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La sponda luminosa

n. 1 - gennaio/marzo 2010 - Suore Francescane Elisabettine

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editoriale<strong>La</strong> <strong>sponda</strong> <strong>luminosa</strong>Alla sera di quel giorno Gesù disse:«Passiamoall’altra <strong>sponda</strong>». Questo invito dolce e forteinsieme Elisabetta Vendramini ha accolto congioia all’alba del 2 aprile del 1860. Un invito che l’haportata a raggiungere la <strong>sponda</strong> <strong>luminosa</strong> alla quale ilsuo cuore e tutta la sua esistenza tendeva.Ha concluso la corsa. Ora può passare il testimonealle figlie. Bassano - i Cappuccini -, Padova - gli Esposti- e poi contrada degli Sbirri. Madre di una famigliadedita a curare gli interessi di Gesù, a farsi poveraaccanto al povero come Gesù ha fatto con lei.Alle figlie lascia una benedizione speciale: «Lo Spiritodel Signore scenda sopra di voi, mie carissime figlie, evi faccia agnelle sue per la mansuetudine [...] leoni perincontrarlo dove la gloria del Signore ed il bene dei prossimilo richiede, aquile sempre fisse al sole divino».Una benedizione che è promessa di vita piena, digiorni splendidi vissuti nella vigorosa ricerca del benedei fratelli e nell’adesione amorosa a ciò che al Signorepiace.Fare memoria dei centocinquant’anni dalla suamorte può essere per tutti noi• contemplare la sua figura di appassionata del Crocifissoe in lui di tutti i crocifissi della terra;• approfondire la sua conoscenza ed ascoltare gliappelli che la sua spiritualità pone oggi ai suoi devoti ealle sue figlie;• camminare sui suoi passi, animati da un cuore chesi lascia abitare dalla misericordia e ne fa dono ad ognifratello e sorella.A venti anni dal riconoscimento da parte dellaChiesa di lei quale esempio da onorare e da imitare,fare memoria del passaggio di Elisabetta Vendramininella luce dei santi è, a maggior ragione, rinnovare lacertezza che abbiamo una protettrice in cielo che camminaaccanto a noi, che si fa voce che intercede pressoil Padre perché il suo regno si realizzi anche attraversodi noi.E con lei la schiera di tante sorelle che hanno contribuitoa far germogliare il seme della carità fattivaelisabettina nella chiesa; pensiamo a madre AntoniaCanella, a madre Placida, a madre Augusta... a suorNoemi Favero, fedele custode degli Scritti della madre,a madre Agnese Noro... una schiera che abita la <strong>sponda</strong><strong>luminosa</strong>: chiediamo che intercedano per la chiesa,per il mondo travagliato da ferite e angosce, soprattuttoper i poveri che chiedono dignità e cura.Celebrando il 2 aprile, quest’anno proprio di venerdìsanto, viviamo concretamente il mistero pasquale compiutoin madre Elisabetta e con lei, e con le sue figlieche vivono in Dio, andiamo verso la luce della Pasqua,dove tutto ha pieno senso e compimento.Buon cammino!<strong>La</strong> Redazionegennaio/marzo 2010 3


nella chiesaLettura della lettera del PapaCaritas in Veritate: una buona notiziaPer un mondo a misura d'uomodi Marco Cagolsacerdote della diocesi di Padova 1Nel corso dell'anno leggeremoinsieme la Caritas in Veritate:una “meditazione”su Dio e sull’uomoper lo sviluppo integraledella famiglia umana.Caritas in veritate(CiV) è uscita nel luglio delL’enciclica2009 2 . Essa è un’enciclica sociale,cioè un documento nel quale ilPapa (nella foto nell'atto di firmarla) ela Chiesa nel suo insieme desideranoproporre una riflessione sulle realtàsociali e annunciare il vangelo comebuona notizia che può aiutare a costruireun mondo più umano, più rispettosodella dignità di ogni uomo e, inultima analisi, del disegno di Dio chechiama tutti gli uomini alla comunionecon lui e tra di loro.Le encicliche sociali<strong>La</strong> Caritas in veritate non è la primaenciclica sociale. <strong>La</strong> prima fu la Rerumnovarum, scritta dal papa Leone XIIInel 1891, per far sentire la voce dellaChiesa sulla drammatica condizione deglioperai nelle fabbriche in quell’epoca,e per indicare i criteri per una soluzionerispettosa dell’uomo della “questioneoperaia”. Tra l’altro mettendo in guardiadalla illusoria soluzione rappresentatadal comunismo e dal socialismo.Da allora in poi i papi hanno scrittoaltre encicliche sociali, quasi semprein occasione dei decennali della Rerumnovarum; tra queste: la Quadragesimo4 gennaio/marzo 2010anno (interessante leggere alcune paginesulla crisi economica del 1929,che sembrano scritte oggi, tanto sonoadatte alla crisi economica attuale); laOctogesima Adveniens di Paolo VI del1971; la <strong>La</strong>borem exercens di GiovanniPaolo II del 1981; la Centesimus annusdi Giovanni Paolo II del 1991, che– di fatto – è stata l’ultima enciclicasociale.Non tutte le encicliche sociali furonoscritte per commemorare la Rerumnovarum. In particolare la Pacem interris fu scritta da Giovanni XXIIIdurante la guerra fredda e la crisidrammatica del 1963; e la Populorumprogressio, da Paolo VI che parlò dellosviluppo dei popoli di tutto il mondo,scritta nel 1967. Questa enciclica fupoi ripresa vent’anni dopo da GiovanniPaolo II nella Sollicitudo rei socialis.<strong>La</strong> dottrina sociale della ChiesaEbbene: tutti questi testi costituisconola dottrina sociale della Chiesa3 . <strong>La</strong> Caritas in veritate viene adarricchire questo grande patrimonio,aspetto fondamentale della vita dellaChiesa, anche se noi non lo conosciamoabbastanza: Giovanni Paolo IIsoleva affermare che questa dottrina èun elemento fondamentale della nuovaevangelizzazione.Come cristiani non possiamo infattidimenticare che il vangelo haqualcosa da dire anche sulla realtàsociale e non dobbiamo avere paura didirlo, perché priviamo il mondo e gliuomini di un contributo decisivo peril loro sviluppo umano: Cristo infatti èil decisivo fattore di bene e di sviluppoanche nella società. E per andare sulsicuro, su cosa dire sulla realtà sociale,e come comportarsi quando si vive dacittadini, da elettori, da consumatori,ecc., bisogna conoscere e meditare benela DSC che è l’attualizzazione per lasocietà di oggi del Vangelo stesso.L’enciclica Caritas in veritate diBenedetto XV viene dunque a lungadistanza dall’ultima enciclica sociale.Essa vuole riprendere i temi dellaPopulorum progressio, un’enciclicache segnò fortemente la storia dellaChiesa, della sua azione nel mondo, eanche del mondo stesso; un’enciclicache Benedetto XVI descrive qui come«la Rerum novarum dell’epoca contemporanea»(CiV 8).Nel riprendere la Populorum progressio,Benedetto XVI approfitta ancheper affermare alcune cose riguardantila relazione tra questa enciclica egli altri documenti di Paolo VI, in particolarela Humanae vitae e la Evangeliinuntiandi, per metterne in risalto lacontinuità e la complementarietà.Questa sottolineatura ci consentedue considerazioni: la necessaria connessionetra questione antropologica (edella vita) e questione sociale, e il fattodella necessità dell’annuncio esplicitodel vangelo come via allo sviluppo.È chiaro che il contesto, rispettoalla Populorum progressio è cambiato,e i tratti nuovi della situazionedel mondo, che qui vengono presiin considerazione, sono quelli dellaglobalizzazione, dell’interdipendenzae della tecnica.


nella chiesacoraggio e generosità nel campo dellagiustizia e della pace» (CiV 1); e dunquevi è un continuum tra carità, giustiziae pace, quasi che queste sgorghinoda quella; e potremmo dire, se l’amorenon implica impegno per la giustiziae per la pace non è amore autentico(anche questo è attualissimo!).In secondo luogo, poiché la fontedella carità è Dio, essa arriva a noi comedono (cf. CiV 5) e come vocazione,dunque come qualcosa che si ha perchélo si è ricevuto, e lo si vive perchélo si è ricevuto. Ciò determina i trattidella carità anche umana, che, se nonfosse anzitutto ricevuta, ne avrebbealtri (fino alla degenerazione per cuila mia carità può divenire prolungamentodell’ego). <strong>La</strong> carità degli uominiprende da Dio la misura.Qui si comincia a intravvederel’impostazione globalmente teologicadella riflessione in re sociali da parte diBenedetto XVI. Ciò condiziona profondamentel’impostazione dei problemisociali, fino quasi a rovesciarnealcuni termini, come vedremo.Verità«Amore e verità non li abbandonano(gli uomini) mai completamente,perché sono la vocazione posta da Dionel cuore e nella mente di ogni uomo»(CiV 1).«<strong>La</strong> verità, infatti, è lógos che creadiá-logos e quindi comunicazione e comunione.<strong>La</strong> verità, facendo uscire gliuomini dalle opinioni e dalle sensazionisoggettive, consente loro di portarsial di là delle determinazioni culturali estoriche e di incontrarsi nella valutazionedel valore e della sostanza dellecose. <strong>La</strong> verità apre e unisce le intelligenzenel lógos dell’amore: è, questo,l’annuncio e la testimonianza cristianadella carità» (CiV 4).«Senza verità si cade in una visioneempiristica e scettica della vita, incapacedi elevarsi sulla prassi, perchénon interessata a cogliere i valori −talora nemmeno i significati − concui giudicarla e orientarla. <strong>La</strong> fedeltàall’uomo esige la fedeltà alla veritàche, sola, è garanzia di libertà (cf. Gv6 gennaio/marzo 2010<strong>La</strong> verità va cercata, trovata,espressa nell'“economia”della verità.8,32) e della possibilità di uno sviluppoumano integrale» (CiV 9).Il secondo elemento di quell’orizzontedella coscienza è la relazione conla verità. Qui vediamo il passo ulterioreche Benedetto XVI compie rispetto allaDeus caritas est. Per il Papa, la coscienzaavverte che c’è una verità, ne è attrattae ha in sé la possibilità della conoscenzadella verità. Noi, guardando alla nostraesistenza, possiamo esprimere questofatto della coscienza come “nostalgiadella non menzogna” 4 .Va detto che anche questo è unpunto decisivo e “scomodo” dell’enciclica.È chiaro che per la coscienzacredente non vi è un grande problema,laddove chi crede sa che Gesù Cristoè la verità. Tuttavia porre oggi la questionedella verità non è banale, perchéoggi disturba parlare di “verità”, inquanto è molto forte la considerazionedella coscienza individuale, che da solasarebbe in grado di determinare ciò cheè bene e ciò che è male. Vedremo poicome qui di fatto si presenta un problemasquisitamente antropologico, traindividualismo e visione relazionaledella persona e della coscienza.Intanto osserviamo come BenedettoXVI, con la Chiesa, è convintoche dire che non esiste nessuna verità− o che, anche se esistesse, questanon sarebbe minimamente conoscibiledall’uomo − ha delle conseguenze negativeanche sul fatto sociale, proprionel senso che si “nega” la possibilitàstessa del vivere in società. E anchequi osserviamo come da un elementofondamentale dell’esperienza della coscienzasi ricavi una via per lo sviluppodell’uomo in re sociali.Circa la verità va osservato un altropunto particolare su cui insiste l’enciclica,che non è nuovo in BenedettoXVI, ma che nella nostra cultura sirivela come decisivo: l’uomo può conoscerela verità con la ragione e con lafede. Non l’una senza l’altra (cf. anchela Deus Caritas est).Carità nella verità«In ambito sociale, giuridico, culturale,politico, economico, ossia neicontesti più esposti a tale pericolo,ne viene dichiarata facilmente l’irrilevanzaa interpretare e a dirigere leresponsabilità morali. Di qui il bisognodi coniugare la carità con la veritànon solo nella direzione, segnatada san Paolo, della «veritas in caritate»(Ef 4,15), ma anche in quella, inversae complementare, della «caritasin veritate». <strong>La</strong> verità va cercata,trovata ed espressa nell’«economia»della carità, ma la carità a sua voltava compresa, avvalorata e praticatanella luce della verità. In questo modonon avremo solo reso un servizio


alla carità, illuminata dalla verità,ma avremo anche contribuito ad accreditarela verità, mostrandone ilpotere di autenticazione e di persuasionenel concreto del vivere sociale»(CiV2).L’aspetto decisivo, che di fattocostituisce la chiave di lettura di tuttal’enciclica, è il nesso indispensabiletra verità e carità. Anch’esso fa partedell’esperienza della coscienza, anchedi quella non credente. Sono le duefacce della stessa vocazione umana, ledue tracce della fonte stessa della vita.Del resto, carità e verità in Diocoincidono (e questo è anche il motivoper cui chi fa esperienza di amore autentico,anche se non conosce Cristocome Verità, in realtà è nella verità).Nel pensiero di Benedetto XVI èsempre chiaro che il primato resta allacarità, la quale però va vissuta nellaverità.<strong>La</strong> verità è necessaria affinché lacarità sia autentica, umana e sia efficacefondamento delle relazioni umane.<strong>La</strong> carità è necessaria per renderecredibile la verità. <strong>La</strong> carità accreditala verità.Questo intreccio di verità e di carità,che l’uomo ritrova all’interno dellapropria coscienza, prende forma anchenella realtà sociale, e vedremo come.(continua)1Sacerdote della diocesi di Padova, direttoredell’ufficio della pastorale sociale e dellavoro e del Centro di ricerca e formazione “G.Toniolo” – Padova.2L'enciclica sarebbe dovuta uscire nel2007, a quarant’anni dalla pubblicazione dellaPopulorum progressio e a vent’anni della Sollicitudorei socialis, ma è stata rinviata, per itempi complessi di elaborazione e anche per lasopravvenuta crisi.3Della dottrina sociale della Chiesanel 2004 è stato pubblicato un Compendio,ottimo strumento per conoscere l’immensopatrimonio di pensiero e di vita su taleargomento.4Cf. S. Be r e t t a, Volere il bene comune eadoperarsi per esso. L’arte del servizio politico,Relazione al Convegno nazionale dei direttoridegli uffici di Pastorale sociale, Assisi 19-22ottobre 2009.nella chiesaInsieme per celebrare la carità di una SantaUna comunicazione fraterna della comunitàfrancescana di Canosa di Puglia che trovaaccoglienza nel nostro giornale per condividere lafesta del 17 novembre 2009.<strong>La</strong> comunità francescana di Canosa il 17 novembre2009 si è incontrata per celebrare la memoria disanta Elisabetta d’Ungheria, modello vivo di carità eservizio; la celebrazione è stata presieduta da fra ModestoGuastadisegni, che svolge il suo ministero sacerdotale nellachiesa della Madonna dei Martiri a Molfetta, con la guidadella superiora delle suore francescane alcantarine, suorFelicia, e della ministra prof.ssa Maria Lobosco.Il celebrante ha presentato alla comunità la figura diquesta Santa dell’Europa.<strong>La</strong> chiesa dell’Immacolata ha ospitato la celebrazionealla quale hanno partecipato circa cento persone, prevalentementedonne e madri. Durante la messa sono stateaccolte nel Terz’Ordine, nel servizio a Dio e alla comunità,quattro donne laiche che hanno ricevuto il Tau - crocefrancescana - ed il cingolo francescano, un modo per sottolinearela spiritualità francescana, oltre che mariana, di cuila Fraternità si nutre.È stato offerto e benedetto un cesto di pani nella memoriadel pane che santa Elisabetta aveva nascosto per ipoveri e gli ammalati che, secondo la leggenda, si è trasformatoin rose. Questi pani, attraverso le terziarie francescane,sarebbero stati distribuiti alle persone anziane, condisagio fisico e bisognose di cura.Lo spirito di fratellanza e di comunione ha avuto attuazioneanche nel momento conclusivo della giornata nelbanchetto conviviale offerto dagli stessi membri, preparatodalle loro stesse mani.<strong>La</strong> stessa santa Elisabetta d’Ungheria è stata riscopertain un’opera esposta nella Scuola elementare “Enzo De MuroLomanto”, che riproduce l’affresco pregevole della grottadi Greccio, memoria del primo presepe del 1223 realizzatoda san Francesco d’Assisi (nella foto).Lo spirito di servizio e di carità della famiglia francescanadi Canosa ha ricevuto nuovo slancio radicandosinell’esempio di santa Elisabetta d’Ungheria.<strong>La</strong> Comunità francescana di CanosaNell’affresco, a sinistra in basso è rappresentata santaElisabetta d’Ungheria, patrona del Terz’Ordine francescano.gennaio/marzo 2010 7


spiritualitàNell’anno sacerdotaleSan Francesco e i sacerdotiSpunti di spiritualità francescanadi Alessandro Rattifrancescano conventuale, RomaFede, fiducia,riverenza verso i sacerdoti:atteggiamenti che affondanole radici nel profondo sensoecclesiale di Francesco d’Assisi.San Francesco spesso ci sorprendenei suoi scritti. A volte peri suoi slanci mistici, altre volteper la sua inflessibilità riguardo povertàe obbedienza. Di certo il tenoredelle sue parole pone sempre in questionei suoi figli e le sue figlie, chevedono in lui il capostipite di unainnumerevole discendenza spirituale.Nel mezzo dell’anno dedicato da papaBenedetto XVI alla preghiera per isacerdoti e alla riflessione sul loro ministero,desideriamo fermarci su unadelle caratteristiche del serafico Padre:il suo atteggiamento di venerazionenei confronti dei sacerdoti, che, a tratti,assumeva forme quasi esageratee a prima vista eccessive. Francescostesso parla esplicitamente di questosuo sentire nei confronti dei sacerdotiin quel testo così importante che è ilTestamento, riproposizione dell’idealefrancescano originario:<strong>La</strong> fiducia nei sacerdoti«Il Signore mi dette e mi dàuna così grande fede nei sacerdotiche vivono secondo la forma dellaSanta Chiesa Romana, a motivodel loro ordine, che se mi facesseropersecuzione, voglio ricorrere proprioa loro. E se io avessi tanta sapienza,quanta ne ebbe Salomone,e trovassi dei sacerdoti poverelli in8 gennaio/marzo 2010questo mondo, nelle parrocchie incui dimorano, non voglio predicarecontro la loro volontà. E questi etutti gli altri voglio temere, amaree onorare come miei signori. Enon voglio considerare in loro ilpeccato poiché in essi io discerno ilfiglio di Dio e sono miei Signori. Efaccio questo perché, dello stessoaltissimo Figlio di Dio nient’altrovedo corporalmente, in questomondo, se non il santissimo Corpoe il santissimo Sangue suo, che essiricevono ed essi solo amministranoagli altri» (FF 112-113).Francesco afferma che è un donodel Signore la sua personale «fede» neisacerdoti: fiducia e fedeltà rimarchevolinel tempo delle eresie (il catarismo)e dei movimenti antigerarchici, i qualiandavano creando ogni giorno nuovesette. Questi movimenti ereticali delXIII secolo approfittavano delle gravicarenze e peccaminosità del cleroper screditare la Chiesa e dichiarareinutile il sacerdozio (valdesi). In ogniepoca, si può dire, il livello di santitàdei sacerdoti è un buon termometrodel benessere o malessere dell’interacomunità ecclesiale. Nel Duecento illivello morale del clero era di sicuromolto più basso di oggi, come ha ricordatoanche Raniero Cantalamessain una delle sue prediche alla Curiaromana per l’anno sacerdotale.Francesco non è uno sprovvedutosentimentale, che fa finta di non vedereciò che è sotto gli occhi di tutti. Diceinvece con franchezza: «non voglio inloro considerare il peccato», perchécon l’occhio interiore sa scorgere inogni sacerdote la persona di Cristoche il suo ministro, sacramentalmente,ripresenta. Nelle Fonti Francescanetroviamo questa accorata esortazioneai frati nei confronti dei sacerdotinon proprio irreprensibili:«Coprite i loro falli, supplite i vari difetti,e quando avrete fatto questo, siatepiù umili ancora» (2Cel 107,146).Immagine sacramentaledel SignoreIl senso ecclesiale di Francesco coglieprofondamente la funzione essenzialedel sacerdote per la Chiesa. Soloi sacerdoti – cioè preti e vescovi – possonoconsacrare il Corpo del Signore eoffrirlo ai fedeli. Non importa se sianopiù o meno sapienti, intelligenti, persinosanti: tutti i sacerdoti, per Francesco,sono ugualmente l’immaginesacramentale del suo Signore. L’umilefraticello richiama a tutti la fede dellaChiesa: i sacerdoti nel loro ministerodi santificare, agiscono nella personadi Cristo, lo rendono presente.Questo motivo eucaristico a Francescobasta. <strong>La</strong> contemplazione el’adorazione dell’eucaristia sono dunquealla base dell’atteggiamento diFrancesco verso coloro che amministranotale grande mistero.Da questa angolatura dobbiamocomprendere il suo desiderio, dagliesiti esagerati e quasi balzani, checomunicava anche ai confratelli,come testimonia la Leggenda deiTre compagni: Francesco voleva che«fossero onorati in maniera partico-


segreto - misterocosì fondante della “nuova” umanitàa noi donata in Cristo, che tutta la vitaumana assume la tensione di estenderea tutto e a tutti il perdono ricevuto,nella condivisione comune. Così si faesperienza di essere solidali con i sentimentidi Dio e si può vivere effettivamentenella comunione con lui, senzabisogno alcuno di rivendicazione. Èil segreto della felicità dei figli, che siriconoscono fratelli nella comunionecon la premura e la gioia del padre.parola chiavedel cuore, visione di sé, di Dio, delmondo, nella fede; allude alla rivelazionedi Dio che parla al nostro cuoresotto l’aspetto della sua volontà diamore per noi.Di per sé, la loro enunciazioneè valida per tutti, allo stesso modo.Eppure, nulla suona in modo ugualedavanti ai cuori. Nessuno prende lestesse cose allo stesso modo. Così,per ciascuno vale il suo mistero e ilsuo segreto. Evidentemente, non nelsenso che il mistero e il segreto sonofatti su misura di ciascuno, ma solonel senso che ciascuno è chiamato avivere personalmente lo stesso misteroe lo stesso segreto. Le connessioni trail mistero e il segreto vanno scopertepersonalmente.Prendiamo, ad esempio, la paraboladel figlio prodigo o, meglio, delpadre misericordioso, raccontata daLc 15,11-32. È chiaro che la comunionecon il padre resta il segreto dellafelicità dei due figli. Ora, cosa sarebbesuccesso se il figlio minore, ritornatoI sogni dell'uomo hanno in Dio le loro radici.pentito, si fosse stizzito per l’atteggiamentodel fratello maggiore chenon poteva accettare quel trattamentodi riguardo del padre a suo favore?Se avesse preteso comprensione anchedal fratello maggiore, sarebbe statosincero nel suo pentimento verso ilpadre? E se il figlio maggiore si fossesentito solidale con il padre nellasua gioia, avrebbe potuto rivendicarequalcosa per sé? Evidentemente nonsi è mai trovato, insieme al padre,durante tutto il tempo dell’assenza delfratello, a dire: “speriamo ritorni …speriamo non gli capiti qualcosa di irreparabile…”. Il punto è esattamentequesto: stare solidali con il padre, conla sua premura e la sua angoscia, perpoter godere della sua gioia. È questala comunione con il padre, il segretodella felicità dei figli.Se san Paolo proclama che il ministerodella chiesa è la riconciliazione,vuol dire che l’esperienza fondamentaledell’uomo è l’accoglienza del perdonodi Dio, in Cristo, esperienzaIl segreto della vitacui aneliamoOra, se il punto centrale della storiaè questo, non sta forse qui il segretodella vita a cui aneliamo e cheil vangelo descrive come la scopertadella gioia? Gioia, che ti fa venderetutto per non perderla, per cui lafatica moltiplica le risorse, nella cuicondivisione trovi il segno dell’operadello Spirito Santo, il cui spuntarerivela la vicinanza del Regno. Ma - èil perenne ‘ma’ di fronte al mistero diDio e della vita stessa - di quale gioiasi tratta? L’apostolo Giacomo (Gc 1,2)e san Francesco di Assisi parlano diperfetta letizia, ma in un contesto chesuscita timore in noi. Si può essere lietiquando si è oltraggiati? Eppure!… Aognuno scoprire le vie per le quali laletizia, contenuto della promessa diDio, può sgorgare dal fondo del cuore.Credo sia il senso di un vero percorsodi vita spirituale.Quando Gesù, alla fine del vangelodi Matteo proclama: «Mi è statodato ogni potere in cielo e in terra»(Mt 28,18) si riferisce ad un duplicepotere: anzitutto, dalla parte di Dio, alpotere di rivelare il vero Volto di Dio,espresso dalle parole di Giovanni cherisuonano allora in tutto il loro realismo:«Dio, nessuno lo ha mai visto:il Figlio unigenito, che è Dio ed è nelseno del Padre, è lui che lo ha rivelato»(Gv 1,18). In secondo luogo, dallaparte dell’uomo, si riferisce al poteredi compiere i desideri dell’uomo, disoddisfare la sua fame di conoscenza edi relazione in pienezza e verità.gennaio/marzo 2010 11


parola chiavefinestra aperta<strong>La</strong> richiestadell’unico necessarioRecitando il Padre Nostro non ciaccorgiamo che quello che diciamoper primo in realtà è il punto versocui aneliamo. E per noi l’espressionediventa veritiera e significativa dopoaver compiuto il percorso che indicala preghiera dal fondo al principio:liberi dal male e dalla tentazione, perchéabbiamo un cuore risplendentedel perdono offerto ai nostri fratelli,per la misericordia ricevuta e peressere un unico corpo con il SignoreGesù che è diventato nostro cibo,sapienza e gusto, capaci di compiere ilvolere di Dio vivendo il mistero dellafraternità nella potenza dello Spirito,facendo risplendere in tutta la suagloria la santità di Dio, che si rivelacome Padre di noi tutti, come Padredel Figlio suo Gesù Cristo. Ed è appuntoin lui che possiamo compieretutto il percorso per avere la vita, lavita vera.Per questo, ogni richiesta che innalziamoa Dio, in ultima analisi, nonsi risolve che in questa: dacci il tuoFiglio diletto; dacci di accogliere, diconoscere, di compatire, di vedere, distare e di soffrire con, di godere, diNasciamo uomini ma dobbiamodiventare umani, proprio sullo stile dellavita vissuta da Gesù.amare questo Figlio diletto che per primoamò noi. Fino a poter dire, con Paolo:«Sono stato crocifisso con Cristoe non sono più io che vivo, ma Cristovive in me»” (Gal 2,20). Poter dire:Cristo vive in me, significa vivere ilcompimento della promessa di Gesù:«Se uno mi ama, osserverà la miaparola e il Padre mio lo amerà e noiverremo a lui e prenderemo dimorapresso di lui» (Gv 14,23), espressioneche nella tradizione ha condensato ilsenso e lo scopo della “vita virtuosa”:vivere della stessa vita di Dio, in Cristo,assunti in quell’amore di Dio checostituisce il dono divino della vita,facendo il bene come compimentodi un’umanità dove la presenza diDio risplende. Significa riferirsi a unuomo che realizza la sua vocazioneperché gode, sul versante divino, diquella pienezza alla quale agogna e,sul versante umano, di quella umanitàsenza divisioni di cui ha nostalgia.Nostalgia di vita pienaQui possiamo comprendere i sognidell’uomo perché in Dio hannole loro radici. Perché – e la cosa sorprendenon poco – se il cuore dell’uomo,nelle sue fibre più intime, è fattoad immagine di Dio, allora vuol direche ha anche nostalgia dei comportamentisecondo Dio, che proprioGesù rivela con il suo agire e il suoparlare.È caratteristico che nella tradizionela disposizione di spirito richiesta percomprendere le Scritture sia definitain rapporto alla carità. <strong>La</strong> carità è intesacome dono della vita, manifestazionedella santità di Dio nel mondo.In questa carità, accolta e condivisa,l’uomo conosce l’estensione della suavocazione all’umanità; umanità, chevede risplendere nel Figlio di Dio fattouomo, di cui tutte le Scritture parlanoperché in lui si rivela il segreto di amoredi Dio per i suoi figli. ■1Sacerdote dal 1972, vive nella Comunitàdei Fratelli Contemplativi di Gesù in Capriatad’Orba (AL), diocesi di Alessandria.di Luca Moscatellibiblista della diocesi di MilanoIn continuità con le riflessioni ele testimonianze che nei numeridella scorsa annata hannoaperto la nostra finestra sul mondodell’immigrazione, ci lasciamoprovocare dalla Parola che vedechi annuncia un discepolo itinerante,in movimento, come lo è statoGesù.Le immagini che ci accompagnanosono la “strada” e la “casa”,luoghi naturali che abbiamo frequentatofin dagli inizi della vita,luoghi che ci hanno generato e fattocrescere, luoghi che Gesù ha trasfiguratocon la sua presenza e lasua parola. Abitando strade e caseGesù ha invitato i suoi discepoli afare altrettanto, a non isolarsi adaccompagnare le partenze i rientridi tanti fratelli e sorelle.Il discepolo di Gesù è inquieto.Può esserlo perché è pur semprefiglio di questo tempo un po’ disperato.Ma lo è comunque, perchéabitato da un anelito che nonpuò trovare pienezza in alcunarealtà che non sia l’infinito amoredi Dio: «Il mio cuore è inquieto, oSignore, finché non riposa in Te»(Agostino, Le confessioni). Il discepoloè inquieto, però, anche perchéè stato chiamato per una missioneche non può aspettare e che deveessere fatta ora. È in questione lasalvezza del mondo, e dunque sitratta di vita o di morte. E se è veroche a salvare ci pensa Gesù, è purvero d’altra parte che il Maestro havoluto associarci alla sua missione12gennaio/marzo 2010


Itineranti per il vangeloDiscepoli diun Maestro senza casaquali annunciatori di questasalvezza.L’inquietudine per l’annunciodel vangelo ha portatol’apostolo Paolo quasiovunque nel Mediterraneo,che ancora alle soglie delmartirio meditava altri viaggi.Sentiva un imperativoassoluto dentro di sé: «Nonè infatti per me un vantopredicare il vangelo; è undovere per me: guai a me senon predicassi il vangelo!» (1Cor 9,16). Questa urgenzanasceva dall’incontro con ilSignore risorto e dalla gratitudinedi essere stato immeritatamenteamato e scelto.Perciò l’annuncio del vangelo,seppure accompagnatoda grandi prove e perfinoda persecuzioni, era per luifonte di gioia: così si sentivain comunione con Cristo,e sapeva di essere parte delgrande disegno salvifico diDio per tutti. Contribuire asalvare una vita... Vedere rinascerela speranza e l’amore...Ci può essere qualcosadi più grande e di più belloal mondo?È questa la missione cheanche oggi Gesù ci affida,una missione che ci obbligaad andare, a uscire, a faredi precarietà e provvisorietàdei valori importanti.<strong>La</strong> provocazionedell’itineranzaA leggere il mandatomissionario (cf. Lc 9, 1-6)con il quale Gesù fa dei suoidiscepoli dei «camminatori»che girano di villaggioin villaggio, c’è comunqueda chiedersi se per caso lanostra chiesa non sia unpo’ troppo «chiusa in casa»,e se la nostra educazionedei figli non li costringaeccessivamente astare «nei dintorni». A unachiesa sedentaria la provocazionedell’itineranza ha diche apparire fastidiosa, magiunge senz’altro opportunaoffrendo l’occasione perriappropriarsi di qualcosadi essenziale. Insomma, seil giusto bisogno di una casapuò degenerare in chiusurae quello della strada puòcondurre alla dispersione,entrambi sono necessari. Ilvangelo però stabilisce unapriorità: si vive e si crescesoprattutto per strada.È Gesù stesso che, conla sua scelta missionaria eil suo essere maestro itinerante,ce ne rivela il valore.In trent’anni circa Gesù hamaturato la consapevolezzadella sua missione. Primadi tutto vivendo. Potremmodire che ciò che gli èapparso necessario gli si èmanifestato «per strada», apartire da una semplice certezzache dice tutto l’amoredi Dio: «sono venuto perchéabbiano la vita e l’abbianoin abbondanza» (Gv 10,10).<strong>La</strong> vita degli uomini è laprima preoccupazione dellamissione di Gesù. Questastessa preoccupazione dovrebbeprecedere e guidareogni impresa evangelizzatrice.«Il tempo è compiuto!»(Mc 1,15): Gesù indica unapprodo, una definitività.Una «casa»... Ma essa nonè luogo né stato («perfezione»),bensì intenzione,senso (direzione) e promessa,azione benedicente checontinua, prossimità di Dioalla quale occorre «credere»,cioè concedersi ogni voltadi nuovo.Discepoli itinerantiGesù sceglie di essereun Maestro itinerante. Subitoperò cerca discepoliche lo accompagnino nellasua missione (cf. Mc 1,16-20). Gesù fin dall’inizioassocia alla missione altriperché prende sul serio lasua umanità limitata. Nonsi è incarnato «per finta»;perciò non ci sarà per sempre(anche se continuerà aesserci) e non può fare tuttoda solo (anche se continueràa fare). Siccome si muove,i suoi dovranno tenerglidietro. Ma nell’imperativodella sequela – «seguitemi!»–, reso necessario dalla suaitineranza, c’è una densitàche è bene sciogliere unpoco.<strong>La</strong> prima conseguenzadella scelta di Gesù dimuoversi è che nessunopuò bussare alla sua portacome facevano quelli chechiedevano di essere accoltida qualche maestro conosciuto.Come da sempre fasuo Padre, anche il Figliosi mette a cercare e a chiamare.E’ lui a bussare alleporte. E lo fa presentandosi,inevitabilmente, comeuno sconosciuto. Questo èil tratto fondamentale delsuo amore misericordioso,la sua «condiscendenza», ilsuo «farsi prossimo» compassionevole,venendo daaltrove. Perciò Gesù potràessere conosciuto solo seguendoil movimento dellasua ricerca degli uomini eponendosi nel medesimodinamismo: chi è stato «pescato»da Gesù verrà costituito«pescatore», chi è statoraccolto dalla compassionedivina sarà reso capace dicompassione: muovendositroverà fratelli tra i bisognosie ri-troverà sempreDio nell’attorcigliarsi deivisceri davanti all’esistenzaoffesa. Qualunque vita essasia, e in qualsiasi modo siastata ferita.Itineranza e vangelo«Seguitemi», poi, indicauna priorità: seguite me. Dauna parte questo significache i discepoli dovrannosempre porsi davanti Gesù.Nessuno sarà per loro tantoimportante nella vita e nellescelte (ma anche nelle necessità,nelle disgrazie, ecc.)che essa comporta. D’altraparte il seguire rende evidentecome essi siano statigià sempre preceduti. Accettanocosì di essere guidati,la qual cosa implica unaduplice ammissione: di nonconoscere la direzione miglioredel cammino e di nonsapere quanto tempo sarànecessario per raggiungerela meta.finestra apertagennaio/marzo 2010 13


finestra apertaL’itineranza non sembraessere una condizionedel tutto contingente,o soltanto funzionale, deldiscepolato. Al contrario,essa costituisce elementoessenziale per l’apprendistatoe l’approfondimentodel vangelo.L’incontro con Gesù,che avviene in molti modi,non smette di forzare le portechiuse delle nostre paure,incomprensioni, pigrizie. Cistana e ci manda lontano, facendociconoscere tra l’altrouna libertà più grande. Sedavanti alla croce possiamosperimentare una sorta diparalisi, la visita del Risortoscardina il nostro immobilismoe ci ricolloca nel dinamismodell’invio che ha perscopo il perdono dei peccatie la pace: «Pace a voi! Comeil Padre ha mandato me,anch’io mando voi. Dopoaver detto questo, alitò su diloro e disse: Ricevete lo SpiritoSanto; a chi rimetteretei peccati saranno rimessi ea chi non li rimetterete, resterannonon rimessi» (Gv20, 21-23).Contro la tentazionedella chiusuraTornati alla sequela edunque all’itineranza, eccocirestituiti alla condizionenella quale possiamo serviremeglio a noi stessi e aglialtri. Ritroviamo Gesù egrazie a lui e con lui ci mettiamoalla ricerca del beneper tutti. Se infatti Gesùavesse deciso di «posare ilcapo» da qualche parte, econ lui i suoi, saremmo rimastichiusi nella piccolacasa della nostra miseriasenza speranza. Per questoil vangelo è strutturato secondola forma di una sequelae disseminato di invitiall’itineranza, a lasciare, apartire, a uscire...Eppure la tentazione difermarsi, di dimorare, distabilirsi da qualche partenel “già conosciuto” e nel“si fa sempre così” fu fortee venne patita subito. Alpunto che, nonostante ilcomando di Gesù di andarefino agli estremi confinidella terra (At 1,8), la comunitàdei discepoli si aggreganella città santa senzaprogettare alcuna missione.Sarà la persecuzionea indurre a partire (At 8,1-4). E quella dispersioneoffrirà subito occasione diannuncio, segnando il momentodi nascita di nuovecomunità.Del resto, se siamosemente dovremo pur esseresparsi. Per questo laScrittura attesta, ed è belloe consolante, che spessola missione degli apostolisi scopre già anticipata daanonimi annunciatori. Comequei primi profughi daGerusalemme. Ma cometanti che per ragioni piùnormali hanno occasionedi muoversi: commercianti,marinai, soldati, schiavi,ecc. E perché no, oggi ancheturisti.(continua)finestra aperta«C’è anche un colonialismo ambientale»Un missionario comboniano nella Repubblica democratica del Congo commenta ilmessaggio del Papa per la giornata mondiale della Pace 2010.Nel messaggio per la giornata della pace 2010 il Papausa quattro o cinque volte il termine «sfruttamento».Cioè quell’uso sconsiderato ed egoistico della natura fino acorrere il rischio di distruggerla e di diventare vittime delladegradazione di cui si è stati causa. Uno «sfruttamento»non corretto delle risorse causa inquinamenti e rifiuti difficilida gestire, nuove malattie fino alla distruzione totale dellavita. Dio ha messo la natura a nostra disposizione nonperché ne facciamo quello che ci pare, ma perchè la custodiamoe la coltiviamo. Bellissima la citazione di Eraclitodi Efeso, del quinto secolo a.C.: la natura è a nostra disposizione,ma non «come un mucchio di rifiuti sparsi a caso».L’attuale ritmo di «sfruttamento» mette seriamente in pericolola disponibilità di alcune risorse naturali; e non rispettail piano di Dio, che «ha destinato la terra e tutto quello cheessa contiene all’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli».«<strong>La</strong> comunità internazionale ha il compito imprescindibile ditrovare le strade istituzionali per disciplinare lo “sfruttamento”delle risorse non rinnovabili, con la partecipazione anchedei Paesi poveri, in modo da pianificare insieme il futuro».Il dibattito sulle risorse naturali è più vivo che mai, in questeregioni dell’Africa. <strong>La</strong> Repubblica Democratica del Congosi prepara a celebrare l’anno prossimo, assieme ad altri16 Paesi africani, i cinquant’anni d’indipendenza. Finital’epoca coloniale, finito lo sfruttamento presentato a voltecome opera di «civilizzazione», finita la dipendenza ancheculturale. Si entrerà finalmente in un mondo nuovo, dovei rapporti saranno regolati nel rispetto del principio che idiritti sono uguali per tutti! Sogni e propositi che decine dicolpi di stato e conflitti con milioni di morti si sarebbero incaricatidi vanificare nel corso di questo mezzo secolo, malasciando la porta aperta a uno sfruttamento delle risorse(foreste, miniere, ecc.) raramente rispettoso dell’ambientee del progresso della gente. Siamo proprio chiamati a unaspecie di conversione. Come ha detto il Dalai <strong>La</strong>ma: «Ilmondo è diventato così piccolo che nessuna nazione puòormai prendere decisioni isolata dalle altre».Neno Contran, da Missionline14 gennaio/marzo 2010


in camminoRisonanze dall’Assemblea quadriennale dell’Egitto-Sudanil dono da ravvivare<strong>La</strong> grazia di lavorare nella vigna del Signorein camminoa cura della RedazioneLe sorelle convenute dal 23 al 30gennaio 2010 riflettono sul vissutoe individuano spunti di programmazioneper il quadriennio 2010-1014alla luce del tema della IX Assembleadi Delegazione: “Ravviva il dono cheè in te; anime cerca da Dio: la grazia dilavorare nella vigna del Signore”.Siamo arrivate a Maghagha il 23gennaio, da varie parti, attraversandoil deserto arido e freddo; abbiamotrovato accoglienza e calore, atteggiamentiche hanno trovato concretaespressione nella preghiera di apertura,nei segni dell’acqua, che ristora eridà energia, e del fuoco che illuminae riscalda.I momenti più significativi dell’Assembleasono stati gli spazi dati allapreghiera.Aver sostato in riflessione personalesul testo della seconda lettera a Timoteo1, 6-12.14 ci ha aiutato a capire cosaci è stato affidato; in meditazione conmadre Elisabetta abbiamo cercato dicomprendere e interiorizzare il significatodelle parole: «Anime cerca a Dio»(nelle foto in basso).<strong>La</strong> relazione della Superiora delegata,suor Margherita Nebar, sulvissuto della delegazione, e quelladell’economa, suor Chiara Ishak, cihanno offerto tanti spunti di studio elavoro.Gli interventi da parte del vescovolatino padre Adel Zaki e di padre MiladSidky, lazzarista, sono stati arricchentie hanno contribuito a creare un climadi fiducia, reciprocità e impegno.Un momento del tutto particolareè stato la comunicazione della nominadella nuova Delegata, suor Soad Youssef:tra emozioni, gioia e trepidazione,insieme a molta gratitudine per suorMargherita Nebar che ha concluso ilsuo mandato. Altrettanto significativa,nel proseguo dei lavori, è stata lacomunicazione dei nomi delle sorelleche collaboreranno nel Consiglio con lasuperiora delegata, suor Soad: suor FaizaIshak, suor Alfonsina Derias, suorMaria Peruzzo (nella foto in alto).A suor Clara Nardo, consigliera, ea suor Chiara Ishak, economa, è statorivolto il nostro grazie a conclusionedel loro servizio.Il 29 gennaio madre Margherita siè congedata dall’Assemblea per altriimpegni, con un po’ di rammarico daparte di tutte perché aveva presiedutol’Assemblea in modo discreto, aiutandocia mantenere un clima di serenità.Quindi, con la guida di suor PaolaFuregon, siamo andate verso laconclusione, ottimizzando il tempo;abbiamo individuato, tra tutto il materialeprodotto, orientamenti e strategieche ci accompagneranno nel camminodei prossimi quattro anni.Con l’invito di Gesù: «Prendete illargo» guardiamo avanti, mettendociin gioco. È tempo di cambiamento, dilavorare per crescere e maturare, sicureche lui è con noi.Un grazie particolare vogliamoesprimere alle sorelle della comunitàdi Maghagha che ci hanno fatto sentirea casa e a tutte le sorelle della famigliaelisabettina che ci hanno accompagnatocon la preghiera.suor Maria Peruzzoe suor Pierassunta IvanConvenute all’appuntamentodell’Assemblea con orari, strade,mezzi diversi, ci siamo sentite subitoanimate da uno stesso desiderio: incontrarciper riflettere, intraprenderein fraternità un altro percorso missionarioelisabettino.Dopo un inizio in cui ha avutomolto spazio lo Spirito Santo, presentesotto il simbolo del fuoco acceso nelbraciere con una torcia dalla Madre(foto in basso a sinistra), presidentedell’Assemblea, siamo entrate nellasala dove avremmo svolto i nostri incontri,entusiaste, commosse e compreseper il momento di verifica edi rilancio che ci attendeva. Dopo lapreghiera e il saluto, abbiamo vissutola solenne apertura con l’appellodelle diciassette delegate partecipantiall’Assemblea.Lo spirito di fraternità, l’impegnodel convenire, la collaborazione eranovisibili in tutte. Meravigliosa e significativala presenza delle giovani suoreche partecipavano per la prima volta aquesto evento della delegazione.I giorni si sono susseguiti con ritmointenso ma sereno. Lo studio, gliinterrogativi, la revisione circa la formazionealla vita elisabettina, la nostrapresenza apostolica in Egitto-Sudan e15


in camminoil servizio di autorità in Delegazionehanno condotto, alla fine, a proposteconcrete, con priorità scelte per gliorientamenti e le strategie. Tutto questolavoro ci ha visto impegnate, fedelie responsabili per essere poi in gradodi trasmetterne i contenuti a tutte lesorelle della Delegazione.suor Anna Maria CaporaleL’obiettivo principale dell’Assembleaè stato quello di dare uno sguardoalla vita degli ultimi quattro anni e alpresente, per progettare il futuro, ravvivandoil dono grande che è in noi e metterloa disposizione di Dio e dell’uomo.È stata una esperienza forte toccarecon mano i problemi e nello stessotempo avere anche la speranza che ilSignore ci guida con il suo Spirito perincarnare il carisma donato a madreElisabetta e oggi operante in noi.In modo particolare nel momentodella presentazione della nuova Delegatac’è stata un’esplosione di affetto edi comunione da parte di tutte noi.Il lavoro, sia a livello di piccologruppo sia a livello di assemblea,ha permesso a ciascuna di esprimerequello che pensava con gioia e libertà.<strong>La</strong> presenza di madre MargheritaPrado e di suor Paola Furegon è statapreziosa; ci hanno aiutato a lavorarecon serietà e tenacia, per questo siamoloro riconoscenti.suor Badreia AtefL’Assemblea è stata accompagnatadal simbolo del fuoco, luce che illuminae convoca in ascolto orante dello Spirito,con slancio rinnovato; lo Spirito sirivela come principio di comunione,fonte di trasformazione interiore, guidaper il nostro futuro nella speranza.Ogni giorno l’abbiamo invocatocon la preghiera dell’Assembleaperchè ci facesse capaci di un veroascolto. Nella sala dell’incontroera presente l'immagine della madre,beata Elisabetta Vendramini, nostromodello e guida.Abbiamo vissuto una profondaesperienza di comunione, di fraternità,di confronto con il carisma, nella situazioneattuale del nostro cammino.Si è respirato un clima di tranquillità,ascolto, dialogo e crescita, nellaconsapevolezza di essere famigliachiamata oggi a vivere come segno diamore e di speranza. In questo ci èstato di aiuto l’ambiente preparato concura e amore.Nel corso del lavoro è emerso intutte noi il bisogno di rinnovare la vitanella fedeltà alla vocazione, di tornareal primo sì, per riprendere coscienzadel dono che è dentro di noi, rinnovandolomediante l’approfondimentoe l’assimilazione delle Costituzioniperché siano sempre più comprese evalorizzate, assunte come progetto divita che indica il cammino di santitànello stile elisabettino.Ora lo Spirito ci aiuti a intraprenderecon coraggio e audacia camminidi conversione, per ravvivare il nostrodono, convinte che la conversioneavviene non tanto attraverso le idee,quanto attraverso l’impegno e la fiduciareciproca.L’Assembra, oltre alla riflessionesul tema, ci ha visto come in un laboratorioper stilare gli orientamenti e lestrategie per il prossimo quadriennio.Alle nostre Superiore grazie dellaattenzione e della fatica nel guidarel'Assemblea con generosità.suor Faiza MarzoukMie care sorelle,voglio condividere con voi la mia gioiaper la grande esperienza fatta nell’Assembleadella Delegazione Egitto-Sudan;per me era la prima volta .Avevo sentito tante volte parlaredell’Assemblea e percepivo da tanti segniche si trattava di un evento grande.Quest’anno, quando sono stati comunicatii nomi delle partecipanti eho visto che c’era anche il mio, sonostata contenta. Mi sono messa subito aconfezionare piccoli oggetti per le partecipanti,preparandomi con la letturadegli Atti dell’Assemblea precedente.Dentro di me ardeva un fuoco digioia, ben simbolizzato dal fuoco accesodalla Madre generale in aperturadell’Assemblea, mentre tutte cantavamo:Tu sei vivo fuoco.In processione siamo salite verso lafonte; c’erano tante giare vuote avvolteda una rete, che la Madre ha consegnatoa ciascuna. Ogni giara rappresentavaciascuna di noi, creature fragili, masostenute da tutta la famiglia (e questol’abbiamo sentito) e pronte a riceverequello che lo Spirito avrebbe suggerito.Il tema dell’Assemblea - Ravvivail dono che è in te - ci ha accompagnatoper tutto il tempo, in un continuo lavoroper ravvivare la fedeltà del primo sìal Signore e alla Congregazione, in untempo che cambia e cammina, dentrogli impegni, nel lavoro apostolico econdiviso in fraternità, sentendosi ciascunadono per l’altra.Ringrazio il Signore di questa esperienzavissuta; mi ha tanto arricchito emi impegna a incarnare il carisma ea cercare anime come bramava madreElisabetta, perché sono questi gli interessidi Gesù.suor <strong>La</strong>ura Makariin camminoUn gruppo al lavoro; il gruppo dopo la celebrazione del 29 gennaio; il servizio di cucina e di cura della casa.16


alle fontiRaccogliendo l’ereditàL’ultimo viaggioCelebrare con amoredi Paola FuregonstfeIn punta di piedi1-2 aprile 1860. Entriamo nellastanza al primo piano di contrada degliSbirri (propriamente, contrada 1,Androne 4856): madre Elisabetta giaceinferma ormai da tempo. Le suore attornoal suo letto, in preghiera, stannovivendo i suoi ultimi istanti terreni.Da tempo il suo corpo è tormentatoda sofferenze e costretto quasi all’immobilità;il respiro è spesso affaticato,tuttavia il suo sguardo è vigile, attento,il suo cuore è con le figlie e per le figlie.Alle suore che si alternano accanto a leirivolge parole di riconoscenza e di incoraggiamentoalla fedeltà. Il viatico, ricevutoproprio la domenica delle Palme, èl’ultimo incontro con Gesù eucaristia,prima di quello definitivo, eterno.A suor Fortunata Battaggia, suavicaria e fedele collaboratrice, si struggeil cuore. Sente vicina la fine manello stesso tempo spera che il Signoreabbia pietà della sua comunità, privataappena da un anno del padre spiritualee direttore don Luigi Maran.<strong>La</strong> fatica della consegna di sèGli ultimi anni di vita di ElisabettaVendramini sembrano tradurrein filigrana la vicenda della sposa delCantico.Oppressa dalle sofferenze procuratedal progredire della malattia 1 , vive nelsuo spirito le pene della purificazioneinteriore: «Sul mio letto, lungo la notte,ho cercato l’amore dell’anima mia; l’hocercato, ma non l’ho trovato» (Ct 3,1).1938 - primo santino conpreghiera per ottenere grazie.Leggiamo nel Diario di Elisabetta:Sono quasi sempre spaventata datristissime e desolanti viste di quantoavrò da soffrire nell’ultima malattia:mi si mostra l’impazienza, le ire mie sìper li mali del corpo che per le viste delfuturo che mi aspetta, con l’impossibilitàdi sostenere gli assalti dell’inferno,delle tentazioni da cui sarò sbattuta.Ah! se non sapessi per prova chi io siain qualche improvviso assalto, in saluteessendo, che sarà quando anima e corposaranno esauste, languide e moribonde?In questi assalti mi sorresse il Signore,e dissi al nemico: Quello che sempre miaiutò in vita mi aiuterà ancora in lottetali, e da ciò un raggio di speranza misollevò alquanto e voglia Iddio farmisempre così rispondere 2 .Con l'avanzare della malattia aumentanoi momenti di aridità spiritualesegnati da brevi respiri in Dio.Altri sono segnati da esperienze di altacontemplazione.Ab aeterno io!... io fui da te amatae voluta all’essere nel tempo? […] Deh!amor eterno, ricevi fra le tue bracciaquesta prodiga, questa cieca, e risanala.Non negarle quell’amore che ti deve.Tienmi ben stretta nelle tue paternebraccia, nelle quali io per sempre miabbandono, braccia divine ripiene diquanto mai può desiderare un’anima davoi e per voi creata; non me le allontanatemai! Siano sempre queste finché ioviva il luogo del mio riposo in qualsiasistato, penoso o doloroso, chiaro o tenebrosoin cui possa trovarmi! Amor eterno,esaudisci chi vuole te solo nel tempoe nell’eternità 3 .L’orazione di oggi versò sopra questiriflessi: Dio Tutto, io niente. Che paradisie che beni saziativi non mi apportòtale chiara veduta! Oh ricco niente,come ricco sei nelle mani di Dio! […]Dio Tutto! mai, mai da me si parta lavista del mio niente che a quella del mioTutto mi porta! 4 .Oggi amai il mio Dio! Che vita, chesorte! Ah potessi esser sempre in atto diamore! Ma di qual amore? Di quelloche Dio solo può intendermi. Venga, sì,questo Amore! 5 .Avvicinandosi la morte si trova avvoltanelle tenebre dell’abbandono: Iomi trovo da qualche giorno in tenebredesolatorie, perché mi mostrano una finedisperata. I mali del corpo si unisconoal detto stato, e come mi torturano! <strong>La</strong>fede, da più anni in me semispenta, è orada me lontana come il cielo dalla terra.Io mi vedo lasciata in mano delle tenebre[…]. Sono chi sono, e perciò ben castigataanticipatamente. Signore, pietà! 6 .È l’ultima sua espressione scrittaconsegnata alla guida spirituale, padreBernardino da Portogruaro: tenebre eluce, timore e speranza, desolazione efiducia… la lotta infine si placa tra lebraccia del Padre, come aveva invocatonel 1858.L’ incontroPoco prima dell’ultimo respiro ilvolto si illumina – lo racconta unasorella presente – e: «Gesù, Maria,Giuseppe: quale consolazione!», sonole sue ultime espressioni.«Ora l’amato mio prende a dirmi:“Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni,presto! Perché, ecco, l’inverno è passato,è cessata la pioggia, se n’è andata; ifiori sono apparsi nei campi, il tempodel canto è tornato e la voce della tortoraancora si fa sentire nella nostra campagna”.Infine trovai l’amore dell’animamia. Lo strinsi forte e non lo lascerò»(Ct 2,10-12; 3,4).È di primavera l’incontro, dopo uninverno lungo e freddo. All’alba del 2aprile, lunedì santo.Ricordando questi istanti vorremmoentrare nel suo intimo per coglierealle fontigennaio/marzo 2010 17


alle fontiancora un messaggio, un frammentodel suo vissuto mentre va incontro alSignore per poterlo godere e possedereper sempre, ed essere in lui benedizioneper i figli lontani. Ma resta unmistero, un segreto tra l’anima e il suoDio di cui noi possiamo solo intuirequalche scintilla.<strong>La</strong> Madre viveIl suo corpo viene esposto al pianoterradella casa: i poveri sono i primi adaccorrere a renderle omaggio.Due giornidopo, il 4 aprile,mercoledìsanto, si celebrail funerale nella chiesa parrocchiale diSanta Maria del Carmine con grandeconcorso di popolo. Con il parroco delCarmine sono presenti dieci sacerdoti,riconoscendo in Elisabetta l’emblemadella carità. Presente anche il podestàdi Padova, Francesco De <strong>La</strong>zara.Quindi, la sepoltura al cimitero maggioredi Padova accanto alla fila doveera stata deposta la salma di don LuigiMaran.Poi, un silenzio che colpisce, finoalla disattenzione di chi ha effettuatol'esumazione secondo le leggi della poliziamortuaria, per cui i resti mortalivengono riposti nell’ossario comune eperciò dispersi.Ben opportunamente è stato interpretatoquesto fatto: «<strong>La</strong> Madre, quellamorta, aveva fatto perdere le traccedi sé: quella vivente, perché andarla acercare tra i morti?» 7 . ■1Affezioni reumatiche-artritiche che causerannola morte per ipertrofia del cuore condilatazione del ventricolo sinistro: così la tabellamedica firmata dal medico curante.2Diario 14-15 giugno 1856.3Ibid., 24 settembre 1858.4Ibid., 31 gennaio 1860; il testo, e i branisuccessivi, è contenuto anche in Epistolario,pp. 945-946, nella Resa di conti a padre Bernardinoda Portogruaro, inviata a lui pochi giorniprima della morte.5Ibid., 2 marzo 1860.6Diario, 20 marzo 1860.7Dar i o Pi l i, Elisabetta Vendramini,1990, p. 119.alle fontiPIEDIDIRITTIPiedi diritti: il LogoPiedi diritti... impariamo anche noi attraversoquesto percorso a “camminare dritto”chiedendoci quali sono le nostre convinzioniprofonde e da che cosa sono sostenute, se siamo in grado di“stare in piedi da soli” e “camminare sulle nostre gambe”.I piedi ci permettono di:“fare strada”, passo dopo passo, con costanza, pazienzae tenacia anche quando si fa fatica, magari quando si cammina“controcorrente”;stare bene con “i piedi per terra”, anche se si segue unideale nobile;andare avanti “stando al passo” con chi è più svantaggiato,senza calpestare l’oppresso e senza alzare il piedecedendo alla violenza, al diritto di imporsi…<strong>La</strong> Bilancia rappresenta i diritti, che, insieme alla giustizia,richiamano la “legge”, un codice da seguire affinché i dirittisiano garantiti...Il rispetto della legge presuppone una certa “disciplina”(così come quella a cui un atleta o un attore o un cantante…deve sottoporsi) che non deve però mai perdere di vistal’equilibrio; ogni diritto può esistere solo se c’è un equilibrioaltrimenti si verifica uno “sbilanciamento”.Se vogliamo camminare con i piedi diritti è necessario stabilireun equilibrio innanzitutto in noi stessi domandandoci qual sia il“codice di vita” che stiamo seguendo e chi sia il nostro “personaltrainer”; anche l’andare verso l’altro comporta un equilibrio, sevogliamo che gli sia garantito il diritto basilare di essere personacon la sua dignità, specialmente se “l’altro” si trova in una situazionedi disagio non ci è immediato pensare di essere “sul piattodella stessa bilancia” ossia di essere entrambi persone.suor Maria Pia RefoscoIn cammino da Bassano a Padova18-20 aprile 2010a cura di Paola Rebellato stfeCelebrare è fare memoria, rendere presente un passatoche ha lasciato una traccia. Una prima celebrazione dei 150anni della morte della beata Elisabetta Vendramini si farà conun pellegrinaggio a piedi da Bassano del Grappa a Padova,iniziativa rivolta prevalentemente ai giovani ma anche gli amicidi Elisabetta e delle elisabettine.Da Bassano a Padova: rivivremo il percorso che portòElisabetta il 4 gennaio 1827 dalla sua terra natale, dove pensavache Dio volesse la nuova famiglia religiosa, a Padovadove, con l’aiuto del diocesano don Luigi Maran, realizzò lasua intuizione.Nel corso dell’itinerario sono previsti momenti di riflessionesulla persona di Elisabetta, sulla traduzione in opere delcarisma di fondazione e sulla solidarietà a noi chiesta oggi.Lo facciamo camminando perché il contatto con la terraci aiuta nella riflessione sull’opera di Elisabetta, traduzioneconcreta delle scintille di amore che la misericordia del Padrele donava, svegliando in lei creatività e coraggio.Camminiamo con lei, con le sue stesse convinzioni profondesulla dignità dell’uomo, di ogni uomo e di ogni donna,sui diritti che, alla dignità, danno forma e consistenza.È un cammino di solidarietà che si tradurrà concretamentenel sostegno al progetto di ristrutturazione di Casa S. Chiarache accoglie malati terminali e affetti da aids (programmain quarta di copertina).18 gennaio/marzo 2010


accanto a...giovani<strong>La</strong> testimonianza suscita vocazioniIl cantastorie vocazionaleUna sfida dal convegno nazionale 2010di Barbara DanesistfeEssere testimoni credibili di Dioè il primo passo per arrivare alcuore dei giovani, per suscitaredomande e accompagnarli da Gesù.Questo il messaggio del convegnovocazionale nazionale 2010.Il messaggio che papa BenedettoXVI ha già fatto pervenire a tuttele chiese in vista della celebrazionedella prossima Giornata mondiale dipreghiera per le vocazioni, il prossimo25 aprile 2010, ruota attorno al temadella testimonianza, un tema che provocala pastorale delle comunità cristianein generale e soprattutto la pastoralegiovanile e vocazionale, perchécome afferma il messaggio è certo che“la testimonianza suscita vocazioni”.I contenuti principali del messaggiodel papa sono stati assunti dal Centronazionale vocazioni nella proposta delloslogan per la giornata del 25 aprile:«Ho una bella notizia! Io l’ho incontrato…»,uno slogan che è provocazione ariflettere sul tema della testimonianza ea guardare ai nostri stili di vita, ai nostriatteggiamenti di cristiani.Narrare per testimoniareNella “tenda della testimonianza”:narratori della Vocazione è stato, di conseguenza,il tema del convegno deglianimatori e animatrici vocazionali, svoltosia Roma dal 3 al 5 gennaio 2010.Punto centrale di tutto il convegnoè stato riconoscere che oggi, soprattuttotra i giovani, c’è bisogno di “raccontare”più esplicitamente la “bella notizia” dellapropria vocazione.Come ogni anno, a questo appuntamentohanno partecipato direttori ecollaboratori di centri diocesani vocazionali,sacerdoti, religiosi e religiose, novizie,postulanti e seminaristi diocesaniin formazione, laici consacrati, coppiedi sposi e giovani in ricerca vocazionale.Circa 700 persone hanno ascoltato,riflettuto sul senso della testimonianzadella fede in Dio, una testimonianza chedeve essere impregnata di vita vissuta edi narrazione, nella convinzione che è illavoro comune, il servizio ai giovani fattoinsieme, dentro un profondo spirito dicomunione ecclesiale, la testimonianzapiù convincente di ogni proposta cristianae vocazionale.Molti sono stati gli spunti di riflessioneche i relatori, e tutti coloro che sonointervenuti, hanno lasciato come impegnodi ulteriore ricerca ai partecipantie che don Nico Dal Molin, direttore delCentro nazionale vocazioni, ha ben sintetizzatoa conclusione dei lavori.<strong>La</strong> sindrome del tramontoDurante i lavori si è insistito moltosulla necessità di avere un cuore pieno disperanza per guardare oltre la “sindromedel tramonto”. Quest’ultima è stata unaprovocatoria affermazione del presidentedella CEI, cardinal Angelo Bagnasco, cheha aperto il convegno e che ha indicatoalcune piste efficaci di riflessione e di impegnoper tutta la pastorale vocazionale.Il cardinale ha affermato che Dio èfedele alla Chiesa e non le farà mancarei pastori, di fronte alla cui carenza è necessarioavere molta fede e impegnarsiper una pastorale vocazionale di comu-... c'è bisogno di “raccontare” la bellanotizia della prorpia vocazione.nione, cioè attuata con il contributo ditutte le vocazioni, in nome della comunevocazione battesimale.«Il mondo vuole sentire l’eco dellagioia che le opere di Dio provocano innoi e vedere compiere un’opera convincenteche sa di miracolo, più che risuscitarei morti: l’unità che nasce dallacomunione affettiva ed effettiva, in uncontesto segnato da dissidi e divisioni. Ichiamati - ha detto il cardinal Bagnasco- devono offrire a tutti la grazia dellavocazione, che nasce dalle ginocchia edal sacrificio. I giovani vogliono vedereuomini felici di appartenere a Cristo ealla chiesa in mezzo alle difficoltà e alleprove, senza fughe: è la cartina di tornasoledella maturità umana e cristiana».E, riguardo alla crisi delle vocazioniche sembra segnare molti istituti religiosi,ha indicato una via di testimonianzafiduciosa, per avere il coraggio dinon trovare solo il “buio oltre la siepe”,cadendo vittima della “sindrome deltramonto” perché non si vedono nuovepresenze vocazionali all’orizzonte.«Lo spettacolo di una vita lamentosae trascinata senza entusiasmo lega lemani di Dio… Anche le attività apostolichedevono nascere dalla contemplazionedi Cristo, altrimenti si rischiache la nostra divenga solo una forma diautotestimonianza, una certificazionenarcisistica di noi stessi!».accanto a... giovanigennaio/marzo 2010 19


accanto a...giovaniIl pensiero narrativoper evangelizzaresecondo lo stile di GesùL’intervento di padre AmedeoCencini dal titolo “L’animatore vocazionale:narratore e testimone di unabuona notizia” ha messo in evidenzaalcuni spunti concreti per l’attività dipastorale vocazionale (vedi box).Padre Cencini ha dapprima elencatouna serie di strumenti espressividiversi per raccontare l’esperienza dellachiamata, la quale rappresenta sempreuna vera e propria “teofania”: questistrumenti non sono solo le parole, maanche gesti, simboli e immagini per farememoria della presenza concreta delSignore nella propria esistenza.In questo senso è importante passareda un pensiero logico ad un pensieronarrativo che porta a vivere l’annuncioe l’evangelizzazione secondo lo stile diGesù. Proporre la buona notizia conuno stile narrativo recupera gli elementiessenziali della propria storia spiritualee vocazionale e sa trasmettere unamemoria grata di quanto vissuto nellapropria esperienza di chiamata.<strong>La</strong> polifonia dell’amoreInfine, a conclusione del convegno,molto interessante e proposto con moltapassione è stato l’intervento di padre ErmesRonchi, il quale ha sottolineato che«la vocazione non nasce da una sottrazionedi vita, ma da un’addizione: è oradi parlare del piacere della chiamata» edha insistito sulla bellezza e sulla pienezzadel consacrarsi interamente al Signore,sottolineando la «polifonia dell’amoresenza mezze misure, nella radicalità etotalità del cuore, che rischia di subire- se non intesa correttamente - distorsioniaffet tive, brinate sui sentimenti,freddezza nell’amicizia».Padre Ermes ha ricordato che dilatarei propri confini interiori significaandare incontro personalmente ad ognipersona, significa in particolare «accostaree avvicinare giovani che vivono an chesituazioni irregolari in campo affettivo.Lì si può annunciare il paradiso, perchél’amore resta il luogo primario di evangelizzazionee non di moralizzazione».Spesso, invece, i consacrati si presentanocon «una fede sen za corpo, che è l’umilee santa cattedrale con cui entriamo incontatto con il mondo. C’è il pericolo ditogliere umanità alla parola di Cristo».Come?Dunque, come essere au tentici«testimoni e narratori del vange lodella vocazione»?● Occorre privilegiare la via dell’ascolto,«perdere più tempo» ad ascolta re lavita delle persone, in particolare dei giovaniche talvolta non trovano ac canto asé genitori, adulti, amici in grado di dareIl decalogo del cantastorie vocazionaledagli Atti del Convegno: Amedeo Cencini, “L’animatore vocazionale:narratore e testimone di una buona notizia”Per riassumere e indicare l’essenziale in termini il più possibilesintetici e concreti potremmo dare queste indicazioni.1. Se vuoi davvero narrare agli altri in modo vocazionalmenteefficace devi raccontare e raccontarti a te stesso. C’èuna lettura da fare anzitutto dentro di sé.2. Narrare vuol dire costruire e proporre eventi logici eavvincenti, percorsi coerenti e lineari, che vanno a confluirein un disegno vocazionale. Dunque, se non hai un centro cheti consenta di raccogliere attorno a esso la tua vita e dare unsenso a tutto di essa, un ideale di vita, non puoi raccontare,non hai nulla da raccontare.3. Non accontentarti di leggere, ma impara a scrivere,altrimenti a lungo andare non saprai nemmeno più leggere.“Scrivere” nel senso di dare alla lettura della tua vita un assettoe un senso sempre più definitivi e compiuti, attraverso unlavoro serio e sistematico. Il quartetto corretto e progressivosarebbe: leggere-scrivere-narrare-testimoniare.4. Un racconto o storia personale di per sé dovrebbe potercambiare, nel senso che non è mai fatto una volta per tutte, néè mai completo.5. Ogni tanto fai una revisione o scansione della tuamemoria. Gli innumerevoli virus che la insidiano e cercano dipenetrare nel suo sistema potrebbero infettare anche cuore emente. Il migliore antivirus è l’apprendimento della capacità dilettura dal punto di vista di Dio della tua per quanto piccolastoria, ovvero guardarla con gli occhi di Dio. Se sei ancoraarrabbiato con la tua storia o con qualche persona d’essa, nonpuoi fare alcuna narratio vocationalis.6. Cerca sempre un interlocutore: Dio, anzitutto, e un altro,se possibile, o altri, con cui condividere qualcosa di significativo.Da un lato non c’è narrazione se non davanti a un tu; dall’altronon c’è fraternità, né relazione, laddove non c’è narrazionee narrazione di qualcosa di centrale per entrambi.7. E così pure sii disponibile all’ascolto quando un altro siracconta, sospendendo ogni giudizio, pregiudizio, valutazionemorale o interpretazione psicologica; semplicemente imparaad ascoltare le narrazioni altrui.8. Pensiero narrativo e narrazione vera e propria possonoesser valido strumento comunicativo.9. <strong>La</strong> narrazione tipicamente cristiana nasce dalla preghierae conduce alla preghiera; è fondamentalmente atto orante.Pregare, in fondo, è ascoltare il racconto che Dio mi fa di sestesso, e raccontarsi poi dinanzi a Dio.10. <strong>La</strong> narrazione non è fatta solo di parole, pur passandonormalmente attraverso tale antico e umile utensile umano, maanche di gesti e simboli, di arte e di poesia.20 gennaio/marzo 2010


diano, per rendere testimonianza allaluce incontrata nella nostra vita: Gesù.Siamo chiamati ad essere «martiri dellagioia e della fatica», ha suggerito padreErmes. Lo affermava con forza donLorenzo Milani: «Tutto è speranza,perché tutto è fatica»;● non perdere la speranza! Come haricordato il cardinal Bagnasco. In unmondo dove, nonostante l’apparenza, igiovani fanno fatica a vivere, i cristianisono chiamati a narrare proprio a loro laparte più significativa e profonda dellapersonale esperienza di vita e di incontrocon il Signore. In questo modo anche latestimonianza dei consacrati sarà davveropersuasiva se, con gioia e verità, semplicitàe realismo, saprà raccontare la bellezza,lo stupore della vita e la felicità donata aquanti sono innamorati di Dio. ■loro una mano in caso di difficoltà; privilegiarerelazioni interpersonali forti,fatte non solo di parole ma di presenza,là dove i giovani vivono perché non siasolo un “passare accanto”;● donare speranza, essere testimonigioiosi, dal cuore riconci liato, in pacecon se stessi;● sentirsi chiamati ad essere una chiesadi “martiri e di santi” nel quotiaccantoa... giovaniBruno Ferrero con gli educatori di VastoRaccontare la fededi Claudia BertonstfeIl racconto,una modalità comunicativache parla di Dio toccandosoprattutto le corde del cuore.Per l’incontro di venerdì 22 gennaio,organizzato dalla FondazionePadre Alberto Mileno Onluscon don Bruno Ferrero, la grande saladell’Istituto S. Francesco a Vasto Marina,era gremita di catechisti, insegnanti,educatori venuti per riflettere sul tema“Raccontare per educare. <strong>La</strong> narrazionenella catechesi”.L’incontro è iniziato proiettando unracconto, drammatizzato dagli ospitidella Fondazione, sul tema della pasqua.Padre Luigi Del Vecchio (coordinatoreeducativo della Fondazione) ha evidenziatobrevemente le evidenti allusionial vangelo contenute nel racconto drammatizzatodal titolo Il quarto Re Mago eil messaggio teologico in esso contenutoche sarebbe difficile comunicare a unuditorio che presenta disabilità di tipocognitivo. Per questo la drammatizzazionecon persone diversabili è diventatanella Fondazione Mileno un modoefficace per prepararsi eintrodursi alle celebrazioniliturgiche più importantidell’anno.È seguito l’intervento diBruno Ferrero che partendodalla domanda: «Perchéraccontare e cosa significaraccontare?» ha creato un’attenzione e unascolto sorprendenti, quelle che si creanosolo quando proviamo a comunicareraccontando.Quanti hanno ascoltato don Brunohanno sperimentato in prima personauna modalità comunicativa, basata sullanarrazione della Bibbia e della vita,che parla di Dio toccando soprattuttole corde del cuore. Si è visto un modo dicomunicare la fede che sa essere moltoconcreto e che parte da ciò che si vive,da quell’esperienza di Dio che ci hacambiato la vita.Il “racconto” dunque è stato il filoconduttore dell’incontro perché, comeha sottolineato Bruno Ferrero, «questoè il linguaggio originale della fede che èper sua struttura narrativa».Preziosi e significativi i consigli delrelatore per coloro che, in quanto educatori,vogliono acquisire questa competenzacomunicativa.Ma prima di tante indicazioni tecniche,che sono state comunque ben enucleatenel materiale fornito ai partecipanti,ha sottolineato la necessità di attingerea ciò che di più profondo eumano c’è in ognuno di noi,ripensando a ciò che abbiamoamato di più, alle personeincontrate, ai raccontiche fanno parte della nostrastoria e della nostra crescita.«Un buon narratore», haribadito più volte don Ferrero,«è sicuramente il primoad essere trasformatodal racconto e stabilisce conl’uditorio una relazione diforte partecipazione affettiva». D’altraparte non si impara nulla per dovere,ma solo per la via del piacere e di unarelazione significativa fra chi parla e chiascolta.Siamo certi che quanti hanno partecipatoin così attento ascolto saprannobeneficiare di queste indicazioni, offertedall’esperienza e dalla competenza didon Bruno Ferrero, e sapranno dare untocco di novità e di vita al loro modo dicomunicare la fede a scuola, in parrocchia,in famiglia…L’urgenza educativa di cui parlanoanche i nostri vescovi e la difficoltà nellatrasmissione della fede alle giovanigenerazioni ci confermano sul fatto cheè necessario mettersi in discussione sulproprio modo di essere educatori e catechisti,genitori e accompagnatori nellafede. Si può imparare a “raccontare Dio”facendo vibrare il cuore e la mente, si puòfare una bella esperienza di Chiesa che siapre al confronto e condivide le proprieesperienze senza timore: con don BrunoFerrero l’abbiamo sperimentato. ■gennaio/marzo 2010 21


accanto a...terremotatiaccoglienza e curaEmergenza terremoto…Dieci mesi dopodelle suore della comunitàdi Vasto MarinastfeLe suore di Vasto Marinaraccontano la loro esperienzaaccanto ai fratelli terremotatiaccolti in una strutturadell'Istituto.6aprile 2009, ore 3.32 dati e numeridivenuti tristemente famosidopo il terremoto di magnitudoRichter 6,3 Mw (magnitudo dimomento) che ha colpito l’Abruzzo.<strong>La</strong> scossa si è sentita anche a Vasto edè stata così forte da svegliarci nel cuoredella notte. E pur non arrecando quialcun danno, abbiamo subito intuitola gravità della situazione: certamentealtrove, non troppo lontano, qualcosadi terribile doveva essere accaduto.L’epicentro, si sarebbe saputo piùtardi, era a L’Aquila. Tutti ora sappiamol’entità del disastro in danniad abitazioni, strutture, edifici, masoprattutto in vite umane: 308 morti,1600 feriti, 65000 sfollati, alloggiatinegli alberghi della costa adriatica.Pochi giorni dopo sono arrivatea Vasto circa 700 persone, collocatenegli alberghi e in altre abitazioni.Anche la Fondazione Mileno (o IstitutoSan Francesco), nella quale unacomunità di suore elisabettine è presentedal 1972, si è resa disponibile adaccogliere quanti Protezione civile,Croce Rossa e Prefettura avrebberoinviato.Il direttore, p. Franco Berti, e i suoicollaboratori hanno deciso di aprire in22 gennaio/marzo 2010questa emergenza una struttura ancorainutilizzata e pronta a diventare unaR.S.A. Trattandosi di una strutturasanitaria, vi sono state mandate personecon gravi difficoltà fisiche perl’età avanzata o per patologie croniche:persone emiplegiche, disabili, affetteda morbo di Parkinson e da quello diAlzheimer… tutte bisognose di curee terapie particolari, casi che non sipotevano gestire altrove.Provenivano dalle loro abitazioni,irrimediabilmente distrutte e abbandonatein fretta. Altre venivano dallatendopoli o da qualche albergo nelquale una normale collocazione nonera stata sufficiente.<strong>La</strong> comunità delle suore, che vivee opera nella Fondazione, si è trovatacoinvolta in più modi. Le personearrivate nella nuova ala appena apertaavevano pochissimi effetti personali;uscite in piena notte dalle loro casenon avevano più potuto rientrarvi.Allora serviva soprattutto biancheriaintima, scarpe e l’abbigliamentoadatto a una stagione che transitavavelocemente verso l’estate. In collaborazionecon la Direzione e la comunitàdei frati cappuccini ci si è preoccupateinnanzitutto di provvedere alvestiario.Alcune persone sensibili e generosehanno sollecitato colleghi di lavoroe conoscenti, hanno raccolto offertee indumenti nuovi da farci recapitareper rispondere alle urgenze. Conclusol’orario di lavoro, ci siamo fatte espertefrequentatrici di negozi di scarpe edi abbigliamento: viaggi a non finireper trovare le taglie giuste per tutti.E poi altra catena di solidarietà peraccorciare pantaloni, gonne, sistemarecamicie…<strong>La</strong> Residenza sanitaria Assistita dellaFondazione “A. Mileno” a Vasto Marina.In contemporanea, fin dall’inizio,su richiesta della Caritas Diocesana,anche nella parrocchia di “Santa MariaStella Maris”, retta anch’essa dai fraticappuccini, è stato aperto un centrodi raccolta e di distribuzione vestiarioper quanti risiedevano negli alberghivicini.È stato immediato da parte nostrasostenere anche questa iniziativa:siamo state presenti ogni pomeriggioper alcune ore, per prendere nota deibisogni e procurare al più presto, incollaborazione con il parroco, quantoveniva richiesto.Altra urgenza, non da poco, perla quale siamo state interpellate, èstata quella di garantire un serviziodi assistenza infermieristica durantela notte in questa nuova struttura unpo’ dislocata dall’appartamento dellanostra comunità. Nel primo meseogni notte, e tuttora per tre nottialla settimana, una sorella ha dato econtinua a offrire la sua disponibilitàe il suo servizio alle 11 persone, cheancor oggi non sono potute tornareai loro paesi e che presentano per lamaggior parte patologie impegnativeche richiedono una presenza notturnaattenta e attiva.Dall’8 aprile a oggi sono passatecinquantun persone, con grandi opiccole difficoltà, tutte comunque accomunatedalla sofferenza di doverlasciare la propria terra, il paese, lacasa per entrare in una nuova modalità


di vita che ha richiesto una convivenzaforzata con persone, tutto sommato,sconosciute. Ecco perché c’è stato bisognoanche di offrire compagnia, dimettere in conto il tempo per un saluto,di sensibilizzare altre persone afarsi vicine e di essere presenti quandoinsorgevano nuove necessità.Non siamo state certo sole a portareavanti tutto questo: a titolo dipuro volontariato, alcuni dipendentidella Fondazione e persone sensibilidi parrocchie del vastese hannotrascorso parte del loro tempo conquesti nuovi amici, offrendosi comecompagni di passeggiata, comeparrucchiere e come autisti per lenecessità più varie.I bisogni in questa situazione sonostati davvero tanti, imprevisti e, comesi dice nella lettera circolare scrittada madre Margherita Prado per l’anno2009-2010, abbiamo sperimentatodavvero che «la domanda del fratello ècome un comando per noi».In ciascuna di noi è prevalsa la gioiadi dare ed è il come si dà che fa la differenzaper chi riceve. Il più delle volteciò che ci è stato chiesto come personeconsacrate, quasi più del cibo e delvestito, è stata l’accoglienza, l’ascoltodelle loro angosce, il calore umano, paroledi speranza… insieme alla certezzache il Signore non abbandona.Un po’ ci siamo abituati tutti allaloro presenza: li vediamo in giardinoper prendere un po’ d’aria, a voltepartecipano alle nostre celebrazioninella chiesa di S. Francesco, attiguaall’Istituto; i più autonomi e coraggiosisi spingono in passeggiate sul lungomare.Ora a distanza di dieci mesi ripensiamoalle persone che sono passate,alcune hanno trovato una sistemazionepresso i familiari, altri hanno potutoriparare la casa. Di tutti, compresicoloro che sono rimasti, ci ha colpitola capacità di vivere con dignità il disagio,di ringraziare il Signore perché,pur avendo perso tutto, rimaneva ildono inestimabile della vita. Abbiamovisto il disagio di dover chiederele cose più normali e più necessarie,ma anche la capacità di adattarsi, diaccontentarsi, di ringraziare.Quanti rimasti aspettano con impazienzal’assegnazione della casetta<strong>La</strong> terra del piantoCon gli occhi volti al nulla,nel vuoto ghiaccio,piangono le madri i loro figli.Il silenzio è un urlo.Ah, sapesse il dolore scriverepagine infinite d’amore,scendere dal calvariocol suo primo raggio!Il cielo non ha più coloresulla città morta,con la sua bocca chiusada tanto strazio;le campane son cadutesenza suono nel grembodella terra che ha tremato;anche la luna ha un rapido fremitotra le fronde dei salici,sugli altari dei vivigettati per le strade.Ora non v’è più nessunoche non sappia piangerené vedere se non chiascoltare più non vuole.Mario Rolando Mangiocavallo 1antisismica promessa dal governo oattendono di poter riparare la lorocasa lesionata. Si sentono sempre degli“sfollati”, approdati in una strutturache fortunatamente ha risposto più dialtre alle loro complesse difficoltà, mache non è la loro casa.Si è rivelato a volte pesante per lorodover vivere in una “famiglia allargata”le proprie speranze, esternare leimpazienze, lasciar trasparire le propriedelusioni e sofferenze sapendoche il ritorno alla normalità ha bisognoancora di molto tempo.Per noi, una esperienza che hamesso in luce il senso della nostravita consacrata, quale segno gratuitodell’amore del Signore. ■1Con questa poesia l’autore, che lavora presso la fondazione Mileno come terapista della riabilitazione,ha partecipato a diversi concorsi di poesia a livello regionale e nazionale.accanto a... terremotatigennaio/marzo 2010 23


accanto a...malati<strong>La</strong> carità accanto a chi soffreSperare contro ogni speranzaVivere evangelicamente la professionalitàa cura di Martina GiacoministfeIntervistaa suor Mariagrazia Mirafioriche da circa quattro anni lavorapresso il CRO 1 accanto e in mezzoa chi continua – a volte –a «sperare contro ogni speranza» 2 .Suor Mariagrazia, quando ti èstato chiesto di inserirti in questarealtà per te nuova, quali sonoi pensieri e i sentimenti che hannoinvaso la tua mente?È una realtà che un po’ già conoscevoper una precedente esperienza neltempo del noviziato durante la qualeho vissuto presso la casa “Via di Natale”3 . Mi sentivo contenta perché dasempre mi aveva colpito la dimensionefamiliare e accogliente della struttura.Accanto alla gioia mi abitava anchela paura per il nuovo servizio e mirisuonavano tante domande: «sarò ingrado di stare vicino a persone malatedi tumore?», «come mi accoglierannoquei colleghi non abituati ad avere unasuora per collega?» e infine: «riusciròa conciliare la mia identità di personaconsacrata con la professionalitàinfermieristica che sono chiamata adesercitare?».Guardando ora al tuo ambiente dilavoro come ti piace descriverlo?Si tratta di un ambiente accogliente.Il reparto dove lavoro è stato pensatoper dare l’opportunità ai pazientidi sentirsi a casa e di avere degli spazipropri. Intuisco che, oltre all’ambiente,24 gennaio/marzo 2010contribuisce a creare un clima sereno ecaldo anche la presenza del personale(infermieri, medici, operatori) che viverapporti di fiducia e collaborazione;pur non mancando le fatiche, si cercadi superarle insieme. Un desiderio checi appartiene è il tentativo di valorizzarele persone che passano per il CROnella loro umanità, con la loro storia eil loro vissuto, senza ridurli a pazientibisognosi di cure mediche.Chi sono i destinatari del tuo servizio?I primi destinatari sono i pazientidel reparto di chirurgia oncologica dovepresto servizio. Vivo l’esperienza diaffiancare chi è in attesa dell’interventochirurgico ed è abitato da ansie, attesee speranze per poi accompagnarlo nellafase post-operatoria in cui la stessapersona si ritrova non completamenteautonoma e con una ferita – fisica espirituale – da rimarginare.Destinatari del mio servizio sonoanche i colleghi di lavoro che mi provocanoe interrogano sul significatoe la differenza fra l’essere infermierae l’essere una suora infermiera, unapresenza per loro piuttosto provocantein termini umani e professionali.“Suora” e “infermiera” ossia vivereevangelicamente la propria professionalità.Che cosa vuol dire per te?Come coniughi le due realtà?Il codice deontologico dell’infermiereall’articolo n. 3 recita «<strong>La</strong> responsabilitàdell’infermiere consistenell’assistere, nel curare, nel prendersicura della persona nel rispetto dellavita, della salute, della libertà e delladignità dell’individuo». Questo per mesignifica essere un infermiere e il mioessere persona consacrata si arricchiscee trova senso nello scorgere in ogniA noi non restache vivere di solee aggrapparsi forteal presenteperché la vita fuggea minutie tu non saise ancora ci seie il domani siaeternocome il suo sogno.Quanto a noinessuno ci aveva mai dettodel dolore di vivere.E con che cuoreorgoglio e passioneabbiamo cambiato la nostra vitae sposato il domanidove il tempo incontra l’eterno,noi naticome figli e fratellidel sole.Io ti vedròe non solo l’ombra delle tue spallein queste lotte a corpoa corpoche mi hanno spezzatoil respiro e il cuore.Tu ci seiio ti vedròe non da straniero.Ora che il dolorescavalcaci par che piangeresia tradiree inquieti avviciniamo la finestraper vederequanti minuti di eternitàmanchino all’alba.Bruno F., paziente del CRO


ficile percorso della malattia. Si proponeinfatti di fornire risposte qualificateed aggiornate sulle cure e sulle terapielegate a molti tipi di tumore.È ormai luogo comune affermareche la società attuale esorcizza tuttociò che ha a che fare con il dolore, lasofferenza e la morte sino a farli scompariree pare per una paura spessonon coscientizzata. Tu, i tuoi colleghidi lavoro, i pazienti stessi che cosavolete e potete dire a riguardo?Condivido questo pensiero e affermoche spesso dentro alla paura sinascondono tante cose: il senso dellimite e della finitezza, la solitudine, ilpeccato. Può sembrare un paradosso,ma la diagnosi di tumore costringe lapersona a svelare e a dare un nome allapropria paura e - attraverso il percorsoineludibile cui costringe la malattia- ad interrogarsi sul senso della vita,persona il volto di Gesù e nel trattarlocome tale. Del resto proprio nel vangeloè il Signore a dirmi che «ogni voltache farete questo ai miei fratelli l’avetefatto a me» (cf. Mt 25, 40).Che cosa impari da chi tutti i giornisi misura con la dimensione del doloree a volte con quella della morte?Da tutti imparo la dignità di frontealla malattia e alla sofferenza, lacapacità di trovare la forza e il coraggiodi andare avanti anche quandotutto sembra perduto. Da alcuniinvece imparo l’abbandono fiduciosonel Signore: molti mi raccontano dicome sperimentano la sua presenza,soprattutto nei momenti più faticosi, edi come riescono a trovare un coraggioe una forza che prima non avevano. E,da altri, imparo la profonda gratitudineper aver compreso solo attraversola malattia il valore della vita e dellerelazioni.Qual è l’orizzonte per cui ha sensol’esistenza del CRO? Ossia: qual è lospecifico che questo centro ha offerto econtinua ad offrire ai suoi utenti?Il CRO – in quanto istituto diricerca oltre che centro di cura – offrealla persona un po’ di speranza nel difalfine di ritrovare e dare senso allapropria umanità. Spesso io e i mieicolleghi ci troviamo ad accompagnarele persone in questa fase di ricerca e dilotta e cerchiamo di farlo con rispettoe senza giudizi, ciascuno con la propriapersonalità ma sempre cercando dinon far sentire la persona sola. ■1CRO: Centro di Riferimento Oncologico.È uno degli Istituti di Ricovero e Curaa Carattere Scientifico (IRCCS) che operanoin Italia in ambito oncologico. È situato adAviano, provincia di Pordenone. È stato istituitodalla Giunta Regionale del Friuli VeneziaGiulia nel 1981. Le suore terziarie francescaneelisabettine sono presenti dal 1990 (cf. In caritateChristi, 2/2009 p. 32).2Traduzione italiana del titolo dell’operaHoffen wider alle Hoffnung di dom HélderCâmara (1909–1999), arcivescovo di Olinda eRécife nel nordest brasiliano – regione tra lepiù povere del mondo. È una delle figure piùsignificative della Chiesa del XX secolo: vivacesostenitore della Teologia della Liberazione,partecipò attivamente al concilio Vaticano II(1962-1965) e, per oltre trent’anni, girò il mondoin lungo e in largo, dando voce a chi non havoce (cf. il sito del Centro Internazionale DomHelder Camara: www.heldercamara.it).3Struttura situata vicino al CRO dove sitrova un hospice per malati terminali e 34 miniappartamenti per dare ospitalità gratuita sia aifamiliari sia ai malati in terapia day hospital.accanto a... malatiDa Casa “Santa Chiara”Un’esperienza singolare di integrazioneProfessionalità e competenze umane a confrontoCasa “Santa Chiara” è una strutturadelle suore elisabettine,aperta nel 1994, come Casa alloggioper fare fronte alla emergenzaaids, malattia che negli anni novantamanifestava tutta la sua virulenza perla mancanza di una terapia adeguata.Ci sono dodici posti letto dedicatiai malati terminali di Aids: ungrosso impegno per questa comunitàdi suore coadiuvate dal personale laidiPaolo Forzanmedico<strong>La</strong>vorare meglio assiemeper far stare megliola persona malata: l’esperienza diun medico che impegnala sua competenza professionale aCasa ”Santa Chiara˝ a Padova.co. Fortunatamente, l’arrivo nel 1996del cocktail con gli antiretrovirali hapermesso di trasformare radicalmentel’evoluzione di tale patologia.Significativo risulta il dato relativoall’aspettativa di vita dal momentodella diagnosi al decesso che, primadella possibilità di questo trattamentoterapeutico, si aggirava intorno aiquindici mesi; attualmente possonopassare anni e forse decenni, diven-gennaio/marzo 2010 25


accanto a...malatitando quindi una malattia cronica conaspettativa di vita lunga e una qualitàche spesso consente un ritorno al lavoro.Le suore elisabettine, forti diquesta esperienza, hanno chiesto allaRegione Veneto la conversione di alcuniposti-letto, da destinare a malationcologici nella loro fase terminale.Tale opportunità è stata concessa, e daalcuni anni esiste questa integrazione,quasi unica in Italia tra terminalitàaids e terminalità oncologica.L’accoglienza è rivolta, senza alcunpregiudizio, a persone di qualsiasi credoreligioso, etnia, comportamento sessuale,marginalità economica, soggettisenza fissa dimora, senza lavoro...A casa “Santa Chiara” può accaderedi sentire una babele di lingue:francese, inglese, slavo, arabo. In unmomento particolare della attuale vitapolitica, nel quale risulta difficile parlaredi integrazione, in questo luogoparticolare oltre che la convivenza didue tipi di terminalità, convivono infattimalati mussulmani, ebrei, protestanti,ortodossi, cristiani. Il personaleinoltre è costituito da italiani, moldavi,rumeni, brasiliani, che insieme svolgonoun lavoro di alta professionalità,ma soprattutto di lodevole umanità.26 gennaio/marzo 2010L'ingresso di casa “Santa Chiara”, conil “libro della vita, della speranza” cuivengono affidati pensieri, sentimenti,emozioni dei parenti e amici degli ospiti,degli operatori e volontari.Il mio ingresso in questa strutturasette anni fa mi ha permesso di metterea disposizione la mia professionalitàcome infettivologo e medico dimedicina generale, nella cura di questepersone, senza avere un eccessivocoinvolgimento emotivo, che temevopotesse distogliermi dalla componentepiù propriamente tecnica.Fortunatamente in poco tempo hocapito che anche io dovevo integraminel gruppo, dovevo condividerecon gli altri le difficoltà, le paure, imomenti di sconforto, ma anche lesoddisfazioni che pure ci sono, nell’accompagnarequeste persone versola fase finale della vita.Esiste un momento forte, essenziale,importante nel lavoro in casa“Santa Chiara”: la supervisione. Vogliosottolineare questa modalità dilavoro, perché ha modificato tutto ilmio modo di essere medico sia fuoriche dentro la Casa.Ogni quindici giorni, ci riuniamoper circa due ore: siamo circa ventipersone che con il supporto di unapsicoterapeuta, analizziamo le nostredifficoltà, i momenti difficili con ipazienti, con i parenti, con i colleghi;si verificano i punti di debolezza delgruppo e dei singoli, gli errori diventanouna grande risorsa per crescere eimparare, i successi cementano la giàgrande stima che abbiamo tra di noi eaumentano le capacità del gruppo.Il lavoro è più facile quando sai cheal tuo fianco c’è una persona che portaavanti la stessa strategia, un collegacol quale l’intesa passa attraverso unosguardo, quando sperimenti che è sufficienteuna parola per condividere lostesso percorso.I pazienti capiscono dopo pochigiorni di permanenza che esiste unequilibrio, una sintonia, uno stessoobiettivo, che è il loro benessere cheviene messo al centro di tutto il lavorosvolto, qualsiasi sia la persona che losta svolgendo per loro, sia l’infermiere,l’operatore, il medico, il cuoco, il volontario.Il gruppo viene così ad essereun’unica persona che si mette a lorodisposizione ed è sempre presente,togliendo così oltre che il dolore anchela grande solitudine della malattia.Naturalmente esistono momentidifficili, il percorso una volta intrapresova continuato nel tempo, l’impegnonon è poco, la crescita è lenta egraduale.Per un medico mettersi in discussione,rendersi conto delle propriefragilità con gli altri e con i pazienti avolte fa male e capire che si impara datutti i collaboratori - operatori, infermieri,educatori, cuoca - è una grandeconquista.Spesso di fronte a malati terminali,ma anche davanti a patologie gravi eimpegnative, il medico si sente solo,nelle scelte da compiere: solo verso lafamiglia, solo dopo la morte della personache ha seguito in questo percorsoimpegnativo.Il gruppo formato nella supervisionestempera, allevia, alleggerisce lasolitudine, il peso dell’impegno profusoè distribuito con tutti. <strong>La</strong>vorarecon queste modalità diventa una soddisfazione.Questa è una grande risorsa chele suore elisabettine hanno messo adisposizione per chi opera nella casa:credo che il lavoro in équipe, in qualsiasiambito, non possa fare a meno diquesta importante modalità, lavoraremeglio assieme, per far stare meglio lapersona malata.Fare gruppo, secondo la mia esperienza,significa costruire una rete icui legami permettono di sentire lacoesione e il senso di appartenenzacome valori importanti nella cura, e,nello stesso tempo, attivano processidi integrazione che favoriscono l’individuazionedelle singole professionalità.■accanto a... malati


vita elisabettinaesperienza In EcuadorNon solo vacanzeTra le suore elisabettinedi Autori variUna vacanza all'insegnadella condivisione.Quest’anno la vacanzaper noi è statamolto diversa dalsolito viaggio organizzato.Nell’agosto 2009 ci siamorecati in Ecuador per visitaresuor Maria Grandi, sorelladi una di noi, residentea Tachina (Esmeraldas). Ilviaggio ci ha fornito l’occasioneper conoscere anchele comunità elisabettine diQuito.Abbiamo cominciato lanostra avventura al mercatoortofrutticolo di Cotocoiao(nella foto) e subito siamostati investiti dal confusocicaleccio della folla intentaa contrattare ed abbagliatidai colori vivacissimi dellafrutta esotica e della verdurarigogliosa ed invitante.Inoltre i tessuti variopinti,gli oggetti artigianali vari edoriginali di Otavalo, la disinvolturae l’abilità dei piccolivenditori, già grandi inquesto mestiere, ci hannoinvogliato all’acquisto.<strong>La</strong> natura ci ha regalatogli spazi immensi e incontaminatidegli altipiani andinidesertici e freddi, forestelussureggianti e selvagge,cime vulcaniche elevate eventose, coperte di neve,spiagge deserte e angoli diparadiso che hanno elevatolo spirito e surriscaldato lemacchine fotografiche.I parchi nazionali del Cotopaxie del Cajas ci hannofatto capire che la naturaè gelosamente protetta nelsuo delicato equilibrio ambientale.Le città di Quito e diEsmeraldas ci hanno provocatoa riflettere, non tantosui problemi logistici cheaffliggono le popolazioni deigrandi agglomerati urbani,ma sulle evidenti differenzesociali: centri commercialie storici lussuosi, villaggiresidenziali protetti da solidemura, affiancati da unaperiferia popolata da abitazionipiccole, disadorne eaddossate una all’altra, cheospitano famiglie povere econ tanti figli.Ci ha colpito la pacificaconvivenza di tante razzeed etnie: le persone dellasierra, molto laboriosee tenaci, arrivano dai loropaesetti lontani e isolati eaffluiscono in città per venderei prodotti indossandocon fierezza i costumi tradizionali.Diversamente, quelledella costa, più estroverse egioiose, godono quel pocoecuadorche possiedono trascorrendole loro giornate all’aperto,favorite anche dal caldoclima equatoriale.Raggiungere le variemete del nostro viaggio ciha dato l’opportunità di osservarel’estensione dellemonoculture (banane, ananas,palma da olio, papajae tek) e, di conseguenza,constatare lo strapotere deilatifondisti e delle multinazionaliche impediscono ailavoratori di migliorare leloro condizioni di vita.Nonostante tutto questogli Ecuadoriani si dimostranosocievoli, allegri, laboriosie orgogliosi della lorostoria e delle loro tradizioni.Ad arricchire il nostroanimo ci hanno pensatole suore con l'accoglienzagioiosa, con la disponibilitàe l'amicizia, con le testimonianzedella vita di missionarie.Ci hanno reso partecipidel loro apostolato comecatechiste nei “ recintos”della foresta a Tachina, frala gente dei quartieri di Carapungoe con i giovani allafesta della Cruz ad Esmeraldas.Anche noi speriamo diaver lasciato un segno delnostro passaggio nei lorocuori, ma anche nell’ortodi Tachina dove gli uominihanno vangato e piantatoortaggi.Ci siamo convinti chela presenza delle suore interra di missione è importantenon solo per la disponibilitàad andare incontroai bisogni della gente,ma anche per le varie evalide iniziative di sviluppoumano e sociale chestanno realizzando, quali:il dispensario farmaceutico,gli ambulatori medici,la scuola dell’infanzia, primariae secondaria “SanFrancisco” e il progetto discuola Superiore per il Turismoper i giovani di Tachina,il progetto Pachamamaper l’occupazione e la promozionedella donna nelsettore dell’orticultura, laguarderia (scuola materna)a Carapungo e gli ambientiche accolgono personeche desiderano vivere incontridi spiritualità.Siamo tornati a casacarichi di conoscenze, diesperienze, di emozioni, diamicizia e di profonda riconoscenza.Grazie a tutte, proprio atutte, di cuore.Veronica Grandi,Giannino e AliceZarantonello, MaddalenaCisotto e Silvio SoldàTra i banchi del mercato e tra le cotivazioni del Pachamama a Carapungo.vita elisabettinagennaio/marzo 2010 27


vita elisabettinakenyaProfessione perpetua in Kenya e in EgittoPer sempre suea cura della RedazioneCondivisione della gioiadelle sorelle che hannofatto professione diobbedienza, povertà ecastità per sempre nellafamiglia elisabettina.Segno di unavita ˝altra˝Il giorno 21 novembre2009 nella parrocchia diSagana, diocesi di Murang’a– Kenya, suor AnastasiaMaina, suor TeresaKimondo e suor Eva PaulinaNdirangu si sono consacrateper sempre a Dionella famiglia francescanaelisabettina. Ascoltiamodalla loro voce alcune risonanzedella celebrazione edei sentimenti che l’hannoaccompagnata.Essere donne di preghiera,donne che vivonocon fedeltà la vita sacramentalee la riconciliazione:questo è quanto durantel’omelia ci ha ricordato econsegnato come “missione”il cardinale John Njueche ha presieduto la celebrazionedella nostra professione.Ci ha fatto rifletteresull’importanza di esserefedeli alle Costituzioni dellanostra famiglia religiosa, sulsignificato dei voti di castità,povertà e obbedienza, sottolineandoanche il rischio diessere contro testimonianzanel mondo in cui viviamo,soprattutto nell’ambito dellacastità, come accade oggidi vedere.<strong>La</strong> sua riflessione ci harichiamato a una maggioreconsapevolezza della chiamatae ci ha provocato aessere segno di fedeltà,speranza, incoraggiamentoe soprattutto a dire conl’esempio che è possibilevivere pienamente la propriaumanità e identità nellavita consacrata.Il nostro grazie al Signoree alle sorelle che hannoaccompagnato e sostenutoil nostro cammino fino aquesto momento, testimoniquando davanti all’altare ealla comunità cristiana abbiamodetto il nostro sì persempre.In questa circostanza cisiamo sentite abbracciateda tutte le suore elisabettine,dai nostri familiari eamici. Grazie a quanti hannopregato per noi: continuinoa sostenerci così chepossiamo vivere da verefiglie della beata ElisabettaVendramini.Siamo felici e rendiamograzie a Dio per essere figliedi questa Famiglia.suor Anastasia Maina,suor Teresa Kimondo,suor Eva Paulina Ndirangu<strong>La</strong> celebrazione si apre con una danza con costumi tipici del luogo.Dimorare in DioIl 22 gennaio 2010, moltesorelle della delegazioneEgitto-Sudan, parenti,amici e parrocchiani si sonostretti intorno a suor AnissaEfrangi (nella foto di pag.29), a condividere la gioia eil rendimento di grazie peril dono della sua consacrazioneperpetua al Signore.Il rito si è svolto nella chiesalatina di san Giuseppe,al Cairo, presieduto da p.Mamdouh Chehab ofm;hanno concelebrato diversialtri sacerdoti.Un’eco della giornatanel racconto di una sorella.<strong>La</strong> chiesa è preparata afesta, presto risuona di bellissimicanti. <strong>La</strong> processionesi snoda solenne versol’altare, tra nuvole d’incenso:suor Anissa è accompagnatadalla madre generale,suor Margherita Prado, edalla madre delegata, suorMargherita Nebar.«Dimorare in Dio… esseredimora di Dio»: questo iltema scelto da suor Anissacome filo conduttore dellaliturgia della professione edella veglia di preghiera chel'ha preceduta. “Dimorare”per portare molto frutto: digioia, di amore fraterno,didono per i fratelli… Peressere mandate, come gliapostoli.Un’esperienza profondadi e con Gesù: la relazioned’amore con lui, infatti, nonè mai chiusa in se stessa,ma si apre al dono totale ealla condivisione.Da sinistra: suor Anastasia Maina, suor Eva Pauline Ndirangu, suor Teresa Kimondo, madre MargheritaPrado, durante l'omelia.Foto a destra le sorelle sono prone a terra mentre l'assemblea invoca l'aiuto di tutti i santi su di loro.28 gennaio/marzo 2010


Questo si è percepitovivamente durante il rito diconsacrazione, nell’invocazionedi tutti i Santi e durantela professione dei votiper sempre, emessi nellemani della madre generale.Molto toccante è stata lapreghiera di consacrazione,pronunciata da padre Francis,cugino di suor Anissa,mentre le poneva le manisul capo.Si è sentita particolarmentepresente la nostrabeata Madre Elisabetta,che accoglieva suor Anissacon amore di predilezionenella nostra famiglia, attraversola presenza della Superioragenerale e di suorPaola Furegon, consiglieragenerale. E poi con l’abbracciodell’accoglienza ditutte noi.Una gioia condivisa poicon i suoi familiari, parentie amici nel momento diconvivialità seguito allamessa.Ti lodiamo e ti ringraziamo,Padre, che continui achiamare i tuoi eletti e donisempre nuove figlie allanostra famiglia elisabettina,perché fedeli al tuo FiglioGesù, siamo testimoni credibilidel tuo amore, dellatua misericordia. Maria, modellodi ogni consacrata, emadre Elisabetta ci aiutinosempre nel nostro camminodi fedeltà a Gesù e aifratelli.Auguri e… Alf Mabrouk,suor Anissa!suor Ileana Benetelloegitto - sudanDomenica 17 gennaio2010: grande festa inTachina – Esmeraldasper la prima professione diValeria Bone nella nostrafamiglia religiosa. È la ragioneche ha portato noitutte sorelle dell’Ecuador inquel di Tachina per condivideree far festa con Valeriacon la sua famiglia e contutte le persone a lei care. Èstato motivo di grande gioiaessere presenti a questomomento e, insieme, occasioneper far memoria dellanostra chiamata.Come ci ha ricordato padreMarcello Tronchin, -prete fidei donum che hapresieduto all’eucaristia – ilSignore chiama ciascunopersonalmente e altrettantopersonalmente siamo invitatia rispondere.<strong>La</strong> nostra pochezza troacura delle sorelle dell'EcuadorecuadorPrima professione in EcuadorChe bel paradiso,figlie mie...va forza nel Signore stesso:è lui la nostra certezza, laroccia su cui appoggiare.È il suo amore straordinarioe fedele che ci fa capacidi fare cose meravigliose eancor di più di affinare lanostra attenzione e sensibilitàverso i più poveri. SuorValeria (nella foto) si consegnaalla famiglia religiosanelle mani di suor Lucia Meschi,vicaria generale dellacongregazione. Al terminedella celebrazione offriamoun piccolo buffet alla genteche ha partecipato alla celebrazioneper passare poinella nostra casa di Tachinae lì continuare la festacon suor Valeria e la suafamiglia. Ascoltiamo la suatestimonianza.«Che bel paradiso, figliemie, gode questa religiosache Dio solo vuole e cerca»(Elisabetta Vendramini). Riconoscoche quanto dicemadre Elisabetta è quelloche sempre ho cercatonel mio percorso, ossia Diostesso. L’ho cercato in tuttociò che la famiglia religiosami ha proposto, nella preghierae nelle esperienzevissute che poco a poco mihanno condotto verso lui.In questo giorno moltosignificativo per me e pertanti altri, esprimo la miagratitudine al Signore e allepersone che mi hanno accompagnatoda vicino e dalontano, con la preghiera econ altri modi. Oggi per medire sì al Signore in questafamiglia che mi accoglie significaimpegnarmi ad “essereuna” con Cristo poverocasto e obbediente, nellafedeltà e con amore versoquello che è il suo desiderioper me. Con forza dico: valela pena seguirti, Signore! Valela pena giocarsi per te chesei il Tutto!suor Valeria BoneMomento della celebrazione eucaristica nella chiesa parrocchile di Tachina.vita elisabettinagennaio/marzo 2010 29


memoria e gratitudineItaliaConclusione della presenza elisabettina a San Candido di Murisengo«Con vero cuore di madre»Un saluto con stima e riconoscenzaa cura di Enrica MartellostfeIl 3 gennaio 2010, con il ritirodella comunità elisabettina daSan Candido di Murisengo (AL),si è conclusa una bella paginadella nostra storia nel Monferratoin diocesi di Casale.Isegni della gratitudine sono scrittinel cuore di tante persone, moltegià presso il Signore. Tra questedon Giovanni Iviglia, parroco di SanCandido, che ha desiderato e chiesto lesuore nella Convivenza anziani, oggi“Iviglia”, quando ebbe l’intuizione diservire la parrocchia a lui affidata rispondendoal bisogno della popolazionee al cambiamento sociale che i piccoliborghi sui colli del Monferrato stavanoattraversando. Gli anziani che rimanevanoin paese hanno trovato nelle casedi riposo, annesse alle chiese parrocchiali,luoghi di socialità oltre che dicura e assistenza.Il servizio nelle case di riposo el’apertura pastorale in varie parrocchiee oratori sono stati i due tratti tipici dellapresenza elisabettina in queste terre.ristica di saluto, il 26 dicembre 2009,nel tempo breve di un pomeriggio haraccolto in sé, viva e concreta, la storiadi trentatré anni di presenza.<strong>La</strong> corale ha reso solenne e bella lamessa, la presenza di tutto il paese l’haresa partecipata; i numerosi sacerdoti,da monsignor Francesco Mancinelli alparroco, don Elio Garbuio, dal delegatovescovile per la vita consacrata, donGiampio Devasini, ai preti della vicariae delle parrocchie che hanno godutodella presenza delle suore come assistentipastorali, hanno reso manifestala comunione nella Chiesa; le tre suoredella comunità insieme a suor LuciaMeschi, vicaria generale, e a suor EnricaMartello, consigliera provinciale,hanno ricevuto il grazie e ringraziatoa loro volta.Alcuni tra i presenti hanno espressosentimenti, pensieri, fede con discorsi,altri solo con la partecipazione.Monsignor Francesco Mancinelli,che ha presieduto la celebrazione amotivo del personale legame con lafamiglia elisabettina, nell’omelia hasottolineato alcuni significati rispettoal giungere, allo stare e al lasciare leterre monferrine da parte delle suore.<strong>La</strong> scelta di “impiantare” la comunitàelisabettina nella diocesi di CasaleMonferrato nel 1971, al di là dellecontingenze immediate che l’hanno determinata,è stata, a mio parere, unascelta in linea perfettamente coerentecon la scelta dei poveri e la scelta dellaparrocchialità praticate con intuitoprofetico dalla beata Elisabetta Vendramini.<strong>La</strong> povertà dei piccoli paesi delMonferrato, in cui hanno vissuto eoperato le suore elisabettine, non è tantouna povertà economica, ma una povertàfatta di anziani soli, una povertà numericache rischia di immiserire il tessutosociale ed ecclesiale di paesi, un tempomolto più consistenti, oggi bisognosi diCome a volte succede, è toccato asuor Emmarosa Doimo, suor RosaemiliaBedore, suor Caterina Baratella- presenti a S. Candido da tempirelativamente brevi - portare la faticadel “concludere” e, insieme, riceverel’espressione della gratitudine per unservizio di cui hanno ricevuto, per ultime,il testimone. Il grazie a queste tresorelle è il grazie alla famiglia elisabettina,a suore che alla “Iviglia” hannosaputo tessere legami e intrattenerecollaborazioni. <strong>La</strong> celebrazione euca-Panorama di San Candido di Murisengo, tra le colline del Monferrato,luogo di pastorale “a raggio” in diversi altri piccoli centri, dal 1976 al 2009.30 gennaio/marzo 2010


Foto ricordo nel giorno del saluto: al centro il celebrante, monsignor Mancinelli; dasinistra: suor Enrica Martello, consigliera provinciale, suor Lucia Meschi, vicaria generale,suor Rosaemilia Bedore, suor Caterina Baratella, suor Emmarosa Doimo, superiora.qualcuno che riesca a far sentire viva lapresenza della Chiesa attraverso i segnidi una carità pastorale capace di prossimitàe capace di promuovere, per quantopossibile, la visibilità della comunitàcristiana come esperienza concreta dicomunione e di missione.<strong>La</strong> presenza e l’opera delle elisabettinea Solonghello (1971-1982 ndr),a Grazzano (1972-1988 ndr), a Cocconato(1983-2000 ndr), a San Candidodi Murisengo (dal 1976) e, comeassistenti pastorali, nella parrocchia diSan Quirico sul territorio del comune diOdalengo Grande e nella parrocchia diPontestura, hanno significativamentecontribuito a costruire senso di appartenenzaecclesiale, testimoniando conconvinta tenacia il volto del “Dio umanato”e sforzandosi di tener presente cheogni persona umana è “dolce pensierodell’augusta Trinità”.A conclusione della messa la parolaè passata al direttore della ConvivenzaAnziani, il signor Ignazio Zonca, cheha raccolto l’eredità di don Iviglia e oraanche delle suore.<strong>La</strong> notizia del ritiro delle suoreè giunta agli ospiti della ConvivenzaAnziani inaspettata e dolorosa: le suoreci lasciano!Coinvolto da questo impatto dolorosomi son chiesto: che fare? che dire? Ledomande hanno avuto la risposta piùliberatoria al momento: preghiamo!Questa attitudine di fede, pur conanimo triste, indicava uno spiraglio diluce e tutto assumeva un colore diversotanto che mi son detto: adesso è più utilefissarsi sul fatto che “le suore ci lasciano”o concentrarsi in “quello che le suorelasciano in noi?”.Sul primo fatto rischiavo di rimanerebloccato, senza via d’uscita e senzasoluzioni.Sul secondo fatto - concentrarsi inquello che le suore lasciano a noi – trovavoun percorso, quasi un salvavita: lenostre carissime sorelle in tutti questi anni- molti di voi lo possono testimoniare,io stesso in vent’anni di stretta collaborazionecon le suore l’ho personalmentevissuto - hanno preparato un’ereditàstraordinaria lasciandoci un patrimonioimmenso di bene.Don Giovanni Iviglia, ideatore efondatore della Convivenza Anzianiche ora porta il suo nome, fin dall’iniziodella presenza delle suore, ha ritenutosuor Eugenia Monaci (la prima superiora)co-fondatrice della Casa di riposodefinendola «donna con vero cuore dimamma».L’elenco delle suore terziarie francescaneelisabettine è all’insegna di questoamore materno che sono state capaci diinfondere in tutto il tempo di permanenzaqui a San Candido e non solo.Riconosco che la bontà di questopaese la si deve certo a Dio ma in modospeciale alle cure delle nostre carissimesuore elisabettine.Allora, cosa lasciano a noi le suore?Un lascito spirituale, morale, cristianodi immenso valore. È questo il tesoro,l’eredità che riceviamo dalle loro mani.Il signor Ferrando, stretto collaboratorea suo tempo di don Iviglia emembro del consiglio che gestisce laConvivenza Anziani, si è fatto portavocedell’intera comunità di San Candidonelle espressioni di gratitudine:Le suore elisabettine hanno camminatocon noi per trentatré anni; ci sonostate sempre vicine, felici e delicate neinostri momenti di gioia, nell’educazionedei figli, sensibili e forti nel condividerel’altro volgere della vita, quello dellasofferenza, del lutto.Non sono in grado di rendere erappresentare nella misura giusta il riconoscimentodella nostra comunità: èun grazie lungo trent’anni.Abbiamo maturato un grande debito!Non riusciamo a pagare tutto il beneche abbiamo ricevuto da queste piccole,grandi donne. Qualcuno più importantedi noi ha scritto in rosso tutti gli atti dicarità, dedizione, vicinanza al prossimo,sacrifici…Grazie a tutte le suore che sono passatea San Candido, grazie per il lorosorriso, la loro testimonianza di Cristo,la loro trasmissione di fede.Due targhe uguali (nella foto inmano suor Enrica), la prima consegnataalla vicaria generale e la secondascoperta all’ingresso della ConvivenzaAnziani, portano inciso il grazie:A perenne riconoscenzaalla Congregazione suore terziariefrancescane elisabettineper i 33 anni di molteplici attivitàsvolte con vero cuore di Madre.Dio vi colmi del suo amore.<strong>La</strong> Convivenza Anziani San Candidocon le parrocchiedi San Candido e Murisengo.memoria e gratitudinegennaio/marzo 2010 31


memoria e gratitudineItalianella città di triestePagine di carità accanto ai malatiNelle corsie di ospedaledi Annavittoria TomietstfeA Triesteuna lunga storiadi presenza accanto al malatocon lo stile propriodella famiglia elisabettina.Gli antefattiQuando la famiglia elisabettinavenne richiesta di stabilire una suapresenza in Trieste, la città con la zonacircostante era stata annessa da qualcheanno all’Italia che la costituiva capoluogodella provincia omonima. Particolarequesto di rilievo, se si considerala storia travagliata di inserimento negliambienti triestini di Congregazionifemminili che intendevano svolgervi leloro attività.Le religiose erano presenti findall’Ottocento nelle corsie degli ospedalidi Trieste. Nel 1854 erano entratele Ancelle della Carità di Brescia assumendoil servizio di assistenza infermieristica;assieme ai frati minoricappuccini garantivano una presenzareligiosa assai qualificata; tuttaviaosteggiata dal processo di laicizzazioneche tendeva a negare ogni influenzadella Chiesa cattolica nella vita civile.In tale contesto, il 24 novembre1869, la massoneria triestina avanzavaformale richiesta al Consiglio municipaledi Trieste di allontanamento deifrati minori cappuccini e delle suoreAncelle della Carità, la cui presenzaera ritenuta «un anacronismo e unnon senso», affermando il prevaleredel principio «che consiglia di darealla società uomini e donne utili allamedesima».L'ospedale “S. Maria Maddalena” a Trieste, dove le suore elisabettine prestarono servizioinfermieristico dal 1925 al 1975.Il Consiglio municipale deliberò larottura del contratto stipulato con lesuore e con i cappuccini in modo chedovettero lasciare l’ospedale.Deliberò pure la istituzione di unascuola di istruzione pratica per infermierelaiche, da assumere poi nell’ospedalein sostituzione delle suore.A questo tempo risale anche l’originedelle espressioni “suora laica” e“suora religiosa” usate più tardi nelnosocomio triestino a proposito delleinfermiere.Nonostante le reazioni dei degentie di gran parte del personale medico,la presenza delle suore nelle corsiedell’ospedale cessò, ma il desiderio ela volontà di riammetterle restarononel cuore della parte non settaria dellacittadinanza.Vi fu un tentativo di inserimentodurante la prima guerra mondiale,ma di breve durata. Nel gennaio 1918entravano in una divisione dell’ospedalele suore della Provvidenza, mala giunta municipale costituita subitodopo la cessazione della guerra,in fedeltà ai proclami del 1869estrometteva nuovamente le religiosedall’ospedale.Verso il 1922 cominciò, però, amaturare una mentalità nuova perl’assistenza ospedaliera. Le spese perl’ospedale erano troppo rilevanti: locostatò un ispettore ministeriale. Ilnuovo Consiglio vide accanto a uominidella massoneria anche uomini nuovi,decisi all’azione.Nel 1923 fu approvato un progettodi provvidenze nuove e, tra queste, ilcambiamento del sistema assistenzialedegli ammalati e la riassunzione dellereligiose a graduale sostituzione delleinfermiere laiche nei due ospedalitriestini che dipendevano direttamentedall’Amministrazione municipale(fino al 1934 quando verranno costituitiin unico Ente Morale autonomo,con amministrazione propria e sotto ladenominazione Opera Pia “OspedaliRiuniti Regina Elena e Santa MariaMaddalena”).Furono subito iniziate le pratiche,ma nessuna Congregazione religiosaera in grado di accettare un compitoche si presentava notevolmente oneroso.Nel 1925 la famiglia elisabettina siorientò ad un favorevole accoglimentodella richiesta.32 gennaio/marzo 2010


<strong>La</strong> comunità elisabettinanegli ospedali triestiniÈ del 23 giugno 1924 la lettera conla quale il Consiglio municipale diTrieste notifica alla superiora generaleM. Agnese Noro 1 , l’intendimento disostituire gradatamente il personalelaico di assistenza agli ammalati con“suore religiose”.<strong>La</strong> richiesta di suore è dapprima perl’ospedale “Regina Elena” per il qualesi propone l'assunzione di un numerovariabile da quaranta a cinquanta religiose.Una richiesta oggi inimmaginabile,ma che, anche in quel tempo noncerto di “magra”, riuscì a scoraggiareil Consiglio generale, che oppose undeciso rifiuto.Ma la richiesta, finalizzata ad unservizio di tipo caritativo-assistenzialeinfermieristico,fu caldeggiata fortementedal Vescovo e dalla chiesa localedi Trieste. <strong>La</strong> loro insistenza portòall’accoglienza del servizio dapprimaall’ospedale “S. M. Maddalena” e unanno e mezzo più tardi anche all’ospedale“Regina Elena”.Così il 29 dicembre 1925 nove suoreelisabettine, guidate dalla superiorasuor Carmela Petich, sostituita subitodopo da suor Elia Borella, entraronoall'ospedale sanatoriale 2 .Singolaritànel servizio all'ospedale“S. Maria Maddalena”Trattandosi di ospedale che accogliemalati di malattie infettive, l’Amministarzionefa presente che «il bisogno dipersonale di assistenza si intensifica ediminuisce in rapporto alle condizionisanitarie della città, sicché potrebbero,in periodi saltuari assolutamenteimprevedibili, sia per epoca che perdurata, essere richieste suore in numeroconsiderevole, le quali, finito l’eccezionaleaffollamento di malati, dovrebberoessere destinate altrove. Quindi, unariserva di personale dovrebbe esseresempre a disposizione dell’ospedale “S.M. Maddalena”».Situazione molto analoga a quelladel rione Codalunga a Padova, doveElisabetta Vendramini, poco menodi un secolo prima aveva costituitol’impianto della missione elisabettinaOggi, a oltre ottant’anni di distanza,acculturati in una società che si basasolo sull’evidenza dei fatti e sulle certezzeumane, sorprende una scelta cosìcoraggiosa, basata sulla fede in Dio esulla fiducia incondizionata nella suaProvvidenza.<strong>La</strong> tipologia dei destinatari – affettiper la maggior parte da malattie polmonari– è tale da rendere questi malati imeno ricercati, secondo la mentalitàdiffusa.<strong>La</strong> documentazione storica ignorala presenza delle così dette “suore laiche”al “S. M. Maddalena”; le suorevivono nel segno della provvisorietàche vuol dire disponibilità piena,completa dedizione; precarietà per laprivazione di garanzie, anche materiali,per il proprio domani. Essere sempredisponibili suppone cioè, come pergli operai del vangelo, l’attesa che ilbisogno si presenti e, una volta cessato,la pazienza di cercare altrove, paghisoltanto della certezza che il Signore èprovvido con i suoi servi fedeli. Sonoquesti alcuni segni di carismaticità checi rimandano allo spirito delle origini eallo stile della missione specifica dellafamiglia elisabettina.Le suore assunsero al completo ilservizio di assistenza ai malati ricoverati.Inoltre venne loro affidata la sorveglianzagenerale dei servizi di assistenzaSuore, operatori sanitari, ammalatiattorno alla grotta di Loudes nel parcodell'ospedale (Foto Agep).e dei servizi generali, nella persona diuna suora-ispettrice, la superiora dellacomunità. È affidata ancora alle suorela sorveglianza diretta della cucina,della lavanderia e del guardaroba.<strong>La</strong> documentazione reperibile ela stampa locale dell’epoca registranoche la presenza delle suore portò uncambiamento radicale nell’assistenzaai malati e nell’economia.Così la prova al “S. M. Maddalena”persuase della necessità di introdurre le“suore religiose” anche nell’ospedale“Regina Elena”, in sostituzione delpersonale laico 3 .Riguardo alle difficoltà, ai timoriespressi, il Vescovo di Trieste scrivealla superiora generale, madre AgneseNoro:«Comprendo i dubbi e i timori cheumanamente non possono mancare.Dobbiamo però considerare le cose daun punto di vista più alto e più sicuro.È il Signore che avendo compassionedi tante anime dispone le cose in modoche dopo sessant'anni circa di laicismoe di immoralità rientrino le suorelà, dove fino al 1870 già esercitavanola loro missione materna. Si serve dicircostanze talvolta curiose ed inaspettate,ma è sempre il Signore, che tuttodirige…» 4 .<strong>La</strong> prova superata:al “Regina Margherita”In un ambiente ostile, per la presenzaancora di preposti che non intende-memoria e gratitudinegennaio/marzo 2010 33


memoria e gratitudineItaliaL'ospedale “Regina Margherita” poi “Maggiore” a Trieste, per molti anni luogo della missionedelle suore elisabettine. Foto a destra: la comunità nei primi anni di vita (1928, foto Agep).vano ammettere religiose nelle loro istituzioni,il primo gruppo di tredici suoreentrò all’ospedale “Regina Elena” sottola guida di suor Costanzina Milani,futura superiora generale, il giorno 1giugno 1927. Furono dapprima assuntesoltanto per i servizi generali di cucina,lavanderia, guardaroba.Forte della fortezza di Dio, piena difede e coraggio, umile e schietta, suorCostanzina chiese ed ottenne di poteroccupare le sue religiose nell’assistenzadei malati nei reparti ospedalieri tenutida infermiere laiche. Ciò fu reso possibiledopo pochi mesi.Nel contratto di locazione e conduzioned’opera del 23 agosto 1927, silegge, tra l’altro:«<strong>La</strong> Congregazione avrà cura che lesuore assegnate posseggano le necessariecognizioni tecnico-professionalicorrispondenti alla natura dei servizicui vengono preposte […] Sono di lorospettanza:nei servizi generali: le mansioni affidatealle attuali soprastanti e assistentinei servizi di divisione: le attribuzionidelle attuali capoinfermiere ecaposala.Nelle divisioni loro affidate le suorepresteranno possibilmente ai malatianche la loro assistenza diretta […].Sarà però loro compito di vigilare che imalati siano assistiti nel miglior modoe sia curata la pulizia più scrupolosadegli stessi.<strong>La</strong> suora Superiora ha la sorveglianzagenerale dei servizi affidati alla Congregazioneed è responsabile per il buonandamento degli stessi. Essa esercita ilcontrollo sulla disciplina del personalelaico addetto a questi servizi…».34 gennaio/marzo 2010Il testo integrale del contratto risentee riflette la mentalità del tempo.Alcune norme del Codice di dirittocanonico del 1917, accolte nella alloranuova legislazione delle suore elisabettine,avevano portato qualche limitazionee riserva sulle modalità di esseredella religiosa accanto al malato.Difficoltà che, se sembravano causareun rallentamento al processo diinserimento nelle corsie dell’ospedale,furono presto superate abbondantementeper la generosità e lo spirito dicarità cristiana caratteristico dello stiledi presenza delle suore.Accanto al malatocon professionalitàEsigita dalla legislazione vigentein materia, che richiedeva l’esame diStato perché ogni infermiera potesseesercitare la sua missione caritativa,l’amministrazione dell’ospedale “ReginaElena” istituì una Scuola convitto,della durata di tre anni, per la qualificazionedel personale infermieristico.Già nel 1928, all’inizio della attivitàscolastica, alcune giovani suore elisabettinefurono ammesse a frequentarela scuola, dietro istanza della superiorasuor Costanzina Milani 5 .Ella intuì subito che accanto ai medicierano necessarie non solo religiosepiene di zelo, capaci di sacrificio senzariserva, ma anche professionalmentecompetenti, munite dei titoli richiesti.Chiese ed ottenne che un buon numerodi suore frequentassero come allievela Scuola convitto. Ad ogni primaprofessione, un gruppo di religioseveniva avviato ed addestrato nel campoinfermieristico.<strong>La</strong> Scuola convitto per infermieredi Trieste, come quella di Padova, sortanel medesimo tempo, costituì per lafamiglia elisabettina la palestra doveintere generazioni di suore infermiereprepararono il loro spirito alla missionespecifica e alla delicatissima arte diprendersi cura del fratello malato.<strong>La</strong> frequenza delle suore in questescuole durò circa trent’anni, fino al1960, quando cioè sorse la Scuola convittoper infermiere professionali “DonLuigi Maran”, a Pordenone, gestita inproprio dall’Istituto 6 .Tempo di fiorituraL’apertura della Scuola convittoall’ospedale “Regina Elena” fu senz’al-Suore, infermiere e allieve infermiere posano per una foto ricordo (foto anni Trenta, Agep).


31 ottobre 1965: il vescovo di Trieste, monsignor Antonio Santin, benedice la nuova cappella della comunità dell’ospedale “Maggiore”,dedicata a “Maria Madre della Chiesa”, prima espressione delle innovazioni liturgiche del concilio Vaticano II (foto Agep).tro, per le elisabettine in Trieste, l’iniziodi una promettente fioritura, dataanche la consistenza numerica dellapresenza che si andava delineando. Perun periodo di oltre trent’anni l’ospedalevide accanto a suore già esperte legiovani religiose, allieve della Scuolaconvitto. Ciò fu di grande vantaggioper le une e per le altre: le giovani suorecon la competenza professionale acquisivanodalle più adulte la competenzadella passione apostolica; le più anzianeerano stimolate ad accompagnare legiovani affidando loro la bellezza deltestimone.<strong>La</strong> presenza delle suore si consolidòdapprima all’ospedale “S. M.Maddalena”, dove fin dall’inizio avevanoassunto al completo l’assistenzaai malati.Al “Regina Elena” il numero sidilatò in corrispondenza alle nuoveassunzioni nei reparti dove prima operavanoinfermiere laiche.<strong>La</strong> presenza contemporaneanell’ospedale di “suore laiche” (infermierelaiche) e di “suore religiose” (lereligiose infermiere) fu per le suore unaprovocazione e uno stimolo ad un serviziosempre più coscienzioso, qualificatoe competente.E quando le leggi dello Stato tendevanoad escludere la religiosa dallacorsia ospedaliera - a motivo di alcuneriserve circa l’assistenza infermieristicaagli uomini, riducendone lapresenza ai soli servizi generali - papaPio XI nel 1932, in deroga alle normecanoniche vigenti, ordinò che gliIstituti dediti alla assistenza dei malatinegli ospedali, estendessero dettaassistenza anche agli uomini. Così lesuore ebbero campo libero nel loroesercizio di carità.Nella logica del ridisegnoIl numero delle presenze subì unaprima flessione quando le suore allieveinfermiere non furono più inviate aTrieste; tale flessione era destinata adaccentuarsi nell’immediato postconcilio,per il fenomeno del calo numericodelle vocazioni alla vita religiosa. <strong>La</strong>presenza fu sempre più limitata ma nonmeno feconda ed incisiva.Il 30 agosto 1975 la famiglia elisabettinaconcluse il suo servizio all’ospedale“S. M. Maddalena”, con granderammarico anche dell'Amministratoreapostolico appena nominato 7 , che cosìaveva scritto alla superiora generale,madre Bernardetta Guglielmo 8 : «…non posso non richiamare il valore dellapresenza delle suore in un ospedale,e in quello di “S. M. Maddalena” inspecie, costituito prevalentemente direparti di geriatria, quando non solo lapreparazione professionale ma la stessaconsacrazione religiosa loro propria e lasensibilità creata dalla carità cristiana,rendono incomparabilmente preziosa laloro opera in favore degli ammalati».Nel 1977 furono costituiti posti inruolo per le suore infermiere nell’organicodell’ospedale. Mentre si garantivala presenza delle religiose, se ne dimensionavail rapporto di lavoro e i tempidel servizio.<strong>La</strong> comunità elisabettina continuòad essere presente nel servizio infermeoristicocon suore in ruolo e consuore in convenzione, con abitazioneall'interno dell’ospedale, anche dopo lacostruzione del nuovo ospedale “Cattinara”(1985) dove esse si recavano dapendolari ogni giorno.Questo, fino al giugno 1997, quando,l'esiguità del numero delle presenzefece decidere di lasciare libero l’ambientee di continuare il servizio dauna comunità esterna dall’ospedale.Al momento del ritiro la comunità eracostituita da: suor Adelinda Gazzola,superiora, suor Celsa Bortoli, suor RedemitaCappellua, suor Elvia Parro,suor Terenziana Pasquato e suor AnnaRosa Valbusa (impegnate all'internodella comunità); suor Ines Obici e suorGraziangela Vedovato (in servizio pressoil seminario vescovile).Il servizio ospedaliero si conclusequando l'ultima suora in ruolo raggiunsel’età della pensione (30 agosto 1999).<strong>La</strong> famiglia elisabettina, tuttavia,aveva cercato già da parecchi anni altrevie per restare a Trieste, accanto almalato soprattutto solo, indifeso, assistendolonella sua casa. Un servizio chesi è concluso nel 2006, di cui parleremonel prossimo numero. ■1Superiora generale dal 1923 al 1944.2A Trieste fu presente per breve tempo- 10 agosto-5 dicembre 1944 - una comunitàelisabettina anche al sanatorio "Slataper".3Lettera del 13 novembre 1926, Agep.4Lettera del 4 ottobre 1926, Agep.5Cf. Testimonianza di suor Leonilda Ferino,anno 1977, Agep.6Vedi “In caritate” 1/2009, pp. 27-30.7Lettera del 12 agosto 1975, Agep.Al momento del ritiro la comunità era cosìcostituita: suor Cirina Stabarin, superiora, suorCarmelita Bianchi, suor Mafalda Fugolo, suor<strong>La</strong>ura Lunardi, suor Elisa Martin, suor SilvarosaSartore, suor Piergiuditta Sbalchiero.8Superiora generale dal 1969 al 1987.memoria e gratitudinegennaio/marzo 2010 35


con la veste di lino puro, splendente nel oel ricordodi Sandrina Codebò stfesuor Gianriccarda Cigalanata a Piove di Sacco (PD)il 16 maggio 1930morta a Ponte di Brenta (PD)il 23 ottobre 2009Assunta Cigala, suorGianriccarda, aveva quasiventiquattro anni quandolasciò Piove di Sacco, doveera nata nel maggio del1930, per recarsi nella CasaMadre delle suore francescaneelisabettine, decisaa rispondere alle esigenzedella vocazione di totaleconsacrazione a Gesù Signore.Terminato l’iter dellaformazione iniziale fece laprima professione religiosail 3 ottobre 1956 e si misuròsubito con uno dei servizicaratteristici della famigliareligiosa: la cura del malato.A Venezia, presso l’ospedale“Giustinian”, accostòcontemporaneamente teoriae pratica che esercitò poi invarie sedi: nella Casa di cura“G. Oselladore” in Padova,nell’ospedale psichiatrico diBrusegana (PD), nel Ricovero“B. Pellegrino” in Padova,nella casa di riposo diOrgiano (VI), nell’ospedalecivile di Padova e in quellodi Noventa Vicentina. Poioperò nuovamente in casedi riposo: a Morsano alTagliamento prima, quindiin quella di S. Vito al Tagliamentodove per diciassetteanni si prese cura dei Sacerdotinella attigua Casadel clero.Da qui fu trasferita inSvizzera a Orselina di Locarnoe per sei anni curò le36 gennaio/marzo 2010ospiti della casa di riposo“E. Vendramini”.Suor Gianriccarda nonaveva mai goduto di unabuona salute e forse, proprioper questa sua personaleesperienza, seppe accostarecon tatto e gentilezza gliammalati incontrati e curatiin tanti anni di servizio.Nel 2000 lasciò definitivamenteil servizio infermieristico:per cinque anni feceparte della comunità attiguaal Santuario della Madonnadelle Grazie di VillafrancaPadovana, dove si misuròsoprattutto con il ministerodella consolazione.Nel settembre del 2005fu trasferita nella comunitàIstituto “Bettini” di Ponte diBrenta (PD) dove visse serenamentegli ultimi quattroanni prestandosi ancora intale ministero nella parrocchia“Alle Padovanelle”.L’incontro con il SignoreGesù venne senza preavviso:non c’era stato segnopremonitore che facessepensare a “sorella morte”.In questo momento estremo,un messaggio, l’ultimo,di suor Gianriccarda: «Vigilate,perché nell’ora che nonsapete egli viene».Una sorella che ha condivisocon lei la vita fraternae il servizio così si esprime:Ricordo con riconoscenzagli anni trascorsi a SanVito al Tagliamento con suorGianriccarda. In lei ho coltouna sorella capace di mettereal centro della propria vitala preghiera e il servizio dalquale traspariva un cuore attento,atteggiamento questoche espresse in particolareverso i sacerdoti malati eanziani a cui per molti annidedicò cure che dicevanodevozione e sintonia con ilpensiero di san Francesco(FF112s). Amava il sacrificio,amava la vita fraterna, eraricca di attenzioni verso lesorelle, specialmente quellepiù bisognose; infondevasperanza e fiducia nell’affrontareil quotidiano servizio,spesso accompagnatodalla sofferenza perché avevauna salute precaria.Era una persona intraprendente,entusiasta delbello, mai sconfitta nelle difficoltà,desiderosa di camminaresui sentieri della divinavolontà.●suor Idelmina Salvagninnata a Brugine (PD)il 24 novembre 1924morta a Padovail 31 ottobre 2009Suor Idelmina ci ha trasmessoe lasciato in ereditàil buon esempio di suoraumile e determinata nellasua scelta: essere amorosamentee fedelmente aservizio, sempre e ovunque,sospinta dalla paroladi Gesù: «ogni volta cheavete fatto queste cose auno di questi miei fratelli piùpiccoli, l’avete fatto a me»(Mt 25,40b).Filomena Salvagnin aventidue anni lasciò Brugine,grosso comune dellaSaccisica dove era natail 24 novembre 1924, perraggiungere la Casa Madredelle suore francescaneelisabettine in Padova.Qui fu introdotta nella vitamissionedella famiglia elisabettinada lei conosciutain parrocchia, dove le suoreelisabettine erano presentida qualche anno.Il 2 maggio 1949 fecela prima professione e fuinviata a Venezia, nell’ospedale“Giustinian”. Qui iniziòa “vestire gli ignudi”, servizioche caratterizzò la suavita e che lei nobilitò perchéconsapevole di riconoscereCristo in tutti i “poveri”.<strong>La</strong>sciò Venezia ventidueanni dopo, trasferita all’Istitutoper minori “D. Caenazzo”di Badia Polesine.Nel 1977 dopo un periododi “riposo forzato”per malattia raggiunse Assisidove per trent’anni siprese cura del guardarobadegli ospiti dell’“IstitutoSerafico” che amò comefigli, una attenzione-testimonianzache trasmise atutto il personale con cuivenne a contatto: fu unacatechesi della carità.Aveva superato da tempol’età del pensionamento,ma solo la malattia le fecelasciare Assisi e i “suoi” ragazziper vivere i suoi dueanni ultimi anni nell’infermeriadi casa madre portandoserenamente il peso dellamalattia e confermando l’immaginedi suora buona, discreta,serena e grata. Unaimmagine confermata dalletestimonianze seguenti.Reverenda Madre, sonostato informato della mortedi suor Idelmina. Io nonho avuto la possibilità diconoscerla, ma all’IstitutoSerafico, dove ella haprestato per tanti anni ilsuo servizio, ne conservanoun ricordo splendido,ne parlano con grande ammirazione,ricordando lasua dedizione senza limiti.È stata una testimonianzadegna dello spirito francescanoed elisabettino dellavostra Congregazione. Anome dunque dell’interaDiocesi desidero far pervenirel’espressione dei piùvivi sentimenti di cordoglio,ma soprattutto l’assicurazionedella preghiera. Èimplorazione per la defunta,perché i suoi occhi siriaprano con gioia alla lucedi Dio. È anche supplicaper voi tutte, perché sieteconsolate e accompagnatedalla benedizione di Dio.CordialmenteMons. Domenico SorrentinoVescovo di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino


con la veste di lino puro, splendente nel ricordoCarissima suor Idelminati ricordiamo, per l’esperienzafraterna vissuta al“Serafico”, come una presenzasilenziosa ma moltolaboriosa. Ti sei sempreimpegnata con tutte le tueforze per rispondere conprecisione e disponibilitàad ogni richiesta. Ti seiprodigata nel tuo serviziosenza tener conto del tempo…perché con tenerezzati prendevi cura dei ragazziche sentivi appartenerti. Eriattenta soprattutto a chinon aveva il calore della vicinanzadei genitori e dicevi:«non hanno nessuno, noisiamo la loro famiglia». Noisorelle della tua comunitàabbiamo toccato con manoche il forte senso di dedizionee premura per ognibisogno a cui tu hai rispostoha costruito negl’anniun’identità pienamentefrancescana ed elisabettinaprotesa al bene dei fratelliin risposta alla volontà diDio. <strong>La</strong> tua semplicità ci hatestimoniato la bellezza diappartenere al Signore. Noiti ringraziamo e ti portiamonel cuore come sorellamaggiore che ci ha aiutatoa crescere nella fede.suor Cristina GreggioUniti nella preghiera enel ricordo vogliamo esprimereil nostro grazie allapiccola suora Idelmina. <strong>La</strong>sua semplicità, il suo calore,la sua accoglienza masoprattutto il suo silenzionel fare il bene al prossimosaranno i frammenti dellasua esistenza che rimarrannoin mezzo a noi. Grazie:abbiamo camminato insiemesulla strada della carità.Michela Tufoe Claudia Fortunatoeducatori del “Serafico”Altri operatori hannovoluto farci dono dei trattisalienti di suor Idelmina:Suora piccola fisicamentema grande moralmente,buona e sensibile,con un cuore immenso,gentile e accogliente, capacedi mettere a proprioagio le persone con cuisi rapportava, sapeva aiutaree dare sostegno neimomenti difficili; attenta aiparticolari nel riassettare labiancheria di ospiti e operatori;dotata di pazienza edi una grande riconoscenzaper quanto riceveva; la suatestimonianza di religiosaserena ha un posto grandenel cuore di tutti noi. ●suor Servilia Benettinata a S. Eufemia di Borgoricco (PD)il 5 giugno 1917morta a Taggì di Villafranca (PD)il 28 novembre 2009Suor Servilia, StefanaBenetti, aveva assunto giànella e dalla propria famigliauno stile di vita profondamentecristiano fondato suun rapporto familiare con ilSignore: quello che scaturiscedalla fede dei semplicinutrita dalla preghiera edalla s. Messa quotidiana.<strong>La</strong> vita di campagna poi,S. Eufemia di Borgoricco(PD) era un paese essenzialmenteagricolo, l’avevaabituata alla laboriosità eallo spirito di sacrificio e,in certo qual modo, l’avevapreparata a una vita chesarà effettivamente tuttaimprontata al servizio umilee gioioso come anche il suonome proponeva. A diciottoanni suor Servilia lasciò S.Eufemia, dove era nata nelgiugno del 1917, per recarsia Padova nella CasaMadre delle suor elisabettinedecisa a condividernevita e missione affascinatadall’ideale francescanoche aveva “conquistato”già molte giovani di S. Eufemia.L’itinerario formativodel postulato e del noviziatoconfermò la sua scelta di vitae il 2 maggio 1938 fece laprima professione religiosa.All’inizio le fu richiestoun servizio coerente conle abilità acquisite in famiglia:per cinque anni fuguardarobiera nel collegio“S. Giuseppe” in Roma eper diciassette fu sovrintendenteai servizi generalinell’ospedale.“Giustinian”a Venezia.Da qui raggiunse Trevisodove operò prima nellacomunità presso il Vescovadoe poi nella Casa diAzione Cattolica “G: Toniolo”,anche come superioradella comunità.Serenità, discrezione,una sapienza attinta al vangeloerano i tratti più evidentidella sua personalità;anche in forza di ciò, nel1971, fu ritenuta idonea asvolgere il delicato compitodi assistente educatricepresso le Carceri Giudiziariefemminili di Treviso edi superiora della comunità.Nel 1975 fu trasferitaa Padova, per dieci annifu superiora della comunitàin servizio presso la Casadel Clero quindi passò nellacomunità presso il Seminariominore di Tencarola(PD). Per sedici anni ritornòad essere serena e diligenteguardarobiera sempreattenta però a riconoscerecon materna sollecitudinenon solo i bisogni materialidei giovani seminaristi.Nell’ottobre del 2001iniziò il tempo del “riposo”,raggiunse Zovon di Vo’(PD) dove, nella comunitàdi riposo per suore anziane“Maria SS. Assunta, continuòa dare la sua serenatestimonianza di vita.Ma all’inizio del 2003 permotivi di salute ebbe bisognodi un ambiente protettoe fu trasferita nell’infermeriadi Taggì di Villafranca (PD)dove continuò ad essereuna presenza positiva accantoalle altre sorelle ospitidella struttura. Sostenutadalla preghiera incessanteandò serenamente incontroallo Sposo; la ricordiamoquale testimone umile e veradi vita evangelica.Pensare a suor Serviliami riempie l’anima di riconoscenzaal Signore che mi haconcesso di conoscerla, disentirla sorella nella famigliaelisabettina e legata ancheda vincoli umani alla miafamiglia naturale. Nei mieirientri in Italia è stato sempremotivo di gioia per meandarla a trovare, in qualsiasicomunità si trovasse. Eraserena, capace di scusaresempre; l’incontro con leimi comunicava pace. Avevasaputo cogliere la preziositàdel dono di sé per il benedella Chiesa e dei sacerdotiin particolare, quindi la suapresenza nella casa del Clero,in seminario... era vissutacon un ampio respiro chele faceva intravedere altriorizzonti ed offrire tutta sestessa fino all’ultimo, senzarisparmiarsi. <strong>La</strong> sua spiritualistáera caratterizzata da unabbandono totale al Signore;ripeteva spesso: «Quelloche lui vuole» e, raccomandavaanche a me, sia a voce,sia attraverso gli scritti chepuntualmente mi inviava finoagli ultimi anni; di essere generosa,di avere unicamentelo sguardo rivolto al Signore,per cui “vale la pena offriretutto” mi diceva.Il suo animo delicato, ilsuo cuore buono, la sua dedicazionegenerosa hannointessuto la sua lunga vita,preparandole la corona cheil Signore le ha senz’altroriservato, dopo «aver combattutola buona battaglia,terminato la corsa e mantenutola fede» (cf 2 Tim 4,7).Per tutto quanto sei stataper me, per la tua amicizia,per la tua accoglienza,grazie, suor Servilia!suor Sandrapia FedeliPortoviejo - Ecuadorgennaio/marzo 2010 37


con la veste di lino puro, splendentesuor Alba Cavallinnata a Solagna (VI)il15 luglio 1909morta a Taggi di Villafranca (PDil 3 dicembre 200938 gennaio/marzo 2010È proprio il caso di annunciarlosubito: suor Albaha avuto in dono una vitaveramente lunga, con isuoi cento anni compiuti hasuperato di gran lunga leprospettive del salmo “glianni della vita sono settanta,ottanta per i più robusti”.Giuseppina Cavallin,suor Alba, era nata infattinel luglio del 1909 a Solagna,un paese dell’AltoVicentino, in una famigliache la educò cristianamentee che accolse come unabenedizione la sua scelta divita che anche sua sorellasuor Zamira, di quattroanni più giovane, avrebbefatto. Giuseppina lasciòventiduenne la propria casaper iniziare nel postulato,e continuare nel noviziatodelle suore elisabettine,l’itinerario di discernimentovocazionale e di formazioneiniziale alla vita religiosa.Il 21 marzo 1934 fece laprima professione. Una vitacosì lunga, oltre settant’annidi vita religiosa, è statasegnata da una serviziosemplice: ha curato il guardarobain grandi comunità;un servizio che ha impreziositocon la preghiera, moltosilenzio-raccoglimento etanta dedizione. Ha vissutoi suoi primi ventotto annidi suora nella comunità “E.Vendramini” di Pordenoneche con l’annesso collegiole chiese di impegnare molteenergie.Dopo una breve parentesinella comunità scolasticadi Bassano del Grappa(VI), per dieci anni svolse lostesso prezioso servizio inCasa Madre, da qui passònella comunità “Regina Pacis”di Taggì di Villafrancadove fu attiva fino al 1993.A 84 anni sperimentò finalmenteil “riposo” ma continuòa donare la sua preziosapresenza alle sorelledella comunità. Nel 2001 fuperò necessario inserirla inun ambiente protetto, passòquindi nell’attigua infermeriadove la malattia le chiese divivere gli ultimi anni in unacompleta immobilità e nelsilenzio assoluto.Sono stati anni in cui suorAlba ha offerto una catechesipreziosa a noi che la visitavamo:ci ha ricordato con lavita che la “consegna di sé” èuna cosa seria. Ci ha aiutatoa comprendere che l’infermeriaè un luogo santo perchémette alla prova e fortificala nostra fede e “ci salva”chiedendoci un coraggiosoesercizio di carità. ●suor Fedele Sacconnata a S. Eufemia di Borgoricco (PD)il 7 febbraio 1916morta a Padovail 24 dicembre 2009Santa Saccon, suor Fedele,a diciannove anni presela decisione fondamentaledella sua vita: accoglierel’invito del Signore Gesù avivere secondo il santo vangeloavendo come modelliFrancesco d’Assisi ed ElisabettaVendramini. <strong>La</strong>sciò S.Eufemia di Borgoricco (PD),dove era nata il 7 febbraio1916 in una famiglia dalleprofonde radici ed espressionicristiane, e raggiunsela vicina Padova; dove,nel postulato e nel noviziatodelle suore elisabettine, conosciutein parrocchia, approfondìle motivazioni dellasua scelta e si preparò a farecon gioia la prima professioneil 2 ottobre 1937. Nei primidue anni della sua vita dareligiosa suor Fedele feceparte della comunità in serviziopresso il seminario diRovigo poi fu trasferita nellacomunità ospedaliera di NoventaVicentina; qui appresee per otto anni si misuròcon il delicato compito diassistere la persona ammalata.Dal 1947 al 1949 feceservizio nell’ospedale civiledi Asolo (TV) e poi per benventun anni nella Casa dicura “Rodighiero” in Padovadando prova di generosità ecompetenza. Dopo un breveperiodo di servizio nell’infermeriadi Casa Madre, pertredici anni le fu chiesto diprendersi cura degli anzianiospiti nella casa di riposo diOrgiano (VI). L’attenzione ela dedizione dimostrati fecerosì che fosse lei la suorascelta ad assistere, per ottoanni, la persona del vescovomonsignor Girolamo Bortignonritiratosi prima a “VillaImmacolata” a Torreglia (PD)e poi presso l’O:P:S:A. diSarmeola. Nel 1992, conclusoquel delicato servizio,ritornò a “Villa Immacolata”dove per cinque anni fu unapreziosa presenza nella comunitàcollaborando secondole sue possibilità al servizioda essa reso nella Casadi spiritualità della diocesi diPadova, collaborazione checontinuò a donare per altricinque nella comunità dellacasa di riposo “E. Vendramini”in Padova.Solo nel 2002 si ritirò felicenella vicina Casa Madrecome membro della comunità“Santa Famiglia”, qui lasua missione si fece semplicissimae insostituibile:fu assidua adoratrice nellachiesa del Corpus Domininel ricordoportando davanti al Signorele gioie e le speranze, letristezze e le angosce degliuomini d’oggi, dei poveri soprattutto.L’infermeria di CasaMadre l’ospitò per pocopiù di un anno e fu il luogodel compimento di una vitaserenamente e fedelmentededicata al Signore amato eservito nelle persone.Alcune testimonianzeSuor Fedele: donna saggia,determinata, coerentecon i suoi principi, irradiavapace e mitezza. Durantegli anni vissuti nella nostracomunità ci ha donato unatestimonianza di vita che ciinterpella perché è stata unapersona pacifica e operatricedi pace, mai un lamentousciva dalla sua bocca e difronte alle inevitabili difficoltàdella vita; più con il suosguardo limpido e con il suosorriso che con le parole,diffondeva serenità e pace.Se per caso nella conversazioneveniva espressoqualche giudizio negativo,con il suo modo gentile,senza esprimere disappunto,sapeva far rientrare ildiscorso nei veri valori dellavita religiosa, nella sua positività.Quando, a causa dellasalute sempre più precaria,ebbe bisogno di qualchepiccolo servizio, lo accettòcon semplicità e con amorosariconoscenza.Gesù, mite e umile dicuore, è stato il suo Maestroe ha guidato il suo camminodi fedeltà, cammino a volteerto e spinoso ma resopiano dalla fervente e incessantepreghiera e dal suoamore alla Madonna.Suor Fedele, sei stataper noi una presenza preziosadi persona semplice,umile, fervorosa nella preghierapersonale e comunitaria,generosa nel fare tantipiccoli servizi, aperta allacondivisione e alla gioia neimomenti di ricreazione e difesta. Grazie!Comunità “S. Famiglia”Casa Madre - Padova


con la veste di lino puro, splendenteHo conosciuto suor Fedelenella casa di riposo“Elisabetta Vendramini” divia beato Pellegrino in Padova.Vi era giunta comesuora in riposo. Si è dimostratadonna energica, tenace,amante della comunità,godeva nello stare assieme,aveva una spiritualità e stiledi vita che andava all’essenziale;fu una presenzapositiva, frutto di una vitaequilibrata e coerente. Sapevaringraziare anche perle minime cose; era sempreattenta ad intuire anche ipiccoli bisogni di coloro chele stavano accanto. Nongodeva di buona salutetuttavia era sempre serena,pronta a servire le suoredella comunità e le signoreospiti della casa; si intrattenevacon loro per ascoltarle,pregare insieme, raccontarela sua lunga esperienzadi vita, e tutto con quellaserenità che rassicurava econsolava e che in lei eraconnaturale.Ringrazio il Signore peraverci donato suor Fedele,per quanto la sua testimonianzaci ha insegnato, peril servizio con cui ha onoratola famiglia elisabettinada lei tanto amata. Ora lapenso nel gaudio del suoSignore.suor Lenangela SanaviaComunità “Maria Immacolata”Taggi di Sotto (PD)Suor Fedele era unapersona discreta, di grandeumanità e disponibilità,pronta in ogni momentoall’obbedienza, serena, fedeledi nome e di fattoal Dio e ad ogni personache si trovava nel bisogno.<strong>La</strong> ricordo in modo particolaredurante il periododi assistenza al vescovodi Padova monsignor GirolamoBortignon. Fu unaassistente attenta, discreta;durante la lunga malattianon si allontanavamai, aveva scelto di esserepresente ad ogni suo bisogno.Suor Fedele donavacon gioia quanto aveva nelcuore anche in forza dellariconoscenza che nutrivaper il Vescovo che avevalasciato un segno così importantedella sua azioneapostolica nella creazionedell’Opera della ProvvidenzaS. Antonio.suor Serafina MorettoO.P.S.A. - Sarmeolasuor Placidiana Povolonata il 4 settembre 1917a Castelgomberto (VI)morta a Padovail 29 dicembre 2009Maria Povolo, suor Placidiana,nacque a Castelgomberto(VI) il 4 settembre1917 ed espresse la suascelta di vita in età matura,infatti entrò nel postulatodelle suore elisabettine aventisei anni. È questa unanotizia non solo cronologica,ma un dato che probabilmenteè all’origine dellasua personalità tenace chesempre la contraddistinse.Dopo i due anni di noviziato,durante i quali fuintrodotta nella vita elisabettina,il 3 maggio 1946fece la prima professionereligiosa.Fu subito destinata allacomunità in servizio pressol’ospedale civile di Padovadove rimase per trentadueanni in qualità di strumentariain sala operatoria. Nel1978 lasciò l’ospedale perla casa di riposo “Ca’ Arnaldi”di Noventa Vicentina;qui gli ospiti godettero perdodici anni della sua generosae attenta presenza.Nell’ottobre del 1990suor Placidiana fu trasferitanel ricordonella comunità “S. MariaAssunta” a Zovon di Vo’(PD) e giunse così per lei iltempo del “riposo”, caratterizzatosoprattutto dallapreghiera prolungata e daampi spazi dati alla vitafraterna, un dono attesoche finalmente equilibravai tanti anni di servizio dellasuora-sempre-reperibileper la sala operatoria o perstare accanto all’anziano.Nel tempo però anche ilsuo fisico robusto cominciòa dare segnali di decadimentoe fu necessario l’ambienteprotetto dell’infermeria di Casa Madre dove perdieci anni, gli ultimi dellasua vita, compì un camminodi completa consegna disé resa più esplicita anchedalla immobilità e dal silenzioche caratterizzarono gliultimi tempi.<strong>La</strong>sciamo parlare unatestimone.Ho conosciuto suorPlacidiana nel 1969. Eranella comunità dell’ospedalecivile di Padova doveoperava come strumentariain una sala operatoria.Era una suora buona, digrande umanità, semplice,disponibile, di carattere allegro,di facile rapporto conle persone che avvicinava,e aveva pronta una paroladi speranza per tutti. Negliincontri, non sempre pacifici,tra gli operatori sanitarisapeva mediare con autorevolezzae tutto tornavanella normalità perché conuna battuta allegra e unaparola saggia, frutto dellasua intelligenza che sapevacogliere le situazioni esdrammatizzarle, convincevatutti. Dopo molti annil’ho incontrata nuovamentenella casa di riposo “s.Giuseppe” di Zovon. Sonostata felice di constatareche l’età avanzata non leaveva tolto l’allegria che eraun “gene” del suo DNAper cui, era ben voluta ecercata nei momenti ricreativiper i quali si dimostravasempre disponibile. Partecipavaattivamente alla vitacomunitaria con particolareattenzione per la preghiera,e sapeva trovare il tempoper sostare in adorazioneeucaristica alla quale lacomunità si era impegnataquotidianamente. Quandonegli ultimi anni la visitavonell’infermeria di Casa Madrel’ascoltavo spesso ricordarecon piacere il tempovissuto a Zovon. Oggila penso felice nella casadel Padre, perché immersanella gioia che non ha fine,le sue battute facciano sorridereanche gli angeli… ea noi ricordino che l’allegriapiace al Signore ed è ungrande mezzo di apostolato.suor Serafina MorettoO.P.S.A. - SarmeolaIl nostro ricordo affettuosoe riconoscente va anchea suor Francesca Madruzzato,suor Berenice Ferrari, a suorAmedea Sabbadin e a suorTerenzia Sonego tornate allacasa del Padre nel mese difebbraio.Di loro daremo testimonianzanel prossimo numero.Ricordiamo nella preghierae con fraterna partecipazionela mamma disuor Assunta Rostirollail papà disuor Maria Rita Pavanellola sorella disuor Gioachina Martinsuor Alberina Martinazzosuor Lucia Meschisuor Giannagnese Terrazzinil fratello disuor Patrizia Cherubinsuor Speranzia Facchinsuor Graziella Gallosuor Matteina Guidolinsuor Emiliana Norbiatosuor Assunta Targasuor Edoarda Zanon.gennaio/marzo 2010 39


1860-2010 Sui pa si di Elisabetta VendraminiCamminoed iniziativedi solidarietà16-18aprile 2010Bassanodel GrappaPiazzola sul BrentaPadovaprogrammaPIEDIvenerdì 16 aprile 2010ore 20.30incontro presso la Scuola “E. Vendramini” diBassano del Grappa:l Il diritto alla cura: la figura di ElisabettaVendramini.l Il servizio di “Casa S. Chiara”:la testimonianza di chi si prende a cuore imalati terminali.sabato 17 aprile 2010ore 9.00Bassano del Grappa - P.zza Garibaldi -chiesa S. Francesco: momento di preghiera epartenza della marcia per Rosà -<strong>La</strong>ghi di Cittadella - Piazzola sul BrentaDIRITTIore 20.30presso la parrocchia di Piazzola sul Brenta:l Il diritto alla cura: la figura di ElisabettaVendramini.l Il servizio di “Casa S. Chiara”:la testimonianza di chi si prende a cuore imalati terminali.- Mercatino solidaledomenica 18 aprile 2010ore 7.00Piazzola sul Brenta: partenza per la seconda tappadella marcia: - Villafranca Padovana -Taggì di Sotto - Montà - Porta Trento -via Beato Pellegrino - Basilica del Carmineore 12.00celebrazione eucaristica nella Basilica del Carmine.- Mercatino solidaleInvito aperto a tuttil Da Bassano a Rosà e fino a Cittadella la marcia èaperta a tutti. Si prosegue quindi fino a Padovacon i giovani.Non è previsto un servizio organizzato per il ritorno.Ciascuno è invitato a provvedere con mezzi propri.l Contributo “solidale” di partecipazione: € 3,00.- Nel pomeriggio momento di festa e preghierafinale presso la Casa Madre delle suore terziariefrancescane elisabettine.Per esigenze organizzative è richiesto dicomunicare la partecipazione al camminoentro il 20 marzo 2010 contattando suorIsabella Calaon: 0424.32489 - isabc@libero.ite/o suor Giuseppina Ceolato: 049.8722056 -nativita.pd@elisabettine.it

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