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n. 3 - luglio/settembre 2009 - Suore Francescane Elisabettine

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anno LXXXI n. 3l u g l i o - s e t t e m b r e2 0 0 9in questo <strong>numero</strong>editoriale 3nella chiesaLa parola ha una casa 4Cristina CrucianiUn sogno dal cassetto 5suore della comunità di Betlemmeparola chiaveL'uomo e il bene comune 8Marco CagolspiritualitàOggi è tempo di santità 10Giancarlo Bregantinifinestra apertaMigrazione: ricchezza o problema? 12Alberto BrignoliIn copertina: Maestro di Santa Vittoria, L'ultima cena, affresco del XV - XVIsecolo, chiesa della Confraternita di San Francesco, situata nella partestorica di Santa Vittoria d’Alba (CN). Vi si ritrae il momento alto di donodi sé quando Gesù offre se stesso anche a colui che l'avrebbe tradito. Unaffresco incompleto, particolarmento adatto a simboleggiare il mandato,incompiuto, affidato ad ogni sacerdote continuatore del gesto di Gesù.EditoreIstituto suore terziarie francescaneelisabettine di Padovavia Beato Pellegrino, 40 - 35137 Padovatel. 049.8730.660 - 8730.600; fax 049.8730.690e-mail incaritate@elisabettine.itPer offerteccp 158 92 359Direttore responsabileAntonio BarbieratoDirezionePaola FuregonCollaboratoriIlaria Arcidiacono, Sandrina Codebò, Barbara Danesi,Enrica Martello, Annavittoria TomietStampaImprimenda s.n.c. - Limena (PD)Autorizzazione del Tribunale di Padovan. 77 del 18 marzo 1953Spedizione in abbonamento postaleQuesto periodico è associato all’Uspi(Unione stampa periodica italiana)in camminoNel grembo dell'ospitalità 14Chiarangela Venturinalle fontiCantare parlando di lei 16Paola Coveraccanto a...Raccontare il sorriso di Dio 18Claudia BertonCondivisione di frammenti di vita 21a cura di Ilaria Arcidiaconovita elisabettina«Tu, chi sei?» 25Carlina FaninNella sua casa 26a cura di Paola ManildoSulle strade dei santi 27Bernardetta BattocchioQuesta casa si è fatta “accoglienza” 28Enrica Martellomemoria e gratitudineUn'esperienza scritta con l'inchiostro dell'amore 30suore della comunità del SeraficoElisabettine oltre i confini 31Annavittoria Tomietnel ricordoAlla tua luce vediamo la luce 36Sandrina Codebò


editoriale«... fate questoin memoria di me»Rileggiamo con nuova attenzione il passo di Atti (At14,23) in cui Paolo e Barnaba costituiscono alcuni anziani(presbiteri) e li affidano al Signore perché possano guidare,animare, sostenere la comunità.Un gesto preceduto da quello di Gesù: è lui infatti chedopo avere dato ai suoi pane e vino - suo corpo e suo sangue- dice loro: «… fate questo in memoria di me» (cfr. 1Cor11,23-25), così da rendere disponibile sempre per tutti la suagrazia che salva.Il prete.È lui che “fa questo”; un uomo, chiamato a dire Gesù piùdi ogni altro tra la sua gente.Benedetto XVI, nella lettera di indizione dell’anno sacerdotale,ricorda che il santo Curato d’Ars era solito direche «Il sacerdozio è l’amore del cuore di Gesù»; continua ilPapa: «Questa toccante espressione ci permette anzitutto dievocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che isacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche perla stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono aifedeli cristiani e al mondo intero l’umile e quotidiana propostadelle parole e dei gesti di Cristo»: lui che cammina sulle nostrestrade, che sosta in preghiera, che insegna, consola, accarezza,difende, conforta; è Gesù vivo oggi che alza la mano per perdonare,benedire, sanare, inviare… e che spesso ancora soffre, etalora muore, per coloro che gli sono affidati; è proprio mentresi chiude il giornale che apprendiamo la notizia dell’uccisionein Brasile di don Ruggero Ruvoletto, prete padovano, l’ultimodi una lunga serie di testimoni-martiri.Anche nella nostra storia personale c’è un prete che haversato sulla nostra testa l’acqua del battesimo, che ci haintrodotto alla vita cristiana, che ci ha aperto alla conoscenzadei misteri di Dio, che ci ha consigliato, orientato, confermatonelle decisioni per la vita.E c’è nella storia della nostra famiglia religiosa: da donLuigi Maran, consigliere e padre, aiuto e “provvidenza” peril piccolo gruppo della regia soffitta, ai tanti altri che si sonosucceduti nel servizio in Casa Madre; ai preti che quotidianamente,ovunque siamo, spezzano per noi il pane della vita.Il ricordo dei 150 dalla morte del Maran acquista unsignificato simbolico: con lui ricordiamo anche tutti quelli chehanno mediato per noi l’appartenenza alla Chiesa rendendopossibile l’incarnazione concreta nelle varie chiese locali.Il prete: uomo “al confine” tra lo spazio di Dio e quellodegli uomini.Non basterà un anno per dirgli: grazie!La Redazioneluglio/settembre 20093


tica della Lectio divina. Come Maria,la Madre di Gesù, la Chiesa impara acustodire e confrontare meditandole leParole di Dio; come Maria di Betaniasceglie di sedersi ai piedi di Gesù e difarsi discepola, sicura che questa è laparte migliore. Dal momento che Dio,nella persona di Gesù di Nazaret èentrato nel mondo, ogni uomo è chiamatoa sedersi ai suoi piedi, a porre lasua tenda accanto a lui, ad occuparsidi lui.Infine, tutto questo nella Chiesa èvissuto in koinonia, cioè nella comunionefraterna. Il distintivo dei discepolidi Gesù è l’amore fraterno; in questoessi mostrano di aver incarnato la Parola,tanto che basta vederli! In loro laParola si fa vita, si fa visibile.Ritrovare l’unica ParolaNella Chiesa, Casa della Parola,non incontriamo solo i fratelli e lesorelle che condividono in tutto lanostra fede, incontriamo altri cristiani,discepoli di Gesù e della Parola cheformano altre chiese sorelle segnate daseparazioni che persistono.Ritrovare tutte l’unica Parola è comeritrovare il linguaggio comune, lalingua comune che permette di comprendercie di riabbracciarci.La Sapienza si è costruita una casa,ha preparato la sua mensa, tienepronto il suo vino… venite, mangiate,bevete… (cfr. Pr 9,1-6).La comunità apostolica di Gerusalemmestretta attorno a Pietro edassidua nell’ascolto, nella frazione delpane, nella preghiera e nella unionefraterna, è la Casa che anche ogginoi andiamo costruendo, dove abitala Parola che è il Figlio amato dato pernoi. Con lui, il Padre ci ha detto tutto.Egli è l’ultima e definitiva Parola delPadre, il senso di tutto. Ha messo casatra noi, nella Chiesa. Sua delizia è staretra i figli dell’uomo (cfr Pr 8,31). ■1Liturgista, co-redattrice della rivista “Lavita in Cristo e nella Chiesa”, mensile di formazioneliturgica e informazione, edita dallaProvincia Italiana delle Pie Discepole del DivinMaestro, Roma.Da BetlemmeUn sogno dal cassettoBenedetto XVI pellegrino tra noidelle suore della comunità di BetlemmestfeUna visita che ha portato gioiae riempito di significatoil servizio di assistenza e curache il Baby Hospital offreai bambini palestinesi.L’evento del secoloCosì è stata definita la visita delSanto Padre al Caritas Baby Hospital1 .Dopo l’annuncio non ufficiale delpellegrinaggio di Benedetto XVI inTerra Santa, abbiamo iniziato a sognarela possibilità che il Papa potessevisitare l’ospedale. Un sogno che avevasfumature ed intensità diverse a secondadi quello che, giorno dopo giorno,la chiesa locale comunicava circail suo viaggio. Un sogno che a volteIl Papa saluta, accolto calorosamente dalpersonale del Caritas Baby Hospital.occupava le nostre conversazioni. Unsogno che noi, come anche i responsabilidell’Associazione Aiuto BambiniBetlemme della Svizzera (KHB), tenevamoben in vista dentro un cassettoche non si voleva chiudere.È stata sufficiente una telefonatadel segretario del Nunzio apostolico,che annunciava l’arrivo di una commissionevaticana qui al Caritas BabyHospital (CHB), a far spalancare deltutto il cassetto, tanto da “farlo cadere”per la gioia mista a meraviglia eincredulità, e capire che quel sogno sistava realizzando davvero. Una gioia,la nostra, che si è fatta ancora piùgrande quando ci è stato detto che ilPapa stesso aveva chiesto di visitare ilnostro ospedale.I preparativi sono stati intensi ea volte travagliati visto il rigido protocolloche accompagna ogni visitadel Santo Padre. Mesi di preparazione,incontri, telefonate, mails. SuorErika Nobs, quale membro dell’ExecutiveCommitee, è stata tra noi quellapiù coinvolta nella preparazione:per lei non c’erano orari. Un tam-tamdi squilli del telefono, di incontri edi viaggi a Gerusalemme. Ma tuttol’ospedale era in fermento: la “temperaturainterna” dell’ospedale aumentavadi giorno in giorno. Ognunoaveva qualcosa da fare, da preparare,per rendere questo appuntamento ilpiù bello possibile. Ad accompagnareil Papa ci sarebbe stato anche il presidentedell’Autorità palestinese, AbuMazen, che già ci aveva incontrato il24 dicembre dello scorso anno. Ancheper i musulmani questa visita avevaun doppio significato e lo si è visto dacome si sono dati da fare. Mamme,dipendenti, bambini un po’ grandicellitutti a “fare il tifo” non solo peril loro Presidente ma anche per il Papaluglio/settembre 2009nella chiesa


nella chiesapellegrino in Terra Santa, pellegrino alCaritas Baby Hospital.Tutto è pronto secondo il protocollo!Tutto sotto controllo. La securitysia vaticana sia palestinese sa chi fa checosa. Il Santo Padre può venire! AbuMazen può venire!Oltre il protocollo: la grazia13 Maggio 2009 ore 15.00: il caldoè intenso, il sole picchia così forte dacostringere gli uomini della securitya rimuovere i palloncini bianchi egialli, messi come decorazione, perchécontinuavano a scoppiare… meglioevitare che qualcuno pensasse a sparidi fucile.Ore 15.40: la vettura di Abu Mazenpercorre l’entrata dell’ospedale.Davanti alla porta principale lo stannoaspettando i responsabili della KHBe del CBH oltre ad alcuni Vescovitedeschi. Il Presidente rivolge il salutoprima alle autorità e poi alle mammeche con i loro figli in braccio stannodentro uno spazio preparato loro, vicinoa quello di fotografi e telereporterdi alcune TV locali e straniere. Unafirma al libro degli ospiti, in attesadell’arrivo del Papa, che non si fa tantoaspettare.Ore 16.00 (10 minuti di anticiporispetto all’orario previsto): la papamobilevarca i cancelli spalancatidell’ospedale, applaudita con commozionedel personale che si trova nelgiardino. Al “clap-clap ” delle manisi unisce anche il tipico ririri… arabodella festa, un suono che assomiglia acampanellini che trillano insieme.C’è un po’ di esitazione da partedel Santo Padre, prima di scenderedalla papa mobile: la security devedare l’ok; c’è poi il saluto alle autoritàpolitiche e ai responsabili dell’ospedale.Ma il Papa sembra voler andaresubito a salutare i bambini, sono loroi destinatari della sua visita: le mani,guidate dal cuore, accarezzano la testinae il volto dei piccoli che hanno potutouscire dai reparti. Il Papa sorride,si vede che sta bene in mezzo a loro.Suor Erika gli fa strada perché altri lostanno aspettando nella sezione “A”assieme alle loro mamme, al personaledi turno, a suor Jackeline. Le personeal seguito di Benedetto XVI sono parecchie,ma il Santo Padre sembra nonbadarci. Suor Erika gli spiega caso percaso; per l’occasione sono state portateL'incontro del Papa nella cappella dell'ospedale. Foto sopra: flash su Benedetto XVI chesaluta i bambini, le mamme e il personale. Nella seconda da sinistra, accanto al Papa ilpresidente palestinese Abu Mazen; nella terza, suor Erika Nobs, superiora della comunità.sella sezione pediatrica anche alcunecullette termiche dal reparto prematuri.Il Papa prende in braccio i bimbi, liaccarezza, li bacia, li guarda pensandochissà che cosa e li benedice in silenzio(sì, perché Benedetto XVI sa che nonpuò fare il segno della croce sulla frontedei bimbi musulmani).Forse un giorno qualcuno spiegheràloro chi era quell’uomo vestitodi bianco venuto a visitarli al CaritasBaby Hospital.«Il Papa è con voi»Dopo il giro in reparto, la visita incappella. Ad aspettarlo ci sono altreautorità locali, politiche ed ecclesiali,il seguito del Papa, i responsabilidi istituzioni caritative di Betlemme,alcuni rappresentanti del personalemedico ed infermieristico e noi suore.Lo accogliamo con un calorosoapplauso, l’emozione sale e ci rendeincapaci di vedere che cosa succedeattorno a noi perché tutto di noi ècentrato su quella figura inginocchiataa pochi centimetri che sta pregando insilenzio. Dopo alcuni minuti, ecco ildiscorso preparato per il Caritas BabyHospital. Facciamo fatica a capirlo siaper l’emozione sia per l’inglese nonsempre chiaro (ma sappiamo che inInternet possiamo trovarlo anche initaliano). «Il Papa è con voi»: lo ripeteanche qui, come ha fatto in tutti glialtri discorsi: la sua presenza è davveroreale, fisica. Lo ascoltiamo attenteperché i suoi discorsi fatti in questaterra hanno sempre una consegna perchi li ascolta.Al termine benedice una pietrapreparata per ricordare il suo “passaggio”,alcuni rami d’ulivo e mostrail dono per i bambini del CBH: unrespiratore artificiale. luglio/settembre 2009


Al termine, suor Erika lo aiuta ascendere i gradini e lo dirige verso dinoi dicendogli che volevamo salutarlo(il saluto alle suore non era previsto dalprotocollo ma quel momento era troppoimportante per stare al protocollo).Ci avviciniamo e, una ad una abbiamola possibilità di dirgli qualcosa.Il momento è intenso, forte; ognunadi noi sente l’unicità dell’incontro, ilprivilegio, la responsabilità. Ognunadi noi percepisce l’importanza di quell’attimoe nello stesso tempo la gioiadell’incontro, gioia espressa da suorLucia con un caloroso “viva il Papa”fatto a squarciagola, prima che il Ponteficelasciasse la cappella; con lei tuttinoi a ripetere quel “grido” il cui eco hacoperto tutto l’arco del suo pellegrinaggioin questa nostra Terra Santa.Fuori dalla cappella lo aspettanole monache di un monastero grecoortodossodi Betlemme - ci avevanochiesto infatti di poterlo incontrare unpo’ “fuori dalle quinte” -, e i bambinidell’asilo nido. Il Papa li saluta tutti,alcuni sono troppo grandi e pesantiper prenderli in braccio e allora unaguardia del corpo, fino a quel momentosevera nello sguardo e nei gesti, sollevai piccoli e li porge con tenerezza alSanto Padre per un bacio, una carezza.Sembra ripetersi la scena evangelicadell’incontro tra il Signore e i bambini:«Lasciate che i piccoli vengano a me».In fondo Benedetto XVI era qui proprioper loro.Una gioia che traboccaFinalmente il Santo Padre risale sullapapamobile, applaudito da tutti; vocidi “grazie” si mischiano a quelle delcanto “viva il Papa” ripetuto più voltementre le bandiere in mano sventolanoveloci. Lui sorride e saluta.L’auto parte mentre il cancello dell’ospedalesi apre lentamente quasi a volerlatrattenere; lo aspetta un’altra tappa:l’incontro con i rifugiati del Campodi Aida, a pochi metri dall’ospedale.La papamobile attraversa il parcheggioe dopo aver girato a sinistra scompareai nostri occhi. Anche gli ultimi uominidella sicurezza lasciano l’ospedale e noici abbracciamo lasciando cadere tensioni,paure, fatiche. La gioia pervadeogni animo e tutto l’ospedale. La sipercepisce. È tangibile. Tutti abbiamoqualcosa da dire agli altri che ci sonovicini; un concerto di lingue - arabo,tedesco, inglese, italiano, francese - siinnalza nel piazzale antistante la cappellaseguendo la musica di uno spartitoche non è scritto in nessun foglio,ma che è dentro il cuore di ciascuno eche ciascuno “canterà” ogni volta chela mente tornerà, con infinita riconoscenza,all’incontro con Benedetto XVIpellegrino in Terra Santa, pellegrino alCaritas Baby Hospital. ■Dal saluto di Benedetto XVInella visita al “Caritas Baby Hospital”Dio mi ha benedetto con questaopportunità di esprimere agliamministratori, medici, infermiere epersonale del Caritas Baby Hospital,il mio apprezzamento per l’inestimabileservizio che hanno offerto- e continuano ad offrire - ai bambinidella regione di Betlemme e di tuttala Palestina da più di cinquant’anni.Padre Ernst Schnydrig fondò questastruttura nella convinzione che ibambini innocenti meritano un postosicuro da tutto ciò che può far lorodel male in tempi e luoghi di conflitto.Grazie alla dedizione del Children’sRelief Bethlehem, questa istituzioneè rimasta un’oasi quieta per ipiù vulnerabili, e ha brillato come unfaro di speranza circa la possibilitàche l’amore ha di prevalere sull’odioe la pace sulla violenza [...].Padre Schnydrig descrisse questoluogo come «uno dei più piccoliponti costruiti per la pace». Ora, essendocresciuto da quattordici brandead ottanta letti, e curandosi dellenecessità di migliaia di bambini ognianno, questo non è più un ponte piccolo!Esso accoglie insieme personedi origini, lingue e religioni diverse,nel nome del Regno di Dio, il Regnodella Pace (cfr. Rm 14,17). Di cuore viincoraggio a perseverare nella vostramissione di manifestare amore pertutti gli ammalati, i poveri e i deboli.1Ospedale per bambini palestinesi, fondatonel 1952; dal 1975 vi prestano servizio lesuore elisabettine.In questa festa di Nostra Signoradi Fatima, gradirei concludere invocandol’intercessione di Maria mentreimparto la benedizione apostolicaai bambini e a tutti voi.Preghiamo:Maria, Salute degli Infermi, Rifugiodei Peccatori, Madre del Redentore:noi ci uniamo alle moltegenerazioni che ti hanno chiamata“Benedetta”. Ascolta i tuoi figlimentre invochiamo il tuo nome.Tu hai promesso ai tre bambinidi Fatima: “Alla fine, il mio CuoreImmacolato trionferà”. Che così avvenga!Che l’amore trionfi sull’odio,la solidarietà sulla divisione e la pacesu ogni forma di violenza! Possal’amore che hai portato a tuo Figlioinsegnarci ad amare Dio con tuttoil nostro cuore, con tutte le forze econ tutta l’anima. Che l’Onnipotenteci mostri la sua misericordia, ci fortifichicon il suo potere, e ci ricolmi diogni bene (cfr. Lc 1,46-56). Noi chiediamoal tuo Figlio Gesù di benedirequesti bambini e tutti i bambini chesoffrono in tutto il mondo. Possanoricevere la salute del corpo, la forzadella mente e la pace dell’anima.Ma soprattutto, che sappiano chesono amati con un amore che nonconosce confini né limiti: l’amore diCristo che supera ogni comprensione(cfr. Ef 3,19). Amen.luglio/settembre 2009nella chiesa


che distingue l’uomo dagli altri esseriviventi. E questo diviene nell’uomoaddirittura la possibilità di trascenderei propri stessi bisogni corporali,non facendosi determinare in modoassoluto da essi. Ciò rende possibilela logica del dono di sé, che è ciò cherealizza in pienezza l’essere umano.La giustizia dunque comprendetutte queste dimensioni, e nel momentoin cui una di esse viene mortificata,è l’uomo nella sua interezza che vieneminacciato.Nel mondo contemporaneo, unagrande riflessione che ha tentato difare una sintesi di cosa sia «dovutoall’uomo in quanto uomo», è quella suidiritti umani. Proprio l’anno scorsosi sono festeggiati i sessant’anni dellaDichiarazione Universale dei DirittiUmani, proclamata dalle NazioniUnite il 10 dicembre 1948, e ispiratatra gli altri da grandi pensatori cristiani,come J. Maritain. È certamenteuno dei punti più alti della riflessionedell’umanità sulla giustizia. Un vangelolaico sull’uomo, che ha dentromolto di cristiano: basta scorrerne iltesto per accorgersi di ciò.La responsabilità della rispostaLa seconda grande questione collegataalla giustizia, così come l’abbiamodelineata, è quella sulla responsabilità:chi è tenuto a dare all’uomo ciò che gliè dovuto? Questa è una domanda altrettantocentrale. Non si dà giustiziase non c’è risposta da parte di qualcunoal dovere di dare a ciascuno il suo.Anche la risposta a questa domandaè articolata.C’è una responsabilità che si collocaa livello politico: infatti «la giustiziaè la misura e anche lo scopo di ognipolitica» (Benedetto XVI, Deus caritasest 4 , 28). E qui si potrebbe riflettere alungo, perché veramente questo criteriocostituisce un punto chiave deldiscernimento sulla politica, ad ognilivello.Ma ciò su cui vale la pena di soffermarsiè che la responsabilità per lagiustizia non è esclusiva della politica.eticaLa Bibbia, come più volte ricordato,ci consegna una visione dell’uomo chenasce e vive in relazione con gli altriuomini, pur non confondendosi congli altri; è una visione che lo vede partedi un’unica famiglia, che comprendel’umanità intera, tutta figlia di ununico Padre. È il grande tema dellafraternità, spesso valore dimenticatotra quelli che il pensiero moderno hapreso in considerazione dalla triadedella Rivoluzione francese (libertà,uguaglianza, fraternità). Questa visioneorienta in modo decisivo la responsabilitàper la giustizia: «Tutti siamoveramente responsabili di tutti» (Sollicitudorei socialis 5 , 38), afferma GiovanniPaolo II. C’è una responsabilitàche investe ogni persona, riguardo allagiustizia (ricordiamo il messaggio perla giornata della pace 2008 citato nelloscorso <strong>numero</strong>, in cui Benedetto XVIafferma che il problema della povertàpotrà essere risolto solo quando ciascunosi sentirà «personalmente feritodalle ingiustizie esistenti nel mondoe dalle violazioni dei diritti umani adesse connesse»). Senza questo profondoelemento di corresponsabilità, chederiva dall’essenza più profonda dellapersona umana, la costruzione dellagiustizia sarà sempre parziale. Non sipuò costruire giustizia basandosi solosulle leggi, sui doveri dello Stato, suimeccanismi economici, sui tribunali,ma ciascuno deve fare la propria parte.Potremmo dire che ogni diritto fondamentaledell’uomo è un appello aldovere degli altri uomini, perché tuttine sono coinvolti. Ogni ingiustizianei confronti di ogni singolo uomo,è una ferita inferta a tutta la famigliaumana.Riprendendo la domanda su chisia l’uomo, da questa riflessione sicapisce anche come la giustizia siaincompatibile con una visione individualistadella persona, che riduce irapporti con gli altri a conflitto, e larelazione con l’altro al perseguimentoe alla massimizzazione del proprio interesse.È proprio un capovolgimentoantropologico.E tornando per un attimo alla responsabilitàdella politica per la giustizia,si intuisce che laddove gli uominisi sentono naturalmente corresponsabiligli uni verso gli altri, sarà facile perlo Stato e la politica svolgere i propricompiti e delineare una società giusta.Viceversa sarà un’impresa quasi impossibile.Tra carità e giustiziaQuesto modo di intendere la responsabilitàper la giustizia, aiuta avivere correttamente anche il rapportotra carità e giustizia. Questa è un’altraquestione molto importante per la riflessioneetica e spirituale, che spessonella storia e nella prassi ha dato originead alcuni equivoci. La giustiziaè parte essenziale dell’amore, e non sidà amore senza giustizia. La giustizia,come l’amore è questione di relazione,l’amore supera la giustizia, ma non nelsenso che la può eliminare. Nel caso diconflitto etico, prima viene la giustizia.Una delle convinzioni fondamentalidei cristiani è che non può esseredato per carità ciò che è dovuto pergiustizia. E d’altro lato nella ricercadella giustizia la carità fa la differenza,perché solo chi ama l’altro conosce piùin profondità il “suo” che spetta a ciascuno,ed è in grado di darlo anche consovrabbondanza e “senza misura”. Ricordiamoqui ancora il giudice Livatino6 che parlava proprio dell’amore inun ambito, la giustizia legale, in cuidi per sé è richiesto di applicare semplicementeciò che la legge dello Statostabilisce come giusto. (continua)1Sacerdote della diocesi di Padova, direttoredell’ufficio della pastorale sociale e dellavoro e del Centro di ricerca e formazione “G.Toniolo” – Padova.2Enciclica di Giovanni Paolo II del 1993nel ricordo dei cento anni della Rerum novarumdi Leone XIII (1893).3Cfr. i testi di Dietrich Bonhoeffer citatiin In caritate Christi, 2/2009, p. 7.4Enciclica di Benedetto XVI sull’amorecristiano (2005).5Enciclica di Giovanni Paolo II del 1987,nel ventesimo anniversario della Populorumprogressio di Paolo VI (1967).6Cfr. In caritate Christi, 2/2009, p. 8.luglio/settembre 2009parola chiave


spiritualitàEssere santi, rileggendo la lettera ai romaniOggi è tempo di santitàdi Giancarlo Bregantini 1vescovo di Campobasso-BojanoSanto è chi ama, chi crede, chiaccetta la sfida di una operosasperanza, chi si spende per ilrecupero della dignità dell'uomo.Santità, pienezza d’amoreIl tema che affrontiamo oggi è sicuramenteuno dei più affascinanti earticolati: la santità.Credo sia opportuno anzituttopartire da un concetto chiave, che èappunto una profonda domanda difede: «Cos’è la santità?». Certamenteil modello unico della santità è Cristo,il santo dei santi. E Dio ci vuole faresanti come lui. In lui ci rende degnicioè di amore salvifico, dunque disantità. Nella incarnazione di Cristosi compie e si conferma ogni santità,poiché essa qui trova la sua origine, ilsuo principio e insieme la sua verità.Questo già ci dice allora chi è ilsanto e cosa è santità. Santo è chi ama,chi dona la sua vita per l’altro, chi fala volontà di Dio, chi realizza il suodisegno d’amore già su questa terra, inquesto mondo, spendendosi del tuttoper il recupero e il rilancio della dignitàdell'uomo calpestata, abusata. Esantità non può che essere la pienezzad’amore come realizzazione effettivadel sogno di Dio; maturazione di quelgerme di grazia depositato in cuor nostro,fin dal battesimo; limpidezza delcolore di ogni sua meraviglia che si faarcobaleno, ponte di luce per raggiungereil suo cielo.anche di corsa), perché la santità indicaappunto un itinerario specificoper chi sceglie di percorrere la stradadell’amore, di appartenere alla vitasenza fine. Il segreto della santità stanell’attuare la propria fede interiore ingesti di carità viva per l’umanità, peril prossimo.Santità non è chissà che impresaardua e stupefacente, fatta di gesta epiche:essa è il coraggio, la bellezza dellavera testimonianza. È seguire Cristo,lasciando al mondo i suoi affanni, perindossare invece l’abito della speranza,la corona del dolore e portare la crocecon fiducia, facendo tutto per amore.E, come ci ricorda il papa BenedettoXVI, «la santità è il destino comune ditutti gli uomini chiamati ad essere figlidi Dio, la vocazione universale di tutti ibattezzati, perché è offerta a tutti».Santi si diventa imparando dai santi,per imitazione diretta, quasi percontagio, perché ogni santo concorrea farne sempre un altro. La santità ègrappolo, un insieme dove ognunooffre se stesso per l’altro, che chiamae invita tutti.San Paolo e la santitàProprio in questo tempo ci sentiamocontagiati maggiormente da sanPaolo, e ci accostiamo alla sua sceltadi santità - che consistette nel viveree annunciare il vangelo alle genti - entrandonella profondità teologica dellasua lettera ai Romani, dove egli ci offreproprio un decalogo molto speciale.Questo, a partire dal riconoscerenella polvere, in cui egli stesso è caduto,un vero e proprio bisogno di essereumili dinanzi alla grandezza di Dio.Perché chi è umile sa discernere chela perfezione consiste nell’abbassarsi enon nell’innalzarsi. Riconoscere quindii propri limiti, i propri peccati, matutto dentro il dono della grazia cheDio ci fa ogni giorno.Quindi il secondo punto è questo risalire,l’essere tratti dalla polvere per grazia,cioè gratuitamente da un Dio che èPadre. Una grazia che è giustificazione,santità progressiva, promessa assolutadi salvezza, resa efficace nella vita diogni giorno. La santità realizza la giustificazione,mediante la quale i nostripeccati, passati, presenti e futuri, sonocompletamente perdonati in Cristo. Lasantità è, dunque, un cammino che assorbetutta la vita su questa terra, comeconseguenza della salvezza. Al momentodel battesimo, lo Spirito Santo entranella nostra vita e noi siamo fatti liberiper la vita che Dio vuole per noi.Noi dunque siamo santificati, salvatiper grazia. E dentro questo ardoredi grazia e di giustificazione, la fede èil filo rosso della santità, la fonte delleforze spirituali, morali, per affrontareogni prova col sorriso, con fiduciacieca in Dio.Imparare dai santiMa la parola santità concerne anchela parola cammino (san Paolo parla10 luglio/settembre 2009


Santità è, dunque, fede, e la fede èsantità, come ci insegna Abramo cheha creduto contro ogni evidenza.Santità è favorire i più deboliSantità è rispettare i propri doniricevuti da Dio e sentire soprattutto lanecessità di metterli a frutto per il benecomune. Perché non è trattenendolichiusi nel proprio pugno che darannomai risultati di gioia e bellezza.Santità è prendersi la responsabilitàdegli errori dei propri fratelli; è ilnon giudicarli; è l’accoglierli semprecon massima carità e comprensione,dando loro consigli di pace e mai didiscordia e separazione.Santità è favorire i più deboli, averpremura e consolazione per chi soffre.Ecco il passo centrale: la forzadi Cristo in noi. Che si traduce insperanza attuata, condivisa, diffusa,evangelizzatrice, che trasforma il malein bene, la disperazione in comunione.Perché nel sigillo del battesimo c’èun’implicita, naturale volontà di perseguirela strada della santità, di sconfiggereil proprio ego, i vizi capitali perassumere le virtù dell’uomo nuovo:muoio per vivere, perché mi faccio donoper te e non ostacolo! È il chicco chemorendo germoglia e ridona vita.Il santo non rincorre traguardi digloria, nessuna vittoria se non quelladell’amore al di sopra di tutto. La suaè una lotta continua e appassionata peril bene, a fianco dei fragili, di quantisubiscono ingiustizie e hanno perso ilgusto delle cose alte.Il santo partecipa della infinitezzadell’essere di Dio che è bontà e misericordiae della universalità della carità,perché è sospinto dallo Spirito Santo,unico protagonista e fautore dellasantità. Lo Spirito conosce, penetra,intercede, raccoglie nella dolce forzadel suo gemito di amore, i gemiti dellacreazione. È colui che ci sta sempreaccanto, che non ci lascia mai soli. Ilcuore del santo batte di questa certezza:Chi mi separerà dall’amore di Dio?Chi potrà mai essere contro di me se iosono con Dio?Chi rifiuta l’amore di Dio, la suaalleanza, la sua amicizia, in verità siallea con la morte e non con la vita, contutte quelle ideologie devastatrici chepiegano l’uomo, rendendolo schiavodei voleri del male. È il no del popoloebreo che ci narra Paolo nei capitoli 9e 11 della lettera.Santità significa amare sempre,ad ogni costo, anche quando non siè amati, contraccambiati. È crederenell’altro, dargli una seconda possibilità,non negargli l’ospitalità e ilperdono. I santi non calcolano, dannoe basta, fino alla fine, come Cristo,perché l’amore esige la pienezza, latotalità del suo offrirsi, del suo consegnarsi.E coronamento a questo amore èsicuramente la compassione, il farsiaccanto a chi soffre, come il buonsamaritano, che non passò oltre, chenon ignorò il ferito, ma si preoccupòsolamente di dargli aiuto. Da qui unostile di vita dove regna la stima reciproca,autentica, senza subdoli interessi.Nella potenza dell’amoreTutta l’umanità è chiamata a consacrarsialla santità: «Poiché io sonol’Eterno, il vostro Dio; santificatevidunque e siate santi, perché io sonosanto» (Lev 11,44). Il santo non amasolo i suoi amici, ma soprattutto i suoinemici, perché è consapevole della potenzadell’amore, che tutto rinnova epurifica, anche un cuore di pietra. Aquesto amore ci raduna la santità cheè compimento della fede e ragionedella speranza che è in noi. L’effettopiù grande della santità è proprio ilperdono, il bisogno di riportare a Diochi è perduto e accecato dalle tenebredel male. Questo significa veramenteincarnare il “sì” al Signore, amare Dionell’uomo, vivere per Dio, rimanerenella luce e nutrirsi della sua Parola.Ogni coppia si santifica vivendo lapropria unione nel vincolo del matrimonioche è sacramento; ogni genitoreè santo nell’amore che ha per i proprifigli, doni di Dio; ogni educatorenell’accompagnare le coscienze versomete alte, dentro i valori etici fondamentali;ogni semplice individuoche partecipa al progetto di Dio nell’ordinarietàdella vita, nel servizio aifratelli, che rispetta il proprio corpocon la purezza del cuore, che applicai principi di giustizia e di unità nellospazio politico e sociale, che ringraziaper tutti i doni ricevuti con gratuità,che custodisce le cose umane, la natura,l’ambiente, le relazioni tutte confedeltà.Santo è chi si mette in relazioneamorevole con le creature e la creazione.Essere santi cioè è farsi riconoscerecome figli di Dio nel mondo. ComePaolo, santifichiamo il nostro cuorenell’obbedienza a Dio, attingendo ildolce conforto di Gesù Cristo, camminando,amando, santificandoci secondolo Spirito che è amore. ■1Stimmatino, vescovo della diocesi diCampobasso-Bojano, dal 19 gennaio 2008; giàvescovo della diocesi di Locri-Gerace (RC) dal1994. È membro della Commissione pontificiaper il clero e la vita consacrata.spiritualitàluglio/settembre 2009 11


finestra apertaPROBLEMA MIGRAZIONE (III)Migrazione:ricchezza o problema?Verso una mentalità pluriculturalefamiglie di origine.• La conseguenza diquesto crescente arricchimentoha anche un risvoltonegativo, ovvero quello dicreare un inatteso afflussodi soldi verso famiglie chenon erano mai state abituatea gestire tanti beneficie che di colpo si ritrovanoarricchite rispetto allefamiglie loro concittadineche non godono di questaopportunità. Si sente spesso,in questi Paesi, parlaredi ragazzi figli di emigratiche, sotto la tutela di parentie familiari, rimangononei loro Paesi di origine permotivi di studio e si vedonoarrivare quantità di denaromai viste dai loro genitoriemigrati, utilizzandoli poiper scopi non sempre nobili,vista la mancanza di unadeguato controllo maternoo paterno su di loro. L’aumentodella devianza giovadiAlberto Brignoli 1sacerdote di VeronaRipensareil fenomeno migratorioper una accoglienzae un sostegno solidali.Conseguenze delfenomeno migratorioChe cosa comporta ilfenomeno della migrazione,in ogni parte del mondoesso avvenga? Delineereialcuni aspetti/conseguenzedel fenomeno sia rispetto aiPaesi di immigrazione siarispetto ai Paesi da cui lamigrazione fluisce.I Paesi che conosconoal loro interno un notevolemovimento di popolazioniverso situazioni di vitamigliore vivono in manieracomplessa questo fenomeno:• da una parte, c’èsenz’altro una crescita deltenore di vita di popolazioniche usufruiscono dei fruttidel lavoro dei loro emigratiin altre parti del mondopiù industrializzate. Bastipensare che in diversi Paesidell’America Latina e dell’Africala prima fonte direddito a livello nazionale(che quindi fa cresceresensibilmente il PIL dellostato) è data dalle rimessebancarie e pecuniarie fattedai loro emigrati verso leI Paesi, come l’Italia,chiamati prevalentemen-nile in ordine ad alcolismo,droga e gioco d’azzardo neiPaesi sudamericani con altaconcentrazione di emigrativerso Europa e Stati Unitista assumendo connotatimolto preoccupanti.• Da qui, la necessitàdi aiutare i nostri fratelliimmigrati a fare scelte chepuntino più all’integrazioneche alla disgregazionedelle famiglie. È frequentissimoil caso di immigratiche lasciano mogli o maritinei loro Paesi di origine,spesso con i figli, e poi sidimenticano di loro, ricostituendonuove famiglienei Paesi di immigrazione(spesso con altri immigratianche di etnie diverse)e dando così la ovvia opportunitàdi fare altrettantoal coniuge rimasto a casaa doversi sobbarcare il pesodella famiglia da solo.Questo pericolo può esserein parte superato invitandoi nostri fratelli immigrati atrovare il modo, se ciò non ètroppo oneroso e se esistonole condizioni oneste e giusteper farlo, per ricongiungerea sé i loro familiari nei Paesidi immigrazione, e puntarequindi ad una integrazionesempre più ampia finoa giungere, dopo un processogenerazionale, ancheall’acquisizione della cittadinanzaalmeno per partedella famiglia; e comunque,anche nel caso di immigratisenza particolari vincolifamiliari, ad avere una percezionedi temporaneità eprovvisorietà nella presenzaall’estero, che permetta lorodi pensare ad un rientronel loro Paese in condizionieconomicamente dignitoseche li mettano in condizionedi attuare scelte lavorative edi micro-imprenditorialitàsignificative e proficue peril Paese.Urgenze per gli Statiche accolgono12 luglio/settembre 2009


finestra apertain camminofronti di chi, immigrato o italiano chesia, non rispetti le normative vigenti inordine all’immigrazione;• piena consapevolezza, da partedei cittadini immigrati regolari oin via di regolarizzazione, dei propridiritti ma anche dei propri doveri; eobbligo, da parte nostra, di aiutarlinel comprendere tali diritti e doveri,soprattutto attraverso il buon esempiodi legalità, che spesso manca pure anoi, nel piccolo e nel grande;• la creazione, da parte nostra, diuna mentalità pluriculturale, apertaalla diversità, e non impaurita dallediverse espressioni religiose, antropologicheo culturali. Ciò presupponeovviamente la piena consapevolezza econvinzione di avere solide basi antropologichee valoriali che costituisconoil nostro vissuto quotidiano.Conoscereper collaborareChe paura mi può fare un cittadinoimmigrato di un’altra religione,14 luglio/settembre 2009se io professo la mia fede in modoconvinto e lui pure, rispettandoci evolendoci bene come fratelli? Checosa mi costa conoscere qualcosa dipiù della sua cultura e del suo Paesedi origine, che mi permetta pure dicapire meglio il perché di certi suoicomportamenti che a volte mi paionostrani? Perché, invece di visitaresiti internet di lapalissiana banalitào di guardare programmi televisiviche del mondo mi fanno conosceresolo paradisi e isole tropicali dove sigiocano le peggiori performance di noioccidentali, non mi muovo a cercarequalcosa che mi faccia più intelligentesulla realtà mondiale? Perché noi italianisiamo noti al mondo per la nostrabuona cucina, la nostra arte, la nostracordialità, ma pure per la nostra ignoranzadelle lingue straniere?• l’importanza di darci da fare perattuare canali di collaborazione con iPaesi di provenienza degli immigratiper creare in loco occasioni e progettidi sviluppo che poco a poco portinoquei Paesi a un tenore di vita un po’meno drammatico dell’attuale. Nonè certo con l’assistenzialismo che siaiuta un popolo ad uscire dalla propriacondizione di miseria, ma attraversola creazione di seri progetti di sviluppo.I nostri missionari e gli organismidi volontariato internazionalepossono svolgere, in questo senso, unimportante funzione di “ponte” tra leculture.Le modalità per crearci questa mentalitàpluriculturale sono <strong>numero</strong>se esvariate e soprattutto abbiamo la possibilitàdi sperimentarle nella vita di ognigiorno, vista la grandissima presenzadi immigrati nel nostro Paese: ciò checonta è che non vediamo questo comeun elemento di disturbo o solamente dipreoccupazione data dalla loro diversitàculturale e sociale, ma (come diciamospesso solo a parole) riusciamo davveroa leggere nella diversità una ricchezzapiù che un elemento di difficoltà. ■1Sacerdote diocesano, membro della direzionedel CUM di Verona per la sezioneAmerica Latina.INCONTRO INTERCOMUNITANel grembo deOrizzonte apertodi Chiarangela VenturinstfeAlcune suggestioni dall'incontrointercomunitario delle sorelledell'Ecuador nei giorni6-10 agosto 2009.Èl’immagine del grembo che accoglie,custodisce e genera vitache ben descrive la riflessioneche ha accompagnato noi sorelle dell’Ecuadornei giorni 6 - 10 agostodurante l’incontro intercomunitario inCarapungo-Quito: immagine riferitaalla qualità del nostro relazionarci incomunità e che in certa misura rimandaal processo di “unificazione” dellenostre due circoscrizioni, processo nelquale stiamo e che si fa sempre piùconcreto.La celebrazione iniziale ci mettedi fronte alla Parola e ai “verbi dellafraternità” che madre Margherita cisuggeriva nella sua lettera programmatica,mentre i vari momenti di preghiera,preparati dalle comunità, ciaiutano a sentirci forti della presenzadel Signore e del suo aiuto che puòcompiere nelle nostre comunità il miracolodella comunione.Il primo giorno ci accompagna padreJoseba Segura, sacerdote bascofidei donum, con l'obiettivo di sperimentarsiin una dinamica sugli stilidella comunicazione interpersonale;identificare elementi che aiutino a superarei conflitti impliciti nelle nostrerelazioni; ri-scoprire, alimentare e sostenerela fiducia nella possibilità dicambiare.


RIO in ecuadorll’ospitalitàI “verbi della fraternità”, nella celebrazionedi apertura dell'incontro intercomunitario.Padre Joseba ci presenta gli aspettipositivi e negativi nella comunicazionee le sue proprietà, e lo fa in una formamagistrale, dinamica, chiara e concreta.Nel lavoro di gruppo evidenziamovari ruoli negativi che a turno impersoniamo:la cosiddetta “invalida”, la“risentita” e la “diversa”. Un po’ tutteci ritroviamo in essi, ma anche in quellipositivi: della “iniziatrice” che prendel’iniziativa, della “fiduciosa” che credenegli altri e sa creare unità e amicizia,della ‘cooperatrice’ che getta ponti traidee, interessi, progetti, persone.Il secondo giorno è con noi padreSantiago Ramírez, francescano cappuccino,che ci aiuta a cercare il fondamentodel nostro essere fraternitàcomunitànella Bibbia e in Francesco;attivare pensieri e atteggiamenti perimparare a ospitare l’altro, la realtà,le situazioni che cambiano continuamente.Padre Santiago ci spiega come tuttala creazione ha in sé la forza della coesione-comunità,il marchio dell’unitàcon un’origine, un cammino e un destinocomune per tutti.La fonte è Dio trinità: la comunitàtrinitaria illumina e interroga le nostrefraternità. Francesco vive nella Trinitàe capisce che la fraternità nell’Ordineha in essa la sua ragion d’essere. La vitadella fraternità è avvolta dal misterodella Trinità.Negli Atti degli apostoli la Paroladi Dio si diffonde, è germe di vitache cresce, unisce e dà la vita. Ancheoggi la Parola convoca la comunità,è il suo alimento. Francesco meditala Parola e si trasforma in Vangelovivo. Gesù è il fondamento e il centrodella comunità. La prima comunitàcristiana nasce dal mistero pasqualeper l’azione dello Spirito e tuttavia, peril peso del tempo, poco a poco in essadiminuisce l’entusiasmo e l’impegno:è la realtà di ogni comunità umana cheè chiamata a rinnovarsi continuamente,a convertirsi, a ritornare al vangelo,a costruire fraternità, a fortificare lafede, approfondendo il mistero dellapasqua di Gesù. Il vangelo diventa ilfondamento e la vita della comunità.L’eucaristia crea comunità e favoriscel’unità di tutti i suoi membri;ne è il fondamento e le imprime undinamismo vitale.L’ultimo aspetto che si riferiscealla comunità è la missione. La stessacomunità con la sua vita di amoreè missione. La missione rafforza edespande la fraternità a tutti gli uominie le donne della terra, perché si realizzil’unità della famiglia umana nell’amoree si compia così il sogno di Dio.Non solo Dio è fonte dell’ospitalità,lo è anche la madre-terra che cigenera e rende fratelli. Dio e la madreterrasono le due fonti della vita e dellafraternità.«Impariamo - ci dice padre Santiago- l’ospitalità dalla terra. Viviamoinsieme a tutte le creature, siamo minori,ospiti senza appropriarci di nullaperché tutto deve stare al servizio ditutti e della vita.È importante creare attorno a noiambienti e spazi di ospitalità: accogliere,servire e consolare poveri, anziani, emigranti,stranieri... con la stessa tenerezzae misericordia di Dio che si fa umanità.Francesco è il fratello di tutti: ha latenerezza di colui che ama perché si èsentito amato da Dio. Il Cantico dellecreature ci manifesta la sua armoniae integrazione con il creato. Francescoha acquisito la libertà interiore, losguardo trasparente. È una personariconciliata, fraterna, amorosa. Contutte le creature loda Dio e rimanenella sua santissima volontà».L’incontro è anche occasione perringraziare il Signore della presenza edel servizio di suor Francesca Violatoche celebra il 25° di professione religiosa(nella foto in basso mentre rinnovala consacrazione).Una splendida escursione al monteMindo ci permette di vivere concretamente…la fraternità universale. ■luglio/settembre 2009 15in cammino


alle fontiverso il 2010Cantare parlando di leiDal tesoro di famigliacose nuove e cose antichedi Paola CoverstfeUna lettura dei canti dellafamiglia elisabettina per portarealla luce della consapevolezza unpatrimonio che ci appartiene.L’ideaPerché non fare una nuova edizioneda offrire a tutta la famigliaelisabettina dei canti della nostra tradizione,favorendo la scoperta e la consapevolezzadi un patrimonio storico,musicale, spirituale che nel tempo èandato formandosi?Quest’idea, circolata tra alcunesorelle due anni fa e maturata dall’approssimarsidel 150° anniversario dellamorte della beata Elisabetta Vendramini(aprile 2010), ha entusiasmato unpiccolo gruppo di elisabettine che hainiziato a ritrovarsi settimanalmenteper imparare, ripassare, perfezionarecanti di ieri e di oggi.Ne è scaturito un ricco repertorioche affonda le radici nel primo Novecentoe arriva ai nostri giorni.Sentimenti, parole, generi e stilimusicali diversi hanno attraversatoquasi un secolo di storia e di vitainterpretando il rapporto tra le figliee la Madre, tra le discepole e la maestradi vita spirituale: ci restituisconooggi il significato di un legame checontinua, di una relazione che coinvolgenello stesso progetto di amore,di una passione che accomuna espinge a testimoniare la misericordiadel Padre.Sei la luce che brillasul monteTre canti in particolare ci fanno ripercorrerela storia di Elisabetta e dellasua famiglia: Sei la luce che brilla sulmonte, Mentre occhieggiavan le stelle,L’amore ci possieda.Il primo 1 , composto per la celebrazionedel primo centenario dellamorte, traccia il percorso di ElisabettaVendramini, iniziato proprio a Bassano,sua città natale, adagiata ai piedidel Grappa e attraversata dal Brenta,il «bel fiume ridente, dove l’Alpi digradanpiù giù» (ben evidenziato nellafoto in basso, anni Sessanta). Se lì sonole radici di Elisabetta, le sue origini,come accenna l’inizio del canto, subitodopo la ritroviamo a Padova, città delSanto, dove «la sua casa soave fondò».In questa nuova famiglia, paragonataa un giardino, l’amore vivo diCristo può fiorire e aprire alla speranza«il cuor mesto dei fanciulli, dei vecchie malati», primi destinatari della curaamorevole, educativa e caritativa diElisabetta e delle sue prime figlie.Una breve pennellata è sufficienteper respirare lo slancio missionario- «tanto ardore or sentire si fa» - chespingeva la Congregazione, a metà anni30 del ’900, ad allargare i suoi confini«sin nell’Africa nera che aspetta».Ancora, si coglie il desiderio chela Madre, «luce che brilla sul montee guida all’amore bruciante del cielo»,sia riconosciuta modello per la chiesae possa «nell’aureola raggiante, Beata,sull’altare mostrarci il cammin!».Nella culla della famigliaPadova, 10 novembre 1828: dallabucata soffitta Elisabetta intravede lestelle che «brillano dalle loro vedette»…anche lei sussulta di gioia per ilsuo Creatore che nella reggia della povertàfa nascere «una cosa nuova, cheproprio ora germoglia» (Is 43,19) comeulteriore espressione di vita francescanainnestata nella Pianta antica.È il canto Mentre occhieggiavan lestelle 2 a condurci nella “culla” della nascentefamiglia dove «pieno di gioia infinitas’apriva un nido alla vita».Questa immagine tenera, che ricorreesplicitamente in quattro delle seistrofe, ci parla delle sue origini poveree umili che attirano il «dolce sguardodell’Immacolata», le «rose» che cadonodal «grembo di Elisabetta Regina», lapresenza fedele e protettrice di sanGiuseppe il quale «fece il gran dono diporre quivi il suo trono», la «fiamma»offerta dall’«ardore» del Poverello diAssisi: in pochi tratti sono presentatii patroni della famiglia e ancora,ricorrenti nel ritornello, le virtù del«candido Fiore» sbocciato dalla Piantaantica: «povertà francescana, spirito difede, purezza d’amore».16 luglio/settembre 2009


Dal “nido” si sprigiona «festantee fervente la vita», nella «letizia delsentirsi sorelle»: su di esso è protesa dalcielo la Fondatrice che «anime ardentidi zelo vuole donare alla Chiesa».L’amore ci possiedaPer la celabrazione dei 150 anni difondazione l'Inno dell’istituto 3 - L'amoreci possieda - tesse la storia della fondazioneattraverso le parole di Elisabettache, dalla sua esperienza diventanoprogetto di vita per le figlie suscitandolo slancio del dono: «L’amore ci possieda,ci faccia operare, ci getti nel mondoqual vento» per portare a tutti l’ansia, lagioia e la pace del regno.Raccogliendo i tratti salienti deldono che lo Spirito le ha fatto in quantoiniziatrice di una nuova famiglia, lestrofe evidenziano le sfumature evangelichecon cui anche noi dopo di leivivere la vocazione-missione francescanaelisabettina. Facendo eco alla suaopera, le sue figlie sono chiamate a intercettare«cuori assetati di amore», chericercano luce; per questo costruiscono«una casa d’amore in cui regna silenzioe preghiera», in cui «umiltà, povertà ededizione» la rendono chiesa di Dio.È una casa che si fa accoglienza «perchi è solo, turbato, indifeso» e inaugurala vita nuova in letizia che fa della caritàil distintivo perenne; nella grazia diessere sorelle e di servire gioiose i poveri,che «rivelano il dolce suo volto».Dal cielo guardaciLa tradizione ci consegna due canti-preghieraalla Madre perchè guardidal Cielo «l’umile drappello» che necustodisce la memoria e desidera vederlaBeata qui in terra; scritti in duemomenti ne esprimono, con melodiediverse, lo stesso anelito.Una prima edizione, titolata OVendramini, guardaci 4 , composta trafine 1800 e inizi 1900, contiene unaterza strofa che richiama la figura didon Luigi Maran, «nostro fondatoreche un’opera sì grande sostenne conamore», un cenno alla sua presenza- fondamentale per Elisabetta Vendramini,quale guida spirituale, e per lafamiglia da lei fondata, di cui era direttoree consigliere - dice la venerazionenutrita per lui dalle prime generazionidi elisabettine. Di lui si parla esplicitamenteanche in Mentre occhieggiavanle stelle.La seconda edizione: O Madrenostra, guardaci 5 vede la luce per lacelebrazione del primo centenario difondazione, nel 1928.Elisabetta,riaccendi nel mondoIl sogno di vedere riconosciute dallaChiesa le virtù eroiche della Madreperché non rimanesse nascosta «la luceche brilla sul monte», diventa realtànel 1990, a duecento anni dalla sua nascita:è l’occasione per trovare nuoveparole che in forma di Inno alla beataElisabetta Vendramini 5 ne trattegginole caratteristiche umane e cristiane vissutein pienezza evangelica.Durante le celebrazioni della beatificazionerisuonerà in particolare laversione musicale del francescano TerenzioZardini, diventata poi familiarea tutto l’Istituto; ma un’altra versionemusicale dello stesso testo di MarioChiarapini arricchirà il repertorio perla festa della Beata, fissata il 27 aprile.«Elisabetta, riaccendi nel mondola fiamma di amore divino: ognunosi senta fratello, sia Dio la gioia ditutti»: nel ritornello, che crea un immediatorapporto con colei che vivedi Dio e in Dio, ricorre l’immaginedel fuoco, tanto cara alla Vendramini,infiammata dall’amore divino e mossadall’urgenza di diffonderlo, «paziente,operosa, regale, vestita di misericordia»,mentre segue «il radioso ideale:ridare a ogni figlio di Dio l’immaginebella di Cristo».Altri due Inni 7 , che trovano la lorocollocazione nell’ambito liturgicodella festa della Beata alle Lodi e ai SecondiVespri, ci offrono i tratti della suapersona che, da vergine saggia, «vissegenerosa la carità di Cristo»: donnacontemplativa, nutrita dalla preghierae dall’eucaristia, abitata dalla Trinità,vestita di fede profonda, vuole «portareil mondo a Dio, far brillare l’immaginesua nei fratelli che l’hanno smarrita».Emergono i lineamenti della donnaforte, prudente, fedele che fa dellacarità il suo distintivo e vivendo inobbedienza, umiltà e povertà cercaunicamente il bene del prossimo e lagloria di Dio.C’è davvero motivo per dare gloriaal Padre «che di santi abbellisce laChiesa» e domandare, insieme e attraversoElisabetta, di tendere alla «misuraalta della vita cristiana» (NMI n.31), camminando con gioia e coraggiosulla via della santità. (continua)1Testo di Vittorio Zambon e musiche diCelestino Eccher e Terenzio Zardini, 1960.2Testo di Maddalena Masutti, musica diAmato Ceccarelli, 1953.3Rielaborazione poetica di suor PaolaFuregon, musicata dal Gen Rosso e, in altraversione, da Dino Menichetti, 1978.4Autore anonimo.5Musica di B. Ravagnan.6Testo di suor Anna Maria Griggio, 1990.7Testo di suor Anna Maria Griggio, 1990.alle fontiluglio/settembre 2009 17


accanto a...diversabiliEsperienza all’Istituto “San Francesco” di Vasto MarinaRaccontare il sorriso di DioUn anno di catechesi con persone diversabilidi Claudia BertonstfeSi è tenuto il 4 giugno 2009a Bucchianico (CH) il primo convegnosu Catechesi e Disabilità,organizzato dall’ufficio catechisticodella diocesi di Chieti-Vasto.Un evento che ha messo a temala catechesi a chi è affettoda disabilità.Il vangelo offertoanche ai “piccoli”Il convegno si è aperto con il salutodell’arcivescovo di Chieti, monsignorBruno Forte, e la relazione del biblistadon Giuseppe De Virgilio sul tema:Le varie membra abbiano cura le unedelle altre.Dopo la relazione si è rivelata interessantela parte relativa a “Esperienzee testimonianze” che ha consentitodi conoscere diverse associazioni che,all’interno della diocesi, si occupano didisabilità. È apparso chiaro che tuttele realtà che si occupano di personediversabili, siano esse laiche o religiose,fanno un importante servizio alladignità della persona, alle famiglie ealla società civile. Ma quanti “hannocura del Vangelo” e si adoperano perchéil Signore Gesù sia conosciuto eincontrato da tutti - anche da coloroche spesso sono ritenuti troppo deboliperché affetti da minorazioni fisiche,psichiche e sensoriali che causano difficoltànell’apprendimento, nella relazionee nell’integrazione - stannocompiendo un passo ulteriore che la18 luglio/settembre 2009Chiesa, per il compito missionario affidatole,è chiamata a incoraggiare esostenere.Anche la “Fondazione p. AlbertoMileno” onlus 1 , che opera nel campodella disabilità da molti anni in undiciCentri, diurni e residenziali, inAbruzzo e in Molise, è stata chiamataa portare la propria testimonianza delleenergie dedicate alla catechesi conpersone diversamente abili, essendoun’opera dalle radici cristiane e francescane.Una educatrice della Fondazione mentreillustra al convegno di Bucchianico alcunioggetti prodotti con persone diversabili asostegno dell'attività catechistica.Percorsi programmatie condivisiL’intervento richiesto alla “Fondazionep. Alberto Mileno” per il convegnoha dato modo di riepilogare e raccontarele iniziative proposte durantel’anno nell’ambito della catechesi.Il primo aspetto su cui è stata postal’attenzione è stato l’impegno sul frontedella formazione per gli operatoricatechistidi persone diversabili realizzatocon incontri di tipo metodologico,per la consegna e la presentazione delpercorso catechistico che copre tuttol’anno liturgico. Si tratta di materialeda utilizzare sia negli incontri settimanalicon gli ospiti sia nella preparazioneai sacramenti dell’Iniziazionecristiana, come spesso richiesto dallefamiglie delle persone diversabili accoltein Fondazione.Si è sottolineato come il percorsocatechistico proposto abbia bisognodi un adattamento al linguaggio e allecapacità dei destinatari e proprio perquesto deve essere verificato attraversoopportune schede compilate daglistessi catechisti-operatori.Questi incontri sono un’occasioneper ricevere spunti, ma anche per confrontare,partendo da un unico percorso,le esperienze vissute nelle diversesedi con tante ricchezze ed inevitabilidifficoltà.In secondo luogo per chi accetta diaccompagnare altri nella fede occorreuna formazione di tipo biblico, bensupportata anche da quella umanopsicologicache sostenga non solo nellatrasmissione dei contenuti di fede, mache si curi anche della capacità relazionalee comunicativa del catechista.Quest’anno si è approfondito iltema della festa:1L’Istituto “San Francesco d’Assisi” inVasto Marina (CH) è nato nel 1965, per iniziativadi padre Alberto Mileno, dei frati minoricappuccini della provincia di Abruzzo. Nel1992 fu eretta la “Fondazione Padre AlbertoMileno”, la quale ha rilevato le attività dell’Istituto“San Francesco d’Assisi” precedentementegestite dalla Provincia degli Abruzzidell’Ordine dei frati minori cappuccini. Nel1998 la Fondazione ha ottenuto il riconoscimentodi Onlus.


accanto a...diversabiliLa festa nelle parabole. La gioia ele altre emozioni. La festa nella vita diGesù e la festa dell’eucaristia. La gioiae le altre emozioni nei destinatari dellacatechesi.Sono state opportunità per conosceretesti evangelici che affrontanoda angolature diverse il tema dellafesta e della gioia e anche per rifletteresu come l’educatore-catechista vivela gioia e le altre emozioni, ma anchesu come la vivono i destinatari dellanostra catechesi.Il linguaggio espressivodell’arteInfine, dal momento che in tuttii centri della Fondazione sono attividei laboratori per stimolare le capacitàdegli ospiti e che la manualità è unlinguaggio e una risorsa importanteanche per la catechesi, si è dato spazioanche a incontri a tema per i catechistioperatori.Nel primo incontro - Arte e catechesi.Le feste cristiane attraverso alcuneopere d’arte - si è voluto far conoscereil linguaggio di un’opera d’arte emostrare come si possa usare l’operad’arte per la catechesi e la preghiera.Nel secondo - Scrivere un’icona ele fasi della sua scrittura - si è inveceevidenziato il cammino spirituale chefonda la “scrittura” dell’icona per poimostrare fasi, strumenti e materialinecessari alla sua realizzazione.Appuntamenti su misura“Aver cura del vangelo” e darsida fare per attivare un percorso dicatechesi con persone diversabili haLa chiesa di S. Francesco a VastoMarina, adiacente all’Istituto, nell’ultima“festa della catechesi” con gli ospiti dellaFondazione, 15 maggio 2009.Il “salone degli aranci” della FondazioneMileno durante l’incontro: “Scrivereun’icona”.voluto dire creare degli appuntamentipensando in modo specifico a loro.All’interno dei diversi centri è programmatoun incontro settimanale dicatechesi con riferimento al vangelo ealla liturgia della domenica. Dove larealtà lo consente, si curano i rapporticon la parrocchia nella quale il centroè inserito, aderendo il più possibile allesue proposte e offrendo opportunitàdi conoscenza reciproca e di integrazione.Altri appuntamenti celebrativi incui invece tutte le sedi si radunanoinsieme nella chiesa di S. Francescoa Vasto Marina sono: l’apertura dell’annocatechistico, fissata per il 4ottobre, nella festa di san Francesco,patrono dell’Istituto, la festa di santaElisabetta d’Ungheria, la messa diNatale e di Pasqua e infine la chiusuradell’anno catechistico, collocataa metà maggio. Sono momenti importantiin cui esprimere il messaggiodella liturgia con il linguaggio piùadatto al “nostro attento ed esigentepubblico”, quello della drammatizzazione,della musica, delle immagini,della gestualità e del simbolo. Questesono occasioni di collegamento fra idiversi centri della Fondazione per farsperimentare un vero clima di festa edi famiglia.Un incontro-tipoLa testimonianza relativa al nostroimpegno in catechesi si è arricchita conla presentazione di un “incontro-tipo”di catechesi con persone diversabilispecificando fasi e attività, ma anchemostrando alcuni oggetti realizzatidagli stessi ospiti a conclusionedi un percorso di catechesi oppureutilizzati dal catechista per rendere piùcomprensibile il messaggio. In questomodo si è reso evidente quanto siaimportante l’uso delle immagini, delsimbolo e del gesto per supportare lacomunicazione verbale. A chi operacon persone che hanno determinatecaratteristiche di apprendimento sonorichieste, oltre una reale e personaleesperienza di fede da comunicare, indiscutibilicapacità umano-relazionalie una certa consuetudine nell’uso diun linguaggio essenziale, semplice einsieme concreto.Lavoro in reteConsapevoli che anche nell’ambitodella “catechesi con persone diversabili”non si può pensare di bastarea se stessi, rinchiudendosi nelle proprieattività e iniziative, abbiamo attivatooccasioni per “mettersi in rete”con quelle realtà che, per esperienzae competenza, rimangono riferimentisignificativi: collegamento e scambiocon l’ufficio catechistico nazionale cheha al suo interno un settore denominato“catechesi dei disabili”, con l’ufficiocatechistico diocesano, con la “Comunitàdi Sant’Egidio” a Roma e con “LaNostra Famiglia” a Ostuni.Superando pregiudizie pigrizieTutto questo impegno nella catechesicon persone considerate spessopovere e deboli, limitate e fragili puòaccanto a... diversabililuglio/settembre 2009 19


accanto a...diversabiliDanza, durante la “festa della catechesi” con gli ospiti della Fondazione, 15 maggio 2009.sembrare eccessivo a chi punta tuttosulla capacità umana di comprendereil messaggio evangelico a livello cognitivo-razionaleper cui si diventacristiani solo mediante la conoscenzaintellettuale delle verità.Non è più il tempo di chiedersi sedare o no i sacramenti a chi vive unaqualche disabilità. I documenti ecclesialisono pieni di affermazioni, comequella che prendiamo dal DirettorioPastorale Diocesano (Chieti 2008),“Norme diocesane per la celebrazionedell’iniziazione cristiana degli adulti,dei fanciulli dai 7 ai 14 anni, e peril completamento dell’iniziazione cristianain età adulta”: «La chiesa ha ildovere di accogliere, sull’esempio diCristo, tutti, specialmente i piccoli,i poveri e i sofferenti, né deve maidimenticare la sua responsabilità dieducare tutti con pazienza perché sianosuperati i pregiudizi e le resistenzeche possono riscontrarsi anche all’internodelle comunità cristiane» (n. 6);e di seguito: «il parroco non rifiutimai la celebrazione di un sacramentodell’iniziazione cristiana a motivo digravi forme di disabilità» (n. 10). Giàil concilio Vaticano II aveva detto che«la persona vale per ciò che è e nonper quello che ha o sa fare» (GS 35).Tutto questo sta a dirci che una certamaturazione, almeno in linea teorica,è già avvenuta. È fuori luogo anchequel falso pietismo di chi dice: «Nonserve fare catechesi alle persone disabili;sono loro che fanno catechesia noi… sono già vicine a Dio per lasofferenza che vivono», perché si trattadi posizioni che nascondono una certapigrizia e una difficoltà comunicativada parte nostra.Questo è il tempo, dopo tanti proclamida parte della Comunità Europeae tanta sensibilizzazione operatadalla Chiesa anche in Italia, di darsida fare per trovare il linguaggio checomunichi l’esperienza della fede e ilmessaggio evangelico nel modo piùadatto alle caratteristiche e alla capacitàdi ciascuno. E dopo tutto questo necessarioimpegno ci renderemo contoche davvero anche la nostra esperienzacome persone e come cristiani ci guadagna.Uniti nello stesso stuporeProponendo la catechesi a personediversabili veniamo arricchiti a nostravolta ritrovandoci a vivere lo stessoloro stupore nel momento della liturgia,la gioia della relazione fra di noi econ Dio, ma impariamo anche l’essenzialitàe la concretezza di quella fedeche anche noi, a suo tempo, abbiamoricevuto.Per sottolineare il dono che sono idisabili nella comunità, abbiamo conclusoil racconto della nostra esperienzacon una risonanza molto particolare(vedi box a fondo pagina).Si tratta di una poesia composta dauna persona che partecipa con altri fedelidella comunità parrocchiale, nellachiesa di S. Francesco d’Assisi a VastoMarina, alla liturgia della domenicaanimata dagli ospiti diversabili di alcuniCentri della Fondazione. È statascritta in occasione dell’ultima festarealizzata a maggio a conclusione delleattività catechistiche di tutti i Centri.L’autrice, oltre ad avere al suo attivomolti riconoscimenti ottenuti inconcorsi di poesia a livello nazionale,è stata insegnante nelle scuole mediestatali di Vasto di molti ragazzi dellaFondazione; soprattutto per questosentiamo che le sue espressioni sonocariche di spessore e di passione.Leggendola, ascoltandola, ci possiamoaccorgere che non servonoaltre parole per dire ciò che si provaogni giorno nella relazione e nelservizio della catechesi con personediversabili. ■Per teun arcobalenodi gioiaUn poco stonata la tua vocenel coro attentocoinvolto dalla melodiadell’orchestrina della domenica,contorte le maniche si agitano come farfallema il tuo sguardoè acceso nel cieloscintillante di lucee il tuo sorrisoè come folata di ventosu un mare di nebbiache diventa chiaritàe respiro dell’anima.Non conosco il tuo nomee ti farfuglio un “ciao”.La tua felicitàè dono per menel sorriso di Dio.ElisabettaRicca Cottone20 luglio/settembre 2009


accanto a...giovaniEsperienze estiveCondivisione di frammenti di vitaCon i giovania cura di Ilaria Arcidiaconostfeaccanto a... giovaniDurante l’estate diverse sono statele esperienze di servizio, cammino,fraternità proposte ai giovanidi età compresa tra i 20 e i 35 anni.Per molti di loro hanno rappresentatol’opportunità di fermarsi, di mettersi inascolto della propria storia e dei propridesideri, di interrogarsi sulla direzioneda prendere, confrontandosi alla lucedella Parola, nella condivisione dellafraternità e nella ricerca di ciò che èdavvero essenziale.Storie, esperienze, incontri, stradepercorse… tutto si è trasformato in unagrande “lezione” che ha aperto ciascunoa comprendere che la vita è vissutain pienezza nella misura in cui la sidona, la si condivide, la si custodiscecome qualcosa di davvero prezioso, siaquando canta di gioia, sia quando èpiù fragile e sofferta. Questo è quanto igiovani partecipanti hanno raccontato etestimoniato anche a noi.Uno zaino sempre più leggeroSulle orme di Francesco e Paolo 1Sosta di riflessione e di condivisione lungo il pellegrinaggio.Se dovessi racchiudere sinteticamentequesto pellegrinaggio inuna frase scriverei: un pellegrinaggioper la vita.Un pellegrinaggio che significaconversione del proprio cuore. Per meha significato molto che questo pellegrinaggiofosse all’insegna dell’essenzialitàdato che io come persona cercosempre la comodità e il godimento dibeni materiali. Infatti la prima cosache ho percepito è stato il peso dellozaino: per tutto il percorso ho camminatocon fatica, schiacciato da tantecose inutili, da tutte quelle di cui nonriesco a liberarmi facilmente e che miimpediscono di guardare a Dio, diammirare tutte le cose meraviglioseche ha operato nella mia vita. Ma hovisto anche la sua misericordia nel nonavermi fatto mancare nulla in questasettimana: l’appoggio degli altri pellegrini,l’amicizia, la condivisione dellagioia di essere cristiani, la leggerezzadel cuore e la lode spontanea per avercisostenuto durante questa faticosacamminata.Tale era la gioia di aver incontratoil Signore che ormai lo zaino nonpesava più… sentivo di aver recepitouna nuova forza che veniva da dentroe che mi permetteva di affrontare ledifficoltà esterne.Per: sta a significare il motivo el’intenzione di questo pellegrinaggio.La mia intenzione era proprio quelladi ritrovare pace dentro di me e ilrapporto con Dio. Il motivo principaleecco che è la vita.Andrea Torresin - CamposampieroIl pellegrinaggio è un prendere unapiega diversa rispetto a quella precedente,prendersi del tempo per vivereun’intensa esperienza spirituale che inqualche modo dovrebbe renderci migliori.È caricarsi sulle spalle lo zaino,riempito da noi stessi con tutto quelloche pensavamo ci potesse servire e chepoi, nelle salite più ardite, ci diremotroppo pieno di cose inutili.Con tutto questo nel cuore e sullespalle si mette un piede dopo l’altro,cercando di posarlo in modo da nontoccare le vesciche del giorno prima,cercando di non fare entrare i sassiche poi si faranno sentire, cercando dicontinuare a camminare nonostantei crampi alla pianta del piede, noncerto abituata a portare pesi per cosìtanto tempo e su terreni non proprioagibili. I piedi così periferici nella vitadi tutti i giorni, diventano la cosa checi separa dalla meta, niente altro che ilfondamentale mezzo che ci porterà allafine del nostro cammino.Ma cos´è la fatica di fronteall´esperienza di vivere “San Pietro”luglio/settembre 2009 21


accanto a...giovaniIl gruppo a San Pietro a Roma.«Un grazie alle suore e a fra Simone. Un grande saluto a tutti i pellegrini: Mauro, Manuela,Lucia, Donata, Geremia, Renzo, Emanuele, Martina, Michele e a me, Andrea».da pellegrino? Imboccare via dellaConciliazione con il caldo di mezzogiornoe continuare a spingere i piedisenza quasi più sentirli per poi arrivarealla meta di così tanti pellegrinaggi,oggi e ieri. La piazza assume unaforma diversa, si coglie fino in fondol’idea di Bernini quando la pensò comeun grande abbraccio all’umanità che,stanca, si rivolge alla Chiesa. I turisticontinuano a vivere la loro vita fatta dimacchine fotografiche e guide con gliauricolari e i cartelli alti per farsi notare.Ma tu, pellegrino, che sei giuntolì a piedi ti senti risuonare in cuore labellezza degli Habemus papam o delVi ho tanto cercato, ora siete venuti dame, momenti che tra le note solo immaginatedi “Jesus Christ, you are mylife” fanno davvero luccicare gli occhi,tante sono le emozioni che popolanoil cuore.Mauro Forner - TrevisoAttraverso le sue salite, discese,gioie e dolori, il cammino si è fattoespressione della vita stessa: un viaggioall’interno di sé, l’occasione perfare i conti con se stessi e con le proprieforze. Ma l’esperienza del camminosi fa anche esperienza di gruppo; conquesto gruppo ci si confronta, si convive,si condivide tutto: dai pasti, allafatica, alle gioie.Il pellegrinaggio traduce in terminifisici, pratici, la preghiera e la volontàdi “fare” riflessione religiosa. È lospirito e la preghiera che ci fanno sopportareil caldo ed i tratti più impegnativi,congiuntamente al sostegno deifratelli, che in questa ottica, non sonodei semplici compagni di viaggio.Il <strong>numero</strong> limitato di pellegrini hanotevolmente favorito l’intimità di unpercorso dove “personale” e “comune”hanno assunto confini sempre piùsottili, sino a creare una sorta di famigliaitinerante.I momenti di riflessione e di raccoglimento,il sorriso e la disponibilità dichi incontravamo per strada, il prenderesolo quello spunto o quella paroladi cui sentivamo il bisogno e sentivamoveri per noi, il lasciarlo risuonareo il condividere con la massima libertàl’intenzione per cui ciascuno di noi volevacompiere il cammino, sono stativere e proprie lezioni di gioia, dove lagioia si faceva protagonista sia nel dareche nel ricevere.Lucia Zurli - ArezzoNel pellegrinaggio si diventa compagni(nel senso etimologico)com-partecipando e con-dividendo,gioie, pensieri, preghiere, fatiche, sudore,vesciche; com-prendendo l’altronei propri pensieri, preghiere e riflessioni.E l’altro era davvero altro, sconosciuto,ignoto, incontrato una domenicasera sulle scale di un conventod’Assisi. Ma era anche noto, perchécome me era lì per cercare se stessopartendo da Chi ci ha creato, da quelPadre che ci rendeva automaticamenteamici noti. Tutti e dieci volevamoandare col Signore, nel Signore versoil Signore, sulle orme di san Francescoe di san Paolo, confrontandocicon queste figure. E così il cammino,sforzo fisico certo notevole, si è fattosoprattutto cammino spiritualeA.A.Un tempo per crescereVolontariato e fraternità 2Per altri giovani, l’estate ha riservatoun tempo in cui “non passareoltre” il bisogno di fratelli che vivonodiverse forme di povertà e di disagio.Nell’ascolto della Parola di Dio, nellapreghiera, nel servizio durante il qualehanno incontrato l’affetto sincero edisinteressato degli ospiti ai quali eradestinato il loro ‘fare’, i partecipanti(nella foto in basso) hanno scoperto ilvalore del fermarsi, dell’essere con e pergli altri e che davvero c’è più gioia neldare che nel ricevere. È stato un fareesperienza di come «coltivare la fede siaun elemento indispensabile per avere laforza e la determinazione per affrontarecon animo fermo queste realtà difficili22 luglio/settembre 2009


accanto a...giovanidi disperazione e povertà e per essererealmente d’aiuto agli altri», come ciha raccontato una giovane volontariadi Padova.Ascoltiamo alcune testimonianze diqueste esperienze di condivisione, solidarietà,servizio e fraternità.Il mio servizio alle Cucine popolariè stato sicuramente un’esperienzaforte sia dal punto di vista fisico siasotto il profilo psicologico; diversestorie, volti, culture, lingue, caratterie atteggiamenti di persone che quotidianamentetoccano con mano solitudine,fame e abbandono ma chevedono nelle cucine popolari un puntodi riferimento solido e sicuro per i lorobisogni primari: dal cibo all’igienepersonale, dall’assistenza medica aglisportelli di ascolto.Per i volontari e gli operatori che siimpegnano all’interno di questa realtàsono due, a mio parere, le doti daesercitare: la versatilità nel far frontead ogni tipo di richiesta e l’estremagratuità nel servire, accettando conserenità il senso di impotenza che talvoltapuò sopraggiungere di fronte aparticolari racconti e situazioni.Quello che ora mi porto dentro altermine di questa esperienza sono levoci, gli sguardi, i sorrisi e le storie ditutti coloro che ho incontrato, ospitie volontari, e la sensazione di averportato un concreto aiuto non solo aglialtri ma anche a me stessa.Mi sento di ringraziare, dunque,chi ha organizzato e reso possibilequesta settimana di solidarietà e diinvitare tutti, giovani, adulti e anziania partecipare ad esperienze e percorsianaloghi perché non c’è un limite dietà per donare un po’ di sé al prossimo,né c’è un tempo per smettere dicrescere.Chiara Roverso - PadovaCasa Santa Chiara mi ha stupitoA l’accoglienza che mi hanno fatto gliospiti mettendomi a mio agio... io chemi preoccupavo tanto di come e cosadire, di creare un’atmosfera tranquillae piacevole. Una volta entrata mi sonosentita accolta come a casa mia; sonostati loro a chiedermi: «Come stai?»,a preoccuparsi di me... ho incontratopersone che, come noi, hanno vogliadi compagnia o di momenti per staresoli. Anche se in alcuni la sofferenza sifa sentire, non ho potuto fare a menodi cogliere nei loro occhi la gioia di viverenonostante tutto... quel qualcosache dice: «Coraggio, in fondo la vita èbella, ce la puoi fare».Veronica Dall’ AntoniaNon con la testa, ma...Campo di lavoro in Abruzzo 3Quello che si richiede ai tanti volontariche accorrono in Abruzzoin questi mesi, dopo che i bisogniessenziali della popolazione sono statisoddisfatti, è soprattutto la flessibilità,la disponibilità ad essere impiegatigiorno per giorno nelle più varie mansioni,a seconda di quello che apparepiù utile.Così, alcuni di noi hanno lavoratoalla ricostruzione del monastero delleClarisse; altri hanno provveduto a recuperaree rimettere a nuovo un centrooperativo, che servirà come base perorganizzare e gestire i vari servizi allapopolazione (nella foto in basso: ungruppo si presta per la pulizia dellanuova sede del Centro operativo 5 aTempera - L'Aquila); un gruppettopoi ha portato nelle varie famiglie, dicasa in casa, conforto e soprattuttoascolto, venendo ogni giorno semprepiù a contatto con persone prese daltimore di nuove scosse, ancora sofferentiper la perdita di persone care.Alcuni hanno prestato servizio allamensa del campo, preparando e offrendoogni giorno la colazione e glialtri pasti. Io ho provato la gioia dianimare un servizio grest per bambinidi età diverse, residenti in vari paesetticollinari limitrofi.Personalmente sono molto grataper essere venuta a contatto con ipiccoli che rappresentano la speranzadell’Aquila, con il loro saper guardareavanti convivendo con il trauma dellescosse ancora impresso nella memoria,con la voglia di giocare e dare fiducia,la curiosità grande di imparare e dilanciarsi in nuove avventure.Ripensando al gruppo, ancora unavolta ho scoperto quanto importantee bella sia la presenza di ognuno nellapropria originalità.Siamo partiti con tante aspettativediverse, tutti in generale ignari diquanto si andasse a fare, ma speranzosidi poter essere utili in qualchemodo, con le mani e con il cuore, piuttostoche con la testa... questo il nostrointento: metterci alla prova, prestarela massima disponibilità anche negliimpieghi più semplici, molto concretamente,come poi è stato, tutti prontia rivolgere il cuore e l’attenzione a personecosì profondamente colpite.Solo adesso, conclusa l’esperienzacosì intensa, posso dire che con latesta si può ragionare sull’accadutonormalmente, anche se è difficile farlodi fronte ad un evento naturale cosìinarrestabile che attacca e trascina consé nella notte una casa piuttosto cheaccanto a... giovani23


accanto a...giovaniun’altra, una stanza abitata piuttostoche l’adiacente vuota; è facile farecon la testa calcoli, grafici, deduzioniscientifiche, che tuttavia non sono servitia preservare vie, luoghi, edifici diuna città che ormai non esiste più, senon nei ricordi delle persone, soprattuttoanziane, che con le lacrime cihanno detto di non voler più tornare...cosa troppo dura sarebbe reggere ilvuoto e il silenzio!Con la testa si possono anche attribuireresponsabilità, aprire indagini,redigere censimenti degli edifici, carotaggie perizie mentre molti vivono lasolitudine dell’abbandono, il rammaricodell’essersi affidati ad amministratoriche sono stati e continuano ad esseresuperficiali e impreparati, l’offesa dinon essere ascoltati da quanti dovrebberofare informazione, ma piuttostousati sadicamente per fare audience.Non con la testa, ma con le mani sipuò fare pulizia e ricostruire, cercandodi contribuire a ridare normalità apersone che ne hanno tanto bisogno;non con la testa, ma con l’ascolto sipuò cercare di far loro sentire vicinanza,comprensione, e un certo senso ditranquillità.Non con la testa, ma con il sorrisosi può offrire un pasto fatto con tantacura per chi è costretto a mangiare invassoi di plastica, con posate di plasticadalla prima colazione alla cena.Non con la testa, ma con la fantasiae la pazienza si può far divertire unbambino, fargli capire che prima o poidovrà tornare nella scuola riparata,anche senza i genitori. A Paganicaqualcosa sfugge alle certezze mentalidella routine quotidiana: non sentire ilrumore e il profumo della caffettiera almattino, non avere finestre da aprire,ma una cerniera da alzare e abbassare,senza fare rumore, per poter guardareoltre il plasticone blu della tenda, nonpoter aprire il frigo e decidere checosa mangiare, utilizzare a turni e perpoco tempo la doccia, non poter esserefamiglia nell’intimità di una famiglia,tra le quattro mura della propria casa....queste sembreranno cose di pococonto, ma chissà che cos’altro mancaben più intensamente alle persone cheda mesi vivono in tendopoli, derubate,senza potersi ribellare, della quotidianitàdistrutta dal terremoto.Ringrazio anche per il grande esempiodi fede cristiana che mi hanno datoi fratelli e le sorelle che ancora preganosotto una tenda-chiesa e affidano alPadre il loro bisogno, mai così fortecome ora, di accogliersi reciprocamentee di riscoprirsi comunità. Ho l’impressioneche l’Abruzzo sia una terraprofondamente ferita, come le sue vie,piene di calcinacci e cani randagi; i suoiedifici, inspiegabilmente intatti ai pianisuperiori e magari sventrati nei piùbassi; la sua popolazione, che reagiscein alcuni casi e si arrangia come puòa ricostruire, in altri semplicementesopravvive, senza reagire, senza saperea chi rivolgersi o che cosa chiedere,ancora frastornata e impotente.Mai come nelle scorse settimaneho sentito l’importanza del rispettodovuto a chi vive situazioni così deprimentie del silenzio, che solamenteposso offrire quando mi rendo contodi essere così impotente.Valentina Rizzi, Padova1Il cammino Assisi-Rieti-Roma si è svoltotra il 9 ed il 16 Agosto 2009, snodandosi lungoun tratto della via Francigena, la strada percorsafin dal Medioevo da migliaia di pellegrini perrecarsi a Roma. Al cammino hanno partecipatodieci giovani, guidati da suor Isabella Calaon,suor Lina Lago, suor Giuseppina Ceolato e fraSimone Tenuti ofmconv. Erano accompagnatianche dagli “angeli del focolare” suor PaolaFornasier e suor Renata Ferrari, addette allacucina e al trasporto.2La settimana di volontariato si è tenuta aPadova dal 2 al 9 agosto. Vi hanno partecipatocinque giovani, accompagnati da suor PaolaCover, suor Roberta Ceccotto, suor Rose Mwangie fra Fabio Turrisendo, ofmconv. I giovanihanno prestato il loro servizio all’Opera dellaProvvidenza di sant’Antonio, alle Cucine economichepopolari e a Casa “Santa Chiara”.3Il campo di lavoro si è svolto dal 9 al 16agosto al Campo 3 di Paganica, nella tendopoligestita dalla Protezione civile della regioneUmbria. All’esperienza hanno partecipato ventitrégiovani guidati da suor Annamaria Berton,suor Franca Bonato, suor Liviana Fornasier,suor Michela Primi e da fra Fabio Turrisendo efra Josè Matias, ofmconv..accanto a... giovaniDa Carapungo-Quito in Ecuador: dal 19 luglio al 2 agosto 2009 due grest estivi nella parrocchia e nel quartiere “San Luigi” coordinatida suor Martina Giacomini, suor Ondina Blondet e suor Mercedes Zambrano, accompagnate da trenta animatori. Il tema-guida: Paolo, lucedei nostri giorni. Vi hanno partecipato circa duecento bambini. Nelle foto: momenti di laboratorio e di animazione.24


vita elisabettinaCinquantesimo di professione«Tu, chi sei?»Con cuore riconoscentedi Carlina Fanin stfePercorso formativoper celebrare la fedeltàdel Signore.Otto giorni sono forsesufficienti per farmemoria di quantoè stato fedele il Signorenei confronti di ciascunadi noi?Certamente no, maognuna ha trovato nelsusseguirsi dei passifrancescani e con le appropriateriflessioni evangelichee carismatiche,motivo per riflettere e peresprimere profonda gratitudinea Dio.Il ritrovarci dopo tantianni è stato un momentointensamente gioioso specieper alcune che non sierano mai più incontratedopo il 25°. E con questagioia nel cuore abbiamo iniziatol’itinerario con la visitaalle reliquie preziose dellabeata Elisabetta, accuratamenteconservate in appositilocali in Casa Madre.Al canto Mentre occhieggiavanle stelle siamoriandate col pensieroe col cuore sia al lontano1828 sia al 1959 quando,novizie, ci si apprestavaa rispondere al Signorecon il nostro primo sì nellaChiesa di Dio.Con la festa nel cuoresiamo partite la mattinadel 3 maggio, in pullman,verso i luoghi francescaniper attingere nuovo slanciodalla terra che Francescoha percorso nei suoianfratti. Nel nostro andaresiamo state guidate e sostenutedalla guida espertae sollecita di suor AlessandraFantin.Le lodi di Dio Altissimodi san Francesco: Tusei santo, Signore... unitealle riflessioni di MadreElisabetta nel suo Diario:Sì, Tu sei il mio Dio e nonaltri, uno e trino ti credo;Dio e uomo ti confessoe ti amo con tutte le mieforze (D567), sono statemotivo di profonde riflessionie ci hanno provocatoa chiederci: «Chi è Dioper me?».A dare una rispostaci ha aiutato il celebrantenella eucaristia del 3 maggioproponendo il raccontodai Fioretti dove si narra diquel contadino che stavaaccompagnando Francescoverso il monte dellaVerna, a cavallo del suoasino. Ad un tratto quegligli chiese: «Sei tu frateFrancesco?». Francescoconfermò. Il contadino allora,puntando il dito versodi lui, gli disse: «Cerca diessere buono come tuttiti credono… e che in tenon sia altro se non quelloche la gente spera» (cfr.FF 1902).Cosa pensa la gentedi vedere in noi se non latrasparenza di Dio?Il gruppo nel chiostro del Sacro Convento di Assisi.Nei giorni seguenti padreBarelli ofm, eremita aLa Verna, ci ha sollecitatoa cercare di essere comeFrancesco, che, con l'abbracciodel lebbroso, avevatrasformato in dolcezzaciò che di amaro gli offrivala vita.La sosta a La Verna,segnata da alcuni momentiimportanti è statauna mattinata di intensapreghiera, di lode e di ringraziamentoper la fedelepresenza di Dio nel nostrolungo cammino.Dopo aver goduto econtemplato tanta bellezzaspirituale, siamo scese,in mezzo al verde della vallataumbra, verso Assisi.Qui non c’era stanchezzache tenesse: volevamo vedere,riflettere e godere ilpiù possibile.Percorrendo il sentieroche conduce a S. Damiano,tra il verde degli olivi edei prati ed il canto degliuccelli, spontaneamenteci è sgorgato dal cuore ilcanto Dolce sentire.Abbiamo sostato a lungonella chiesetta, guidateda un frate minore che ciha invitato con insistenzaad essere testimoni gioiosedi Gesù Risorto.Francesco si convertìperché smise di adorarese stesso e cominciò aguardare la vita con gliocchi di Dio e a scorgere labellezza dei doni ricevuti.Pellegrine nei vari luoghifrancescani per rivisitaree confermare il sìdella nostra vita, invochiamograzia per rinnovarlo,anche se simbolicamente,un’altra volta a tutto ciòche ci verrà ancora chiestoe donato da Dio.Nel ritorno in Casa Madresi sono unite a noi lesorelle che per motivi disalute non avevano partecipatoal pellegrinaggioper condividere con noil’ultima parte della festa.Il giorno 9 maggio, dopol’incontro con la Superioragenerale e provincialecui abbiamo espresso ilnostro grazie per la forteesperienza “francescana”,abbiamo visitato le sorelleammalate.Nella celebrazione delpomeriggio nella basilicadi Santa Maria del Carminec’erano tante sorelle, lenostre famiglie, gli amiciche si sono uniti al nostrograzie.vita elisabettinaluglio/settembre 2009 25


vita elisabettinaCi è piaciuto l’augurioche monsignor GiuseppePadovan, che ha presiedutola celebrazione, ci hafatto a partire dalla bellaimmagine evangelica dellavite e dei tralci: «Io sono lavite… rimanete in me». Unaugurio che ha commentato:«La grazia, così dettasantificante, è questo: vitadi Dio in noi; Dio in noi enoi in Dio; Dio che si fanostra dimora e noi diventiamodimora di Dio in unarelazione di amore che quiin terra è vissuta nell’esperienzadella fede e che ungiorno sarà “tutto”: eterna,ineffabile comunione, dialogo,vita con Dio Padre,Figlio e Spirito Santo».Monsignor Padovan haconcluso ricordandoci: «Ilsenso del vostro sì scanditooggi con vigore, è comeriverbero e partecipazionedel sì, eccomi di Maria; delsì, eccomi di Cristo; addiritturadel sì di Dio che èamore senza ripensamenti,senza riserve, senza età:eterno e totale, perché Dioama e si dona da Dio.Perciò anche il vostrosì si veste, in certo modo,di eternità, perché espressionedella vostra fedeltàferma, del vostro propositodi rimanere in, della vostravolontà di stare, di dimorarenell’amore eterno di Dio,là dove egli vi vuole, testimonicredibili e gioiose».■Prima professione in KenyaNella sua casaa cura di Paola Manildo stfeEsther Wairimu Mwangie Susan KatheuKatute domenica14 giugno 2009, festadel Corpus Domini, nellacappella della comunitàdi noviziato Sifa House inKahawa West - Nairobi,hanno pronunciato i loroprimi voti nelle mani dellacoordinatrice suor AntoniaNichele, di fronte all’interogruppo delle suore elisabettinepresenti in Kenya.Accogliamo la testimonianzadi suor Esther, anchea nome di suor Susan,che ripercorre a distanza diqualche mese le vive emozionidi quel giorno e ci fadono di alcune riflessionisul significato del suo sìda poco pronunciato allasequela del Signore nellafamiglia elisabettina.La coincidenza delladata della nostra primaprofessione religiosa conla festa del corpo e sanguedi Gesù è stata perme una sorpresa immensae fonte di grande gioia.Gesù diviene pane spezzatoper me, e mi dice:“Fai questo in memoria dime”; e lo dice anche attraversole parole del vangelodi quel giorno: “Dimorain me, come io in te” (cfr.Gv 15,4). Per me dimorarein lui, in lui avere la “miacasa” è da ora in poi diventareogni giorno panespezzato per tutti: per ipoveri che servirò e perle sorelle della mia nuovacomunità.Ogni giorno partecipandoal banchetto dellaeucaristia ho la possibilitàdi ricordare il mandatospecialissimo di esserestata “distintamente scelta”dal Signore per la sua“opera grande”, quella dipermettere al Signore ditrovare casa presso di mee così di essere Lui, sempre,a trasformare la genteche servo.Mi sono sentita onoratada Dio quando hopronunciato i tre voti diobbedienza, povertà e castità;il sì di quel giorno èla sorgente di molti altri sìpronunciati nel cuore quotidianamente.Nella seconda lettura,dalla lettera di san Paolo aiFilippesi (3,8-14), emergecon forza il sì di Gesù alPadre; così è per Paolo: ilsuo amore per il Signore,il desiderio di seguire lesue orme, pone tutto ilresto in secondo piano,anzi diventa spazzatura.Anche per me la graziadella chiamata e la gioiadi appartenere totalmentea lui rende il mio cuoreleggero e aperto ad unacontinua conversione alsuo volere.Mi sento grata a Dioche mi ha portato a tale sì,accompagnandomi passodopo passo attraverso lamia formatrice in un intensopercorso di scopertadi me e delle motivazionidella scelta di consacrazione;un cammino fattodi riflessione e preghiera,di gioie e fatiche del vivereinsieme in comunità, di sfidee domande provenientidal mio apostolato.Desidero pregare e affidarealla cura della nostramadre Elisabetta Vendraminicoloro che sono informazione iniziale, cosìcome tutte le sorelle elisabettine,affinché siamosempre desiderose di unacontinua conversione alSignore e al suo volere,per essere fedeli al sognoche Dio ha affidato tantotempo fa alla nostra beataMadre.suor Esther W. MwangiEsther Wairimu (a sinistra) e Susan Katheu chiedono il dono dipoter professare. Foto a destra: momento offertoriale.26 luglio/settembre 2009


Ricordando il quarantesimo di professione religiosaSulle strade dei santiPasso dopo passodi Bernardetta BattocchiostfeFoligno-Assisi,23-27 agosto;Roma, 27-31 agosto 2009:un itinerario di fedee di fraternità.Il nostro convenire a Padova,Casa Madre, il 23agosto, dai luoghi piùdiversi e il ritrovarci, dopomolti anni per alcune, risuonavanodi saluti gioiosi,di abbracci festosi soffusidi velata commozione. Èstato un appuntamento datutte desiderato e atteso; cihanno accolto M. Margheritae M. Maria, con alcunesorelle dei Consigli.Nello svolgersi creativodi ogni giorno, il ricordodel nostro quarantesimo èrisultato un’esperienza vivificanteper la carica dispiritualità e la qualità dellavita fraterna, caratterizzata,come è prerogativa delnostro gruppo, da gioiaspontanea e genuina, dauno stare insieme in letiziafacendo memoria e rendendograzie… per i quarant'annidi vita religiosa.L’itinerario è stato unaprogressiva immersionenelle nostre radici carismatico-elisabettine,francescane,cristiane, passandoda Casa Madre ad Assisi evisitando molte realtà dellaRoma cristiana.Ha fatto da introduzionela preghiera nella regia soffitta,per ri-comprendere laricchezza del dono fatto allaChiesa nella persona dimadre Elisabetta e chiederela forza perché ciascunadi noi contribuisca a far sìche esso raggiunga la suapienezza.«Signore - abbiamopregato - poniamo davantia Te le nostre gioie, lenostre speranze, il nostrodesiderio di donarci aglialtri, la nostra capacità dimisericordia».Il tema della misericordiaha intrecciato legiornate di Assisi, animateda padre Giuseppe Celli,cappuccino, a partire dall’esperienzadi conversionedi Francesco: Il Signorediede a me… d’incominciarea fare penitenzae ancora: Il Signore micondusse tra i lebbrosi eusai con essi misericordia,espressione tradotta come:cominciai a guardarlicon occhi di madre.Anche noi siamo guardateda Dio con occhi dimadre, siamo amate conviscere materne e, nellostesso tempo, siamo invitatea guardare le nostresorelle, i fratelli che incontriamocon occhi di madre,con sguardo di dolcezza edi fiducia.Una generazione narraall’altra le tue meraviglie: èsgorgato spontaneo il cantodi questo salmo quando,passando di luogo inluogo, di eremo in eremo- monte Subasio-eremodelle Carceri, Speco diNarni, le Celle di Cortona,abbazia di Sassovivo - abbiamopotuto constatarecome Francesco, i suoi primifrati ed altri Santi avesseroabitato in luoghi giàfrequentati dapprima daglieremiti, poi dai monacie come la loro vita fosseun alternarsi tra eremo estrada, tra silenzio, meditazione,preghiera intensae testimonianza, carità eIl gruppo presso la chiesa di san Damiano ad Assisi.predicazione, perché la fedebiblica della Chiesa èfede narrativa.Per tutte è stato significativoil momento mattutinodelle lodi, con lapresentazione dei salmi daparte di padre Giuseppee l’invito a tradurre nellagiornata gli imperativi che ilsalmo laudativo ogni giornoci consegna: esultate,lodate, servite e… cantate!Una veglia di preghieraha fatto da raccordotra le giornate di Assisi el’esperienza romana, culminatanella celebrazioneeucaristica nella basilica diSan Giovanni in Laterano:in essa ciascuna ha ringraziatoe reso lode peril dono della chiamata eper «l’impagabile onoredi lavorare nella vignadel Signore». Sempre cisono state presenti nellapreghiera le sorelle giovanie le anziane, quelle in difficoltàe quelle che in questotempo stanno vivendola loro itineranza.I momenti dello stareinsieme sono stati caratterizzatida ricordi impegnativie lieti, dallo scherzo chenon demolisce, da gioiaesplosiva, da canti di ierie di oggi, dall’immaginareil futuro.Ci siamo salutate al ritorno,portando in cuoremolta nostalgia e l’impegnodi essere “donne delMagnificat”.Siamo riconoscenti allesuperiore che hanno consentitoquesta esperienza,alle sorelle della comunitàdel “Vendramini” di Roma,alle nostre comunità; ungrazie speciale alle sorelledell’infermeria che ci hannoaccompaganto con laloro preghiera. ■vita elisabettinaluglio/settembre 2009 27


vita elisabettinaCasa “don Luigi Maran” a TaggìQuesta casa si è fatta “accoglienza”a cura di Enrica MartellostfeInaugurazione ebenedizione dell'alaristrutturata aperta alterritorio.Il 15 giugno 2009,conclusi i lavori di ristrutturazione,la famigliaelisabettina si è dataappuntamento a Taggì diVillafranca Padovana perl’inaugurazione e la benedizionedella sede rinnovatadell’infermeria; l’invitoa partecipare alla celebrazioneè stato rivolto aiprogettisti, alla direzionedei lavori, alle imprese chehanno realizzato i lavori,ai rappresentanti di entilocali, ad amici e al personaleche già collabora inCasa “Don Luigi Maran”.È momento finale diun grosso lavoro che cista impegnando da alcunianni, e insieme di partenzaper un’avventura checi vede collaborare conun’associazione di laici:l’“Aequinet”. La strutturaè, in parte, già funzionante:ospita sorelle ammalatee inferme, uffici e servizidi utilità comune.La benedizione del Signoresulla casa ha presola forma concreta nelrito proprio che prevedeun momento di preghiera,l’ascolto della Parola diDio, l’acqua benedetta eil ministero del sacerdote,mons. Giuseppe Padovan,vicario episcopale per gliistituti di vita consacratadella Diocesi di Padova,che ha presieduto la brevecelebrazione (nella foto inbasso della pagina accanto).Così recita la preghieraproposta dalla Chiesa:Padre onnipotente emisericordioso, fonte diogni benedizione, per lagrazia del tuo Spirito fa’che questa casa diventi unluogo di benedizione e dicarità autentica; qui i mediciesercitino con sapienzala loro difficile arte; quiil personale sanitario presticon sollecitudine il proprioservizio; qui venganoi fratelli a visitare il Cristoche soffre nelle sue membra;possano gli infermirenderti fervide grazie deibenefici ricevuti.Attraverso di essaabbiamo affidato esplicitamenteal Signore tuttoil desiderio di bene cheha animato i pensieri ei progetti di questi annidi lavoro nel solco diuna tradizione che benela Superiora generale haespresso nel suo salutointroduttivo.«Questa Casa per noi èlegata affettivamente allefigure dei nostri fondatori:a madre Elisabetta, chequi veniva a riposare, e adon Luigi Maran, che leha lasciato questo luogoin eredità.Con il Sindaco e i variresponsabili di settoredell’ULSS 15 abbiamo datocorpo all’idea di aprirlamettendo a disposizionedella domanda del territorioparte dei posti lettodisponibili.È un’idea accarezzatada anni dal consiglio generale,già durante il mandatodi madre Bernardetta,ripresa in varie formedal sindaco di Villafrancae oggi realtà che andràgradualmente prendendocorpo. Davvero, questacasa si è fatta accoglienza,come recitano le parole diun nostro canto […].Se mirerete continuamentenelle vostre ammalate,la persona stessa diGesù Cristo non vi riusciràsicuro gravoso alcun peso(I 40,4), è la raccomandazionedella Madre allesuore dell’ospedale.Davvero la cura dellapersona - ammalata o anchesolamente fragile - èuna preziosa eredità cheElisabetta Vendramini halasciato alle sue sorelle efiglie, una cura che nellastoria della famiglia elisabettinasi è fatta presenzaamorevole, fraterna e professionale.Una cura che oggi,con l’avanzare degli annianche all’interno dellaLa superiora generale, madre Margherita Prado (accanto a lei la superiora provinciale, suor MariaFardin), introduce la giornata. Foto di destra: scorcio sull'assemblea.28 luglio/settembre 2009


nostra comunità, si rendenecessaria per chi di noi,provata dalla vita, ha ilcorpo, e talora anche lamente, tormentati dallamalattia.L’insegnamento dellaMadre è un programmae un invito: che in questaCasa si possa viverelo stile che Elisabettavoleva per le sue primecompagne, nei gesti chesegnano la quotidianità,siano essi professionali osemplicemente fraterni.Qualunque sia la personache qui è, o sarà, ospitata,è creatura amata, portatricedell’immagine stessa diDio: questa è motivazionesufficiente per offrirle unservizio “di qualità”».Significativo è statoanche l’intervento dell’ingegnerMaurizio Maretto(foto sopra a sinistra), principaleartefice del progettoe direttore dei lavori, cheha illustrato i criteri dellaprogettazione esprimendoin modo particolarmenteefficace come egli abbiacercato di mettere adisposizione della vita edella missione elisabettinacompetenza e intelligenzaprogettuale.Stralciamo dal suo intervento:«La homepage del sitointernet delle Suore Elisabettinesi apre con questascritta:Forma e vita di questafamiglia religiosa è: vivereil santo vangelo di nostroSignore Gesù Cristo in obbedienza,povertà, castitàconsacrata e perfetta comunità.È proprio intorno alconcetto di “perfetta comunità”che abbiamo volutosviluppare il progettodi ristrutturazione di CasaDon Luigi Maran.Lo scopo era crearedegli ambienti che nelrispetto di tutte le normativevigenti sapesseroconcretizzare ed esaltarela spiritualità francescanache le suore oggi portanoavanti: farsi cuore di Dioaccanto a chi soffre.Illustro pertanto quest’operanon tramite numerifatti di metri cubi edificati,superfici calpestabilio letti per piano, ma sottoun aspetto più umanistico.Nel suo trattato Sull’architettura,Vitruvio, grandeingegnere e architettoromano, espresse il concettoche un edificio deveobbedire a tre requisiti:la firmitas, vale a direla solidità strutturale e costruttiva;l’utilitas, cioè l’adempimentodelle funzioni pratichecui è destinato;la venustas, ovvero lapiacevolezza dell’aspetto.Vorrei però aggiungereun altro punto, l’emozione,nel senso che un edificiodeve saper toccare lospirito umano e infondereben-essere a chi lo abita.Il nostro supporto progettualealla missione dellesuore è stato appuntoquello di cercare di realizzareun opera che aiutassechi soffre a stare meglio,trasmettendo appunto allepersone la sensazione di“stare bene”.Sicuramente la sceltadei materiali da costruzioneha avuto la sua grandeimportanza nel raggiungimentodi questo obiettivo.Abbiamo usato mattonia vista, legno e pietra,tutti materiali naturali chetrasmettono piacere al tattoe senso di familiaritàalla vista. E in più tantaluce; luce che è vita e cheabbiamo cercato di diffondereil più possibile in tuttigli ambienti, compatibilmentecon i vincoli architettoniciche, comunque,gli edifici presentano.Altro elemento importantedi questa visioneprogettuale è stato il grandechiostro che raccoglieintorno a sé tutti gli edifici.Inutile ricordare quantosia stato usato nella storiadell’architettura il temadel chiostro, dalle villeromane, alle abbazie, aimonasteri, ai conventi e…anche dagli ospedali. Purea Padova ne abbiamo degliesempi, se pensiamoall’ospedale militare o all’ospedalegiustinianeo.Il chiostro vuole esserela summa di quella perfettacomunità, luogo dideambulazione, incontro eraccoglimento».Il dottor GianfrancoTrabujo (foto sopra a destra),responsabile dellerelazioni con la stampa di"Aequinet", ha illustratonel suo intervento l’itinerariodegli operatori impegnatinel percorso verso la“certificazione di qualità”:un sistema che ha comeobiettivo la qualità delleprestazioni agli ospiti dellacasa.Il percorso di qualità,che informa le politichedi gestione della strutturae orienta la modalità diservizio alla persona malata,ha radici nei valori difondo della antropologiaelisabettina.Offrire un ambiente cheassicuri la dignità dellapersona è il presuppostoiniziale dal quale discendetutto l’impegno di mente,di cuore e di beni in Casa“Don Luigi Maran”. A partiredai muri, agli impiantitecnologici, alla gestionedei fornitori, al personale,ai rapporti con gli enti localifino al gesto semplicedi un goccio d’acqua offertoalla sorella ammalata,tutto è orientato a farrisplendere la dignità dellapersona.La parte dedicata allapresentazione della Casa siè conclusa con il saluto delneoeletto sindaco di Villafranca,dott. Luciano Salvò.Un buffet preparatodalla “Serenissima” haconcluso il pomeriggio:un segno per dire accoglienzae fraternità, masoprattutto espressioneconcreta di un grazie…sovrabbondante. ■vita elisabettinaluglio/settembre 2009 29


memoria e gratitudineConclusione del servizio all’“Istituto Serafico” - AssisiUn’esperienza scrittacon l’inchiostro dell’amoredelle suore della comunità del SeraficostfeIl giorno 27 giugno 2009 l’Istituto Seraficoha salutato le suore che dopopochi giorni (il 30 giugno) avrebberoconcluso il loro servizio. Presenti laSuperiora generale e la superiora provinciale.Le ultime battute di un lungo servizioe poi, il giorno 1 luglio, la partenza.La voce di chi ha condiviso gli ultimianni di presenza 1 .L’esperienza della “diversità”Con persone in difficoltà eravamogià state in contatto: ciascuna di noiaveva già conosciuto dolore e fatica;speciale tuttavia è stato l’incontrocon il Serafico di Assisi: un’esperienzadella diversità che caratterizza i “figli”che qui vivono, arricchente, varia,evangelica, che cambia la vita.Sono “figli” sorprendenti per i limitiche li affliggono e i doni di cuisono portatori: a stare con loro quandosi crede di avere intuito tutto, ecco lasorpresa. Chi ne ha cura è chiamatoad una attenzione crescente, umilee semplice, aperta alla meraviglia; sitrova progressivamente più sensibile eumano, più aperto.La nostra comunità ha vissuto ilservizio in una rete di relazioni interpersonaliricche di senso e di confronto.Ciò che più colpisce è l’interesse, la passione,la creatività dei giovani educatori:sono un mondo che bene sposa l’altogrado di coinvolgimento e di disponibilitàal nuovo richiesti dall’ambiente. Gliospiti del Serafico vivono per le cure e leattenzioni loro dovute, ma soprattuttoper il grado di amore presente in ognisingola azione e per l’intuizione cheprecede il bisogno. Sono persone chesentono, fiutano, vedono, toccano, consensi particolarmente raffinati i gestid’amore loro rivolti.Quante ore al giorno dura il servizioai “figli” del Serafico? 25, sì: 25ore al giorno! Simbolicamente un’orain più che sta ad indicare l’intensità,la continuità, lo stile dell’approccioa questi cari, carissimi “nostri figli”.Cammin facendo ci siamo sentite“mandate da Gesù”: senza calcoli,senza tempi, con risorse personali forsenon sempre adeguate, a volte conansia e preoccupazione. Mai pensaredi essere dalla parte di chi dà: al Seraficosi ha la percezione concreta diricevere molto in accoglienza, vicinanza,riconoscimento, condivisione e…tanto, tanto amore.Davvero, alla fine dell’esperienza,ci sentiamo più “persona”, più adeguateal servizio, più suore, più madri.Per noi, suore elisabettine, questaesperienza è durata sessant’anni.Risalendola corrente della storia27 giugno 2009: insieme a dire grazie.Da sinistra: suor Cristna Greggio, suor CristinaRiffo, suor Chiaretta Veneziano, suor RosanellaRando; seguono: la Superiora provinciale, laSuperiora generale e altre sorelle convenute.Chiamate nel febbraio del 1949 daipadri Rogazionisti che allora gestivanol’Istituto, abbiamo condiviso dadentro le vicende del “Serafico” primacome persone dedite ad ogni tipo dilavoro “dietro le quinte”, poi comeeducatrici, infermiere… tuttofare.Vivendo tempi durissimi: nel suointervento di saluto il Presidente diràche ad un certo punto il decadimentoera tale che parlare di struttura fatiscenteè eufemistico. Per le suore ilcibo era scarso e il riscaldamento “abocca”. Eppure la Provvidenza nonmanca, anche per il coraggio e il sacrificiodella comunità.E tempi di passaggio: dai Rogazionisti,alla direzione del Vescovo diAssisi, alla diretta giurisdizione dellostesso Vescovo; tempi di progettazione,di ristrutturazione - dopo ildevastante terremoto del 1997 - e diassestamento; infine gli ultimi: tempidi lavoro intenso, di rilancio, di professionalitàe di sacrificio, ma anchedi gratificazione e di conferma; e dicondivisione di intenti e di ideali conla chiesa locale. Riavvolgendo nellamemoria il film della celebrazione disaluto, si vede come il vescovo - monsignorDomenico Sorrentino - sia nonsolo la persona che la presiede, ma anchequella che le dà senso e che mediala continuità.GraziePer tutto quanto vissuto al Serafico:grazie. Grazie anche dell’ultimodono: una edizione elegante della Bibbianella sua ultima traduzione.Grazie alle persone responsabilidella istituzione, agli amministratori,ai tecnici; ai medici e ai volontari; allefamiglie dei ragazzi, agli educatori,alle persone impegnate nei diversi servizi;ai religiosi e ai laici, agli amici e aigruppi occasionali.Il nostro andarcene più che un“chiudere” è un farci da parte perchéaltre - le suore elisabettine bigie delCasoria - possano continuare evangelicamente,e francescanamente, adavere cura dei più piccoli, dei più bisognosi.■1Ultimamente la comunità era costituitada: suor Rosanella Rando, superiora, suorCristina Greggio, suor M. Cristina Riffo, suorChiaretta Veneziano.30 luglio/settembre 2009


ItaliaL'energia del carismaElisabettine oltre i confiniNel segno della caritàdi Annavittoria TomietstfeLettura di pagine in parte ineditedella presenza elisabettinanel Nord-est.Nella città di Capodistriascorcio dell’Ottocentovede la famiglia elisabettinaaprirsi e allargare i confini L’ultimogeografici della sua missione. Dopol'apertura nel Friuli-Venezia Giulia aPordenone (1885) e a Latisana (1888),nello stesso 1888 e negli anni successivi,una coraggiosa scelta portaper la prima volta le elisabettine atestimoniare la carità in territorio nonitaliano.L’Istria è il primo “qui” oltre l'attualeconfine italo-slavo: una penisolache si protende nell’Adriatico settentrionaletra il golfo di Trieste ed ilQuarnaro, attualmente suddivisa traSlovenia a nord e Croazia a sud.Dal 1208 essa fu formalmente sottoil Patriarcato di Aquileia al qualesubentrò la Repubblica Veneta finoLa presenza delle suore elisabettineal convitto fu richiesta dal Vescovodi Parenzo nel 1888 per la gestione deiservizi domestici generali 4 .L’obiettivo che il Presule si proponevaera prevalentemente di carattereamministrativo-economico. Affidandoalle suore la gestione completa dei servizidomestici della casa, intendeva assicurarsicompetenza e puntualità e liberarei sacerdoti da impegni non direttamenteattinenti al loro ministero. Un’altra motivazione,non secondaria, è la testimonianzadi vita cristiana che le religioseavrebbero offerto agli studenti.Quantunque questo tipo di operenon rientrasse nelle linee dell’“educazionee istruzione” e della“assistenza e cura”, come prevedeal1797, quando l’Istria passò all’Austria.Inserita nel Regno d’Italia nel1805, ritornò all’Austria nel 1815 e nel1918 fu annessa all’Italia.Occupata dai partigiani jugoslavidurante la seconda guerra mondiale,nel 1947 con il trattato di Parigi fuassegnata alla Jugoslavia, esclusa lazona A del Territorio Libero di Trieste.Con la nascita della FederazioneJugoslava fu suddivisa tra le repubblichedi Croazia e Slovenia, divenute poiindipendenti.Capodistria: attualmente città eporto della Slovenia (vedi mappa), nell’Istriasettentrionale, dopo la primaguerra mondiale fu annessa all’Italia;nel 1954 passò alla Jugoslavia e nel1991 alla Slovenia.In questa intricata storia si collocala presenza delle suore elisabettine inCapodistria. Una presenza che duròdal 1888 al 1950. Le suore vissero inprima persona le vicende di quel popolo.Spesso la loro attività e presenzane furono condizionate fino a doverlasciare del tutto la missione.Ne rievochiamo la presenza apostolicaoperativa nelle tre distinte realtà:Convitto diocesano parentino-polese,Civico ospedale “San Nazario”, Istitutofemminile “Grisoni”.Mappa della Slovenia e della città di Capodistria (pianta Touring 1925) con indicati i luoghi dellapresenza elisabettina: 1. convitto parentino-polese; 2. ospedale; 3. Istituto “Grisoni”.Golfodi TriesteTriesteCapodistria231Il convitto parentino-polese(1888-1947)Capodistria fin dal VI secolo fusede vescovile e suo primo vescovofu san Nazario (524). Nel1830 la diocesi fu incorporata in quelladi Trieste, tuttavia vi sorgeva un convittogestito dalla diocesi di Parenzo 1e Pola 2 , aperto ai giovani della stessadiocesi aspiranti al sacerdozio.«Scopo principale del convitto è lacultura di base per avviarli allo statoecclesiastico, in guisa che frequentandoper la prescritta istruzione scientifico-letterarial’i.r. ginnasio, ricevanonell’istituto una educazione religiosomorale,atta a promuovere e coltivarela vocazione al sacerdozio.Scopo secondario poi è quello difornire una educazione religioso-moralea giovanetti che, quantunque nonsono fin da principio inclinati allostato ecclesiastico, pure desiderano diapprofittare di questa istituzione.Perciò nel convitto vengono accettatisolamente giovanetti di buonaindole, bene costumati, di sana costituzionefisica ed atti a frequentare l’i.r. ginnasio» 3 .Il convitto ecclesiastico:una scelta ponderatamemoria e gratitudineluglio/settembre 2009 31


memoria e gratitudineItaliavano le prime regole, madre PlacidaDe Rocco, confortata anche dall’incoraggiamentodel delegato vescovilemonsignor Angelo Vasoin 5 , credettebene non rifiutarla pensando che, inrealtà, il servizio nell’amministrazionedei seminari torna a vantaggio dellachiesa locale e, indirettamente, anchea vantaggio del popolo di Dio 6 .Così quel servizio che madre ElisabettaVendramini e madre AntoniaCanella avevano accettato solo comeintegrazione di un’altra opera (vediservizi generali nell'ospedale), conmadre Placida De Rocco nel 1888diventa servizio operativo vero e proprio,distinto da altri servizi di tipoeducativo o assistenziale. Nel convittodi Capodistria (come anche nel seminariodi Rovigo nello stesso anno) lesuore elisabettine davano inizio ad unnuovo settore di attività che solo neglianni ’70 del secolo scorso cominciò avenir meno fino quasi all'esaurimento,per scelte più direttamente espressionedel carisma.Le suore elisabettine al convittoQuando il Vescovo di Parenzoinoltrò formale richiesta alla SuperioraGenerale (22 ottobre 1888), l’Istriaapparteneva politicamente all’Imperoaustro-ungarico: per l’ingresso ela permanenza delle cinque suore richiestesi rendeva quindi necessarial’autorizzazione dell’Imperial regiogoverno.In ciò monsignor Angelo Vasoin fudi grande aiuto alla Superiora generale,trattando direttamente con i Vescovi econ le altre autorità locali e sbrigandole pratiche burocratiche.Nella risposta da lui scritta al Vescovo(30 ottobre 1888), mentre ringrazia«della fiducia riposta nelle benemeritesuore» comunica che la richiesta è stataaccettata dalal Superiora generale. Lariposta in prima persona di monsignorVasoin, in qualità di “superiore” dellesuore, dice quale parte avesse la curiadiocesana di Padova nella vita e nelgoverno dell’Istituto.Alle suore viene affidata la cucinae il guardaroba, con l’impegno di «apprestareil cibo sia per gli alunni sia perle altre persone addette al convitto [..,]pulire, stirare e fare piccole riparazionidella biancheria ed altra roba, sia dellaCasa che della Cappella domestica,sia da persona e da letto degli alunni edegli altri addetti al convitto [...] averecura di eventuali ammalati».Un anno dopo il Vescovo ringraziala Provvidenza e la Congregazione peri risultati conseguiti e chiede di poteraffidare alle suore tutta l’economiainterna. Di conseguenza la richiestadi una sesta e, poco tempo dopo, diuna settima suora. Alla domanda larisposta fu positiva.Fin dall’inizio i servizi affidatialle suore richiedevano capacità noncomuni: competenza specialmente incampo gestionale, senso del dovere,dedizione senza confini… Le suoreseppero interpretare molto bene le esigenzedel carisma con il loro stile divita francescana e con l’esercizio dellevirtù caratteristiche della famiglia elisabettina.Il rettore del convitto, don NicolòSpadaro così afferma di loro in una letteradell'11 marzo 1889 alla Superioragenerale:«Nonostante le molte e non lievidifficoltà che devono affrontare ognigiorno specie per la povertà dellaistituzione, la casa va benissimo. Lapazienza di queste madri, la caritàcon cui si prodigano, l’instancabilezelo nel disimpegno dei moltepliciuffici, la capacità di prestare la loroopera affettuosissima, illuminata ezelante, le rendono fin d’ora benemeritedi questo convitto».E più tardi (4 dicembre 1903) scriveancora riferendosi soprattutto allasuperiora suor Ernesta Rizzardini:«... diede saggio di pietà esemplare,di prudenza illuminata, diquella carità che rende facili anchele fatiche più ardue, di coscienziositàe saggezza nella direzione dellaSeminario interdiocesano di Capodistria eTrieste (foto 1925, Agep).economia domestica, virtù tutte perle quali questo Istituto ne avvantaggiòmoralmente e materialmente».I giorni della buferaL’opera continuò il suo camminosenza difficoltà particolari fino allavigilia della prima guerra mondiale.All’inizio delle ostilità le suore chieseroil rimpatrio che avvenne con lungheperipezie: dopo dieci giorni di internamentoin Austria possono arrivare aPadova attraverso la Svizzera, scortatefino alla frontiera da un picchetto disoldati armati, come descrive Menaranella sua opera 7 .Cessata la guerra le suore feceroritorno al convitto. Ma proprio alloraebbe inizio una radicale trasformazioneche convertì il convitto in seminariointerdiocesano.Nel settembre 1919 gli alunniche intendevano abbracciare lo statoecclesiastico furono trasferiti provvisoriamentenel seminario di Udine:ultimati i lavori di trasformazione delvecchio stabile, nel 1923, prende vita il“piccolo seminario” che diventerà poiil seminario interdiocesano di Trieste eParenzo-Pola: una istituzione che fiorìper oltre un ventennio, quindi semprepiù esigente nei confronti del serviziorichiesto alle suore.Nel luglio 1942 il rettore, monsignorMarcello Labor, chiede, a nome32 luglio/settembre 2009


dei due Vescovi di Trieste e Parenzo-Pola, una suora con funzione di infermieradei seminaristi. Il rifiuto dellasuperiora generale madre Agnese Noro,che si richiamava a precise normegiuridiche, dispiace al Rettore che nonriesce a comprendere come - affermain una sua lettera - «una Congregazionedi carità che ha pur l’assistenza intanti ospedali, sia impossibilitata diassegnare una suora infermiera per iseminaristi».Dalla documentazione storicasappiamo che molte suore infermiereerano allora impegnate anche sulfronte della emergenza negli ospedalimilitari.Decisiva per la presenza delle suoreelisabettine al seminario di Capodistriafu la seconda guerra mondialecon le sue conseguenze in particolarmodo sull’Istria.Il rettore, monsignor MarcelloLabor, il 19 luglio 1946 scrive allasuperiora generale madre CostanzinaMilani: «Sono grato per l’aiuto spiritualeche ci concede. Solo questo puòsorreggerci per poter raggiungere santamentela meta del Calvario e dellaResurrezione».Nel 1947, con il già citato trattatodi Parigi, l’Istria viene assegnata allaJugoslavia: ciò comporterà gravi disagia tutta la popolazione e alle istituzionireligiose. Il 14 agosto la stessa Superioragenerale scriveva al Vescovo diTrieste: «Con gravissimo dispiacereho appreso i dolorosi fatti avvenuti nelseminario di Capodistria. La catturadel Rettore è un fatto dolorosissimoed io sono in grande trepidazione perle suore rimaste senza appoggio in sìgravi pericoli. Affido a lei la salvezzadelle suore del seminario e, se sarànecessario, di quelle delle altre duecomunità».Il Vescovo così rispondeva il 21agosto 1947: «Sia fatta la volontà diDio. Le suore sono tutte salvate, protettedall’Angelo custode. Don Marcelloè sempre in prigione e la suasalute mi dà preoccupazione».Queste dolorose vicende induconoal ritiro dal seminario interdiocesanodi Capodistria della comunità, costituitada suor Argia Moretto, superiora,suor Gervasia Gazzola, suor ClarenziaSpinello.Il civico ospedale“San Nazario” (1890-1950)civico di Capodistriacon l’annessa Casadi ricovero era, fino al«L’ospedale1950, un Istituto di beneficenza soggettoalla Amministrazione comunalee, per sua fondazione, con caratteredi Istituto privato. Nella sua qualitàdi privata istituzione e in base allerendite patrimoniali, provvedeva allacura di «ammalati poveri, al ricoveroed alimento di poveri pertinenti allacittà o in essa domiciliati, di provatainettitudine al lavoro, inoltre allasomministrazione di medicinali a domicilioad ammalati indigenti dellacittà…» 8 .Sulla base dei risultati soddisfacentiperseguiti in pochi mesi dalle suorenel convitto parentino, l’Amministrazionecomunale determinò di affidarea «religiose dello stesso Ordine» il serviziointerno dell’ospedale, con la certezzadi avvantaggiare notevolmentegli interessi morali e materiali della PiaIstituzione e di assicurare agli infermitutti i conforti di una assistenza amorevolee sollecita, quale «soltanto puòattendersi dall’abnegazione pietosa dicodeste religiose» 9 .L’opera era senza dubbio secondolo spirito dell’Istituto, perciò la superioragenerale, madre Placida DeRocco, in pieno accordo con il “superiore”monsignor Angelo Vasoin,accolse l’istanza.Il 18 settembre 1889 egli ebbe ilnulla osta del Vescovo di Parenzo-Polache affermava essere di suo gradimentol’entrata delle suore nell’ospedaledi Capodistria, «che anzi le accoglieròcon gioia sotto la mia giurisdizionespirituale».Così, il 1° gennaio 1890 le suoreassunsero la cura dell’ospedale, guidatedalla superiora suor DesiserataRigoni.Le elisabettine al “San Nazario”Il «contratto di locazione d’opera»(convenzione) prevedeva tra l’altro chel’Amministrazione comunale affidasse«a quattro suore il servizio interno dieconomia, cancelleria, lavanderia, cucinae infermerie dell’ospedale. La Superioragenerale si obbligava a fornireper il servizio indicato quattro suoreidonee alle mansioni loro assegnate:una cuoca, due infermiere per l’assistenzaalle ammalate nella sezionefemminile, una addetta a guardarobae lavanderia. La quarta «col titolo diSuperiora-economa» incaricata dellapulizia, dell’ordine, della economia e,in generale, di tutte le mansioni devolutealla economa.Alla Superiora-economa è affidatala direzione dello Stabilimento; godepieni poteri nel campo della economia,dell’ordine, del servizio interno. Sarannoalle sue dipendenze le suore, leinfermiere laiche, il custode-portiere,gli ammalati e i ricoverati. Essa dipendesoltanto dalla Direzione-amministrazionedell’ospedale verso la quale èresponsabile dell’andamento di tutto ilservizio. In caso di bisogno ordinario ostraordinario (es. scoppio di epidemieo altre cause) la Superiora generalesi obbliga di fornire all’ospedale unamemoria e gratitudineluglio/settembre 2009 33


memoria e gratitudineItaliao più suore secondo il bisogno, consemplice preavviso di 5 giorni.Questi alcuni spunti stralciati dallaconvenzione stipulata il 30 dicembre1889.Ben presto il <strong>numero</strong> delle suorerisultò inadeguato. L’opera, nel suoevolversi, seguiva un preciso pianodi sviluppo secondo programmi beneorganizzati. Pur esprimendo soddisfazioneper la testimonianza di amore eabnegazione, la Direzione non esitavaa chiedere che le suore fossero sceltetra le migliori di cui l’Istituto disponeva.Trascorsi non ancora due anni, ilDirettore esprime rincrescimento perl’assenza temporanea della Superiorascrivendo «che l’allontanamentoanche temporaneo della Rev.da M.Desiderata ci riesca di dispiacenza,basta il fatto che la stessa dirigevacon tutta scienza e inappuntabilmentel’economia domestica di questo pioluogo, avendo acquistata una praticatale, che riusciva quasi superflua ogniingerenza da parte della Direzione …»(cfr. Lettera del Direttore, 8 novembre1891, alla Superiora generale).Lo scorrere del tempo non allentala tensione: è infatti del 26 febbraio1926 la lettera inviata dalla Direzioneche, in parte, riportiamo:«… nell’esprimere la soddisfazioneper l’opera prestata con grande amoree abnegazione dalle suore, si chiede dirivolgere particolare attenzione sullanecessità che almeno una parte delpersonale addetto all’economia internae alle infermerie sia scelto fra lemigliori forze di cui si dispone. LaCasa di riposo annessa all’ospedale èstata ingrandita e migliorata, è stataaggregata amministrativamente allaCongregazione di carità. È indispensabilepoter contare almeno su duesuore abilitate specialmente all’operadi infermiere coadiuvate da una Superioradi provata capacità nella direzionedella economia interna …».Si loda «l’intelligenza, pietà, solerzia esacrificio dedicati dalle suore nelle amorevolissimee svariate mansioni a sollievoe beneficio dei malati e vecchi accolti»,34 luglio/settembre 2009tuttavia si riconosceva come ormai «lasomma di prestazioni delicate, faticose,importanti si erano fatte effettivamentesuperiori al fervore di carità, all’impegnoindefesso e allo sforzo fisico delle suorestesse». Nel 1928 la comunità religiosacontava otto suore.Proprio per l’umile, intelligente,fattiva azione di queste sorelle ela loro capacità di collaborazione, laCongregazione di Carità affermava diaver potuto iniziare una riforma e unadattamento della organizzazione internasecondo le esigenze della leggevigente.Non mancarono le difficoltà: nellaprima guerra mondiale l’abbandonodell’ospedale e, assieme alle consorelledel convitto parentino, il fortunosorientro in Casa Madre; quindi la ripresa,fino alla seconda guerra mondiale.Il riassetto politico del quinquennio1945-1950 fu particolarmente difficileper l’Istria contesa all’esternoe lacerata nel suo interno. Le suorerestarono sul fronte della carità, «rispettatee apprezzate da tutti, titinicompresi», disponibili a starvi finchéla loro opera si mostrasse necessaria.Il 2 agosto 1950 madre CostanzinaMilani scrive al vescovo di Triestemonsignor Antonio Santin 10 :«Sento la grande difficoltà che laSuperiora trova per il permesso di rimpatrio[...]. Io credevo che la loro operafosse assai paralizzata e poco o nullapotessero fare sotto questo aspetto.Ora però penso che sarà meglio fare ilsacrificio e non fare altre domande peril rimpatrio. Se Lei ritiene opportunole suore restino pure per il momento,lasciando alla divina provvidenzala cura di offrire il mezzo necessarioper raggiungere lo scopo a tempo opportuno,senza danneggiare la salutespirituale dei degenti».Le suore - suor Primitiva Perin,superiora, suor Candida Bergamin,suor Lorenziana Busatta, suor IlarianaCasella, suor Leopolda Melison, suorMaurelia Rigato - riescono a partiredefinitivamente dal “San Nazario”nell'ottobre del 1950, dopo sessant'annidi presenza.Il Pio Istituto ”Grisoni”(1924-1949)Una presenza non eclatante, conun profilo di “modestia” e di“minorità”, forse facile da dimenticare:così può apparirci oggi lapresenza elisabettina al Pio Istituto“Grisoni” in Capodistria. Una presenzadurata circa un quarto di secolo,nel periodo in cui l’Istria era annessaall’Italia, una missione significativaper la capacità dimostrata di esprimerevivacemente il carisma elisabettino.Poche, scarne notizie si possonoricavare dalla documentazione storicareperibile. È del marzo 1924 la richiestadel Consiglio di Amministrazionedell’Istituto di avere quattro suore, trale quali una maestra diplomata per lascuola elementare. Preside dell’Istitutoè il vescovo di Trieste-Capodistriamonsignor Antonio Santin. Si trattaquindi di un’opera diocesana.Accoglie minori di ambo i sessi, insituazione di disagio familiare, generalmenteorfani o abbandonati. «Dettesuore - afferma il Direttore - sono giàpresenti al seminario e all’ospedale, percui sarebbe opportuno venire incontroalla nostra richiesta ché altrimenti citroveremo in serie difficoltà».Una presenza educativaLa risposta della superiora generale,madre Agnese Noro, poté esserepositiva dopo qualche tempo.Alle suore, giunte nel luglio 1924,fu affidata la sezione femminile del“Grisoni”. Vengono loro affidati i servizidi cucina e di guardaroba, la scuoladi lavoro, la scuola elementare, ladirezione della sezione femminile e lasovrintendenza al buon andamento ditutta la casa. La comunità, quasi subito,è costituita da cinque persone.L’Amministrazione esprime vivocompiacimento ed afferma di essereassai soddisfatta dell’opera indefessae disinteressata di ciascuna delle cinquesuore.La Superiora della comunità reli-


Fanciulle e suore dell'Istituto Grisoni a Capodistria in festa per la prima comunione di unaospite (foto 1926, Agep).giosa è direttrice del reparto femminile.Si susseguirono in questa missionesuor Emilia Barin, suor Felice Carmignan,suor Laudice Susigan, che svolseroil loro compito con «rara capacità,infaticabile zelo, provata fattiva capacitàdi cooperazione amministrativa,funzione direttiva energica congiuntaa serena bontà». Una particolare sensibilitàper l’“educativo”, associata a doticome l’intelligente e oculata capacitàamministrativa. Da qui la difficoltà(come del resto per altre comunità elisabettinein quel tempo) degli avvicendamentidelle superiore, osteggiati daiVescovi e Presidenti e/o Direttori dell’opera.Riportiamo qualche stralciodalla corrispondenza di quel tempo:«L’ottima superiora suor FeliceCarmignan, dirige con somma lodela sezione femminile dell’Istituto e ingenere l’economia domestica di tuttal’istituzione. Troppo grave sarebbe peril Grisoni la perdita dell’ottima suorache conosce perfettamente sia l’organizzazionemorale sia anche quellaeconomica ed amministrativa… Meritada parte mia il più vivo compiacimento:la sua opera è indefessa edisinteressata non solo dal lato dell’economia,ma anche dal lato dellaeducazione delle fanciulle (Lettera delPresidente, 29 agosto 1932).«Tutto il complesso di sagge disposizioninel campo dell’economiadomestica, come la direzione di questoreparto femminile, curato fino adoggi con amorosa diligenza, verrebbea soffrire […]. Ragioni di indole moralecome l’affetto che la superioradimostra alle povere derelitte accoltein questo Pio Istituto e sinceramentericambiato dalle stesse, la necessità dipoter contare per l’avvenire sull’operadi suor Laudice Susigan, almenofino al ristabilimento delle normalicondizioni di vita, oggi turbate dagliavvenimenti in corso…«Ripeto che questa superiora mi èparticolarmente necessaria per esserel’intelligente ideatrice di iniziative variesia nel campo della educazione chein quello del lavoro e temo che la suarimozione abbia a produrre un sicuroarre (garanzia) del normale svolgersidelle stesse; essa è stata anche l’animatricee la rigida esecutrice dei nuoviilluminati metodi di amministrazionedomestica, tanto da meritarsi ilmio più vivo plauso e quello dei mieipredecessori» (Lettera del Commissarioprefettizio, 12 agosto 1940).Così per alcuni anni, fino all’immediatodopo-guerra.Nel 1949 la situazione si aggravaulteriormente, la vita del “Grisoni”diviene impossibile. La cappella chiusanon conserva più l'eucarista ed èadibita ad altro uso. La promiscuità èlibera; grave la preoccupazione del Vescovoe delle suore per la sistemazionedelle ragazze.Dopo venticinque anni si concludela nostra storia al “Grisoni” con suorLaudice Susigan, suor Valeria Botti, suorTeodolinda Dal Martello, suor TerenzianaPasquato, suor Solomea Varotto.Riportiamo uno stralcio della letterainviata dal vescovo monsignor AntonioSantin, alla superiora generale, madreCostanzina Milani, il 23 agosto 1949:«Le suore del Grisoni hanno ricevutol’ordine di lasciare l’Istituto il 1° settembre.Così mi si comunicava da Capodistriae così tutto è finito. Io avevodetto loro di rimanere nell’Istituto finoa che potevano fare del bene. Ma quandoseppi tempo fa che erano ridotte asemplici operaie e che le ragazze eranoloro sottratte, dissi loro di abbandonarela casa e di ritornare a Padova. Avevanodeciso di rimanere a Capodistria finoa che avessero potuto resistere e poisarebbero venute a Padova.Così stanno le cose. Quindi aiprimi di settembre verranno in CasaMadre [...]. E mentre le sue figliole lascianoil Grisoni, devo dirle che lei puòessere orgogliosa di avere religiose cosìfedeli al loro dovere, così coraggiose,così brave. Esse sono degne di lode emeritano la nostra riconoscenza». ■1Parenzo: oggi città della Croazia, fu alledipendenze della Repubblica di Venezia dal1267 al 1797; passò poi all’Austria e seguì levicende dell’Istria.2Pola: oggi città della Croazia appartennea Venezia fino al 1797; passò poi all’Austriae all’Italia (1919); nel 1947 fu assegnata allaJugoslavia.3Dallo Statuto organico del ConvittoDiocesano Parentino-Polese in Capodistria.Parenzo, 1 settembre 1886 (Agep, cartellaConvitto parentino).4In quello stesso anno anche il Vescovo diAdria (RO) aveva richiesto le suore per un servizioanalogo nel suo seminario di Rovigo (cfr.Luigi Tinti, Vita e Scritti di Suor ElisabettaVendramini, p. 241).5Monsignor Angelo Vasoin, canonicoonorario della cattedrale di Padova e cancellieree delegato vescovile dal 1879 al 1892, curavai rapporti dell’Istituto con le autorità civili edecclesiastiche, visitava le case nuove, trattavale condizioni da offrirsi alle suore nei diversiluoghi e, d’accordo con la Superiora generale,trasmetteva agli interessati le conclusioni definitiveprese dal Consiglio generale curandoche i contratti non restassero lettera morta (cfr.anche In caritate Christi, 2/2009, p. 32).6Cfr. Giovanni Menara, Elisabetta Vendramini,la vita, gli scritti, l’opera, Firenze1928, p. 361.7Cfr. Giovanni Menara, ivi. p. 432.8Cfr. Regolamento per l’ospedale civicodi Capodistria - 5 aprile 1886 (Agep, cartellaospedale Capodistria).9Cfr. Lettera del Podestà di Capodistriaalla superiora generale M. Placida De Rocco, 5settembre 1889 (Agep, ivi).10Vescovo di Trieste dal 1938 al 1975.memoria e gratitudineluglio/settembre 2009 35


alla tua luce vediamo la luceanni quando anche la secondogenita,suor Rosetta,sceglieva di diventareelisabettina. Un ambientecosi fecondo di vocazioni- anche la sorella minore siconsacrerà tra le clarisse- è stato certamente perAugusta Severina un habitatfavorevole all’ascoltodell’invito del Signore, cosìche nel maggio del 1944anche lei iniziava la formazionealla vita religiosa.Fu un cammino sospesoper malattia, che le chieseun temporaneo rientroin famiglia, ma ripreso ecoronato con la professionereligiosa nel maggio del1950.Già questi fatti mettonoin evidenza due tratticaratteristici di suor Otilla:determinazione ad esserefedele alla scelta di vita eun corpo gracile che peròlei seppe gestire con buonaarmonia.L’ospedale civile di NoventaVicentina fu il suo primoambito di servizio comeinfermiera; dopo un’interruzioneper malattia vi ritornòe per trent’anni si presecura dei malati psichiatrici.Anche nella casa di cura“Parco dei Tigli” di Villa diTeolo (PD) dal 1984 al 2002fu accanto a malati psichiatriciseguiti da lei con cuoredi sorella e di madre.Poi accentuati problemicardiaci le imposero difermarsi e di entrare a farparte della comunità di riposo“Domus Laetitiae” diTaggì di Villafranca Padovana.Continuò ad essere unapresenza vigile, discreta,riservata e preziosa per ilbuon esempio e anche peri piccoli servizi che cercòdi continuare ad offrire allesorelle degenti nell’infermeria.Se ne è andata insilenzio, come suo stile; anoi il compito di raccoglierel’esempio di una vita cosìsemplice che si racconta inpoche righe ma così riccaperché interamente donataal Signore amato nei frateldiSandrina Codebò stfesuor Quirina Zuffellatonata ad Orgiano (VI)il 22 settembre 1916morta a Pordenoneil 7 giugno 2009Suor Quirina Zuffellatonacque ad Orgiano, unpaese alle pendici dei ColliBerici, nella bassa provinciavicentina, una zona diincomparabile bellezza ambientale,caratterizzata dacolline ricche di viti e diulivi, di fichi e di granoturco,alternati a pascoli e pratiaperti; un ambiente checertamente ha contribuitoa plasmare la personalitàdi suor Quirina. Vi fu battezzatacon il nome di Teresa;da qui partì poco piùche diciottenne per iniziareil percorso formativo chela preparò alla vita consacratanella famiglia elisabettinaconosciuta nellavicina Noventa Vicentina. Il2 ottobre 1937 emise per laprima volta i voti religiosi efu immediatamente avviataalla professione infermieristica.Conseguito il diplomadi infermiera professionalepresso la Scuola annessaall’Ospedale Civile di Padova,approfondì le sueconoscenze nell’esperienzadiretta prima all’OspedaleMaggiore di Trieste e poi inquello civile di Oderzo (TV).Nel 1947 ritornò a Padovae operò per ben 23 anninella clinica “Morgagni”.Dopo una breve parentesiall’Ospedale Civile e alCentro traumatologico dellastessa città, nel 1976 iniziòuna nuova esperienza: funominata superiora dell’infermeriadi Casa Madre chenel 1982 si trasferì a Taggìdi Villafranca Padovana inseguito ai lavori di ristrutturazione.Nel 1985 lasciòcon fatica la cura delle sorelleammalate. Il suo servizionella Casa di riposo diS. Vito al Tagliamento (PN)fu una esperienza breve: leconseguenze di una cadutaaccidentale le imposerodi lasciare l’attività. SuorQuirina accolse con serenadisponibilità di far partedella comunità per sorelleanziane “Santa Maria degliAngeli” di Pordenone dove,fino a quando la saluteglielo consentì, fu pronta adoffrirsi per piccoli servizi, edove dedicò molto tempoanche alla preghiera e arallegrare tutte con i suoi lavori:aveva mani d’oro; cosìtrascorse gli ultimi dieci annidella sua lunga e operosaesistenza. Anche nell’ultimamalattia confermò la suasapiente visione della vita:accolse la malattia serenae consapevole che era una“chiamata”, “la” chiamatadel Signore sempre cercatocome sommo Bene.«Nella comunità “S. Mariadegli Angeli” suor Quirinaha trascorso gli ultimidieci anni della sua lungavita. Centralino telefonico,preghiera, lettura e lavoroa chiacchierino, a uncinettoe a ferri furono le sue occupazionicosì come è pertante suore che nella lorovita hanno sempre tantolavorato e non si concedono“pause”. Era sorellavivace, scherzosa, servizievolesoprattutto a favoredelle sorelle meno fortunate.Ha accolto l’ultimamalattia come conseguenzanormale, sia per l’età, siaperché nella sua vita avevaconosciuto altri momenti dimalattia. Prima del ricoveroin ospedale sentenziò serena:“Non posso pretenderedi più, ora sento cheè arrivata la mia ora, siafatta la volontà del Signore.Quando ho avuto l’incidentesono stata protetta da fraClaudio Granzotto, ora loprego che mi accompagnia Gesù”. Il decorso dellamalattia è stato abbastanzaveloce tuttavia sufficienteper permetterle di darebuona testimonianza difede, serenità, abbandonoin Dio a tutti coloro chea vario titolo l’hanno avvicinata:medici, infermieri,personale dell’ospedale,consorelle, parenti. Accoglievatutti con il sorriso, lisalutava e ringraziava perogni attenzione. Il suo ultimomese l’ha passato nellanostra infermeria in attesadello Sposo. È stata visitataspesso dai nipoti e dai parentiche accoglieva felicecercando di nascondere lasua sofferenza per non farlistar male. Il nostro grazie aloro per l’affetto dimostratoalla zia e anche a tutte lesorelle che l’hanno accompagnatanon lasciandolamai sola».suor Piasandra Gomierosuor Otilla Baraldonata a Villafranca Padovana (PD)il 3 agosto 1922morta a Taggì di Villafranca (PD)il 17 giugno 2009Suor Otilla, AugustaSeverina Baraldo, nata aVillafranca Padovana il 3agosto 1922, era poco piùche undicenne quandola sorella maggiore, divenutasuor Faustiniana trale suore francescane elisabettine,raggiungeva lavicina Padova per iniziarel’iter formativo alla vita religiosae aveva diciassettenel oel ricordo36 luglio/settembre 2009


alla tua luce vediamo la luceli resi poveri dalla malattiacome ben evidenziato dallatestimonianza che segue.«Beati i misericordiosiperché troveranno misericordia».parola che bensi addice a suor Otilla allaquale va la riconoscenzaper quanto ha fatto nellanostra famiglia elisabettinaa favore dei poveri, delleloro famiglie e della Chiesa.Ha impegnato le sue forzea servizio delle persone cheerano nel bisogno fisico,psichico e morale a NoventaVicentina, nel repartodi psichiatria, per trentadueanni; a Villa di Teolo (PD)nella Casa di cura “Parcodei Tigli” per diciottoanni. La sua presenza èsempre stata quella di unasuora rispettosa, mite, accogliente.Ha rispettato tuttie tutto e ha ricevuto comerisposta tanta benevolenza.Cinquant’anni di serviziocon questo tipo di degentisono proprio tanti, soprattuttopensando all’aiuto, alconforto, al sollievo, allacomprensione richiesti daciascuno. Fra i tanti ospitiricordo Luigi che la cercavacento volte al giorno: quandoera disgustato, quandovoleva le sigarette, quandovoleva telefonare. E leilo accoglieva sempre conamore, con molta pazienzae con grande umanità. Ilservizio di suor Otilla si èprolungato oltre i limiti…La dottoressa Lazzarettodiceva: «Suor Otilla lavoglio qui in reparto: nonimporta se non lavora, mala voglio qui anche sedutasu una sedia come presenzagradita». I medici eil personale del reparto levolevano bene perché erauna donna molto discreta eumile; i suoi parenti avevanoin lei un prezioso puntodi riferimento. Loro e noine sentiamo la perdita masoprattutto conserviamo incuore la preziosità del suobuon esempio di vita.suor Pieralba De Valeriosuor Elisena Sellannata a Navolè (TV)il 17 dicembre 1938morta a Pordenoneil 17 luglio 2009Vorremmo che fosserole testimonianze raccolte dachi a vario titolo le è stato accantoa “celebrare“ la vita disuor Elisena perciò ricordiamosolo le tappe essenzialidella sua intensa esistenza:Navolè (TV) dove nacque il17 dicembre 1938, Padovache raggiunse non ancoraventenne per la formazioneiniziale alla vita religiosa elisabettina;dopo la prima professionereligiosa, il 3 ottobre1060, Firenze Galluzzo, per ilservizio alle persone anzianeOspiti; quindi Pordenone. Vigiunse nel 1970, qui ebbel’opportunità di esprimere inmodo particolare le qualitàdel suo cuore generoso nonsolo in comunità, ma soprattuttoal Cedis, Centro direcupero per tossicodipendenti,nei tredici anni che lavide presente. Dopo il brevee intenso periodo vissuto aTreviso, in servizio alla Caritas,e a Villa “S. Caterina”di Salò (BS), ritornò a Pordenone.Ancora una voltasi dimostrò persona generosamentedisponibile e prontaa mettersi in movimentotutte le volte che le venivasegnalato una situazione dibisogno mossa da una caritàassunta come abito.gie anche per alcuni serviziche la Caritas diocesanaoffre alle donne immigrate,disponibile al bisogno sulterritorio. Si muoveva con lasua usuale generosità; eranoapparsi alcuni acciacchi manulla che desse pensiero…poi senza preavviso, comesono le “visite” del Signore,un male aggressivo. Lesperanze si sono dimostratesubito molto fragili. Abbiamopregato in tanti, lei celo chiedeva con insistenza.Amici, sacerdoti, lo stessoVescovo, consorelle, famiglieche aveva aiutato durante ilservizio al Cedis sono venutia visitarla, a confortarla… iparenti si sono avvicendatinell’assistenza.L’ultima settimana l’havissuta nell’infermeria attiguaalla comunità: era contentadi essere a casa, speravaancora di riprendersima il male è stato più forte,è stato tutto così veloce!Avevamo conosciuto suorElisena come una donnaforte, sempre in movimento,generosamente attenta aglialtri… ora ci manca molto,e avvertiamo l’invito a custodirei doni che lei ci hatestimoniato.suor Piasandra GomieroSignore Gesù, ho avutola fortuna di incontraresuor Elisena nel 1991, duranteil servizio civile che hosvolto per la Caritas pressoil Cedis. Oggi non potevomancare perché “L’Elisena”ha significato molto per me.Ricordo non solo la presenzasolare e gli affettuosi abbracci,ma anche i rimbrotti,le sfuriate e le urlate che peròsi allargavano sempre inun sorriso che faceva passareil malumore a tutti. La suadisponibilità, quasi materna,con i ragazzi li aiutava a digerireanche le osservazionipiù pesanti di don Galliano.Era una mediatrice che perònon scendeva a compromessima che, con la forzadel suo amore dirompente,riusciva a convincere anchei più riottosi. Signore ti pregodi infonderci un pocodi quell’Amore che Elisenanel ricordodistribuiva a piene mani perchéforse riusciremo a cambiareun poco un mondoche oggi la piange.Francesco CattaneoNon nego che quandoarrivai al Cedis, come unadelle tante persone cheandavano a chiedere aiutoperché stanche del propriostile di vita, mi sorpresi e michiesi che cosa ci facesseuna “suora” in mezzo a noicosì disperati. Con l’andaredel tempo mi accorsi peròdella grinta e dell’energiache emanava dalla sua persona.Volava da un ufficioall’altro e, ad ogni colloquio,sembrava che si preparasseper una missione. La suacapacità intuitiva e la suascaltrezza ci hanno aiutatoa scoprirci per come siamo.Apparentemente un po’burbera, in realtà instancabilmentedirettiva, sembravaun generale dell’esercito.È venuta incontro a moltigenitori e a intere famiglieaiutandole a non mollare.Fin dall’inizio mi ha colpitola sua determinazione nell’affrontarele varie situazionie nel prendere decisioni; ciha insegnato a non sentircivittime per ciò che non abbiamoma a sentirci grandiper ciò che abbiamo. Cimancheranno le sue urla diincoraggiamento ed il suo:“Non farti sentire un assistito”.Ha saputo coglierela ricchezza della diversitàdi ognuno soprattutto nelpronto soccorso dove sonomolte le persone di passaggiocon continue richieste diaiuto. Le siamo riconoscentiper quanto ci ha trasmesso,per gli anni che ci hadonato mettendo a serviziole sue sensibilità e la suaspiritualità. E perché semplicementeha creduto nel valoredella vita che è un donoche Dio ci ha fatto. Ragionesufficiente per continuare adaverla nel cuore con un velodi tristezza.MirellaMi piace ricordare suorElisena come tante volte èstata descritta dai “suoi” Ra-Suor Elisena era ritornataa Pordenone nel 2005 perun servizio in favore dellesorelle anziane, disponibilecome suo solito. Però la lungaesperienza fatta al Cedise la passione che vi avevaespresso le consentironodi riservare tempo ed enerluglio/settembre2009 37


alla tua luce vediamo la lucegazzi del Cedis: un generaledal cuore d’oro e i pattini aipiedi, pronto a correre in aiutoa quanti vivono situazionidi particolare bisogno! SuorElisena amava poco le parole,prediligeva i fatti, le opereconcrete. Da vera figlia diElisabetta Vendramini ha saputocogliere in ogni fratelloe sorella incontrati il capolavoropartorito dall’amoredi Dio. Non è stata fermatadalle fatiche necessarieper detergere questa bellaimmagine. Come la “fattoradi Gesù” ha messo in attotutte le strategie, ha investitole sue energie di mentee di cuore, le risorse natedalla preghiera per “cavaranime dal fango”, come raccomandavala nostra MadreFondatrice alle sue Suore.Ha goduto immensamentedei passi positivi di ciascunodei “suoi” Ragazzi. Con cuorematerno ha accolto congioia e profonda soddisfazionei progressi della lorocrescita umano - spirituale,perché erano tutti parte vivadella sua stessa vita.Suor Elisena, sicuramenteanche ora che sei vicina aDio, non riuscirai a stare tantoferma. Non è nel tuo stile!E allora continua a intercedereper noi grazia perché lanostra vita sia bella, feconda,piena di opere buone, degnadi essere vissuta in pienezza.Che ciascuno di noi possasperimentare quanto affermala Parola di Dio: “Vi è piùgioia nel dare che nel ricevere”.Grazie, suor Elisena!suor Giselda PiccolottoUn raggio di sole chesvela la vita in una stanzabuia: è l’immagine che racchiudeil messaggio che haivoluto lasciare a noi. Haicercato di vedere il positivoche ognuno nascondeva elo hai valorizzato anche agliocchi dell’interessato.Il tuo colore è sempre statoluminoso, anche l’espressionedel tuo viso incoraggiavachiunque. Gli imperativiche spesso caratterizzavanoil tuo approccio alle persone,si scioglievano subito svelandotipoco a poco.Suor Elisena ci manchi…Hai vissuto abbastanza perconoscere le pieghe dellenostre comunità. Hai cercatodi darti delle risposte ed haisempre affidato al Signorei nodi più critici. Ora siamonoi che continuiamo questabattaglia; a volte andiamo atentoni, non abbiamo la pazienzadi aspettare… eppurelui è lì, ce ne accorgiamo soloquando è tutto passato.La luce che ti ha avvoltapossa toccare un pocoanche noi, la nostra storia eci aiuti a vedere un po’ piùchiaro.Grazie, suor Elisena,perché continui ad essercivicina.suor Anna Camerasuor Antonella Ballannata a S. Eufemia di Borgoricco (PD)il 27 agosto 1938morta a Padovail 28 luglio 2009Silenzio, preghiera, servizionon sono parole maun “abito”: quello che hacaratterizzato la vita di suorAntonella Ballan. Il silenziorendeva pensoso il suosguardo normalmente sereno,la preghiera era essenzialee fedele alle cadenzecomunitarie anche se costavasacrificio visti i ritmidi lavoro, il servizio, tuttauna vita come “addetta allacucina”, era un’arte con laquale rallegrava non solola tavola, ma il cuore dellesorelle. Suor Antonella sene è andata in fretta: unamalattia inesorabilmente aggressivaalla quale, come auna “obbedienza”, ha dettoil suo sì generoso. Una vita,la sua, che si sta poco araccontare. Era nata a S.Eufemia di Borgoricco (PD)il 27 agosto 1938; a 19 anniiniziò il cammino formativoper divenire suora elisabettinapoi, dopo la prima professioneil 4 maggio 1960,quarantadue anni a Roma:un servizio alla mensa-allacasa che è proseguito a Padova.Poi la malattia e suorAntonella è stata ancora unavolta un testimone silenziosoma efficace della parola:«Non chi dice Signore, Signore,ma chi fa la volontàdel Padre…». Un esempioche vorremmo tutte avere lagrazia di raccogliere. Alcunetestimonianze fra le tante.Carissima suor Antonella,grazie per come hairallegrato, sostenuto e vivacizzatola comunità dellaCasa provinciale e dellascuola S. Francesco in viadei Gonzaga a Roma! Conla tua disponibilità, sacrificioe dedizione assoluta haicondotto tutte noi sulla via diun lavoro sereno giorno pergiorno. Ricordo la tua risposta:«Va bene!» ogni voltache dalla portineria riceveviun ordine, magari nelle orepiù importune, per i poveriche venivano senza rispettareun orario. Eri l’esperta deivari macchinari della casa equando c’era un problemasi era sicuri del tuo intervento.Ti ho visto piangerenel lasciare la casa di via delGonzaga ed era il suggellodell’amore con cui avevioperato. Il Signore sia la tuaricompensa non per questopoco che ho detto ma per ilmolto che hai fatto.suor Maria PezzeiSuor Antonella, ti salutiamocon poche paroleper ricordarci che il “poco”,l’“essenziale” faceva partedel tuo stile di vita. Presenzanel nascondimento, ascoltoincondizionato, pensiero eazione rivolti costantementeall’altro ti permettevano diaccogliere la persona intuendoil reale bisogno con un’attenzioneparticolare per chipiù soffriva. Grandi erano latua umanità e capacità di dono:non trattenevi o chiedevinel ricordoqualcosa per te, eri sempredisponibile, non lasciavi andarea mani vuote il poveroche bussava alla porta. Haivoluto bene davvero alle sorelleche hai incontrato nellungo periodo vissuto a Romae in questi sette anni aPadova. Il Signore, unico tuoriferimento, ti ha concesso diessere una donna forte cheha saputo, fin da giovane, abbracciarele fatiche come desidererebbemadre Elisabettaper ciascuna di noi. Grazie,suor Antonella, per la tua testimonianzadi vita dalla qualetraspare per noi, oggi, lo stiledi vita della elisabettina.suor Liviana FornasierChi ha conosciuto suorAntonella porta nel suo cuoreil ricordo di una persona cheinfondeva serenità e paceanche nella fatica del viverequotidiano. Presente con assiduitàalla preghiera, attentaalle necessità delle sorelle,che amava e per le quali avevapremurose attenzioni, senzaostentazione, preveniva eprovvedeva ciò che quotidianamenteè richiesto nella vitacomunitaria.Possedeva la capacità disdrammatizzare le situazionidifficoltose e di offrirsi generosamentequando era necessarioun pronto intervento.Verso i poveri che chiedevanol’elemosina, silenziosamentedonava ciò che la comunitàpoteva offrire, contentadi alleviare una sofferenza.Amava cordialmente la sua famiglia,partecipando vivamentea ciò che la riguardava.Noi che per sette anni abbiamocondiviso gioie e dolori,speranze ed esperienze divita fraterna, ci riteniamo fortunatedi averla avuta comesorella. Ora ci accorgiamodel molto che ha trasmesso.Provata dalla sofferenzadella malattia, non volevaesserci motivo di preoccupazione.Ci chiedeva pochecose e lei, in cambio, ci haconquistato il cuore con lesue gentilezze e il suo pazienteascolto di ciascuna di noi.Il Signore ce l’ha donatacome sorella esemplareed ora possiamo attingere al38 luglio/settembre 2009


alla tua luce vediamo la lucericordo del suo vivere esemplareorientamenti per fareanche noi la nostra parte.sorelle della comunitàCasa provincializia - Padovasuor Giannalivia Vieronata a Mure di Molvena (VI)il 26 gennaio 1941morta a Padovail 30 agosto 2009Claudia Viero, suor Giannalivia,scelse giovanissimadi appartenere in modo specialeal Signore. Subito dopola scuola elementare lasciòMure di Molvena (VI) doveera nata nel gennaio del 1941e trovò a Padova, nell’Ancellatodelle suore francescaneelisabettine, il luogo dovematurare il discernimentoiniziato in parrocchia. Nell’autunnodel 1959 confermòla sua scelta entrando nelpostulato di Casa Madre.In noviziato si distinsesubito per la sua generositàe serenità e il 5 maggio 1962fece con gioia la prima professionereligiosa. Fu subitoinviata nella scuola maternadi Fossalta dove mise a fruttoil diploma di Scuola magistralegià conseguito. Nel1970 fu trasferita a Montà,periferia di Padova, e dueanni dopo, come superioradella comunità, fu prima a S.Pietro di Poiana (VI) e poi aPerarolo (PD).Nel 1984 avvicinò il mondodel disagio come educatricedei minori prima ai PiiConservatori di Santa Caterinae Soccorso, accolti poi nelgruppo Mimosa dell’iPAI inPadova. Un’esperienza brevema intensa.Per nove anni fu quindisuperiora della comunitàoperante nella parrocchia diLissaro (PD); qui espressecon la consueta generositàla sua attenzione alle sorelledella comunità, ai bambinidella scuola materna, aigiovani e a tutto quanto ènormalmente richiesto dallapastorale parrocchiale: la comunitàparrocchiale ha conservatograto ricordo esprimendoloanche con la partecipazionealla liturgia funebreanimandola con il canto.Concluso il mandato disuperiora, dopo una breveparentesi come direttricedella scuola materna di Taggìdi Villafranca Padovana, accettòvolentieri di ritornare aoperare in favore di personein disagio: gli ospiti dell’Opsadi Sarmeola (PD). In quella“cittadella della carità e dellaprovvidenza” non risparmiòenergie; per nove anni coordinòle attività a favore degliospiti di un reparto, esempioai collaboratori per la suaattenzione alla persona consideratacreatura di Dio e dalui teneramente amata.Come sua consuetudine,non si curò troppo di sé, cosìche quando la malattia simanifestò non ebbe energiesufficienti a contrastarla e funecessario ricorrere all’ambienteprotetto dell’infermeriadi Casa Madre. Qui vissecinque anni sperimentandoe soffrendo un lento e continuopeggioramento.Domenica 30 agosto ilPadre compì in lei l’operainiziata e la chiamò: “Vieniserva buona e fedele, entranel gaudio del tuo Signore”.Riportiamo alcuneespressioni di affetto e diricordo di persone che hannoconosciuto e collaboratocon suor Giannalivia.Esprimiamo la nostra riconoscenzaper l’instancabileservizio di suor Giannalivianella nostra parrocchia. Havissuto la sua scelta religiosain una comunità che ama edapprezza l’operato delle religiosee che con quest’ultimosaluto intende esprimere lariconoscenza di quanti l’hannoavuta come sorella, guida,animatrice. Noi affidiamoalla terra fertile il suo corpo:un seme che, morto, potràgermogliare e portare fruttidi vita anche per la nostracomunità.La comunità parrocchialedi LissaroCara suor Giannalivia,oggi vogliamo ricordare iltuo sorriso e la tau disponibilità:appena giunta al nostroreparto ti sei messa a disposizioneper poter collaborarenel migliore dei modi per ilbenessere delle ospiti.Poi la malattia ti ha allontanatofisicamente dall’Opsama non dai nostri cuori. Inmolte occasioni le ospiti tinominavano, chiedevano informazionisulla tua salute e,preoccupate per non sapercosa fare, si rivolgevano allaMadonna perché ti potesseaiutare. Questo è il momentodel dolore e dello sconfortoperché ci sei mancata tanto eci manchi ancor di più adesso.Ma ti sappiamo serenanell’abbraccio del Signore.Un'operatrice dell'OPSACiao, suor Giannalivia, tiringraziamo per tutto quelloche hai fatto per noi. Ci haiinsegnato tante cose che ancoraoggi ricordiamo. Abbiamovissuto insieme per circanove anni e i bei momenti sonoimpressi tutti nella nostramente. Ricordiamo i nostriviaggi a Loreto, a Lourdes,e a Vicenza a trovare la Madonnadi Monte Berico. Anchese adesso sei andata incielo, serena nell’abbracciodel Signore, resterai semprenei nostri cuori.Signora Lodiaospite dell’OPSAL’incontro di suor Giannaliviacon il Signore è avvenutonella pace, un incontrodesiderato intensamentenell’ultimo periodo: un tempodi purificazione preparatoda una esistenza tutta donata,caratterizzata da fedeltà,generosità, amore concretoai piccoli e, ultimamente,agli ospiti dell’Opsa. Ricordola cura per ogni ospite e ilsenso di responsabilità chela caratterizzava. Ho presentela sua generosità anchenel ricordonei confronti di ogni sorella:quando una di loro si è fratturatoil femore, lei si è offertaa stare con lei la notte, eal mattino era puntualmentepresente al lavoro di reparto.Sempre aveva a cuore lesuore ammalate, quelle cheavevano bisogno di essereaccompagnate per visite odaltro, quelle che avevano parentiammalati.Noi ringraziamo il Signoreper averla avuta comesorella, per avere beneficiatodei suoi doni, espressi contanta umiltà e semplicità,certe che lui ha accolto lasua vita come offerta e preghierad’intercessione per lafamiglia religiosa e per legiovani in ricerca della propriavocazione.suor Pierelena MaurizioRicordiamo nella preghierae con fraterna partecipazionela mamma disuor Franca Caremisuor Francesca Magrosuor Pierlisa Maranil papà disuor Mariam Abd El Tawabsuor Mariza Carrersuor Gila Salazarla sorella disuor Gina Beltramellosuor Berenice Ferrarisuor Maura Franceschettisuor perseveranza Lincettosuor Pierbertina Marchesinsuor Daniela Peronsuor Livina Pettenellosuor Fedele Sacconsuor Gemma Tiepposuor Cecilia Tosoniil fratello disuor Ildernesta esuor Rosaluigia Bragagnolosuor Rosaberta Carrarosuor Tranquilla Continsuor Ida De Gasparisuor Chiarafrancesca Magnansuor Ugolina Ramonsuor Clarenzia Spinellosuor Angelide Tolomeosuor Ilde Tosato.luglio/settembre 2009 39


Fare memoria, a cinquant’anni dalla morteDon Primo Mazzolari, parroco di frontiera,amico dei poveri e dei “lontani”Primo Mazzolari nacque al Boschetto-Cremona, il 13 gennaio 1890. A dieci anni entrò nelseminario di Cremona dove fu ordinato sacerdote il 24 agosto 1912.Dopo pochi anni di attività pastorale, segnato dalla dura esperienza della prima guerra mondiale,si offrì volontario e fu assegnato prima negli ospedali di Genova e di Cremona, poi lui stessochiese il trasferimento al fronte. Congedato nel 1920, don Mazzolari chiese di essere destinato allavoro pastorale tra la gente: da Bozzolo a Cicognara e poi ancora a Bozzolo (1931) dimostrandoapertamente la sua opposizione al fascismo.Gli anni Trenta furono per lui molto ricchi di attività e di opere. Nei suoi libri egli tendeva asuperare l’idea della Chiesa come “società perfetta” e si confrontava onestamente con le debolezze, le inadempienze ei limiti insiti nella stessa Chiesa. Pensava che la società italiana fosse da rifondare completamente sul piano moralee culturale, dando maggiore spazio alla giustizia, alla solidarietà con i poveri, alla fratellanza. Per questo molti suoiscritti furono oggetto della censura ecclesiastica e anche di quella fascista.Nel 1943, alla caduta del fascismo e all’annuncio dell’armistizio, don Primo si impegnò a creare contatti convari ambienti e personalità cattoliche in vista del domani e strinse rapporti con la Resistenza.L’impegno per l’evangelizzazione, la pacificazione, la costruzionedi una nuova società più giusta e libera costituirono i cardinidell’impegno di don Mazzolari dal 1945 in poi.Nel 1949 fondò e diresse il periodico “Adesso” in cui venivanotoccati temi significativi, quali il rinnovamento della Chiesa, ladifesa dei poveri e la denuncia delle ingiustizie sociali, il dialogocon i “lontani”, il problema del comunismo, la promozione dellapace in un’epoca di guerra fredda. Il carattere innovativo delgiornale provocò ancora l’intervento vaticano. Il giornale dovettechiudere e in seguito don Mazzolari subì altre misure personaliaccettate con umiltà e senso di obbedienza alla Chiesa.Solo nel novembre del 1957 l’arcivescovo di Milano monsignorG. Battista Montini (il futuro papa Paolo VI) lo chiamò a predicarealla Missione di Milano; nel febbraio 1959, il nuovo papa,Giovanni XXIII, lo ricevette in udienza in Vaticano e le sue ideecominci

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