Sugli scaffali della Biblioteca RivettiChi non molla il boiaAHuntsville, nel Texas, davantiall’ala della prigione dovestanno i condannati a morte,le autorità hanno appeso un cartellocon la scritta: “Le cinture <strong>di</strong> sicurezzasalvano vite umane: allacciatele!” Ironiainvolontaria, la più tragica. Eppurein quella citta<strong>di</strong>na del Texas ci sono35 mila abitanti, 12 mila carcerati e445 in attesa dell’esecuzione. Ognisettimana c’è lavoro per il boia, i giornalilocali non danno più neppure lanotizia. Dicono che gli americani abbianorecentemente avuto qualchedubbio sull’efficacia della pena <strong>di</strong>morte, ma non perché si siano ricreduti,solo perché, secondo i conti delFBI, un’esecuzione capitale viene acostare <strong>di</strong> più <strong>di</strong> una condanna all’ergastolo.E in Arabia Sau<strong>di</strong>ta, dove ogni venerdìle decapitazioni sulla pubblica piazza<strong>di</strong>ventano occasione <strong>di</strong> spettacolo?E in Cina, dove le condanne a mortesono centinaia ogni mese? Anche là lanotizia non fa più… notizia, a menoche il condannato non sia - com’è avvenutoa settembre, il vicepresidentedel Parlamento, messo a morte perchéaccusato <strong>di</strong> aver preso tangenti…La pena <strong>di</strong> morte è assai più ra<strong>di</strong>cata<strong>di</strong> quanto non appaia dall’estemporaneain<strong>di</strong>gnazione dell’opinione pubblicaeuropea. Eppure non è stato agevoletrovare articoli o riflessioni sugliscaffali della Biblioteca Rivetti. Pensavamo<strong>di</strong> trovare qualche me<strong>di</strong>tatariflessione sulle riviste <strong>di</strong> morale o <strong>di</strong>pastorale, <strong>di</strong> attualità o <strong>di</strong> cultura. Einvece, poco ci è capitato tra le mani.Neppure La Civiltà Cattolica, cosìpro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong> osservazione su quasi tutto,ha pensato <strong>di</strong> affrontare l’argomento.Una ragione, forse, la si può trovarenella storia e nella dottrina. La storia<strong>di</strong>ce che la Chiesa ha fatto abbondanteuso della pena capitale. E la dottrinanon ha ancora preso del tutto le <strong>di</strong>stanzeda questo passato. Anche il recenteCatechismo della Chiesa Cattolica<strong>di</strong>ce che “<strong>di</strong>fendere il bene comunedella società esige che si pongal’aggressore in stato <strong>di</strong> non nuocere” equesto non solo giustifica la legittima<strong>di</strong>fesa, ma anche riconosce il “fondato<strong>di</strong>ritto” della “pubblica autorità” <strong>di</strong>“infliggere pene proporzionate allagravità del delitto, senza escludere, incasi <strong>di</strong> estrema gravità, la pena <strong>di</strong> morte”(2266).Va però detto subito che Papa GiovanniPaolo II ha chiesto, ormai da lungotempo e con grande insistenza, l’abolizionedella pena <strong>di</strong> morte. Tutte lemotivazioni, tutti i passaggi e le molteragioni che hanno portato la Chiesa arifiutare, oggi, il ricorso alla pena <strong>di</strong>morte sono l’argomento dell’e<strong>di</strong>toriale<strong>di</strong> padre Bartolomeo Sorge suAggiornamenti sociali del marzo1999. È vero - <strong>di</strong>ce Sorge - che tutto ilmagistero della Chiesa va ormai versoil “superamento” delle ragioni classichecon le quali la tra<strong>di</strong>zione giustificavail ricorso, in casi estremi, allapena capitale. Manca solo il passo definitivo:escludere in assoluto, anchein linea <strong>di</strong> principio, la pena <strong>di</strong> morte.E questo passo, sembra <strong>di</strong>re il celebregesuita, presto verrà.Semplice, lineare, utilissimaper la riflessione è la contrapposizioneche Dimensioni nuoveoffriva ai suoi giovani lettorinel numero agosto-settembredel 1994. “Se vale, etutti lo ammettono, il <strong>di</strong>ritto<strong>di</strong> legittima <strong>di</strong>fesa per il singolo,perché non deve valere perla comunità?” “Una pena crudelecome la pena <strong>di</strong> morte èin conflitto insanabile con ilconcetto stesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto umano”.Chi ha ragione: chi ammettela pena capitale in casiestremi, o chi la ritiene comunqueun assassinio, perchénessun delitto può essere punitocon un altro delitto? Conchi si schiera, alla fine, la rivistadei Salesiani, non c’è dubbio:basta leggere in più recentenumero <strong>di</strong> agosto-settembredel ’99: “Facciamo nostral’iniziativa della Comunità<strong>di</strong> Sant’Egi<strong>di</strong>o per una moratoriamon<strong>di</strong>ale della pena <strong>di</strong>morte entro il 2000”, <strong>di</strong>ceva“Dimensioni nuove” rilanciandoun’intervista alla suoraElena Prejean, autrice del celebre“Dead man walking”.Com’è andata con quella iniziativa celo racconta Il Delfino, la rivista delCeis <strong>di</strong> don Mario Picchi, nel numero<strong>di</strong> marzo-aprile del 2000: la <strong>di</strong>plomaziaitaliana ha fatto un buco nell’acqua,l’Onu si è pilatescamente astenutae così “continueremo ad uccidereper <strong>di</strong>mostrare che è sbagliato uccidere”.Un problema <strong>di</strong> giustizia? Sì, anche seper i cristiani la prospettiva dovrebbeessere <strong>di</strong>versa da quella <strong>di</strong> tutti gli altri.Su Evangelizzare viene offerta unalunga riflessione sui rapporti tra lagiustizia così come la pensa e la sa amministrarel’uomo e la giustizia <strong>di</strong> DioPadre. Era il marzo del 1994: Tangentopoli,Mani pulite, i Pool dei pmd’assalto, il giustizialismo a pienemai… ricordate? Ecco, la giustizia -oggi come allora - meriterebbe qualchemomento <strong>di</strong> riflessione in più. Maci mette sempre lo zampino la propagandapolitica… Pare sia così anchequando si parla <strong>di</strong> pena <strong>di</strong> morte. Eper timore <strong>di</strong> perdere le elezioni, il politiconon molla il boia.Clau<strong>di</strong>o BaroniSalvador Dalì, Crocifissione(“Corpus hipercubus”) 1954 , New York.12 L’Angelo - Novembre a. D. 2000
Invito alla letturaNeve in agosto“Quando Einstein, alla domanda delpassaporto, risponde ‘razza umana’,non ignora le <strong>di</strong>fferenze, le omette in unorizzonte più ampio, che le include e lesupera. È questo il paesaggio che si deveaprire: sia a chi fa della <strong>di</strong>fferenza una <strong>di</strong>scriminazione,sia a chi, per evitare una<strong>di</strong>scriminazione, nega la <strong>di</strong>fferenza”.Parole sufficienti, credo, percomprendere quanto sia inadeguatoil termine tolleranza chesiamo abituati ad usare con facile superficialitàquando avviene <strong>di</strong> parlare<strong>di</strong> chi riteniamo “<strong>di</strong>verso”. Forse èdavvero tempo <strong>di</strong> abituarci a pensareall’altro solo in termini <strong>di</strong> rispetto: perciascuna persona, per il suo portatoculturale, per il suo modo <strong>di</strong> essere comunque“persona”. La <strong>di</strong>fferenza, chesiamo invitati a riconoscere, quin<strong>di</strong> avalorizzare, può manifestarsi in moltepliciaspetti rispetto a ciò che noisiamo: proprio sulla base <strong>di</strong> questo filoconduttore sono stati scelti i libri proposti.Non è necessario leggere saggiponderosi se veramente si vuole capire.Un bel romanzo può essere il compagno<strong>di</strong> qualche ora de<strong>di</strong>cata a noistessi, ma può anche aiutare a riflettere,può suggerire una prospettiva nuovada cui guardare alle cose, agli eventi,alle persone che ci vivono accanto.Senza per questo essere, necessariamente,noioso o troppo impegnativo.Così, proviamo a vedere da unpunto <strong>di</strong> vista decisamente insolitoun evento che ha segnatoi tempi moderni con una ferita mairimarginata. Che cosa <strong>di</strong> nuovo si puòscrivere, o leggere, sulla shoà? verrebbeda chiedersi. Pren<strong>di</strong>amo in manoEssere senza destino (Feltrinelli, L.30.000): “Non esiste assur<strong>di</strong>tà che nonpossa essere vissuta con naturalezza esul mio cammino, lo so fin d’ora, la felicitàmi aspetta come una trappolainevitabile. Perché persino là, accantoai camini, nell’intervallo tra i tormentic’era qualcosa che assomigliava allafelicità. Tutti mi chiedono sempre deimali, degli ‘orrori’: sebbene per me,forse proprio questa sia l’esperienzapiù memorabile. Sì, è <strong>di</strong> questo, dellafelicità dei campi <strong>di</strong> concentramentoche dovrei parlare loro, la prossimavolta che me lo chiederanno”. ImreKertèsz, nato a Budapest nel 1929, èstato deportato ad Auschwitz nel 1944e liberato a Buchenwald nel 1945.Uomo <strong>di</strong> cultura, traduttore, scrittore,ha dovuto attendere il crollo del Muroper vedere riconosciuta la sua opera,in patria e all’estero. Nel romanzo, attraversole vicende <strong>di</strong> Gyurka, un ragazzodalla prorompente voglia <strong>di</strong> crescere,<strong>di</strong> vedere e imparare, egli ripercorrela sua stessa esperienza, in unodei libri più intensi sul mondo concentrazionario.L’uomo è presentato “conl’ironia che può avere solo chi è scampato,il <strong>di</strong>sincanto <strong>di</strong> chi non si appoggiaa risposte precostituite e la saggezzache nasce da un profondo amoreper la vita”. Da qui il fascino e la forzadel libro.Nella luce surreale <strong>di</strong> un mattinod’inverno del 1946, sottouna violenta bufera <strong>di</strong> neveche investe i casermoni popolari <strong>di</strong>Brooklyn, Michael Devlin, irlandese<strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci anni, incontra per una impreve<strong>di</strong>bileserie <strong>di</strong> circostanze un rabbino<strong>di</strong> Praga. Le iniziali titubanze e lepaure motivate dalla violenza e daipregiu<strong>di</strong>zi a lui esterni, non impe<strong>di</strong>sconoal ragazzino cattolico <strong>di</strong> riconoscerenell’ebreo le qualità che ne farannoin poco tempo il suo miglioreamico. Entrambi esuli, sia pure inmodo <strong>di</strong>verso, segnati entrambi dall’atrocitàdella guerra, desiderosi <strong>di</strong>sentire l’America come una nuova patriaaccogliente, devono sperimentareancora una volta l’o<strong>di</strong>o, l’ignoranza, ilpregiu<strong>di</strong>zio. In Neve in agosto (Salani,L. 24.000), destreggiandosi in perfettoequilibrio sul filo che separa fantasia erealtà, Pete Hamill racconta la storia<strong>di</strong> una amicizia ricca e delicata, evocandocon forza l’intensità delle gioie,dei dolori e dei misteri della giovinezza,e lo straor<strong>di</strong>nario potere delle parole.La forza dell’immaginazione, ladenuncia delle assurde barriere cheimpe<strong>di</strong>scono agli uomini <strong>di</strong> conoscersi,<strong>di</strong> crescere insieme e <strong>di</strong> arricchirsi avicenda sono lo sfondo <strong>di</strong> una tramasu cui dovrà cadere la neve d’agosto(immaginazione, magia, miracolo?)per fermare la spirale <strong>di</strong> intolleranza e<strong>di</strong> violenza, che rischia <strong>di</strong> ucciderel’amicizia, i sogni, la vita stessa deiprotagonisti. Perché le parole, da sole,a volte non bastano. È il caso qui <strong>di</strong> ricordare,ad esempio, che la Giornatagiubilare <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo ebrei-cristiani fissataper il 3 ottobre è stata rimandataa data da destinarsi?Di “<strong>di</strong>versità” (sia pure d’altrogenere), e ancora <strong>di</strong> incomprensionee pregiu<strong>di</strong>zio, siparla anche in altri due libri che vale lapena <strong>di</strong> segnalare. La notte della cometa<strong>di</strong> Sebastiano Vassalli (Einau<strong>di</strong> Tascabili,L. 14.000) è un romanzo-veritàsulla vita e la morte del poeta DinoCampana (1885 - 1932) scritto in quattor<strong>di</strong>cianni <strong>di</strong> ricerche e passione daun autore dei nostri giorni che ama leimprese <strong>di</strong>fficili. Tema dominante è ilcontrasto ra<strong>di</strong>cale tra Campana e lacultura della sua epoca, e la “demenza”con cui fu marchiato fino al confino,prima saltuario, poi definitivo inmanicomio. Poco importa seguire lacritica negli astrusi conteggi sulla effettivagrandezza <strong>di</strong> questo poeta;poco importa stabilire se la sua operasia stata sopravvalutata da Vassalli,che ne ha curato amorosamente labiografia. Conta scoprire l’emarginazione,la sofferenza inflitta, e patitasenza poter uscire dalle ottusità soffocantidelle “voci” <strong>di</strong> paese e dallaspirale <strong>di</strong> un sistema legislativo che,nei documenti ufficiali <strong>di</strong> ricovero,alla <strong>di</strong>citura cause fisiche e morali dellapazzia, accettava la risposta: de<strong>di</strong>to alcaffè del quale è avi<strong>di</strong>ssimo e ne fa unabuso eccezionalissimo. È storia nostra,il nostro passato. Dobbiamo conoscerlo,per comprendere quantastrada è stata fatta e quanta, ancora,resta da fare.Qualcuno, sfortunato quandonasce, può però avere unaseconda occasione <strong>di</strong> nascita.Se la prima è spesso legata al caso ed èL’Angelo - Novembre a. D. 2000 13