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numero 2/2010 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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Per vivere la terza etàFoto: iStockphoto.com (creatista; ericsphotography)La risorsa longevitàLe nuove frontiere dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani in Italia,in una visione di longevità attiva.di Carlotta OrlandoL’attuale convenzione per laquale il periodo dell’anzianitàcomincerebbe allo scoccare dei65 anni è ormai superata.È sufficiente un’occhiata alle più recentistatistiche Istat relative ai presidi residenzialisocio-assistenziali nel 2006 perrendersi conto di quanto l’attuale convenzioneper la quale il periodo dell’anzianitàcomincerebbe allo scoccare dei65 anni sia ormai un criterio superato,per lo meno se si considera anziano chiormai è uscito dal sistema produttivo.Con l’allungamento della vita media,infatti, si ha un corrispondente prolungamentodel periodo post-lavorativo esi allontana nel tempo quella condizionepsicofisica che impedisce di esserepienamente soggetti attivi. Ed è propriointorno all’idea di longevità attiva cheoggi tendono a indirizzarsi gli sforzi diquanti operano nel settore dell’assistenzaagli anziani. Il longevo diviene unanuova figura sociale, in grado di crearericchezza, un’opportunità di investimentopiuttosto che un costo improduttivo, ilcui lavoro, inteso come attività necessariaalla crescita umana, può e deve essereconvogliato verso la produzione diquei beni principalmente relazionali peri quali il settore pubblico non disponedelle risorse necessarie e di cui il settoreprivato non ha interesse a occuparsi. Chisi prende cura dei longevi attivi non cercatanto di creare un efficiente sistemaalberghiero, né di occuparsi meramentedi aspetti sanitari e materiali, quantopiuttosto di curare tutto ciò che concernela relazionalità.La life-span theoryLa base teorica del concetto di longevitàattiva può essere trovata nella cosiddettalife-span theory, il cui massimoesponente è PaulBaltes. Secondoquesto modello,il corso della vitadeve essere interpretatocomeuna continuadialettica tra crescita, dunque acquisizioni,e declino, ossia perdite. Il termine“sviluppo” può essere agevolmenteriferito a qualunque fase della vita, lacui rappresentazione non è pertantoassimilabile a una parabola convessa,come stereotipicamente si tende a credere.Figlia della life-span theory è poila teoria dello sviluppo psicosociale diErik Erikson: nella vita dell’uomo siavvicendano diversi stadi, caratterizzaticiascuno da un particolare rapportodell’individuo con la società, dal qualedipendono per l’appunto i cambiamentiche permettono il passaggio da uno stadioall’altro. È opportuno dunque rivalutarela figura del longevo, progettandointerventi volti non solo a creare occasionidi intrattenimento, ma soprattuttoa stimolare la crescita personale e a dareavvio a processi di socializzazione utilia far cogliere all’anziano il proprio ruoloattivo e il contributo che ancora puòdare a chi gli sta attorno.Chi si occupa dei nostri anziani?Facendo riferimento ancora una volta aidati Istat al 31 dicembre 2006, i presidiresidenziali socio-assistenziali in Italiaospitano 230.467 anziani, per la maggiorparte donne, di cui circa il 70% nelle regionidel Nord Italia. In cima al podioper numero di anziani ospitati in questestrutture si trova la Lombardia (48.956presenze), seguita da Piemonte e Veneto;chiude la graduatoria la “piccola” Basilicata,con soli 558 ospiti. Meritevole dinota è sicuramente la rilevazione per cuiquasi il 70% degli ospiti di questi centriha un’età di almeno 80 anni. Comeafferma Stefano Zamagni, presidentedell’Agenzia per le Onlus, quello chesta invecchiando è il concetto stesso dietà e non la società. Cambia infatti la sogliadi vecchiaia e cambiano le modalitàdi invecchiamento: se fino a non moltotempo fa gli ottuagenari erano un’eccezione,oggi sono divenuti la norma, e sevent’anni fa un sessantenne si sentivaormai privo di prospettive e percepival’inizio del declino, oggi chi ha sessant’anniinaugura una nuova fase dellapropria vita, sa di poter dare ancora ilproprio contributo.Quanto al regime giuridico degli entiche si occupano dell’assistenza agli anziani,ben il 43% è costituito nella formadi organizzazioni non profit, scavalcandodunque gli enti pubblici, che costituisconocirca il 38% del totale. È il segno concretodi come il settore non profit riesca aspuntarla proprio laddove quello pubblico24 • n. 2, maggio-agosto 2010

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