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n. 4 - ottobre/dicembre 2009 - Suore Francescane Elisabettine

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anno LXXXI n. 4<strong>ottobre</strong>-<strong>dicembre</strong>2 0 0 9in questo numeroeditoriale 3nella chiesaLe strade della Parola 4Cristina Cruciani“Africa, alzati e cammina!” 5Ileana Benetello e Rosa MwangiReligiosi a confronto 6Luciana Sattinparola chiavePer la costruzione della “città dell'uomo” 8Marco Cagolfinestra apertaDal “Sud” la salvezza! 10a cura di Martina GiacominiProgetto “Nido d'Ape” 11Silvia Dolfiniin camminoCrescere nella fede e in umanità 12Autori variGovernare il cambiamento? 14Chiara Dalla CostaIn copertina: Natività, bassorilievo in gesso, Atelier d'Art Artisanatsdes Monastères de Bethléem.EditoreIstituto suore terziarie francescaneelisabettine di Padovavia Beato Pellegrino, 40 - 35137 Padovatel. 049.8730.660 - 8730.600; fax 049.8730.690e-mail incaritate@elisabettine.itPer offerteccp 158 92 359Direttore responsabileAntonio BarbieratoDirezionePaola FuregonCollaboratoriIlaria Arcidiacono, Sandrina Codebò, Barbara Danesi,Enrica Martello, Annavittoria TomietStampaImprimenda s.n.c. - Limena (PD)Autorizzazione del Tribunale di Padovan. 77 del 18 marzo 1953Spedizione in abbonamento postaleQuesto periodico è associato all’Uspi(Unione stampa periodica italiana)alle fontiCantare con le sue parole 17Paola Coveraccanto a...«Chi sei, Signore?» 18a cura delle suore della comunità di Salòvita elisabettina«Effatà, apriti!» 20Isabella Calaon, Barbara Danesi, Maria Pia RefoscoAncora e sempre sì 21Marilena Carraromemoria e gratitudineSemplicemente «Grazie!» 22Anita MonicoMemoria e benedizione 25a cura di Giannoemi Favero<strong>Elisabettine</strong> oltre i confini 27Annavittoria Tomietnel ricordoAlla tua luce vediamo la luce 31Sandrina Codebò


parola chiaveUN CAMMINO DI CONVERSIONEPer la costruzionedella “città dell’uomo”Giustizia e carità, un binomio imprescindibiledi Marco Cagol 1sacerdote diocesanoL’intreccio tra carità e giustiziaè essenziale per la costruzionedel bene comune. L’essere umano,solo se è mosso dalla carità,può essere seriamente impegnatoe coerente con la giustizia.Nel precedente numero avevamoconcluso accennando allaquestione del rapporto tra giustiziae carità. Nella recente enciclicadi Benedetto XVI Caritas in veritate,c’è un numero dedicato proprio allagiustizia. Essa viene anzitutto definitacome «criterio orientativo all’azionemorale», forma operativa del principiofondamentale della «carità nellaverità». Il principio della «carità nellaverità» è la grande intuizione di questastraordinaria enciclica, che ci aiuta acogliere queste due istanze fondamentali,presenti nella coscienza di ogniuomo, come dono di Dio e traccia dellasua presenza.Vale la pena di richiamare questofatto con le parole di Benedetto XVI:«amore e verità non li abbandonanomai completamente, perché sono lavocazione posta da Dio nel cuore enella mente di ogni uomo» (Caritas inveritate, 1). La carità non può essereseparata dalla verità, altrimenti essaperde la sua forza di trasformazionedella realtà dal di dentro; del resto laverità ha bisogno della carità per venireaccolta, per essere accreditata.La carità nella veritàLa carità nella verità diviene dunqueil principio fondamentale dellaDottrina sociale della Chiesa, cioè diquella visione evangelica sulla realtàsociale umana che la Chiesa ha maturatonel corso del tempo. E questoprincipio prende «forma operativa» appunto,tra le altre cose, nella «giustizia».Benedetto XVI ne parla al numero 6dell’enciclica. Già al numero 1 però siera espresso così: «L’amore – “caritas”– è una forza straordinaria, che spingele persone a impegnarsi con coraggio egenerosità nel campo della giustizia edella pace». Affermando ciò BenedettoXVI sembra dirci subito (osserviamoche questa è la seconda frase di tuttal’enciclica), che tra giustizia e carità viè un continuum. Ci suggerisce inoltrel’idea che la giustizia prende forzadalla carità: l’essere umano, solo seè mosso dalla carità, può essere seriamenteimpegnato e coerente conla giustizia. E poi tale affermazionesembra suggerirci anche che di fattola giustizia (e la pace), e l’impegnoper essa, divengono la verifica sull’autenticitàdella carità, dell’amore. Seè vero (e il papa lo dice più volte neltesto) che non tutto ciò che chiamiamoamore può in realtà essere consideratoautenticamente tale, la giustiziadiviene un criterio per discernere taleautenticità dell’amore. Come a dire:un amore che non costruisce giustiziae non è ispirato da criteri di giustizia,non può considerarsi tale.La carità esige la giustiziaInteressanti sono poi le altre considerazioniche vengono proposte parlandodirettamente della giustizia. Leriprendiamo quasi per intero:«Ubi societas, ibi ius: ogni societàelabora un proprio sistema di giustizia.La carità eccede la giustizia, perchéamare è donare, offrire del “mio” all’altro;ma non è mai senza la giustizia,la quale induce a dare all’altro ciò che è“suo”, ciò che gli spetta in ragione delsuo essere e del suo operare.Non posso «donare» all’altro delmio, senza avergli dato in primo luogociò che gli compete secondo giustizia.Chi ama con carità gli altri è anzituttogiusto verso di loro. Non solo la giustizianon è estranea alla carità, non solonon è una via alternativa o parallela allacarità: la giustizia è « inseparabile dallacarità» 2 , intrinseca ad essa. La giustiziaè la prima via della carità o, com’ebbea dire Paolo VI, «la misura minima» diessa 3 , parte integrante di quell’amore«coi fatti e nella verità» (1Gv 3,18), acui esorta l’apostolo Giovanni.Da una parte, la carità esige lagiustizia: il riconoscimento e il rispettodei legittimi diritti degli individuie dei popoli. Essa s’adopera per lacostruzione della “città dell’uomo” secondodiritto e giustizia. Dall’altra, lacarità supera la giustizia e la completanella logica del dono e del perdono 4 »(Caritas in veritate, 6).La conclusione del Papa è particolarmentesignificativa, perché ci diceche l’intreccio tra carità e giustizia èessenziale per la costruzione della “cittàdell’uomo”.«La “città dell’uomo” non è promossasolo da rapporti di diritti e diPiccoli segni del vangelo della caritàin Sudan e in Kenya (foto a destra) attraversole comunità elisabettine.8 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


Piergiorgio Frassati(1901-1925): una vitaper i poveri.«Con la carità si seminanegli uomini la pace».doveri, ma ancor più e ancor prima darelazioni di gratuità, di misericordiae di comunione. La carità manifestasempre anche nelle relazioni umanel’amore di Dio, essa dà valore teologalee salvifico a ogni impegno di giustizianel mondo» (Ibidem).Questo, nel contesto attuale, nonè scontato: infatti c’è costantemente iltentativo di separare carità e giustizia,con artificiose separazioni tra sferapubblica e privata, laddove oltre atutto l’interpretazione che viene fattadella giustizia è particolarmente riduttiva,perché ridotta a mera equivalenzarispetto alla scambio di prestazioni,in un freddo quadro di enumerazionedi diritti e doveri corrispondenti; tral’altro con il rischio che i doveri nonvengano nemmeno opportunamenteindividuati e attribuiti a nessuno, percarenza di motivazioni.Giustizia:cammino di conversionePer concludere possiamo trarreancora dalla Scrittura tre spunti diriflessione, che possono coinvolgercipersonalmente nel nostro quotidiano.1. Il primo è un tratto tipico deltempo di Avvento in cui stiamo perentrare:«Noi, secondo la sua promessa,aspettiamo nuovi cieli e una terra nuova,nei quali abita la giustizia» (2Pt, 3,13).Questa prospettiva, tipica della vitaumana, ravvivata nella consapevolezzadal tempo dell’avvento, è decisiva inordine alla giustizia. Ci viene dettoinfatti che la giustizia avrà stabile dimora(“abiterà”) nei cieli nuovi e nellaterra nuova che si compiranno con laseconda venuta di Cristo. A dirci chela pienezza della giustizia giungerà soloalla fine dei tempi, quando Cristo ricapitoleràogni cosa. Ciò significa cheogni realizzazione della giustizia sullaterra sarà sempre parziale e che dunquela ricerca della giustizia non è mai compiuta,non è mai finita, c’è sempre undi più che si può fare, proprio in continuitàcon la logica della carità, che nonha confini superiori, ma solo inferiori.Dunque la giustizia chiede un impegnosempre nuovo, sempre rinnovato, maiconcluso fino “alla sua venuta”.2. Il secondo spunto di riflessioneviene direttamente dalle parole di Gesù,che include la fame e la sete per lagiustizia tra le beatitudini, cioè nellanuova legge evangelica: «Beati coloroche hanno fame e sete della giustizia,perché saranno saziati» (Mt 5,6)La spiritualità cristiana comprendela giustizia come una delle virtùcardinali. La virtù è qualcosa che nonpassa, è qualcosa che si radica nell’uomo,nella sua intelligenza, nella suavolontà, una disposizione stabile delcuore. L’intelligenza comprende chequel modo di essere (giusti, nel nostrocaso) è buono e porta alla gioia, e siadopera per discernere le strade (cfr.la testimonianza di Rosario Livatino).La volontà lo desidera costantemente,anche quando implica sacrificio. Ilcuore fa percepire interiormente chequella strada è migliore, che più rispondealla propria dignità. È nellepossibilità dell’uomo l’essere virtuoso.Ma nell’esercizio della virtù l’uomoha bisogno dello Spirito, che facilital’essere costantemente rivolti verso ilbene. La virtù della giustizia è un donodi Dio, da invocare continuamente, daaccogliere, da radicare continuamentedentro di noi con l’intelligenza, la volontà,il cuore.carità3. Il terzo spunto viene da sanPaolo: egli lega la virtù della giustiziaalla sobrietà e alla pietà:«Ti esorto a vivere con sobrietà,giustizia e pietà in questo mondo» (Tt2,12).Questa triade sembra rimandare alletre direzioni verso le quali l’uomo vivele proprie relazioni: se stessi (la sobrietà),gli altri (la giustizia), Dio (la pietà).Esse sono intimamente connesse.Non si è giusti se non si è sobri,perché chi non è sobrio finisce peraccaparrarsi ciò che spetta agli altri, enon conoscerà ciò che spetta agli altri,tutto preso dal soddisfacimento delproprio contraddittorio desiderio. Enon si è sobri se non si è giusti, perchénon chi non è giusto altera anche i propribisogni, il proprio “suo”, facendolodivenire un assoluto; e non c’è sobrietànella società se non c’è giustizia, perchéci saranno molti che vivono nellamiseria, nella ricerca disperata di potersopravvivere: e non saranno sobrinei loro desideri e nelle loro giusterivendicazioni. Saranno arrabbiati, emossi dalla propria rabbia: la rabbiadei poveri.Non c’è giustizia se non c’è pietà,perché senza conoscenza di Dio è piùdifficile conoscere l’uomo in quantouomo, e la sua dignità di figlio di Dio;ed è più difficile cogliere il legame cheunisce gli uomini in un’unica famiglia,che ci fa sentire le ferite inferte aglialtri; e non c’è pietà senza giustizia,perché non si può amare Dio che nonsi vede se non si ama il fratello che sivede, dandogli ciò che è “suo”. 1Sacerdote della diocesi di Padova, direttoredell’ufficio della pastorale sociale e dellavoro e del Centro di ricerca e formazione “G.Toniolo” – Padova.2PAOLO VI, Lettera enciclica Populorumprogressio (26 marzo 1967), 22, AAS 59 (1967),268; cfr. CONCILIO ECUMENICO VATICANO II,Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondocontemporaneo Gaudium et spes, 69.3PAOLO VI, Discorso per la giornata dellosviluppo (23 agosto 1968), AAS 60 (1968),626-627.4Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Messaggio perla Giornata Mondiale della Pace 2002, AAS 94(2002), 132-140.<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 9parola chiave


finestra apertaPROBLEMA MIGRAZIONE (IV)DAL “SUD” LA SALVEZZAIL GUSTO DI VIVERE RITROVATOa cura di Martina GiacoministfeIl racconto di unaesperienza che haaperto strade di sensoproprio là dovesembrava chiusa ognipossibilità.Eccomi a chiudere lariflessione propostasul tema migrazione,sulle diverse motivazioniper cui si lascia il propriopaese d’origine e si va a vivereda un’altra parte.L’ultima testimonianzache proponiamo è di unmedico milanese e mi sembranointeressanti alcuneprovocazioni che lui stessolancia.Da buoni europei o filoamericanisiamo ormaiabituati a pensare che ilmeglio o la salvezza venganodal cosiddetto “Norddel mondo”. Il cosiddetto“sud del mondo” generalmentenella nostra testa èsolo fonte di guai. Il dottorAntonello sembra nonessere d’accordo e nel raccontarcila sua esperienzaci suggerisce che a salvarloè stata un’altra filosofia, incontratanon di certo nellasua Milano-metropoli mapiuttosto in un piccolo Paesedel cosiddetto Sud delmondo, ossia l’Ecuador. Dalì sembra essere venuta lasua salvezza... proprio comeduemila anni fa: «E tuBetlemme di Giuda non seila più piccola di tutte le cittàma da te nascerà il Salvatore»(cfr. Mt 2, 6).Parole come libertà, allegria,sorriso, calore umanohanno restituito senso allasua vita e a quella della suafamiglia che poco a pocoandava alla deriva.Personalmente mi trovoa condividere quanto luiscrive e riconosco questeparole-valori come qualcosadi appartenente alla miainfanzia che rischia di cristallizzarsicome un caro belricordo. Forse dovremmofermarci un po’ e fare unconcreto lavoro di recuperodi un “perduto” che ancoraci può far del bene.Da circa venticinque annivivo con mia moglie e imiei due figli in Ecuador.Siamo venuti qui in vacanzae abbiamo deciso dinon tornare più in Italia. Inprecedenza vivevo a Milano,dove ero medico specialistain terapia del dolore.Tutto andava fin troppobene per quel che riguardavala mia situazione economicaed il mio lavoro, però semprepiù spesso mi chiedevose valeva la pena vivere inquesta maniera, ossia: usciredi casa la mattina prestoquando i miei bambini ancoradormivano e ritornare lasera tardi quando erano giàa letto, lavorare quasi senzaMercatino del gruppo “Pachamama” a Quito - Ecuador; un progettoavviato dalle suore elisabettine per la promozione della donna.vacanze per altri impegniprofessionali.Insomma, non trovaremai il tempo per la mia famigliae per me stesso. Pocoa poco si faceva forte inme l’impressione di fare soloparte di un sistema di vitache non lascia più né sceglierené decidere nulla, che nondà più tempo di pensare masolo di ricevere messaggi dallatelevisione, dai giornali edalla società in cui vivi. E,poco a poco, si finisce col nondecidere più nulla, ma solo siaccetta di fare quello che glialtri decidono per te.Quando siamo arrivatiin Ecuador siamo rimasti subitocolpiti dalla sensazionedi libertà che si viveva inquesto paese dove lo stress,la fretta, l’importanza deldenaro non erano che un lontanoricordo. La gente eraveramente contenta con pocoe a volte con pochissimo. Erasempre allegra e sempre sorridente.Che differenza dalletristi giornate dell’invernomilanese, con la gente frettolosae chiusa in se stessa,che non saluta nemmeno ilvicino di casa che vive nellaporta accanto!Tutto il calore umano chesi avverte qui e il clima bellissimodi questo Paese hafatto davvero la differenzanella scelta che abbiamo fattodecidendo di fermarci inEcuador.Sono tornato qualchevolta in Italia ma devo direche non ho mai minimamentesentito il desiderio di restarcia vivere: ho visto che lavita è sempre meno facile esoprattutto sempre più materialista,un mondo dove ormaiconta solo quello che haie non quello che sei, salvo perfortuna qualcuno che ancoranon la pensa così.Antonello Benincasa10 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


ESPERIENZE NELLA FAMIGLIA ELISABETTINAPROGETTO “NIDO D'APE”UN'INTEGRAZIONE POSSIBILEdi Silvia Terraneraresponsabile Casa Betania 1Nell'ascolto dei bisogni aRoma presso la casa “E.Vendramini” un esempiodi collaborazionenell'accoglienza di chinon ha “casa”.Da tempo attendevamol’opportunità peril “Nido d’Ape” (uncentro diurno per minorisocialmente fragili) di spazipiù adeguati al servizio diaccoglienza che viene svoltodall’anno 2000 in favore dibimbi della fascia d’età 0-3anni, appartenenti a nucleifamiliari prevalentementemonogenitoriali, immigrati,in condizioni sociali oeconomiche disagiate.In questa ricerca laProvvidenza, che si avvaledella disponibilità di persone,strumenti e percorsi diversi,ha fatto sì che incontrassimole suore francescaneelisabettine che ci hannoconcesso in comodato unaporzione dell’immobile invia della Pineta Sacchetti,nella quale trasferire, a partireda settembre <strong>2009</strong>, leattività del centro diurno.Da subito è apparso cheil carisma della comunitàche ci ha accolto si sposavacon i nostri intenti rendendofeconda la nostra collaborazione.L’accoglienza che ci èstata riservata, si è concre-tizzata in un ascolto condivisodelle fatiche del povero,in una ricerca quotidiana disoluzioni che potessero alleviaresituazioni di disagio,nella gioia di camminare insieme,religiose e laiche, inuno spirito di comunione.Grazie a questa “sinergia”,oggi possiamo accoglierefino a 45 bambini…La sede è bellissima eaccogliente; con un giardinoe una veranda sempreesposta al sole.Il servizio viene garantitodalla presenza di personaleprofessionalmente qualificatooperante in équipe,che programma, verifica,si confronta mensilmentecon un'équipe tecnica multidisciplinare,composta daun'assistente sociale, da unoperatore sociale e da unapedagogista responsabiledella formazione degli operatoridel "Nido d'Ape".Il 25 settembre c’è statal’inaugurazione e c’eranotutti: i bimbi, i genitori, lesuore della comunità cheospita il nido, Casa Betania.Una bella festa nella gioia enella riconoscenza. 1Casa Betania è una casafamiglia della cooperativa “L'accoglienza”apeta nel 1993, graziealla disponibilità dei coniugi Dolfini,con sede in Roma via delleCalasanziane, 12.Momento della festa nel giorno della inaugurazione del Centro.Per una cultura dell'accoglienzaSembra esserci una prevalenza del grigio nei coloridel nostro Paese [...].Sembra smarrito, nella nebbia del conformismobenpensante, il sentiero che porta all’essenziale, al significatoultimo e più bello della vita soprattutto quandofragile e indifesa [...].C’è il rischio di non trovare più noi stessi.Ci si scopre “clandestini” nella propria città dovenon si muore tra le onde ma si può “morire dentro” perassenza di pensieri, di gratuità, di speranza.E ancora, si può “morire dentro” per mancanza delbuon senso, di lealtà nel confronto, di pacatezza dellinguaggio, di forza della ragione…La politica appare “morta dentro”, amputata delsuo compito più nobile che è la ricerca e la realizzazionedel bene comune.Alcuni datiRichieste di iscrizioneper l’anno in corso: 69. Nuoviiscritti: 33. Bambini frequentantiiscritti già dallo scorsoanno: 17.Composizione classepiccoli (tre mesi-un anno) perarea geografica: Perù (sei),Ecuador (quattro), Bolivia(uno), Filippine (due), Ucraina(uno), Tanzania (uno).Composizione classemedi (uno-due anni) per areageografica: Ecuador, Perù(due), Bolivia (uno), unoGhana (uno), Nigeria (uno),Ruanda (uno), Ucraina (uno),umo Polonia, Romania (uno),Filippine (uno).Composizione classegrandi (due-tre anni) per areageografica: Ecuador (uno),Bolivia (due), cinque Perù, India(uno), Italia (uno), Romania(due), Polonia (uno), Ucraina(uno), Moldavia (uno).finestra apertaL’arroganza del nulla prende la forma di maschere,sempre sorridenti e rassicuranti.Non è tuttavia il tempo della resa e del disimpegno.È più che mai il tempo dei “volti”, delle presenze, degliimpegni, dei progetti. È il tempo di un “volto” che siriassume in quello di Casa Betania per indicare un’esperienzache richiama molte altre nel nostro Paese. Perindicare una cultura dell’ascolto e dell’accoglienza chenon sale in cattedra, che non si chiude nel piccolo èbello ma neppure è utopia.C’è un’umiltà che è fatta di fierezza e non di complessidi inferiorità o di minoranza.È l’umiltà di chi, nel grigiore, ritiene possibile, anzidoveroso, far esplodere tutti i colori della vita e dell’amore.Paolo BustaffaStralcio da "Ditutticolori", <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong>.<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 11


in camminoCrescere nella fedee in umanitàLe iuniori raccontanoDall’ItaliaCostruirecomunità fraternedi Ilaria ArcidiaconostfeIn continuità con il tema propostoa tutte le sorelle elisabettine, neltrascorso anno pastorale le junioridella Provincia italiana 1 hanno approfonditole dinamiche, i valori, gliatteggiamenti sottesi alla costruzionedi relazioni autenticamente fraterne.Un’esperienza formativa che le ha portatead incontrarsi con la Parola etra loro, accompagnate da suor MariaFardin e da vari relatori durante l’annoa Camposampiero e a Padova, e nelconsueto appuntamento estivo dal 13 al18 luglio, ospiti della comunità monasticadi Bose.Fraternità e itineranza… chiamatea relazioni fraterne… il vivere rapportiamichevoli con Dio e con le sorelle…:queste sono fra le provocazioni più significativeche hanno scandito alcunetappe del nostro cammino formativo.Un cammino che ci ha portato innanzituttoa riflettere sul fatto che ognirelazione comporta un esodo, un uscireda sé per andare verso e incontrarel’altro/a.Ci siamo pertanto confrontate congli esodi vissuti da san Francesco e damadre Elisabetta e con quello sperimentatodal popolo di Israele nel lungocammino verso la terra promessa.12 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>Se, ad una prima impressione, potevanon sembrare immediatamentepercepibile il nesso tra relazione fraternaed esodo, attraverso l’approfondimentodi questi temi, la preghieraed il confronto abbiamo gradualmentecompreso come non sia possibile costruireautentiche relazioni, se primanon ci lasciamo coinvolgere in un processodi conversione e di cambiamento(perché l’incontro con l’altro necessariamentemodifica qualcosa di e inme), in un’esperienza di passaggio chesi snoda in uno spazio particolare, chediventa scuola di fede, speranza e carità,un luogo in cui è possibile viverela consegna fiduciosa di se stesse alleproprie sorelle.Significativa ci è sembrata anche laprovocazione ad accogliere la gratuitàdel dono rappresentato dalla sorellache mi trovo accanto, filo preziosocon il quale tessere la trama del quotidiano;questo perché, come religiose,non siamo chiamate a scegliere per poiamare, bensì ad amare prima, senzaaver scelto e conosciuto.Ma tutto questo è possibile solo seciascuna vive l’unicità della personalerelazione con il Signore: è infatti dall’amorea lui, prendendo le mosse dai“rapporti amichevoli” intessuti conlui che è possibile mettersi in camminoverso l’altra. È cioè possibile farenostro il sentimento di com-passione,che è il sentimento per eccellenza diDio, per riuscire a dare all’altra unospazio dentro di me, farla esistere nelmio spazio, lasciare che l’altra tocchila profondità del mio cuore, delle mieviscere, per continuare ad usare un parallelismocon l’esperienza divina.In comunità la relazione fraternaCampana della comunità monastica di Bose chescandisce la preghiera dei fratelli e delle sorelle nelcorso della giornata.si configura così come spazio e tempoin cui incontrare non solo la sorella,ma anche il Signore Gesù, perchél’incontro e la relazione autentici sonopossibili solo se ricondotti alla sorgentedella sua carità, originati dallasua iniziativa tradottasi nel suo farsiincontro a ciascuna di noi.Alla comprensione di questa provocazionesiamo state orientate anchedall’incontro con i monaci e le monachedi Bose, dai quali siamo stateospitate per la settimana biblica che hascandito il tempo del nostro incontroestivo: un’occasione privilegiata permetterci in ascolto della Parola, cosìcome risuona nel Vangelo di Luca,e per lasciarci interpellare da cosa èessenziale nella relazione.Ci siamo lasciate interpellare dalvoto di vita fraterna professato daimonaci e dalle monache di Bose: siamostate invitate a riflettere sul fatto chequesto voto assomma in sé quello dipovertà e di obbedienza, perché non èpossibile vita fraterna senza la non affermazionedi sé e senza condivisione,né senza l’ascolto profondo del vangeloe della sorella. Tutto questo richiedela disponibilità a percorrere camminidi profonda riconciliazione, per incontrarciin verità, aderendo cioè a quello1Con loro ha condiviso parte del camminosuor Anissa Efrangi, della delegazione Egitto- Sudan.


che siamo come singole e come comunità,con la nostra bellezza, ma anchecon le nostre fragilità, senza idealizzazioni,ma con la capacità di amare edi perdonare, di essere per ciascuna ereciprocamente sorelle e madri, capacidi generare l’altra alla vita.Risuona allora forte l’invito a nondimenticare che, se amiamo, siamoferibili: Gesù ha amato fino alla fine,ha perseverato nell’amore, nellafedeltà all’amore… ed è morto. Noisiamo chiamate a conformarci a questoamore: il fratello, la sorella si presenterannoallora al nostro cuore qualipresenza, parola, pane, tempio delloSpirito del Signore.Dall’EgittoGli impegni dellavita consacratadi Luigina ArabistfeDal 2 al 12 agosto <strong>2009</strong>, pressola casa di Delegazione “E. Vendramini”a Ghiza, in Egitto, leiuniori si sono incontrate per l’appuntamentoformativo annuale. La gioiadell’incontro è stata arricchita dall’averetra noi anche suor Rita Andrew dalSudan. Sono stati ricchi e interessantii contenuti proposti. Abbiamo trovatoarmonia tra un tema e l’altro.Padre Milad Sadki, lazzarista, hapresentato i voti religiosi secondo lo stileelisabettino. Lo studio approfonditodelle Costituzioni ci ha fatto scoprireaspetti nuovi della nostra vita consacratacomprendendo meglio le esigenzedella consacrazione attraverso i voti.Il dottor Fuad Ateia ha tenuto unlaboratorio sulle dinamiche della vitacomunitaria e sociale. Con lui abbiamoappreso contenuti nuovi, come illinguaggio del corpo e come tenereattivo il nostro cervello: questo ci hain camminoUn'esperienza formativa specialeNel lasciare il nostro Paese (l’Egitto per suor Anissa ingennaio, il Kenya per suor Anastasia e suor Eva in marzo)eravamo ansiose e timorose pensando al non conosciutoche ci attendeva. Ma l'accoglienza ricevuta fin dal primomomento nella comunità di accoglienza ci ha aiutato a sentircia casa, anche se geograficamente lontane dal nostroPaese.Il primo mese è passato veloce, essendo impegnatecon il corso di italiano; questo ci ha permesso di comunicare,anche se con difficoltà. Grazie all’aiuto di suor CelidataLucietto che ci ha aiutato senza risparmiarsi nei nostri primipassi, con dialoghi ed esercizi, il nostro italiano è andatomigliorando.Poi siamo state assegnate a comunità diverse: suorAnissa Efrangi alla comunità casa del Pane, suor AnastasiaMaina alla comunità della scuola materna di Aviano e suorEva Ndirangu alla comunità scolastica dell’Arcella-Padova.L’inserimento in queste comunità ci ha dato di fare un’esperienzalavorativa in relazione alla nostra preparazione: suorAnissa alle Cucine popolari e poi all’Opsa, suor Eva nellascuola materna, suor Anastasia nel servizio sociale.In questo nostro servizio abbiamo potuto renderci utilie allo stesso tempo abbiamo arricchito la nostra conoscenzae esperienza; ora possiamo migliorareil nostro servizio nel nostro Paese di origine.Abbiamo percorso un itinerario formativo,accompagnate da suor Lucia Meschi (suorAnissa in parte anche con le iuniori italiane)con un programma formativo specifico.Con Madre Margherita e suor Lucia Meschiabbiamo approfondito il tema dellachiamata e della sequela di Cristo perprepararci al nostro sì per sempre; consuor Martilde Zenere il significato del votodi povertà.Suor Paola Furegon ci ha accompagnato nella storiadella Casa Madre, luogo dove è nata la famiglia elisabettina:abbiamo visitato la soffitta, la stanza dove la Fondatrice havissuto gli ultimi tempi della sua vita, abbiamo visto alcunioggetti-reliquie che le sono appartenuti; abbiamo potutovedere toccare con mano il nostro patrimonio e l'ereditàche Madre Elisabetta ci ha lasciato attraverso i suoi scrittti.Ci ha toccato profondamente la visita a Bassano (insiemeanche a suor Patrizia Cagnin), luogo natale di madre Elisabetta:il fonte battesimale e il registro dei battesimi, doveè ancora possibile vedere chiaro e leggibile la registrazionedel suo battesimo (nella foto), l’orfanotrofio “ai Cappuccini”dove ha vissuto per alcuni anni nella ricerca di capire lavolontà di Dio.Abbiamo potuto essere pellegrine a Roma e ad Assisi.Roma: luogo dove il ricordo di tanti testimoni e martirici ha confermato nella fede che abbiamo ricevuto. Tutto ciha colpito, in particolare pregare a san Pietro a san Giovanni…Assisi: abbiamo riflettuto sul nostro essere francescaneconoscendo meglio lo spirito di Francesco; è stato bellopregare dove lui ha pregato.Mentre concludiamo la nostra permanenzain Italia vogliamo dire la nostra gratitudine perquesto dono, per aver sperimentato l’esserefamiglia, in più modi: diciamo grazie alle sorelledel Consiglio generale, alle comunitàche ci hanno accolto e accompagnatonelle fatiche e condividendo le gioie ea tutte le sorelle che in modi diversi sisono fatte presenti in questo nostrocammino.suor Eva Ndirangu, suor Anastasia Maina,suor Anissa Efrangi(nell'ordine della foto)<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 13


in camminoLa verità è che ci vuole coraggio eincoscienza a parlare di cambiamentoquando, ad esempio, le suore in Italiasono poco più di 750 costituite peri nove decimi da sorelle con più disessant'anni, e nei quattro Paesi messiinsieme (America del Sud, Europa,Africa, Asia), raggranelliamo meno didieci novizie.Però, se i dati sono quello che sono,da soli non dicono tutto. C’è la variantevangelo che molte volte abbiamo“lasciato al palo” degli Inizi della famigliareligiosa.Le partecipanti all’Assemblea hannoavuto modo di rivivere in proprio lafreschezza degli inizi con una suggestivaliturgia. Una sosta in preghierapresso il chiostro interno dell’ospedalemilitare, ex Casa degli Esposti, dovelavorava Elisabetta Vendramini comemaestra prima di passare, il 10 novembre1828, nella soffittasituata in via degliSbirri (attuale via E.Vendramini) perdar vita alla famigliaelisabettina.Si è rifatto ilpercorso dal exCasa degli Espostialla soffitta,luogo della fondazione.Le partecipantiall’Assembleauna volta in Casa Madresi sono unite alle altre sorelleconvenute da diverse parti di Padovaper ascoltare insieme la lettura delleMemorie della nascita della Famigliadopo aver portato all'altare un volumedel Diario di madre Elisabetta (nellefoto sopra; foto accanto: la trasmissionedella luce di madre Elisabetta).Il giorno seguente la liturgia eucaristica,presieduta da monsignorGiuseppe Padovan, nella chiesa delBeato Pellegrino alla presenza di moltesorelle convenute da diverse parti dellaregione, ha voluto essere il ricordoriconoscente per il bene che, in questoluogo, le elisabettine hanno fattoa persone di tutte le età, ammalate,abbandonate; si è pure ricordato l’impegnodella beata Elisabetta e di donLuigi Maran per riaprire al culto lachiesa del Beato Pellegrino, nel 1839.È stata una liturgia nella quale lachiesa di Padova riconosceva e ringraziavaDio per questi doni di caritàevangelica che furono Elisabetta Vendraminie don Luigi Maran (nelle fotoaccanto).L’Assemblea di governo ha avutoquindi momenti di respiro liturgicodenso di memoria fino ad una familiareconclusione dell’Assemblea nellasoffitta di fondazione dove, ricordandoi giorni vissuti insieme, ciascunapartecipante ha ricevuto come mandatouna “parola” di madre ElisabettaVendramini.Una giovane sorella inquesti giorni ha chiesto:quali strumenti,quale formazionepossono sviluppareun atteggiamentocriticoche favorisca unalettura, anchesapienziale, dellacomplessità dell’attualerealtà socialeculturale?La risposta potrebbeessere che anche questa stessaAssemblea è stata uno strumentoper il cambiamento, per non navigarea vista; un altro strumento sarà laformazione delle superiore (almenoalcune) come mediatrici qualificatedel cambiamento; l’assunzione di unostile di vita più sobrio che costruisca ilnoi fraterno e ci apra occhi e mani solidaliverso quelli che sono rimasti fuoridalla produzione e dal consumo.Quali altri strumenti?È troppo poco indicare il vangelo,i fondatori e la loro capacità di “visione”che intravedeva risposte concreteai bisogni del fratelli là dove altri nonvedevano nulla?Il progetto ce l’abbiamo: è il vangelo,sono le Costituzioni, ovvero è ilvangelo vissuto insieme.Quale il cammino? Ognuno dovràrischiare in proprio come scrive ilpoeta spagnolo Antonio Machado inun noto poema: Caminante, non haycamino se hace camino al andar 2 . 1Sacerdote diocesano, delegato vescovilee direttore della pastorale sociale e del lavoro- Padova.2Caminante, son tus huellas/el camino,y nada mas; /caminante, no hay camino, /sehace camino al andar. (Antonio Machado).Viaggiatore, /sono le tue orme/la strada,nient’altro; /Viaggiatore, /non esiste un sentiero,/la strada la fai tu andando. /Mentre vaisi fa la strada/e voltandoti/vedrai il sentieroche mai/più calpesterai. /Viaggiatore, /nonesiste una strada, /ma solo scie nel mare.in cammino16 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


alle fontiVERSO IL 2010Cantare con le sue paroleDal tesoro di famigliaalle fontidi Paola Cover stfeLa tradizione elisabettinaha attinto alle paroledi madre Elisabetta trasferendoin musica la sua spiritualità.Il rivolo ispiratore continua.Riprendendo la visita del “tesorodi famiglia”, passiamo dallaserie di canti che ci parlano diElisabetta Vendramini e che ci mettonoin relazione con lei, «donna fortenella fede», ad altre composizioni checi introducono alla profondità del suocuore innamorato di Dio, formato dalsuo amore, disponibile al soffio vivificantedello Spirito.Si tratta di canti che attingono allasua esperienza spirituale, alle sue stesseparole: alcuni ne esprimono i desideriche diventano preghiera, immergononella contemplazione, parlano dellasua comunione con Dio nel “già e nonancora”.Cuore abitato dall'amoreIl desiderio di Dio ha trovatoespressione poetica in passi del Diarioil cui testo è conosciuto tradizionalmentecome Comunione spirituale 1 :«Gustar più nulla io posso, non trovopiù diletto, mio Dio questo mio pettotu solo puoi bear. Ché tardi tu a venire?ansiosa è l’alma mia, per te sempreella sia, né d’altri mai sarà».L’anima, assetata di Dio, si percepisceda lui formata, chiede di essereda lui sostenuta e infiammata, vuoleappartenergli incondizionatamente edomanda solo amore: «Sia sempre perte viva tal dolce e cara fiamma, tepossa sempre amare, spirar d’accesoamor».In tempi più recenti l’immaginecara e ricorrente del fuoco, contenutain diversi altri passi, è divenuta composizionepoetica in Desiderio di Dio 2«Nel tempio del mio cuore si accendeil desiderio: è un fuoco generoso chesale fino a te».All’anelito del cuore, che bruciacome una fiamma, fa eco la percezionedella presenza di colui che è «felicità,pienezza e gaudio, mia sola eredità»:una presenza che arde, con la quale«parlare cuore a cuore nell’attesa» dellacomunione piena, una presenza dallaquale lasciarsi «consumare nella bramadi offrirsi per amore».Tempio della TrinitàL’adorazione di Elisabetta del misterodi Dio al quale desidera consegnarese stessa nella totalità della suapersona, con l’unico desiderio dellasua maggiore gloria, si rivela nellabellissima elevazione Alla SantissimaTrinità 3 : «Eccoti, o Dio, Uno e Trino,la mia anima e il mio corpo per la solatua maggiore gloria; adatta le forze alpatire o al godere destinatomi dallatua bontà».È l’incontro con il volto del Padreamantissimo, del Redentore amorosissimo,del Santo Spirito, maestrodolcissimo, quello di cui Elisabetta ciparla nel canto Benedicimi 4 . Sembranon bastino le parole e siano insufficientii superlativi per dire l’intensitàdi questo incontro che la spinge aconsegnare se stessa: «Benedicimi, conpienezza paterna, benedicimi, ch’io tiserva tutta la vita; e io muoia poi fra lebraccia tue, infinita Carità».Certamente in O profondo abisso 5«dell’eterno Vero, l’alto tuo misterovenera la fe’» la comunità elisabettinaha letto la spiritualità della Madrefacendo sue le parole di un canto deglianni Quaranta e si fa corale preghieraalla augusta Trinità: «O eterno Padre,increato Figlio, o divin Consiglio, unoe trino Amor», alla quale chiederedi aumentare le virtù della fede, dell’amore,della speranza.Abbracciata dal Padreaperta allo SpiritoDalle braccia del Padre, Amoreeterno 6 , la Beata chiede di essere tenutastretta per potersi sempre abbandonarea lui «tesoro che può colmare ognisua creatura», «tutto il mio bene».Riconoscendolo suo riposo, nellagioia come nel dolore, nella luce e nell’oscurità,esclama «Padre, non lasciarmimai! Padre, vivo solo per te!».Il suo cuore, che può saziarsi soloin Dio, si fa spazio per accogliere lapresenza dello Spirito: «Vieni a stabilirela tua dimora nel mio cuore, cheti consacro per sempre». Così nelle<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 17


GIOVANILE NEL GARDA BRESCIANOraccontato di un personaggio che, comeloro, questo muro se l’era creato?Questi ragazzi non aspettano forsesolo qualcuno che li aiuti in questa impresadi smantellamento? Si motiva forsecosì la loro presenza costante agli appuntamentidella missione? In molti ci hannoconfidato di essere stati colpiti dallaserata di testimonianze; parecchi anchei presenti all’apertura con il vescovo,altri hanno apprezzato particolarmentel’iniziativa di preghiera ed evangelizzazione“Una luce nella notte” a partiredall’incontro nelle piazze e lungo le vie,altri ancora hanno sempre assicurato laloro presenza alla preghiera del mattinoe alla raccolta di generi alimentari.Ma da dove viene esattamente ilsuccesso della missione ? Esiste un motivoper cui, al di là delle iniziative edel loro successo, ne è valsa la pena?Di sicuro mai un gruppo di missionaricosì diversificato e così numeroso (cinquantaquattro;nella foto accanto: nelprendere le consegne) è riuscito a volersibene come questi matti piombati sullariviera! E ciò è stato reso possibile dalmotivo per cui erano lì. Come Paolo,tutte le sue azioni gridavano: «Guai ame se non annunciassi il Vangelo!» (cfr.1Cor 9,16).E annunciare Cristo non è possibilesenza vivere di lui, senza nutrirsi dellasua Parola e del suo pane, senza essereimmagine di comunione.In questo sta il successo della missione:i missionari con coraggio hanno annunciatoe accostato i giovani e tremandodi commozione, hanno lasciato domenica20 settembre le sponde del lago.Noi comunità francescana elisabettinaresidente a Salò siamo rimaste a “continuare”la missione e a mantenere vivol’interrogativo «Chi sei, o Signore?».Terminata la missione riscopriamoquanto sia stato importante e positivoper noi tutte l’esserci messe in gioco.Alla nostra comunità si sono unitesuor Luciana Sattin e suor AnnamariaBerton. Con il passare dei giorni l’esperienzaè divenuta sempre più coinvolgentee ricca di incontri, di iniziative, dipreghiera comunitaria,di ascolti dellaParola,di momenti di festa e di giococon i giovani.Ripensando a quella settimana, nellanostra mente scorrono come immaginii momenti significativi di segni egesti. Il parroco, monsignor FrancescoAndreis, ha affermato che «affinché lamissione non finisca con la partenzadei missionari è importante che tuttinoi missionari e fedeli ritorniamo suqualche segno della missione per portarlonel nostro cammino di crescitacristiana.Il bastone, costruito con legno diulivo e donato al vescovo Luciano Monari(nella foto accanto) prima di avviarela Missione giovani e che lui ha moltoapprezzato, è il simbolo del cammino,faticoso e purificatore che ogni cristianodeve compiere: una provocazionepermanente a lasciare l’habitat sicuroper camminare sulla incertezza dellastrada.Un frustolo di pane avanzato restacome provocazione di fronte alle massetormentate dalla fame.La croce ci richiama la debolezzadel Figlio di Dio, la sua fragilità sopportataper procurarci fortezza.Le croci messe al collo dei missionaridal Vescovo, le spille all’occhiello deigiovani, dove spicca l’interrogativo disan Paolo, ci uniscono tutti attorno aGesù, al suo legno redentivo per diventaretutti profeti e apostoli, morti erisorti in lui.Restino nei nostri cuori non solo isegni – simbolo, ma soprattutto quantosignificano, perché stimolati da questispunti materiali possiamo tenderemaggiormente alle cose spirituali».Siamo grate al Signore che attraversoquesta esperienza ci ha fatto sentirela bellezza di essere Chiesa: la possibilitàdi lavorare con tante persone e realtàdiverse ci ha fatto vivere una profondacomunione pur nella diversità dei carismi.accanto a... giovani


VENTICINQUESIMO DI PROFESSIONEAncora e sempre sìGuidasti il tuo popolo...di Marilena Carraro stfeRisonanza della celebrazionedel venticinquesimodi professionereligiosa di suor MarilenaCarraro, suor Livia Fabris,suor Maria Rita Pavanello esuor Albina Zandonà, celebratoil 19 settembre <strong>2009</strong>,nella chiesa di san Giuseppe,in Casa Madre.A loro si sono unite conun messaggio fraterno ledue sorelle della stessaprofessione che lo hannocelebrato nei loro Paesi,suor Donatella Lessio aBetlemme, suor FrancescaViolato a Quito in Ecuador.«Lascerò per un giornola bici e mi fermerò a ringraziareil Signore…»: sonoqueste le parole con cui hoinvitato amici e parenti aringraziare con me il Signoreper i venticinque anni dellamia consacrazione a lui.Nei giorni immediatamenteprecedenti alla celebrazionedel grazie (era daventicinque anni che suorMaria Rita, suor Albina, suorLivia ed io ci preparavamo!)siamo state accompagnateda padre Gianni Cappelletto,francescano conventuale,e da suor Francapia Ceccottoa fare memoria dellanostra vita con il Signore e asognare ancora con lui.Padre Gianni ci ha aiutatoa leggere il salmo 77nella nostra vita.Il mio “rivivere dentro”venticinque anni di vitareligiosa è stato attrattodall’ultimo versetto di quelsalmo dove si dice «Guidasticome un gregge il tuopopolo».All’inizio della nostra vitadi consacrate ci era statodetto da padre RomanoCecolin, benedettino chesiamo la terra di Dio, cheapparteniamo a Dio, chesiamo fiore reciso per Dio,«messe da parte per Dio».Non nascondo che a voltemi sentivo “angosciata”, senon “disperata”, quasi traditada questo impegno cheDio si era preso verso di mee altrettante volte glielo horicordato.Mi era stato spiegatoanche che Dio aveva ascoltatoil grido degli Ebrei interra egiziana, erano il suopopolo: salvarli era questioneanche sua, personale,ne andava della sua gloria.Sentivo la forza di quel «tuappartieni a Dio», la tua vitanon gli è indifferente.Così dapprima, come ilsalmista, mi rigiravo nel letto,poi mi ricordavo che Diosi era impegnato con me,stava dalla mia parte… eserena mi addormentavo.Suor Francapia ci haaiutato a riflettere, rivolgendocialcune domande,Lasceròper un giornola bicie mi fermeròa ringraziareil Signoreper lachiamataa seguirlo,così comesono capace...Da sinistra: suor Livia, suor Maria Rita, suor Marilena, suor Albinanel momento della rinnovazione della consacrazione.riporto la prima: «Dove si ècostruita la mia identità diconsacrata?».Personalmente so cheesistono libri, anche grossi,sulla vita consacrata. Cisono articoli e intere rivistesul tema. Ma, ahimè, la miatesta è piccola, non so faregrandi riflessioni sul temadella identità. Mi basta ilsorriso sereno della sorellaanziana per capire di checosa si tratta, la disponibilità,l’attenzione agli altri,delle suore con cui vivo equelle con cui collaboro persentire che apparteniamo alSignore. Mi basta l’onestàdella vita, l’amore al prossimo,il rapporto sincero conil Signore per sentire che lastrada è giusta e sentirmiparte di questo mondo. Diciamoche vivo. Vivo senzaarrancare, ma respirando lavita che si muove dentro. Esono contenta.La basilica del Carminel’8 settembre 1984 eravestita a festa. Ricordo lepersone care, i fiori, i canti,la gioia. Ricordo anche ilmio cuore: gioia e trepidazionesi mescolavano. Cela farò, mi ripetevo, a vivereper il Signore sempre? Perla burocrazia ecclesiasticanon ero ancora suora persempre, avevo sei anni davantiper pensarci, ma nelmio cuore non era così:quel mio sì era sì, e basta.Nella mia testa non esistevala possibilità di tirarmiindietro. Ed ero felice diaver raggiunto quello cheper me era già un traguardodefinitivo di vita.Ricordo i voti perpetui,al Duomo. Ancora festa,ancora persone care, ancoragioia, canti e fiori.Allora il mio cuore ripeteva:«Abbracciami, o Signore,eternamente, stringimiforte, ormai lo puoifare, non ti dirò più “per unanno”. Ora mi puoi abbracciarecompletamente, mipuoi avvolgere tutta e persempre nel tuo amore».Venticinque anni dopola prima professione e diciannovedopo la professioneperpetua il desidero diringraziare il Signore vienespontaneo. Se contassi eguardassi le mie mancanze,le mie fragilità il mio contosarebbe in rosso, ma nonsono queste a fare la storia,la mia storia con il Signore.A far storia con lui sonola sua misericordia, la suabontà e grazia, la sua tenerezzae fedeltà.A far storia con il Signoresono l’incontro vivocon lui nella preghiera e lacontemplazione del bello,la sete di tutto ciò che ègiusto e buono.A far storia, a far venticinqueanni con Gesù è la suapresenza segreta nel cuoreche ad ogni occasione parla,sostiene e gli dà gioia.A far storia con lui sonole persone incontrate eamate in suo nome; a farstoria è anche una poverabici pedalata con amore.Facciamo festa, mio Signore.Danziamo, e l’abbracciosarà eterno. vita elisabettina<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 21


memoria e gratitudineA TRIESTE UNA FESTA DELLA COMUNITÀSemplicemente “Grazie!”Una celebrazione singolaredi Anita MonicostfeIl cinquantenario dellaCasa dei Bambini di Trieste:guardare un arco di storiarealizzata grazieall’apporto di ciascuno.Siete mai entrati nella Grotta Gigantea Trieste?Dall’alto sembra di vedere,di notte, una valle lontana. A manoa mano che si scendono i cinquecentogradini in un percorso a zig – zaglo spazio si amplifica e, raggiunto ilfondo, alzando lo sguardo, si ha la visioned’insieme di una creazione spettacolarerealizzata da dita misteriose,nel silenzio del tempo, della storia,all’insaputa di tutti coloro che ci camminavanosopra. Eppure, goccia dopogoccia, si è sedimentato un frammentodi mistero che, unendosi ai precedenti,ha preso forma, colore, solidità, leggerezza,preziosità.Dal cuore pulsante di vita dellaScuola Montessori “S. Giusto” in Trieste,ripercorrendo il sentiero lungocinquant’anni si ha la visione di unacreazione bella in cui ciascuno si è sentitoa casa. Non contiamo su millenni,ma il tempo di vita della scuola è sufficienteper toccare quel mistero che èl’uomo e il suo costruirsi lentamentein un ambiente, uno spazio, un tempoeducativo particolare.Il nostro fare memoria è stato cosìun conoscere, ricordare, seminaresperanza, guardare a questo arco distoria per vivere l’occasione celebrativacome “storia bella”, realizzatanel tempo grazie all’apporto di ciascuno:insegnanti, famiglie, alunni. Eper rendere grazie: un grazie espressoattraverso eventi, scanditi nell’arcodi dieci giorni, illuminato di tantepiccole luci che hanno permesso dicogliere quella visione d’insieme cheha lasciato in cuore nostalgia, gratitudine,voglia di rincontrarsi, magarianche solo attraverso Facebook 1 perchélontani.ItaliaUna storia con le immaginiGrazie all’allestimento di una mostra(nella foto della pagina accanto) 2 ,si sono ripercorsi anni di storia, diattività, di progetti, di aperture al territorio,di uscite didattiche, di realizzazioniimportanti, di vita, di personeche non ci sono più, di insegnanti, difamiglie, di ex alunni che nell’oggistorico ritornano con la gioia del ricordodi un luogo dove «non c’è mai statoposto per il vuoto interiore» e di anni «ipiù dolci della mia fanciullezza».La sera del 24 <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong> viviamocon stupore l’impossibilità di non riusciread inaugurare la mostra con i carismidella solennità, perché una folladi persone invade la sala prima dell’orastabilita. La presidente della Provincia,Maria Teresa Bassa Poropat, exmamma montessoriana, si guarda perplessaattorno e guarda l’orologio, manon si possono contenere il continuoafflusso, i saluti, le espressioni di gioianel ritrovarsi e rivedersi assieme aicompagni di un tempo su foto, pannelli,video, album, materiale reperitonell’archivio della scuola o portato dagliex alunni stessi.Nel bambino si costruisce l’uomo:appuntamento culturaleAl primo appuntamento ne seguonoaltri non meno significativi.Un incontro-dibattito 3 - il 26 otto-Suor Anita Monico, coordinatrice della scuola, introduce la tavola rotonda. Da sinistra: Michele Visentin, pedagogista, Rovigo; suor Luciana Sattin,una delle prime maestre, moderatrice; Giovanni Grube, psicologo, Trieste; Antonella Di Marco, psicologa scolastica e formatrice, Roma.22 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


e <strong>2009</strong> - ci aiuta a riflettere su chi siail Bambino, su cosa significhi educareoggi, ed educare ai valori umani, cristiani,socioculturali trasmessi ancheattraverso la metodologia montessoriana,certi che nel bambino «si costruiscel’uomo», secondo una felice espressionedi Maria Montessori. Usciamoportandoci in cuore vari stimoli utilialla delicata e non facile missione checi è affidata sia come insegnanti checome genitori.La Ballata del "Grazie"Questa ballata la dedico a te,viene dal fondo del cuoree se la canto è soltanto perchéc’è dentro un grazie per te.Grazie per ciò che ogni giorno mi dai,perché hai inventato l’amore,grazie di esistere, grazie perchéTu sei venuto per me.Se mi dimenticoche sei fantasticonon te la prendere mai,è distrazione, sai,superficialità,ma io lo so che ci sei.Tutto l’amore che sempre mi daiNon lo potrò ricambiare,ma so che certo felice saraise oggi io canto per te.Canto il mio grazie,il mio grazie perchéTu mi hai donato la vitaE se la vivo è soltanto perchéTu l’hai offerta per me.A me risuona nell’anima un interrogativo:«Dove sta la perfezione diDio?», nelle persone o nel modo in cuisi stabiliscono relazioni? Non è facileaiutare i nostri giovani studenti a lasciarsitoccare, modificare, reagire positivamentedi fronte alla realtà odiernacon le sue proposte spesso svianti.La celebrazionedel grande grazieIl 30 <strong>ottobre</strong>, nella cattedrale di S.Giusto, viene celebrata la santa messadi ringraziamento. Presiede mons. EugenioRavignani, vescovo emerito, econcelebrano altri sette sacerdoti di cuiuno ex-alunno. Sono con noi anche lasuperiora generale, madre MargheritaPrado e rappresentanti dei Consigligenerale e provinciale e altre sorelleelisabettine.La cattedrale è affollata; cantanogli alunni e una ex-alunna, ora soprano.C’è partecipazione, commozione,vivo ascolto delle parole del vescovoche si rivolge alle suore elisabettine,alle famiglie, agli ex alunni e agli alun-ni di oggi, definendosi loro amico: «Unamico non tace agli amici quello chedice a Gesù nella preghiera. E allora vidico quello che chiedo per voi: che ilvostro volto sia sempre illuminato dalsorriso della bontà; che nel vostro cuorecresca sempre il fiore dell’amicizia;che a scuola possiate imparare semprecose nuove e belle; che possiate gioireperché sono davvero tanti coloro che vivogliono bene».Poi richiamando il testo biblico,scelto per la celebrazione dal profetaIsaia, riprende il dovere del ricordonella gratitudine: «Oggi noi ricordiamoper ringraziare. E mentre si affollano iricordi forse, anche nelle suore e in noitutti, affiora lo stupore per lo sviluppoche questa scuola ha avuto nei suoiprimi cinquant’anni e per il favore cheha incontrato nella città».Conclude la sua omelia augurando,con le parole dell’evangelista Giovanni,che la sua gioia «dimori in voi ela vostra gioia sia piena».Vengono portati all’altare (nellafoto in basso) il pane e il vino, la luce,i fiori, parte del materiale montessorianoe un’offerta per i bambinidi Iriamurai (missione della diocesitergestina in Kenya); una delle primealunne del 1959 con i più giovani alunnidi questo <strong>2009</strong> consegnano il librocelebrativo dei cinquant’anni di storiadella Scuola.Il momento che segue è davverogioioso: un grande rinfresco allestitosplendidamente presso l’oratorio deimemoria e gratitudineBallata di Piero Poleggi,proposta dagli alunni al terminedella messa di ringraziamento.<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 23


memoria e gratitudineItaliapadri Cappuccini da una sorella elisabettinae un gruppo di genitori.All’arrivo della spettacolare e immensatorta, da immortalare per la suabellezza e far sparire per la sua bontà,non mancano le espressioni augurali eil brindisi di rito.La “notte delle lanterne”L’ultimo dei nostri appuntamentiatteso da tanti per il suo suggestivonome “notte delle lanterne” rischia diessere travolto dalla pioggia e quindidi non potersi realizzare. Una lungastoria di ricerche, pareri contrari e afavore tra la capitaneria di porto, i vigiliurbani, l’aeroporto e altri enti sullapossibilità o meno di far salire in cielocinquanta lanterne di fuoco ci ha fattoscegliere una strada meno accidentata:costruire una lanterna per ogni bambinoe nella serata del giubileo dellascuola, 3 novembre <strong>2009</strong>, in piazzaUnità d’Italia, dopo aver compostoil numero cinquanta con bambini elanterne, cantati gli auguri, lanciarecinquanta palloncini, muniti di luciLa comunità del “San Giusto” durantela celebrazione eucaristica in cattedrale.chimiche e i nomi di tutti gli alunni.Non avevamo fatto i conti con labora e il freddo. Ma il tempaccio nonci ha scoraggiato: puntuali, alunni, exalunni, famiglie, imbacuccati come inpieno inverno, accolti dagli ultimi pezzisuonati dalla fanfara dei bersaglieri,ci siamo trovati in piazza a lottare controla bora che ostacolava l’accensionedelle lanterne. Solleciti sì, ma entusia-3 novembre <strong>2009</strong>: in piazza Unità d'Italia,in attesa di far partire i palloncini illuminati,sfidando freddo e bora.Casa dei bambini “San Giusto” - Trieste 4Gli iniziidea di istituire a Trieste unaL’ scuola organizzata secondo ilmetodo “Montessori” ebbe originenell’inverno del 1951, quandoun gruppo di medici del localeOspedale Maggiore suggerironoa suor Leonilda Ferino, superioradella comunità ospedaliera, diproporre alla superiora generaleCostanzina Milani, nona superioragenerale, di dare vita a Trieste auna scuola materna rivolta primariamenteai figli dei dipendentidell’ospedale.Ricevuto il consenso necessario,suor Leonilda cominciò a cercaregli spazi e i contributi necessariper la nuova opera, sostenuta inparticolare da monsignor AlfredoBottizer, cappellano del portoe direttore dei Catholic reliefservices della National welfareconference a Trieste (la Caritasdel Governo militare alleato).Dopo varie ricerche e proposte,nel 1955 si aprì l’opportunitàdi insediarsi nella sede dellePiccole Sorelle dell’Assunzione,una congregazione francese cheprestava assistenza domiciliare aipoveri e ai malati del rione diScorcola.Nel 1956, ricevuto il nullaosta dal vescovo monsignorSantin 5 di acquistare lo stabiledi via monte San Gabriele, e,raccolti i fondi necessari peraprirvi un asilo infantile, grazieanche all’interessamento diGiovanni Palamara, commissariogovernativo, il 13 luglio 1957 fuposta la prima pietra, benedettadal gesuita padre Luigi Santi,parroco della parrocchia del“Sacro Cuore di Gesù”.Dopo alterne vicende che videroanche profilarsi lo svanire delprogetto, la costruzione dellostabile poté essere portata atermine e il 3 novembre 1959,festa di san Giusto, patrono diTrieste, fu inaugurata la Casa deiBambini “San Giusto”.La scuola aprì con tre sezioni discuola materna; poi, tra il 1960e il 1962, le suore elisabettinechiesero ed ottennero il permessoad aprire la prima, la seconda epoi la terza elementare. L’interociclo poté essere completato nel1965.La prima comunità era costituitada suor Cristiadina Longhini,superiora, suor FrancescaMandruzzato, suor PaolafrancescaMoro e suor Anelda Biasion. Aqueste sorelle, seguirono moltealtre che con grande passione esensibilità educativa seguirono ilmonito di madre Elisabetta: «lamesse nostra è di istruire e cavaranime dal fango».24 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


sti come sanno esserlo i bambini, dopoil conto alla rovescia dal cinquanta allozero, abbiamo lasciato andare i palloncinibianchi che nel buio della notte,liberi, sono letteralmente spariti nelcielo portati dalla bora, eccetto quelliche alcuni piccoli non hanno volutocedere al vento.Che dire al termine di tutto?Semplicemente grazie per la retedi solidarietà, di aiuto, di gioioso impegnoche ha permesso di esprimereciò che mai avremmo pensato possibile.1Facebook è una piattaforma sociale checonsente di connettersi via internet con amicie collaboratori.2La mostra è stata realizzata grazie all’assiduoe paziente impegno di alcune mamme,che l’hanno allestita presso la luminosa e ariosasala del Giubileo, concessa per l’occasione dallaFondazione Cassa di Risparmio di Trieste. Alladata di chiusura della mostra si sono contati piùdi mille visitatori.3L’incontro-dibattito si è tenuto pressol’aula magna del seminario vescovile di Trieste;sono intervenuti Giovanni Grube, psicologo- Trieste, Michele Visentin, pedagogista - Rovigo,Antonella Di Marco, psicologa scolasticae formatrice in corsi di organizzati dall’OperaNazionale Montessori - Roma. L’incontro èstato moderato da suor Luciana Sattin, unadelle prime maestre alla scuola Montessori- Aviano (PN).4Le informazioni storiche sono tratte da:MICHELE SCOZZAI, La storia in Perché in luisi costruisce l’uomo. Cinquant’anni di storia estorie della Casa dei Bambini Montessori “SanGiusto” di Trieste, Pordenone <strong>2009</strong>.5Vescovo di Trieste dal 16 maggio 1938 al28 giugno 1975.FESTA AL LIDO DI VENEZIAMemoria e benedizioneUna comunità accantoe fra la gentea cura di Giannoemi FaverostfeCelebrati ottant'anni dell'aperturadella comunità al Lido di Venezia,una comunità che nel tempo harisposto in modo creativo alledomande del terrorio.La comunità elisabettina, unitaalla comunità parrocchiale, hafesteggiato gli ottant’anni di presenzanella parrocchia S. Antonio alLido di Venezia.La memoria ha avuto due significativimomenti di celebrazione.Il 28 <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong> suor FrancapiaCeccotto ci ha fatto dono di una riccarelazione per far conoscere la spiritualitàe il carisma della beata MadreElisabetta e gli inizi dell’opera. I parrocchianiconvenuti hanno partecipatocon vivo interesse, dimostrato duranteil dibattito vivace e caloroso.Nel contempo abbiamo allestitouna mostra fotografica attraverso laquale abbiamo fatto memoria dei nonfacili momenti di avvio dell’opera; ènoto infatti come la situazione sociosanitariadell’epoca fosse ben diversadalla attuale. Le prime suore, consapevolidella loro missione, si sono messesubito all’opera: spronate dall’esempiodella madre Fondatrice si sono, primadi tutto, dedicate a lenire le sofferenzedei poveri.Con la collaborazione attiva delparroco, don Giovanni Moro, hannoaperto la casa per accogliere i bambinidella scuola materna, elementare,scuola di lavoro; si sono adoperateper la catechesi e per l’animazioneliturgica.Il secondo momento celebrativo èstata l’eucaristia, il 30 <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong>,presieduta dal vicario episcopale per lavita consacrata, monsignor GiacomoMarchesan, e concelebrata dal parroco,don Luigi Vitturi, e da numerosisacerdoti e religiosi della comunitàpastorale.Alla celebrazione, animata dal coroparrocchiale, oltre a molti parrocchianie alle suore della comunità residentesi sono aggiunte alcune suore che sonostate presenti al Lido nel corso deglianni, suor Lucia Meschi, vicaria generale,e suor Enrica Martello, consiglieraprovinciale, a rappresentare l’interafamiglia elisabettina.Un momento conviviale di festa edi cordiale, affettuoso incontro con lesuore, i sacerdoti e la gente del luogoha concluso il rendimento di grazie alSignore per le sue meraviglie.Il saluto del Parroco in aperturadella celebrazione eucaristica e l’omeliadi monsignor Marchesan inquadranoin modo efficace questa ricorrenzache di proposito, nella scelta delle date,è stata fatta coincidere con la festa delladedicazione dell’altare della chiesaparrocchiale: pietra e persone, altare esuore, sono alcuni dei mezzi attraversoi quali il vangelo si è diffuso e la curadel Signore per l’uomo si è mostrata inquesta striscia di terra che è il Lido.Alcuni stralci dagli interventiDal saluto del parroco don LuigiVitturi«Quello che stiamo vivendo questasera è certamente un momento di grazia,un dono che la bontà del Signoreoffre alla vita della nostra comunità.Festeggiare un anniversario significamemoria e gratitudine<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 25


memoria e gratitudineItaliafare memoria di una storia vissuta. Unastoria che ha le sue radici nel passato,che vive il presente e che è proiettatain avanti.È nel <strong>dicembre</strong> del 1929 che le primesuore elisabettine arrivano al Lido e sistabiliscono qui in parrocchia, aprendosubito la loro casa per accogliere ibambini e i ragazzi del territorio: primala scuola materna, poi il patronatofemminile, la scuola di taglio, cucitoe confezione di maglieria e ricamo, lascuola elementare e il doposcuola, l’orfanotrofio…tutto fino al 1983. Poi, irestauri delle due case, le due comunitàuna per casa, la fusione in un’unicacomunità, pochi anni fa, appena dopol’ultima visita pastorale.Oggi le suore dedicano gran parte delloro tempo alla preghiera comunitaria eindividuale. Partecipano attivamentealla vita della chiesa, anche alla “nuova”comunità pastorale. Sono inserite inparrocchia, chi nella catechesi, chi neigruppi di ascolto, chi nella visita agliammalati, sempre aperte e disponibiliad accogliere chiunque abbia bisogno diaiuto, anche solo per un’iniezione o unasemplice parola buona, pronte a offrirei loro spazi per le esigenze e le attivitàpastorali della parrocchia. Tutte offronola loro preghiera per il bene di tutti.Questa celebrazione è l’occasione cheabbiamo voluto cogliere per ringraziaredi cuore tutte: quelle che sono passatein queste due case, da quelle salite nellagloria del Padre a quelle che oggi sonopresenti in mezzo a noi. Insieme a lorochiediamo al Signore la fedeltà al carismache hanno ricevuto e la certezza dipoter trovare sempre, così come avvieneoggi, le porte aperte. Grazie! »Le partecipanti, al termine della celebrazione eucaristica del 30 <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong>. Al centromonsignor Giacomo Marchesan. Il parroco, don Luigi Vitturi, è il secondo da sinistra.E monsignor Giacomo MarchesanHo appreso dalla storia delle suoreelisabettine che don Giovanni Moro,colui che ha avviato i primi passi di questacomunità, cinquant’anni dopo (nelgiugno 1984) scriveva a suor AnnagiuliaMiori, anche lei elisabettina e nativadel Lido: “Città Giardino del Lidonel 1929 non era proprio un giardino,ma poteva definirsi terra di missione,quartiere popolare ricco solo di famigliepovere, cariche di figli e del tutto privedi adeguata assistenza”.Con l’arrivo delle suore elisabettineapprodò lo spirito della vostra Fondatricee subito sbocciò una vera fiorituradi spiritualità […]. In partenza l’insediamentoreligioso era una baracca dilegno e poi via via tutto si è evoluto inmeglio.Da quel lontano 1929 quante cosesono cambiate! Ora veramente CittàGiardino, non solo dal punto di vistaturistico, ma in modo particolare comecomunità parrocchiale, è cresciuta moltissimo.… Abbiamo ascoltato il profeta Isaiache ci ha assicurato che quanti osservanoil diritto e la giustizia il Signore li condurrànel suo monte santo e li colmerà digioia nella sua casa di preghiera.Tutto questo lo si può identificarecon la clemenza del Signore e la rispostadella creatura che viene a fareesperienza dell’amore del Signore. Eccola consacrazione! Certamente questaconsacrazione non è fine a se stessa maper la missione.Questa esperienza della gioia, comeabbiamo ripetuto più volte tra i versettidel salmo, ci è donata per comunicarlaai fratelli.L’esperienza dell’amore, vivere epraticare la misericordia del Padre,carisma delle elisabettine, è la missionedi questa consacrazione per condividerecon i fratelli le gioie della famiglia deifigli di Dio.La scelta del brano di Zaccheo misembra possa dare luce per capire e giustificarequesta vita di consacrazione.Zaccheo non è altro che il fratello checerca Gesù, ma è compromesso con altriinteressi come pubblicano; è uomo riccodi sicurezze, ma solo umane e materiali,e facilmente tocca con mano il vuoto;è un uomo piccolo, cioè scoraggiato eimpotente di fronte ai tanti problemidella vita.Le suore elisabettine sono chiamate apresentare a tutti l’amore misericordiosodel Padre con l’esempio e la parola. Comegarantire questa fedeltà alla propriavocazione per poter dare e dare sempre?Ecco l’altare, l’eucaristia, la messa.Vogliamo ringraziare il Signore perquesto dono: lo conservi perché possamantenere la generosità e il fervore peressere anche nella comunità pastoraledel Lido sale e luce.26<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


memoria e gratitudineItaliarona di Ungheria. Il 4 novembre 1918fu occupata dalle truppe italiane, chene rivendicarono il possesso; riconosciutaufficialmente all’Italia nel 1924- e capoluogo della Provincia italianadel Quarnaro - dopo la seconda guerramondiale, il 10 febbraio 1947, fu cedutaalla Jugoslavia.Una difficile letturadei segni dei tempiLa documentazione reperibile ciconsente di rileggere oggi i fatti diallora che qui rivisitiamo. Al tempodella occupazione italiana esistevain Fiume una istituzione caritativadenominata “Opere Pie di Fiume”:Ospedale, Casa di Ricovero, OspizioInfantile. Nel 1920, quando Fiumefu proclamata “città libera”, le suorecroate che dedicavano la loro opera infavore degli assistiti, furono costrette alasciare la istituzione e a rimpatriare.L’allora Amministratore apostolico,monsignor Celso Costantini 5 , si rivolsesubito alle suore elisabettine perchéle sostituissero: la richiesta ebbe risonanzapositiva. Le ripetute istanze delVescovo e dell’Ispettore delle “OperePie” incontrarono la volontà di adesionedella Congregazione, non privaperò di incertezza e di perplessità difronte alle difficoltà che si profilavano.Nove suore, per di più qualificate,dove trovarle? La situazione politicanon garantiva sufficientemente unapresenza serena: troppo imprudentemandarvi le suore? Dopo fitto scambioepistolare e qualche sopralluogo, il30 aprile 1921 si risponde decisamentedi no. Motivi addotti: la mancanza disuore preparate e, soprattutto, i ripetutisconvolgimenti politici.Sedici anni dopo…28 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>Assistere il malato e formareal servizio al malatoConvenzionata con l’ospedale civile,la Congregazione delle <strong>Suore</strong> di Caritàdi San Vincenzo de’ Paoli è presenteda circa un secolo nell’ospedale conuna comunità di suore dedite al serviziodi assistenza agli ammalati dellaProvincia religiosa italiana di Fiume.L’ospedale civile di Fiume aprenel mese di <strong>ottobre</strong> una scuola convittoper infermiere professionali conlo scopo di offrire la possibilità, allesuore che vi lavoravano, di avere lanecessaria preparazione. Sono dellostesso anno alcune norme della SantaSede per le Congregazioni dedite all’attivitàinfermieristica negli ospedali:Roma dà indicazioni, tra l’altro, affinchéle Scuole convitto siano dirette dareligiose, per evitare che la formazioneprofessionale delle suore infermiererestasse in mano a persone di dubbiagaranzia quanto a principi etici.Non essendo le suore di San Vincenzonelle condizioni di assumerela direzione della scuola, il direttoredell’ospedale è orientato ad affidarla apersona laica. Solo la ferma insistenzadi monsignor Antonio Santin, alloravescovo di Fiume 6 , valse a convincerlodi chiedere alle suore elisabettine unareligiosa idonea al compito, che sapesseconiugare autorevolezza e capacitàdi collaborazione con le suore presentinelle corsie dell’ospedale 7 .La risposta non fu facile né immediata.Si trattava anche, tra l’altro,di concedere alla suora prescelta diuscire dalla propria comunità, cosanon prevista dalle costituzioni nédalla prassi. Si rese necessarioil ricorso alla Santa Sede chesubito rilasciò la necessariaautorizzazione.Vi fu destinata suor TeodorinaTamantini (nella foto),donna professionalmentepreparata, di larghe vedute,di buona capacità organizzativae, soprattutto, di serie motivazionireligiose e di profondosenso di appartenenza allafamiglia elisabettina. Conlei fu inviata come allievadella scuola convitto la giovaneneoprofessa suor AnnapaolaAldighieri (nella foto).Il Vescovo valutò la decisionerivelatrice di «comprensioneintelligente, disinteressata, dovuta achiari motivi di fede e di carità» eringraziò «dal profondo del cuore peril favore fatto alle suore di carità, all’ospedale,alla sua diocesi» 8 .La Superiora provinciale delle stesse<strong>Suore</strong> di Carità così scrive: «Ringraziocommossa per la religiosa caritàche ebbe cedendo per qualche temposuor Teodorina. La stessa è per noi unbel dono della carità francescana. SuorTeodorina ci viene incontro in tuttoseguendo la parola d’ordine del S. Padree le sue sapienti precisazioni» 9 .La piccola pianta cresceL’anno successivo la scuola - perpoter funzionare - esige la presenzadi infermiere con titolo regolare di caposalacui affidare il compito specificodi istruttrici delle allieve: le suore diCarità che provengono dalla scuolaper infermiere di Zagabria non lo possiedono.Il Consiglio di Amministrazioneè deciso di assumere infermierelaiche qualora non trovasse nella congregazioneelisabettina suore adatteallo scopo.La richiesta di altre quattro suorecaposala che «con la Direttrice desseroun indirizzo organico ed unitario alservizio assistenziale e di istruzionedelle allieve» 10 , la persistente insistenzadel Vescovo che chiede di «fareun nuovo sacrificio», e la perspicaciadi suor Teodorina- che riuscì a fare in modoche bastassero soltanto duecaposala - colpirono il Consigliogenerale, che accettò.La scelta cadde su suor FloridaDe Biasi e suor LiberataMarangone, ambedue abilitatea funzioni direttive.La scuola funzionò con vivoapprezzamento da partedei preposti dell’ospedale edell’autorità ecclesiastica. Equando, alla fine del triennioprevisto, le suore avrebberodovuto ritirarsi, ciò nonavvenne. L’ospedale aumentòil numero del personale in organicoai reparti scuola: erano necessarie


quattro infermiere diplomate, cosa chele suore di San Vincenzo non potevanogarantire.La richiesta formale da parte delladirezione dell’ospedale e il conseguenteinserimento di suore infermiere nellascuola convitto, creò qualche difficoltàdi rapporto tra suore delle due Congregazioni.La presenza elisabettinasi profilava sempre più consistente,quasi destinata ad estendersi, un po’alla volta, a tutto l’ospedale.Prevalse la volontà decisa di studiareinsieme con la Direzione un“modus vivendi” che garantisse laconvivenza collaborativa a soddisfazionedi entrambi le parti.È dell’8 novembre 1940 la richiestadi quattro suore diplomate. Il continuoaffluire all’ospedale di militari malatio feriti, a causa della guerra, rese necessariala richiesta di altre suore.Per poter rispondere alla crescentedomanda di accoglienza, la scuolaconvitto venne trasferita di sede nellavicina Abbazia, dove già era stato trasferitol’ospedale da Campo 56.Missione interrotttaCessata la guerra, la scuola ritornòal “Santo Spirito”; le condizioni postedall’Amministrazione, anche permotivi politici, dissuasero le elisabettinedal restare a Fiume. Esortate dalVescovo a rimanere finché fosse statoloro possibile, le suore resistettero.Malgrado ostacoli di ogni genere, illoro fu un servizio apprezzato.Nel giugno 1945 la Vicaria generalechiese formalmente al Comitatodi Liberazione di Fiume il rimpatriodelle sedici suore presenti al “SantoSpirito”. Lo lasciarono nel <strong>dicembre</strong>1945, a malincuore. Suor TeodorinaTamantini, protagonista principale, almomento del rimpatrio, scrisse cometestimonianza:«Nel momento della mia partenzada Fiume, partenza motivata da ragionicontingenti, dichiaro che nonappena le condizioni della città, e soprattuttodell’Ospedale, renderannopossibile nuovamente lo svolgimentodella mia opera alle condizioni ben notesia alla Direzione Sanitaria, sia allaDirezione Amministrativa, di esserepronta a riprendere la mia funzione diDirettrice della scuola convitto.Fiume, 13 <strong>dicembre</strong> 1945».Negli ospedali militari(1940-1945)Oltre al servizio svolto dalle suoreelisabettine in favore dei soldati negliospedali generali di zona durante laseconda guerra mondiale, ricordiamoqui la loro presenza nelle struttureprovvisorie sorte allo scopo di accoglierei feriti reduci dal fronte.Nella Regione giuliana due furonogli ospedali militari nei quali le suoreprestarono la loro opera caritativa infavore dei feriti:Ospedale militare “Savoia” a Fiume.Ospedale militare di riserva “SeminarioMinore” a Gorizia.Ospedale militare “Savoia”a Fiume (1941-1943)Notificando a monsignor Ugo Camozzo,vescovo di Fiume 11 , la richiestadi dodici suore da parte dell’ospedalemilitare “Savoia” di quella città, la superioragenerale, madre Agnese Noro,ne adduce la motivazione: «Ho trovatoopportuno accettare la richiesta, affinchéanche le mie suore possano collaborarecon la loro assistenza al bene deipoveri soldati, ammalati e feriti».Il richiedente, Ten. Colonnellomedico, dott. Michele Vecchi, specificache trattandosi di ospedale direcentissima istituzione, necessita dipersonale, almeno in parte, pratico nelservizio infermieristico specifico, diuna suora esperta di sala operatoria, dialtre due che abbiano già espletato lemansioni di cucina e di dispensa negliospedali militari.Anche se dai dati d’archivio risultano,nel 1941, ben cinquantaquattroprofessioni religiose, tuttavia sorprendeil fatto che all’ospedale siano destinatedodici suore: non sono poche,soprattutto se si pensa alle quindici giàpresenti a Gorizia; sono numeri chedicono il coraggio e la disponibilità,caratteristiche della famiglia elisabettinafin dalle sue origini.Le suore giungono a Fiume versofine settembre 1941 e sono accolteall’ospedale da campo 56 “Savoia” cheha sede ad Abbazia, località in periferiadi Fiume. Assumono il servizioospedaliero il 1° <strong>ottobre</strong>. Il rapportodi lavoro è regolato da una convenzioneredatta sulla base di una Istruzioneministeriale per l’assunzione dellereligiose negli stabilimenti sanitarimilitari. Prestano la loro opera caritativaper due anni. Gli sconvolgimentidell’8 settembre 1943 determinano lacessazione dell’attività all’ospedale daCampo 56.Il 24 <strong>ottobre</strong> 1943 la Superioragenerale comunicando al Vescovo diFiume l’avvenuto rientro delle suore,afferma che «se fosse terminata laguerra non vi sarebbe rincrescimentoper la chiusura di quel luogo di dolore,ma dato che le ostilità perdurano,dispiace aver lasciato un tale campo diapostolato».Riportiamo la significativa testimonianzadel tenente, don GiovanniPadovese, cappellano militare, in unalettera alla Superiora generale 12 .Fiume - Ospedale militare “Savoia”.«Quando giungeranno le suore?»chiedono tutti e sempre i degenti diquesto grande ospedale di Armata. Èvenuto il giorno in cui per la prima voltasono passate con tenue fruscio lungo lecorsie di questa caserma che da temposi va attrezzando in modo sorprendenteper tutti i servizi sanitari. Esse sonogiunte come visibile raggio di carità,mentre i soldati fissavano lo sguardo nelmemoria e gratitudine<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 29


memoria e gratitudineCrocifisso che portano in cuore. “Sia lodatoGesù Cristo”. Il Cappellano portòa nome di tutti l’augurio di benvenutee il desiderio di una preghiera per lefamiglie lontane.Ormai ognuna è al suo posto dilavoro e dona di se stessa quella caritàche attinse da lunga preparazione a vitainteriore, quello sguardo che su ogni formadi dolore fa presente il sorriso dellapresenza di Dio nei sofferenti: “Eroinfermo e mi avete visitato”.Nella loro cronaca che vogliono, evorranno, sempre modesta, tutto è sempliceo, meglio, tutto avviene e succedecon semplicità, anche se persone ed avvenimentiriveriscono la loro spiritualematernità.Ten. Don Giovanni Padovese,cappellano militare.Ospedale militare di riservaa Gorizia (1940-1945)Le suore elisabettine presenti aGorizia fin dal 1932 presso il seminarioteologico espletando i servizi di cucina,dispensa, guardaroba, lavanderia,furono richieste per gli stessi servizianche nel seminario minore dove entrarono,in numero di quattro, nel 1936.Nell’estate 1940 il locale venneadibito a ospedale militare di riserva ecome tale venne occupato dai militari.Il seminario, trasferito a Udine, dovettelicenziare i propri dipendenti, tra iquali, le suore.L’occasione fu vista favorevolmentedalla famiglia elisabettina chedichiarò la propria disponibilità all’assistenzadei feriti nell’ospedale. Oltrealle quattro già presenti, furono richiestesubito altre cinque suore, numeroche andrà via via aumentando fino aquindici nel maggio 1942.Per tutto il periodo della guerraresteranno sulla breccia, «animate davero spirito di sacrificio, da grande zeloe da vera carità cristiana», per cui l’operaloro, «superiore ad ogni elogio», afavore di «tutti indistintamente gli ammalati»,fu altamente apprezzata daglistessi, dai sanitari, dalla Direzione.Cessata la guerra, nel luglio 1945intuendo la difficoltà a rimanere «perle difficili situazioni politiche» le elisabettinerientrarono nella Casa Madre,rinunciando anche ad un possibilereinserimento al seminario minore cheriapriva i battenti in una situazionenon priva di incertezze.Ci piace segnalare come tetsimonianzadello stile elisabettino espressonell'ospedale militare la lettera delcappellano militare alla Superiora generale13 .Gorizia, 27 gennaio 1941.Il giorno 24 gennaio mattina venivanoricoverati in questo ospedalemilitare di riserva “Seminario minore”novantasei uomini di truppa provenientidal fronte greco-albanese. La preparazionedelle corsie fu accuratissima eperfetta sotto ogni riguardo e l’accoglienzaveramente commovente da partedi tutti, ma soprattutto da parte dellevostre religiose. Ho potuto constatareche tutte le elisabettine si sono spese intutti i modi senza badare né alla fatica,né al bisogno di riposo dei loro corpi purdi accogliere con amore più che maternoquesti veri combattenti della Patriaamata. Aggiustarli nei letti, farli cambiaredei loro indumenti, fasciare le loroferite, portare i rimedi più urgenti conun sorriso appena velato dalla mestizia,per tante sofferenze che trasparivanodai volti dei ricoverati, e soprattutto almomento propizio sussurrare la paroladella Fede e della Carità cristiana agliorecchi dei pazienti, fu il nobile e santocompito di tutta la giornata e di buonaparte della notte delle vostre suore. Gesùche ha tanto amato gli infermi e che haplasmato i cuori delle vostre religiose adonarsi senza riserva e senza misuraper l’assistenza agli ammalati ed aiferiti, ne sia ringraziato e glorificato.Una nuova pagina di carità che ha icontrassegni dell’eroismo, e che non ècarità semplicemente umana, ma celeste,poiché prende le sue risorse in Diostesso, viene scritta in questi giorni dalle<strong>Elisabettine</strong> dell’ospedale militare diriserva “Seminario Minore” di Gorizia.Dico in questi giorni poiché il sacrificiocontinua e continuerà fino a quando loItaliarichiederà l’assistenza a questi reducidai campi di battaglia. Domenica 26gennaio per suggerimento delle vostresuore la maggior parte dei ricoveratisi è accostata alla S. Comunione, concirca due terzi dei nuovi arrivati, perringraziare il Signore dello scampatopericolo. Circa 45 S. Comunioni sonostate distribuite nelle corsie. Del beneche è stato fatto e che si fa dalle <strong>Elisabettine</strong>,del bene che viene fatto daisoldati ne vada tutta la gloria al Cuoremisericordiosissimo di Gesù!Vi ossequia rispettosamenteil Cappellano Militare.La pagina della carità che dal1889 14 ad oggi, nella regione giuliana,la famiglia elisabettina ha affidato allastoria non è completa: la storia continuain una missione che si incarnanelle realtà più diversificate della cittàdi Trieste.Vecchie e nuove povertà intreccianole loro richieste, interpellano ancheoggi a scrutare nei segni dei tempi il“chi”, il “come”, il “dove”, per continuaread essere accanto all’uomo con ilcuore di Dio.1Dalla lettera di ringraziamento di G. Ceconia madre Adelina Pagnacco, Agep, Cartellaospedali Ceconi.2Così venivano chiamate le suore elisabettineallora.3Dalla lettera di richiesta, Agep.4Agep, Cartella ospedali Redlich e Berger- Tolmino.5Amministratore apostolico dal 30 aprile1920 al 21 luglio 1921.6Vescovo di Fiume dal 10 agosto 1933 al16 maggio 1938.7Cfr. lettera di richiesta alla superioragenerale madre Agnese Noro, 1 <strong>ottobre</strong> 1937,Agep, cartella ospedale S. Spirito - Fiume.8Lettera 28 <strong>ottobre</strong> 1937, ibidem.9Lettera 10 novembre 1937, ibidem.10Lettera di richiesta alla Superiora generale,13 agosto 1938, ibidem.11Vescovo di Fiume dal 17 agosto 1938 a13 giugno 1948.12Agep, cartella ospedale militare “Savoia”- Fiume.13Agep, cartella ospedale militare di riserva“Seminario minore”- Gorizia.14Un errata corrige: la data di apertura delconvitto parentino è del gennaio 1889 e non del1888 come affermato nel numero precedente apagina 31.memoria e gratitudine30 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


ALLA TUA LUCE VEDIAMO LA LUCEdi Sandrina Codebò stfesuor Ermellina Zanonnata a San Giorgio in Bosco (PD)il 30 gennaio 1925morta a Taggì di Villafrancail 17 settembre <strong>2009</strong>Anna Maria Zanon, suorErmellina, nacque a SanGiorgio in Bosco (PD) il 30gennaio 1925 in una famigliache la educò alla fedee al dono di sé, mettendocosì le premesse indispensabiliper una scelta di vitadi speciale consacrazioneal Signore. Nel giorno dellaBeata Vergine del Rosariodel 1946 lasciò la casa paternae raggiunse la CasaMadre delle suore francescaneelisabettine in Padovaper iniziare l’iter formativoe di discernimentovocazionale che conclusecon la prima professionereligiosa il 2 maggio 1949.La sorella gemella Alessandra,suor Rosarpalice,l’avrebbe seguita lasciandoa sua volta San Giorgioin Bosco il giorno dell’Annunciazionedel 1948. SuorErmellina, dopo un primoperiodo in cui si sperimentòcome assistente educatricenel Preventorio “Raggiodi Sole” di Barbarano (VI),iniziò la lunga esperienzadi insegnante nella scuolamaterna e di presenza attivanella vita di diverse parrocchie:Poiana Maggiore(VI), Chiesanuova - Padova,S. Colombano (FI), SanGiorgio - Pordenone, Asolo(TV), S. Vito di Bassanoe Orgiano (VI), Fossalta diTrebaseleghe (PD), Bassanodel Grappa e Galzignano(VI), Lissaro e S. Ignazioin Padova. Una esperienzavaria e arricchente quella disuor Ermellina che solo perl’età avanzata e gli acciacchiconnessi concluse nel1999. Si ritirò a Taggì, nellacomunità “Mater Amabilis”,per vivere serenamente ilpassaggio dall’attività al“riposo”; furono sette anniimportanti in una missioneche fu soprattutto preghiera.Poi la salute ebbe uncrollo e fu necessario il ricoveronell’infermeria dovevisse serenamente le sofferenzeconnesse con unainvalidità che alla fine eradivenuta totale. Il Signore lachiamò a sé il 17 settembre,giorno che ci è particolarmentecaro: memoria dellaimpressione delle stimmatein s. Francesco e dellastraordinaria vocazione dimadre Elisabetta.Sono vissuta solo qualcheanno con suor Ermellina,ma è stato sufficienteper raccogliere la sua testimonianzadi vita. Mi ha semprecolpito la sua spiritualità,la semplicità nel parlarecon Dio, il suo raccontarecon gioia ciò che provavanell’incontro con lui; pregavanon solo di giorno ma anchedi notte. Era innamorata dellaMadonna e con gioia trasmettevaquesta devozione aibambini del catechismo. Avevauna grande attenzione perle persone ammalate, sole.Nell’infermeria di Taggì,dove fu ricoverata nelfebbraio 2006, sperimentòsu se stessa la fatica legataall’invalidità. Quando lefacevo visita era più quelloche ricevevo che quelloche donavo. Ultimamentenon parlava più, ma il suosguardo era penetrante, piùeloquente delle parole.Suor Ermellina lasciaun vuoto perché era unapersona buona, positiva,amante delle relazioni, dellapreghiera.Grazie, suor Ermellina,della buona testimonianzache mi hai dato.suor Florinda Bragato... Entravi in chiesa lamattina e sentivi parlare.Era un parlare inconfondibile:quello di suor Ermellina;quello di chi per anni haparlato ai bambini piccoli equando parla sembra sempreche racconti una storia.Non c’era gente, era sola.Meglio… c’era lei, con i fiorie il buon Gesù. Credo cifosse un perché dei fiori, delsuo curarli, del prepararli,ed era con essi che dicevail suo affetto a Dio. Cosìcome lo aveva detto in tantianni di servizio negli asili,come educatrice. A suorErmellina va il nostro grazieper quanto ha fatto e saputodare con generosità allanostra comunità: vogliamofar tesoro del suo cercareDio e trovarlo nei tanti “fiori”della vita.Dal foglietto parrocchialedi Lissaro - PDsuor Rosagiulia Fabbiannata a Rustega (PD)il 31 <strong>ottobre</strong> 1940morta a Padovail 28 settembre <strong>2009</strong>nel ricordoSuor Rosagiulia nacquea Rustega - frazionedi Camposampiero (PD) - il31 <strong>ottobre</strong> del 1940; al fontebattesimale fu chiamataAntonia certamente per onorareil Santo che nel vicinoSantuario del Noce ebbe lavisione del Bambino e visse isuoi ultimi santissimi giorni.A Firenze, dove era andataper lavoro, Antonia conobbeda vicino le suore elisabettinee trovò nella lorovita-missione la risposta allasua ricerca vocazionale.Quasi diciottenne, nell’autunnodel 1958, iniziòl’iter formativo alla vita religiosanel postulato di Padovae lo continuò nel noviziatodi Casa Madre dovefece la prima professione il3 maggio 1961. Si dimostròsubito giovane generosa,sensibile e determinata. Ritenutaadatta a stare accantoalla persona ammalata,intraprese gli studi specificinella Scuola Convitto a Pordenone.Nell’ospedale civiledella stessa Città fece lasua prima esperienza comeinfermiera caposala, confermandoun particolare talentoper tale professione. Nel1979, dopo la diagnosi diuna malattia importante chenon le permise più di farsicarico dell’orario di lavoroin un reparto ospedaliero,le fu affidato il compito dianimare la comunità in servizionella Casa di Riposo“Umberto I” a Pordenone.Nonostante la malattia lerichiedesse reiterati ricoveriospedalieri, fu l’anima diquella realtà per nove anni.Poi fu necessario il ritiroda una attività strutturatae per quattro anni ancoracontinuò ad interessarsidella cura del malato indirettamente,affiancando leallieve della Scuola Convittodi Pordenone con lacompetenza nata dall’esperienza.Il 1992 segnò persuor Rosagiulia l’inizio diuna esperienza che vissein modo intenso: la degenzanell’infermeria di CasaMadre. Qui per diciassetteanni fu una malata che conobbemomenti molto criticisuperati anche grazie allasua collaborazione e vogliadi vivere. Fu una presenzaun po’ speciale, una “malatain servizio”: semprepronta a fare compagnia,a confortare, a dare unamano a chi avesse bisognodi piccoli servizi; una malatache coltivò le relazioni efu sempre attenta alla vitadella famiglia elisabettina,sempre attenta alla storia. IlSignore che porta a compimentol’opera sua nei tempie nei modi a lui noti, le fece<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 31


ALLA TUA LUCE VEDIAMO LA LUCEattraversare più volte e inmolti modi “la porta stretta”della sofferenza.Negli ultimi tempi la malattiala stava spegnendo lentamente,e le forze erano ormai impariper continuare a combattere;era diversa da come l’avevamosempre conosciuta.Oggi sappiamo che avevaraggiunto il “tempo dellaconsegna di sé”. Il Signore èarrivato all’alba, quasi a dirciche era risorta e godeva ifrutti della fede mantenutaoltre la lunga sofferenza.Suor Rosagiulia, sorellae amica carissima, ieriho ricevuto la notizia dellatua partenza. Ho provato unsenso di vuoto, di tristezza,ma nello stesso tempo lagioia di sapere che hai terminatoil tuo calvario e ti seiincontrata finalmente, senzavelo, con lo Sposo che haiseguito per tanti anni lungoil cammino ripido e spinosodella malattia: una malattiache poco a poco ti ha consumato,ti ha purificato e tiha reso offerta a lui gradita.Per molto tempo abbiamocamminato e lavoratoinsieme: con te potevo parlaredi quanto avevo in cuoree trovavo accoglienza neltuo interesse, nel tuo cuoreche aveva la dimensione delmondo. Mi fa male pensareche al mio rientro dalla missionenon ti troverò, ma soche ora mi accompagneraipiù di prima, so che potròcontare ancora sul tuoaiuto.Amavi la tua vocazione,la famiglia elisabettina, lesorelle che vivevano con tee che servivi con una caritàattenta e delicata. Sapevicoltivare la tua mente e iltuo spirito.Lo scorso anno, quandoci siamo incontrate, mi manifestavila tua stanchezza,la tua fatica e il desiderio diraggiungere la Patria. Orache sei arrivata e vivi nellaluce contemplando il tuoSignore ti chiedo di continuarea darmi una mano.suor Chiarangela VenturinQuito (Ecuador)Ti ho conosciuto a Pordenonenella casa di Riposo“Umberto I”, ventisette annifa, durante l’esperienza apostolicain noviziato, un’esperienzache mi ha segnato.Ho imparato da te ad amarecon gesti concreti quellapersona che nella casa diriposo ci “doveva” stare espesso non si lasciava volerbene; eppure non mancavada parte tua una carezza, unbicchiere d’acqua e tantaattenzione…Ero stupita: tu ti accorgevidi tanti bisogni che ioneppure vedevo, tutta presadai miei. Mi hai insegnatoa guardare con gli occhi dichi deve trovare uno spazioper entrare in relazione conl’altro perché l’altro si sentaaccolto e amato.Ti ho avvicinato nuovamentedopo oltre dieci anniin infermeria e ho ancoravisto in te la grande capacitàdi guardare… era come secercassi nelle sorelle ospiti,ammalate come te, il bisognoche chiedeva aiuto, cheti poteva far sentire ancoraviva; sentire che potevi ossigenartiall’amore che riuscivia dare facendo loro qualchepiccolo o grande servizio: dalsemplice bicchiere d’acquaalla buona notte, dalla preghierarecitata assieme neimomenti difficili della malattiaall’ascolto, al sorriso.Sei riuscita a non lasciartimorire, anche se lasituazione fisica e moraleavrebbe voluto o potuto farticedere. Ti ho vista combattivae nello stesso tempoabbandonata tra le bracciapaterne di Dio.Grazie, perché mi haireso partecipe della tua faticae mi hai insegnato chel’amore ha un prezzo dapagare; mi hai insegnato comevivere con la malattia eanche come morire.suor Daniela Cavinato... Suor Rosagiulia sentivail peso degli anni trascorsiin infermeria, desideravauscire, ma poi sapevatrasformare la sua stanza,il corridoio, ogni luogo diincontro in un angolo dalquale partire per mete spiritualirassicuranti e rasserenanti.In questa quotidianitàlenta, spesso monotona, siinserisce la fede. Una fedesemplice, ma pura.Dalle riflessioni che venivanoproposte durantegli esercizi spirituali e i ritirimensili sapeva trarre quelpensiero che le dava luce ostimolo.Tante volte veniva conun foglietto, me lo leggevae mi chiedeva ulteriori approfondimentie spiegazioni,dimostrando così che il suosì al Signore non era fruttodi un sentimento, ma di unadecisione libera, piena diamore. Quando terminavo laspiegazione, diceva: “Sì”.Era come il “sì” degliapostoli a Gesù, come abbiamosentito nel vangelo diMatteo. Un sì pronto, senzaesitazione.E questo l’ha detto anchenegli ultimi giorni…Suor Rosagiulia ha camminatoverso il Signore, consapevolee fiduciosa nellasua misericordia.Dall’omeliadi don Giancarlo Ceccatosuor Rosaberta Carraronata a Campolongo Maggiore (VE)l’1 marzo 1922morta a Padovail 29 settembre <strong>2009</strong>nel ricordoGiovannina Carraro, suorRosaberta, nacque a CampolongoMaggiore (VE) l’1marzo 1922 e imparò a dareil primato a Dio dal vissutoquotidiano della sua famigliaprofondamente cristiana.Nonostante la guerra rendessetutto più difficile e precario,nell’<strong>ottobre</strong> del 1941partì per Padova determinataa consacrare al Signore lapropria esistenza. Duranteil periodo della formazioneiniziale confermò la sua volontàe la prima professionereligiosa, l’1 maggio 1944, laintrodusse pienamente nellavita elisabettina. Fu avviataad apprendere le prime nozionidel servizio infermieristiconell’Ospedale civile diCapodistria: un anno intensoche si concluse con la dolorosaespulsione nel giugnodel 1945. Per un breve periodooperò a Padova pressola clinica “Morgagni”; da quipassò a Roma, prima nelsanatorio della Croce Rossa“Margherita di Savoia” poi,per trentacinque anni, svolsela sua missione di infermierapresso la clinica “E. Morelli”.Fu una infermiera esemplaredal punto di vista professionale.Seppe affinareed esprimere belle capacitàrelazionali con l’ammalatoe il personale, capacità cheespresse in modo delicatissimocon gli ospiti dell’Istituto“San Francesco” di VastoMarina (CH) nei diciassetteanni vissuti in quella struttura.Quando passò a Firenze,nella casa di Riposo“E. Vendramini” aveva giàsettantanove anni, ma fuegualmente una presenzapositiva accanto alle ospiti.Nel 2003 ritornò a Padova;per poco più di quattro annifece parte della comunità“San Francesco” di Pontedi Brenta dove, nonostantenon stesse bene, fu ancoraattenta agli altri perché“l’essere-per” era un po’ lasua seconda natura; poi, all’iniziodel 2008, accolse docilmenteil ricovero nell’infermeriadi Casa Madre. QuiGesù portò a compimentol’opera: la rese partecipe diquella difficoltà respiratoriache egli stesso sperimentòsul Golgota.Suor Rosaberta, ancorauna volta, abbracciò lavolontà del suor Signore efu per tutte noi un esempiobuono.32 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


ALLA TUA LUCE VEDIAMO LA LUCEUn bel giorno ci siamovisti arrivare le “suore nuove”,come dicono i nostriragazzi. Erano in tre e tra loroc’era una suorina piccoladi statura, minuta, ma con ilvolto illuminato da un grandesorriso e gli occhi vivaci.La superiora la presentò come“la suora infermiera” e leragazze, accolte nel nostroIstituto, scoppiarono in unfragoroso applauso. Felicedi questa accoglienza, suorRosaberta disse: «Cercheròdi fare del mio meglio».Così si prese cura dellenostre ragazze con semplicitàe determinazione. Tutti igiorni arrivava per l’ora dellaterapia col suo carrellino.Mentre somministrava i farmacic’era silenzio assoluto,ma dopo ascoltava ogniragazza con i suoi piccoliproblemi. Aveva un rimedioper tutti i mali: “gocce allozucchero e pomate miracolose”,ma ciò che curavadavvero era il suo sorriso, lasua disponibilità ad ascoltaree l’amore verso le personebisognose.Le ragazze e quantil’hanno conosciuta l’hannoricordata nella celebrazioneeucaristica del 4 <strong>ottobre</strong>scorso e hanno pregato perlei: “Ti chiediamo Signoreche il ricordo della vita disuor Rosaberta, interamentedonata a Dio e vissutanella gioia del lavoro svoltocon impegno e generosità,rimanga sempre vivo innoi e ci aiuti a superare imomenti tristi. Soprattuttoin quei momenti donaci lacertezza che tu Signore cisei vicino, ci aspetti e anchea noi prepari un posto neltuo Regno”.Rita Sollitto e le educatriciFondazione P. A. MilenoVasto Marina (CH)Di suor Rosaberta abbiamoun ricordo indelebileche custodiamo in cuorecon profondo e fraterno affetto.Era dotata di un caratteredolce, ma fermo, anchese non in modo appariscente,perché umile e silenziosa;sapeva portare avanti lesue idee, i suoi progetti. Eraricca di sensibilità e di tantaumanità e per questo venivaricordata con gratitudinedalle persone che aveva assistitonella casa di cura “E.Morelli”.Era persona sempliceche custodiva le devozioniconosciute in gioventù,riservava molto tempo all’adorazione,amava le santetradizioni e si illuminava nelvolto quando ricordava lecelebrazioni e i fruttuosi incontridel passato.Ultimamente soffrivadi insufficienza respiratoriaper cui fu necessario l’aiutocontinuo dell’apparecchioper l’ossigeno, un ingombroche seppe sopportaree accettare pienamente.Chiedeva di esserne liberatasolo quando le facevamovisita per poterci parlareliberamente. Anche le infermierela ricordano comeuna suora buona, paziente,mai esigente e sempre riconoscenteper il servizioricevuto. Ora ci intercedadal Signore il dono di sapervivere per lui e i fratelli, insemplicità, come lei.suor Floria Stellin e sorellePonte di Brenta - Padovasuor Dionisia Martinnata a Oderzo (TV)il 10 <strong>dicembre</strong> 1924morta a Pordenoneil 29 settembre <strong>2009</strong>Suor Dionisia, una vitasemplice e intensa, profondamenteispirata e guidatadal Vangelo. Non avevascelto giovanissima di farsisuora: difatti lasciò la casapaterna a quasi ventitreanni; a Padova trascorse iltempo della formazione inizialeche la introdusse nellavita-missione della famigliaelisabettina e vi fece la primaprofessione religiosa:era il 2 maggio 1950. Visse58 anni a Roma, praticamentetutta la sua vita dasuora, accogliendo con serenitàdi avere “la missione”di amministrare l’andamentodi una casa. Per dodicianni fu sovrintendente aiservizi generali nel CollegioCarissimi “San Giuseppe” eper altri undici guardarobieranell’Istituto “Villa Flaminia”.Anche nella comunitàpresso la Casa provincialefu prima sovrintendente aiservizi generali poi collaboratricedi comunità; contale compito visse anche gliultimi sei anni romani nellacomunità “Mater laetitiae”dove si manifestarono i primisintomi della malattia.Quando la situazione si fececlinicamente delicata passònell’infermeria di Pordenonescelta per la sua vicinanzaad Oderzo (TV) dove eranata il 10 <strong>dicembre</strong> 1924 ebattezzata con il nome diAngela. Ebbe così il confortodella frequente presenzadei membri della sua numerosae bella famiglia. Labreve ed essenziale cronistorialascia ora il posto alletestimonianze che meglio cifanno conoscere il valoredella vita di questa sorellae ci consentono di apprezzaree di raccogliere il buonesempio che è stata.Pensando a suor Dionisiabenedico e lodo DioPadre per avermi dato dicondividere un lungo trattodella mia vita elisabettinacon lei. Tante volte mi hareso positivamente pensosaciò che la caratterizzava: unsilenzio rispettoso e caritatevolenei confronti di ogniconsorella, un silenzio chesi faceva dialogo fraterno attraversoil suo generoso servizio,umile e gioioso, con ilquale rispondeva ai bisognidi ciascuna di noi e della comunità.Il suo timido sorrisonel ricordosostituiva la parola; la caratterizzavaquella generosità edisponibilità tipica di chi nonsi appartiene più perché hamesso la propria vita nellemani di Dio per i fratelli. Sì,era proprio questo quelloche viveva suor Dionisia:preghiera e servizio, tuttoaccompagnato da forti doloriagli arti inferiori che nonne hanno mai mortificato ilsorriso, il donarsi, lo staredavanti al Tabernacolo inpreghiera silenziosa e adorante.A causa degli anni edegli acciacchi è passatadal “fare” per gli altri allo“stare” davanti a Dio pergli altri. Quando ho avuto lanotizia della sua morte mi èvenuto spontaneo pensarlanel “Giardino” preparatoper i servi fedeli, impegnataad offrirci il fiore preziosodell’intercessione presso ilPadre mentre gode la beatitudinedegli umili e puri dicuore.suor Mariannina GesuatoMi piaceva e mi piaceancora dire: “Cara la nostraDionisia”. Sì, cara per lostile di vita che ci ha trasmesso,caratterizzato dallasemplicità, dalla bontà, dalladocilità, dalla preghiera perseverante.Ha speso la sua esistenzanel servire sempre e tutti:finito un lavoro non cercavail riposo ma chiedeva sempre:“Cosa devo fare adesso?”.Era ammirevole il suodonarsi per aiutare gli altri.Non l’ho mai sentita esprimerelamentele di nessungenere. Non trasmetteva ilsuo essere elisabettina contante parole, ma con l’essenzialitàdel suo vivere, conil suo offrire al Signore, inmaniera silenziosa, ogni sofferenzae difficoltà. Nutrivagrande amore e devozioneper la nostra beata MadreFondatrice; obbedienza, rispettoe preghiera erano isuoi atteggiamenti nei confrontidi coloro che esercitanoil servizio di autorità.Questa è l’immagine chesuor Dionisia ci ha lasciato.A lei il mio, il nostro grazie<strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong> 33


ALLA TUA LUCE VEDIAMO LA LUCEper quanto di prezioso ciha donato indicandoci consemplicità i nostri valori essenziali.suor Rosadele LiciniSuor Dionisia era unapersona schiva, semprepronta a servire, a chiederedi dare una mano. Ultimamentela sua salute eradiventata alquanto precaria,ma voleva ugualmenterendersi utile. Darle lapossibilità di aiutare in unqualsiasi lavoro significavagioia. Amava molto la curadella casa e del giardino,felice di lavorare all’aperto.L’amore per l’ordine dellecose manifestava l’attenzioneche aveva per l’ordinedei valori dentro di sé. Semprepuntuale alla preghiera,passava ore davanti alTabernacolo, pregava moltoper tutti. Nell’ultimo periododi permanenza a Roma erodiventata per lei il puntodi riferimento in quanto infermiera,l’aiutavo ma condiscrezione perché non volevaessere di peso. Il suograzie per il servizio che leprestavo era il ricordo nellapreghiera. Ora penso e vedosuor Dionisia nel giardinodel suo Signore, sicuramenteprotesa a contemplare laluce del suo Volto.suor Giuseppina Rosasuor Domiziana Zordannata a Nanto (VI)il 23 <strong>ottobre</strong> 1927morta a Padovail 29 settembre <strong>2009</strong>«Ti benedico Padre perchéhai rivelato queste coseai piccoli…»: al Padreè piaciuto rivelare a suorDomiziana l’essenziale dellavita cristiana: il primatodella carità, facendole ildono di testimoniarlo conla vita e il servizio così chela sua esistenza, semplicema intensa, è per noi unapreziosa eredità. Nata aNanto, una località del bassovicentino, Bruna Zordan,suor Domiziana, a ventunoanni fece la sua scelta divita: amare Dio amando eservendo i fratelli secondoil dono affidato alla famigliaelisabettina. A Padova fecela sua formazione inizialee la prima professione religiosail 2 maggio 1951.Per poco più di un annofu collaboratrice di comunitàin quello che è stato ilSanatorio “San Giuseppe”a Zovon di Vo’ poi, comeassistente infermiera, servìgli anziani nel Ricovero “B.Pellegrino” in Padova perventiquattro anni; passòquindi all’OPSA: per trentadueanni coordinò un repartodi quella “Cittadelladella carità”. Nel 2008 lamalattia rese necessario ilricovero nella infermeria diCasa Madre dove compì lasua missione portando sulproprio corpo i segni di unainfermità che la assimilò aimalati tanto da lei amatie curati. A questa brevecronistoria affianchiamoalcune testimonianze chemeglio tratteggiano il profilodi questa elisabettina.«Il mio diploma è quellodella carità, aveva dettoscherzosamente un giornoad alcuni parenti. Eraun discorso per “battute”,ma di fatto sento di poterdire che, per il tempoche ho vissuto assieme asuor Domiziana, davvero ilsuo “distintivo”come suoraelisabettina fu la carità,la compassione grandeverso i più piccoli e fraquesti quelli più disagiatidell’Opera della ProvvidenzaS. Antonio di Sarmeola.Per lei, dopo i tempirichiesti dalla preghiera edalla vita di fraternità, esistevanola sua “missione”,i suoi “tosetti”. Era semprepronta ad andare da loro,non conosceva riposi, sidedicava con amore unicoe personalizzato fino quasia prolungarne la vita per leattenzioni e le cure materneche riversava su di essi.Il “suo” reparto era comeuna piccola famiglia con alcentro i “bambini”, curaticon uguale amore da tutti:suor Domiziana, operatori,volontari.La ricordo sempre silenziosae schiva; non volevamai apparire. Quandoc’erano occasioni in teatroo altrove, per esserericonosciuta e/o applaudita,mandava sempre i suoioperatori a far festa e leirimaneva in reparto con gliospiti più invalidi. Ha sempredimostrato particolaresensibilità per i giovani inricerca vocazionale che approdavanoal suo repartoper il tirocinio, per i seminaristi,e, in particolare, per lesuore giovani: per tutti pregavae offriva il sacrificio diogni giorno. Non ho potutoseguire gli ultimi tempi dellasua grave e invalidante malattia,ma sono certa che,come ha vissuto in silenzioe in generosa offerta durantela vita, così è andataal Padre al quale avevaaccompagnato molti suoipiccoli ospiti. La pensiamolassù a godere del premioche il Signore riserva allespose fedeli.suor Pierelena MaurizioNon è facile riassumerein poche righe la vita di suorDomiziana, il suo spirito dipreghiera, la sua fede riccae forte, unita al carismaelisabettino di cura per i deboli,alla intelligenza attentae pronta. Noi operatori del“secondo Santi Angeli” abbiamoavuto l’opportunitàdi avvicinarla, ognuno secondoil ruolo che lei congrande saggezza sapevanel ricordodefinire e accompagnare.Con l’amore che nutriva perla vita di tutti, ha curato eprotetto l’esistenza dei suoiragazzi come una madreche si dedica ai propri figli equesto senza mai porsi al disopra della loro famiglia cheanzi accoglieva, ascoltava erasserenava ogni qualvoltane aveva bisogno.Con la sua semplicità èstata una donna di grandeautorevolezza; chi ha avutoil prezioso dono di potercollaborare con lei ha sentitoprima di tutto di svolgereuna missione più che unlavoro: con la trasmissionedi questo spirito è riuscitaa guidarci con lo stessoprincipio cui lei credeva,unendo alla professionalitàl’amore per la vita.Suor Domiziana accettandola vocazione religiosaha rinunciato ad un maritoe a dei figli, ma ha datovita ad una grande famiglia,aperta a chiunque avesse ildesiderio e la forza di apriregli occhi per vedere cosac’è anche oltre i valori chearricchiscono solo l’aspettosuperficiale della vita impoverendoirrimediabilmentelo spirito.Non usava molte parole,i suoi occhi esprimevanotutto. La sua comunicazioneera costituita da unosguardo accompagnato daltono di voce tranquillo esereno, un dialogo breveche esprimeva una grandecapacità di far capiresempre a chiunque quelloche c’era da capire. Congrande dignità ha vissutoe sopportato la malattia,silenziosa come solo lei sapevaessere, nonostante ildolore che il suo corposperimentava.Oggi la grande famigliadel suo reparto, che contanta energia ha formato,la ringrazia e si impegna aportarla sempre nel cuorecon tutto l’amore che lei haavuto per noi.gli Operatori del reparto34 <strong>ottobre</strong>/<strong>dicembre</strong> <strong>2009</strong>


ALLA TUA LUCE VEDIAMO LA LUCEsuor Oreste Bonatonata a Montegaldella (VI)l’11 <strong>ottobre</strong> 1921morta a Padovail 22 <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong>Silenzio, sorriso, servizioe preghiera hanno caratterizzatola vita di suor Oreste:sarebbe detto tutto! Maproprio questa semplicità,questa essenzialità di vitava raccontata come buonasegnaletica di una «vitanascosta con Cristo in Dio»(Col 3,3b) che è pur semprela vocazione cristiana.Luigia Bonato, suor Oreste,nacque a Montegaldella(VI) nell’<strong>ottobre</strong> del 1921e sul finire della secondaguerra mondiale partì perPadova: nel postulato e nelnoviziato imparò a vivere ilVangelo nella forma volutadalla beata Elisabetta Vendraminie con la prima professionereligiosa, il 3 maggio1946, fece sua la vitae la missione della famigliaelisabettina. Esattamentedieci anni dopo la sorella,suor Anna, ne avrebbe seguitol’esempio.Per ventisette anni suorOreste fu “addetta alla cucina”:dapprima all’ospedaleIsolamento di Padova epoi in varie Case di curadella stessa città (“Jorfida”,“Diaz”, “Arcella”, “Morgagni”).La ricordiamo sempreumile e pronta, serena esilenziosa nonostante le fatichelegate ad un compitocosì esposto alle critiche.Nel 1973 ebbe bisognodi una sosta per prendersicura della propria salute,poi non fu più in grado difarsi carico di un serviziocosì oneroso. Rimase a Padova,nella comunità dellaCasa provinciale dove eragiunta nel 1970; per ventidueanni continuò ad essereuna presenza vigile, operosa,discreta.Il 1995 segnò un passaggioimpegnativo nella vita disuor Oreste: conobbe primaun prolungato ricovero di seianni nella infermeria di CasaMadre, poi il passaggio auna comunità di riposo persorelle anziane: la comunità“Domus Laetitiae” di Taggìdi Villafranca.Nell’autunno del 2006 lasua salute si fece nuovamentebisognosa di particolariattenzioni per cui siriaprirono le porte dell’infermeria.Accolse docilmente tutto,confermando il suo totaleaffidamento al Signore;l’infermeria fu un tempo incui affinò il suo rapportofiliale e sponsale con lui inuna preghiera fatta soprattuttodi accettazione dellasua volontà e di silenzioadorante.Rimase sempre una sorellasemplice, silenziosae schiva, soprattutto grataanche delle piccole attenzioni.Come era vissuta, cosìè passata all’altra riva: insilenzio, attratta dal SignoreGesù, suo Bene sommo.Dalle testimonianze stralciamo:Suor Oreste ci ha lasciatoil profumo della suabontà, della sua umiltà eserenità anche nella sofferenza,e soprattutto ci hadato l’esempio di una grandedisponibilità al dono disé, un dono che non conoscevasosta.La vita di suor Oresteè stata come un lievepassaggio, un muoversi inpunta di piedi: raccogliamoil suo esempio comestimolo ad apprezzare semprepiù il dono di una vitagioiosamente e umilmentespesa nel servizio ai fratelli.Lei appartiene alla grandeschiera di sorelle che hannotestimoniato “l’amore le cuiscintille sono opere”(E.V.).suor Pierelena Maurizionel ricordoBastano poche paroleper tracciare il profilo umano- spirituale di suor Oreste:donna semplice e silenziosa,donna di dedizione ecarità fraterna.L’ho conosciuta nell’ultimodecennio del suo serviziocome cuoca della comunitàdella Casa provincializiadi Padova: qui svolgeva ilsuo lavoro coadiuvata dauna signora, perché già ammalata.A qualunque ora eradisponibile per chi arrivavae per tutte aveva attenzionisenza preferenze. In leinon si conosceva il cambiod’umore. Non l’ho mai vistaarrabbiata, reattiva, mai l'hosentito dire parole inopportune.Quando parlavo con leidelle normali e quotidianedifficoltà che si intreccianonelle relazioni fraterne, eraconsapevole di quello cheaccadeva, sapeva leggerecon sapienza e scusare itratti meno felici di qualcunadi noi. Se non potevadire bene, rispondeva conun suo tipico “sorrisetto”accompagnato da due occhiespressivi che volevanodire: ho capito ma non hasenso appesantire la situazione.Da più anni soffriva diinsufficienza epatica e dellepatologie correlate. Ricordouna sera all’ospedale: eragià ricoverata, ebbe una forteemorragia che la mise inserio pericolo di vita. Anchedi fronte alla gravità del suostato non si lamentava, soloti guardava con quegli occhilimpidi, trasparenti e interroganti.Quando poi fu trasferitaper la salute precaria a Taggìe, ultimamente nell’Infermeriadi Casa Madre, non horavvisato in lei insofferenza,piuttosto accoglienza dellasua infermità senza lamenti.Il tratto più significativoera quello di una donna dalcuore semplice e buono,senza pretese e senza apparenze.Ha vissuto la suafede nella fedeltà quotidianaalla preghiera e alla vitadi comunità; nei suoi comportamentinon manifestavamalizia e curiosità indebite;sapeva più tacere che parlare;donna che esprimevala missione elisabettina donandose stessa nella rispostaattenta e generosa aibisogni delle sorelle.Il dono di suor Orestealla famiglia elisabettinam’invita a rendere grazie alSignore a nome di tutte noie a chiedere anche per suaintercessione la grazia di altrevocazioni.suor Oraziana CisilinoIl nostro ricordo affettuosoe riconoscente va anchea suor Gianriccarda Cigala esuor Idelmina Salvagnin tornatesuccessivamente allacasa del Padre.Di loro daremo testimonianzanel prossimo numero.Ricordiamo nella preghierae con fraterna partecipazionela mamma disuor Daniela Rossatoil papà disuor Patrizia Cagninla sorella disuor Evelia Azizsuor Silveria Baggiosuor Adolfa Cavallinsuor Azaria Grandisuor Agata Mognosuor Zenina Urbanil fratello vescovo disuor Piamartinae suor Piasandra Gomiero.


Don Carlo Gnocchiil prete che cercò Dio tra gli uomini«Desidero servire per tutta la vita i suoi poveri»Cenni biograficiCarlo Gnocchi nacque a Lodi il 25 <strong>ottobre</strong> 1902. Entrato in seminario, fu ordinato sacerdotenel 1925.Dapprima assistente d’oratorio, fu poi direttore spirituale all’Istituto “Gonzaga” dei Fratellidelle Scuole Cristiane, quindi assistente spirituale degli universitari a Milano.Quando nel 1940 l’Italia entrò in guerra e molti giovani studenti vennero chiamati al frontedon Carlo si arruolò come cappellano volontario, prima sul fronte greco-albanese poi sul fronterusso. Nel gennaio del 1943, durante la drammatica ritirata del contingente italiano, fu miracolosamentesalvato. E assistendo gli alpini feriti e morenti maturò in lui l’idea di realizzare una grande opera di carità.Ritornato in Italia nel 1943, don Carlo iniziò il suo pietoso pellegrinaggio alla ricerca dei familiari dei caduti per dare loroun conforto morale e materiale. Nel 1945 fu nominato direttore dell’Istituto Grandi Invalidi di Arosio e accolse i primi orfani diguerra e i bambini mutilati. Iniziava così l’opera che lo porterà a guadagnare sul campo il titolo di padre dei mutilatini.Nel 1949, l’Opera di don Gnocchi ottenne un primo riconoscimento ufficiale come Federazione Pro Infanzia Mutilata confluitadue anni dopo nella Fondazione Pro Juventute.Nel 1955 don Carlo lanciò la sua ultima grande sfida: un moderno Centro medico-sociale,sintesi della sua metodologia riabilitativa, espressa in un progetto globale di recupero dellapersona umana, per la quale non a caso parlava di restaurazione.Don Carlo, minato da una malattia incurabile, morì il 28 febbraio 1956.L’ultimo suo gesto fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti, gesto profeticoin un tempo incui in Italia il trapianto di organi non era ancora disciplinato da apposite leggi.Il doppio intervento riuscì perfettamente. La sua generosità e l’enorme impatto che il trapiantoebbe sull’opinione pubblica impressero un’accelerazione decisiva al dibattito, fino al varo dellalegge in materia.Don Carlo Gnocchi è stato proclamato beato a Milano il 25 <strong>ottobre</strong> <strong>2009</strong>.«L’amore èla più benefica,universale e santa di tuttele forze naturali, per laquale l’uomo può evaderedalla clausura dell’io perdonarsi, e diventare fonteviva e luminosa di altrevite nel mondo»(in Educazione del cuore).«Amiamo diun amore gelosoil nostro tempo, così grandee così avvilito, così ricco e cosìdisperato, così dinamico e cosìdolorante, ma in ogni caso sempresincero e appassionato.Se avessimo potuto scegliere iltempo della nostra vita e il campodella nostra lotta, avremmo scelto…il Novecento senza un istantedi esitazione»(in Educazione del cuore).Bricioledagli scrittidel Beato«... cristianiattivi, ottimisti, sereni,concreti e profondamenteumani; che guardano almondo, non più come a unnemico da abbattere o dafuggire, ma come a un (figlio)prodigo da conquistare eredimere con l’amore…»(in Restaurazione dellapersona umana).«In un mondocome il nostro,inaridito, agitato, maniaco,è necessario mettere oliod’amore sugli ingranaggidei rapporti sociali eformare nuclei di pensieroe di resistenza morale pernon essere travolti»(in Restaurazione dellapersona umana).Nelle foto: Don Carlo con i suoi mutilatiniL'urna del Beato

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