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La sponda luminosa

n. 1 - gennaio/marzo 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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di vita che ha richiesto una convivenzaforzata con persone, tutto sommato,sconosciute. Ecco perché c’è stato bisognoanche di offrire compagnia, dimettere in conto il tempo per un saluto,di sensibilizzare altre persone afarsi vicine e di essere presenti quandoinsorgevano nuove necessità.Non siamo state certo sole a portareavanti tutto questo: a titolo dipuro volontariato, alcuni dipendentidella Fondazione e persone sensibilidi parrocchie del vastese hannotrascorso parte del loro tempo conquesti nuovi amici, offrendosi comecompagni di passeggiata, comeparrucchiere e come autisti per lenecessità più varie.I bisogni in questa situazione sonostati davvero tanti, imprevisti e, comesi dice nella lettera circolare scrittada madre Margherita Prado per l’anno2009-2010, abbiamo sperimentatodavvero che «la domanda del fratello ècome un comando per noi».In ciascuna di noi è prevalsa la gioiadi dare ed è il come si dà che fa la differenzaper chi riceve. Il più delle volteciò che ci è stato chiesto come personeconsacrate, quasi più del cibo e delvestito, è stata l’accoglienza, l’ascoltodelle loro angosce, il calore umano, paroledi speranza… insieme alla certezzache il Signore non abbandona.Un po’ ci siamo abituati tutti allaloro presenza: li vediamo in giardinoper prendere un po’ d’aria, a voltepartecipano alle nostre celebrazioninella chiesa di S. Francesco, attiguaall’Istituto; i più autonomi e coraggiosisi spingono in passeggiate sul lungomare.Ora a distanza di dieci mesi ripensiamoalle persone che sono passate,alcune hanno trovato una sistemazionepresso i familiari, altri hanno potutoriparare la casa. Di tutti, compresicoloro che sono rimasti, ci ha colpitola capacità di vivere con dignità il disagio,di ringraziare il Signore perché,pur avendo perso tutto, rimaneva ildono inestimabile della vita. Abbiamovisto il disagio di dover chiederele cose più normali e più necessarie,ma anche la capacità di adattarsi, diaccontentarsi, di ringraziare.Quanti rimasti aspettano con impazienzal’assegnazione della casetta<strong>La</strong> terra del piantoCon gli occhi volti al nulla,nel vuoto ghiaccio,piangono le madri i loro figli.Il silenzio è un urlo.Ah, sapesse il dolore scriverepagine infinite d’amore,scendere dal calvariocol suo primo raggio!Il cielo non ha più coloresulla città morta,con la sua bocca chiusada tanto strazio;le campane son cadutesenza suono nel grembodella terra che ha tremato;anche la luna ha un rapido fremitotra le fronde dei salici,sugli altari dei vivigettati per le strade.Ora non v’è più nessunoche non sappia piangerené vedere se non chiascoltare più non vuole.Mario Rolando Mangiocavallo 1antisismica promessa dal governo oattendono di poter riparare la lorocasa lesionata. Si sentono sempre degli“sfollati”, approdati in una strutturache fortunatamente ha risposto più dialtre alle loro complesse difficoltà, mache non è la loro casa.Si è rivelato a volte pesante per lorodover vivere in una “famiglia allargata”le proprie speranze, esternare leimpazienze, lasciar trasparire le propriedelusioni e sofferenze sapendoche il ritorno alla normalità ha bisognoancora di molto tempo.Per noi, una esperienza che hamesso in luce il senso della nostravita consacrata, quale segno gratuitodell’amore del Signore. ■1Con questa poesia l’autore, che lavora presso la fondazione Mileno come terapista della riabilitazione,ha partecipato a diversi concorsi di poesia a livello regionale e nazionale.accanto a... terremotatigennaio/marzo 2010 23

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