150 anni di Unità d’ItaliaFoto: iStockphoto/HultonArchivecivile degli italiani. Il “primato” oggettodello studio di Gioberti era quello derivanteall’Italia dall’essere sede del papato edi averne condiviso nel corso dei secoli lamissione di civiltà. Proprio in ragione diciò Gioberti proponeva una confederazionedegli stati italiani presieduta dal Papa eun grande movimento politico, avente allabase gli antichi valori cristiani, che avrebbedovuto raccogliere varie forze partiticheper un progetto unitario: un “partito”cattolico, italiano, nazionale e moderno.Di qui i molti e diversi giudizi sulla suaprospettiva. Gioberti, viene detto da molti,è il padre dell’ideologia federalista. Giobertipredisse lucidamente l’avvento dellaDemocrazia Cristiana, si premurano di affermarealtri. Gioberti, rilanciano altri ancora,voleva un Italia decentralizzata e cheavesse il federalismo (politico? fiscale?)come nucleo fondante della sua identità.È evidente e forse superfluo far notarecome queste siano semplificazioni, talvoltafatte in buona fede, talaltra realizzatecolpevolmente per “aggiudicarsi” illustriprecedenti storici. Senz’altro, sono tutteosservazioni che, nella loro tensione allo“slogan”, si macchiano di superficialità enon osservano la teoria e il pensiero politicogiobertiano nella sua ampia e piùcompleta accezione.Partiamo prima di tutto da alcune osservazionibasilari. L’intero edificio concettualedi Gioberti(si legga questamia affermazionee quelle che seguirannocome riferiteprincipalmente allateoria politica cosìcome è espressanel Del primato) èpoco solido almenoper ciò che riguardadue aspetti, entrambidi carattere pragmaticoe fattuale.In primo luogoGioberti trascura ilproblema della presenzaaustriaca nelLombardo-Veneto– che sarebbe dunquerimasto esclusoda qualsivogliaprogetto unitario– ed è questo unproblema immensoe molto grave, sesi pensa a quantole questioni delleterre irredente peserannosulla politicasabauda primaAlcuni dei principali protagonisti delRisorgimento. Dall’alto, in senso orario:Vittorio Emanuele II, Giuseppe Mazzini eCamillo Benso, Conte di Cavour. In bassoa sinistra: Giuseppe Garibaldi a Caprera inuna foto dell’epoca.e italiana poi per lungo tempo, nel XIXsecolo come nel XX. In secondo luogoGioberti non è così chiaro (come ad alcunipotrebbe apparire) su chi debba guidare ereggere – e con che forma istituzionale –l’ipotetico stato federale italiano, soprattuttose si pensa che nel momento in cuiGioberti vergava le sue pagine infuocateera Papa Gregorio XVI, sicché sarebbedovuto essere “presidente” dello stato unPapa dichiaratamente reazionario e che,nell’enciclica Mirari Vos, condannavaogni sorta di pensiero liberale.Vincenzo Gioberti, in ultima analisi,viene visto come il “padre” del pensierofederalista in Italia. Questo è, in parte,innegabilmente vero, dato che l’elementofederalista rappresenta al contempo ilpiù netto e più innovativo della sua opera.Pure, il federalismo giobertiano è caratterizzatoda tratti marcatamente antistorici.Non è il federalismo di un nuovo stato, diuna nuova epoca storica, di un rinnovamento.Guarda al passato più che al futuro.Il nome della corrente politica chefonda e in cui ricade attinge per il nomeal repertorio medievale (“neoguelfismo”)e la sua ipotesi è in fondo quella di una restaurazionedi qualcosa (in prima istanzail primato del cattolicesimo e del papato)Foto: iStockphoto/PaoloGaetano6 • n. 3, settembre-dicembre 2010
150 anni di Unità d’Italiache è stato e che deve tornare a essere:una ri-fondazione che apparirà alla provadei fatti una prospettiva sostanzialmenteantistorica.I fermenti culturali e il dibattito politicoall’interno del regno sabaudo nonsono ovviamente ridotti al solo Gioberti.Negli stessi anni in cui il sacerdote torineserifletteva sul “primato degli italiani”un altro personaggio politico torinese, illiberale Cesare Balbo, pubblicava il testoLe speranze d’Italia, che in un certo qualmodo si poneva come “complementare”all’opera di Gioberti, affrontando conmaggior attenzione e realismo pragmaticoi due temi da lui colpevolmente tralasciatio, come si è visto, appena toccati. Balboauspicava un ritiro della presenza austriacadal Lombardo-Veneto tramite mezzidiplomatici e proponeva, come lo stessoGioberti, di puntare a un’unità d’Italiarealizzata su un modello federalista, vagheggiandouna confederazione che avessei suoi due poli nell’autorità morale delpapato e nella forza in armi del Regno diSardegna.Un’ultima figura politica di rilievo nelpanorama piemontese, che merita di essereaccennata perché attinente al discorsosvolto finora, è Massimo D’Azeglio, autoredi un opuscolo (Gli ultimi casi di Romagna,1846) in cui si criticavano aspramentesia il malgoverno pontificio sia i tentativiinsurrezionali attuati nella penisola (speciea opera delle società segrete), additaticome inutili se non addirittura controproducenti.Si proponeva viceversa una viafatta di riforme graduali, che lasciasseperò aperta la possibilità di un apporto(principalmente inteso come militare) deire sabaudi. D’Azeglio è un personaggiopiuttosto singolare: fu intellettuale romantico,pittore e scrittore prima e più che politico,autore fra l’altro del celebre EttoreFieramosca, o la disfida di Barletta. Egliben sta a significare e a segnalare come ildibattito di cui abbiamo appena cercato didelineare i contornifosse ben piùche una discussionesterilmente,astrattamente politicae a cui solisi interessavano i“politici di professione” (per usare un terminemoderno e gergale). Era, invero, untema che stimolava le corde più profondee reattive del sentire comune, abbracciandouna classe di intellettuali che andavaben oltre la mera classe politica.Possiamo tornare a questo punto a CarloCattaneo, l’acuto uomo politico meneghinoche ci ha offerto la citazione dallaquale abbiamo preso le mosse. Negli anniin cui il neoguelfismo conosceva la maggiordiffusione e il maggior successo inPiemonte, in Lombardia nasceva, da unretroterra sostanzialmente formatosi sullacultura illuminista, un “partito” federalista,democratico e repubblicano il cui capofilaera appunto Cattaneo. Egli avversavaTravagliata, complessa, precariaè stata non solo la fondazionedello Stato nazionale italiano,ma anche la sua concezione.l’ipotesi di un’unificazione guidata da unPiemonte ancora clericale e monarchicoe proponeva di puntare in prima istanzasulle riforme politiche e sullo sviluppo deisingoli Stati, uno sviluppo che interessassel’aspetto economico ma anche quello delleinfrastrutture, delle vie di comunicazione edell’istruzione pubblica. L’obbiettivo finaleche Cattaneo auspicava era invero alquantodiverso da quello della frangia politica deimoderati; egli pensava a una confederazionerepubblicana che si rifacesse al modellodella Svizzera (paese in cui Cattaneo avevasoggiornato a lungo) e degli Usa, che lasciasseampi margini di autonomia locale eche fosse premessa e base per la costituzionedegli Stati Uniti d’Europa, cui accennanel testo da noi citato con una lungimiranzalucida ed esatta, sconosciuta agli altriartefici della politica del suo tempo, comela costituzione di un’Unione Europea semprepiù ampia dimostra.Proviamo a tirare le fila di questo rapidoschizzo delle posizioni che erano incampo negli anni in cui si preparò e realizzòl’unità d’Italia. Si è tentato di mostrarequanto travagliata, complessa e precariasia stata non solo la “fondazione” di unoStato nazionale italiano, ma anche la suasemplice “concezione”. Oggi il federalismoè tra i temi politici più sentiti e affrontati.Pure, se da un lato non si parlapiù (coerentemente con il mutato contestostorico) di un primato papale, dall’altro paionouscite dal vocabolario della politicaparole come “solidarietà, sviluppo comunedelle infrastrutture e del sistema dell’istruzione”.Appaiono poco chiare le competenzerispettive; i singoli soggetti politici,nazionali e locali sembrano operare, piùche in sinergica sintonia, con dissonanteincoerenza. Il federalismo, il riconoscimentodi particolarità e autonomie sono,l’abbiamo visto, istanze vecchie quanto epiù del nostro Stato. Purché non divenganoparticolarismi, dobbiamo comprendere cheè necessario confrontarsi con esse, perchél’Italia non muoia in silenzio, proprio mentretutt’attorno si sprecano i coriandoli, lefeste e i discorsi per festeggiare il suo centocinquantesimoanniversario.panorama per i giovani • 7