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numero 2/2010 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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Per vivere la terza etàFoto: Warner Bros.Sopra: Clint Eastwood interpreta il veteranoWalt Kowalski in Gran Torino (Warner Bros,2008). Nella pagina seguente: un’altrascena del film.l’affluenza nelle sale della popolazioneanziana è decisamente inferiore a quelladei giovani, sia in termini relativi sia assoluti:tra i 35 e i 45 anni la percentualedelle persone che frequentano la sala almenouna volta l’anno si dimezza, calandoancora per fasce di età superiori (fonteIstat). Si capisce, allora, che parlare dianziani in un film non è un modo per attirareuna certa fascia di pubblico, ma è unmezzo per comunicare qualcosa.L’esempio più chiaro ci è fornito propriodalla Disney, che in Up, nel creareuna fiaba per bambini, ha usato la storia diun vecchietto insofferente della vita cittadinae di un viaggio che è l’elaborazionedi un lutto e, insieme, la scoperta di nuoviaffetti. Il protagonista virtuale di questofilm somiglia, come dice uno dei registi,Bob Peterson, a Spencer Tracy, WalterMatthau, James Coburn, “i nostri nonnimigliori” (Fulvia Caprara), ma anche a unpersonaggio che solo nella stagione cinematograficaprecedente aveva affascinatoe convinto critica e pubblico: Walt Kowalski,protagonista di Gran Torino. La partecon cui Clint Eastwood, per sua ammissione,chiude una lunga carriera di attore,è quella di un burbero reduce della guerrain Corea, con la bocca sempre digrignatada cui non esce mai una parola gentile; un“vecchio antipatico” (Piera Detassis) che,dopo la morte della moglie, ha dedicatotutte le sue attenzioni alla sua Ford GranTorino – cimelio di un passato da operaiodella catena di montaggio – e alla sua casa,mantenuta alla perfezione in un quartiereormai degradato e affollato di stranieri. Laprima immagine che Eastwood, qui ancheregista, ci restituisce di quest’uomo èquella di una persona incapace di amare,che non sa cosa sia la vita, che ha rinnegatofamiglia e religione e che non esita apronunciare giudizi razzisti sui suoi viciniasiatici. La storia è, però, quella di un processodi redenzione che si realizza tramitel’affetto per un ragazzo, Thao, uno deglistranieri che fino a poco tempo prima avevaconsiderato invasori del suo vicinato eche ora cresce come un figlio. Kowalski,oppresso dalla morte che ha visto e causatodurante la guerra e che ora sente vicinaa sé, ha imparato, nella sua lunga vita, chela rudezza serve per sopravvivere: questoè ciò che vuole insegnare a Thao il quale,invece, gli fa riscoprire quanto, per vivere,ci sia bisogno del sentimento.“Come in tutti i tragici, in Clint albergal’anima di un grande comico” (RobertoNepoti), che pizzica ora le corde della commedia,ora quelledella tragedia,per parlare di unuomo combattivo,che avrebbe ancoratanto da dare etanto da vivere.L’età, che l’attore mostra senza vergogna,conferisce a quella che, a prima vista,sembra una semplice sintesi di tutti i personaggidel passato, dai pistoleri di SergioLeone all’ispettore Callaghan, un’eroicitàancora maggiore; l’epilogo suggella il filmcon un inno alla non-violenza e al sacrificio,che all’inizio sarebbe stato contrarioalle aspettative del pubblico.È interessante confrontare questo personaggiocon Umberto D., protagonistadell’omonimo film di Vittorio De Sica del1952. Umberto è un pensionato che, perfronteggiare i suoi debiti, ricerca invanol’aiuto e la solidarietà dei suoi amici e,con grande dignità, ma poca forza, cercadi sopravvivere nella Roma di metà Novecento.Il film, che suscitò anche unosdegnoso commento di Giulio Andreotti(“se nel mondo si sarà indotti – erroneamente– a ritenere che quella di UmbertoD. è l’Italia della metà del ventesimo secolo,De Sica avrà reso un pessimo servizioalla sua patria, che è anche la patria diDon Bosco, di Forlanini e di una progreditalegislazione sociale”), traccia le lineedi una faccia diversa della vecchiaia: solitaria,bisognosa, alienata. Diversamenteda Eastwood, De Sica dipinge una personalitàdebole e rinunciataria, che arriva apensare al suicidio come unica soluzioneper i propri problemi.Il grande scarto esistente tra i due filmforse è anche il risultato del differente approcciodei due registi al tema dell’anzianità.Eastwood dirige il suo film a 78 annidi età; quando girò Umberto D., De Sicane aveva, invece, solo 51. Il primo mostra,allora, un atteggiamento maturo nei confrontidella vecchiaia e porta in scena ilcarico dei doveri morali che competono aun uomo qual è Walt Kowalski, facendo iltutto, come ha osservato Paolo Mereghetti,con una “assunzione di responsabilitàinusitata anche per i suoi film, quasi fosseriuscito finalmente a fare i conti davverocon la morte, che nelle sue ultime regieaveva sempre più invaso le avventure deisuoi non-eroi”. De Sica sembra, invece,comunicare le ansie che affliggono unuomo di mezza età, cui si palesa il pesoEastwood mostraun atteggiamento maturo neiconfronti della vecchiaia e porta inscena i doveri morali di Kowalski.di un qualcosa che è ancora terribilmenteincognito, ma sempre più vicino: la vecchiaia,che viene letta in una chiave dicompleta sfiducia.panorama per i giovani • 33

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