memoria e gratitudineItalianella città di triestePagine di carità accanto ai malatiNelle corsie di ospedaledi Annavittoria TomietstfeA Triesteuna lunga storiadi presenza accanto al malatocon lo stile propriodella famiglia elisabettina.Gli antefattiQuando la famiglia elisabettinavenne richiesta di stabilire una suapresenza in Trieste, la città con la zonacircostante era stata annessa da qualcheanno all’Italia che la costituiva capoluogodella provincia omonima. Particolarequesto di rilievo, se si considerala storia travagliata di inserimento negliambienti triestini di Congregazionifemminili che intendevano svolgervi leloro attività.Le religiose erano presenti findall’Ottocento nelle corsie degli ospedalidi Trieste. Nel 1854 erano entratele Ancelle della Carità di Brescia assumendoil servizio di assistenza infermieristica;assieme ai frati minoricappuccini garantivano una presenzareligiosa assai qualificata; tuttaviaosteggiata dal processo di laicizzazioneche tendeva a negare ogni influenzadella Chiesa cattolica nella vita civile.In tale contesto, il 24 novembre1869, la massoneria triestina avanzavaformale richiesta al Consiglio municipaledi Trieste di allontanamento deifrati minori cappuccini e delle suoreAncelle della Carità, la cui presenzaera ritenuta «un anacronismo e unnon senso», affermando il prevaleredel principio «che consiglia di darealla società uomini e donne utili allamedesima».L'ospedale “S. Maria Maddalena” a Trieste, dove le suore elisabettine prestarono servizioinfermieristico dal 1925 al 1975.Il Consiglio municipale deliberò larottura del contratto stipulato con lesuore e con i cappuccini in modo chedovettero lasciare l’ospedale.Deliberò pure la istituzione di unascuola di istruzione pratica per infermierelaiche, da assumere poi nell’ospedalein sostituzione delle suore.A questo tempo risale anche l’originedelle espressioni “suora laica” e“suora religiosa” usate più tardi nelnosocomio triestino a proposito delleinfermiere.Nonostante le reazioni dei degentie di gran parte del personale medico,la presenza delle suore nelle corsiedell’ospedale cessò, ma il desiderio ela volontà di riammetterle restarononel cuore della parte non settaria dellacittadinanza.Vi fu un tentativo di inserimentodurante la prima guerra mondiale,ma di breve durata. Nel gennaio 1918entravano in una divisione dell’ospedalele suore della Provvidenza, mala giunta municipale costituita subitodopo la cessazione della guerra,in fedeltà ai proclami del 1869estrometteva nuovamente le religiosedall’ospedale.Verso il 1922 cominciò, però, amaturare una mentalità nuova perl’assistenza ospedaliera. Le spese perl’ospedale erano troppo rilevanti: locostatò un ispettore ministeriale. Ilnuovo Consiglio vide accanto a uominidella massoneria anche uomini nuovi,decisi all’azione.Nel 1923 fu approvato un progettodi provvidenze nuove e, tra queste, ilcambiamento del sistema assistenzialedegli ammalati e la riassunzione dellereligiose a graduale sostituzione delleinfermiere laiche nei due ospedalitriestini che dipendevano direttamentedall’Amministrazione municipale(fino al 1934 quando verranno costituitiin unico Ente Morale autonomo,con amministrazione propria e sotto ladenominazione Opera Pia “OspedaliRiuniti Regina Elena e Santa MariaMaddalena”).Furono subito iniziate le pratiche,ma nessuna Congregazione religiosaera in grado di accettare un compitoche si presentava notevolmente oneroso.Nel 1925 la famiglia elisabettina siorientò ad un favorevole accoglimentodella richiesta.32 gennaio/marzo 2010
<strong>La</strong> comunità elisabettinanegli ospedali triestiniÈ del 23 giugno 1924 la lettera conla quale il Consiglio municipale diTrieste notifica alla superiora generaleM. Agnese Noro 1 , l’intendimento disostituire gradatamente il personalelaico di assistenza agli ammalati con“suore religiose”.<strong>La</strong> richiesta di suore è dapprima perl’ospedale “Regina Elena” per il qualesi propone l'assunzione di un numerovariabile da quaranta a cinquanta religiose.Una richiesta oggi inimmaginabile,ma che, anche in quel tempo noncerto di “magra”, riuscì a scoraggiareil Consiglio generale, che oppose undeciso rifiuto.Ma la richiesta, finalizzata ad unservizio di tipo caritativo-assistenzialeinfermieristico,fu caldeggiata fortementedal Vescovo e dalla chiesa localedi Trieste. <strong>La</strong> loro insistenza portòall’accoglienza del servizio dapprimaall’ospedale “S. M. Maddalena” e unanno e mezzo più tardi anche all’ospedale“Regina Elena”.Così il 29 dicembre 1925 nove suoreelisabettine, guidate dalla superiorasuor Carmela Petich, sostituita subitodopo da suor Elia Borella, entraronoall'ospedale sanatoriale 2 .Singolaritànel servizio all'ospedale“S. Maria Maddalena”Trattandosi di ospedale che accogliemalati di malattie infettive, l’Amministarzionefa presente che «il bisogno dipersonale di assistenza si intensifica ediminuisce in rapporto alle condizionisanitarie della città, sicché potrebbero,in periodi saltuari assolutamenteimprevedibili, sia per epoca che perdurata, essere richieste suore in numeroconsiderevole, le quali, finito l’eccezionaleaffollamento di malati, dovrebberoessere destinate altrove. Quindi, unariserva di personale dovrebbe esseresempre a disposizione dell’ospedale “S.M. Maddalena”».Situazione molto analoga a quelladel rione Codalunga a Padova, doveElisabetta Vendramini, poco menodi un secolo prima aveva costituitol’impianto della missione elisabettinaOggi, a oltre ottant’anni di distanza,acculturati in una società che si basasolo sull’evidenza dei fatti e sulle certezzeumane, sorprende una scelta cosìcoraggiosa, basata sulla fede in Dio esulla fiducia incondizionata nella suaProvvidenza.<strong>La</strong> tipologia dei destinatari – affettiper la maggior parte da malattie polmonari– è tale da rendere questi malati imeno ricercati, secondo la mentalitàdiffusa.<strong>La</strong> documentazione storica ignorala presenza delle così dette “suore laiche”al “S. M. Maddalena”; le suorevivono nel segno della provvisorietàche vuol dire disponibilità piena,completa dedizione; precarietà per laprivazione di garanzie, anche materiali,per il proprio domani. Essere sempredisponibili suppone cioè, come pergli operai del vangelo, l’attesa che ilbisogno si presenti e, una volta cessato,la pazienza di cercare altrove, paghisoltanto della certezza che il Signore èprovvido con i suoi servi fedeli. Sonoquesti alcuni segni di carismaticità checi rimandano allo spirito delle origini eallo stile della missione specifica dellafamiglia elisabettina.Le suore assunsero al completo ilservizio di assistenza ai malati ricoverati.Inoltre venne loro affidata la sorveglianzagenerale dei servizi di assistenzaSuore, operatori sanitari, ammalatiattorno alla grotta di Loudes nel parcodell'ospedale (Foto Agep).e dei servizi generali, nella persona diuna suora-ispettrice, la superiora dellacomunità. È affidata ancora alle suorela sorveglianza diretta della cucina,della lavanderia e del guardaroba.<strong>La</strong> documentazione reperibile ela stampa locale dell’epoca registranoche la presenza delle suore portò uncambiamento radicale nell’assistenzaai malati e nell’economia.Così la prova al “S. M. Maddalena”persuase della necessità di introdurre le“suore religiose” anche nell’ospedale“Regina Elena”, in sostituzione delpersonale laico 3 .Riguardo alle difficoltà, ai timoriespressi, il Vescovo di Trieste scrivealla superiora generale, madre AgneseNoro:«Comprendo i dubbi e i timori cheumanamente non possono mancare.Dobbiamo però considerare le cose daun punto di vista più alto e più sicuro.È il Signore che avendo compassionedi tante anime dispone le cose in modoche dopo sessant'anni circa di laicismoe di immoralità rientrino le suorelà, dove fino al 1870 già esercitavanola loro missione materna. Si serve dicircostanze talvolta curiose ed inaspettate,ma è sempre il Signore, che tuttodirige…» 4 .<strong>La</strong> prova superata:al “Regina Margherita”In un ambiente ostile, per la presenzaancora di preposti che non intende-memoria e gratitudinegennaio/marzo 2010 33