accanto a...malati<strong>La</strong> carità accanto a chi soffreSperare contro ogni speranzaVivere evangelicamente la professionalitàa cura di Martina GiacoministfeIntervistaa suor Mariagrazia Mirafioriche da circa quattro anni lavorapresso il CRO 1 accanto e in mezzoa chi continua – a volte –a «sperare contro ogni speranza» 2 .Suor Mariagrazia, quando ti èstato chiesto di inserirti in questarealtà per te nuova, quali sonoi pensieri e i sentimenti che hannoinvaso la tua mente?È una realtà che un po’ già conoscevoper una precedente esperienza neltempo del noviziato durante la qualeho vissuto presso la casa “Via di Natale”3 . Mi sentivo contenta perché dasempre mi aveva colpito la dimensionefamiliare e accogliente della struttura.Accanto alla gioia mi abitava anchela paura per il nuovo servizio e mirisuonavano tante domande: «sarò ingrado di stare vicino a persone malatedi tumore?», «come mi accoglierannoquei colleghi non abituati ad avere unasuora per collega?» e infine: «riusciròa conciliare la mia identità di personaconsacrata con la professionalitàinfermieristica che sono chiamata adesercitare?».Guardando ora al tuo ambiente dilavoro come ti piace descriverlo?Si tratta di un ambiente accogliente.Il reparto dove lavoro è stato pensatoper dare l’opportunità ai pazientidi sentirsi a casa e di avere degli spazipropri. Intuisco che, oltre all’ambiente,24 gennaio/marzo 2010contribuisce a creare un clima sereno ecaldo anche la presenza del personale(infermieri, medici, operatori) che viverapporti di fiducia e collaborazione;pur non mancando le fatiche, si cercadi superarle insieme. Un desiderio checi appartiene è il tentativo di valorizzarele persone che passano per il CROnella loro umanità, con la loro storia eil loro vissuto, senza ridurli a pazientibisognosi di cure mediche.Chi sono i destinatari del tuo servizio?I primi destinatari sono i pazientidel reparto di chirurgia oncologica dovepresto servizio. Vivo l’esperienza diaffiancare chi è in attesa dell’interventochirurgico ed è abitato da ansie, attesee speranze per poi accompagnarlo nellafase post-operatoria in cui la stessapersona si ritrova non completamenteautonoma e con una ferita – fisica espirituale – da rimarginare.Destinatari del mio servizio sonoanche i colleghi di lavoro che mi provocanoe interrogano sul significatoe la differenza fra l’essere infermierae l’essere una suora infermiera, unapresenza per loro piuttosto provocantein termini umani e professionali.“Suora” e “infermiera” ossia vivereevangelicamente la propria professionalità.Che cosa vuol dire per te?Come coniughi le due realtà?Il codice deontologico dell’infermiereall’articolo n. 3 recita «<strong>La</strong> responsabilitàdell’infermiere consistenell’assistere, nel curare, nel prendersicura della persona nel rispetto dellavita, della salute, della libertà e delladignità dell’individuo». Questo per mesignifica essere un infermiere e il mioessere persona consacrata si arricchiscee trova senso nello scorgere in ogniA noi non restache vivere di solee aggrapparsi forteal presenteperché la vita fuggea minutie tu non saise ancora ci seie il domani siaeternocome il suo sogno.Quanto a noinessuno ci aveva mai dettodel dolore di vivere.E con che cuoreorgoglio e passioneabbiamo cambiato la nostra vitae sposato il domanidove il tempo incontra l’eterno,noi naticome figli e fratellidel sole.Io ti vedròe non solo l’ombra delle tue spallein queste lotte a corpoa corpoche mi hanno spezzatoil respiro e il cuore.Tu ci seiio ti vedròe non da straniero.Ora che il dolorescavalcaci par che piangeresia tradiree inquieti avviciniamo la finestraper vederequanti minuti di eternitàmanchino all’alba.Bruno F., paziente del CRO
ficile percorso della malattia. Si proponeinfatti di fornire risposte qualificateed aggiornate sulle cure e sulle terapielegate a molti tipi di tumore.È ormai luogo comune affermareche la società attuale esorcizza tuttociò che ha a che fare con il dolore, lasofferenza e la morte sino a farli scompariree pare per una paura spessonon coscientizzata. Tu, i tuoi colleghidi lavoro, i pazienti stessi che cosavolete e potete dire a riguardo?Condivido questo pensiero e affermoche spesso dentro alla paura sinascondono tante cose: il senso dellimite e della finitezza, la solitudine, ilpeccato. Può sembrare un paradosso,ma la diagnosi di tumore costringe lapersona a svelare e a dare un nome allapropria paura e - attraverso il percorsoineludibile cui costringe la malattia- ad interrogarsi sul senso della vita,persona il volto di Gesù e nel trattarlocome tale. Del resto proprio nel vangeloè il Signore a dirmi che «ogni voltache farete questo ai miei fratelli l’avetefatto a me» (cf. Mt 25, 40).Che cosa impari da chi tutti i giornisi misura con la dimensione del doloree a volte con quella della morte?Da tutti imparo la dignità di frontealla malattia e alla sofferenza, lacapacità di trovare la forza e il coraggiodi andare avanti anche quandotutto sembra perduto. Da alcuniinvece imparo l’abbandono fiduciosonel Signore: molti mi raccontano dicome sperimentano la sua presenza,soprattutto nei momenti più faticosi, edi come riescono a trovare un coraggioe una forza che prima non avevano. E,da altri, imparo la profonda gratitudineper aver compreso solo attraversola malattia il valore della vita e dellerelazioni.Qual è l’orizzonte per cui ha sensol’esistenza del CRO? Ossia: qual è lospecifico che questo centro ha offerto econtinua ad offrire ai suoi utenti?Il CRO – in quanto istituto diricerca oltre che centro di cura – offrealla persona un po’ di speranza nel difalfine di ritrovare e dare senso allapropria umanità. Spesso io e i mieicolleghi ci troviamo ad accompagnarele persone in questa fase di ricerca e dilotta e cerchiamo di farlo con rispettoe senza giudizi, ciascuno con la propriapersonalità ma sempre cercando dinon far sentire la persona sola. ■1CRO: Centro di Riferimento Oncologico.È uno degli Istituti di Ricovero e Curaa Carattere Scientifico (IRCCS) che operanoin Italia in ambito oncologico. È situato adAviano, provincia di Pordenone. È stato istituitodalla Giunta Regionale del Friuli VeneziaGiulia nel 1981. Le suore terziarie francescaneelisabettine sono presenti dal 1990 (cf. In caritateChristi, 2/2009 p. 32).2Traduzione italiana del titolo dell’operaHoffen wider alle Hoffnung di dom HélderCâmara (1909–1999), arcivescovo di Olinda eRécife nel nordest brasiliano – regione tra lepiù povere del mondo. È una delle figure piùsignificative della Chiesa del XX secolo: vivacesostenitore della Teologia della Liberazione,partecipò attivamente al concilio Vaticano II(1962-1965) e, per oltre trent’anni, girò il mondoin lungo e in largo, dando voce a chi non havoce (cf. il sito del Centro Internazionale DomHelder Camara: www.heldercamara.it).3Struttura situata vicino al CRO dove sitrova un hospice per malati terminali e 34 miniappartamenti per dare ospitalità gratuita sia aifamiliari sia ai malati in terapia day hospital.accanto a... malatiDa Casa “Santa Chiara”Un’esperienza singolare di integrazioneProfessionalità e competenze umane a confrontoCasa “Santa Chiara” è una strutturadelle suore elisabettine,aperta nel 1994, come Casa alloggioper fare fronte alla emergenzaaids, malattia che negli anni novantamanifestava tutta la sua virulenza perla mancanza di una terapia adeguata.Ci sono dodici posti letto dedicatiai malati terminali di Aids: ungrosso impegno per questa comunitàdi suore coadiuvate dal personale laidiPaolo Forzanmedico<strong>La</strong>vorare meglio assiemeper far stare megliola persona malata: l’esperienza diun medico che impegnala sua competenza professionale aCasa ”Santa Chiara˝ a Padova.co. Fortunatamente, l’arrivo nel 1996del cocktail con gli antiretrovirali hapermesso di trasformare radicalmentel’evoluzione di tale patologia.Significativo risulta il dato relativoall’aspettativa di vita dal momentodella diagnosi al decesso che, primadella possibilità di questo trattamentoterapeutico, si aggirava intorno aiquindici mesi; attualmente possonopassare anni e forse decenni, diven-gennaio/marzo 2010 25