19.08.2015 Views

Cin

n. 2 - aprile/giugno 2011 - Suore Francescane Elisabettine

n. 2 - aprile/giugno 2011 - Suore Francescane Elisabettine

SHOW MORE
SHOW LESS
  • No tags were found...

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. I, comma 2, DCB PADOVA<strong>Cin</strong>Caritaten.C H R I S T ILa misericordia di Dioavvolga tutto il mondoe lo salvi dalla disperazione… con la nostra autoritàapostolica concediamo che ilVenerabile Servo di Dio GiovanniPaolo II, papa, d’ora in poi siachiamato Beato e che si possacelebrare la sua festa ogni annoil 22 ottobre. Nel nome del Padree del Figlio e dello Spirito Santo.Bollettino delle suoreterziarie francescaneelisabettine di Padova2 - aprile/giugno 2011


anno LXXXIII n. 2aprile-giugno2 0 1 1In copertina: La gigantografia del beato Giovanni Paolo.In basso a sinistra: stralcio del testo della proclamazione;a destra: Benedetto XVI onora per primo le spoglie del Beatoin San Pietro.EditoreIstituto suore terziarie francescaneelisabettine di Padovavia Beato Pellegrino, 40 - 35137 Padovatel. 049.8730.660 - 8730.600; fax 049.8730.690e-mail incaritate@elisabettine.itPer offerteccp 158 92 359Direttore responsabileAntonio BarbieratoDirezionePaola FuregonCollaboratoriIlaria Arcidiacono, Sandrina Codebò, Barbara Danesi,Martina Giacomini, Enrica Martello, Annavittoria TomietStampaImprimenda s.n.c. - Limena (PD)Autorizzazione del Tribunale di Padovan. 77 del 18 marzo 1953Spedizione in abbonamento postaleQuesto periodico è associato all’Uspi(Unione stampa periodica italiana)in questo numeroeditoriale 3nella chiesaIl filo d'oro del documento 4Renzo GerardiSpalancate la porte a Cristo 7Oraziana Cisilino e Michela Primi«Confermati nella fede» 8a cura della RedazionespiritualitàBellezza di... traboccante fecondità 11Francesco Farronatoparola chiaveLa regola «custode» dei valori 13Giorgio Ronzonifinestra apertaLe sfide del volontariato 16Alessandro GozzoMedici in missione 17Luca MarciandiIl mondo arabo tra crisi e speranze 18Giuseppe Scattolinin camminoI colori dell'interiorità 21a cura di Martina Giacominialle fontiElisabetta, volto della misericordia 24Annadora Bovoaccanto a...«Amore, sì, amore mi possieda e mi faccia operare» 25Silvano TrincanatoUna pioggia di amore 26Barbara DanesiCostruire una cultura della vocazione 27a cura di Ilaria ArcidiaconoUn sacrificio vivente 28a cura di Barbara DanesiUna finestra aperta per l'anima 29a cura di Rosarita Saggioratovita elisabettinaCon gli occhi fissi su Gesù 31a cura della Redazionememoria e gratitudineComunità dal volto diversificato 32Annavittoria Tomietnel ricordoEsulta il mio cuore nella tua salvezza 35Sandrina Codebò


editorialeBeato te...L’eco delle parole con cui papa Benedetto XVI ha conclusol’omelia domenica 1 maggio 2011 è musica checontinua a risuonare nel cuore: «Beato te, amato papaGiovanni Paolo, perchè hai creduto...».Beato: Giovanni Paolo è riconosciuto esempio da imitarenon per le sue opere grandi, ma perché si è fidato totalmentedella parola del Signore e su questa roccia ha costruito lasua vita. Gode ora la pienezza della vita perchè ha dato aCristo totale centralità come cristiano, come sacerdote ecome papa.Pur con i limiti propri dell’essere uomo, affascina il filoconduttore del suo pontificato: come un leit motiv che nepercorre i discorsi, gli incontri, le scelte, fino all’ingresso nelnuovo millennio: una porta spalancata su Gesù, redentoredell’uomo. Una porta luminosa, che trova nella Porta Santaaperta nella notte di Natale del 1999 il suo simbolo concreto.Per essa il Papa entra in San Pietro: il Pastore avanza,ricurvo e affaticato, ma deciso, trascinando con sé milioni diuomini e donne in ricerca della strada e della porta di casa,che varcano quella soglia per incontrare il Centro, della vitae della storia: Gesù di Nazaret.Con Gesù non si può non prendere il largo; con Gesù alcentro la vita cristiana rifiorisce, la vita consacrata può riprenderesplendore e novità.Ora, con i pellegrini in San Pietro, ci sentiamo dentro lafede della Chiesa che riconosce questo gigante di santità; conloro affidiamo al suo cuore di padre la nostra fragile fede, lasperanza spesso vacillante, la carità insidiata dall’egoismo.Beato: nel suo portare il vangelo in tutte le latitudini, nelsaper declinare le beatitudini nel quotidiano;beato nella lettura fiduciosa degli avvenimenti della storia,grande mosaico in cui ogni tessera ha il suo significato, perchéin Cristo tutto trova senso e compimento;beato nel suo portare fino alla fine la missione, con l’infaticabilitàdell’apostolo, la fortezza del martire, l’umiltà del maestro;beato, perché ci ha lasciato intravvedere lineamenti nitididel volto di Cristo, fino ad essere immedesimato con lui, sfiguratonella passione;beato, perché - come qualcuno ha scritto - ha acceso lastoria con la sua fede in Dio.E con papa Benedetto preghiamo: «Oggi, Santo Padre, cibenedica».La Redazioneaprile/giugno 20113


non è “una parola scritta e muta”, maquella del Dio fatto uomo.Parola creatrice di eventoe di incontroAl concilio Vaticano II, nella costituzioneDei Verbum (DV 2), la Chiesaesprimeva il contenuto essenziale dellarivelazione quale dialogo con gli uominicome con amici, per ammetterlialla sua comunione. La VD riprendelo stesso messaggio a quarantacinqueanni di distanza: «Dio si fa conoscerea noi come mistero di amore infinito,in cui il Padre dall’eternità esprime lasua Parola nello Spirito Santo» (VD 6).Sviluppa così una visione dinamica edialogica della rivelazione. Ed in effettitutta la rivelazione, e quella cristianain particolare, non offre semplicementeun’informazione nei riguardi diDio, il Dio sconosciuto che le religionidel mondo si sforzano di avvicinare atentoni (cf. At 17,27). La rivelazionecristiana è essenzialmente una chiamataal dialogo, una Parola creatrice dievento e di incontro, di cui la Chiesa faesperienza sin dalle sue origini.Papa Benedetto XVI ha tradotto inuna celebre formula questo caratteredi evento della rivelazione: «Abbiamocreduto all’amore di Dio: così il cristianopuò esprimere la scelta fondamentaledella sua vita. All’inizio dell’esserecristiano non c’è una decisione etica ouna grande idea, bensì l’incontro conun avvenimento, con una Persona, chedà alla vita un nuovo orizzonte e conciò la direzione decisiva» (Deus Caritasest, 1). Il cristianesimo non è, dunque,il frutto d’una saggezza umana od’una idea geniale. Esso è un incontroe una alleanza con una Persona, chedà all’esistenza umana il suo decisivoorientamento e la sua forma.In principio: una voceAll’inizio, la Parola. Il Signore Dionon si è presentato come un’immagineo un’effigie o una statua. Egli si è rivelatocon “una voce di parole”. La voceha squarciato il silenzio del nulla: «Inprincipio […] Dio disse: Sia la luce!E la luce fu» (Gen1,1.3). «In principioera il Verbo […] e ilVerbo era Dio. […]Tutto è stato fatto permezzo di lui e senzadi lui nulla è statofatto di ciò che esiste»(Gv 1,1.3). Ilcreato nasce da unaParola che vince ilnulla e crea l’essere(cf. Messaggio finaledel Sinodo dei vescovi,1). E così Diostesso inizia a rivelarsi.Noi, questa prima rivelazione, lachiamiamo “naturale” o “cosmica”.Per essa il creato è simile a un’immensapagina, aperta davanti all’interaumanità. E gli uomini, attenti eintelligenti, vi possono leggere un primomessaggio da parte del Creatore.Ne è ben convinto il salmista: «I cielinarrano la gloria di Dio, l’opera dellesue mani annuncia il firmamento. Ilgiorno al giorno ne affida il racconto ela notte alla notte ne trasmette notizia.Senza linguaggio, senza parole, senzache si oda la loro voce, per tutta laterra si diffonde il loro annuncio» (Sal19,2-5).Chiamati all'alleanzaSe è inizio della creazione, la Parolaè alla radice della storia umana. Uomoe donna sono creati dalla Parola, ad«immagine e somiglianza di Dio» (cf.Gen 1,26).Inizia così la nostra storia, la vicendadi noi umani. Portiamo in noi l’improntadivina, e possiamo dialogare conil nostro Creatore. Possiamo anche, arrogantemente,respingerlo, ritenendolonostro nemico o concorrente. Possiamoallontanarci da lui, non riconoscendolopiù come il nostro Signore.Ma Dio continua ad amarci e chiamarci:Egli non può abbandonare lesue creature. E la sua Parola ci giudica,ma per salvarci. Penetra nella tramadella nostra storia, per portare lucee raddrizzare il percorso delle nostrevicende e degli eventi. E le vicendedell’uomo, le nostre povereavventure, - attraversol’azione del Signore dellastoria, attraverso la suavoce - vengono purificatee inserite nel disegnopiù alto di salvezza.Perché lui vuole che«tutti gli uomini sianosalvati e giungano allaconoscenza dellaverità» (1Tm2,4). Che nullavada perduto.Parola fatta carne in GesùProprio per questo la voce divinapercorre anche la via della parola scritta.Non rimane Parola detta, suggeritao gridata. Essa si “incarna” nelle Scritturesacre. Quasi si “fissa” in esse.Queste, dunque, sono la “testimonianza”in forma scritta della Paroladivina. Sono il memoriale canonico,storico e letterario, che attesta l’eventodella rivelazione creatrice e salvatrice.«Ispirata da Dio» (2 Tm 3, 16), la Bibbiacontiene la Parola divina efficace.Però al centro della nostra fedenon c’è soltanto un Libro, o quei Libri(Bibbia, appunto: termine plurale,in greco). Noi siamo immersi in unastoria di salvezza. E al suo centro, omeglio al suo culmine, c’è una persona:Gesù Cristo, Parola di Dio fattacarne, uomo, storia. La Parola eterna edivina entra nello spazio e nel tempo, eassume un volto e un’identità umana.Cristo è «il Verbo che era pressoDio» (Gv 1, 1) ed è Dio; «immagine delDio invisibile, primogenito di tutta lacreazione» (Col 1, 15).Ma è anche Gesù di Nazaret, uomoebreo, che vive tra Galilea e Giudea,rivelando i tratti del popolo al qualeappartiene e della sua cultura. Egli è,insieme, storia e umanità, ma anchegloria e divinità (cf. Messaggio, cit., 4).Ispirazione ed esegesiScrittura e tradizioneLa tradizione cristiana ha spessoposto in parallelo la Parola divina cheaprile/giugno 2011 5nella chiesa


nella chiesasi fa carne con la stessa Parola che sifa libro. È la tradizione raccolta dalconcilio Vaticano II, secondo il quale«il corpo del Figlio è la Scrittura a noitrasmessa» (come già affermava sant’Ambrogio).Anche la Bibbia, dunque, è in uncerto senso “carne”. Perché è “lettera”.Sappiamo bene come essa sia scritta inlingue particolari, e contenga varie formeletterarie e storiche. Conserva memoriedi eventi spesso tragici, e le sue paginesono talora “sporcate” anche da sangue eviolenza (cf Messaggio cit., 5).A motivo di questa sua dimensione“carnale” essa richiede necessariamenteun’analisi storica e letteraria,che si attua attraverso i vari metodi eapprocci offerti dall’esegesi biblica. Illettore attento e rispettoso della Bibbianon può prescindere da ciò, e deve impegnarsinell’apprenderne gli elementibasilari. Altrimenti il rischio è grosso.Infatti si può cadere (si cade!) nelfondamentalismo (cf. VD 44), che inpratica nega l’incarnazione della Paroladivina nella storia, non riconosce chequella Parola si esprime nella Bibbiasecondo un linguaggio umano, che dev’esseredecifrato, studiato e compreso;ed ignora che l’ispirazione divina nonha cancellato l’identità storica e la personalitàpropria degli autori umani.Quante letture strumentali dellaBibbia! Quanti errori, con il presuntoavallo della Parola di Dio! E quantospiritualismo vago o psicologismo individualistainonda certe “testimonianze”,certe “prediche”, certe cosiddette“messe in comune della Scrittura”!Attenzione, però. La Bibbia è ancheVerbo eterno e divino, e pertanto esigela comprensione, data dallo SpiritoSanto, che svela la dimensione trascendentedella Parola divina, presente nelleparole umane. Ecco, allora, la necessitàdella viva tradizione di tutta la Chiesae della fede, per comprendere in modounitario e pieno le Sacre Scritture.Se ci si ferma alla sola “lettera”,la Bibbia rimane soltanto un solennedocumento del passato, una pur nobiletestimonianza etica e culturale (cf.Messaggio, cit.,6), ma non è più librodi vita e di verità.6 aprile/giugno 2011Sulla strada di Emmausper capireSicuramente sono da approfondire itemi dell’ispirazione e della verità delleScritture, che la riflessione teologica hasempre considerato come due concettichiave per un’ermeneutica ecclesialedelle sacre Scritture. Nell’esortazionesi afferma la necessità di «un approfondimentoadeguato di queste realtà,così da poter rispondere meglio alleesigenze riguardanti l’interpretazionedei testi sacri secondo la loro natura»(VD 19). Dall’approfondimento del«rapporto tra mariologia e teologia dellaParola […] potrà venire grande beneficiosia per la vita spirituale che pergli studi teologici e biblici» (VD 27).Insomma, la conoscenza esegeticadeve intrecciarsi indissolubilmentecon la tradizione spirituale e teologica,affinché non venga spezzata l’unitàdivina e umana di Gesù Cristo e delleScritture. La Bibbia è sì formata damolti libri scritti in un lungo arco ditempo, ma essi sono inseriti in ununico “canone”, che è come dire in ununico dialogo tra Dio e l’umanità, inunico disegno di salvezza.A gettare luce sull’intera trama dellastoria della salvezza, e a rivelarne lacoerenza, il significato, la direzione, è ilCristo e il suo Spirito. Il dialogo tra Dioe le sue creature, distribuito nel tempoe attestato nella Bibbia, ha avuto il suoinizio e ha trovato il suo suggello in coluiche è «l’Alfa e l’Omega» (Ap 1,8).Lui spiega a noi, discepoli partiti daGerusalemme e diretti verso le propriecase, ciò che in tutte le Scritture a luisi riferisce (cf. Lc 24,27); e, dopo averspezzato la Parola, ci invita a fare sosta adEmmaus, per incontrarci ancora e ancorpiù con lui, che spezza il pane con noi eper noi, e dà alla nostra vita un orizzontenuovo e la decisiva direzione. 1Decano di Teologia e docente della PontificiaUniversità Lateranense - Roma.2È l’arte di interpretare ciò che un autoreha scritto, i metodi che devono essere applicatiper comprendere un testo.3“Analogia della fede”: la coesione delle veritàdella fede tra loro e nella totalità del progettodella Rivelazione» (CCC 114).di Oraziana Cisilino e Michela PrimistfeRisonanza sulla festa vissuta inSan Pietro domenica 1 maggio2011 nella partecipazionealla beatificazione di papaGiovanni Paolo II. Un milionee cinquecentomila le personepresenti, a confermare lasua vicinanza alla gente e lagrande devozione diffusasidopo la morte.Giovanni Paolo II nel suo lungopontificato (1978-2005) ha saputoconquistare il cuore degliuomini, per la sua umanità e per la suacapacità mediatica. Uomo di Dio, dicevadi se stesso di essere un pellegrinosu questa terra, avendo come metaentrare completamente nella relazionecon la Trinità, affidandosi all’amoredi Maria, tanto da farne il suo motto:Totus tuus.Nella vita della gente è riuscitoa occupare un posto privilegiato. Loconferma la presenza di popolo inmassa da tutto il mondo nel giorno delsuo funerale prima e ora nel giorno del-


BEATIFICAZIONE DI GIOVANNI PAOLO IISpalancate le porte a Cristo!Una voce che non si spegnenella chiesa1 maggio 2011piazza San Pietro in festa.la sua beatificazione, avvenuta a soli seianni dalla morte, nella seconda domenicadi Pasqua, domenica della divinamisericordia, festa da lui istituita.Partecipare alla beatificazione haavuto un significato particolare, esclusivo.Credenti, o non, tutti abbiamorespirato un’aria di festa, insieme aldisagio per qualche giorno, dovuto allasospensione della regolare viabilità.Parecchi romani hanno partecipato,ma molti di più sono stati i partecipantiprovenienti da tutta Italia eda ogni parte del mondo convenutifin dalla sera prima alCirco Massimo per laveglia di preghiera.Numerosi i giovanipresenti che hannocontinuato a pregaredurante la notte finoall’ora della celebrazionein piazza sanPietro.Anche per noi,suore elisabettineresidenti in Roma, èstato un evento unicoper la straordinariapartecipazione dipopolo e condivisa inparticolare con gli ospiti nella nostracasa. Proprio loro ci hanno riferito cheil coinvolgimento emotivo, la gioia diessere presenti sono stati tali da farsuperare la stanchezza per le lungheattese e le lunghe file. Ci hanno rac-Un Beato di tutti e per tutti, credenti e non credenti.A Roma c'ero anch'io!La beatificazione di Giovanni Paolo II è stata per meun’esperienza molto forte. È la prima volta che partecipo aun evento tale perché vengo dal Kenya e mi trovo a Romaper motivi di studio. Quando è stata resa nota la data dell'avvenimentomi è parso qualcosa di straordinario e subitoho desiderato parteciparvi. Grata per questa opportunità, mipiace pensarla come un dono nel cammino di maturazionedella mia fede.Ho visto papa Giovanni Paolo II nel 1994 quando è venutoin Kenya per la celebrazione del primo sinodo africano. Eroappena entrata in noviziato e il suo messaggio ha toccato ilmio cuore. Ricordo ancora le sue parole di incoraggiamentoper la gente del Kenya e l’invito a mantenere viva la gioia divivere. Nel sottolineare che il Kenya è ricco di tanti giovani, ciha chiesto di vivere la fede con coraggio, gioia e dedizione:«Voi giovani siete la speranza della chiesa, futuro dell’Africa» eci ha provocati rivolgendoci questa domanda: «Saprete vivereall’altezza di questa speranza e responsabilità? Africa, nondimenticare che il Signore è con te, sii forte e generosa! Seguiil Signore dovunque ti conduce».Sono parole che nel mio cammino formativo mi hannoanimato ad andare avanti e hanno posto in me il desiderio dicrescere forte nella fede e nella testimonianza. La sua visitain Kenya ha avuto un grande impatto nel mio discernimentovocazionale. Papa Giovanni Paolo II per me è stato una personadi grande fede e di grande coerenza. Ascoltandolo allaradio o alla televisione sempre mi lasciavo raggiungere dal suomessaggio che era di incoraggiamento per la gente in tutte lesituazioni e che invitava noi giovani a mirare in alto e a viverecon radicalità la nostra vocazione.Fra le altre cose mi hanno poi colpito la sua prontezza nelperdonare la persona che voleva ucciderlo, il suo portare avantila missione, seppur in età avanzata, nella malattia e nella sofferenza,l’amore per le persone e in modo speciale per i giovani.Per me Giovanni Paolo II è morto anziano ma giovane nelcuore. Personalmente ora ancora di più posso chiedergli diintercedere per me perché cresca forte nella fede e abbia ilcoraggio, la dedizione, la gioia e la capacità di donarmi generosamentealla chiesa.suor Esther Kimaniaprile/giugno 2011 7


nella chiesacontato che, pur non avendo visto losvolgersi della celebrazione – neppuredal maxi schermo –, non sono rimastidelusi, ma contenti di aver partecipatoin prima persona alla celebrazione.Alcuni di loro hanno anche potutovenerare la salma di Giovanni PaoloII, sentendolo come privilegio.La spinta che li ha guidati a partecipareall’evento risponde alla grandestima e al grande amore per la personadel Papa e dice di una profonda devozioneche lo considera un potenteintercessore presso Dio, al quale consegnarele proprie attese e necessitàspirituali e umane.Considerato uomo del nostrotempo, che non ha avuto timore dimostrare la propria sofferenza e chenon ha nascosto la propria debolezzaumana e fisica, fino alla morte, èdiventato un modello di come viverecon dignità e senza vergogna la propriaanzianità, senza mascherare lapropria malattia…È sicuramente un Papa che ha saputoraggiungere ogni uomo, lasciandoun segno indelebile nella storiaattuale, e che ci ha portato con amoree semplicità nel nuovo millennio superandoqualsiasi ostacolo.In sintesi, il suo insistente invitoera: «Non abbiate paura; aprite il vostrocuore a Cristo». VISITA DI BENEDETTO XVI ALLA CHIESA DEL NORDEST«Confermati nella fede»Verso il convegno 2012a cura della RedazioneIl 7 e l’8 maggio si è svolta la visitadi papa Benedetto XVI alle chiesedel Nordest, un appuntamento chenel tempo ha coinvolto e ancora accompagnatutte le Diocesi del Triveneto invista del prossimo Convegno ecclesiale“Aquileia 2” che si terrà nel 2012, in unlavoro di progettazione, preparazione eriflessione sul cammino percorso finoradalle varie chiese locali.Con lo sguardo verso nuovi orizzontiche abbracciano in particolarela famiglia, i giovani, i più deboli,destinatari privilegiati – secondo le paroledel Pontefice – dell’annuncio edella testimonianza dell’amore di Dioper l’uomo.La rilettura di questo evento comeprofonda esperienza di fede e diecclesialità nelle parole di alcune sorellee sacerdoti che hanno partecipatoall’incontro di Aquileia e alla messacelebrata a Campo S. Giuliano a Mestre(VE).Tornare alle radicidella fedeAquileia: capitale della provinciaVenetia et Histria, culla anche dellacristianità, chiesa madre non solo delNordest d’Italia, ma anche di Croazia,Slovenia, Austria e di una parte dellaBaviera e perfino dell’Ungheria, «comunitàdi martiri e di eroici testimonidella fede nel Risorto, seme di altridiscepoli e di altre comunità».Qui ad Aquileia, sede dell’antico,glorioso Patriarcato viene oggi - 7maggio - il santo Padre BenedettoXVI, per cercare, contemplare e respirarele nostre radici: a ricordarci le nostrenobili origini. E non per diporto opiaggeria, ma per guardare avanti, perinventare il futuro. È pomeriggio di festa,dunque: 40 mila persone (anche sesolo 4500 possono essere presenti trapiazza del Capitolo e piazza Patriarcato)sono ad attenderlo in Aquileiae lungo le strade del corteo papale,fedeli giunti da tutta la regione, dalVeneto ma anche dalla Slovenia e dallaCarinzia.7 maggio: Incontro di Benedetto XVI con le chiese del Nordest ad Aquileia, in piazza del Capitolo (a sinistra) e in basilica (a destra).8 aprile/giugno 2011


nella chiesa8 maggio 2011: scorcio sull’assemblea dei partecipanti a Campo San Giuliano a Mestre.Nel riquadro: l’altare, cuore della celebrazione eucaristica.Sembra che tutti - dai politici al piùcomune dei fedeli - abbiano desiderioe sete di ascoltare una parola saggia,di incoraggiamento di fronte all’attuale“crisi dell’umano” che ci conferminella fede, alimenti la speranza e segniun tracciato per affrontare le sfide dioggi.Ed ecco puntuale il Santo Padresottolinea i punti fermi, ad indicarela strada dell’impegno di ciascuno,«in un mondo radicalmente cambiatoper consegnare alle generazioni futurel’eredità preziosa della fede cristiana».E incoraggia: «In quest’ora della storiariscoprite, difendete, professate concalore spirituale questa verità fondamentale.Solo da Cristo l’umanità puòricevere speranza e futuro; solo da luipuò attingere il significato e la forzadel perdono, della giustizia, dellapace». Un’esortazione accompagnatadall’invito a tenere sempre vive la fedee le opere delle origini, traducendo ilVangelo in «fervore spirituale, chiarezzadi fede, sincera carità, prontasensibilità per i poveri», cercando«nuovi traguardi missionari in questotravagliato periodo storico».E ricordando il senso religioso condivisoda molte persone, nonostante ildiffuso materialismo, l’attaccamentoalle tradizioni religiose, le moltepliciespressioni di fede, di carità e di culturache si esprime in forme di solidarietàe di volontariato, con forza invita aessere gelosi di ciò che ha fatto grandie rende tuttora grandi queste terre:«la missione che il Signore vi affida èquella di testimoniare l’amore di Dioper l’uomo con scelte di vita in favoredelle persone concrete, a partire daquelle più deboli, fragili, indifese, nonautosufficienti, come i poveri, gli ammalati»,ponendo al centro dell’attenzionela famiglia, i giovani. Additandopoi le odierne sfide, quali la ricercaesasperata del benessere economico,il soggettivismo dominante, impegnaciascuno a promuovere il senso cristianodella vita «con delicata fierezza» econ profonda gioia, in tutti gli ambitidell’esistenza quotidiana.A noi cristiani del Nordest, nonpiù solo crocevia dell’Est e dell’Ovest,ma anche del Nord e del Sud, sostenutiPapa Benedetto XVI saluta la gente inpiazza San Marco, a Venezia.da una speranza affidabile, il compitodi «proporre la bellezza dell’avvenimentodi Gesù Cristo Via, Verità eVita a non praticanti e non credentio a credenti di altre religioni», tesi acostruire insieme a tutti gli uomini dibuona volontà una “città” più umana,più giusta e solidale.suor Luciana SattinLa visita – pellegrinaggio di BenedettoXVI è proseguita a Venezia. Momentocentrale del programma è statala santa messa domenicale. Alcune ecodei vissuti e dei preparativi liturgici chehanno accompagnato i mesi precedenti ela celebrazione nelle parole del responsabiledella commissione liturgica perla visita del Papa, nelle testimonianzedi Elisa e Loretta e di suor MartinaGiacomini.«Nella prossima terza domenica diPasqua, la Chiesa di Dio che vive nelleterre evangelizzate da san Marco e daimolti collaboratori degli Apostoli, lecui radici storiche si fondano a partiredall’antico Patriarcato di Aquileia, celebrerà,come in ogni altro angolo dellaterra, l’eucaristia, memoria viva dellamorte e risurrezione del Signore.Papa Benedetto XVI, successoredell’apostolo Pietro, si farà presentein quel giorno alle nostre Chiese proprioper confermare questa nostra fedenel mistero del Crocifisso risuscitato,mentre noi vorremmo prepararci aquesta celebrazione con il solo desideaprile/giugno2011 9


nella chiesario di manifestare l’unità della Chiesae la bellezza consolante delle cose diDio. Proprio il rivelarsi di questo misteronei santi segni della liturgia, cifa scorgere nel canto e nella musicauna delle forme più profondamentespirituali con le quali la stessa liturgiaesprime la sua bellezza, sostenendogli animi dei credenti e spronandoliall’amore delle cose celesti.Al canto e alla musica si uniscono,inoltre, anche le altre forme di partecipazionecome l’ascolto della Parola diDio, la preghiera dei fedeli, i dialoghidelle preghiere liturgiche, le processioni,l’offerta dei doni per il sacrificioeucaristico, le posizioni del corpo e igesti rituali durante la preghiera, l’usospirituale dei sensi, i colori, i profumi,e, non ultimo, il silenzio; tutto culminacon la comunione sacramentale all’eucaristia[…].Con questo pensiero e questi atteggiamentidi fede e in vista della messacon il Papa Benedetto XVI, le nostrechiese locali hanno dato, senza riserva,il loro preziosissimo contributo, mettendoa disposizione numerose forze edenergie, offerte da tutti con generosità,competenza, entusiasmo e in assolutagratuità. I cori provengono dalle cattedralie dalle parrocchie delle nostreDiocesi (Venezia, Padova, Vicenza,Treviso, Vittorio Veneto, Adria e Rovigo,Belluno Feltre, Gorizia, Udine,Chioggia, Trieste…) e formerannoun’ampia compagine corale che – senzaulteriori suddivisioni interne – avràil duplice compito di garantire da unaparte il ministero liturgico del coroguida e dall’altra il ministero liturgicodella Schola cantorum in grado di eseguireil canto polifonico in alternanzao assieme all’assemblea […].Non solo ai 1000 cantori che animerannola celebrazione, ma a tutti,fedeli laici, religiosi e religiose, diaconi,presbiteri e vescovi, il compitodi cantare la lode del Signore, perchéogni parola che risuona sulle labbradella Chiesa sia sempre un canto dilode, Eucaristia luminosa, cibo chesostiene, parola che riscalda, farmacodi immortalità» 1 .don Gianandrea Di Donna 2Coriste rappresentanti della famigliaelisabettina nella celebrazionea San Giuliano.«La messa è arrivata»C’è della solennità in ciò che stiamovivendo, circola tra i fogli, le parolee le note che si susseguono in queglispartiti di fresca scrittura e antica ispirazione.«La Messa è arrivata!», congrandiosità il maestro Alessio Randonci ha avvertito dell’arrivo degli spartitida Roma e le pagine della Missa Lux etorigo 3 sembravano aver viaggiato nonsolo nello spazio fisico che divide Romadal Nordest, ma anche attraversouna dimensione lontana, storica, originariache in questi mesi ha preso il suoautentico profilo, quello dell’ecclesialità.C’è della semplicità in ciò chestiamo vivendo, è quella della “nostragente” che con dedizione e discrezioneha partecipato con noi a questi mesidi prove. Da osservatrici privilegiatedella disposizione gratuita e gioiosa,che la venuta del Santo Padre ha animatoin questa nostra terra, abbiamoavuto l’opportunità di prepararci a unevento che ha il sapore della tradizionee il valore della trasmissione. Ci auguriamoche l’esempio di tanti fratelli esorelle, oltre all’imminente incontrocon Papa Benedetto XVI, ci rincuori efortifichi così da sentirci in verità e inunità confermate nella fede.Elisa Parisi e Loretta PanizzonPone luctum, sume vestemcandidam, Ecclesia…L’invito a deporre il lutto e a metterela candida veste battesimale mi haintrodotta nel clima di festa e di gioiadella grande ‘comunità pasquale’ riunitaper accogliere il sommo pontefice.Benedetto XVI ha esordito dicendoche Gesù risorto era presente nella Parola,nell’assemblea e nel sacramentodell’eucaristia, ‘ospite’ del parco doveeravamo ospitati, e - commentando ilracconto di Emmaus - ci ha invitatia convertirci dalla disperazione allasperanza, dalla tristezza alla gioia, allavita comunitaria. Speranza, gioia, vitacomunitaria sono parole che trovanoampio spazio, radici profonde e lontanenella ‘storica fede’ di noi gentedel Nordest italiano. La compostezza,il silenzio, il rispetto e l’ordine deitrecentomila presenti l’hanno confermatoe hanno rievocato in me questa‘storica fede’, semplice e concreta, respiratafin da bambina fra le personeche mi stavano intorno. Eppure papaBenedetto ci ha ricordato che la medesimacorre il rischio dello svuotamento,della superficialità e della tristezza.Di qui l’invito a lasciarci istruire daGesù, a sedere a tavola con lui, a farenostro il suo stile di vita che porta i coloridella comunione, della solidarietàe della condivisione. «Ponete al centrodella vostra vita Cristo! Costruite sudi lui l’edificio della vostra esistenza.In Gesù troverete la forza per aprirviagli altri e per fare di voi stessi, sul suoesempio, un dono per l’intera umanità»:così terminava l’omelia. Ora hainizio la nostra messa…suor Martina Giacomini1Intervento ripreso dal settimanale diocesanoGente Veneta della diocesi di Venezia,2 aprile 2011.2Sacerdote della diocesi di Padova; docentedi liturgia alla Facoltà Teologica del Triveneto– Padova; responsabile della CommissioneLiturgica per la visita del Sommo PonteficeBenedetto XVI alle chiese del Triveneto.3Il maestro Alessio Randon della Diocesidi Padova ha guidato l’intera compagine musicale.La Missa Lux et origo, propria del Tempodi Pasqua, si esegue da più anni a Roma quandoil Papa celebra in questo tempo liturgico.10 aprile/giugno 2011


spiritualitàPERCORSI DI SANA ESTETICA (II)Bellezza di… traboccante feconditàLa logica dell’inutilitàdi Francesco Farronato 1sacerdote diocesanoDio non butta via niente, anziraccoglie ciò che l'uomo dismette odisprezza. La logica del vangelo.Bellezza “fuori catalogo”Accompagno Samuele. A passitremanti, ma sicuri, va di nascostoa casa di Jesse, il betlemmita.Deve ungere un nuovo re, all’insaputadi Saul, il re che governa. E che se loviene a sapere, son guai per tutti. Arrivatoalle porte del villaggio, gli anzianigli si stringono intorno per chiedere sela sua venuta porta bene o male. Samueleli rassicura. Chiede loro la strada.Ed, entrato in casa, si fa passaredavanti tutti i figli di Jesse. Gli occhiindagano e la mente, a vedere spallelarghe e corporature imponenti, rassicura,anzi certifica. Ma la Parola, cherisuona chiara nell’anima del profeta,è tutta una negazione: «Non guardareal suo aspetto né alla sua alta statura.Io l’ho scartato, perché non contaquel che vede l’uomo: il Signore vedeil cuore» (1 Sam 16, 7). E lo ripete laParola non una volta sola, ma tutte levolte che la cosa sembra agli occhi piùche certa. E con una recidività che nonammette repliche.«Ci sono altri figli?» chiede fuoricatalogo Samuele al vecchio Jesse.E Jesse, sorpreso e interdetto, quasinascondendosi dietro le parole concui deve rispondere, rivela: «Veramente,sì, ce n’è un altro. Davide. Ma ètalmente piccolo che è fuori casa. Ètalmente inutile che l’abbiamo messoa pascolare il gregge».«Fatelo venire!» ordina Samuele.E venne. «Era fulvo, con begli occhie bello di aspetto» (1 Sam 16, 12)annota il libro della Parola di Dio, chedi solito brilla per la sobrietà di particolariche la caratterizza.Ecco dove sta la bellezza di Dio.Fuori catalogo, sepolta in un nascondimentotale che rischia addiritturadi non entrare nel conto. Rischia dirisultare assente. Ed invece è talmentepiena di presenza che, quando il piccoloDavide arriva, ignarodi tutto, Samuele sentela Parola risuonargli nelcuore con una certezzache non conosce derogheo fraintendimenti: «Alzatie ungilo! È lui!» (nellafoto). È la pienezza difecondità a tutto Israele.Dalla bellezza del piccoloDavide. Assente.La Madonna dell'inutileGiorni fa sono stato con la miagente a Facen di Pederobba in visitaalla Cooperativa Arcobaleno 86. E lìAldo Bertelle, il fondatore, ci ha strettotutti intorno alla “Madonna dell’inutile”.Una statua di Maria, che unartista padovano, Giancarlo Frison,ha ricavato dalla fusione di materialiinutili, dismessi e rottamati, raccoltiun po’ ovunque. Nelle discariche oabbandonati dietro casa. La Madonna,che è uscita dalle mani dell’artista,è una giovane ragazza, che fa di tutto ilsuo corpo un grembo di accoglienza ditutte le espressioni della vita, corpo inmaternità che si piega da un lato a raccogliereun neonato che una mammadei nostri giorni difficili ha abbandonato,inutile, nella sterpaglia.«Così funziona Dio – ci ha detto Aldo– lui non butta via niente e nessuno.Anzi raccoglie quanto gli uomini nellaloro alterigia consumistica dismettono dicose e di persone ».E ne fa un grembo di Madonna, chenon genera solo uomini, ma è capace digenerare anche il Figlio dell’uomo, Gesù.Orizzonti insospettati«Non temere, Maria. Hai trovatograzia presso l’Altissimo. E saràl’ombra dell’Onnipotente a coprirti.Tu diverrai madre. Piena di grazia!»(Lc 1, 28).Sono le parole cheun angelo rivolge a unaragazza sconosciuta, cresciutaa Nazaret, un paeseche, a detta di Natanaele,non può dare niente dibuono. E Maria tenta didirglielo a quell’angelo…che lei è fuori catalogo…che quelle parole sonofuori misura, che certamenteha sbagliato indirizzo. Perchéda lei i disegni di vita sono molto piùristretti: ronzano attorno a un uomo,chiamato Giuseppe.Ma non c’è verso. Quell’angelonon le si schioda dalla soglia. È untreno in corsa. Di benedizioni. E distazione in stazione le preannunciatutto quello che le capiterà. Non soloil suo grembo di ragazza si aprirà allavita, ma addirittura tutta la storiadell’umanità ritroverà stagioni nuove,feconde di bellezza insospettata edi sapienza inedita. Dal suo grembo.Altro che orizzonti ristretti i suoi! Neè segno ciò che sta già lievitando nelgrembo vecchio di Elisabetta. Già alsesto mese di gravidanza.«Che tu dorma o vegli, il seme germogliae cresce. Come? Egli non lo sa. Ilterreno produce spontaneamente primalo stelo, poi la spiga, poi il chicco pienonella spiga» (Mc 4, 26-28).E allora: «Non temere, Maria». Alre piace la tua bellezza. «Non temere,perché è lui la tua bellezza» (salspiritualitàaprile/giugno 2011 11


45). «Deponi, o Gerusalemme, la vestedel lutto e dell’afflizione, rivèstiti dellosplendore della gloria che ti viene da Dioper sempre. Avvolgiti nel manto dellagiustizia di Dio, metti sul tuo capo il diademadi gloria dell’Eterno, perché Diomostrerà il tuo splendore a ogni creaturasotto il cielo. Sarai chiamata da Dio persempre: “Pace di giustizia” e “Gloria dipietà”» (Bar 5, 1-4).Arcobaleni di graziaÈ lo spettacolo che ritorna ad ogniPasqua che celebriamo.«Felice peccato» abbiamo cantatonella liturgia del sabatosanto. Sembra fuori ditesta, ma dentro il cuoreche non trova paroleadeguate. In fibrillazioned’amore su ogni refertomedico, riportato su bendee sudari insanguinati,non sa che scrivere: Alleluia,alleluia, alleluia. Enon c’è ripetitività, abitudine,collasso o afasia.È solo canto. Libero nella bellezzaincontenibile di chi ritrova la propriaanima. In un’intimità con Dio maiesaurita.«Felice peccato, che ci hai meritatoun così grande Redentore». E dal fiancosquarciato dal peccato non sgorgapiù rimorso, ma zampillano arcobalenidi grazia. Raggi multicolori che sparanofuori quello che irrompe da dentro.Incontenibile nella sua urgenza. Ingiustificabileumanamente, semplicementevero secondo la misericordia diun Dio che ha a cuore l’umanità.«Detto ciò, Gesù mostrò loro lemani e il fianco. E i discepoli furonopieni di gioia» (Gv 20, 20). Mani efianco feriti, mani e fianco, che damotivo di rimprovero rimbalzano afonte di consolazione. Si traducono insorgiva di risurrezione. Risultano porteaperte per una confidenza diretta dicuore. A dimensione totale.«Metti qua, Tommaso, la tua mano,stendi il tuo braccio… » (Gv 20, 27). Èun linguaggio fisico, sono parole comepietre. Palpabili e ruvide perfino. Riprendonole condizioni che Tommasootto giorni prima aveva dato al Diodella Risurrezione, apparso agli altri.In assenza di lui. Ma si può essere cosìirriconoscenti e grossolani?Ma è… una colpa non esserciquando tutti ci sono? – mi chiedoanch’io con Tommaso – È colpa domandarea Dio un percorso personalea dispetto di una costatazione generica?È colpa voler credere con le mani,le dita, il corpo? Anziché con i volileggeri dell’anima? È colpa ammetteredi non essere i primi della classe ed esigereche al posto di un cattedratico dispecchiata fama per meci sia un insegnante disostegno che mi rompala solita lezione astratta,frontale e a distanza in uncontatto personale?«Vieni qui, Tommaso.Metti la tua mano».E Tommaso cade in ginocchio…mentre sullesue labbra fiorisce quellagiaculatoria che nei tempiandati ci avevano suggerito di recitareal momento più sacro della messa. «MioSignore e mio Dio!». Tanto la mistica èvicina, attaccata alla fisica. Tanto la nostravoglia di prenderlo è risposta fisicaalla sua voglia di farsi prendere. Tanto luiti viene a prendere dove sei e come sei.Un angelo nel sonnoSplendido allora è ilsonno che prende Pietro,condotto in prigionedai giudei e messo sottorigida custodia. Sembraun’assurdità oppure solouna nota di colore, comelo descrivono gli Attidegli apostoli ed invece èun dramma per la neonatacomunità cristiana.Cullato dalla preghieraincessante che saliva intorno a lui,come l’antico Adamo si abbandonain braccio al Dio della vita. Sicuroche comunque sarà vita. Quella voltanel giardino dell’Eden Dio gli avevastrappato da dentro il petto il sognopiù bello ed intimo, Eva.Un’altra volta era successo a Giuseppedi Nazareth, in preda alle complicazionidella maternità di Maria.Anche lui, non venendone fuori, siritrova dentro un volo leggero di unangelo che gli suggerisce di non temere:«Prendi con te la donna e il bambinoe… fuggi in Egitto» . E sarà unastagione di fecondità rinnovata, oltretutte le stragi di Erode.E così succede anche con Pietro.Là dove diresti che tutto è finito, tuttoinvece si apre. In bellezza e feconditàmoltiplicata. E non ci sono guardie,cancelli, catene che tengano. Tutto siscioglie nella bellezza più luminosa.Nella semplicità più disarmante, nell’abbracciopiù personale.«Àlzati, in fretta! Mettiti la cinturae légati i sandali. Metti il mantello eseguimi!» (nella foto in basso). E Pietroesce. Gli sembra di sognare ed invece èdentro la realtà più concreta. Talmentela mistica è attaccata alla fisica. «Essioltrepassarono il primo posto di guardiae il secondo e arrivarono alla portadi ferro che conduce in città; la porta siaprì da sé davanti a loro» (At 12).Dio è così. Realtà quotidiana. Ti nascedentro, te lo trovi in mezzo. Ti puoianche trincerare per paura dei Giudeinel cenacolo… lui ti compare dentro,in mezzo. E non per farti la predica;semplicemente per suggerirti “Pace”(Gv 20, 19). Un saluto incredibile, cheti cresce come lievito chemette in pace ogni tua vergognae difesa. Lui è moltopiù avanti di te, più vero epiù profondo di te. Ti leggela bellezza immensa, chesei davanti ai suoi occhi.Apostolo dell’inutile, daifecondità a tutta la storiadell’uomo. Con palpiti diriconoscenza per una bellezzasempre ferita, masempre traboccante di alleluia. Intraducibili.All’anima e al corpo. 1Parroco a “San Prosdocimo” in Padova.spiritualità12 aprile/giugno 2011


parola chiaveORIENTAMENTI PER VIVERE LA FEDELa «regola», custode dei valoriPer una educazione rispettosa e promoventedi Giorgio Ronzonisacerdote diocesano 1Seconda sosta sul documentodei Vescovi italianicon una riflessione che sollecitaa considerare divietie regole parti integranti,strumenti indispensabili nelprocesso educativo.autoritàparola chiaveLa seconda parola che desiderosottolineare nella lettura del documento“Educare alla vita buonadel Vangelo” è ‘autorità’.È strano, ma nel testo questa parolasi trova solo due volte, mentread esempio la parola ‘libertà’ ricorremolto frequentemente. In realtà, leidee di autorità e di autorevolezza nonsi incontrano solo in due passaggi perchésono evocate anche da aggettivi eavverbi, ma colpisce la prudenza concui il documento le nomina.Intendiamoci: è giusto che la libertàsia citata più frequentemente;senza di essa non si dà educazioneLegge AGESCIpropriamente detta, ma al massimouna specie di addestramento, comequello degli animali. La libertà, però,da sola non basta: se fosse sufficiente,non ci sarebbe bisogno di educatori ein ultima analisi non ci sarebbe neppurel’educazione.A questo proposito, dice il documentoal n. 9: «la cosiddetta educazio-1. La Guida e lo Scout pongono il loro onore nel meritare fiducia2. La Guida e lo Scout sono leali3. La Guida e lo Scout si rendono utili e aiutano gli altri4. La Guida e lo Scout sono amici di tutti e fratelli di ogni altra Guida eScout5. La Guida e lo Scout sono cortesi6. La Guida e lo Scout amano e rispettano la natura7. La Guida e lo Scout sanno obbedire8. La Guida e lo Scout sorridono e cantano anche nelle difficoltà9. La Guida e lo Scout sono laboriosi ed economi10. La Guida e lo Scout sono puri di pensieri, parole ed azioni.Libertà e osservanza di regole, per aiutare a crescere. I movimenti scouts formano i giovanianche attraverso la regola di vita, liberamente accolta e seguita per maturare.ne antiautoritaria non è educazione,ma rinuncia all’educazione». E al numerosuccessivo aggiunge: «l’educazionenon può pensare di essere neutrale,illudendosi di non condizionarela libertà del soggetto».Quelli che – come me – hannoalmeno mezzo secolo di vita intuisconoin questi due passaggi la contestazionedi idee, che non vengono esplicitate,ma che sono ben note essendosi diffuseanche in Italia a partire dagli anni’60 del secolo scorso. Si trattava di ideepolitiche, principalmente, ma ebberonotevole influsso anche in molti ambientieducativi come scuole, universitàe talvolta seminari e istituti religiosi(per tacere delle famiglie). Uno deglislogan più famosi di quei tempi era:«Vietato vietare».Divieti e regole, invece, fanno parteintegrante di ogni processo educativo,anche se non ne parla volentierinemmeno il documento dei Vescovi.Eppure la divulgazione pedagogicaaprile/giugno 2011 13


parola chiavedegli ultimi trent’anni almeno insistemoltissimo sulla necessità delle regolenell’educazione. Qualche anno fa, levetrine delle librerie si sono riempitedi libri dai titoli impensabili solo finoa poco tempo prima: “Se mi vuoi bene,dimmi di no”; “I no che aiutano acrescere” ecc.Si tratta di temi riconducibili aquello dell’autorità, ovvero: “Chi decideche cosa?”.Perché l’autorità non è necessariamentedispotica, anzi! Se fosse dispotica,sarebbe ancora autorità, ma nonsarebbe autorevole.Il ruolo del maestro è quello di far osservare la regola con il fine di giungere a un risultatoche va oltre la spontaneità... ad esempio la buona esecuzione di un canto.A servizio della crescitadell’altro‘Autorità’ e ‘autorevolezza’ sonodue parole che si assomigliano e chesi incontrano spesso insieme, ma hannoun significato diverso. Derivanoentrambe – probabilmente – da unaradice latina che significa “far crescere”,ma sono due modi diversi ecomplementari di mettersi al serviziodella crescita dell’altro.L’autorità è il potere di dettarele regole, nel rispetto di altre regole.Infatti, anche chi è investito della massimaautorità non decide sempre tuttoda solo e non può farlo in modo capriccioso,ma deve rispettare le procedureappropriate e rimanere nell’ambitoche gli compete.L’autorevolezza, invece, è la credibilitàe l’affidabilità di chi decide,la capacità di suscitare negli altri unarisposta positiva e motivata dalla fiducia.Dipende dalla propria coerenza ecompetenza. Si traduce nella capacitàdi suscitare il consenso e quindi nellacapacità di far rispettare le regole perconvinzione, non per costrizione.Le due idee sono collegate tra loroperché non si segue né si rispetta volentieriun’autorità poco coerente, incerta,contraddittoria: l’autorevolezzaè necessaria all’autorità.Il documento lo afferma con moltaforza nel terzo capitolo: Educare, camminodi relazione e di fiducia. Si dice alparagrafo n. 29, intitolato Con la credibilitàdel testimone: «L’educatore compieil suo mandato anzitutto attraversol’autorevolezza della sua persona. Essarende efficace l’esercizio dell’autorità;è frutto di esperienza e di competenza,ma si acquista soprattutto con la coerenzadella vita e con il coinvolgimentopersonale. […] Il senso di responsabilitàsi esplica nella serietà con cui sisvolge il proprio servizio. Senza regoledi comportamento, fatte valere giornoper giorno anche nelle piccole cose, esenza educazione della libertà non siforma la coscienza».Anche il n. 36 ha un passaggiointeressante a questo riguardo: «Padrie madri faticano a proporre con passioneragioni profonde per vivere e,soprattutto, a dire dei “no” con l’autorevolezzanecessaria».Si tratta di una ripresa e una specificazionedi quanto già affermato aln. 12: «I giovani si trovano spesso aconfronto con figure adulte demotivatee poco autorevoli, incapaci di testimoniareragioni di vita che suscitinoamore e dedizione».Dare le ragioni per vivereQuesta critica severa degli educatoriadulti è motivata dall’importanzadel compito cui sono chiamati. Quil’autorità e soprattutto l’autorevolezzavengono considerate in vista dellameta fondamentale dell’educazione:dopo aver dato la vita, dare le ragioniper vivere.Spontaneamente, verrebbe forseda pensare che l’autorità debba invecedare le regole per vivere, introdurre allenorme per la convivenza con gli altriesseri umani. Ma questo è il mezzo,non il fine.Le regole dell’autorità servono acustodire quei beni preziosi – i valori– che hanno bisogno di cura per esseretrovati e goduti.Facciamo un paragone. La musicaè qualcosa che molti apprezzano. Maper formare un buon musicista occorronoanni di studio e di esercizio:occorre una regola. Non solo: ancheper affinare il gusto dell’ascoltatoreoccorre esercizio, un ascolto non superficiale,la capacità di scelta e quindidi rinuncia alla musica mediocre…Occorre insomma una regola.Il ruolo del maestro è quello di farosservare la regola al fine di giungerea un risultato che non è alla portatadella pura e semplice spontaneità:l’apprezzamento della buona musica.Quel che è vero per l’educazionemusicale è vero per l’educazione ingenerale. La capacità di amare la vitabuona e di goderne è una potenzialitàinsita in ogni persona, ma ha bisogno14 aprile/giugno 2011


di un’autorità che guidi a svilupparla;qualcuno che ispiri la fiducia necessariaper seguire le regole che stabilisce.È paradossale il “servizio di autorità”.A volte questa espressione èsolo un giro di parole per nascondereuna volontà di dominio sugli altri. Manel senso più vero, l’autorità – dotatadi autorevolezza – è un servizio indispensabile.L’educatore offre se stesso come“banco di prova”: offre la propriaesperienza, le proprie ragioni e i proprivalori come punto di partenza in baseal quale l’educando può sviluppare lapropria visione del mondo e il propriomodo di vivere.Prendiamo un esempio banale:l’ora del rientro a casa. Un genitorepuò dare ai figli una regola sull’ora dirientro a casa. Oppure no. Se dice chei figli devono tornare entro una certaora, lo dice sulla base della propriaesperienza, ritenendo che quell’oravada bene per assicurare il necessarioriposo notturno, per tutelare il riposodegli altri familiari, per essere prontia svolgere il proprio dovere il giornodopo, eccetera.Può darsi che abbia stabilito un’oratroppo tarda per ottenere questi risultati,o troppo anticipata, per cui li ottienema a scapito della ricchezza dellavita sociale dei figli. In ogni caso, è unpunto di partenza: i figli potranno giudicarecon il passare del tempo se questaregola li aiuta oppure no, potrannomodificarla quando acquisteranno laloro autonomia.Quando stabiliranno le proprie regole,partiranno da un’esperienza cheè stata loro trasmessa in base a delleragioni di cui l’autorità dei genitori siè fatta garante. La accetteranno o larifiuteranno, ma partiranno da lì.Immaginiamo invece (ma forse nonc’è bisogno di immaginare, purtroppo)dei genitori estremamente incerti etitubanti su questo punto. Dirannoai figli che possono rientrare quandovogliono oppure daranno un’ora dirientro ma poi non faranno valere inpratica quella regola.I figli, a questo punto, dovrannofare la propria esperienza costruendolada zero, senza punti di riferimento.Non avranno niente da contestare,niente da criticare, ma vivrannoun’estrema incertezza.Forse i loro coetanei, costretti atornare a casa entro una cert’ora, liinvidieranno, ma in realtà la loro condizionenon sarà poi così invidiabile.Non c’è altra stradaSenza regole, si fa da cavia a sestessi; si può provare tutto, ma non sipossiedono i parametri di giudizio pervalutare il proprio vissuto; si è lasciatisoli a seguire gli impulsi del momentosenza un progetto di riferimento.L’autorità, invece, offre se stessacome punto di partenza. Dice all’educando:“Ti chiedo di fare questoperché ho sperimentato che i risultatisono buoni”. In questo modo offre iNella mia esperienza di educatoreche prevalentemente si èrealizzata con persone nella “fasefinale della loro vita”, il focus principaledell’agire educativo si è caratterizzatonel contatto con l’altro,fondandosi dunque in una dimensionerelazionale dove l’“Io si fa nelTu”, attraverso una reciprocità, un“principio dialogico”.Se educazione deriva da e-ducere,condurre fuori, liberare, far venirealla luce qualcosa che è nascosto,nella relazione educativa si possonoutilizzare diversi approcci e modi perfavorire la crescita di tutti gli attoricoinvolti nella relazione. Il ruolo e lafunzione di educatore deve considerarequali sono gli atteggiamentisignificativi e di promozione dellapersona e della comunità di appartenenza.Avere curiosità, propensione,autorevolezza verso l’altro, sono modiper stare con l’altro permettendoad entrambi un cambiamento.Essere educatoreautoritàmezzi per raggiungere il bene e soprattuttotrasmette un’idea di bene: piùesattamente, l’idea che esista il bene eche sia raggiungibile.Probabilmente questa autorità saràcriticata e contestata: all’inizio acausa della fatica nel seguire la regola;un giorno forse perché chi avrà seguitola regola troverà una via migliore.Ma se – per tornare al paragone delmusicista – il maestro dicesse: “Suonaquel che ti pare, come ti pare”, moltodifficilmente l’allievo troverà il suostile personale.L’educatore, per essere tale, deveessere autorevole e deve esercitarel’autorità.Non sempre è facile, ma non c’èaltra strada.1Parroco a “Santa Sofia” in Padova,docente di catechetica nella Facoltà Teologicadel Triveneto, Padova.Fare/essere educatore impegna amettere in primo piano l’accettazioneincondizionata, che è “accettazionedell’altro diverso da me come possibilitàdi reciproco cambiamento, senzaperdita di identità…”. Prerequisitofondamentale, sempre da coltivareed esperire. L’educazione deve poteressere un processo di umanizzazione,dove si mette il soggetto nelle condizionidi riappropriarsi della propriastoria, di provare le proprie capacità,di sperimentare i vincoli, di decodificareil mondo nel quale vive, di passareda una “coscienza mistificata”ad una conoscenza critica dell’esserenel mondo e col mondo. Ecco che…trovarsi accanto a persone che sonovicine alla morte, insegna a guardarela loro storia, e non la fine di essa,e l’educatore ha così la possibilitàe l’onore, di sperimentare insiemeall’altro, territori possibili.Luca Alfonsi, educatore in unacasa di riposoparola chiaveaprile/giugno 2011 15


finestra aperta2011: ANNO EUROPEO DEL VOLONTARIATOLE SFIDE DEL VOLONTARIATOPAGINE CHE PROVOCANO (II PARTE)di Alessandro Gozzo 1insegnanteImportantisottolineature sullanecessità di unaformazione integralee permanente per ivolontari per affrontarealcune sfide dalle qualidipenderà il futuro delvolontariato stesso.Formazione‘a tutto tondo’Per evitare i pericolidi cui abbiamo parlato nelprecedente numero 2 e persaper assumere efficacementei propri ruoli di anticipazionenella risposta aibisogni emergenti, di integrazionee di supplementod’anima ai servizi esistenti,di stimolo delle istituzionie delle politiche sociali, dipromozione di una diffusasolidarietà di base, il volontariatoha bisogno di unaseria e continua formazione:di base sul significato,sulle motivazioni e sui ruoliche ha nell’attuale società;operativa per essere ingrado di fare bene i serviziaffidatigli; differenziatasecondo gli ambiti in cuideve operare; permanentesul campo, riflettendo conl’aiuto di esperti sulle pro-prie esperienze per valutarlee migliorarle; sociopoliticaper sapersi rapportarein modo coerente, libero edefficace con la società e lesue istituzioni a tutela deisoggetti deboli. La formazione,dunque, si configuraquale punto strategicoquanto a efficacia e futurodel volontariato.Sono considerazioniche possono preoccuparechi vuole impegnarsi seriamente.Si può, infatti, ritenereche il volontariato siaun’occasione splendida perdare maggior significato allapropria vita e per offrire ilproprio contributo concretoal miglioramento e progressoreale della nostra società.Tuttavia vanno poste alcunecondizioni: Un impegno serio e costantedi formazione.A volte i volontari sonopresi da una gran voglia difare e pensano che dare spazioalla formazione sia unaperdita di tempo. Capacità di unire le forzeda parte delle associazioni,nel rispetto dell'autonomiadi ciascun gruppo, perchésolo così acquisiscono unareale forza di cambiamento. Collaborazione con le diverseistituzioni (comune,scuola, ASL).Il piano di zona - strumentodi promozione deiservizi sul territorio comerisposta ai bisogni - è ilmezzo concreto per realizzaretale collaborazione. Ènecessario però mettere alcentro non l'istituzione o lapropria associazione, ma ibisogni della popolazione,senza dimenticare che nonsono i cittadini per le istituzioni,ma le istituzioni per icittadini.Sei sfideper il futuroAlla domanda se il volontariatoavrà un futuro, sipuò rispondere che tal cosadipende dalla forza intrinsecadel volontariato di superarele sfide che lo attendono.Vediamone alcune.Prima sfida. Mantenerela propria identità che puòessere messa in pericolo davari fattori. Un esempio èdato dal chiamare volontariatotutto il terzo settoreche invece conosce al suointerno varie componenti,mentre il volontariato è perdefinizione servizio gratuitoper persone diverse daimembri della propria associazione.Seconda sfida. Dareconsistenza al proprio ruolopolitico. È la sfida piùimpegnativa e un po’ a tuttii livelli: locale, nazionale,mondiale. Locale: il tagliodei trasferimenti di risorseagli enti locali costringe aridurre i servizi e di anno inanno fa aumentare le disuguaglianzefra cittadini. Nazionale:le riforme - impostecon la forza dei numeri -molto spesso danneggiano ipiù deboli (basti pensare allalegge Bossi-Fini sugli immigratio alla riforma dellascuola per i disabili). Mon-diale: la globalizzazione haevidenziato le enormi ingiustizienei rapporti fra paesiricchi e paesi poveri. Non sitratta di formare un partitodel volontariato, né di identificarsicon un partito. Lastrategia politica dei partitie del volontariato è diversa: ipartiti aggregano un gruppointorno a un programma darealizzare e cercano consenso,cioè voti, per ottenereil potere mentre il volontariatotende ad aggregare piùforze possibili - che possonoessere di appartenenzapolitica e ideologica diversa- intorno a un problema alfine di stimolare l’istituzionea risolverlo, a tutela deipiù deboli. Non ha bisognoné di consenso né di potere,ma di idee forti, proposterealizzabili, unità per un’efficaceazione.Terza sfida. Mantenersilibero dal potere politico eeconomico.Quando una realtà divolontariato per esistere eoperare dipende totalmentedai contributi della regione,del comune o dei centridi servizio - cioè dal potereeconomico -, come puòesercitare liberamente il suoruolo politico? Ci si chiede:ma è proprio necessario cheil volontariato dipenda dadetti contributi? Si può direche se una legge dello Stato16 aprile/giugno 2011


e delle regioni prevede deicontributi per il volontariato,è evidente che può avvalerseneperché quel denaroè per i servizi che i volontariprestano ai cittadini. Tuttavia,il volontariato - perconservare la sua identità,autonomia e libertà - dovrebbeessere in grado dioperare, anche se venisseroa mancare quelle risorse.È utopia? Una sfida per ilfuturo? Dando uno sguardoalla storia si vede chele nostre comunità, quand’eranomolto più poveredi adesso, hanno realizzatomolte opere e molti servizisenza contributi dello Statoe delle Regioni e con il solocontributo della comunità.Ad esempio: se il volontariatoinformasse e sensibilizzassela comunità in cuiopera sui bisogni scoperti esulle iniziative che prende,sull’attività e sull’uso deldenaro, forse le persone ele famiglie della comunitàche dispongono di maggioririsorse sosterrebbero conlibere donazioni le attivitàdel volontariato.E questa diventerebbeuna strada percorribile nonsolo per rendere libero e autonomoil volontariato, maanche per coscientizzare eresponsabilizzare maggiormentele comunità nei loroproblemi.Quarta sfida. Vincerel’invecchiamento del volontariatocon il coinvolgimentodelle nuove generazioni.Si tratta di motivare e di fareproposte coraggiose che igiovani possono comprenderee cogliere con entusiasmo;forse è anche questionedi lasciare spazio ai giovanifinestra apertaMedici in missioneSono medico specialista in ortopedia e traumatologiae presto servizio come dirigente medico pressol’Ospedale “S. Antonio Abate” di Gallarate (VA). Mi occupoprincipalmente di correzione di deformità degli arti e diallungamenti; inoltre collaboro con alcuni colleghi allagestione della sezione di ortopedia pediatrica del mioreparto. Da due anni mi reco in Kenya per un periodo diquindici giorni per assistere e operare i bambini affetti dapatologie ortopediche presso il centro “Disabled Children’sHome” a Naro Moru. Gestito dalle suore elisabettine,il centro dal 1979 si occupa della cura e riabilitazionedi bambini disabili (nella foto). In collaborazione con imedici dell’ospedale pediatrico “G. Gaslini” di Genova(che gestiscono gli aspetti organizzativi e medico-sanitari),svolgo - assieme al mio primario e a un altro collega - ilmio lavoro di ortopedico e traumatologo. Il nostro compitoè essenzialmente chirurgico e ci troviamo ad affrontare lepiù svariate patologie: paralisi cerebrali, deformità congenitee post-traumatiche, infezioni, traumi.Questa esperienza è nata per me due anni fa, quandoil mio primario che da oltre 13 anni presta servizio a NaroMoru come volontario mi chiese se ero disponibile adaccompagnarlo. Primo pensiero fu che non ero da soloperché il mio amico e collega Mauro già da un anno accompagnavail nostro capo in Africa. Inoltre, era il mio primarioa chiedermelo e la sua stima nei miei confronti non potevache condurmi verso un sì. Infine, mi sentivo stimolato dallepossibilità di una straordinaria esperienza lavorativa che misi apriva. Quindi dissi subito di sì.Certo non avevo fatto i conti con le difficoltà familiari(sono sposato e papà di quattro bambini) e avevo agitod’istinto. Questo sacrificio - chiesto a me e alla mia famiglia- mi ha indotto a chiedermi nel corso di questi due anniquale fosse la vera ragione che mi spingeva ad andare alavorare così lontano. Per quale motivo ci andavo? Potevabastare l’idea di un generico arricchimento professionale ol’obbedienza, pur sacrosanta, al mio primario? Ne valevadavvero la pena? Non immaginavo che questa decisione,nata un poco per caso e in maniera anche “interessata”,si sarebbe rivelata tanto ricca. In effetti, il Signore utilizzasempre tutto di noi: i nostri interessi, la nostra professionee soprattutto le nostre debolezze per farsi incontrare!Se ripenso a cosa in questi due anni, è successo dispeciale laggiù in Africa, non posso certo raccontare eventimiracolosi o cose straordinarie. Si è trattato solo di svolgereal meglio il mio lavoro quotidiano. Ma è stata proprio la domandacontinua sul reale valore del mio lavoro che ha resoe rende straordinaria l’esperienza fatta. Non è il che cosa sifa che è straordinario, ma la ragione che mi fa agire e cherende straordinario quello che faccio. Non sono i bambinidisabili i veri malati che hanno bisogno di una cura speciale,ma siamo noi i veri malati che attraverso il nostro lavoro e ilnostro servizio cerchiamo in continuazione il volto di Gesù:unica vera medicina del nostro cuore.Sono grato al mio primario che mi ha introdotto in questameravigliosa esperienza e sono infinitamente grato allesuore elisabettine che con la loro amorevole compagnia ciricordano - laggiù alle pendici del monte Kenya - la veraragione delle nostre fatiche; sono loro, infatti, che, innamoratedi Gesù, ci appassionano al suo volto, cercato inognuno dei nostri bambini. È questa la motivazione che mispinge a sacrificare il tempo che dedico a mia moglie e aimiei bambini.Luca Marciandiaprile/giugno 2011 17


finestra apertanei posti di responsabilitàdel volontariato 3 .Quinta sfida. Aggregarealla pari giovani immigratinelle associazioni di volontariato.Il futuro porta il coloredi una società multiculturale,multietnica, multireligiosa.Il volontariato potrebbecostituire una buona stradadi integrazione sociale.Sesta sfida. Favorire ilcoinvolgimento di personecon specifiche competenze.Poiché il volontariatonon è banale reclutamentodi manovalanza, anche undirettore generale di ASL,un primario d’ospedale, unprofessore universitario, unpreside di scuola, un industrialepossono mettere a disposizionela propria competenza:per la formazionedei volontari, per la ricercadei bisogni cui si dedicanoe sui metodi che usano, perla valutazione del loro lavoro…Se i volontari devonodiventare professionisti, anchei professionisti potrebberodiventare volontari.Queste alcune delle sfideche determineranno ilfuturo del volontariato. Rimanecentrale la ‘questioneformativa’ in termini diquantità e di qualità. 1Membro de “Il Portico”,associazione Onlus (cf. In caritateChristi 2011/1, pp. 14-15).2Ibid.3Cf. quanto previsto dala leggequadro del volontariato 1991(DL 266/1991).18 aprile/giugno 2011LA TENSIONE NEL MONDO ISLAMICOIL MONDO ARABO TRACRISI E SPERANZEdi Giuseppe Scattolin 1missionario combonianoAbbiamo chiesto al missionariocomboniano,padre Giuseppe, cheopera in Egitto, di condividerealcune riflessioni sugli scenariche si sono sviluppati in questimesi nei Paesi dell’Africa settentrionale.Dalle riflessioni emergel'urgenza di adoperarsi persottrarre la cultura islamicaal pensiero fondamentalistase si vuole la pace nel MedioOriente.Una crisi profonda stascuotendo il mondo arabo.Che spiegazione si puòdare a tale fenomeno?Quest’anno sembra esserecominciato all’insegnadi una crisi profonda cheattraversa e scuote l’interomondo arabo e che certamentesegnerà un vastocambiamento in esso. Benpochi, secondo me, avevanopercepito la possibilità di talicambiamenti che oltretuttovanno in senso contrariorispetto alle altre crisi (vediquanto è successo in Iran,Iraq, Afghanistan, Sudan).Queste portavano tutte iltimbro del fondamentalismoislamico solamente interessatoad assumere il poteree a imporre la propriavisione islamista alle societàarabe, mentre ora abbiamosentito i giovani - prima inTunisia e poi in Egitto, inYemen, in Libia, in Bahreine in altri posti ancora - proclamaree reclamare libertàe democrazia. Le analisi simoltiplicano per trovare lecause di tali movimenti.Stando in Egitto possodire che certamente moltifattori erano conosciuti:la profonda crisi economicache pesava soprattuttosulle classi più povere; lacorruzione dilagante nelleclassi abbienti e in tutti isettori della vita pubblica;la sensazione di trovarsi inun circolo chiuso, in cui benpoche speranze erano lasciate,in modo particolareai giovani; infine, le elezionidello scorso dicembre in cuile opposizioni - i Fratellimusulmani per primi - sonostate letteralmente estromessedal Parlamento (cosaquesta che ha costrettol’opposizione a organizzarsiper creare un Parlamentodi opposizione alternativo aquello ufficiale).Il successo ottenuto dalledimostrazioni di massain Tunisia – ossia che si puòvincere anche la violenzadella polizia di stato - si èsubito riflesso sulla societàegiziana. I giovani con lastrategia del Facebook 2 hannofatto sì che dimostrazionioceaniche si scatenasseronella piazza Tahrir del Cairo,abbattendo la violenzadella polizia di stato chein tutti i modi cercava diespellere i dimostranti dallapiazza. I giovani hannoreagito alle provocazioni inmodo esemplare, con ragionevolezzae fermezza. Infine,sono rimasti in possessodella piazza e hanno impostoil cambiamento radicaledell’apparato amministrativoegiziano, cominciandodal presidente Mubarak cheha dovuto dimettersi.Sottolineo che in taleclima di cambiamento si èavuto in Egitto un fenomenosconosciuto nel passato:per la prima volta la comunitàcopta è scesa in stradae per parecchi giorni i coptihanno dimostrato in massadavanti alla sede della TVegiziana, reclamando i lorodiritti e il risarcimento per leviolenze fatte contro di loroe contro le chiese copte.Si tratta solo di uncambiamento a livellopolitico o di qualcosa cheva più a fondo?Siamo di fronte ad uncambiamento che va decisamenteoltre il fatto politico.I giovani hanno dimostratodi avere assimilato molteidee delle democrazie moderne.Il loro motto “libertàe democrazia” riassume unavisione nuova della societàaraba. Non si tratta certo diidee nuove, anzi ricalcanole parole della rivoluzionefrancese libertà, uguaglianza,fraternità. Idee similierano state propagandatenei movimenti nazionalistidegli anni ‘20 e poi ‘50 delsecolo scorso per combattereil colonialismo europeoe creare stati nazionali indipendenti.Questi però a lungo andaresi sono trasformati instati dittatoriali che hannocausato il fallimento di taliideali, creando delle gerarchieguidate da un ristrettogruppo di persone che hannotenuto in mano il destinodi quei popoli per parecchianni (circa quaranta per


Gheddafi, trenta per Mubarak,Saleh e altri). Dittaturemilitari, a partito unico, incui il potere diveniva esclusivadi alcune famiglie deiranghi militari. Si può direche la presente rivoluzioneè una rivoluzione contro il“colonialismo interno”, comele prime rivoluzioni eranocontro il “colonialismoesterno”.Riusciranno tali movimentidemocratici aimporre una stabile svoltaalle società del MedioOriente?Preciso che questi nuovimovimenti rivoluzionaridevono fare i conti con unsettore importante dellasocietà araba che è il fondamentalismoislamico chedomina a vari livelli e convari movimenti gran partedelle società arabe. È benorganizzato e, anche se èstato sorpreso dalla rivoluzionedei giovani, non intendecedere il campo alleEspressioni di gioia in piazza Tahrir al Cairo dopo l'11 febbraio 2011,per la conquista della libertà.idee moderne di “libertà edemocrazia”. Uno dei punticentrali del suo pensieroè l’imposizione della leggeislamica (la famosa sharî’a)a tutta la società.Questo è un elementocon cui la rivoluzione deigiovani dovrà confrontarsisul piano pratico delle elezionie della gestione delpotere, ma anche sul pianoteorico delle idee. Il fondamentalismoislamico quindicondizionerà molto il futuroprossimo delle societàdel Medio Oriente.Il vero problemadunque è l’espandersidel fondamentalismoreligioso. Quali sono lecause di tale fenomeno?Come si può combattere?Il fondamentalismo religiosocostituisce un problemacruciale per tutte lesocietà del Medio Orientee per tutti i musulmani alivello mondiale. È un problemache preoccupa un po’tutti, ma poco - a mio avviso- è stato fatto per studiarnele vere cause e trovareil giusto rimedio. Esso hauna lunga storia che deveessere ben studiata. Il confronto-scontrofra societàislamiche tradizionali e lamodernità venuta dall’Occidentead esempio ha accentuatonotevolmente talefondamentalismo e da duesecoli il mondo islamico vivein una profonda crisi causatada tale confronto.La modernità - maturatain Europa durante l’epocailluminista e caratterizzatadalla ricerca scientifica liberae razionale, dalla centralitàdella persona umanae dal rispetto dei suoi dirittifondamentali, quali la libertàdi coscienza, di scelta religiosa,di espressione, etc. - ècausa di alcune difficoltà peril mondo islamico (da nondimenticare che anche lachiesa cattolica accolse confatica queste nuove idee).Il Medio Oriente è passatoattraverso varie fasi: dauna più liberale fino allametà del ‘900 a una di nazionalismodi tipo socialista(in Egitto è coinciso col periododi Nasser, al poteredal 1956 al 1970 ).Col fallimento di questonazionalismo arabo, siè aperta la fase del fondamentalismoreligioso neglifinestra apertaVoce che gridastraordinario quello che ho visto accadere nel mioÈ Paese. La voce che esce dal di dentro dei nostrigiovani e di tutto il popolo egiziano: la voglia di cambiare,il desiderio di vivere in libertà, giustizia sociale e dignitàumana.I giovani hanno dimostrato che sono capaci di testimoniare,con una volontà tenace, che sanno impegnarsiper un domani migliore di questo di oggi e di quello diieri.Mi piace condividere alcuni punti forti che mi hannocolpito molto, in quanto evidenziano alcuni risultati importantidella rivoluzione del 25 gennaio 2011.Il risveglio della coscienza, un risveglio di passione edi appartenenza alla patria, come, per la prima volta, l’hadimostrato la coesione tra le comunità, diverse per religione.Nella piazza del Tahrir veniva celebrata la preghieracristiana per i martiri della rivoluzione e tutti insieme convoce solenne cantavano: «Signore, benedici il mio Paese»;per noi non è una cosa da poco, anzi abbiamo soffertoper molti anni, e oggi in modo particolare per i cristianiche sono stati uccisi il primo gennaio mentre pregavanonella chiesa dei Santi in Alessandria.Al venerdì, mentre i nostri fratelli musulmani pregavanola preghiera del mezzogiorno, tutti i cristiani hannocreato un recinto per difenderli ed altrettanto hanno fattoloro per difendere noi cristiani nella nostra preghiera.Quando mai si può pensare a una donna cristiana (nellamentalità musulmana la donna è considerata immonda)che versa l’acqua per un musulmano che deve compiere ilrito della sua preghiera! È fantastico constatare che siamocapaci di essere testimoni di perdono e di fratellanza.Tutto questo indica che quando un popolo un giornodesidera la vita in libertà, sicuramente il Cielo lo ascolta edesaudirà il suo grido.Alla fine ho chiesto alla terra: «Madre, tu ami l’umanità?».Ed ella mi disse: «Benedico il popolo che affrontai pericoli e ama la vita, ma l’universo non abbraccia gliuccelli morti».Io sono una ragazza egiziana. Apprezzo il mio Paesecome il più bello del mondo e nei prossimi giorni speroche gli eventi portino la pace e la gioia. Sono ottimista.Iren Safwat, novizia egiziana, marzo 2011aprile/giugno 2011 19


finestra apertaanni ‘70. Esso intende risolverei problemi a partire dauna lettura molto rigida deitesti fondamentali della religione.La caratteristica piùpericolosa di questo fondamentalismoè l’unione frareligione e politica, sorgentedi molte tensioni, abusi eviolenze. A ciò si aggiungeil fatto che le politicheoccidentali hanno acuito edesasperato il problema.È con tale apparato diidee e organizzazioni fondamentalisteche la “rivoluzionedei giovani” dovràconfrontarsi: avrà la capacitàdi pensiero e di organizzazioneper resistere allasua pressione? Una questionefondamentale!Che futuro quindi cisarà per il Medio Orientee per le comunità cristianein esso?Il futuro? Dio solo losa. Una cosa è certa: se nonsi rimuovono le cause dellaviolenza, questa continueràa fare vittime. Il problemaessenziale è quindi superareil fondamentalismoreligioso, percepito ancheda molti musulmani comeil grande pericolo perle stesse società islamiche.Occorre operare una vera epropria trasformazione culturaleche porti il mondoislamico a fare suoi alcunivalori della modernità, inparticolare la formazione diun pensiero critico e il sostegnoincondizionato ai dirittiumani. Tale trasformazioneculturale deve essere fattadall’interno dell’Islam e nondall’esterno, per imposizione;deve aiutare l’Islam aconiugare in modo sano religionee modernità.Occorre inoltre trovareuna soluzione ai conflittilocali, in particolare al problemapalestinese e anchealla profonda crisi economicache attanaglia questesocietà.In tale prospettiva anchele comunità cristianepotranno avere più spazioper svilupparsi in un contestodi islam liberale. Questecomunità sono pure minacciateda vaste trasformazioniinterne; ad esempio c’è ilgrande fenomeno dell’emigrazioneche priva le comunitàorientali dei loro fedeli.D’altra parte si nota unacrescente ‘latinizzazione’dell’oriente cristiano, creatadalla crescente immigrazioneda Paesi di rito latino, siaafricani sia asiatici. Questecomunità si sentono quindisotto una grande pressione.Molti temono che alla fineci sarà un cambiamento radicaledella popolazione cristiananel Medio Oriente.I cristiani originali sarannosostituiti da cristianidi immigrazione? Saràla fine dei riti orientali? Avantaggio di chi? Come hodetto, solo Dio sa il futuro.Noi cerchiamo di operareper il bene di tutti, cristianie musulmani. E non c’èdubbio che un dialogo seriofra le parti in causa costituiscail mezzo migliore persuperare i problemi di questiPaesi.I copti in Egitto sonocirca otto milioni. Chisono? Quali difficoltà incontranonel loro paese?Sono discriminati nellasocietà?I copti sono i cristianiegiziani, discendenti dellaprima comunità cristianafondata secondo la tradizioneda san Marco attornoall’anno 60 d.C. Essi hannosempre conosciuto una storiaalterna fatta di periodipacifici e di periodi turbolenti.Con la conquista arabadel 640 d.C. sono passatisotto l’ordine islamico, cheli ha fissati nello stato di‘protetti’ (dhimmi), cioè sottola protezione dello statoislamico e quindi senzal’obbligo della sua difesa.Dovevano però pagare unatassa personale, accettareuna posizione subordinatanella società e molte volteerano obbligati a un certotipo di abbigliamento: questee altre le forme di distinzionee discriminazione.Tutta questa storia didiscriminazione sociale hacreato nell’animo delle comunitàcopte un senso di“assedio” e quindi una reazionedi autodifesa. I rapportitra le due comunità,islamica e cristiana, hannoconosciuto vicende alterne;è rimasto comunque il ricordogenerale di una convivenzafondamentalmentepacifica. Nell’epoca modernagli stati arabo-islamicidel Medio Oriente hannoadottato molte misure liberaliispirate alle leggi europee,soprattutto al codicenapoleonico.Ci sono tuttavia ancoracampi di conflitto, come adesempio la questione dellacostruzione di chiese, le leggipersonali, ecc. Negli ultimianni, con l’acuirsi dellapressione fondamentalista,i cristiani si sentono semprepiù emarginati e danneggiati;essi faticano a trovarelavoro o fare carriera, ecc.Il vero problema consistequindi nel realizzareun profondo cambiamentoculturale che porti a unvero stato di diritto ugualeper tutti, in cui le idee di“libertà e democrazia” siradichino nella cultura arabo-islamicaaffinché sianosentite come proprie e nonestranee. Questo progettoè avversato in particolaredai movimenti estremistiislamici che in realtà sonocontro tutti coloro che, cristianie musulmani, non lapensano come loro.Credo che sarà proprionel superamento di talefondamentalismo che sigiocherà il futuro del MedioOriente e di tutti i paesiislamici o con grandi comunitàislamiche.È necessaria una seriaazione di cooperazione esviluppo a livello di chiesae di società occidentali, nonpiù in un clima di colonizzazionee di sopraffazione,come è avvenuto nel passato,ma in un clima di dialogoe scambio a tutti i livelli.Questo impegno dovrebbecostituire una priorità pertutti. Questa è la mia speranza,questo è il mio impegno,che spero sia condivisoda molti.1Sacerdote dal 1968, missionariocomboniano, ha lavorato inLibano, Sudan ed Egitto. Attualmenteè professore di mistica islamicaall’Università Gregoriana, alPISAI e a Dar Comboni (Cairo).Ha pubblicato circa 50 titoli tralibri e articoli.2Facebook è una rete socialedove le persone che si iscrivonopossono dialogare tra loro, utilizzandoi canali della comunicazionevirtuale.finestra aperta20 aprile/giugno 2011


in camminoVERSO IL CAPITOLO GENERALE 2011I colori dell’interioritàPer creare una nuova culturaa cura di Martina GiacoministfeIncontro per entrare in uncontatto più profondo edesistenziale con l’interioritàLo scorso 10 febbraio è giuntonelle nostre case l’invito a parteciparead alcuni incontri daltitolo quanto mai originale e capacedi suscitare la nostra curiosità: I coloridell’interiorità. Come si può darecolore all’interiorità, realtà tanto spirituale?E quale colore? Che cosa vorràmai dire questa espressione tanto inconsueta?Questi interrogativi e forse altriancora sono stati la molla che ha spintomolte di noi ad accostarsi all’eventoe l’afflusso è stato tale che, per darerisposta a tutte, gli appuntamenti fissatisono anche aumentati di numero.Varcato il portone di Casa Madre, iltratto comune che ci ha caratterizzatonell’incontrarci è stato uno scambiodi sguardi sereni, gioiosi, desiderosi dicapire al più presto che cosa ci aspettasse,ossia che cosa le sorelledel consiglio generale avevano‘tramato’ per noi! Un po’ comei bambini che in occasione diuna festa sono là che fremonoper scoprire quanto genitori,educatori o amici hanno organizzatoper loro.L’impatto è dolce: nondobbiamo rispondere a quesiti,non dobbiamo produrremateriali di chissà qualeportata… ma stare, riposarenei colori dell’interiorità e farecontatto con la nostra realtà più profonda,con tutto ciò che ci appartiene.Insomma: noi e l’interiorità, l’interioritàe noi. Ci viene detto che è ladimensione trasversale che segna larelazione con Dio, con se stesse, conle sorelle, con il mondo… come nonpercepirla?Nei piccoli gruppi (“laboratori”stava scritto nell’invito) in cui ci ritroviamofacciamo un po’ le ‘ambiziose’e ci guardiamo dentro per scoprirele ricchezze che ci abitano, per poiraccontarcele. Si tratta di dar voce allanostra interiorità poiché la vita cristiananon è un andare oltre, ma piuttostoun andare in profondità, un ancorarela nostra casa alla roccia.Sei anni fa il capitolo generale ciaveva detto: «Non così dovrà essere travoi» (Mt 20,26). Come il gruppo deidodici discepoli, anche noi eravamostate invitate a rivedere il nostro mododi incarnare il vangelo e sollecitate avivere la santità fraterna, a esprimerela minorità francescana, ad assumereuno stile di vita sobrio e solidale, avalorizzare la soggettività e la diversitànella costruzione del noi fraterno emissionario, a vivere la missione nelsuo andare verso la marginalità e animatadalla spiritualità dell’incontro, ariconoscere la comunità luogo elettivodi formazione e laboratorio culturaledi pensiero che sa coniugare carismae realtà, a vivere il servizio di autoritànel suo significato evangelico dentrol’orizzonte di una vita mediatadall’obbedienza, per una cultura dell’appartenenza,della corresponsabilitàdiffusa e della reciprocità (cf. AttiCapitolo generale 2005, Orientamentiper il sessennio, p. 43).Ne seguì il dispiegarsi di itinerariformativi volti a risvegliare e a rivisitarel’identità propria. Una primariflessione che ci aveva accompagnatoera stata la messa a fuoco del nostroessere per Gesù che segna il nostroessere sorelle e apostole (anni 2007-2009). Ora le tante parole con le qualici siamo descritte diventano una sola:interiorità.È un ritornare al centro propulsoredella nostra vita lì dove interiorità epassione apostolica – come recita iltema del prossimo capitolo generale– non è un binomio polare, ma compresenzanecessaria.Così madre Margherita ci ha introdottoall’incontro.Per farlo ci siamo affidate a settecolori, sette parole che raccontanol’interiorità. Un arcobaleno riccodella vita che batte in ciascuna dinoi e in ciascun uomo e donna cheincontriamo. Ascoltiamo dalla vocedi alcune sorelle quanto è emerso neilaboratori.SolitudineNella riflessione abbiamocolto la solitudine nella sua valenzabuona, positiva. Lontanedal considerarla come forma diisolamento o di non comunicazione,l’abbiamo scoperta qualeatteggiamento interiore che indicala capacità, il coraggio e ladecisione di stare in quello chesiamo, in ciò che viviamo. Conquesto colore si fa molto vicinaaprile/giugno 2011 21in cammino


in camminoal significato di coscienza descritto nella“Gaudium et Spes” al n. 16: «nucleo piùsegreto e il sacrario dell’uomo, dove eglisi trova solo con Dio, la cui voce risuonanell’intimità propria». È l’esperienzadei santi, coscienti dell’amore che Diodona a ciascuno, in modo irrepetibilee sorprendente, e impegnati secondo leloro capacità a rispondere a tale amorecon tutto se stessi.Tale atteggiamento dà alla personauna particolare consistenza e solidità,grazie alle quali nel concreto della vitaquotidiana sa rimanere in piedi, coglierele proprie motivazioni profonde, senzascappare dal vissuto ma credendo che laquotidianità è abitata da un Altro cheda significato a ogni cosa, anche a ciòche può apparire incomprensibile. Solosuperando la superficialità per abitarenella profondità, nella solitudine dellapropria interiorità è possibile coglierei lineamenti dell’Amato, credere chesiamo preziose ai suoi occhi e sentire cheil suo sguardo su di noi rende possibile ildono di sé.suor Agnese LoppoliPace interioreIl passaggio di un’intervista a RobertaDe Monticelli proposto alla riflessionedi gruppo mi ha stimolato ariflettere su come la pace interiore possaincidere nella nostra vita personale ecomunitaria.Definisco “pace interiore” un’esperienzaimprevedibile, sempre parziale,mai definitiva, di una Presenza da cuiprende senso ogni altra presenza, ognialtra relazione. È il mistero di Dio chenel suo figlio risorto entra in ogni realtàumana, si fa accanto in modo personalissimoa ciascuno.In quest’ottica assume significatoaltro per noi la lettura del quotidiano.Si avverte che è dono e diventa invitoper noi l’imparare a leggere situazionied eventi alla luce del nostro carisma,interpretandolo nella vita ecclesiale esociale in cui svolgiamo la nostra missione.Si sente legittimo dare un nome adinterrogativi, dubbi, anche ribellioni,22 aprile/giugno 2011di fronte a ingiustizie di cui si fatica acogliere il senso.Ancora: diventa possibile recuperareil passato, riconoscendo di aver bisognodi riconciliazione e di perdono e godendodei nostri tentativi di incarnare valoriche ci sono stati affidati. È possibile viverecon intensità il presente e guardarecon fiducia alle forme nuove che diconoimpegno e responsabilità nel cercaredi esprimere una presenza che diventasperanza per il futuro.suor Liliana FornasierStabilità emotivaNel nostro gruppo ci siamo lasciateprovocare dalla definizione di questocolore e subito sono nate varie domandeche hanno aperto un vivace e costruttivoconfronto fra noi partecipanti: com’èpossibile far stare insieme la stabilitàche richiama qualcosa di fermo, di stabilee l’emozione che invece è legata a unsentire, a un qualcosa di variabile e dinon immediatamente controllabile?Non è quasi un controsenso? Cometrovare un’unione tra due opposti? Ciè venuta in aiuto l’immagine del mareentità unica ma composta dai fondaliche richiamano la stabilità e dalle acqueil cui fluttuare rinvia alle emozioni.Ci siamo dette che la stabilità emotivapotrebbe essere definita stabilitàdinamica, intesa come un circolo virtuosoin cui la dinamicità dei vissutie delle esperienze contribuisce a darenuova e ulteriore fisionomia alla stabilitàdella vita interiore e questa,a sua volta, permette di affrontarele provocazioni che incontriamo nelladinamicità della vita.San Paolo nella prima lettera aiCorinzi, al capitolo 13 dice «Quand’erobambino, parlavo da bambino, pensavoda bambino, ragionavo da bambino,ma da quando sono diventato uomo, hosmesso di fare le cose dei bambini».Siamo cioè in continuo divenire ecosì avviene anche per la nostra vitaspirituale. Non è mai cosa statica, main continua crescita, grazie agli eventidella vita, le crisi, le relazioni che viviamo,i vissuti che ci coinvolgono e chepossiamo affrontare attraverso la “stabilità-certezza”che ci portiamo dentrofino a quel momento.suor Maria Pia RefoscoMaturitàLe nostre riflessioni ci hanno portatoa fotografare la maturità con i colori diun’iride spirituale dai contorni sfumati eperciò confluenti l’uno nell’altro.Maturità è un concetto che abbracciala completezza della persona; unaparola che dice equilibrio, capacità didono, libertà da complessi e condizionamenti,responsabilità di fronte alla vita,capacità di scegliere il bene e di preferirloal piacere. Sono alcune delle espressioniemerse. Nella vita religiosa la maturitàpotrebbe coincidere con l’umiltà - virtùche aiuta a riconoscere i propri valorie i limiti e ad accettare critiche senzafrustrazioni o risentimenti -, con lapazienza nelle avversità, il coraggio, lafiducia, l’impegno a vivere la figliolanzadi Dio e la fraternità universale con ogniInteriorità come passione, mondo... celo dicono gli abitanti di Caorle con illoro simpatico saluto dalla spiaggia alpassaggio di papa Benedetto XVI il 7maggio scorso.


uomo che lotta, soffre, gode e spera.L’immagine della clessidra mutuatada alcune riflessioni, riportate, di DanieleLoro è particolarmente originalee interessante: il contenuto dell’imbutosuperiore indica l’adultità intesa comesvolgimento di compiti; l’imbuto inferioreindicherebbe la maturità nellaquale è raccolto il significato del propriovissuto. Capovolgendo la clessidra, sinota che i significati ridiventano vita emescolandosi con la realtà consentonosempre nuove esperienze.suor Anna Maria GriggioAttenzioneNel gruppo abbiamo approfonditola parola “attenzione” intesa come:lucida presenza a sé per discernere lapresenza di Dio nell’uomo, consapevolezzadi sé, custodia del cuore daipensieri che distraggono l’uomo. Nell’attenzionesi opera lo spogliamentodell’io, si vede che cosa ci fa agire; sicapisce che ci fa agire quello che desideriamo.L’attenzione fa presente ildesiderato. L’attenzione nel suo gradopiù elevato è come la preghiera.Nella ricerca di un altro nome dell’interiorità,abbiamo sentito il bisognodi passare dalla testa al cuore. Per noiinteriorità è anche relazione amorevole,sponsalità come “prendersi curadi”, amore, dono, accoglienza. Ci pareche questo sazi quel bisogno di amore,quell’inquietudine che abbiamo nel piùprofondo di noi.suor Elena CallegaroPassione«… È capacità di sentire l’altro, dilasciarsi abitare, lasciarsi prenderedall’esperienza “di altro, che ci sta acuore”».In un primo momento ci sembravaun binomio da studiare, scomporre,qualcosa su cui ragionare e, invece,illuminate dall’introduzione fatta d’immagini,silenzio e armonia, mosse daldesiderio di lasciar agire lo SpiritoSanto, maestro interiore, guidate dalleriflessioni di don Sergio De Marchi, cisiamo trovate nel gruppo a comunicarecon passione quanto ci abita.Ciascuna sentiva quel mi “sta acuore!” Nel profondo di noi stesse Qualcuno,qualcosa ci sta a cuore, ci abitae alimenta un fuoco, un’energia chespinge verso l’altro e lo accoglie e lo faabitare nella propria vita.Vivere con passione è far mia lasituazione dell’altro, come faceva Gesù:«il suo modo di esprimersi lasciatrasparire in lui un sentire appassionatonei confronti della vita degli uomini edell’intero mondo creato» (dagli spuntiriportati di don Sergio De Marchi).L’incontro eucaristico quotidianocon Gesù spalanca la nostra vita al suomodo di essere e ci spinge a guardarel’altro con passione e ad accogliere ilsuo disagio, risvegliando in noi le potenzialitàpiù profonde per muoversi versochi riconosciamo fratello in lui. Lo starenella vita di Gesù apre a una disponibilitàcontinua, a uscire da sé e fa esserela memoria vivente di lui: sia nel donareuna semplice attenzione sia nell’offrireun piccolo servizio.Passione – dimensione propria dell’essereumano –, se messa in relazionecon la passione di Gesù, ha un calore euna luce particolari e si colora di gratuità,amicizia, creatività.È anche una caratteristica elisabettina:innamorarsi di Gesù e del suomodo di essere uomo, accogliere concuore, andare con sollecitudine, ospitarecon calore chiunque. Tutto questo ci appartienecome dono prezioso.suor Lodovica PradellaMondoQuando pensiamo al mondo, vienesubito spontaneo immaginare spaziaperti, le meraviglie della natura e labellezza di quanti vivono in esso. È unprimo sguardo.Se però ci soffermiamo e osserviamocon occhi diversi, scopriamo il mondocome un intrecciarsi di relazioni che cicoinvolgono e ci interpellano quotidianamente.È a questo mondo di relazioniche apparteniamo, e in esso respiriamo,viviamo, cresciamo. Ciò, a volte, ha ilsapore della fatica perché non è semprefacile mettersi di fronte all’altro edessere disponibili a lasciarci cambiare,a metterci in movimento fin nella partepiù intima di noi stessi.Allora l’interiorità si colora di unmondo in cui le relazioni sanno di verità,con se stessi e con gli altri; di ascolto profondoe di un cuore allargato, compassionevole;di confronto e condivisione che cicambiano, ci riscaldano e ci rafforzano;di testimonianza coerente affinché ciò chesiamo (con i valori in cui crediamo) entriin contatto profondo con la vita altrui.A partire dalla vita fraterna nellenostre comunità. Senza lasciarci afferraredalla frenesia e fretta che lasocietà odierna ci propone. Essere “nelmondo” con relazioni calde e autenticheche sgorgano dal vangelo e dalla forzasempre attuale del nostro carisma perchéogni uomo e donna possa vivere inpienezza la propria vita.suor Alessia BattocchioL’orizzonte che si apre è davveroampio e interessante, atto a fecondarealtra vita.È l’augurio che ci permettiamo dirivolgere alle sorelle chiamate al Capitolo:siate generatrici di nuova vita! aprile/giugno 2011 23in cammino


alle fontiDIRE CON L’ARTEElisabetta, volto della misericordiaSulle orme del Maestrodi Annadora BovostfeLettura dell'icona per entrarenella spiritualità di ElisabettaVendramini nel suo farsiespressione di misericordia.Elisabetta, compagna di viaggiodi ogni uomo, ha sperimentatoprofondamente che Dio è misericordiainfinita: da ciò l’esigenza di farpartecipe tutta l’umanità, “non solo…Padre nel darci l’essere, ma madre tenerissimaancora nel nutrirci” (D 1957).La sua concreta esperienza di Diole fa scrivere: «Meditando come la Misericordia,abbenché eguale agli altriattributi, pure sopra ognuno di questisi manifesta con una chiara luce, cosìmi fu detto e mostrato: Un padre amaogni sua creatura e la benefica paternamentee compatisceancora misericordiosamenteperché è cosa sua,e con una indicibilee struggente tenerezzami si disse:Sono mie creature»(D 1877).L'icona, natadalla contemplazionedella esperienzae del pensiero diElisabetta Vendramini,è stata scrittanel 1999 e destinataalla comunità Centrodi accoglienzadelle suore missionariein Casa Madre aPadova.Le proporzioni sonodi due a tre; il coloreche risalta è prevalentementeil bianco, compresolo sfondo dell’aureola, simbolo delcandore di un’immagine trasfigurata.Gli elementi caratterizzanti sonolo sguardo significativo, cui dà risaltoil contrasto copricapo nero-aureolabianca cerchiata in oro, e il libroaperto, bordato in rosso, con la scrittaevangelica su pagina bianca: «Siate misericordiosicome è misericordioso ilPadre vostro» (Lc 6,16).Nello sguardo intenso, penetrantedi Elisabetta sembra di poter cogliereil suo essere partecipe di un’umanitàbisognosa di trovare nel Padre rifugioe salvezza, alla quale in modo fermo edolce, eloquente e persuasivo indicacon chiarezza la via della vita, dellapace, della fratellanza e della gioia ,checonsiste nel ricevere enel donare, nel sentirsiamati e rigenerati inCristo e nell’amare econtemplare ogni essereumano come dolce pensierodi Dio Trinità.Tuttavia in questaicona la centralità chemaggiormente attiraè data dal grande gestodelle mani, statico epur in movimento. Lamano sinistra, a concaper reggere il Libro, conle dita aperte sulle paginebianche, richiamal’attenzione sulla fraseevangelica in rosso chespicca per far risaltarel’annuncio: «Siate misericordiosi».La destra, raccoltaa forma di conca, indicala scritta, in particolareorienta alle parolemisericordiosi e come, ma ilmovimento arcuato dell’indicee del pollice indirizza alla sededell’amore, della compassione, dellamisericordia, della decisione: il cuore.In tal modo Elisabetta evidenzia easseconda il movimento spirituale: Parola-mano-cuore,come processo cheparte dalla vita, dal sentire, dal cercaree incontra la Parola che illumina, trasformae salva.Il dono della compassione che perlei è stato esperienza vissuta, è proponibilecon svelamento progressivo pertutti, come a dire a tutti: a me è capitatodi incontrare la Misericordia, diesserne abbracciata come da una madre,e tale incontro mi ha trasformata,facendomi intendere quel “siate” equel “come”; in me la conversione delcuore dopo l’incontro si è fatta gratitudine,compassione e servizio...Non è maestra, Elisabetta; è madre,è amica, è sorella, compagna diviaggio. Solo Dio è la misericordia cheridà senso alla esistenza travagliata,all’esperienza di povertà e di peccato.Chi incontra la Misericordia sperimentail perdono, l’abbraccio (Lc15,20), la novità di vita, la gioia diessere salvato (Sal 51,14), non nutrepiù l’illusione della conquista, dellaperfezione…Non vive più per se stesso; sentendosifiglio raggiunto dal Padre, ama ifratelli come figli dello stesso Padre,ama i fratelli come il Padre li ama, amai fratelli con il cuore del Padre. alle fonti24 aprile/giugno 2011


accanto a...giovaniFORMARSI PER FORMARECostruire una cultura della vocazioneEducatrici dei giovani con Elisabetta Vendraminia cura di Ilaria ArcidiaconostfeAccogliendo il suggerimento relativoalla priorità della formazioneper le animatrici vocazionaliemerso durante l’ultimo Capitolo provinciale,il Coordinamento del serviziodi pastorale giovanile vocazionale dellafamiglia elisabettina ha organizzato peril 26 febbraio 2011, presso la casa “S.Sofia” di Padova, un incontro formativoaperto alle suore che per il servizioche svolgono hanno la possibilità dicondividere i cammini dei giovani nellecomunità parrocchiali, nei percorsi didiscernimento, nelle comunità di formazione,nei luoghi di lavoro.Condividiamo alcune delle risonanzeemerse dalle sollecitazioni ricevutenei vari interventi e dal convenire fraterno1 .ci del Diario di madre Elisabetta, siamostate accompagnate a confrontarcicon la sua esperienza spirituale, percomprendere come siamo chiamate afare nostro il suo stile, il suo modo diprendersi cura delle giovani affidatealla sua guida, amate in Dio, perchécreature amate dal Padre.Le sottolineature ci hanno apertoorizzonti per capire come oggi siapossibile costruire una “cultura dellavocazione”, cioè un modo di pensaree vivere la nostra vocazione, per poiaccompagnare e condividere, in particolarecoi giovani, gli interrogativi e lesperanze che scandiscono i loro camminidi ricerca e di scoperta del Signore.Colpisce nella Madre la sua continuapreoccupazione e la ricerca diessere confermata che quanto intuitoper sé e per le figlie viene dal Signore,per lasciarsi guidare interiormente; lasua prudenza intesa come capacità didiscernere per consigliare, confortare,sostenere, riscoprire il cuore, ritrovareil senso delle cose. Perché per madreElisabetta formare, educare equivalead animare, cioè a far sì che le cose chele persone fanno abbiano un’anima,partano dall’intimo di chi le compie.Un cammino, un compito da accompagnaree sostenere con pazienza e allegrezza.Non è un compito che la Vendraminiimprovvisa, ma è l’esito di uno sperimentareprimariamente su se stessal’importanza del lasciarsi guidare eilluminare, del lasciarsi educare dalloSpirito Santo che è Padre e Maestro.Servendosi delle mediazioni umanee… dello spazio del Diario, undiario che raccoglie parole, immagini,emozioni, paure... perché è importantedare spazio a tutte le parole: a quelleche appaiono ispirate e a quelle chesono insinuate dal “Nemico”.Il Diario ha costituito per madreElisabetta la possibilità di “dare unposto” ai pensieri belli e a quelli menobelli, perfino al conflitto, alle incomprensioni,al sentire disattese le sueaspettative. Un posto alla sua storia…alla sua chiamata. Uno spazio importante,vitale che offre una precisaindicazione “metodologica” al nostrostile educativo: è importante lasciareche chi ci sta di fronte abbia la possibilitàdi esprimersi, di aspettare unarisposta che può arrivare solo dopoche ha finito di raccontare, di scrivere,senza da parte nostra siano anticipatecorrezioni e indicazioni. Aspettando.Solo così, lo spazio di un diario, di unalettera, di un ascolto diventa tempodella confidenza, in cui consegnare, incui accogliere.È questa la modalità che sembra piùadeguata per porci in ascolto del bisognoespresso da molti giovani di avereun “posto di vita”, uno stato, una situazione,in cui è possibile vivere, viverebene, secondo Dio: una vocazione.Questa si configura allora come lascoperta del proprio “spazio”, che vieneoccupato in modo personale, intenso,profondo. Perché è lo spazio che occupiamoin Dio, dentro al mistero dellavita, per assumerla pienamente. 1L’incontro è stato animato dalle partecipanti,tra cui la superiora provinciale suorMaria Fardin e tutte le sorelle del Consiglio e,per il Consiglio generale, suor Lucia Meschie suor Patrizia Cagnin. Ha avuto il suo fulcronella riflessione proposta da don GiuseppeToffanello, sacerdote della Diocesi di Padova,docente di teologia dogmatica, formatore, curatoredelle note sulla spiritualità mistica dellabeata Elisabetta Vendramini per la edizionecritica del suo Diario.Camminare accanto a qualcunoobbliga necessariamente a lasciarsiprovocare dalla strada che si sta percorrendo,dalla persona con cui si stannocondividendo questi passi, dalla suastoria, in ascolto attento, rispettoso delpunto in cui si trova, di quello da cui èpartita, dell’orizzonte che abbracceràdi tappa in tappa il suo andare.Accompagnare… educare… obiettiviformativi che possono portarci apensare e progettare tante iniziative,ma oggi sembra risuonare in modoincalzante l’invito ad accordare la prioritànon tanto al “fare”, quanto all’“essere”,al nostro essere state affascinateda Gesù. Per essere davvero madrie sorelle per quanti lungo la strada ciavvicinano. Con delicata attenzione.Attraverso la lettura di alcuni stralaccantoa... giovaniaprile/giugno 2011 27


accanto a...giovaniGIOVANI IN PREGHIERAUn sacrificio viventeIncontro con Gesù oggia cura di Barbara DanesistfeIl mistero pasquale,vissuto nella liturgia e incarnatonella vita degli uomini,è stato occasione di preghierae di riflessione perun gruppo di giovani.sapevo con chiarezza cosami avrebbe aspettato in«Nonquesti giorni; sapevo soloche avrei vissuto con altri giovani ilgrande mistero della passione, morte erisurrezione di Gesù. Ho avuto mododi sostare e pensare a quello che avreiascoltato durante le celebrazioni e questonon sempre in passato era stato possibile.In altre occasioni ho sperimentatoche le preoccupazioni della vita impedisconodi arrivare preparati al giorno diPasqua. Ora posso dire che è stato unmodo diverso di accompagnare Gesù,con più intensità, con una maggiore preparazionee consapevolezza. Mi hannocolpito molto le testimonianze ascoltate.Ho capito quanto sia importante ilservizio prestato dagli operatori, daisanitari, dai volontari, ai malati diAids, ai malati oncologici e alle personein disagio per uso di droghe e alcool. Enon solo per gli ammalati, ma per lorostessi che se ne prendono cura.Con gli ammalati si impara a confrontarsicon una realtà diversa che allostesso tempo arricchisce molto e va ascontrarsi con le debolezze che si portanodentro e che alla fine, per forza, devonoessere accettate, accogliendo quindi sestessi. Al termine di questi giorni posso28 aprile/giugno 2011dire di aver aggiunto un altro tasselloimportante che entrerà a far parte delleesperienze della mia vita».Questa semplice e breve testimonianzadi Nicoletta, una giovane partecipanteal triduo pasquale presso labasilica del Santo a Padova, focalizzal’attenzione su un aspetto che quest’annoè stato particolarmente forteall’interno dell’esperienza che i fraticonventuali e le suore elisabettine hannoproposto ad un gruppo di giovani.Il desiderio degli animatori eraquello di offrire un luogo e del tempoper scoprire il senso profondo deigiorni in cui si celebra il mistero piùgrande della nostra fede, attraverso labellezza della liturgia, la catechesi, lapreghiera e la vita insieme, in fraternità.Luoghi privilegiati per penetrareil mistero pasquale sono stati casa “S.Chiara” a Padova e la comunità “SanFrancesco” di Monselice, che il gruppoha visitato nelle mattine del venerdìe del sabato santi.L’incontro con gli operatori chequotidianamente si fanno prossimidegli ospiti, malati, soli, affaticati dalleesperienze dolorose della vita, hamostrato quanto sia difficile, sempre,avvicinarsi e toccare con mano “sorellamorte”. Tutto questo ha molto parlatoai giovani.L’incontro, a volte lo scontro, conla sofferenza e con la morte diconoche il mistero della Pasqua continuaa compiersi nella vita e nelle membradegli uomini e delle donne di oggi.Di questo abbiamo grandi resocontiogni giorno dai mezzi di comunicazione.Ma casa “S. Chiara” e la comunità“San Francesco” ci hanno mostratoanche altro, o meglio l’Altro.Ancora oggi a noi è possibile entrarein relazione con Gesù, mettere, percosì dire, la mano sulle ferite della suapassione, attraverso i sacramenti, neiquali egli si fa pane, cibo, misericordia,perdono, guarigione. Ma è possibileincontrare e riconoscere Gesùanche nei poveri, nei malati, nei fratelliche sono in difficoltà.I luoghi di carità che abbiamo visitatoci hanno mostrato che la speranzaè fonte di vita, la vita di ogni giorno, estrada per continuare a credere nellaRisurrezione.Dalle parole ascoltate è emersochiaramente che in questi luoghi lamorte non ha l’ultima parola, propriocome non l’ha avuta in quella mattinadi Pasqua quando le donne, andandoal sepolcro, trovarono la pietra d’ingressorotolata via e la tomba vuota.Ogni vita, nella fede, può esseresacrificio vivente, sacrificio di doloree sacrificio di dono, in attesa della Vitasenza fine.Riflessione a casa “Santa Chiara” - Padova, con la guida di suor Enrica Martello.


accanto a...giovaniNEL CUORE DELLA STRUTTURA SCOLASTICA “E. VENDRAMINI”Una finestra aperta per l’animaUno spazio privilegiatoa cura di Rosarita Saggioratostfeaccanto a... giovaniLa nuova cappella nella scuoladella “Comunità EducanteElisabetta Vendramini” (CEEV) aPordenone dice continuità con iprincipi che da sempre ne hannoispirato l'attività educativa.Venerdì 29 aprile 2011, alle ore18.00, a completamento dellafesta della beata ElisabettaVendramini, ha avuto luogo l’inaugurazionedella nuova cappella dell’Istituto“E. Vendramini” di Pordenone.L’inaugurazione ha avuto iniziocon vari interventi nell'auditoriumdella scuola, presenti autorità ecclesialie politiche, insegnanti, genitori,alunni, collaboratori e rappresentantidella famiglia elisabettina; ed anchecoloro che hanno contribuito alla realizzazionedella cappella.Il vescovo emerito, monsignorOvidio Poletto, che è stato protagonistadelle ultime sostanziali fasi, nel suodiscorso di apertura ha sottolineato ilsenso della scelta fatta.La bella chiesa precedente , che havisto negli anni raccolte in preghieramolte suore elisabettine e molte alunne,non era più adatta ad essere luogoper le celebrazioni liturgiche dellascuola, che da tempo hanno trovatola loro sede naturale nel vicinissimoduomo di “S. Marco”.La sua trasformazione adibendolaad altro uso, quale ultimo tassello dellaprofonda ristrutturazione di tuto lostabile, ha contribuito a renderlo piùcapiente e rispondere in modo piùsoddisfacente alle numerose richieste:oggi può accogliere circa 550 alunni.Ne è scaturita di conseguenza lascelta di ricavare lo spazio per unacappella, segno reale della presenzadel Signore Gesù: collocata al centrodell’Istituto, quale sorgente viva dibenedizione, cuore stesso della scuolae della sua attività educativa «per unavita riuscita e felice».Il nuovo vescovo di Concordia-Pordenone, monsignor Giuseppe Pellegrini,in questo suo primo incontroufficiale con la scuola in tutte le suecomponenti ha incoraggiato a proseguireil cammino educativo intrapreso,dando ciascuno il proprio apportosecondo i doni, i ruoli e le caratteristichepersonali.Una rappresentanza dei vari gruppiha potuto seguire in cappella labenedizione (nella foto).ALCUNE NOTE DI PRESENTAZIONEDAL PUNTO DI VISTAARCHITETTONICODue sono i motivi sottesi al progetto:il primo è rappresentato dall’esigenzadi far presente nella vita diogni giorno, sia all’interno dell’istitutoscolastico, sia all’esterno nella città, unluogo sacro, cuore pulsante dell’interoedificio, e presenza viva ed attuale diColui che è motivo d’essere dell’istitutostesso.II secondo è conseguente alle modalitàdi fruizione previste: oltre allameditazione e preghiera individuale,vi saranno celebrazioni alle quali assisterannopiccoli gruppi di studentie operatori.L’organizzazione dello spazio e lascelta dei materiali sono state pertantoimprontate ad un carattere “domestico”raccolto e sereno.Il fronte “interno” sul corridoioaprile/giugno 2011 29


accanto a...giovaniin corrispondenza della cappella, alsecondo piano, è caratterizzato da unrivestimento in legno chiaro, utile asegnalare la cappella stessa.Questo schermo, oltre ad una feritoiaper intravedere con discrezionel’interno della cappella, presenta duevarchi d’entrata alla stessa, non direttama mediata da piccoli spazi di transizione,pure dotati di simili feritoie,sorta di bussole di legno indispensabiliper distinguere in qualche modolo spazio sacro dalla concitazione delcontinuo passaggio nel corridoio e nelvano scale.Attorno all’altare-mensa centralepossono trovare posto sia il celebrante,sia i fedeli - su più livelli via via elevati,due gradoni concentrici con semplicisedute lignee - e la custodia eucaristica(nella foto accanto).Tutte le pareti sono rivestite in legnochiaro e, in quella finestrata, cortinein maglia d’ottone, utile a rifrangerel’eccessiva luminosità, a garantire lariservatezza della sala nei confrontidegli uffici municipali dirimpetto e,opportunamente illuminate dalle lampadeposte accanto al tabernacolo, acreare un bagliore luminoso visibiledalla strada col buio. La volta curvaaccentua poi la spazialità raccolta,quasi avvolgente, dell’ambiente.Maurilio Verardo, architetto30 aprile/giugno 2011LA COMUNITÀ EDUCANTEORA È PIÙ RICCANegli ottant’anni di vita dell'Istituto“E. Vendramini” non è mai mancatoun luogo distintivo dell’incontrocon il Signore, uno spazio privilegiatodi ricerca spirituale, in cui le diversecomponenti della Comunità Educantepotessero riflettere e pregare.Quello di oggi è una piccola cappellaal secondo piano, luogo in cuisarà facilmente possibile sostare apregare.Nella cappella prevale il calore dellegno e dell’oro; gli stalli, che ricordanoi cori monastici, guardano al centrodello spazio, verso la custodia dell’eucarestia,il leggio e l’altare. Il soffittoricurvo, abbraccio accogliente per chientra nella cappella, ha il suo centrofocale nello stilizzato e tridimensionalecrocifisso, verso cui tutto converge.È ora arricchita dalle icone dellaMadre di Dio della Tenerezza (nellafoto in basso) e del volto del Cristorisorto (la porta del tabernacolo). Nell’altaresono state ricollocate le reliquie,già presenti nell'altare di marmodella precedente cappella, e il cartigliodel 18 febbraio 1957 con il nome dellesuore presenti allora alla benedizione.Nell’occasione è stato posto questonuovo messaggio:«Anima dell’educazione, come dell’interavita, può essere solo una speranzaaffidabile». La sua sorgente è Cristorisuscitato da morte. Dalla fede in luinasce una grande speranza per l’uomo,per la sua vita, per la sua capacità diamare. In questo noi individuiamo ilcontributo specifico che dalla visionecristiana giunge all’educazione, perché«dall’essere ‘di’ Gesù deriva il profilo diun cristiano capace di offrire speranza,teso a dare un di più di umanità allastoria e pronto a mettere con umiltà sestesso e i propri progetti sotto il giudiziodi una verità e di una promessa chesupera ogni attesa umana» (da: Educarealla vita buona del Vangelo, Orientamentidell’Episcopato Italiano per ildecennio 2010-2020).Il messaggio è stato sottoscrittodal vescovo monsignor Giuseppe Pellegrini,dal vescovo emerito monsignorOvidio Poletto, dal presidentedella Comunità Educante Vendramini,monsignor Basilio Danelon, daldirettore don Aldo Biasi, dalla coordinatricedella scuola primaria suor LiaRagagnin e della preside della scuolasecondaria Alda Perale, con tutti idocenti e i collaboratori, gli alunni e leloro famiglie.Oggi la Comunità Educante è piùricca. Studenti, insegnanti e collaboratorihanno modo, più volte al giorno,percorrendo le scale e recandosi nellediverse aule, nei laboratori, in mensa,di percepire la presenza della cappellae, anzi, d’intravvedere realmente, macon discrezione, il suo interno.Nello spazio chiassoso e affollatodella scuola, la cappella rappresentauna finestra aperta per l’anima, a cui siaffaccia Dio con la sua Parola.Alda Perale e Anna Romanoaccanto a... giovani


vita elisabettinaPROFESSIONE PERPETUA IN ECUADORCon gli occhi fissi su Gesùa cura della RedazioneIl 30 gennaio 2011, nellachiesa parrocchiale“San Francisco di Assisi”di Tachina in Ecuador,suor Yetis Arce Cobeñaha pronunciato il suosì per sempre nella famigliaelisabettina nelle manidi suor Francesca Violato,come rappresentante dellaSuperiora generale edella famiglia elisabettina.Ha presieduto la celebrazionepadre JulioCangá, sacerdote diocesanooriginario di Tachina.Si sono strette in fraternapartecipazione attorno asuor Yetis tutte le sorelle dell'Ecuador,parenti e amici.Accogliamo con gioia lasua testimonianza.Pensando a tutto quelloche ho vissuto durantequesto tempo di preparazionealla consegna totale edefinitiva al Signore, possodire che la costante è statala ricerca.Ho percepito che ci sonodue maniere di interpretarela vita: una guardandola conocchi umani e l’altra tenen-do lo sguardo fisso in Dio.Con gli occhi umani vediamola precarietà di tutto,niente dura per sempre; anchela fiducia negli altri enelle loro promesse è soggettaa venir meno.Con lo sguardo fisso inDio, il credente si rendeconto che il Signore entranella sua vita, e noi ci radichiamoin lui come tralciuniti alla vite; lui sostiene lanostra fragilità con la suaalleanza eterna, la solitudinecon l'appartenenza ad unacomunità – ad una famigliareligiosa –, la superficialitàcon la visione del misteroe la capacità di credere allaParola: «Non voi avete sceltome, ma io ho scelto voi…Voi siete miei amici».Il sì per sempre, che hopronunciato il 30 gennaio2011 nel mio paese, è statoper me e per Tachina il segnoche Dio conferma coni fatti la sua promessa diamore eterno.Noi lo cerchiamo comela sposa del Cantico deiCantici che corre dietro all’amore.Tuttavia è il Signorestesso che ci viene incontro,che accende la fiammadell’innamoramento.Madre Elisabetta, coscientedi questa relazione,così si esprime: «Dio mio, tuinnamorato di me! Io amataperdutamente per te» (D1579).L’apostolo Paolo riconoscela debolezza, lafragilità dell’essere umano,quando dice: «Consideratela vostra chiamata, fratelli:non ci sono fra voi moltisapienti dal punto di vistaumano, né molti potenti, némolti nobili. Ma quello cheè stolto per il mondo, Diolo ha scelto per confonderei sapienti; quello che èdebole per il mondo, Dio loha scelto per confondere iforti; quello che è ignobilee disprezzato per il mondo,quello che è nulla, Dio lo hascelto per ridurre al nullale cose che sono» (1Cor1,27).In un tempo in cui nienteha durata, solo l’animamistica e profetica crede incolui che rimane, che nondorme né riposa per preservarcidal male; siamo suoiper sempre, siamo segnatisul palmo delle sue mani.Io voglio credere in questapromessa, perché Dioha sedotto la mia vita eecuadormi ha fatto sperimentare ilsuo amore in una manieraforte e bella, e per questovoglio essergli fedele oltrela morte.Grazie al Signore e allesorelle che hanno accompagnatoe sostenuto ilmio cammino fino a questomomento. Mi sono sentitapienamente abbracciatada loro, dai miei familiari eamici.Continuate a sostenermicon la vostra preghieraperché possa essere veramentefiglia di madre Elisabetta,in questa famiglia dalei voluta.vita elisabettinaDall’alto: ilmomento dellaprofessione e dellafirma dell’atto; lasolenne preghieradi consacrazionesu suor Yetis,presentazioneall'offertoriodell'immaginedella vergineMaria.aprile/giugno 2011 31


memoria e gratitudineItaliaALCUNE RISPOSTE A DOMANDE EMERGENTIComunità dal volto diversificatoA servizio di chi ricerca il senso della vitadi Annavittoria TomietstfeUn ultimo sguardoalle comunità fiorite in Pordenonenell’ultimo ventenniodel secolo scorso.La “Casa di accoglienza”(1980-1998)La “comunità di accoglienza”, la“Casa di accoglienza”, è stata nella famigliaelisbettina una comunità a serviziodell’orientamento vocazionale,dell’animazione vocazionale generale especifica.Operava nell’ambito della Provinciareligiosa a cui apparteneva giuridicamente;in collaborazione con la chiesalocale (diocesi e parrocchie) si proponevadi favorire lo sviluppo umanoe cristiano della persona, in vista diuna risposta libera e responsabile allapropria vocazione nella Chiesa, conparticolare attenzione alle vocazioni dispeciale consacrazione.Scorcio dello stabile di via PadreMarco di Aviano, che ospitò la “Casa diaccoglienza” dal 1980 al 1998.32 aprile/giugno 2011La “Casa di accoglienza” della Provinciareligiosa di Pordenone fu costituitain via padre Marco d’Aviano 5,in uno stabile di proprietà dell'Istituto,nella parrocchia “S. Marco”.Aperta ufficialmente il 7 novembre1980 con suor Elena Callegaro,superiora, e suor Anna Camera, fu alcompleto agli inizi del gennaio 1981.L’obiettivo specifico si sarebbeespresso con l’accoglienza gratuita egioiosa di ogni persona, per aiutarlaa cogliere il progetto di Dio su di leie con l’organizzazione di attività dianimazione vocazionale.L’ininterrotto succedersi di presenzediverse ha permesso un notevoleapporto alla pastorale giovanile vocazionalenella Provincia religiosa e indiocesi.Ma è il 15 settembre 1995 che la“Casa di accoglienza” di Pordenoneha una evoluzione significativa, conl’ingresso contemporaneo di quattrosuore che iniziarono una forma nuovadi vivere la fraternità: suor PiandreinaCarzeri, superiora, suor MauraFranceschetti, suor Amabile Prete, suorFrancesca Violato.L’esperienza ora è diversa: la “Casadi accoglienza” continua ad essere centrodi animazione vocazionale, affidataad una sola sorella, e si caratterizzacome comunità plurima che testimonial’ideale elisabettino nella condivisionedi diversi mandati affidati a ciascunasuora: insegnamento nella scuolamaterna “San Giorgio”, insegnamentonella scuola elementare, media e superioreall’Istituto “E. Vendramini”,nella scuola per infermieri professionali“Don Luigi Maran”, collaborazionenella Segreteria diocesana USMI,nell’Azione cattolica diocesana, nellaanimazione vocazionale diocesana,nell’animazione liturgica domenicalenella parrocchia “S. Marco”.14 settembre 1980: comunicazionefestosa dell’apertura della “Casa diaccoglienza” alle suore riunite per lafesta della fraternità provinciale.Le relazioni annuali sull’attivitàsvolta rivelano la “passione apostolica”che anima le sorelle della “Casa”.Nel 1998, dopo la celebrazione delCapitolo provinciale, il ridisegno dellaProvincia e le nuove prospettive dellafamiglia elisabettina portano ad unaulteriore definitiva evoluzione.Nel mese di agosto la superiora provinciale,suor Rosanella Rando, comunicaalla comunità gli orientamenti sulla“Casa di accoglienza”: nella prospettivadi un ripensamento delle modalità diattuazione della pastorale vocazionaleriferita a tutta la realtà italiana in vistadell’unificazione delle tre province, lacomunità sarebbe stata ritirata.Così, tra settembre e ottobre, suorLuciana Sattin, superiora, suor PaolaCover, suor Maura Franceschetti, suorAmabile Prete e suor Francesca Violatoconcludono l’esperienza di vita fraternae apostolica; arricchite di essa,sono chiamate a continuare altrovea seminare la gioia di appartenere alSignore.La casa è stata in seguito cedutain comodato per alcune attività dellaCaritas diocesana, fino al 2010.


“Casa della Beata Elisabetta”(1993-1998)È la denominazione di una casaabitazioneche il 17 settembre 1993accoglie una comunità strettamentecollegata alle presenze elisabettine nelCE.DI.S. e nella Caritas diocesana.Presenza elisabettina nelCentro DiocesanoSolidarietà (CE. DI.S.)Il CE.DI.S. è una libera associazionedi volontariato che ispira la suaattività ai valori evangelici della solidarietàe della condivisione secondola dottrina della Chiesa e il concettocristiano dell’amore. I destinatari cuisi rivolge l’attenzione del Centro provengonoda tutte le categorie sociali,accomunati dallo stesso desiderio diimpegnarsi per la propria liberazioneda disagi e dipendenze. Uno spazionotevole viene riservato al camminoterapeutico di recupero dei tossicodipendenti.La presenza delle suore alCE.DI.S. coincide con la suanascita (1983). Già nell’autunno1982 due suore partecipanoai primi gruppi nell’oratorio diBorgomeduna-Pordenone.L’occasione provvidenzialeche ha spinto l’Istituto ad entrarenel CE. DI.S. in modo piùcontinuativo è stata la celebrazionedel centenario della presenzaelisabettina in Pordenone(1885-1985).Le suore che vi si sono coinvolte,pur continuando a mantenerele loro mansioni nellacomunità di appartenenza, sonosuor Elisena Sellan e suor GiseldaPiccolotto.Il 5 febbraio 1992, il Direttoredel CE. DI.S., don GalianoLenardon, riferendosi alle duesuore scrive:«La Provvidenza ha dispostogradualmente un coinvolgimentosempre più intenso finoa renderle parte costitutiva delCE. DI.S., in particolare con i ragazzidel Cammino Terapeutico e con le lorofamiglie. Con il mese di maggio 1991sono entrate in pieno nella vita delCentro come colonne portanti di tuttol’aspetto educativo, garanti delle nuovelinee operative.La presenza delle suore è colta,sia dai soci del CE. DI.S., sia dallefamiglie e dai ragazzi, come puntodi riferimento per la loro crescita e“rifugio” di speranza, spazio sicurodove riferire tante pene e aprirsi allaconfidenza […].Con l’arrivo delle suore al Centro siè notato un crescendo nella sensibilitàreligiosa e nella pratica della preghiera.Si sono superati pesanti pregiudizimostrando il volto vero della ChiesaMadre, aperta all’amore» 1 .A don Galiano si aggiunge il direttoredella Caritas diocesana, monsignorGiovanni Bof:«… questa Caritas Diocesana sipermette di chiedere a codesta Congregazione,l’istituzione di una nuovaDa sinistra: suor Anna Camera. suor Lorenzina Borgato,suor Maria Ferro, suor Giselda Piccolotto, suor ElisenaSellan davanti alla “Casa della Beata Elisabetta” in via deiCappuccini 59.comunità, per il raggiungimento dellefinalità seguenti:1) assistenza spirituale, recupero ereinserimento sociale di persone emarginate,in particolare giovani tossicodipendenti,alcoolisti, detenuti, senzafamiglia e, in prospettiva, ammalatidi aids.2) promozione, animazione e coordinamentodelle iniziative promossedalla Caritas diocesana a favore di Caritasparrocchiali, volontariato femminile,extracomunitari e terzomondiali,sofferenti psichici, ecc.Quanto sopra, in stretta collaborazionecon i responsabili diocesani dinomina vescovile».La richiesta ebbe subito una positivarisposta. Pur non nascondendole difficoltà legate a nuove aperture,il Consiglio generale ritenne validi estimolanti i motivi a favore: sintoniacon il carisma elisabettino, segno coraggiosodi attenzione ai nuovi bisogniin campo educativo-assistenziale, possibilitàdi collaborazione più ampiacon la Caritas diocesana e ilvolontariato, risposta alla sensibilitàe all’attesa di parecchiesuore elisabettine.Costituzione della“Casa della BeataElisabetta”Il 27 aprile 1993 nella chiesadel Cristo, a Pordenone, durantela celebrazione eucaristicain onore della beata MadreElisabetta, viene ufficializzatal’apertura della nuova comunitàdi suore impegnate nel Cedise nella Caritas diocesana: ilnuovo direttore della Caritas,don Livio Corazza, consegnaalla superiora provinciale, suorRosanella Rando, le chiavi della“Casa della Beata Elisabetta”ed esprime la sua soddisfazioneper tale scelta.Il 17 settembre 1993, festadelle stimmate di san Francescoe giorno anniversario dellachiamata e missione di Elisa-memoria e gratitudineaprile/giugno 2011 33


memoria e gratitudinebetta Vendramini, in via dei Cappuccini59, in Pordenone, inizia la vita diuna nuova comunità.Essa è composta da cinque suoreche fin dall’inizio condividono la vitafraterna e la novità del mandato adessa affidato.Suor Giselda Piccolotto, superiora,continua l’impegno nella comunità terapeutica“S. Maria degli Angeli”, adAzzanello, come responsabile del Serviziotossicodipendenze del CE.DI.S.Cura i colloqui e la corrispondenzacon i detenuti e, ogni prima domenicadel mese, anima i ritiri spirituali pervolontari e ragazzi.Suor Maria Ferro e suor Elisena Sellanlavorano nella “Casa di Betlemme”in Comina, Centro di accoglienza e dipronto soccorso del CE.DI.S.; suor AnnaCamera nel Centro di ascolto dellaCaritas diocesana che si va sempre piùstrutturando; suor Lorenzina Borgato èa servizio della parrocchia “S. Francesco”come ministro straordinario dell’eucaristiae nella visita agli anziani delquartiere in cui la comunità ha sede.L’esperienza molto ricca e variegatache portava quotidianamente lesorelle dalla “Casa della Beata Elisabetta”ai luoghi del servizio raggiunticon modalità diverse, pur con le difficoltàdegli inizi, è andata crescendo inimpegno e passione; ma ebbe duratasolo quinquennale.Il 25 agosto 1998, all’indomani delcapitolo provinciale che aveva presoatto della necessità di un notevoleridimensionamento in vista di unripensamento globale delle presenzein Pordenone, la superiora Provincialesuor Rosanella Rando annunciò loscioglimento della comunità.L’esperienza di comunità, riccasotto tutti i punti di vista, si è conclusail 4 novembre 1998: suor GiseldaPiccolotto e suor Anna Camera hannocontinuato il servizio, rispettivamentenel Cedis, fino al 2002 e nella Caritasfino al 2007, mentre le altre sono statechiamate a vivere il loro impegno apostolicoin altre realtà.Il seme gettato ha sicuramenteportato frutto.Comunità “Chiara d‘Assisi”(1994-1998)L’ottavo centenario della nascita disanta Chiara (1194-1994) è occasionebuona per porre un segno che ricordil’evento: costituire una comunità conil nome della Santa, quale rispostaalle esigenze della stessa famiglia nelmomento presente.In una lettera alla superiora generale,suor Francapia Ceccotto, datata30 luglio 1994, la superiora provinciale,suor Rosanella Rando conil suo Consiglio, dopo un opportunodiscernimento, chiede di costituire inuno stabile di modeste proporzioni, diproprietà dell’Istituto, una comunitàformata di cinque-sei suore con servizidiversificati: educativo-scolasticoe pastorale; la comunità sarebbe statachiamata: “Chiara d’Assisi”.La richiesta, già fatta oggetto diriflessione, ebbe una risposta positivae subito si avviarono i passi necessari.Il 18 settembre 1994 è l’inizio ufficiale:composta da sei suore la comunitàvive il suo mandato nella parrocchia“S. Marco” attraverso l’insegnamentonella scuola superiore (suor CelidataLucietto, superiora), il coordinamentoe l’insegnamento nella scuola elementarea tempo prolungato (suor Lia Ragagnin),l’aiuto e il sostegno nella scuolaelementare nelle ore pomeridiane (suorPalmarosa Perin), l’insegnamento nellascuola elementare a tempo prolungato(suor Marisa Rossato), insegnamentodi religione nella scuola media e catechesiparrocchiale nella parrocchia diItalia“S. Francesco” (suor Annapia Sostero),cura generale della casa (suor LeonardinaZanovello).Nella verifica del luglio 1996, suorCelidata esprime riconoscenza al Signoreper quanto vissuto come comunità:«ha mostrato che egli camminacon noi nell’oggi della storia, se impariamoa guardarla con occhi di fede edi amore. Abbiamo percorso un trattodi strada insieme ed ora desideriamodire “grazie” a tutti coloro che ci sonostati accanto per rendere più agevole esereno il cammino…» 2 .Dopo quattro anni, nuovi ripensamenticirca la presenza nel territorioe studio dell’ipotesi di trasferimentonello stabile anche della comunitàdell’Istituto “E. Vendramini” hannoportato alla decisione di concluderel’esperienza, il 12 ottobre 1998.Anche se di breve durata, la comunità“Chiara d’Assisi” ha avuto,nella storia della famiglia elisabettina,il senso di una esperienza riproponibile,relativamente alla struttura e allasua composizione. Un piccolo segno,rispondente al bisogno del tempo.La casa, radicalmente ristrutturata(nella foto), dal 2003 ospita la comunità“E. Vendramini” uscita definitivamentedal grande stabile di via Beata ElisabettaVendramini, ora ceduto totalmentealla Comunità Educante ElisabettaVendramini.1Lettera di don Galiano Lenardon,AGEP, cartella “Casa della beata Elisabetta”.2AGEP, cartella comunità “Chiara d'Assisi”.memoria e gratitudine34 aprile/giugno 2011


ESULTA IL MIO CUORE NELLA TUA SALVEZZA nel ricordodi Sandrina Codebò stfesuor Rosacarla Manfènata a Caneva di Sacile (PN)il 28 maggio 1923morta a Pordenoneil 6 febbraio 2011zia, un servizio che la misea contatto con tante suoreche servì premurosamente.In questo lungo periodo suorRosacarla diede prova dellasua disponibilità e capacitàdi collaborare umilmentecome, qui di seguito, ne dàtestimonianza la comunità.Quando giunse nell’infermeriadi Pordenone la sua saluteaveva già dato segnalipreoccupanti, ma nulla facevapensare a tempi così brevi.Invece il Signore si è presocura di lei e l’ha sollevatadalla sofferenza chiamandolaa sé: era pronta.Così la ricorda la suacomunità.Le numerose elisabettinepresenti alla messa esequialeesprimono l’affettoche ci la legato a te, suorRosacarla, e dicono commozionee gratitudine perquello che sei stata nellevarie fasi della tua esistenzae per quello che continueraia essere dal cielo dove seigiunta in punta di piedi, sorprendendotutti.Noi ti pensiamo nell’abbracciodel tuo Signore chetu hai collocato sempre alprimo posto nel tuo cuore,nelle tue parole, nella tua vita.Vivendo con te abbiamoraccolto la testimonianza divita che quotidianamente cihai donato, ti abbiamo percepitonella tua “vocazione”profonda a stare con Dio,per fare della tua vita un donoe una benedizione.Eri puntualissima al coro,alla adorazione, alle celebrazioniliturgiche, all’ascoltodella Parola. E lungo il giornoti sorprendevamo spessooperosa ma raccolta, quasiin colloquio interiore.Alla scuola di madreElisabetta hai imparato einsegnato a spenderti nonsolo per le sorelle della comunità,ma anche per lesuore di tutta la provincia diPadova, prima, e dell’Italia,poi, disponibile e colma diattenzione verso tutti.Eri solerte e generosa,ti donavi con competenzaIl volto sereno e il tonodella voce misurato e gentilecon cui accoglieva lepersone sono stati, sempre,“il biglietto da visita” di suorRosacarla.Era nata a Caneva diSacile (PN) nel maggio del1923, in una famiglia moltounita nella quale preghierae lavoro erano presenti armoniosamente,una famigliache l’ha formata al donosilenzioso come fonte di serenitàvera.Da adolescente conseguìil diploma di taglio ecucito nella “scuola di lavoro”guidata dalle suoreelisabettine, dove poté ricevereun orientamento perla sua scelta a condividereil loro ideale di vita. Cosìnell’aprile del 1946 entrò nelpostulato e il 5 ottobre 1948fece la prima professionereligiosa.Fu subito avviata adesprimere e a condividere la“sua arte” con le giovani diVillafranca Padovana (PD),di Poiana Maggiore (VI) edel patronato “Domus Laetitiae”in Padova.Nel 1975 ebbe l’incaricodi prendersi cura del guardarobapresso l’Istituto “E. Vendramini”di Arcella - Padova;dal 1982 fino all’ottobre del2010, con una breve interruzionecondivise con unasuora l’impegno del guardarobadella Casa provincialiezelo, pronta a soddisfarele esigenze di quante siaffacciavano al grande laboratorio-sartoriadella casaprovincializia di Padova chehai gestito per lunghi annicon lun'altra sorella.Questo tuo stile nelservire ci ha insegnato ladiscrezione, la comprensionedel bisogno e la gioiadi dare. Tantissime suoreelisabettine ti ricordanocon stima e gratitudine e siuniscono al nostro grazie.Ora ti pensiamo nella gioiapiena, avendo incontratofaccia a faccia il Signore;siamo certe che ci attendimentre ci sorridi, gioiosacome sempre.Comunità della casaprovinciale - PadovaIl saluto a CanevaOggi suor Rosacarla ritornaa “casa”, nella sua amataCaneva. L’aveva visitata giovedìscorso, soffermandosidavanti alla casa natale esulle tombe dei suoi cari e dimolti conoscenti: un percorsosereno anche se carico dicommozione.Poi, improvvisa, sorellamorte è venuta nel giornodedicato alla vita quasi a sottolineareche suor Rosacarlanon è morta ma trasfiguratain una vita nuova.Suor Rosacarla è statacon noi, nell’infermeriadi Pordenone, solo dalloscorso ottobre. Un temposofferto che il Signore hareso breve rispondendo conpremura alla preghiera chelei faceva sempre più frequentemente:Vieni, SignoreGesù, vieni presto.Abbiamo avuto la graziadi accoglierla dopo una vitaspesa nel servizio caratterizzatoda attenzione e gentilezzae di curare la sua personasempre più sofferente.Oggi diciamo grazie alSignore per questa sorellabuona. Il nostro dolore siaconfortato dalla fede che cidice: la vita non è tolta matrasformata.suor Eliamaria Zanonsuor Edmonda Pajaronata a Voltabarozzo - Padovail 4 febbraio 1915morta a Taggì di Villafranca (PD)il 7 febbraio 2011Malvina Pajaro, suorEdmonda, era nata nellaperiferia sud di Padova nelfebbraio del 1915. Quandolasciò la famiglia, per farsireligiosa tra le suore elisabettine,aveva poco più didiciassette anni. Entrò nelpostulato di Casa Madre, inPadova, nel settembre del1932, qui iniziò il camminoformativo che l’avrebbeconfermata nella scelta divita e preparata alla primaprofessione che fece il 3aprile del 1935.Nei primi anni di vitareligiosa espresse le abilitàmanuali acquisite in famiglia:fu guardarobiera al collegioCarissimi “S. Giuseppe”a Roma, nell’ospedale“Giustinian” e nella casadi riposo “Santi Giovanni ePaolo” a Venezia.Nel 1947 la sua missioneebbe una svolta: trasferitanel preventorio “Raggiodi Sole” di Barbarano (VI),fu incaricata a sostenerei bambini ivi ospitati neicomnpiti pomeridiani. Lasua vicinanza fu instancabileanche se la sua saluteera piuttosto cagionevole.Tolta una parentesi di sostanel sanatorio “S. Giuseppe”di Zovon (PD) fu tra loro unapresenza educativa amorevolee significativa.Nel 1965 fu inviata aScaltenigo (VE) come superioradella comunità; seianni dopo, ancora come superiora,fu nel preventorioinfantile di Colperer (BL).Concluso il mandatoaprile/giugno 2011 35


ESULTA IL MIO CUORE NELLA TUA SALVEZZAoperò per cinque anni adAviano (PN) affiancando lesorelle della scuola maternapoi fu nuovamente superiora,a Prozzolo (VE) prima, epoi a Lavarone (TN).Quando nel 1988 l’etàavrebbe richiesto il riposo,suor Edmonda andò volentieria “dare una mano” allesorelle della comunità diLovadina (TV); lo fece condiscrezione e tatto. Furonoundici anni intensi: l’etàavanzata favoriva la confidenzadelle persone chelei sapeva serenamente esaggiamente ascoltare.Visitata dalla malattia,visse la sofferenza per ilritiro della comunità e fecel’esperienza del “riposo”,necessario ma non indolore,nella comunità “Regina Pacis”di Taggì di Villafranca.Nell’aprile del 2001si rese necessario per leil’ambiente protetto dell’infermeria:dieci anni semprepiù tribolati, ma vissuti conla consapevolezza dellepreziosità della “missione”da compiere: conformarsi aGesù sofferente per amore.Da tre giorni aveva compiuto96 anni quando il Signorevenne e la introdusse nellasua pace.suor Maura Franceschettinata a Castelgomberto (VI)il 6 luglio 1921morta a Pordenoneil 21 febbraio 2011Suor Maura Franceschetti,Emilia al fonte battesimale,era nata a Castelgomberto(VI) nel lugliodel 1921. La sua famiglia,profondamente cristiana,l’aveva educata alle virtù36 aprile/giugno 2011“feriali”: bontà, pazienza,laboriosità, fare tutto e sempreper amore del Signore,più con l’esempio che conla parola.Forte di questa educazionesuor Maura attesepaziente la fine della guerrae il ristabilirsi di una relativatranquillità in famiglia primadi soddisfare il desiderio difarsi suora. Nel settembredel 1945 entrò nel postulatoe il 3 maggio del 1948 fecela prima professione. Pochigiorni dopo partì per BadiaPolesine (RO) per esserel’addetta alla cucina nell’Istituto“D. Caenazzo”.Servire per amore delSignore, servire e accoglieresempre e tutti divenne lostile di suor Maura: così all’asiloinfantile di Torre, nellacasa di cura “Rodighiero” eall’Istituto “Camerini Rossi”in Padova, nella scuola maternadi Borgoricco (PD) edi Prozzolo (VE), nella casadi riposo e di salute mentaledi Oderzo (TV) dove, in diecianni di sapiente vicinanzaagli ospiti, divenne per moltidi essi una figura importante,una persona amica.La sua presenza a Oderzosi interruppe nel 1981 permalattia e fu trasferita a Pordenonenella comunità del“Vendramini” dove, nonostantela salute continuassead essere precaria, non fucapace di stare inoperosa.Per quattordici anni futestimone di servizio amorevolealle sorelle; poi, pertre anni, lo fu nella comunitàdella casa di Accoglienza divia padre Marco d’Aviano.Nel 1998, chiusa la comunità,fu accolta nella comunitàdi “S. Maria degliAngeli” sempre a Pordenone.Qui, serena come sempre,suor Maura continuò adare testimonianza di unavita consegnata al Signoree dedicata alle sorelle.Il suo “soggiorno” fubreve, neppure due anni,perché poi fu necessario iltrasferimento nell’infermeriaadiacente dove, per undicianni, fu una presenzavigile, orante, pacificante,grata sempre di tutto, atutti. Ha aspettato il “suo”Signore con la lampada accesa;come vergine saggiaha trovato la Porta della Vitaaperta.Chi le è stata vicino nelquotidiano la ricorda quale:sorella buona, più madreche sorella. La malattia hatentato più volte di piegarla,l'ha messa alla prova duramente,ne soffriva; le suespesso non erano parole,ma emozioni che sfociavanoin un pianto trattenuto, perriprendersi quasi subito, noncon allegria ma con serenaconsapevolezza che ancorapoteva tenere il “nemico”sotto controllo. Suor Mauraera capace di amare; ancheper l'amore non avevaparole, ma gesti, attenzioni,servizi; sapeva accogliere ilgrazie; a volte lo aspettavaun po' schiva, contenta diessere riconosciuta...E ancoraLa “sapientia cordis” disuor Maura si è espressa inlavori umili e nascosti svolticon cuore grande che larendeva punto di riferimentosereno per le personecon cui lavorava.Nel tempo lungo dellamalattia è stata la preghiera,intensa, fiduciosa, metodica,mai di “circostanza”, ilregalo che suor Maura hafatto ai fratelli e sorelle difede. Aveva in particolare“adottato” i missionari e pregavaper l’efficacia del loroapostolato sulle frontieredel mondo: lo può testimoniarepadre Luigi Malamocco,stimmatino, ripartito perle Filippine proprio il giornodel commiato terreno dasuor Maura. Un appuntamentonon mancato, mapiù vero ora dal cielo, dovesuor Maura continua la suamissione davanti a CristoRedentore.Walter Arzaretti, giornalistada “Il Popolo”nel ricordosuor Eliarita Campadellonata a Taggì di Sotto (PD)il 25 dicembre 1937morta a Padovail 3 marzo 2011Suor Eliarita, NatalinaCampadello, era nata nellaperiferia Nord di Padova ilgiorno di Natale del 1937quasi una “profezia”: lasua vita ha testimoniato,difatti, la capacità di “incarnarsi”con amore e dedizioneovunque è stata. L’8settembre del 1955, nonancora diciottenne, iniziòil suo cammino formativonel postulato delle suorefrancescane elisabettine inPadova e lo proseguì in noviziatofacendola pervenire,lieta e consapevole, allaprima professione religiosail 3 ottobre 1958.Per oltre trent’anni fueducatrice sia nella scuolaper l’infanzia, sia nellacatechesi rivolta a bambinie ad adolescenti inmolte parrocchie: Pontevigodarzere,Piazzola sulBrenta, Perarolo, NoventaVicentina. Per molti anniall’impegno pastorale inparrocchia seppe affiancarequello di superiora dellacomunità e di consiglieraprovinciale.Nel 1992 le fu chiesto dilasciare il familiare e amatoambiente parrocchialeper vivere a tempo pienoil compito di economaprovinciale a Padova. Lacordialità, l’attenzione allapersona, la passione pertutto quanto riguardava lafamiglia elisabettina le diederola possibilità di ampliareil “territorio” al qualerivolgersi.


ESULTA IL MIO CUORE NELLA TUA SALVEZZAPoi la malattia improvvisa…che avrebbe scoraggiatomolte e che invece fuin lei nuova occasione dimanifestare fortezza e fiduciache ebbero il risultatodi un buon miglioramentoe quindi le consentirono,terminato il compito economale,di riesprimersi nell’ambienteparrocchiale diBorgoricco.Poi la malattia si ripresentòaggressiva: nel maggiodel 2010 fu necessario ilpassaggio nell’infermeria diCasa Madre dove ha continuatoa testimoniare fiducianel Signore, attenzione aquanti l’avvicinavano fino algiorno del “compimento”, il3 marzo 2011.Del suo stile di servizioparlano eloquentemente ledue testimonianzeCarissima suor Eliarita,voglio esprimerti i sentimentiche vivo al ricordo dite e della tua presenza franoi e in Casa Provinciale.Soprattutto devo dirti “grazie”per quello che sei stataper me e per le sorelle dellaProvincia.Ti era stato chiesto unruolo non facile, che haiabbracciato con generositàlasciando la parrocchiadi Noventa Vicentina doveeri amata e stimata. Sì, laparrocchia e i bambini dellascuola materna erano statele tue grandi passioniapostoliche di cui parlavivolentieri. Un ricordo cherimaneva come una benedizione.Il servizio economale tirichiedeva altro, e tu l’haaffrontato con dedizione,ricercando suggerimenti,aiuti e collaborazione.Ti distinguevi per la capacitàdi accoglienza premurosaper ogni sorella cheveniva in Casa provinciale:il sorriso, la cordialità, iltratto gentile la facevanosentire in famiglia.Ora continua a ricordartidi noi, a intercedere perchéil Signore ci benedica anchecon nuove vocazioni,come il tuo cuore ha sempresperato.suor Pierelena MaurizioMi commuove il farememoria di suor Eliarita e,insieme, mi abita un sentimentodi gratitudine versoil Signore per avercela donatae verso di lei per comesi è consegnata. La fedeltàalla preghiera l’ha sostenutanel cammino, così la solidavocazione francescanaelisabettina che stimava, edentro la quale si è realizzata.Ho condiviso conlei per sei anni il serviziodi governo; come economaha accompagnato la vitadella Provincia di Padovacon passione, dedizione econ sincero amore, animatadal desiderio di vederlacrescere nello spirito dellabeata Elisabetta.Era dotata di buon sensoe aveva un suo modosicuro e fermo di vederee valutare le cose. Non lemancava uno spirito criticoche esprimeva con convinzionee senza intaccare irapporti fraterni.Certamente il servizio dieconoma non le era cosìcongeniale quanto la vitadi parrocchia cui però nonrinunciò pienamente; si ritagliòinfatti del tempo dadedicare alla pastorale dellaparrocchia di “Santa Sofia”in Padova insegnando ilcatechismo.È troppo riduttivo parlaredei sei anni trascorsinella comunità della Provinciae, per quanto hopotuto capire, laddoveha svolto un servizio nelleScuole dell’Infanzia enella pastorale - Noventa,Piazzola, Borgoricco - halasciato un segno della suafede schietta e profonda;della sua capacità di collaborarecon i fedeli laicinell’insegnamento e nellapastorale; ha mostrato unabella sensibilità umana cheesprimeva con l’attenzione,la vicinanza alle personedisagiate e /o ammalate.Fino alla fine, anchequando il male si era fattosentire in modo pesante,ha continuato a essere presente,attiva, sostenendo eincoraggiando le personenel loro servizio pastorale.Mi sembra importantesottolineare che le suoreche hanno condiviso con leila vita di comunità l’hannosentita sempre sorella premurosanei loro confronti ealtrettanto chiara nel manifestareeventuali comportamentiche non rivelavano lospirito evangelico, fraternoe di testimonianza tra il popolodi Dio.La sofferenza degli ultimitempi della sua vital’hanno trasformata e preparataall’incontro con ilPadre, che l’ha accolta nellasua pace per godere ineterno la sua visione. Lasua memoria resti tra noicome incoraggiamento allasequela del Maestro.suor Oraziana Cisilinosuor Evangelista Bonaldonata a Ramon di Loria (TV)l’8 ottobre 1927morta a Padovail 27 marzo 2011nel ricordoNon ancora ventennesuor Evangelista Bonaldoaveva già fatto la sua sceltadi vita: consacrarsi al Signoreper amare e servirecome lui aveva amato.Lasciò Ramon di Loria,dove era nata nell’autunnodel 1927, e raggiunse laCasa Madre delle suorefrancescane elisabettinenel cui postulato e noviziatofece il cammino di discernimentovocazionale.Fece la prima professionenell’ottobre 1949.Fu subito inviata nell’asiloinfantile di Morsanoal Tagliamento (PN) come“collaboratrice di comunità”il che significava avereun cuore attento ed aiutaresecondo i bisogni piùvari.Tre anni dopo le fu richiestodi farsi carico dellacucina dell’asilo di PoianaMaggiore (VI); dette provadi disponibilità e generosità.Anche se la salutela costrinse più volte alricovero nel sanatorio “S.Giuseppe” di Zovon diVo’, la sua disponibilità erasempre attiva: fu “collaboratricedi comunità” nellacomunità dell’ospedaledi Noventa Vicentina e diAsolo (TV).Nel 1968 accolse l’obbedienzadi servire gli ospitidell’OPSA di Sarmeoladi Rubano (PD): vi rimasegenerosamente e ininterrottamenteper ventinoveanni, animata dalla caritàche non conosce riposo,come voleva la beata ElisabettaVendramini.Nel 1997 il passaggio,non indolore, in Casa Madrenella comunità “SantaFamiglia” per il meritatoriposo. Per quattordici annifu la sua residenza nellaquale, fra alterne vicendedi salute, seppe spendersinel servire le sorelle dellacomunità, serena e fedelealla sua scelta di vita comeconferma la testimonianzadella sua comunità.Suor Evangelista, dopomolti anni di servizio offertocon amore di madre teneraed affettuosa ai fratelli“più piccoli” dell’OPSA, ormaibisognosa di riposo,nel 1997 è stata assegnataalla comunità “Santa Famiglia”.Non le fu difficile l’inserimento;si è sentita quasisubito “a casa” e, dimenticadelle sue precarie condi-aprile/giugno 2011 37


ESULTA IL MIO CUORE NELLA TUA SALVEZZA nel ricordozioni fisiche, ritenendo chein comunità molte sorellefossero più bisognose dilei, ci donò con instancabilediligenza e dedizione ilsuo fraterno servizio.Il cucinino era il suo regno:là esigeva che tuttofosse in ordine, là preparavacon cura meticolosa le verdureper il pranzo, predisponevai cibi che arrivavanodalla mensa della “Serenissima”.Si preoccupava chele sorelle trovassero tutto apuntino e di loro gusto.Era una persona dicompagnia, esigente conse stessa, ma delicatacon le sorelle. Amava lacomunità ed era semprepresente a tutti gli atti comuni;mai oziosa: riempivail tempo della ricreazionedella sera sferruzzando perpreparare sciarpe ed altroper i “suoi bambini”.Ci edificava il suo amorealla preghiera: sempresollecita alla mattina perla celebrazione delle lodi edella messa; fedele e puntualealle ore di adorazionea lei affidate.Amava teneramente laMadonna e commovevaquando, prima di entrarein Chiesa, rivolta alla statuadell’Immacolata del giardino,sostava per qualcheminuto di preghiera.Fu per tutte una dolorosasorpresa quando, quelmartedì, fu portata al ProntoSoccorso perché il suo respirosi era fatto affannoso.Non ritornò più! Serenamentesi preparò all’incontrocon il suo Signore:aveva infatti percepito chene era giunto il momento!Ogni nostra visita era occasionedi saluto, di richiestadi perdono, di fraternità.Grazie, suor Evangelista,per quanto ci hai donatocon il tuo sacrificio!Le tue consorelle dellacomunità Santa Famiglia,pregano per te e si affidanoalla tua intercessione pressoil Signore.38 aprile/giugno 2011suor Fortunilda Ipaninata a Pianiga (VE)il 24 gennaio 1928morta a Padovail 9 aprile 2011Suor Fortunilda, ToscaIpani, nata a Pianiga (VE)nel gennaio del 1928, iniziòa confrontarsi con il carismadella famiglia elisabettinaquand’era giovanissimafrequentando la parrocchiadove le suore operavanonella scuola materna e nellapastorale parrocchiale.Nell’agosto del 1945,non ancora diciottenne, iniziòl’itinerario formativo, interrottoper malattia, completatosuccessivamentecosì che il 2 maggio 1951fece la prima professione.Le fu chiesto di accederealla scuola per infermieriprofessionali all’ospedalemaggiore di Trieste dove,una volta diplomata, fecela sua prima esperienza siadi assistenza diretta all’ammalatosia di conduzionedi un reparto in qualità dicaposala.Nell’autunno del 1960fu trasferita a Pordenonein qualità di didattica nellascuola per infermieri professionali“Don Luigi Maran”appena avviata. Dall’autunnodel 1963 operòa Venezia - ospedale “Giustinian”e poi a Napoli nellaclinica oculistica.Nel 1969 tornò al “Maran”di Pordenone in qualitàdi direttrice della scuolaconvitto per infermiere. Inquel periodo fu anche consiglieraprovinciale per untriennio.Dopo una parentesi aRoma (1976-1979) comesuperiora, ritornò a Triestee vi rimase fino al 1994, comesuperiora della comunitàinserita nella parrocchiadi San Giacomo.Fu una esperienza intensain cui suor Fortunildadiede prova della suacapacità di coinvolgimentoin tutte le molteplici attivitàpastorali di quella parrocchiacittadina con particolareattenzione all’animazionee all’assistenza dellenumerose persone anzianeivi residenti.Poi per quatto anni fudirettrice della casa di riposodi San Vito al Tagliamento(PN) e per tre superioradella comunità S. Maria degliAngeli di Pordenone.Tornata a Trieste nel2001 riallacciò con entusiasmoattività e conoscenzenella parrocchia di “SanGiacomo”: l’esperienza siconcluse nel 2006 con ilritiro della comunità.Per un breve periodo,insidiato da una salute cagionevoleche le chiese ripetuteospitalità nell’infermeriadi Casa Madre, suorFortunilda fu a Firenze nellacasa di riposo “E. Vendramini”a servizio delle signoreanziane.L'ultimo tratto di stradanel passaggio dall’infermeriaalla comunità di Salò(BS), nella speranza che lecure e il clima favorevolele fossero di giovamento,il cammino fu sempre piùin salita: nonostante la suatenace volontà, dovette arrendersiall’avanzare dellamalattia, ritornare in unastruttura protetta, a Casa“Santa Chiara” dove hacompletato nella sofferenzal’offerta di sé. Nel giornonatale di madre Elisabettanacque alla Vita.Una testimonianza dalla“sua” Trieste:Alcune settimane orsono ci siamo stretti attornosuor Fortunilda che halasciato questo camminoterreno per, ne siamo certi,beneficiare in eterno dellapace del Risorto. Ricordiamoalcuni momenti dellasua vita trascorsi nella nostracomunità parrocchialedi “S. Giacomo” e vogliamodar voce alla sua presenzatra noi dicendo: «Grazie peril sorriso che ci ha distribuitoe che illuminandoleil volto non poteva chetrasmettere tanta serenitàe infondere speranza e coraggio.Ci ha fatto capirecon esso e con le parole,dolci ma decise, il modomigliore con cui affrontarele difficoltà e vivere e gustarequanto ci veniva donatodi bello quotidianamente.Nel nostro vivace, caoticoe problematico rione di“San Giacomo” la sua figuraera divenuta parte integrante:a scuola, a catechismo,nel gruppo-famiglie,tra gli anziani e, sfidandoogni logica cautela, si confrontavae avvicinava queigiovani che forse avevanogià perso l’orientamentodella loro vita.E ancora grazie da tantemamme che hanno avuto lafortuna di vedere i loro figlicrescere sotto la sua guidaamorosamente severa.Grati al Signore del donodella sua presenza tranoi, renderemo concretoil nostro grazie cercandodi vivere sull’esempio diquanto suor Fortunilda ciha largamente trasmesso».Alec Grizonper la comunitàparrocchiale di S. Giacomoapostolo - Trieste... e dalla comunità diSalò (BS)Un cammino breve maintenso quello fatto vicino asuor Fortunilda.Quando ci fu chiestodi accoglierla, per portarlafuori dall’infermeria per unperiodo, avevamo da pocoricevuto la circolare perl’Avvento 2009. Eravamostate provocate positivamentedalla espressione:«... l’Avvento rende possibi-


ESULTA IL MIO CUORE NELLA TUA SALVEZZA nel ricordole, ogni anno, una aperturaprogressiva alla presenzadi Gesù in noi». Ci trovavamoquindi nell’occasione dirispondere concretamenteagli interrogativi della lettera:«Chi è il Gesù che vieneper fermarsi a casa mia?Come fargli spazio?».Così abbiamo rispostocon cuore fraterno, modificandol’organizzazione comunitariae creando spazisecondo le necessità dellasorella che, da subito, hadesiderato inserirsi costruttivamentetra noi con piccoliservizi rispondenti allesue reali possibilità comead esempio redigere i verbalidegli incontri comunitariche compilava con moltaprecisione. Partecipava congioia alle varie iniziative comunitariee alle celebrazioniliturgiche.Ci lascia il ricordo diuna persona semplice, rispettosadegli altri, accoglientecon gli amici dellacomunità, che presto sonodivenuti anche suoi amici edai quali riceveva segni dibenevolenza e attenzioni,come l’aiuto nel trasportoper eseguire visite e prestazioninegli ospedali dellazona.Con il passare dei mesila malattia si è aggravataprocurandole fortissimidolori che sopportava concoraggio ed in silenzio, rifiutandoi sedativi per il timoreche le togliessero lalucidità mentale. Quando lefu proposto il ricovero all’ospedaledi Brescia, preferìritornare nell’infermeriadi Casa Madre.Con i suoi tredici mesidi permanenza tra noi suorFortunilda ci ha permessodi renderci conto di esserecresciute in umanitàe sensibilità nel portare lasofferenza e i disagi di unasorella ammalata; ci ha permessodi condividere, contante altre famiglie, situazionidi sofferenza e i problemilegati alla presenzain casa di persone malateo anziane. Nella vicinanzaa lei non solo le abbiamodonato la nostra dedizionema abbiamo ricevuto il suoesempio di fortezza e di pazienzanella sopportazionedella sofferenza ed il suospirito di preghiera in unvero scambio di comunionefraterna.Desideriamo esprimereun grande grazie alle sorelledell’infermeria di Casa Madree a quelle di Casa “S.Chiara” per le cure e l’assistenzaamorosa con cuihanno accompagnato suorFortunilda nella sua salita al“calvario” e, per la modalitàfamiliare con cui hanno saputocoinvolgere anche noidandoci informazioni, sollecitandola nostra presenzaperché potessimo esserlevicine fino alla fine. Conl’esperienza fatta possiamoaffermare, come suggerivala superiora provinciale,suor Maria Fardin, che Gesùè venuto in casa nostra.suor Ginangela Paccagnellasuor Florianina Bedinnata a Barbarano Vicentino (VI)il 5 febbraio 1923morta a Taggì di Villafranca (PD)il 10 aprile 2011Suor Florianina, MariaBedin, nacque in una famigliaradicata nel mondoagricolo del Basso Vicentinoche si caratterizzavaper espressioni di religiositàche foggiavano, nell’ambientefamiliare, tuttoil vissuto delle persone. Lascelta della vita di consacrazione,sulle orme dellabeata Elisabetta Vendraminiconosciuta attraversola vita e missione dellesuore elisabettine presentinel territorio, fu quasi unanaturale maturazione dellavita di preghiera e di servizioappresa e vissuta infamiglia.Nata nel febbraio del1923, lasciò Barbarano Vicentinonon ancora ventenne;nel postulato e nel noviziatodi Padova approfondìe confermò le motivazionidella scelta di vita così nelmaggio del 1945 fece laprima professione.Fu subito inviata a Pianiga(VE) come “collaboratricedi comunità” il chesignificava: avere cuoreattento e mano pronta adaiutare secondo i bisognipiù vari. Occorreva disponibilità,attenzione, capacitàdi apprezzare la vita nonper le “cose” che si fanno,ma per le motivazioni chepossiamo mettere in atto esuor Florianina fu capacedi essere così non solo neidieci anni vissuti a Pianiga,ma anche nei nove di Maiero(FE) e nei diciassettepassati a servire gli ospitidell’OPSA di Sarmeola diRubano (PD).Suor Florianina appartenevaalla “famiglia deisemplici” e ciò le davasapienza, così quando lafamiglia elisabettina iniziòl’esperienza di Odolo (BS)lei fu quasi immediatamentescelta come superiorariconoscendole la capacitàdi serena mediazione nelcomporre le varie attivitàdella comunità. Furono noveanni intensi.Successivamente operòper otto anni a Cocconato(AT) con la veste usuale di“collaboratrice di comunità”.Nel 2000 concluse, peretà e salute, la sua presenzaattiva e fu diversamente“missionaria” prima nellacomunità “S. Giuseppe”di Casotto (VI), poi nell’infermeriadi Casa Madre einfine in quella di Taggì diVillafranca (PD), nove annicaratterizzati, ancora unavolta da silenzio, preghierae offerta in serena attesadi colui che fu sempre laragione della sua vita. Il nostro ricordo affettuosoe riconoscenteva anche a suor DamianaMartin, suor VirginildaGazzola e suor CelinaMarcon, che ci hanno lasciatoin questo ultimotempo.Di loro daremo testimonianzanel prossimonumero.Ricordiamo nella preghierae con fraterna partecipazioneil papà disuor Elena Callegarosuor Esther WairimuMwangila sorella disuor Gilbertina Bofsuor Adantonia Cherubinsuor Lambertina Maggiolosuor Assunta Massignansuor Terenziana Pasquatosuor Giuliangela Pividoriil fratello disuor Rita Andrewsuor Piapatrizia Battagliasuor Fiorenza Candeosuor Bertilla Erenosuor Aloisia Gabaldosuor Luisamabile esuor Celidata Luciettosuor Lisetta Pintonsuor Dominga Poletto.


Suore Terziarie Francescane ElisabettineESTATE GIOVANI“SUI PASSI” DI FRANCESCOTRA ASSISI E LA VALLE SANTA REATINAUn cammino a piediin traccia del “segreto”della vita bella di Francesco d’Assisi,in fraternità,condividendo il pane e la Parola,godendo della bellezza del creato.Per giovani (18-32 anni)30 luglio – 6 agosto 2011ESPERIENZE DI SPIRITUALITÀad ASSISInella terra di Francescotra fraternità, riflessioni e visiteIn collaborazione con i frati minoriconventuali del Sacro Convento di AssisiPer adolescenti (14-17 anni)11-16 luglio 201125-30 luglio 2011Per informazioni:suor Emiliana Norbiato o suor Lina Lagoassisi@elisabettine.it - tel. 075.816057- Iscrizioni entro il 20 luglio 2011Fa’ spazioall’altro! A l’alSE QUALCUNOVUOL VENIRE DIETRO A MEUn tempo per condividere la propria vitacon chi soffre disabilitàVolontariato all’Opera dellaProvvidenza S. Antonio – Rubano (PD)per giovani (18-32 anni)28 agosto – 3 settembre 2011… E TU… VUOI PASSARE OLTRE?Un tempo per imparare a far fiorire ildono della propria vita vicino a chi èmeno fortunatoVolontariato all’Opera dellaProvvidenza S. Antonio – Rubano (PD)per ragazze (17-18 anni)7-23 luglio 2011Per informazioni:suor Paola Bazzottivolontari@operadellaprovvidenza.itcell. 340 755 9467CASA S. SOFIALe suore della comunità sono disponibilinelle prime due settimane di agostoad accogliere giovani impossibilitati apartecipare alla proposta di volontariatosopra indicata.Informazioni: santa.sofia@elisabettine.it.049/655216www.elisabettine.info

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!