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La sponda luminosa

n. 1 - gennaio/marzo 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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accanto a...malatitando quindi una malattia cronica conaspettativa di vita lunga e una qualitàche spesso consente un ritorno al lavoro.Le suore elisabettine, forti diquesta esperienza, hanno chiesto allaRegione Veneto la conversione di alcuniposti-letto, da destinare a malationcologici nella loro fase terminale.Tale opportunità è stata concessa, e daalcuni anni esiste questa integrazione,quasi unica in Italia tra terminalitàaids e terminalità oncologica.L’accoglienza è rivolta, senza alcunpregiudizio, a persone di qualsiasi credoreligioso, etnia, comportamento sessuale,marginalità economica, soggettisenza fissa dimora, senza lavoro...A casa “Santa Chiara” può accaderedi sentire una babele di lingue:francese, inglese, slavo, arabo. In unmomento particolare della attuale vitapolitica, nel quale risulta difficile parlaredi integrazione, in questo luogoparticolare oltre che la convivenza didue tipi di terminalità, convivono infattimalati mussulmani, ebrei, protestanti,ortodossi, cristiani. Il personaleinoltre è costituito da italiani, moldavi,rumeni, brasiliani, che insieme svolgonoun lavoro di alta professionalità,ma soprattutto di lodevole umanità.26 gennaio/marzo 2010L'ingresso di casa “Santa Chiara”, conil “libro della vita, della speranza” cuivengono affidati pensieri, sentimenti,emozioni dei parenti e amici degli ospiti,degli operatori e volontari.Il mio ingresso in questa strutturasette anni fa mi ha permesso di metterea disposizione la mia professionalitàcome infettivologo e medico dimedicina generale, nella cura di questepersone, senza avere un eccessivocoinvolgimento emotivo, che temevopotesse distogliermi dalla componentepiù propriamente tecnica.Fortunatamente in poco tempo hocapito che anche io dovevo integraminel gruppo, dovevo condividerecon gli altri le difficoltà, le paure, imomenti di sconforto, ma anche lesoddisfazioni che pure ci sono, nell’accompagnarequeste persone versola fase finale della vita.Esiste un momento forte, essenziale,importante nel lavoro in casa“Santa Chiara”: la supervisione. Vogliosottolineare questa modalità dilavoro, perché ha modificato tutto ilmio modo di essere medico sia fuoriche dentro la Casa.Ogni quindici giorni, ci riuniamoper circa due ore: siamo circa ventipersone che con il supporto di unapsicoterapeuta, analizziamo le nostredifficoltà, i momenti difficili con ipazienti, con i parenti, con i colleghi;si verificano i punti di debolezza delgruppo e dei singoli, gli errori diventanouna grande risorsa per crescere eimparare, i successi cementano la giàgrande stima che abbiamo tra di noi eaumentano le capacità del gruppo.Il lavoro è più facile quando sai cheal tuo fianco c’è una persona che portaavanti la stessa strategia, un collegacol quale l’intesa passa attraverso unosguardo, quando sperimenti che è sufficienteuna parola per condividere lostesso percorso.I pazienti capiscono dopo pochigiorni di permanenza che esiste unequilibrio, una sintonia, uno stessoobiettivo, che è il loro benessere cheviene messo al centro di tutto il lavorosvolto, qualsiasi sia la persona che losta svolgendo per loro, sia l’infermiere,l’operatore, il medico, il cuoco, il volontario.Il gruppo viene così ad essereun’unica persona che si mette a lorodisposizione ed è sempre presente,togliendo così oltre che il dolore anchela grande solitudine della malattia.Naturalmente esistono momentidifficili, il percorso una volta intrapresova continuato nel tempo, l’impegnonon è poco, la crescita è lenta egraduale.Per un medico mettersi in discussione,rendersi conto delle propriefragilità con gli altri e con i pazienti avolte fa male e capire che si impara datutti i collaboratori - operatori, infermieri,educatori, cuoca - è una grandeconquista.Spesso di fronte a malati terminali,ma anche davanti a patologie gravi eimpegnative, il medico si sente solo,nelle scelte da compiere: solo verso lafamiglia, solo dopo la morte della personache ha seguito in questo percorsoimpegnativo.Il gruppo formato nella supervisionestempera, allevia, alleggerisce lasolitudine, il peso dell’impegno profusoè distribuito con tutti. <strong>La</strong>vorarecon queste modalità diventa una soddisfazione.Questa è una grande risorsa chele suore elisabettine hanno messo adisposizione per chi opera nella casa:credo che il lavoro in équipe, in qualsiasiambito, non possa fare a meno diquesta importante modalità, lavoraremeglio assieme, per far stare meglio lapersona malata.Fare gruppo, secondo la mia esperienza,significa costruire una rete icui legami permettono di sentire lacoesione e il senso di appartenenzacome valori importanti nella cura, e,nello stesso tempo, attivano processidi integrazione che favoriscono l’individuazionedelle singole professionalità.■accanto a... malati

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