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numero 2/2012 - Collegio Universitario Lamaro Pozzani

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Tecnocraziaun anno del mio dottorato di ricerca all’universitàdi Francoforte in Germania.L’esperienza a Francoforte ha fatto sì chemi si aprisse un mondo nuovo: congressi,scienziati di fama internazionale, pubblicazioniin riviste con high impact factor, insommatutto quello che avevo sempre sognato. Dopoquesta esperienza ho deciso di fare un post-doca Francoforte e successivamente, non sentendomiancora pronta per avere un gruppo tuttomio, ho deciso di fare un altro post-doc alloScripps Research Institute in America. L’esperienzaamericana è stata molto utile, ma hodeciso di tornare in Europa. Sono stata al MaxPlank Institut a Göttingen in Germania, con laposizione di capo-gruppo; dopo sei anni sonopassata all’ Embl. La scelta di venire all’Emblè stata piuttosto atipica, perché in questo istitutoi group-leaders sono molto giovani, mentreio avevo già fatto le mie esperienze, mala vitalità di questo posto mi ha convinto. Ilprossimo step sarà quello di muovermi in unaposizione senior, da professore.Quali progetti segue? Potrebbe spiegarciqualcosa del suo lavoro?I progetti che seguo sono costruiti passopasso da me insieme ai miei collaboratori.Il bello di questo istituto è la libertà che sidà ai capi-gruppo di creare dei progetti, diporsi domande e cercare risposte alle stesse.Ovviamente, le domande devono essererilevanti per la biologia e per la medicina edevono portare a una migliore conoscenzadella biologia di base.Il mio gruppo si occupa dello studio diproteine, acidi nucleici (Dna e Rna) e piccolemolecole che interagiscono tra loro. L’interazioneavviene tramite la forma tridimensionale;noi cerchiamo di capire i principialla base di questa interazione attraversouna tecnica analoga alla risonanza magneticache si usa in medicina, chiamata risonanzamagnetica nucleare ad alta risoluzione.In particolare lavoriamo nel campodegli Rna regolatori e sviluppiamo metodiper il drug design, concentrandoci sui recettoridi membrana.Lei vive da tanti anni in questo paese.Come si trova? È stata accolta bene?Il mio primo impatto con la Germania èstato molto negativo e ricordo ancora quandosono arrivata. Era un mercoledì sera eil giovedì mattina c’era il group meetingnel mio laboratorio (un’occasione per ognipersona del gruppo di parlare, a turno, deisuoi risultati); nel gruppo al quale mi univov’erano solo due stranieri: un post-docamericano e io. Il capo del gruppo annunciòche dalla volta successiva i group meetingssi sarebbero tenuti in inglese a causa dellapresenza di due stranieri. La persona chedoveva presentare i suoi risultati fece unabattuta poco felice, che ricordo ancora: “Maperché, anche gli italiani vanno all’università?Io pensavo che sapessero solo puliree fare pizze”. Ecco come i tedeschi vedevanogli italiani in quel periodo... Il fatto chegli stranieri fossero pochi fece sì che l’altroragazzo e io fossimo visti come ospiti, noncome membri del gruppo. Ovviamente, eper fortuna, c’erano anche persone che mihanno aiutato tanto e mi hanno permesso didiventare quella che sono oggi.In Germania si lavora molto, moltomeglio rispetto all’Italia. L’ambiente lavorativoè visto in maniera diversa, c’è piùdistanza tra colleghi, ma ciò porta anche amolto maggiore serietà. Una grossa differenzaè dovuta al fatto che in Germania illavoro nel campo scientifico è consideratocosa seria e difficile, mentre in Italia lasocietà considera il ricercatore quasi comeuna persona che “gioca” con provette ereagenti. Questa è una fondamentale differenzaculturale che ha conseguenze neifinanziamenti e in tutto il resto. Quindi èl’atteggiamento di fondo che comporta unaserie di problemi, che tuttora sono causa diinefficienze nel sistema di ricerca italiano.Lo scorso anno in <strong>Collegio</strong> abbiamo seguitouna serie di incontri nei quali siè discusso del ruolo delle donne nellasocietà. L’economista Annalisa Rossellici ha parlato del cosiddetto “tetto dicristallo”, una barriera invisibile cheimpedisce alle donne di far carriera.Oltretutto, secondo un report dell’AmericanAssociation of University Women,la differenza tra la quantità di donne edi uomini nel settore Stem (scienza, tecnologia,ingegneria e matematica) si staattenuando, ma non si è ancora avuto unallineamento. Cosa pensa al riguardo?Ha mai avuto esperienze di discriminazionenel suo lavoro in quanto donna?Durante gli anni dell’università le donnesono in quantità superiore rispetto agli uomini,ma quando si arriva al livello di groupleadersolo il 20-30% delle donne occupaqueste posizioni. È un problema complicato,non sempre dovuto a una discriminazionesessuale. Alcuni vecchi professori non sannocome rapportarsi con le donne, perché nonhanno mai interagito con colleghe durante iloro anni di università. Fortunatamente nonsono mai stata discriminata per essere donnae all’Embl una cosa del genere sarebbe impensabile.Anzi, qui si fa attenzione affinchéle donne abbiano tutto a disposizione per vivereuna vita da scienziata felice, riuscendo aconciliare famiglia e lavoro.Comunque sia, è vero che gestire unafamiglia con dei bambini e fare carrieraè molto difficile. Io sono sposata ma nonho figli, un po’ per scelta, un po’ no. Sonosposata in Germania e, anche se può sembrarestrano, in questo paese il fatto che ilmarito rimanga a casa quando il bambino,ad esempio, ha bisogno di cure non è diffuso.Non c’è molta apertura culturale perla donna in carriera. Spesso sono le donnestesse a criticare le altre se lasciano che lababysitter si prenda troppa cura dei figli.Ovviamente, non avendo figli, mi sentopriva di un’esperienza importante, ma èstata una mia scelta e la vivo serenamente.Pensa che in futuro, magari quando lasituazione italiana della ricerca migliorerà,tornerà in Italia?Non sento il desiderio di tornare in Italia: miomarito è tedesco e ormai la mia vita è qui. Inquesto momento non mi sento un’italianaall’estero; ormai questa nazione mi ha adottato.Vivere con la classica mentalità dell’emigranteche pensa sempre al suo paese lontanonon è molto produttivo. Sicuramente se mi siaprisse una possibilità in Italia tornerei, ma népiù né meno di come andrei in un altro paese.Grazie, dottoressa Carlomagno.Sicuramente questa esperienza di vita dimostracome le menti scientifiche eccellentiescano dall’Italia per cercare opportunità ocondizioni che da noi mancano. Sicuramentein Italia non ci si è resi ancora conto di comela scienza aiuti a rendere un paese migliore.Bisogna investire nella scienza, ma ancor piùnell’istruzione. Una migliore istruzione porteràl’Italia ad essere una nazione migliore. Danoi esiste un buon potenziale, che non vienesfruttato ma abbandonato al brain-drain. Allora,perché non sfruttarlo nel miglior modopossibile? Perché non poter dire orgogliosamente:sì, torno in Italia, un paradiso per lascienza. Rimarrà un’utopia? Forse.32 • n. 2, maggio-agosto <strong>2012</strong>

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