremita di fedeli della diocesi diPadova e di Udine: della sua omelia mirisuona ancora l’interrogativo: “Avròio la capacità di amare tutti i mieifriulani?”. Io credo che ci sia davveroriuscito! La stampa che ho potuto averetra mano dopo la sua morte lo sottolineaampiamente. E ne sono contenta.suor Amabile Prete28 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>«Gli hai datolunghi giorni»Monsignor Antonio Mistrorigo,vescovo emerito di Treviso, è decedutonella Casa del Clero in via Scarpaa Treviso, dove viveva da tempo,assistito da alcuni sacerdoti e dadue suore elisabettine; il prossimo 26<strong>marzo</strong> avrebbe compiuto cento anni,settimo tra i vescovi più anziani almondo. Profondo è stato il cordoglionella comunità ecclesialetrevigiana per la perditadell’anziano pastore che haguidato la diocesi dal 1958al 1988.Da alcuni anni monsignorMistrorigo soffriva,tra l’altro, di problemi respiratoriche si sono andativia via complicando, mafino a qualche giorno fa,nonostante gli acciacchi, egli assistevaalla celebrazione eucaristica nella Casadel Clero.Nato a Chiampo, Vicenza, il 26<strong>marzo</strong> 1912, era stato ordinato sacerdoteil 7 luglio del 1935. Eletto vescovodi Lucera-Troia (Fg) il 9 <strong>marzo</strong> del1955, venne consacrato nella cattedraledi Vicenza il 25 aprile, assumendocome motto: Sitientes, venite ad aquas(Voi che avete sete, venite a dissetarvi);dopo tre anni, il 25 giugno 1958, è statonominato vescovo di Treviso doveha fatto l’ingresso il 3 agosto 1958.Monsignor Mistrorigo (nella foto)rimase alla guida della diocesi tarvisinafino al 19 novembre 1988, quandocedette il testimone a monsignor PaoloMagnani; di Treviso divenne vescovoemerito l’11 febbraio 1989.Il vescovo emerito era particolarmentelegato alla persona di GiovanniPaolo II, il papa che egli ospitò nellaresidenza montana di Lorenzago (Belluno)in più occasioni. Ecco uno tragli aneddoti che gli piaceva riportare.Inizialmente Wojtyla voleva rimanerenella tenuta di Mirabello il più brevetempo possibile, per non dover rinunciareall’udienza generale del mercoledì.«Non gliel’ha ordinata il Vangelo– gli disse un giorno monsignor Mistrorigo,che nel 1980 era stato nominatoanche assistente al Soglio Pontificio– per cui può rinunciare almenouna volta». «In effetti...» commentò ilPapa, che da quella volta prolungò lesue parentesi di riposo. Con un certohumor, in occasione di un compleanno,monsignor Mistrorigo confidava: «Trecose non mi sarei mai aspettato dallavita, di essere nominatovescovo, di poter vivere ilConcilio in presa direttae per tutti i quattro annidella sua celebrazione, diaver ospitato addiritturaun Papa in ben sei occasionia Lorenzago».Monsignor Dino DeAntoni così ne tratteggiala figura di pastore e di maestro nell’omeliadella messa di esequie da luipresieduta: «Nunc dimittis servumtuum, Domine, secundum verbumtuum in pace. Ora lascia, o Signore,che il tuo servo vada in pace secondola tua parola».Questo cantico che monsignor Mistrorigoha ripetuto ogni giorno dellasua vita di uomo credente, può sintetizzarela sazietà dei giorni che egli haraggiunto, pervenendo alla soglia deicento anni. Lunghezza dei giorni cheil Signore gli ha riservato, come risorsadi una giustizia morale e di una fedeorante, radicata nella Parola. Centoanni che gli hanno permesso di riconciliarsicon la vita e le sue ferite, maancor più per riconciliarsi con la prospettivadella morte. Cento invidiabilianni, quelli di monsignor Mistrorigo,per contemplare con tutta la forza diun cuore libero e saggio il misterodell’eternità che ha preso casa nellastoria. Una storia lunga, la sua, riccadi un secolo che va da Pio X ad oggi.Un secolo con avvenimenti culturali,politici, economici ed ecclesiali dentroi quali, per circa trentun anni, ha spesola sua esistenza per questa chiesa tarvi-


Monsignor De Antoni benedice la bara primadel congedo, nel duomo di Treviso.Giovanni Paolo II ospite di monsignor Mistrorigo a Lorenzago, servito da suor Silvinia(la prima da sinistra) Mei e da suor Raffaelina Dal Molin incontra un gruppo di suorecapitolari guidate dalla superiora generale, madre Bernardetta Guglielmo (a destra).sina, arricchendola di doni.Il primo dono fu l’amore alla liturgiache sembrò ad alcuni uno sfiziohobbistico, mentre si collegava allegrandi figure di monsignor Rodolfi,di monsignor Dalla Libera e dell’alloraarciprete di Schio, monsignor EliaDalla Costa (divenuto poi vescovo diPadova e in seguito di Firenze e cardinale- ndr)… Conoscere la liturgia;farla conoscere; parteciparvi; viverlae farla vivere, furono per lui parolechiave della sua opera… in tanti luoghiformativi della chiesa italiana.Il secondo fu quello legato al rinnovamentoconciliare della vita dellaChiesa che non poté non trovare anchein lui, in qualche momento, resistenzeinteriori. Il Vaticano Il domandòa molti vescovi una conversione e ilcambiamento di stile nella guida pastorale,che divenne comunionale e sinodale.Monsignor Mistrorigo, andatoal concilio come vescovo tridentino,tornò da Roma a Treviso, dopo l’Assiseconciliare, cambiato come uomoe come vescovo, forte non più delladisciplina ecclesiastica, ma aperto avalorizzare gli apporti che lo SpiritoSanto andava suscitando ovunque.Il terzo fu il suo amore per la vitadelle parrocchie e dei presbiteri checurò attraverso l’istituzione del Centropastorale diocesano, il Congressoeucaristico, i Convegni di Paderno,il sinodo diocesano, l’apertura dellamissione in Cameroun, la riforma delseminario, le liturgie ecumeniche, ipellegrinaggi in Terra Santa, il Centrodi teologia per laici. Pensò anche aduna casa comune per il laici (CasaToniolo), dotò la diocesi della Casa delclero e la Curia di ambienti dignitosi,il seminario della casa di villeggiaturadi Lorenzago. Egli aveva coltivatotutte queste strutture come luoghi diincontro e di vita fraterna.Ora possiamo affidarlo al Padre,dopo aver ringraziato quanti gli sonorimasti accanto in tutti questi anni,mentre ci immaginiamo di riascoltarela sua voce attraverso le parole del suotestamento spirituale:Grazie a te, Signore, per gli innumerevolibenefici a me concessi, anzituttofacendomi nascere in una famigliaprofondamente cristiana, dove la vita sisvolgeva con Te e per Te. Grazie, perchénon guardando alla mia meschinità, mafacendone piuttosto strumento della tuaoperante virtù, mi hai chiamato e associatovitalmente al tuo ministero di salvezza,ponendomi in mezzo ai fratellicome padre, pastore e guida. Grazieperché nei lunghi anni del mio servizioepiscopale Tu sei stato sempre mio ispiratoree consolatore sostenendomi con latua grazia perché non venissi meno allamia non facile e grave missione. Graziepure per il dono misterioso delle prove,delle croci e delle lacrime che mi hannoaccompagnato nello svolgimento delmio ministero. Le ho accolte nella fedesapendo che la sofferenza è il mezzo daTe prescelto per fecondare le fatiche delmunus episcopale».Gli siamo riconoscenti come Istitutoper la stima di cui abbiamo godutopresso di lui, per la grande umanità ela sincera cordialità sperimentata nelleinterazioni, anche in quelle formali. Siè interessato personalmente con competenzaagli eventi collegati alla causadi beatificazione della fondatrice, ElisabettaVendramini, e ha presiedutopiù volte alla elezione della superioragenerale durante i capitoli celebrati aFietta di Paderno del Grappa, nellasua diocesi.Il Signore lo accolga nella sua pace;lo accolga Maria che egli ha teneramenteamato, e i santi della chiesatarvisina che ha onorato nel suo lungoministero.Il settimanale diocesano “Vitanostra” riporta con affetto alcuneespressioni delle due suore che l’hannoassistito fino alla fine, ritenute membridella famiglia del Vescovo: suorRaffaelina Dal Molin (dal 1960) e suorPlacida Pastorello (dal 1996): «Pregavamoinsieme, recitavamo il rosario ela compieta. Era una persona aperta,sempre molto felice di ricevere visitedi amici, di sacerdoti e di laici chegli volevano bene. Quando stava benevoleva essere autonomo in alcuni servizi;si faceva da solo il caffè in camera,perché si svegliava molto presto e nonvoleva disturbarci. Quante volte ci hachiamato per leggerci qualche articoloche riteneva interessante anche per noi!Ci mancherà, ma siamo certe che pregaper tutti noi e per la sua diocesi». memoria e gratitudine<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 29


memoria e gratitudineItaliaCon cuore di madreNella colonia montana a Col Perer di ArsiéL'opera delle suore è apprezzata: lodice in una lettera del 14 giugno 1958il parroco di Rivai alla superiora generale,suor Alfonsina Muzzo 4 .«Sento il dovere ed il bisogno didire a Lei tutta la riconoscenza miapersonale e della intera parrocchia perla santa e preziosa opera che da annile sue suore svolgono presso il Preventoriodi Col Perer. Posso dirle conla massima sincerità che conosco edapprezzo altamente il loro diuturnolavoro e sacrificio non solo per il benedei piccoli loro affidati, ma anche esoprattutto per il buon esempio chene traggono i villeggianti della zona, lagente di passaggio e coloro che si trovanocostì per tutta l’estate a custodiadegli animali e taglio del fieno».E ancora, il 27 giugno 1959, allaSuperiora generale, dopo un periododi relazioni difficili:«Monsignor Giuseppe Pretto, vidiAnnavittoria TomietstfeL’ultima comunità elisabettina inprovincia di Belluno vede le suoreaccanto ai minori bisognosi dicure fisiche e psicoaffettive.Colonia montana a Col Perer(1952-1974)Una particolare attenzione ai bambinipredisposti a malattie polmonariportò il professor Alessandro Borgherinidi Padova a dar vita, nel 1952, aduna colonia permanente di caratterepreventoriale. In posizione montana,a poco più di mille metri sul livello delmare e a quattro chilometri dal comunedi Arsiè, la struttura si presentavacome luogo ideale per rispondere albisogno. Collaborando già con le suoreelisabettine a Costigliola di Teolo,divenne quasi naturale per il professorefare richiesta di una comunitàanche per il nuovo ambiente. Le suoresarebbero state impegnate nell’assistenzadei fanciulli, nella cucina e nelguardaroba.Con l’autorizzazione del vescovodi Padova, monsignor Girolamo Bortignon1 , la superiora generale, suorCostanzina Milani 2 , aderì alla richiestaritenendo che anche quel luogofosse terreno adatto allo sviluppo e allamaturazione del carisma.Il “nulla osta” per la costituzionedella comunità nella parrocchia di Rivaia Colperer venne concesso «consideratolo scopo altamente caritatevoledi una tale opera, in armonia con lospirito del benemerito Istituto delle<strong>Suore</strong> T. F. E., dopo aver preso attodella convenzione e a norma dei canoni496 e 497 del Codice di Dirittocanonico» 3 .La comunità, formata da suor EufrasiaLovato, superiora, suor AvelinaPiva, infermiera, suor Francesca Mandruzzato,educatrice, suor OdoricaBortolin per il guardaroba, suor SecondillaScapin e suor Avenanzia Zava perla cucina, fu costituita il 19 giugno.Nel 1955 vengono chieste alle suorealtre prestazioni non previste dalleCostituzioni e dalla convenzione: laSuperiora generale risponde negativamentealla richiesta, anche per motividi ordine disciplinare, non essendo, lesuore, in grado di assumersene l’impegno:«… quel poco che possono faresenza mancare alla Regola lo fanno,ma di più no! - dice la Superiora - … Iragazzi vanno sorvegliati, ma non potendofar ciò le suore, bisognerà farlocon altro personale…».Cure infermieristiche e materne in attesadel medico, foto anni Cinquanta (Agep).cario generale, avverte che a giorni saliràa Col Perer un nuovo cappellano,per l’assistenza spirituale dei fanciulliricoverati. Ricordando la difficoltà dirapporto tra il cappellano precedentee le suore, fa presente che l’assistenzaspirituale e morale dei fanciulli nell’Istitutospetta al sacerdote e pertantole suore dovranno aiutarlo nellamaniera più efficace, tenendo sempreverso di lui un atteggiamento dicordiale collaborazione e dipendenza,sostenendolo e favorendolo nelle sueiniziative e nel suo metodo di agirein ciò che spetta alla detta assistenzareligiosa …» 5 .L’esperienza maturata nel contattodiretto del nuovo cappellano con i fanciulligrazie anche alla collaborazionedelle suore viene espressa dallo stessoin una lettera inviata alla Superioragenerale nel <strong>gennaio</strong> 1964:«Sono il Sacerdote di Col Perer– egli scrive – ; ed ho avuto la fortunadi lavorare con le suore elisabettine edapprezzare il loro lavoro tra i nostriricoverati. Sono bambini e ragazzi chehanno bisogno di aiuto e di affetto e lesuore sono come e, alle volte, più chemamme, ispirate dalla carità france-Foto di gruppo degli anni Sessanta con il parroco di Rivai (Agep).30 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


scana e dall’amore di madre ElisabettaVendramini.«Tutti qui apprezziamo il lavoroe l’apostolato della vostra benedettaistituzione. Come sacerdote la prego,anzi la scongiuro di non diminuirela forza elisabettina del Col Perer.Viviamo, lavoriamo, ci sacrifichiamoper queste creature di Dio, che hannotanto bisogno di assistenza materiale espirituale. Per noi fu un grandissimodispiacere quando una Suora vennetrasferita: perché amava tanto i bambinie rendeva lieti i ragazzi con accademie,recite e tanta solennità allefunzioni liturgiche…» 6 .Anche le suore parlano della loroesperienza nella Colonia permanente:«La nostra vita di apostolato è sentita;perciò ogni nostro atto ha carattereapostolico. Trovandosi però in unIstituto interno, l’apostolato diventadifficile: non sempre la nostra consacrazionediventa testimonianza di vita.Comunitariamente stiamo facendo unlavoro di intesa sul piano umano espirituale per dare ai nostri assistiti ea quanti collaborano con noi il tuttodella nostra vita…».In risposta a nuove domandeLa presenza a Col Perer duròventidue anni, dal 1952 al 1974. LaFoto ricordo dei neo-comunicati con lesuore, anni Sessanta (Agep).funzione assistenziale del preventorio,infatti, con il miglioramento delle condizionidi vita andava perdendo progressivamentedi urgenza e il numerodegli ospiti si andava assottigliando,mentre la Congregazione era attentaa rispondere al disagio dei minori conaltre modalità. Così si giunse alla determinazionedi ritirare la comunità.La comunicazione venne data dallasuperiora generale, suor BernardettaGuglielmo 7 , al professor Borgherinicon lettera del 11 ottobre 1973: lacomunità sarebbe stata ritirata ancheprima del termine dell’anno scolasticoappena avviato.Sfogliando la Cronaca della comunitàsul punto di lasciare l’opera, nelleultime pagine si legge:31.12.1973: la triste notizia dellachiusura definitiva dell’opera. L’angosciaè entrata in tutte noi.3.1.1974: partenza dei nostri bambiniper altri Preventori. Mestizia e doloreindescrivibile in tutti i componentidell’opera.4.1.1974: visita della Madre Provincialee inizio delle partenze per altredestinazioni.Ora non ci resta che chiudere persempre i battenti, fiduciose in Dio solo!Il 10 <strong>gennaio</strong>, la comunità costituitada suor Edmonda Pajaro, superiora,suor Alice Bergamin, suor Ermilia Bottaro,Piagregoria Fasoli, suor DomiziaFilippetto, suor Giuliangela Pividori,lascia definitivamente Col Perer.La Superiora generale il 13 febbraio1974 ne diede comunicazione alVescovo di Padova motivando la avvenutachiusura della comunità. Consolantela risposta del Presule, ulterioreattestato del bene fatto dalle suoreelisabettine: «… Prendendo atto dellacomunicazione in oggetto, il vescovodesidera esprimere la sua paterna riconoscenzaper tutto il bene che le suoreelisabettine hanno compiuto in dettoIstituto…» 8 .1Vescovo di Padova dal 1949 al 1982; furichiesto dell'autorizzazione il 5 maggio 1952.2Nona superiora generale, dal 1945 al 1957.3Agep, cartella Col Perer.4Decima superiora generale, dal 1957 al 1969.5Agep, Ibidem.6Agep, Ibidem.7Undicesima superiora generale, dal 1969al 1987; Agep, Ibidem.8Lettera del 28 febbraio 1974, Agep,Ibidem.memoria e gratitudineIN PROVINCIA DI ROVIGOA servizio dei minori a Badia Polesinedi Annavittoria TomietstfeIl viaggio attraverso le comunitàelisabettine nel Veneto proseguecon la storia di quelle fondate nelPolesine, terra tra il corso inferioredell'Adige e del Poe bagnata dal mare Adriatico.Istituto ”Caenazzo-Bronzin“(1936-1980)Dopo cinquant’anni di presenza nelPolesine, la famiglia religiosa trovò terrenobuono di crescita anche a BadiaPolesine: qui la nuova missione portavail nome dell’Istituto “Caenazzo”.Nell’agosto 1936 le “Figlie dellaCarità di Santa Giovanna Antida”,presenti al “Caenazzo”, per esigenzedella loro istituzione, concludono laloro presenza. A sostituirle vengonochiamate le elisabettine, già in servizioal Seminario di Rovigo, cosa che facilital’accoglienza della richiesta da partedella superiora generale madre AgneseNoro 1 che ritiene quella missione coerentecon il carisma. Saranno propriodue suore del Seminario che si trasferirannoa Badia Polesine insieme allealtre due inviate allo scopo di costituirela nuova comunità a servizio dei minoriaccolti nella struttura.<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 31


memoria e gratitudineItaliaIngresso dell’Istituto Caenazzo-Bronzin a Badia Polesine (sec XVIII).Le foto del servizio appartengono all’Archivio Fotografico “I. Tardivello”– Museo Civico “A.E. Baruffaldi – Badia Polesine (RO), gentilmente concesse.Dalla prima bozza di convenzione,stipulata fra le due parti nell’agosto1936, si individuano gli uffici nei qualisarebbero state impegnate le suore: «...funzionamento regolare dei servizi dicucina, guardaroba, pulizia dell’Orfanotrofio,vigilanza sul servizio diInfermeria; funzionamento regolaredell’Asilo Infantile e del Doposcuola;provvedere alla cucina dell’Istitutoe alle relative provviste, alla provvistadei vestiari… Aiutate poi sempredal personale di servizio assisterannocompletamente i bambini dai tre aisei anni».Le suore, guidate dalla superiorasuor Emilia Barin, giungono a Badia il17 agosto 1936, lo stesso giorno dellapartenza delle “Figlie della Carità”.Il successivo 7 settembre il Consigliodi Amministrazione del “Caenazzo”,così scrive: «… la ringraziamoancora una volta del gran dono fattociaccordando a questo Istituto le suebravissime suore… Le saremo gratissimise potesse mandarci, il più prestopossibile le altre due suore, perchéle persone che attendono attualmenteall’Asilo Infantile e al Dopo-Scuola,devono lasciare, con sabato, le detteopere» 2 .Con la risposta affermativa la comunitàaumenta subito di numero.Nel giugno 1939 il Consiglio diAmministrazione chiede l’invio di unasettima suora, a cui «affidare le orfanelleaccolte in una speciale SezioneFemminile», rivelando apprezzamentoper l’opera di carità svolta dalle suore.Da parte sua la Superiora generale,aderendo alla richiesta, si congratulaper «l’incremento della benemeritaopera» ed esprime la sua riconoscenzaper la positiva relazione sul serviziodelle suore.Cammino fecondo, ma faticosoÈ del dopoguerra, negli anni Cinquanta– 23 luglio 1953 –, il rinnovodella prima convenzione, per le mutatecondizioni amministrative e sociali.Alla comunità religiosa, compostaora da dieci suore, vengono affidati ladirezione e l’assistenza dell’orfanotrofiofemminile per ragazze dai tre ai diciottoanni, dell’orfanotrofio maschileper bambini di età dai tre ai sei anni;dell’asilo infantile frequentato ancheda bambini esterni, della scuola elementareprivata istituita per gli alunnie le alunne ricoverate nell’Istituto e pergli esterni che volessero frequentarla;del dopo-scuola, della scuola di cucitoe di ricamo, il laboratorio di maglieriadove si esercitano alunne interne edesterne; sono inoltre responsabili delfunzionamento regolare dei servizi dicucina, lavanderia, guardaroba, infermeriae sorveglianza dei depositi edella dispensa viveri; dell’ordine e dellapulizia dei locali, degli arredi, dellabiancheria, degli indumenti di proprietàdel “Caenazzo”. Davvero unamolteplicità di compiti sempre piùimpegnativi che la comunità riuscirà areggere solo per qualche anno.Complessa anche l'evoluzionedell'opera. Infatti il 9 agosto 1956 ilPresidente del Consiglio di Amministrazionecomunica alla superiora generale,madre Costanzina Milani, alcunicambiamenti significativi a causa difatti che avevano compromesso il buonandamento dell’opera. Soppressa la sezionefemminile «dopo il ripetersi diinconvenienti che pregiudicano la formazionemorale degli allievi e stabilitala istituzione di una sezione maschiledi ragazzi appartenenti alle prime treclassi elementari…, si desidera affidareal personale religioso femminile, comeil più adatto allo scopo, la direzione,l’assistenza e la istruzione dei ragazzidi detta nuova sezione; organizzarein modo più tecnico e più funzionaleil servizio di guardaroba inserendo indetto ufficio personale adeguato pernumero e per competenza; regolare ilservizio di deposito e di dispensa deiviveri e conseguente servizio di cucina,introducendo registrazioni e controlli;incrementare l’insegnamento elementareinterno delle prime tre classi elementari,assegnando l’istruzione a trereligiose di cui una almeno diplomata».La Superiora generale, nella suarisposta del 24 agosto 1956, esprimedispiacere «che siano state licenziatele fanciulle», poiché alle religiose è piùconfacente e adatta l’educazione dellemedesime che quella dei fanciulli.Tuttavia assicura che «le suore si occuperannovolentieri anche dell’insegnamentoai maschi, di età fino alla terzaelementare. Potranno anche, insiemecon una donna di servizio, vigilarein refettorio e in ricreazione gli stessifanciulli, mai però in altri luoghi». Esottolinea: «Per il buon andamentodell’opera sarebbe opportuno che cifosse separazione tra le fanciulle esternee i fanciulli interni».32 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>


Precisa inoltre: «La disposizionedell’insegnamento e della vigilanzadei fanciulli nei limiti suddetti saràtransitoria, solo per il prossimo annoscolastico. In seguito, se la parte femminileresterà ancora esclusa, le suoresi occuperanno solo dei servizi generali.In quanto ad organizzare in modopiù tecnico il servizio di guardaroba,di dispensa e cucina, non ho nulla daopporre» 3 .La soluzione dei problemi postinon fu immediata e tanto meno privadi difficoltà per ciascuna delle dueparti; il periodo non era infatti tra i piùfacili, per il crescente venir meno delpersonale religioso necessario a gestirel’opera e a rispondere alle sempre nuovedomande di servizio.La superiora generale, madre AlfonsinaMuzzo, nel novembre del1958 comunica all’Amministrazionedel Caenazzo il dispiacere di non potersoddisfare alle esigenze espresse in piùmomenti, pressata su più fronti da bisogninuovi e mancanza di risorse.Nel luglio 1960 sembra che la presenzasia giunta a conclusione: la Superiorasi vede costretta a chiedere alvescovo di Adria, monsignor GuidoMaria Mazzocco «il nulla osta al ritirodella comunità religiosa» cui sarebbeseguita la comunicazione all’Amministrazione4 .Il dialogo fra le parti porta a trovarealtre soluzioni e le suore rimangonoa dirigere l’Istituto, pur tra non pochedifficoltà, che vedono frequenti contattiepistolari tra il Consiglio generalee il Vescovo di Adria, con l’obiettivodi rispondere al meglio alle sempre piùesigenti domande educative 5 .Ridimensionamentoe conclusioneLa decisione che si era potuta rinviaregrazie al notevole impegno dellesuore, nel 1976 diventa oggetto di quelridimensionamento che tocca molte altrerealtà della Congregazione.La superiora provinciale della provinciareligiosa di Roma, suor AntoniaDanieli, il 29 dicembre 1976 la riferisceal vescovo monsignor GiovanniMocellini 6 : «… dopo un periodo diriflessione riprendo il discorso del 23dicembre u.s., circa il ritiro delle suoredall’Istituto “Caenazzo”. So che ilproblema dispiace, ma vorrei contaresulla sua comprensione, dato che sitratta di una situazione di scarsità dipersonale religioso che ci costringe acodesta penosa decisione. Comunicopertanto che con il 30 agosto 1977cesserà il servizio presso l’opera assistenziale“Istituto Caenazzo” da partedi quattro delle sette suore ivi operanti:suor Adelma Perseghin, superiora,suor Marcella Caccin, educatrice, suorIdelmina Salvagnin e suor Crisostoma(Antonia) Gabban degli uffici generali.Rimarranno per il momento le tre suoreche operano nella Scuola Materna evoglio sperare che la comunità anchecosì ridotta, trovi piena collaborazionee fraterna comprensione da parte delDirettore e dell’Amministrazione».A questa prima comunicazione faseguito l’intervento del Consiglio generale– anche per l’insistenza del nuovovescovo, monsignor Sartori 7 – che riconsidera«il problema delle suore dellaScuola materna “Caenazzo” in BadiaPolesine, alla luce della sua [del Vescovo]insistenza, carica di forti motivazionipastorali. Ma altrettante e numerosesono le difficoltà della Congregazionein questo momento, per cui solo pernon oppormi alla sua chiara volontàdi Pastore, comunico che le tre sorelleresteranno nella Scuola Materna finchériusciranno a continuare» 8 .Il Vescovo, soddisfatto della decisione,quale presidente dell’Istituto“Caenazzo” garantisce di «fare del suomeglio, con tutti i mezzi, perché le tre<strong>Suore</strong> si trovino a loro agio».La situazione si rivela comunqueprecaria, e il ritiro definitivo viene rinviatodi qualche anno.Nel giugno 1980, superando le resistenzedei genitori che ritenevano insostituibilela presenza delle suore nellascuola materna, la comunità lascia il“Caenazzo”.Dopo quarantaquattro anni si concludeuna presenza che ha visto, purnella precarietà di alcuni momenti alivello istituzionale e relazionale, spendersimolte figure elisabettine che hannodato il meglio di sé a bambini efamiglie.memoria e gratitudineBambini ospiti al Caenazzo con le loro educatrici, anni Quaranta-Cinquanta.Foto sopra: lavoro in cucina, anni Sessanta.1Ottava superiora generale, dal 1923 al 1944.2Agep, Cartella Istituto Caenazzo – BadiaPolesine.3Agep, Ibidem.4Vescovo della diocesi di Adria dal 1936al 1968. Tale autorizzazione era necessaria perprocedere al ritiro; oggi è sufficiente la solacomunicazione.5Tutta la documentazione in Agep, Ibidem.6Vescovo della diocesi di Adria dal 1969al 1977.7Monsignor Giovanni Sartori, vescovodella diocesi di Adria dal 1977 al 1987. Ladiocesi di Adria diventa formalmente diocesidi Adria-Rovigo dal 1986.8Lettera del 20 giugno 1978, Agep, Ibidem.<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 33


TU SEI LA ROCCIA DELLA MIA SALVEZZAdi Sandrina Codebò stfesuor Clara Bragagnolonata a Loreggia (PD)l’1 aprile 1923morta a Monselice (PD)il 7 ottobre 2011Suor Clara Bragagnolo,nata a Loreggia nell’apriledel 1923, aveva conosciutofin da piccola, grazie al vicinoconvento dei frati minoriconventuali di Camposampiero,il “clima” francescanodi accoglienza fraternae di preghiera. Così quandogiunse per lei il tempo diindividuare dove avrebbepotuto rispondere all’invitodel Signore Gesù le fuspontaneo rivolgersi a unafamiglia francescana: quelladelle elisabettine.Nell’ottobre del 1943iniziò nella Casa Madre diPadova l’itinerario formativoche la condusse a fare laprima professione religiosanel maggio del 1946. SuorClara aveva una natura generosae accolse con semplicitàdi servire il Signorecome “addetta alla cucina”nel Ricovero di mendicità“S. Lorenzo” a Venezia enell’ospedale civile di Oderzo(TV): “sapeva” di servireGesù nell’ammalato, curandonei pasti quotidiani. Ilservizio in cucina non leimpedì di “farsi vicina” allepersone e di comprendernei bisogni, una vicinanza chematurò in lei la disponibilità,dopo sedici anni di professione,ad affrontare uncorso di studi che l’avrebbequalificata come infermieragenerica. Per dodici anni34 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>prestò il suo servizio nell’ospedale“Giustinian” a Venezia;da qui, dopo un breveperiodo nella Casa di riposo“Santi Giovanni e Paolo” diVenezia, fu trasferita al policlinico“S. Giorgio” di Pordenonedove per dieci anniaffiancò la consorella chefungeva da caposala. Nel1985 ritornò a Oderzo (TV)dove per dieci anni ebbe laresponsabilità in un repartodella Casa di riposo; con lastessa mansione operò poinella Casa di riposo di SanVito al Tagliamento (PN).Nel maggio del 2001concluse, per ragioni di età,il servizio accanto alla personaanziana ma continuòad essere generosamenteattenta nell’aiutare le sorelledella sua nuova comunità,quella di Monselice (PD);qui si preparò all’incontrodefinitivo con il Signore.Suor Clara a ottantottoanni, dopo una breve malattia,è stata accolta persempre nella luce e nellamisericordia di Dio.Fin da giovane suora siera donata con grande generositàaccogliendo conprontezza le varie obbedienzee finché ha potuto haservito Cristo sofferente neifratelli ammalati e anziani,trasformando in “scintille dicarità” quell’amore che ricevevadal Signore e dallacomunione con le sorelledella comunità.I suoi ultimi dieci annili ha vissuti con noi, nellacomunità “Beata Elisabetta”di Monselice continuando ilservizio di carità, visitandoalcuni ammalati - anziani eprestando il suo aiuto a misuradel bisogno e delle suepossibilità.Era dotata di un carattereforte e nello stesso tempotimido, amava intrattenersicon le persone offrendouna piacevole compagnia.Per tutti aveva una parola diconforto; invitava a pregareil Signore e a confidare inlui.La ricordiamo nella suasemplicità e immediatezza,nella sua sincera disponibilitàverso tutti. Ringraziamoil Signore per quanto hacompiuto nella sua vita, attraversoi suoi doni e ancheattraverso i suoi limiti. Oggila pensiamo nella pace chesolo lui può donare pienamente.Comunità “BeataElisabetta” Monselicesuor Assunta Massignannata a S. Urbanodi Montecchio Maggiore (VI)il 17 novembre 1923morta a Noventa Vicentina (VI)il 12 ottobre 2011Suor Assunta, MaddalenaMassignan al fontebattesimale, ha affidato aun breve scritto il raccontodella sua scelta di vita, unapagina semplice ma chedice molto del cuore elisabettinodi questa suora; letestimonianze rese duranteil suo funerale lo confermanoe rivelano la dimensionepubblica della sua vocazione-missione.La ricordiamolasciando parlare questevoci.«Tanti anni fa il Signoremi ha chiamata. Gli ho dettoil mio “sì”. Ho lasciato la miacasa, i miei genitori, i mieifamiliari, il mio paese, tantepersone alle quali devo lamia riconoscenza.Sono andata a Padova elì il Signore, lentamente, miha preparata al giorno dellaprima professione. Nella miapovertà ha operato il suogrande amore. E ora sonocontenta di appartenergli!nel ricordoLibera da tanti condizionamentimi è impossibile nonessere dono incondizionatoe gratuito per gli altri. Se avolte ho poco amato chiedoperdono di cuore a Dio.Per il bene che, con ilsuo aiuto, ho compiuto, loringrazio e invito tutti a pregarecon me, perché la suagrazia non sia vana.Con san Paolo possaanch’io dire al termine dellamia vita: “Ho combattuto labuona battaglia, ho compiutola corsa …; ora attendodalla tua misericordia lacorona di giustizia, che tudoni a quanti attendono conamore la tua venuta».Da uno scrittodi suor AssuntaSiamo qui, nel duomodi Noventa Vicentina, a salutaresuor Assunta che inquesta cittadina è vissutaper trentacinque anni, dedicandosiall’educazione deipiccoli nella scuola maternae prendendosi cura dellesorelle della comunità comesuperiora; infine, negli ultimianni, come volontaria nellaCasa di Riposo ha donatoconforto umano e sostegnonella fede agli ospiti anzianidella Ca’ Arnaldi.Era nata a S. Urbano diMontecchio Maggiore (VI)il 17 novembre del 1923e aveva fatto la sua primaprofessione nella famigliaelisabettina il 3 maggio del1943.Per molti anni ha servitoil Signore nei più piccoli, daipiù abbandonati dell’Istitutodegli Esposti di Padova aquelli delle scuole maternedi Camporovere (VI), di Bruginee di Torre, nei pressi diPadova. Nel 1976 l’obbedienzal’ha inviata in questacittà, nella comunità dellascuola materna di Noventae di Saline e in quella dellaCasa di Preghiera. Ha curatocon passione la liturgia eil canto per le Celebrazioninelle parrocchie di Noventae Saline, e in quelle diS.Croce e Prà di Botte.


TU SEI LA ROCCIA DELLA MIA SALVEZZA nel ricordoA ottantasette anni ha ricevutoun’ultima obbedienza,quella della malattia, chel’ha tenuta in ospedale perquaranta giorni. Qui, anchese aveva vicino tante persone- i suoi familiari, la sorella,suor Imelda (suora Saverianamissionaria di Maria),noi suore della sua comunità,il personale ospedalieroche l’ha curata con affetto ecompetenza, le tante personedi Noventa che venivanoa visitarla -, suor Assuntaha vissuto i suoi quarantagiorni di “deserto”. È statoil tempo della prova, quelloche anche Gesù ha sperimentatoprima di iniziare lasua missione; per lei è statoil tempo necessario per affidarsicompletamente a lui ericonsegnargli la sua vita.Noi suore di questa comunitàdi Noventa ringraziamoil Signore, anche anome di tante altre suorevissute con lei e che ogginon sono potute essere qui.Suor Assunta è stata pernoi sorella umile e saggia e,anche nel tempo della malattia,ci ha dato una grandetestimonianza di bontà, diserenità e di fede.Comunità elisabettinadi Noventa Vicentina… mi unisco a voi in questomomento particolare…sono commossa, ho vissutotanti bei momenti insieme asuor Assunta: resta nel miocuore la testimonianza dellasua fedeltà, allegria e generosità,come dimenticarequella bella esperienza dellacomunità di Noventa?suor Monica PintosPortoviejo, EcuadorTe ne sei andata velocemente,zia, come velocecorrevi con la tua bicicletta.Tu che non eri mai stancadi lavorare, che riuscivia impegnare tutti con i tuoilavoretti, le tue canzoncine;che avevi una parola pertutti e sempre qualcosa dinuovo da insegnare!Grazie, Signore, per ziaAssunta! Non ti chiediamoperché ce l’hai tolta, mati ringraziamo per averceladonata per ottantasetteanni!Grazie per l’ultimo insegnamentoche ci hai lasciato:accettare la morte comeun passaggio sereno versola pace eterna.Bertilla Massignan, nipoteSuor Assunta Massignanha lasciato un segno incancellabilenella parrocchia,nella scuola materna, nellaCasa di Riposo “Ca’Arnaldi”.Tutti gli ospiti e i dipendentihanno uno splendidoricordo di questa dolce figuradi suora, di cristiana!Con il suo sorriso confortavaogni singola persona,insegnava a riflettere sullevicende umane con sapienzae donava la sua preghieraper tutti, prediligendo semprei più bisognosi.La sua fede apostolica cisarà sempre di esempio e ciaiuterà a continuare l’operadi aiuto verso ogni fratello insituazione di necessità. (…)Noi tutti siamo grati aquesta Madre che, con lasua fede, ha testimoniato ilsenso della vera vita, religiosae spirituale.Marco Alighiero Marinelliospite di Ca’ ArnaldiNella mia vita suor Assuntaha avuto un postoimportante: assieme a leiho iniziato il percorso comecatechista nella parrocchiadi Saline, una esperienzadeterminante perché mi hapermesso di fare un saltodi maturità nella fede e discoprire il volto di amore diDio Trinità.Nel suo servire in parrocchiadurante le celebrazioniho visto, oltre alla dedizione,tanta umiltà e rispettoper il sacro. Mi ha semprecolpito il suo impegno pergli anziani della Casa di Riposoper i quali ha dato lesue forze fino all’ultimo senzarisparmiarsi, nonostantel’età e gli acciacchi. Mi èdavvero di esempio e disprone di fronte alle normalifatiche quotidiane. Ora, oltrea pregare per lei, possiamochiedere il suo aiuto affinchéaccompagni le nostrevite di consacrati a Dio per ilservizio dei fratelliRoberta Barbiero CMVSuor Assunta, ti vogliamoringraziare per tuttoquello che hai fatto pernoi; grazie per i tuoi preziosiinsegnamenti, per letue preghiere, i tuoi canti, ituoi consigli, le tue paroledi consolazione nel dolore,nelle difficoltà, nei momentidifficili della vita.Anche nei giorni dellatua sofferenza, in silenzio ciascoltavi e sorridendo mandavia salutare i “Ragazzi”del gruppo “Il vento dell’Aiuto”,il personale dellaCasa di riposo, e gli ospiti.La tua testimonianza siaguida per tutti noi.Maria Grazia Bissarosuor Evelia Baronata San Polo di Piave (TV)il 17 ottobre 1929morta a Padovail 28 ottobre 2011Il sorriso di suor Evelianon se ne è andato conlei, rimane impresso in noiche l’abbiamo conosciutae frequentata per anni, rimanea testimoniare la serenitàraggiunta e vissutaquotidianamente Nata aSan Polo di Piave (TV) nel1929, iniziò ventenne, tra lesuore elisabettine, l’itinerarioformativo che l’avrebbeconfermata nella sua sceltadi vita. Il 2 ottobre 1951fece la prima professionereligiosa e fu immediatamenteinserita nella comunitàospedaliera in serviziopresso l’Ospedale civile diPadova dove frequentò lascuola convitto per infermieried esercitò la sua professioneininterrottamentefino al 1989. Poi mise la suaesperienza a servizio dellepersone anziane degentipresso l’ospedale geriatricodella stessa città. Casa “S.Chiara” aperta per ammalatidi aids, inizialmente, edivenuta Hospice in questiultimi anni, la vide figura“minore” per un verso e “insostituibile”per un altro.Ricordare suor Evelia diventacosì alimentare sentimentidi profonda gratitudine.La malattia improvvisae senza appello, vissuta inuna lucida e serena offertadi sé, ci ha ad un tempo impoveritodi una sorella e arricchitoper la sua testimonianzasemplice e profondache dobbiamo custodire edalla quale apprendere unalezione di vita.La testimonianza dellasua ultima comunità.Nata il 17 ottobre 1929suor Evelia ha vissuto unabella pagina di storia.Usò sapientemente deltempo che le è stato concessofino allo scorso 28ottobre 2011.Suor Evelia è stata donnache ha accompagnato lafatica dolorosa delle personeche incontrava, guarendoferite e dando sollievo.Parliamo dell’opera pazientedi risanamento interiorenel quotidiano, opera checompiva anzitutto su sestessa, prendendo coscienzadelle proprie fragilità eimparando ad affrontarlecon semplicità, con grandeserenità e con fiducia.Nella preghiera a cui ricorrevacon fede, sicura ditrovare soluzioni per ognidifficoltà, teneva presenti<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 35


TU SEI LA ROCCIA DELLA MIA SALVEZZA nel oel ricordotutti: la famiglia religiosa,i propri familiari, i parenti,gli amici, “i vecchi” amici ecollaboratori.Rendeva facilmente grazieal Signore, operatore diogni bene.Nella “sua” lavanderia halavorato con gioia: qui offrivale quotidiane fatiche, le piùbelle, qui offriva i piccoli sacrificiper il mondo intero.Suor Evelia, amante dellafesta, sapeva cogliere ognioccasione per rallegrare noi,soprattutto nei compleannidi ciascuna, e, nelle feste, gliospiti di Casa “Santa Chiara”:per loro, infaticabile esempre pronta, contribuivaa creare un clima di benessere;con gli operatori quasigiornalmente sapeva trovaremotivo di festa.Ora ci sentiamo più povere,ma vogliamo credereche suor Evelia saprà otteneredal Padre nuove vocazionielisabettine nuovovigore perché l’Istituto continuicon serenità il camminonella Chiesa».Le sorelle dellacomunità “S. Elisabetta”Cara, nostra Evelia, oggiper noi, amici tuoi diCasa “S. Chiara”, questodel saluto è un momentoimpegnativo e difficile, mala forza e la profondità delletue ultime parole: “Sonopronta… Fate festa”, tantoci commuovono quanto cinutrono.Nel tuo servizio amorevole,umile e instancabile,rinnovavi tutti i giorniil tuo “Eccomi” davanti aDio e ce ne davi l’esempio.Tutte le mattine salutavi lanuova giornata ricordandoe pregando il Santo delgiorno in refettorio assiemeai ragazzi; eri la suora delleloro colazioni, ma anchel’infermiera appassionatache “curava” la farmaciadella casa e la regina dellalavanderia… Per diciassetteanni.Amavi molto i fiori e ad36 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>ogni nostro compleanno ciregalavi con grazia un fioreche tu chiamavi Amore.In Casa “S. Chiara”, coni tuoi eleganti travestimenti,eri l’attrice delle nostrefeste, ma dietro al gioco ciregalavi ogni volta prezioseperle di saggezza e ci ricordavii veri valori.Facendoti “bambina”sapevi incantare i bambinidelle nostre colleghe… Anchea loro hai donato moltoed essi si ricordano di te.Oggi, cara suor Evelia,hai raggiunto il Cielo. Tipensiamo in mezzo ad unbel giardino pieno di fioriche siamo certi sarai subitopronta a curare come facevicon il giardino della nostracasa. Ti pensiamo attorniatadai tanti ospiti della Casache ti hanno preceduto incielo, che tu stessa hai assistitoe che ora ti stannofacendo festa.Ti pensiamo accanto alPadre, dove di certo continueraia vegliare su tuttinoi che proseguiamo ilviaggio della vita. Vogliamoringraziarti dedicandoti l’ultimapoesia che tu stessa,lo scorso Natale, ci hai dedicatoin una delle indimenticabilirappresentazioni.La BontàNon permettere maiche qualcuno venga a tee vada viasenza essere miglioree più contento.Sii l’espressionedella bontà di Dio.Bontà sul tuo voltoe nei tuoi occhi,bontà nel tuo sorrisoe nel tuo saluto.Ai bambini, ai poverie a tutti coloro che soffrononella carne e nello spiritooffri sempreun sorriso gioioso.Da’ loro non solole tue curema anche il tuo cuore.Gli operatoridi Casa “S. Chiara”suor Danila Bugnanata a Fratta di Oderzo (TV)il 5 agosto 1927morta a Taggì di Villafranca (PD)il 30 ottobre 2011Assunta Bugna, suorDanila, era nata nell’agostodel 1927 a Fratta di Oderzo(TV). A 19 anni scelse lafamiglia delle suore elisabettinecome luogo, e stile,in cui vivere la risposta allachiamata del Signore. Lafrequentazione delle suoreoperanti a Oderzo e la sceltafatta dalla sorella Pierina,suor Arcangela, quattro anniprima, l’avevamo facilitata eaccompagnata nel discernimentovocazionale. Vissutocon sereno impegnoil periodo della formazioneiniziale, il 2 maggio 1949fece la prima professionereligiosa e fu subito inseritanel mondo educativodella scuola materna. Peralcuni anni ebbe il compitodi assistente e quindi, conseguitoil diploma richiesto,assunse la responsabilità diuna sezione. All’insegnamentoaffiancò il serviziopastorale nella parrocchiaconcorrendo ad esprimerel’attenzione educativa dellachiesa con la catechesiai bambini e agli adolescenti.Suor Danila operòa Noventa Vicentina, nelleparrocchie della immediataperiferia di Padova: a Brusegana,a Voltabarozzo, a S.Ignazio; fu presente anchea Fellette (VI), a Borgoriccoe a S. Angelo di Piove inprovincia di Padova doverimase 14 anni. Qui suorDanila visse la sua ultimastagione “attiva” non piùimpegnata nella scuola, datal’età ormai avanzata, madedita alla “pastorale dellaconsolazione”. Con le suefrequenti visite a personeammalate, a persone anzianeo comunque bisognose,regalò ascolto, compagnia,assistenza spirituale esprimendola vitalità apostolicache la animava. Anche perle condizioni di salute, nel2004 giunse il tempo del ritiroe del riposo necessario.Visse una prima esperienzanella Comunità che vive nelmonastero “S. Chiara” diMontegrotto Terme (PD), poinella comunità “Mater Amabilis”di Taggì, che le offrivamaggior sicurezza per la vicinanzadell’infermeria dovepassò nell’ottobre del 2006.Qui suor Danila conobbe lafatica del cammino di abbandonoall’esigente volontàdi Dio espressa dalla malattia,ma conobbe anchela pace frutto dell’incontrocon Signore.suor Maria Mosaninata a Montecchia di Crosara (VR)il 14 settembre 1926morta a Taggì di Villafranca (PD)il 4 novembre 2011Suor Maria nella suascelta vocazionale fu inevitabilmentecontagiatadalla esperienza della sorellasuor Carlangela, divenutaelisabettina nel 1937,e dall’esempio delle suoreassiduamente frequentatenella parrocchia di Montecchiadi Corsara (VR) doveera nata il 14 settembredel 1926. Nell’autunno del1948 raggiunse la CasaMadre di Padova è iniziòin postulato l’itinerario for-


TU SEI LA ROCCIA DELLA MIA SALVEZZA nel ricordomativo che congiuntamenteal periodo di noviziato laconfermò nella scelta di vita;il 2 maggio 1951 fece laprofessione religiosa.Nei primi sette anniespresse il suo servizio allachiesa come “addetta allacucina” negli asili infantilidi Terranegra, Padova, diVallenoncello e di Pasianoin provincia di Pordenone.Poi, conseguito il diploma di“infermiera generica”, iniziòuna nuova esperienza accantoalla persona ammalatache caratterizzò, di fatto,tutta la vita di suor Maria.Operò dapprima nel sanatorio“Busonera” in Padovapoi nell’ospedale “Giustinian”a Venezia.Da qui passò a Napoli,nella clinica oculistica, quindiritornò a Venezia nellaCasa di riposo “Santi Giovannie Paolo” da cui fu trasferitanella Casa di riposodi Pomponesco (MN).Nel 1981 iniziò per leiuna stagione nuova: fecel’infermiera non più all’internodi una struttura maa domicilio nella parrocchia“S. Domenico” a Crotone;furono nove anni intensi,che prepararono anche lasua presenza a Mazara delVallo (TP) dove si prese curadella salute dei minoripresenti nell’Istituto “DivinaProvvidenza”.Dal 1997, ridotto di moltoil suo servizio ad extra,suor Maria fu accanto allesorelle bisognose di attenzioniinfermieristiche primanella comunità “Mater Laetitiae”di Roma e poi nellacomunità “Beata Elisabetta”di Lido-Venezia. Qui subentraronoanche per lei alcuniproblemi di salute per i qualidovette diminuire gradualmentel’attività.Nel 2010 si rese necessarioil passaggio nell’infermeriadi Taggì di Villafrancadove “portò a compimento”,nell’offerta ultima, l’operainiziata in lei dal Signore.La testimonianza dellacomunità.Ricordiamo suor Mariacome sorella attenta ai bisognidegli altri, semplice, accogliente,sempre disponibilead aiutare. Era normalmenteserena, una serenitàattinta dal suo vissuto conil Signore. Le siamo riconoscentiper la testimonianzadi cui ci ha arricchito.Comunità “BeataElisabetta”, Lido di Veneziasuor Antonia Cappellanonata a Miglierina (CZ)l’1 ottobre 1933morta a Cittadella (PD)il 18 novembre 2011Suor Antonia se ne èandata in silenzio come insilenzio ha vissuto la sualunga esperienza di ammalata.Era nata nell’ottobredel 1933 a Miglierina (CZ); aCatanzaro frequentò le suoreelisabettine e riconobbenella loro vita e missionela risposta alla sua ricercavocazionale.Partì per Padova, accogliendogenerosamente il distaccodall’ambiente che leera familiare e iniziò poco piùche diciottenne l’itinerario formativoche l’avrebbe confermatanella scelta di vita.Fece la prima professionenell’ottobre del 1954e accolse come un dono ilritorno nella terra d’origine:a Catanzaro per undicianni fu addetta alla cucinanel sanatorio “G. Ciaccio”,poi passò a Roma nell’asiloinfantile “Maria Alfonsina”.Vi rimase solo un anno perchési ammalò, rendendosinecessario per lei il trasferimentonell’infermeria diCasa Madre.Sei anni dopo, a causadella ristrutturazione in atto,passò in quella di Taggì,dove rimase. Fino a quandole fu possibile impreziosì lesue giornate facendo piccoliservizi alle consorelle immobilizzatea letto. Le visitavae, sempre gentile, si intrattenevacon loro. La sua vitafu una lunga, generosa,silenziosa esperienza disofferenza; non si difese…accolse la malattia come la“sua” missione.Incontrare suor Antoniaera un po’ come ricevereun messaggio silenzioso edeloquente: la vita consacrataè un valore in sé, l’essereè il suo fare… Raccogliamoda lei una preziosa consegnache ci riporta al valorealto dell’interiorità, del silenziocome modalità di fare“gli interessi di Gesù. suor Rosamabile Zampierinata a Reschiglianodi Campodarsego (PD)l’11 dicembre 1923morta a Padoval’1 dicembre 2011Suor Rosamabile haonorato il suo nome: “amabile”nei gesti e nelle parolemisurate e umili; la disponibilitàcome tratto pressochécostante, tutti atteggiamentiche facilitavano l’incontro ela collaborazione.Era nata a Reschiglianodi Campodarsego nel dicembredel 1923 in una famiglianumerosa e profondamentecristiana, ne è segnotangibile anche l’accoglienzadella chiamata alla vita consacratadi altre tre sorelle.In piena guerra mondiale(1941), due anni dopo dellasorella suor Pasquina e dodiciprima della sorella piùgiovane, suor Emiliarosa,raggiunse Casa Madre inPadova per iniziare l’itinerarioformativo che confermòla sua scelta vocazionale ela preparò alla prima professionereligiosa, avvenutasolo il 3 maggio 1947avendo dovuto sospendereil noviziato per malattia.Suor Rosamabile nongodette mai veramente dibuona salute eppure consemplicità e generosità accolseuna obbedienza checomportava fatica fisica,quella di “addetta alla cucina”nell’ospedale civile diNoventa Vicentina e nell’asiloinfantile di Asolo, poi di“dispensiera” nell’ospedalemaggiore di Trieste e quindinel Seminario vescovile dellastessa Città.In quest’ultima sede persedici anni fu una presenza“materna” accanto ai seminaristie ai sacerdoti.Con semplicità, e semprein spirito di servizio,assunse anche il ruolo disuperiora di comunità sianel seminario di Trieste sianella Casa di riposo “E.Vendramini” a Orselina diLocarno in Svizzera doverimase ininterrottamente dal1973 al 1992.Da Orselina fu trasferitaa Salò dove continuò adessere una preziosa “collaboratricedi comunità”sempre pronta a vedere ilbisogno, ad aiutare, a direla parola buona. Quando nel2000 passò nella comunità“S. Agnese” di Casa Madre,ufficialmente doveva iniziareper lei il tempo del riposo dicui il suo fisico, provato davari malanni, aveva bisogno;in realtà continuò a “spendere”le sue energie nellavigile attenzione alle sorelle;sempre capace di ascolto,di collaborazione, di buonacompagnia e di saggi consigli,sempre più silenziosae orante, come attestano<strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong> 37


TU SEI LA ROCCIA DELLA MIA SALVEZZA nel oel ricordole sorelle stesse che hannoavuto il dono di condividerecon lei parecchi anni di vita.Amò sempre con tenerezzala sua famiglia di origine,aveva presente i bisognipersonali di ciascuno e perciascuno pregava con intensità.Nell’aprile del 2010 sirese necessario per lei l’ambienteprotetto dell’infermeriadi Casa Madre dove continuòa testimoniare serenitàe gratitudine verso tutti.Accolse l’infermità semprepiù invasiva, in modo silenzioso,senza lamenti, unitaal Signore “centro e beneunico” della sua vita.Se ne è andata, ma ci halasciato in preziosa eredità ilsuo esempio buono. suor Modestina Ronchesenata a Cavalier di Gorgo al M. (TV)l’1 agosto 1925morta a Taggì di Villafranca (PD)il 16 dicembre 2011Suor Modestina, AnnitaRonchese, nacque nell’agostodel 1925 nelle vicinanzedi Oderzo, un territorio veramentegeneroso di vocazioniper la nostra famiglia religiosacertamente anche graziealla numerosa ed esemplarepresenza della famiglia elisabettinache lei ebbe lapossibilità di frequentare finda giovanissima.Partì a diciassettenneper Padova dove, quattroanni più tardi, l’avrebbe seguitala sorella suor Massima.L’itinerario formativo delpostulato e del noviziato laconfermò nella scelta di vitae il 3 maggio 1945 fece laprima professione religiosa.38 <strong>gennaio</strong>/<strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>Da allora suor Modestinasi dedicò con generositàe competenza alla suamissione tutta rivolta all’attenzionee cura della personaammalata. La esercitòfino al 1961 nell’ospedale“Giustinian” di Venezia, inseguito nell’ospedale civile“S. Zenone” di Aviano (PN),in quello di Padova e poi diNoventa Vicentina.Nel 1988 iniziò il suoservizio nel Ricovero “VillaBreda” di Ponte di Brentae quattro anni dopo passòall’O.P.S.A. di Sarmeola diRubano (PD) come coordinatricedi reparto in quellastruttura di “carità” pensatae gestita per accogliere ecurare i diversamente abili.Suor Modestina, nonostantel’età non propriamentegiovane, visse quelservizio, che le chiedeva diconiugare abilità professionalee carità, non solo conla consueta generosità masoprattutto riconoscendoloquale opportunità per esprimerela sua vocazione elisabettinasecondo la quale“è suo onore servire i poveridi Gesù, suo comodo loscomodarsi per essi” (Cost.136).A ottant’anni accolse evisse serenamente il riposonella comunità “Regina Pacis”di Taggì di Villafrancadove si era ritirata anche lasorella suor Massima, unriposo interrotto dalla malattiaper la quale si resenecessario il ricovero nellavicina infermeria dove visseuna progressiva invaliditàche la portò alla morte.Ricordo suor Modestinacome una sorella dedita,per circa dodici anni, alleospiti del terzo reparto “Immacolata”dell’OPSA. Le haassistite con disponibilità eprofessionalità, le ha amatecon cuore di madre e nonostanteil carattere schivo eriservato sapeva trovare conesse una linea di dialogo edi comunicazione sempliceed efficace.Era rispettosa del ruolodelle operatrici, collaboravacon loro e sapeva affiancarecon competenza i medici.Amava la preghiera e accompagnavacon premurale ospiti sia all’adorazione siaad altri momenti particolari.La sua presenza in comunitàera piuttosto silenziosama costante, nonostantei disturbi fisici che l’affliggevanoe che ha portato contanta dignità. Quando la malattiaè diventata invalidanteha accolto con serenità ilpassaggio in casa di riposoa Taggì aiutata dalla sorellasuor Massima che l’ha assistitacon cura e amore finoalla fine, confortata anchedalla presenza delle sorelledell’infermeria e dalle frequentivisite dei parenti.suor Pierelena Mauriziosuor Gemma Tiepponata a Piombino Dese (PD)l’1 luglio 1923morta a Padovail 21 dicembre 2011Non ancora diciannovenneFernanda Tieppo,suor Gemma, aveva chiaramentedeciso della suavita. Infatti nell’autunno del1942 lasciò la famiglia einiziò, nella Casa Madre dellesuore elisabettine, l’iterformativo che, radicandolain Cristo, l’avrebbe aiutata aconoscere e ad assumernelo stile di vita e la missionepropria.Purificate e rafforzate lemotivazioni della scelta, il 3maggio 1945 fece la primaprofessione religiosa.La cura del guardarobanell’ospedale Isolamentoin Padova fu la sua prima“missione”; suor Gemmaera e fu sempre convintache il lavoro manuale accompagnatodalla preghierae dal “buon esempio”, comesi diceva allora, erano buonee sufficienti opportunitàper testimoniare Cristo.Da Padova passò a Lidodi Venezia nell’Istituto “E.Vendramini” quindi a Pomponesco(MN) nell’ospedalecivile - Casa di riposo dellacittadina; qui dal 1956 al1961 ebbe anche il ruolodi superiora della comunità;ruolo che continuò ad averenella Casa di riposo “S.Caterina” di Salò (BS), poinuovamente a Pomponescoe infine nella comunità inservizio presso la casa dicura “Villa del Sole” a Catanzaro.Dopo una breve presenzaad Assisi, all’IstitutoSerafico, nel 1977 ritornòa Pomponesco ancora conl’incarico di superiora dellacomunità. Da qui passò aPadova nella comunità delpostulato e poi a Roma nellacomunità scolastica “S.Francesco d’Assisi”.Nel 1990 fu trasferita,come superiora, nella comunitàoperante presso ilseminario vescovile di Rovigo;qui ebbe modo di esprimerela sua attenzione e lacura non solo nei confrontidelle sorelle ma anche deiseminaristi e dei sacerdotiin conformità alla bella tradizionefrancescana.Nel 1995, concluso ilmandato di superiora, fuper un breve periodo all’Istituto“Regina Mundi” aCavallino-Venezia, quindiespresse le sue capacitàdi gentile accoglienza comecentralinista in Casa Madre;da qui migrò, secondoil bisogno, nelle comunitàdi “Santa Maria” al Lido diVenezia, di “S. Francesco”a Roma e in quella di Badiaa Settimo (FI).Dal 2005 alla primaveradel 2011 fu una preziosa,serena presenza nella co-


TU TI CONOSCEVO SEI LA ROCCIA PER SENTITO DELLA DIRE, MIA ORA SALVEZZA I MIEI OCCHI nel TI ricordo VEDONOmunità “Bettini” di Ponte diBrenta - Padova. Quando lacomunità fu sciolta, passònella comunità “S. Agnese”di Casa Madre felice di esserein una comunità cheaveva come compito primariol’adorazione eucaristica.Fu una esperienza brevissimaa causa del riacutizzarsidella malattia chesi pensava vinta con l’interventochirurgico. Vissenell’infermeria quattro mesiintensi, tutta impegnata adaccogliere serenamente ilcompiersi della volontà delSignore, a ringraziare perquanto di bello e di buonole aveva fatto sperimentarenella sua vita.Con suor Gemma avevoun rapporto profondamentefraterno fatto di stimae di fiducia reciproca. Leiera una persona semplicee sincera; di fronte a qualcheevenienza non chiara oingiusta, secondo il suo parere,chiedeva spiegazioneperché era sensibilissima eanche un po’ permalosa.Era rispettosa delle personee nell’uso delle cosedella comunità. Ebbe a piùriprese il compito di superioradi comunità: è stataamata e stimata in varie casee si è arricchita di moltaesperienza. Ho ammirato inlei la costante disponibilitàad aiutare la comunità ele singole sorelle. Non lesfuggiva nessuna occasionein cui poteva essere utile.Nutriva uno spiccato affettoper tutti i suoi parenti, inmodo specialissimo per lasorella Lisetta, tanto sofferente,alla quale suggerivafiducia nel Signore e ricorsoalla preghiera. Aveva chiarele esigenze dei voti religiosi,della povertà in particolare:si accontentava e ringraziavadi tutto. L’aspetto peròche mi ha maggiormenteedificato in lei è stato il suospirito di orazione. Pregavasempre: in casa, nei passaggida un luogo all’altro,in ascensore, per strada,Felice di donarsi al Signorevisse come grazia ilservizio di cuoca a Padova,nella Casa del clero prima,e presso l’Istituto “CameriniRossi” poi.Nell’ottobre del 1944,con semplicità e prontezzaaccolse l’obbedienza chesegnò una svolta significativanella sua vita: la curadella persona ammalata ocomunque sofferente, qualificandosicome “infermieragenerica”.Operò nel ricovero dimendicità “S. Lorenzo” diVenezia, nell’infermeria diCasa Madre e dal 1952 al1972 nell’ospedale civile diPadova.Da qui passò a prendersicura degli anziani ospiti nellaCasa Serena a Iglesias (Cagliari)e dal 1976 per cinquenella casa di riposo “PastorBonus” a Lerici facendo dapendolare prima dalla comunitàdi Tellaro, poi di San Terenzo(La Spezia).Ritornata a Padova sidedicò agli anziani ospiti di“Casa Famiglia Gidoni”, poi,per un decennio, si dedicòalle sorelle con un serviziosereno nella cucina dellacomunità “S. Agnese” operanteall’OPSA.Tutte la ricordano conaffetto come persona solidaspiritualmente, che benintegrava vita di preghierae di servizio amorevole, instancabile,discreto, attentaa chi soffre, con semplicitàe competenza. Non le fudiffcile quindi passare dalservizio diretto al servizio disuora “orante”.A ottantaquattro anni,nel 2001, a causa di una salutesempre più cagionevole,accettò il trasferimento nellacomunità “Beata Elisabetta”di Monselice dove la suadisponibilità la rese prontaa rendere piccoli servizi allesorelle. Vi rimase solo quattroanni, poi fu necessariol’ambiente protetto dell’infermeriadi Casa Madre.Qui, riservata, serena esempre più sofferente, atinautobus… Quando entròper la seconda volta ininfermeria non era consciadella gravità del suo male,ma con il passare dei giornicapì che la mancanza diforze nelle gambe era unsegno premonitore: il Padrela stava chiamando. Allorasi dispose ad aderire conserenità alla divina volontàed affrontò generosamentela sua ultima battaglia: il 21dicembre il Padre l’accolsequale figlia amata.suor Loredana Zarantonellosuor Rosita Fiornata a Loreggiola (PD)il 13 giugno 1917morta a Padovail 22 <strong>gennaio</strong> <strong>2012</strong>Suor Rosita fu chiamataAntonietta alla nascita,certamente in onore del“Santo” essendo nata il 13giugno del 1917 a Loreggiola,una località vicino aCamposampiero, luogo dadove partì s. Antonio perritornare, morente, a Padova.Un nome che fu quasiun preannunzio dello spiritofrancescano che distinse lasua vita e il suo operato.Nata e cresciuta in unafamiglia dalle profonde radicicristiane, la sua vocazionealla vita religiosa fu quasiuna “naturale” evoluzione diuno stile di vita dove preghierae servizio erano armoniosamentepresenti.Così, a vent’anni raggiunsela Casa Madre dellesuore francescane elisabettinee iniziò l’itinerario dellaformazione e nell’ottobre del1939 fece la prima professionereligiosa.tese la venuta del Signore,facendo della sua vita unacontinua preghiera, edificandocon la sua parolasaggia e pacata chiunquele facesse anche una brevevisita.Presentiamo al Signorecon affetto e riconoscenzaanche suor PerseveranzaLincetto e suor AnnarosaRizzardo, mancate in questigiorni.Ricordiamo fraternamentele sorelle colpite da lutti eaffidiamo al Signorela mamma disuor Bertilla Issasuor Donatella Lessiosuor RosecatherineMwangila sorella disuor GiannantoniaCuglianichsuor Bertilla Erenosuor Romana Faggionatosuor Caterina Murersuor Bernardetta esuor Margherita Nebarsuor Piarodolfa Tognonatosuor Letizia Zakisuor MariagiovannaZarantonellosuor Rosalidia Zenereil fratello disuor Maria Cleofe Cesarosuor Liantonia Gastaldisuor Piamartina esuor Piasandra Gomierosuor Caterina Murersuor Rosanella Randosuor Eliodora Stoccherosuor GiannagneseTerrazzinsuor Milena Tosettodue fratelli disuor Costanza Bazzacco.


24 <strong>marzo</strong> <strong>2012</strong>XX giornata di preghiera e digiunoin memoria dei missionari martiriCome cristiani e missionarinon possiamo avere paura;o forse possiamo, perché la paura vieneda sé anche se non la chiami;forse possiamo avere paurama non possiamo fermarci,dobbiamo portare avantiil sogno di Dio e il sogno del popolo,che è una società di fratelli e sorelle,è una terra rispettata,amata e che dà alimento,bellezza e riposo per tutti.Questa terra è dono di Dio e conquistadei piccoli che in Lui confidanoe non regalo dei grandi.Nella terra dei piccoli c’è postoper tutti, anche per i grandi,ma nella terra dei grandii piccoli non entrano.suor Dorothy Stang, missionariauccisa in Brasile il 12 febbraio 2005

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