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numero 2/2012 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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TecnocraziaFoto: iStockphoto (Arsty; PMUDU)fermando che il progresso scientificonon è riuscito a salvarci dalle “tempesteminacciose che ancora gravano sopra lastoria”, le quali sono da ricollegare allanatura umana, spesso trascinata dallasuperbia verso il peccato. Non dimentichiamo,inoltre, che il ricorso massiccioagli strumenti tecnologici nei luoghi dilavoro, almeno nel tempo breve, puòcomportare un aumento della disoccupazionee un conseguente aumento deiconflitti sociali.Il punto forse più delicato di ognitecnocrazia è però un altro: il poteredecisionale viene affidato a studiosi oesperti non eletti dai cittadini. Fare questosignifica mettere a rischio l’interosistema democratico. “Tecnocrazia edemocrazia sono antitetiche: se il protagonistadella società industriale è l’esperto,non può essere il cittadino qua-lunque”, ricordava Norberto Bobbio.Quando i cittadini perdono la fiducianelle istituzioni nate per tutelarli, la societàrischia di scivolare verso l’estremismo,in particolare sotto la pressionee l’urgenza di gravi crisi economicheA sinistra: Robert S. McNamara è unesempio di tecnico prestato alla politica;presidente della Ford Motor Company,venne chiamato da John F. Kennedy perricoprire l’incarico di segretario alla Difesa.Successivamente fu presidente della Bancamondiale.Fiducioso nel progresso, ilfilosofo Auguste Comte affermavala necessità di una direzione“tecnologica” della società.come quella chesta attraversandoin questo momentol’UnioneEuropea. È essenzialericordare,tuttavia, che,come insegna Polibio, anche la democrazianon è una forma di governo perfetta:essa corre costantemente il rischiodi degradarsi nella demagogia. Il puntocentrale della questione è dunque capirese la tecnocrazia possa costituire unaforma temporanea di governo, al paridella dittatura nella Roma repubblicana,per affrontare pericoli e superaresituazioni che se lasciate marcire porterebberoall’abbandono della democrazia.Il problema è che i tecnocratisi trovano spesso di fronte a decisioniche non possono essere prese basandosiunicamente su “verità scientifiche”, chenon solo non hanno spesso una validitàatemporale, ma talvolta nascondonopure visioni ideologiche; ogni decisionenel governo degli uomini come delleistituzioni implica un certo tasso didiscrezionalità. Essi, dunque, si trovanospesso a deliberare su questioni di carattere“politico” e non soltanto tecnico.Quest’ultimo aspetto può aiutarea comprendere la non rara deriva del“freddo” rigore tecnico verso un esitopotenzialmente totalitario, che realizzal’occupazione di ogni spazio dellavita individuale a opera di chi si trovaa gestire il reale in modo utopistico.L’esempio letterario forse più celebredi questo tipo di società tecnocratica ècontenuto nel capolavoro di Orwell daltitolo 1984, nel quale un unico partitosorveglia e dirige senza sosta la vita ditutti quanti i cittadini. L’opera dell’autorebritannico è stato non a caso definita“distopica per eccellenza”. A essasi contrappongono modelli “benevoli”di tecnocrazia (come la Federazioneunita dei Pianeti di Star Trek), ma almenoguardando alla letteratura apparedecisamente prevalente il modello “malevolo”e dispotico (l’Impero Galatticodi Guerre stellari ne è la prova). La tecnocraziacon la quale concretamente cimisuriamo nella nostra esperienza politicaha comunque una portata molto piùmodesta. Quella che gli italiani discutonoattualmente (e rispetto alla quale sischierano) più spesso ha il volto dell’ortodossiafinanziaria europea gestita dal“governo dei tecnici”.6 • n. 2, maggio-agosto <strong>2012</strong>

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